Kizu no kuma - Francesca Angelinelli

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KIZU NO KUMA

Š 2010 Valter Casini Edizioni www.casinieditore.com ISBN 978-88-7905-153-8


Kizu no Kuma La cicatrice dell’orso

Francesca Angelinelli

Casini Editore


KIZU NO KUMA



KIZU NO KUMA


Capitolo 01

CAPITOLO 1

La vita non poteva essere più dolce. L’estate era appena alle porte e nel cielo limpido non si vedevano che poche nuvole bianche e sottili, un vento tiepido agitava l’erba e trasportava lontano il profumo dei fiori selvatici. Gaiko, disteso in un prato su un dolce pendio dal quale si vedeva la Capitale sorgere come una gemma al centro di uno scudo, allargò le braccia e respirò profondamente, sorridendo al passaggio di una coppia di rondini. La vita non poteva essere più dolce per Gaiko Kushin, venticinque anni e un futuro luminoso ad attenderlo. Veniva da una famiglia fra le più nobili di tutto lo Si-hai-pai, la sua carriera all’interno dell’esercito imperiale era assicurata dal lignaggio e dalla notevole predisposizione per qualsiasi tipo di arma e solo a causa del suo carattere impulsivo il Drago Rosso gli aveva negato l’onore di diventare uno Yaribushi. Ma Gaiko non se ne rammaricava. “La pace dei Templi” diceva a se stesso, “non fa per me. Amo troppo la vita rutilante della città”. Nulla sembrava poter fermare un ragazzo così straordinario che emergeva come un giovane albero tra i suoi coetanei, teneri germogli al confronto. Gaiko non era bello, i tratti del suo viso troppo marcati e la fronte troppo ampia, un fisico possente e una camminata sicura ed elegante colpivano chiunque lo vedesse per la prima volta e per questo, quando passeggiava per le via di Hoh-ma, la folla si spostava rispettosamente. “Sono felice” pensò Gaiko, seguendo con lo sguardo una farfalla che svolazzava da un fiore all’altro. “Non ho la più pallida idea di come sono finito qui, ma sono felice”.


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Piegò le ginocchia e si diede una spinta per rimettersi in piedi, poi ripulì la divisa nera dalla polvere e dal polline, si fece ombra con la mano per poter controllare meglio se nei paraggi c’era anche il suo cavallo. – Eccolo – disse, correndo incontro al castrone grigio che brucava tranquillamente allontanando le mosche con la coda. – Il sole è già alto. Saranno già tutti svegli; è meglio che mi sbrighi a tornare. Montò in sella, lanciò il cavallo al galoppo in direzione della Capitale e il senso di nausea provocato dal dondolio dell’animale gli ricordò che la sera precedente aveva fatto baldoria fino a tardi con i suoi compagni, finché un gruppo di fanti di pattuglia non li aveva coinvolti in una rissa, sfociata poi in un duello svoltosi sulla collina dove si era svegliato. “Chissà com’è andata a finire?” si domandò entrando in città e percorrendo la via principale fino alle Mura Celesti. I soldati lo lasciarono passare con cenni di saluto, Gaiko rispose con un sorriso aperto perché tra essi aveva riconosciuto due di quelli che avevano bevuto con lui la sera prima. Avrebbe voluto fermarsi a domandare del duello, ma era già abbastanza nei guai considerato che aveva promesso al padre di andarlo a trovare quella mattina e l’ora di pranzo si avvicinava rapidamente. Colpì il costato del cavallo e fischiettò al ritmo del suo trotto allegro, svoltò l’angolo trattenendo le redini e le tirò immobilizzando l’animale. Di fronte all’ingresso della residenza della sua famiglia si era radunata una piccola folla. Servitori, kiniru e dame si tenevano in disparte, parlottando tra loro, mentre gli uomini si erano disposti a semicerchio proprio davanti all’entrata e discutevano animatamente con i Cavalieri Ryokin che cercavano di disperdere i curiosi. Gaiko avvertì una fitta al petto. Senza pensare a nulla, se non al battito del proprio cuore che accelerava, smontò da cavallo avvicinandosi alla folla. Si fece largo tra le dame, spintonò qualche funzionario, finché non si trovò faccia a faccia con un soldato. – Che succede? – domandò in preda all’ansia. L’uomo abbassò il capo. – Ah, Gaiko, per fortuna sei arrivato. Vai dentro, tua madre è disperata, hanno dovuto chiamare una sacerdotessa per cercare di calmarla.


