Pagine da Metodologia della ricerca

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INTRODUZIONE ALLA RICERCA NELLE SCIENZE MOTORIE E SPORTIVE La ricerca consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò che nessuno ha pensato. (Albert Szent-Györgyi, 1893-1986)

La sola menzione della parola ricerca basterà ad evocare per ogni persona ed in ogni persona – un’immagine ed una visione assai peculiari e comunque differenti da qualsiasi altra, dipendendo ciò dall’ambiente e dal proprio particolare contesto di formazione e di vita. Si potrebbe, del resto, pensare ad una ricerca su internet o in biblioteca; un altro soggetto, invece, potrebbe visualizzare un laboratorio pieno di provette, di fiale e forse di piccole cavie bianche. è perciò davvero importante, allora, dal momento che stiamo iniziando un’avventura su questo tema (la ricerca), riuscire a definire una visione ed una comprensione comune del fenomeno ricerca. In questo capitolo, ci poniamo proprio l’obiettivo di introdurre il lettore alla natura della ricerca. Lo facciamo discutendo dei metodi di risoluzione dei problemi (la ricerca - comunque la si consideri e da qualsiasi punto la si osservi - fa sostanzialmente questo: risolve problemi che l’uomo preliminarmente si pone, NdC) ed i tipi di ricerca che si possono individuare. Proveremo a spiegare, perciò, anche il significato e la natura dell’intero processo di ricerca (la ricerca non è un fatto statico, ma un fenomeno estremamente dinamico, che si dipana nel tempo, NdC) e metteremo tutto ciò in relazione alle parti di cui si compone una tesi. Man mano che si avvicina alla fine del capitolo 1, il lettore dovrebbe essere in grado di comprendere ciò che la ricerca realmente implica, comporta.

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CAP 2. IDENTIFICARE IL PROBLEMA E USARE LA LETTERATURA 2.1 IDENTIFICARE IL PROBLEMA DELLA RICERCA Tra alcuni dei maggiori problemi che devono essere affrontati da uno studente laureato, il principale è l’identificazione del tema principale della ricerca. I problemi possono provenire dalla configurazione del mondo reale o essere generati dalle strutture teoriche. In ogni caso, un requisito basilare per proporre un problema per una buona ricerca è la conoscenza in profondità dell’area di interesse. Tuttavia esiste il rischio di peccare di presunzione e spesso non appena abbiamo acquisito informazioni riguardo al contenuto di un’area, ci sembra già di conoscerne ogni dettaglio. Quindi, benché si voglia diventare esperti, non bisogna focalizzare la propria attenzione su un ambito troppo limitato. Mettere in relazione la propria conoscenza con altre aree genera spesso intuizioni interessanti per la ricerca. Talvolta sembra ironico che si chieda agli studenti di iniziare a pensare ai possibili temi della loro ricerca durante il corso di metodologia della ricerca, poiché tipicamente questi prendono parte al corso nel primo semestre (o quarto) del corso di laurea, prima che abbiano quindi l’opportunità di acquisire una ricca conoscenza, necessaria per la comprensione della ricerca. Di conseguenza si rischia che molti dei temi scelti per la ricerca risultino banali, con una base teorica insufficiente e che siano una mera riproduzione di lavori precedenti. Nonostante questo sia un considerevole rischio, i vantaggi del seguire il corso di metodologia della ricerca durante la prima parte dei corsi di laurea sono sostanzialmente maggiori degli svantaggi e costituiscono un fattore di successo, poiché gli studenti apprendono: • ad approcciarsi ai problemi e a risolverli in modo scientifico; • a ricercare la letteratura; • a scrivere in maniera chiara, usando un linguaggio scientifico; • a comprendere le misurazioni basilari e i problemi statistici; • ad usare uno stile di scrittura appropriato; • ad essere un utente della ricerca intelligente; • ad apprezzare l’ampia varietà delle strategie di ricerca e delle tecniche disponibili in un’area di studio.

E poi, in che modo uno studente senza un solido background è in grado di selezionare un problema? Sembra infatti che all’aumentare dell’impegno nel pensare a un opportuno tema di ricerca corrisponda la tendenza a convincersi che tutti i problemi di quel settore siano già stati risolti. In aggiunta a questa frustrazione, si somma la questione del tempo che sfugge. Per assicurare il lettore che domande importanti stanno ancora attendendo di essere poste, viene fornita nel riquadro di questa pagina una lista di dieci domande stimolanti.