Il volto di Gaiko sbiancò, corse, annaspando; un timore gelido gli impediva di respirare regolarmente. Entrò nella sala principale della casa e i suoi occhi incrociarono immediatamente lo sguardo del padre. Non vide altro, non i pannelli con le scene di aironi che spiccavano il volo, non i vasi con le delicate composizioni di fiori, non i paraventi con il vulcano al tramonto, ma solo quegli occhi neri e vacui, inondati di lacrime. Solo dopo si accorse che tra le braccia del padre c’era sua madre. Non l’aveva mai vista in quello stato: i capelli, di solito lucidi e ben pettinati, erano opachi e in disordine, era evidente che sotto la veste scura ne indossava un’altra da camera, sul viso non c’era traccia di trucco e le guance erano scavate e pallide, mentre gli occhi apparivano esageratamente grandi e gonfi. – Madre – sussurrò Gaiko avvicinandosi, – che cosa… Il padre si coprì il volto con la mano. – Karui. Karui è morta, è stata assassinata nella notte. Gaiko perse ogni forza e si lasciò cadere al suolo senza trovare nemmeno la forza di piangere e di urlare. – Karui – sussurrò, mentre sua madre affondava il volto nella spalla del marito riprendendo a singhiozzare. Gaiko era sconvolto. Tutto ciò a cui poteva pensare era il viso sorridente della sorella, il suo caschetto castano e lo sguardo luminoso. Karui era bellissima, la sua grazia innata aveva attirato l’attenzione di molti tra nobili e cavalieri. Per questo non poteva immaginare che qualcuno avesse voluto fare del male alla sua splendida e delicata sorella, non poteva tollerare l’idea che avessero reciso la sua giovane vita così come si sarebbe potuto fare con il gambo sottile di un’orchidea. Pensare a lei, morta, era più doloroso che immaginare la sua stessa morte. Eppure riuscì ad alzarsi. Si diresse come un fantasma verso la stanza di Karui e la aprì: sotto una pesante coperta bianca era celato il corpo della ragazza, ma sulle stuoie e sui pannelli si vedevano ancora le tracce del sangue ormai rappreso. Gaiko si inginocchiò accanto al cadavere e allungò una mano per scoprirne il volto, ma dei passi alle sue spalle lo fermarono. – Mi dispiace molto.


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Gaiko annuì, senza voltarsi. – La ringrazio capitano. Finse di piangere per giustificare la sua scortesia, una violenta sensazione di ribrezzo gli impediva di guardare il viso del soldato. – Vorrei sapere cosa è accaduto. – Ferite da pugnale – rispose il capitano, – senza dubbio un omicidio su commissione. O un kage o una Cucitrice, ma trattandosi di una donna… Gaiko strinse i pugni. – Ho capito, capitano Yutaku, grazie. L’uomo chiuse il pannello della stanza e Gaiko udì i suoi passi pesanti allontanarsi nel corridoio. Quando poté ascoltare di nuovo il silenzio di morte che faceva risuonare come un’eco il suo respiro, appoggiò una mano sulla coperta che copriva il corpo della sorella e chiuse gli occhi – Sotto la coltre di neve, riposano i teneri fiori, aspettando la primavera – recitò, prima di alzarsi e allontanarsi dalla stanza.


Capitolo 02

CAPITOLO 2

Le foglie degli aceri erano rosse e Gaiko, seduto in una locanda a sorseggiare un liquore scadente, le fissava con ribrezzo. – Ne sei certo? – domandò all’uomo che sedeva con lui. – È il nostro ultimo incontro e voglio che tu mi dica tutto. Ti pagherò bene. L’uomo si fregò le mani e chinò il capo in segno di sottomissione. – Mio signore, come vi ho detto la donna vive nel quartiere commerciale, conoscete il suo nome e il suo aspetto. Oltre che la sua vera natura. Gaiko annuì. – Sì, mi hai servito bene, ma la dama… sei certo del nome che mi hai fornito? – Sì, mio signore – rispose la spia, – sono sicuro. Del resto non era difficile scoprirlo, il marito di quella donna era uno dei più ferventi ammiratori di dama Karui… da quel che ho saputo. Gaiko strinse gli occhi, terminò il suo liquore e buttò sul tavolo una borsa di monete d’argento. – Ecco quanto pattuito. Ora sparisci e dimentica di aver mai avuto a che fare con me. L’uomo cacciò i soldi nella tasca interna della sua giacca usurata, si alzò, salutò con un leggero inchino e sgattaiolò fuori dalla locanda scomparendo tra gli avventori del quartiere dei piaceri. Gaiko rimase qualche minuto a guardare le foglie secche calpestate dai passanti, poi si sistemò la spada alla cintura e lasciò a sua volta la locanda dirigendosi verso la cittadella imperiale. Mentre camminava cercò di dare forma alle notizie avute dalla spia e strinse i pugni, desiderando colpire se stesso. “Come ho potuto essere così cieco?” pensò, “uno dei più ferventi ammiratori.