LINEE GUIDA PER TROVARE UN TEMA Per aiutare ad attenuare il problema della ricerca di un tema, vi offriamo i seguenti suggerimenti. Primo: essere informati sulle ricerche che sono state fatte all’interno del proprio istituto (dalla ricerca si producono altre idee per la ricerca).

TOP 10 DEI PROBLEMI CHE NON SONO STATI RISOLTI DALL’UMANITÁ

10. Esiste un giorno in cui i materassi non sono in saldo? 9. Se gli uomini si sono evoluti dalle scimmie, perché esistono ancora le scimmie? 8. Perché qualcuno ti crede quando dici che ci sono 4 miliardi di stelle, ma controlla quando gli dici che la vernice è fresca? 7. Perché non hai mai sentito barzellette sul suocero? 6. Se il nuoto fa così bene alla tua linea, come spieghi le balene? 5. Come sono entrate quelle formiche morte nei lampadari chiusi? 4. Perchè Superman blocca le pallottole con il suo petto, ma si scansa quando gli lanci un revolver? 3. Perché la gente ritorna costantemente al frigorifero con la speranza che qualcosa di nuovo da mangiare si sia materializzato? 2. Perché le banche addebitano la tassa sui “fondi insufficienti” quando sanno che non c’è abbastanza denaro sul conto?

...rullo di tamburo…

1. Perché Tarzan non ha la barba?

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PRESENTARE IL PROBLEMA

Non ho ancora letto il tuo progetto, ma ho già qualche grande idea per perfezionarlo

Randy Glasbergen (da “Today’s Cartoon” - 2006)

In una tesi, la prima sezione o capitolo serve ad introdurre il problema. Infatti, è spesso intitolata “Introduzione”. Il suo scopo è solo questo: presentare al lettore il problema che è stato studiato. Alcune sezioni all’interno dell’introduzione servono a trasmettere il significato del problema e anticipare il tema che verrà trattato nello studio. Questo capitolo discute ognuna delle sezioni abitualmente richieste nella prima parte di una tesi o dissertazione: • Titolo • Introduzione • Esposizione del problema • Ipotesi • Definizioni • Premesse e limitazioni • Significato (l’importanza dello studio)

Non tutti ritengono che questo sia l’unico impianto possibile per una tesi; infatti non ve n’è uno accettato universalmente. Inoltre, proprio per la natura stessa del problema della ricerca, esistono differenze tra tali strutture. Per esempio, uno studio storico non aderirebbe allo stesso format utilizzato da uno studio sperimentale e i titoli di queste sezioni dovrebbero differire tra studi descrittivi e qualitativi.

Qui di seguito sono presentate alcune sezioni che si trovano tipicamente nell’introduzione, ognuna con uno scopo e con caratteristiche specifiche.

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PARTE 1 Ricercatori competenti dovrebbero essere capaci di riprodurre lo studio dopo aver letto la sezione sul metodo.

CAP 4. FORMULARE IL METODO Lo scopo della sezione sul metodo è di spiegare come è stato condotto lo studio. La regola standard è che la descrizione dovrebbe essere abbastanza completa da permettere ad un ricercatore competente di poter riprodurre egli stesso lo studio. La scienza come noi la conosciamo oggi è nata dall’oscura tradizione del Medio Evo (per eempio rituali di stregoneria e religiosi).

Ma mentre streghe, preti e capi avevano sviluppato cappelli sempre più alti, gli scienziati produssero un metodo per determinare la validità dei loro risultati sperimentali: impararono a chiedersi: sono riproducibili? Ovvero può qualcuno, usando gli stessi materiali e metodi, ottenere gli stessi risultati? (Scherr, 1983, p. IX).

Per esempio, una sfera di ferro da 10 kg e una da 5 kg fatte cadere dall’Empire State Building da King Kong quarant’anni fa o da Arnold Schwarzenegger oggi toccherebbero il suolo simultaneamente in entrambi i casi.

4.1 COME PRESENTARE DETTAGLI METODOLOGICI Dissertazioni e tesi differiscono considerevolmente dagli articoli pubblicati nei dettagli metodologici forniti. In ogni modo, quando si usa il format della rivista, i materiali supplementari potrebbero essere posti in un’appendice. Le riviste cercano di risparmiare lo spazio (che, se in eccedenza, diventa un costo a carico dell’autore, NdC), ma lo spazio non è un problema in una tesi. Allora, mentre le tecniche standard in un articolo scientifico sono riferite solo ad altro studio già pubblicato (in una rivista facilmente ottenibile), una tesi dovrebbe fornire dettagli considerevolmente maggiori nell’appendice. Si noti che si è indicato che una tecnica potrebbe essere riferita ad una rivista facilmente rintracciabile. Quando si scrive per la pubblicazione, si deve usare buon senso a questo proposito. Si consideri per esempio questa citazione: Farke, F.R., Frankestein, C., & Frickenfack, F. (1921). Flexion of the feet by foot fetish feet feelers. Research Abnormal: Perception of Feet, 22, 1-26.

Partecipanti Individui che sono usati come soggetti nello studio. Nello stile APA, il termine partecipanti è usato al posto del termine soggetti.

Secondo la maggior parte degli standard, questa citazione non sarebbe considerata facilmente rintracciabile. Quindi, se si è in dubbio, fornire i dettagli dello studio o della tecnica. Inoltre, poiché le tesi e le dissertazioni possono contenere le appendici, molti dei dettagli che metterebbero in disordine ed estenderebbero oltre misura la sezione sul metodo dovrebbero essere raccolti in quella sezione. Gli esempi includono istruzioni esatte per i partecipanti, campioni di test e fogli di risposta, diagrammi e immagini delle apparecchiature e accordi relativi al consenso.

Fig. 4.1 – Relazione tra il rendimento scolastico e la misura delle scarpe in bambini delle classi I-V elementare.

4.2 PERCHÉ PIANIFICARE IL METODO È IMPORTANTE Lo scopo di pianificare il metodo è di eliminare delle alternative o delle ipotesi contrarie. Questo significa veramente che quando si progetta correttamente lo studio e i risultati sono come quelli previsti, l’unica spiegazione è data da ciò che si è fatto durante la ricerca. Usando un esempio precedente per illustrarlo, la nostra ipotesi è “Il numero di scarpe e il rendimento in matematica sono direttamente proporzionali nella scuola elementare”. Per verificare queste ipotesi, si va in una scuola elementare, si misurano i numeri di scarpe degli studenti e si rilevano i punteggi ottenuti dai bambini delle classi dalla prima alla quinta elementare durante i test di matematica standardizzati. Quando si traccia il grafico di questi punteggi, essi appaiono come nella figura 4.1, dove ogni puntino rappresenta un singolo bambino. L’asse delle x rappresenta il numero di scarpa, mentre l’asse delle y mostra il rendimento in matematica. “Guardate” - si dice - “è corretto (esiste una relazione lineare). All’aumentare del numero di scarpa, il rendimento in matematica dei bambini si accresce. Eureka! Tutto quello che è necessario fare è comprare ai bambini scarpe più grandi e le loro performance matematiche miglioreranno”. Ma fermi un attimo! Si

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CAP 5. ASPETTI ETICI NELLA RICERCA E NELLA CULTURA 5.1 SETTE AREE DI DISONESTà SCIENTIFICA The White House Office of Science and Technology Policy ha definito così la disonestà nella scienza1, con una definizione valida per tutta l’area e tutte le realtà scientifiche istituzionali e private degli Stati Uniti: “Per disonestà scientifica si intende la fabbricazione, la falsificazione o il plagio nelle proposte, nell’esecuzione, nella cosiddetta ricerca di revisione o anche nella divulgazione dei risultati di ricerca”2 (Federal Register, 14 ottobre 1999).