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E io non l’ho mai sospettato”. L’immagine di un giovane dai capelli scuri e dallo sguardo penetrante affiorò nella sua mente e lo vide discutere con sua sorella, ricordò all’improvviso i doni, le visite, i biglietti, ma anche il turbamento di Karui, la sua angoscia e l’ansia nel ricevere tante attenzioni da parte di un uomo sposato. – No – disse Gaiko guardando il cielo grigio, – Karui non ricambiava affatto. Lui e lui solo è responsabile di quel che è accaduto. Col suo comportamento sconsiderato ha offeso mia sorella e ha messo in pericolo la sua vita, portandola alla morte. Io preparerò per lui una vendetta peggiore della morte. Lungo uno dei canali che portavano l’acqua alle ville dei nobili crescevano dei salici e Gaiko si nascose tra i loro rami, rimanendo seduto per ore sul bordo del canale. Da quella posizione osservò una grande casa con esposto lo stendardo del Drago Rosso. Gaiko vide i servitori con le gerle sulla schiena entrare e uscire, le kiniru sorridenti che tornavano dai bagni pubblici, i funzionari che andavano a riscuotere le tasse e a chiedere favori, il corteo di dame e ancelle accompagnare la signora al ritorno dal suo giro di visite, infine, la schiera di Cavalieri Ryokin che scortavano il proprietario della residenza. Gaiko strinse l’elsa della spada, sentì il sangue scorrere più rapido e pulsare alle tempie, ma si trattenne. Rimase immobile, indifferente al freddo e all’umidità della sera che avanzava, fino a quando la prima stella non comparve in cielo; solo allora uscì dal suo nascondiglio e si diresse verso le mura della casa. Le scavalcò, finendo in giardino e, sfruttando ogni albero e cespuglio come rifugio, lo attraversò arrivando così a un passo dalla veranda dell’ala orientale. Seduta ad ammirare la sera c’era una donna dalla pelle chiarissima e dai lunghi capelli scuri, che indossava una veste color corallo. Accanto a lei, due ancelle suonavano il flauto e la chitarra, mentre una serva versava un the dal profumo intenso di gelsomino. Gaiko la fissò e strinse i denti, quella era la mente che aveva armato la mano che si era levata contro sua sorella. Balzò fuori dal suo nascondiglio e senza dar loro neppure il tempo di gridare, ferì mortalmente la serva e le ancelle, roteando su se stesso


mentre eseguiva rapide mosse con incredibile precisione, facendo sibilare la spada. La dama lo guardò terrorizzata come fosse un demonio piombato nelle sue stanze, ma non gridò per chiamare aiuto, si abbandonò a un pianto disperato che sciolse il trucco nero dei suoi occhi e rigò il bel viso dai lineamenti delicati. Gaiko le puntò la lama alla gola. – Vostro marito vi tradisce ogni notte – sussurrò, – e voi non alzate un dito. Vostro marito di giorno non vi degna di uno sguardo e voi non vi lamentate. Allora per quale motivo? Perché avete fatto uccidere mia sorella? La dama tremò e deglutì. – Ho sbagliato, vi prego, nobile Gaiko Kushin, perdonate la mia debolezza, vi supplico risparmiatemi. Ero accecata dalla gelosia, non sapevo, non immaginavo che vostra sorella fosse innocente, io ho creduto… ho pensato… – L’avete uccisa – tuonò Gaiko facendo scorrere la lama sul collo candido. La donna singhiozzò e mosse appena il capo. – Vi supplico. – Vostro marito ha messo gli occhi sulla ragazza sbagliata – sibilò Gaiko, – voi avete voluto punirlo uccidendo lei. Ma io lo punirò uccidendo voi. Sollevò la spada e con un rapido gesto tagliò di netto la testa alla dama. Aprì velocemente i pannelli delle altre stanze dove riposavano le donne e una a una le uccise tutte, senza risparmiare neppure le più giovani. L’aria fu satura dell’odore della morte e non si udì altro che il suo canto silenzioso. La vendetta di Gaiko non era ancora terminata per quella notte. Il giovane proseguì lungo il corridoio che portava alle stanze dei figli del suo nemico ed entrò: una bambina di due anni e un bambino neonato dormivano con accanto la fantesca. Gaiko non ebbe pietà per nessuno di loro e, con lucida ferocia, uccise tutti, infine ripulì la spada con la veste della balia e la ripose nel fodero. Con passo leggero, ma lento e sicuro, il giovane lasciò la residenza indisturbato così come era entrato e, scavalcato il muro di cinta, si fermò al centro della strada. Alzò gli occhi alla luna crescente e osservandola con odio chiese: – Mi stai giudicando? – sollevando verso di lei le mani macchiate di sangue. – Giudichi forse sbagliata la mia vendetta?


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Si passò le mani sulla casacca nera, ma avvertì la sensazione spiacevole di qualcosa di appiccicoso; si guardò i palmi macchiati dal sangue delle sue vittime, e così la sua veste. Cadde in ginocchio fissando perplesso la prova tangibile dei suoi crimini, non si scoraggiò, si alzò e cominciò a correre, con tutta la forza che gli restava. Correva come mai aveva fatto prima, aveva una meta precisa. Superò l’ingresso alla cittadella imperiale e si ritrovò sulla via maestra di Hoh-ma, deserta a quell’ora della notte. Si diresse verso il quartiere commerciale, dove ormai tutti i negozi erano chiusi e le bancarelle erano state ritirate. Corse nel silenzio di quel luogo solitamente traboccante di vita e si fermò di fronte alla casa che la spia gli aveva indicato: era piccola, anonima, lontana dalle residenze dei grandi commercianti. Respirava affannosamente, l’odore del sangue gli saliva prepotentemente alla narici infastidendolo, cercò di calmarsi, sforzandosi di riprendere fiato. Poi si avvicinò alla porta, ma guardandola trovò sciocco bussare e prese a colpirla a spallate e continuò finché il legno fragile e quasi del tutto marcio non cedette sotto i suoi colpi. Piombò nell’ingresso e ad accoglierlo trovò due donne che dovevano avere circa la stessa età, ma una era chiaramente la padrona e indossava larghi pantaloni a gonna scuri e una casacca chiara sotto una giacca ricamata, mentre l’altra, che si nascondeva dietro le spalle della prima, doveva essere una serva poiché la sua veste, protetta da un grembiule, era scolorita e priva di ornamenti. Gaiko le fissò entrambe, ma sapeva bene contro quale delle due avrebbe dovuto combattere, quindi estrasse la spada e la puntò verso la padrona avanzando sulle stuoie ammuffite senza neppure sfilarsi gli zoccoli infangati. – Sei la Cucitrice – sibilò, – hai ucciso mia sorella. La giovane donna aggrottò la fronte e guardò la serva ordinandole di allontanarsi con un cenno del capo. – Odori di morte – disse, spostandosi nella stanza senza mai togliere lo sguardo dalla lama del suo avversario. Gaiko sorrise. – Questa notte sono uno spirito vendicativo. – Cos’hai fatto? – domandò lei. – Ho ucciso la donna che ti ha pagato per eliminare mia sorella – rispose Gaiko con naturalezza. – Poi le serve, le ancelle, le kiniru, tutte le donne della casa; e infine… i suoi figli.