In questo paragrafo, si parlerà di questioni riguardanti le scorrettezze scientifiche (la disonestà scientifica) che sono generalmente pertinenti a tutte le aree accademiche dell’attività fisica3. Cerchiamo, inoltre, di fornire un elenco di riferimenti sulle scorrettezze scientifiche, così come alcune questioni e situazioni di onestà nella scienza. Shore (1991) ha potuto individuare ben sette aree in cui potrebbe verificarsi la disonestà scientifica, ognuna delle quali è brevemente discussa nel seguito, nelle rispettive sottosezioni. Un numero di Quest del 1993 (Thomas & Gill eds) comprende diversi stimolanti articoli sugli aspetti etici coinvolti nello studio dell’attività fisica. Anche il lavoro di JN. Drowatzky (1996) rappresenta una risorsa preziosa sul tema. Per un elenco recente di lavori sull’argomento della disonestà scientifica, si vada a www.files.chem.vt.edu/chem-ed/ethics/index.html. Aree possibili di disonestà scientifica 1 Plagio 2 Fabbricazione e falsificazione 3 Non pubblicazione dei dati 4 Procedure difettose di raccolta dei dati 5 Immagazzinamento e conservazione insufficienti dei dati raccolti 6 Paternità ingannevole 7 Regole di pubblicazione inaccettabili Plagio Plagio significa l’uso di idee, di concetti, di scritti o di disegni di altri come se fossero i propri; significa copiare, imbrogliare.

PLAGIO

Plagio significa, in buona sostanza, l’uso di idee, di scritti o di disegni di altri come se fossero i propri (dunque, un’appropriazione indebita, dunque un furto, dunque un uso del tutto improprio di materiali e di prodotti dell’ingegno altrui, NdC). Naturalmente, ciò è assolutamente inaccettabile nel processo di ricerca (incluso l’aspetto dello scrivere testi). Il plagio comporta gravi sanzioni in tutte le istituzioni. Un ricercatore che plagia sul lavoro porta un marchio disonorevole indelebile nella sua vita professionale. Nessun potenziale vantaggio può valere il correre un simile rischio. In alcune occasioni, uno studente laureato o un membro di facoltà possono inavvertitamente essere coinvolti nel plagio. Questo si verifica in genere a proposito di lavori che vengono scritti in collaborazione con altri autori. Se un autore si rende colpevole di plagio di materiale, anche l’altro autore potrebbe essere ugualmente punito, anche senza essere a conoscenza del plagio. Sebbene non vi sia alcun mezzo di protezione infallibile (ad eccezione della “misura precauzionale” di non lavorare con chicchessia!), 1. Il problema della scorrettezza in ambito scientifico è ampiamente dibattuto oggi e viene unanimemente definito come vera e propria disonestà scientifica (scientific dishonesty, scientific misconduct). Ma cosa è la disonestà scientifica? Si tratta di un accostamento (disonestà e scienza) stridente: come può la scienza, l’impegno e la fatica dello scienziato, teso a strappare qualcuno dei veli e dei misteri che cingono la vita, essere disonesta? è chiaro che – se se ne parla – è perché ciò è stato già possibile, già vi sono casi che hanno fatto scalpore. Casi di scienziati disonesti che hanno, in qualche modo, frodato, hanno inventato sì, ma nella maniera sbagliata, hanno inventato i dati ed hanno tratto da quelli conclusioni spacciate per buone. Ma da dati falsi per forza provengono conclusioni false (NdC). 2 “Scientific misconduct is fabrication, falsification, or plagiarism in proposing, performing, or reviewing research, or in reporting research results”. 3 Il ricercatore falsario imbroglia tutti, anche lo Stato, con i cui fondi spesso lavora ed opera. L’accenno agli Stati non è senza significato, dal momento che – anche se solo da poco tempo – gli Stati si stanno attrezzando, per far fronte a tale grave, immorale, problema di spacciare il falso per vero, con la conseguenza di danni assai gravi per la gente. Negli Stati Uniti è operativo, dal 1989, l’Office of Research Integrity, un ente per l’integrità della ricerca, che svolge un ruolo di sorveglianza e controllo delle ricerche effettuate, specialmente quelle finanziate con fondi federali, in molte università che ospitano ricercatori più e meno avveduti. La Danimarca si è dotata – per ora unica al mondo – di una struttura assai forte, l’Agenzia nazionale della disonestà scientifica, che svolge un vero e proprio lavoro di investigazione sull’attività svolta dai ricercatori, nei diversi campi. Dalla Norvegia e dal Giappone sono venuti segnali in tal senso (questi paesi vorrebbero costituire enti deputati al controllo dell’integrità della scienza), mentre la Gran Bretagna si è dotata di un ente ad hoc fin dal 2006 (un ufficio per l’integrità della ricerca). Non molto come si vede, ma il fatto che qualche Stato vi abbia provveduto lascia intendere la vastità e la gravità del fenomeno (NdC).