La ragazza ebbe un tremito e cercò la serva con lo sguardo, ma Gaiko menò il primo fendente e lei dovette saltare per evitare di essere colpita. – Hai sterminato la famiglia del nobile Tetsu Yutaku – disse lei scotendo il capo. – Perché hai ucciso le donne e i bambini? – Ho ucciso la donna perché aveva ordinato l’assassinio e ho ucciso gli altri per vendicarmi del marito – spiegò Gaiko. La ragazza si morsicò un labbro, evitò un altro colpo, guardò la serva che annuì abbassando il capo. La giovane Cucitrice sfoderò allora il suo pugnale dall’impugnatura di giada e sferrò un attacco rapido diretto al petto di Gaiko, ma lui si spostò sulla destra e lo evitò, calando contemporaneamente la spada e per andare a colpire la corta lama che però era già scivolata lontano. Gaiko impugnò l’elsa della spada con due mani e caricò il colpo portandosi l’arma sopra la testa, si avvicinò con rapidi passi e calò il fendente, ferendo la ragazza a un braccio. Lei si ritrasse, sbattendo la schiena contro la parete e stringendosi la ferita. La serva fece per avvicinarsi, ma Gaiko le si parò di fronte e la colpì al ventre. La ragazza non batté ciglio, si avvicinò alla donna costringendola a stringere il pugnale cosicché Gaiko vide per la prima volta in vita sua la magia delle Cucitrici: lei divenne sottile e trasparente come un essere fatato e più stringeva il kunai, più il suo corpo svaniva mentre l’impugnatura dell’arma si colorava di una luce verde e accecante. Quando fu del tutto scomparsa Gaiko notò che gli occhi color nocciola della serva erano divenuti dello stesso colore della giada e che la ferita andava rapidamente rimarginandosi. Sconvolto da ciò che aveva visto e ancora più furente di rabbia, Gaiko attaccò con sempre maggiore violenza, ma la ragazza sembrava aver acquisito maggiore abilità e sicurezza. Non era semplice parare i suoi colpi e Gaiko venne ferito ripetutamente, ma mai in modo grave. Il suo sangue, che scivolava sulla casacca nera, si mescolò a quello delle sue vittime e provò, più forte che mai, il desiderio di unire ad esso anche quello dell’assassina. Si accanì in una serie di colpi violenti contro l’arma della ragazza e infine, arrivandole vicinissimo, finse di volerla colpire, costringendola ad alzare il kunai per parare, ma in realtà colpì il pugnale con l’elsa e glielo strappò di mano. Lei cadde al suolo


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esausta e sgranò gli occhi quando vide che Gaiko non avanzava per finirla, ma si preparava a colpire il kunai. Lei gridò e provò ad alzarsi per fermarlo, ma la lama era già caduta sull’impugnatura di giada mandandola in mille pezzi. La Cucitrice tremò e cadde al suolo in preda a convulsioni, ma Gaiko non ebbe pietà di lei e non la uccise con un unico colpo alla gola. La osservò contorcersi, prima di iniziare a infierire con animalesca ferocia sul suo corpo ormai allo stremo e quando esalò l’ultimo respiro, chiudendo le palpebre e rilassando il volto in un’espressione grata, lui le tagliò la testa gettandola poi lontano dal corpo. Gaiko si inginocchiò nella pozza formata dal sangue della sua vittima e lasciò cadere la spada. Riprese a respirare con regolarità e guardò l’orrore che lo circondava. – Sono stato io? – disse, sperando inconsciamente che qualcuno lo rassicurasse, gli rispondesse che no, non poteva essere stato lui, ma nessuno rispose e ancora una volta si ritrovò ad ascoltare il silenzio della morte. Questa volta non riuscì a sopportarlo, si strinse la testa fra le mani e gridò di rabbia, contro se stesso, di odio, contro i suoi nemici, e si abbandonò a un pianto disperato, mentre tra i singhiozzi ripeteva ossessivamente il nome della sorella assassinata. Il giovane rimase a lungo in quella casa, seduto in un angolo, in attesa che qualcosa accadesse; forse sperava che la morte, alla fine, si decidesse a chiamare anche lui, ma non accadde, anche se il pensiero di togliersi la vita sfiorò più volte la sua mente. – Non posso morire, non ancora – sussurrò Gaiko, come se stesse parlando alla morte stessa, – prima devo accertarmi che Tetsu Yutaku abbia pagato. Udì il galoppo dei cavalli e si affacciò appena alla finestra della casa, “Stalloni imperiali” pensò “Tetsu Yutaku, viene a cercarmi”. Gaiko si alzò e recuperò la sua spada. – Non fuggirò. Non fuggirò – ripeteva, mentre usciva in strada e avanzava con aria di sfida verso i Cavalieri Ryokin che avevano accompagnato il capitano. Tetsu Yutaku lo guardò con disgusto dall’alto del suo cavallo e sputò nella polvere della strada. – Gaiko Kushin, da questa


notte non sarai più considerato un nobile, non avrai privilegi e morirai come un uomo comune. Non ti sarà concesso toglierti la vita, dovrai morire per mano mia e per quella di nessun altro. “Né dolore, né sofferenza” pensò Gaiko, osservando il viso del capitano. “Solo rabbia e disprezzo”. Sgranò gli occhi e sentì il cuore fermarsi in petto “Non l’ho ferito. Quell’uomo non prova nulla. È solo il suo orgoglio che risente di ciò che ho fatto, ma il suo cuore… non è stato scalfito”. – Allora Gaiko – tuonò Tetsu, – Ti arrendi? Gaiko alzò gli occhi e regalò a Tetsu tutto il suo disprezzo – Mai! Avrei dovuto uccidere te fin da subito, solo ora che ho compreso la tua vera natura dedicherò la mia esistenza alla tua morte. Tetsu sorrise. – Come vuoi. E io dedicherò la mia alla tua. Guardò i soldati che lo accompagnavano e ordinò: – Catturatelo. I Cavalieri Ryokin spronarono i cavalli e caricarono contro Gaiko, sfoderando le spade. Lui parò due colpi, ma il terzo lo ferì alla schiena, tuttavia non cedette: attese, invece, il secondo assalto e si preparò a contrattaccare. Quando i cavalieri gli furono accanto, Gaiko si abbassò, evitando le loro spade, e recise con un colpo preciso la cinghia di una sella, facendo cadere il primo soldato. Non gli diede il tempo di reagire, ma lo attaccò quando ancora era seduto. L’uomo parò due colpi leggeri, poi Gaiko sollevò la lama e recise il polso, facendo saltare lontano la mano che ancora stringeva la spada. Tetsu ringhiò di rabbia: – Dannati stupiti. Uccidetelo. Gaiko sorrise divertito e parò un fendente dall’alto, roteò su se stesso e con la coda del colpo ferì il costato del cavallo alle sue spalle, che si impennò e cadde con tutto il peso sul suo cavaliere, che rimase schiacciato. Gaiko allora si concentrò sull’ultimo soldato, che si stava preparando per una nuova carica e, di nuovo, riuscì a parare il primo attacco, ma non il secondo, che lo ferì a un braccio. Gaiko però restò saldo nella posizione di difesa e quando il cavaliere ritentò un assalto, lui evitò il colpo abbassandosi e ferendolo a una gamba, poi si spostò per evitate il cavallo che trottava in cerchi sempre più stretti attorno a lui e affondò, incurante della lama nemica che si andò a conficcare nella sua spalla, perché la sua fu assai più precisa, trovando immediatamente il cuore.


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Il cavaliere cadde a terra e Gaiko si strappò la sua spada dalla carne, voltandosi verso Tetsu. – Siamo rimasti solo noi due. Ma il capitano non estrasse la spada. Strinse le redini e scosse il capo, mentre l’espressione sul suo volto passava dall’odio al terrore. – Non mi hai mai battuto – rise Gaiko – e sai che non mi batterai nemmeno ora. Tetsu non rispose, prese la sua spada corta dal fodero sulla sella e la lanciò contro Gaiko, che si distrasse per evitarla. Quando tornò a fissare la strada, Tetsu stava già galoppando lontano verso la guarnigione delle Mura Celesti. – Codardo – tuonò Gaiko, lasciandosi però cadere al suolo, esausto e dolorante. – Non posso restare. Tornerà con altri soldati. Devo lasciare la città, stanotte. Gaiko camminava lungo il fiume. Dietro di lui l’erba si macchiò di sangue e non sarebbe stato difficile rintracciarlo, per questo s’inginocchiò sulla riva e immerse le mani nell’acqua, cercando di lavare il più possibile le ferite. Ogni volta che l’acqua penetrava sotto la stoffa gli strappava una smorfia di dolore, esausto si distese nell’erba umida. – Se devo morire – disse alle stelle – fate che muoia adesso, perché non ho più forza per fuggire, né coraggio per combattere. Chiuse gli occhi e si rilassò, cullato dal suono delle acque che scorrevano placide. Un suono estraneo lo destò all’improvviso, lui rimase immobile, in ascolto. Era un fruscio di piedi sull’erba, accompagnato dal sibilo del vento sul metallo. “Cavalieri” pensò, allungando la mano verso la sua spada. Si rimise faticosamente in piedi e squadrò i cinque uomini che gli stavano di fronte. Erano tutti giovani e il drago rosso sul collo delle loro divise non lasciava dubbi sul fatto che fosse stato Tetsu a mandarli. Così Gaiko si preparò a un nuovo scontro, ma sapeva che difficilmente ne sarebbe uscito vivo. I cinque lo attaccarono tutti insieme e lui parò e fu ferito, ma non riuscì a restituire neppure un colpo. Subì gli affondi dei soldati e si limitò a



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Ku nai Denil diario di Ueno 193° giorno dalla par tenza Sono trascorsi cento novanta tre giorni della mor te di Miyaki e delle sue giovani amiche. Ormai il villaggio di Yamashi è lontano, ma non mi volto indie tr o. Abbandono la mia ves te senza degnarla d'u no sguardo come u na cicala in pri mavera. I miei versi pur tr oppo non sono buoni come lo erano quelli di mia sorella. Potrei dire che ora lei non


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è più accanto a me per prote ggermi e guardarmi, ma il suo ku nai è posa to su u n panno proprio al mio fianco. Lo confesso. Non ho ancora avu to il coraggio di sfiorare l'i mpugnatu ra di giada. So bene che l'anima di Miyaki è rinchiusa nella pie tra verde e che mi bas terebbe s tr ingerla per rivedere mia sorella e chiederle consiglio sulla poesia o sulla s trada da percorrere. Tu ttavia ho paura. Mi domando cosa accadrà, se sarò ancora io una volta che Miyaki entrerà in me oppure se mi perderò del ut tto in lei.


Desidero incontrare ancora mia sorella, però non voglio comme t tere errori. Tu t te loro hanno affida to a me il compi to di vegliare sui ku nai e sulle ani me che essi contengono. Se dovessi sbagliare? Se dovessi perdere u na di quelle ragazze che ho conosciu to, che cosÏ spesso ho osserva to allenarsi o cucire insieme a mia sorella? Se perdessi Miyaki per la seconda volta? Odio cosÏ tanto gli uomini che le hanno fa t to ques to. Tan-du n che l'ha tradi ta, il capo villaggio che ha condanna to Lin-xiao e quei


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vecchiacci che non hanno sapu to opporsi. Giurerei che se al pos to di Miyaki, Lin-xiao e le altre ci fossero s ta ti dei ragazzi le cose sarebbero anda te in modo diverso. Eppure nessu na di quelle giovani era inferiore per abili tà agli altr i guerrieri del villaggio. Durante ques ti giorni di viaggio ho spesso rifle ttu to, ma ancora fa ti co a comprendere. Forse perchÊ sono ancora tr oppo giovane. Sono cer at che Hai-lai mi spiegherebbe con pazienza ogni cosa, ma anche il suo spiri to ormai non è altr o che un'arma di vende tta intrappola to in ku nai.


Mi sento sola come mai pri ma d'ora. Miyaki e le sue amiche non mi hanno mai permesso di entrare a far par te del loro gruppo, è vero, per via della mia giovane e tà . Tu t tavia mi perme t tevano di assis tere agli allenamenti e mi tra t tavano tu t te con gentilezza, come se fossi per ognu na u na sorella minore. Non mi ero mai senti ta sola, pri ma. Eppure loro sono con me. Lo so. Lu ngo il cammino ho incontra to alcu ni te mpli, piccole cappelle e santuari, ma, nemmeno u na volta, ho avver ti to il desiderio di fer-


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marmi a pregare per le ani me che por to con me. Non sono sali te nel Rakuen, non sono precipi ta te nel Profondo, ma non sono nemmeno in viaggio verso u na nuova esis tenza o blocca te come spiri ti nel Ryukoku. Sono qui, nelle i mpugna tu re dei loro pugnali. Che senso avrebbe pregare per ani me che sono ancora vive?


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Assassini a pagamento al servizio dell'Impero In un paese dall'amminis trazione centrale for temente gerarchizza at , alla quale si affianca un sis tema feudale complesso e ramifica to, è na tu rale che col tempo si siano cerca ti sis temi per aggirare la prima e favorire l'ascesa nella seconda. Nobili, funzionari e signori feudali hanno da sempre cerca to di contr ollare le mosse di avversari poli ti ci e nemici mili at ri e, all'occorrenza, di eliminare coloro che interferivano con i loro proge t ti.


Non sorprende, quindi, che al di fuori delle rigide gerarchie imperiali si sia crea to un microcosmo au tonomo e cela to ai più. Un mondo che vive nell'ombra e che ha fa tto della segre tezza la sua più alta vir tù, laddove fedeltà e onore non sono tenu te in considerazione at nto quanto tra i guerrieri dell'Impero. È il mondo dei Kage, dei “guerrieri ombra”, spie e assassini a pagamento che intervengono quando i mezzi leci ti dello scontr o poli ti co e mili at re, ma anche personale, falliscono o non possono arrivare.


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Kage La nasci ta dei Kage risale ai te mpi precedenti l'Impero. GiĂ pri ma della ba t ta glia tra l'esercito di Ningen e della Dea Solo e quello del Re Demone, i villaggi dispersi sul terri torio di quello che sarebbe divenu to lo Si-hai-pai avevano necessi tĂ di contr ollare le mosse dei loro nemici. Le dispu te per il terri torio, per lo sfru tta mento di u na miniera o per il contr ollo delle acque di u n fiume erano frequenti. Le ba t ta glie


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chiedevano spesso u n alti ssi mo prezzo in vi te umane e le alleanze non sempre erano rispe t ta te. Per ques to molti capi-villaggio si rivolgevano ai Kage, i pri mi guerrieri di professione dell'Impero. Es tranei alle dispu te tra clan, i Kage abi tavano (e abi tano tu t t'ora) le valli piÚ nascos te o le montagne piÚ i mpervie. I loro villaggi sorgono in luoghi nascos ti e difficilmente raggiu ngibili, la cui ubicazione è ri mas ta segre ta da secoli. Non avendo interessi dire t ti nelle lot te tra villaggi, essi offrivano i


proprio servigi di spie e assassini ai capi clan e si vendevano al miglior offerente. Il loro s tile di vi at e il loro ruolo nella socie tà non è mu at to dai tempi dei villaggi comba t tenti. In segui to alla formazione dell'Impero e alla sua organizzazione feudale, i Kage hanno semplicemente cambia to commi t tenza: laddove prima erano semplici capi villaggio a ordinare di contr ollare o eliminare un rivale, ora erano potenti signori a capo di vas te aree dell'Impero, nobili in lot at per ascendere a cor te o funzionari ambiziosi.


KIZU NO KUMA

Vivono ancora nascos ti nei recessi dell'Impero. Si mescolano alla popolazione, grazie alle spiccate doti di traves ti mento, solo per compiere le delica te missioni che vengono loro affida te. Sia i maschi che le femmine vengono is trui ti nell'ar te dello spionaggio, del comba t ti mento e dell'omicidio fin da bambini e molti di essi acquisiscono capaci tĂ ai li mi ti del sovranna tu rale. Vivendo in s tre t to conta t to con la na tu ra, sono in grado di riconoscere e in alcu ni casi anche dominare spiri ti e demoni, cui


a volte si legano per accrescere le loro capaci tà di “guerrieri ombra”. Del tu t to es tranei al contr ollo dei Draghi, essi offrono u na te mporanea fedeltà solo al commi t tente delle loro missioni. Sono di fa t to mercenari che si vendono al miglior offerente. Tu t at via, cos ti tuendo una socie tà chiusa e per certi aspe t ti arcaica, mantengono un senso di lealtà e rispe t to verso i membri del loro villaggio, del loro clan e della loro congregazione. I villaggi Kage, spesso ancora circonda ti da for tificazioni di le-


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gno e fossa ti, sono re t ti da un consiglio di anziani, cus todi anche dei segre ti che ogni villaggio sviluppa per compiere al meglio il proprio dovere, e sono in s tre t to conta t to l'uno con l'altr o, anche se non sempre in rappor to di amicizia. Oltre che nell'ar te del traves timento, sono abilissi mi anche in quella del nascondersi e della fuga. Comba t to no con armi diverse da quelle dei guerrieri regolari. Le lu nghe spade o le lance sono, infa t ti, poco ada t te alle missioni che vengono loro affida te, per cui prediligono armi a lama


cor ta o da lancio, in special modo pugnali di varie forme e di mensioni. Hanno u na profonda conoscenza dell'uso delle erbe e dei veleni, per ques to, nel tenta ti vo di inte grare la loro presenza nella complessa s tru t tu ra dell'Impero, alcu ne leggende li vorrebbero seguaci del Drago Verde.


I Kanabo di Gaiko Il kanabo è u na lu nga as ta ot ta gonale in me ta llo e legno che può essere usa ta solo da guerrieri molto for ti, per via del suo peso che la rende u n'arma a due mani poco pra ti ca, eppure dall'incredibile forza dis tru t tr ice.Shizumaru e Tomaru, i kanabo di Gaiko, sono armi par ti colari il cui peso può essere percepi to come piÚ leggero non solo con il duro addes tramento,


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ma anche armonizzando il proprio spiri to con essi, per quanto non conservino nessu na enti tĂ sovranna tu rale, come invece i ku nai di giada. Non sono solo armi, ma, con i loro nomi, sono pri ma di tu t to u n moni to per il guerriero che le i mpugna.

Il Kiken di Mai-mai Kiken è u n pugnale a u na sola lama, lu ngo circa 20 cm, con elsa di circa 10 cm, e con u na piccola guardia. Ăˆ u n'arma pre t ta mente da difesa che vie-


ne por ta ta alla cintu ra dentr o u n fodero di legno lacca to, si mile a quello delle spade.


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