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Media Una misura statistica di tendenza centrale che è il punteggio medio di un gruppo di valutazioni.

Coefficiente di correlazione lineare di Pearson Il metodo usato più comunemente per calcolare la correlazione tra due variabili, detta anche correlazione interclasse, correlazione semplice o r di Pearson.

CAP 6. FAMILIARIZZARE CON CONCETTI STATISTICI 6.1 PERCHÉ ABBIAMO BISOGNO DELLA STATISTICA Ricordatevi sempre che durante il processo di ricerca, dall’idea iniziale alla formalizzazione, potete contare solamente sul vostro giudizio informato di scienziati; questo vale per l’aspetto statistico del vostro lavoro, così come per l’intero progetto (Cohen, 1990, 1310). La statistica è semplicemente un metodo per interpretare una raccolta di osservazioni. Per descrivere le caratteristiche dei dati e per valutare le relazioni tra gruppi diversi di dati vengono utilizzate tecniche statistiche differenti. Per esempio, se l’altezza e i risultati di una prova di salto in lungo sono misurate per ogni studente di una classe di seconda media, si possono sommare tutte le altezze e poi dividere il risultato per il numero di studenti. Il risultato (una statistica rappresentante l’altezza media) è la media, M=∑X/N, dove ∑ rappresenta l’operazione sommatoria, X=l’altezza di ogni singolo studente e N=numero di studenti; da leggersi “Sommatoria di tutte le variabili X divise per N”. La media M descrive l’altezza media della classe; si tratta di una singola caratteristica che descrive il campione di dati. Al fine di valutare la relazione tra due gruppi di dati, si potrebbe misurare il legame tra l’altezza ed i risultati della prova di salto in lungo, partendo dall’ipotesi che le persone più alte saltino una distanza maggiore. Tracciando un grafico dei risultati (fig. 6.1) è possibile osservare come le persone più alte effettivamente saltino più lontano. Tuttavia non si ha una perfetta corrispondenza dei dati; se così fosse, i punti del grafico inizierebbero nell’angolo più basso a sinistra e procederebbero in una linea diagonale verso l’angolo in alto a destra. Una misura del grado di associazione tra le due variabili è chiamata coefficiente di correlazione lineare di Pearson (noto anche come r di Pearson, correlazione interclasse o semplicemente correlazione). Quando due variabili non sono direttamente correlate l’una all’altra, la loro correlazione vale approssimativamente 0; nella figura 6.1 le due variabili (altezza-risultati della prova di salto in lungo) hanno una correlazione moderatamente positiva (per cui r sarà approssimativamente un valore tra 0,40 e 0,60). Relazioni e correlazioni sono descritte in maniera più approfondita nel capitolo 8, ma già fin da ora appare evidente come i ricercatori frequentemente cerchino di valutare il legame tra variabili diverse.

Fig. 6.1 – Rapporto tra altezza e salto in lungo.

test t Tecnica statistica per valutare le differenze tra due gruppi.

Al di là di tecniche descrittive e di correlazione, un terzo tipo di tecniche statistiche è utilizzato per misurare le differenze tra gruppi. Supponiamo che attività di potenziamento per gli arti inferiori siano un fattore decisivo per far aumentare la lunghezza del salto. Dividiamo la classe di seconda media in due gruppi, uno dei quali per otto settimane parteciperà a sessioni intensive di allenamento (con pesi) strutturato in modo da sviluppare la forza degli arti inferiori, mentre gli altri continueranno con un programma di attività fisiche varie. Dopo 8 settimane, vorremo sapere se la variabile indipendente (il tipo di allenamento) produca effettivamente un cambiamento nella variabile dipendente (i risultati della prova di salto in lungo). Per questo motivo, misureremo separatamente le performance dei due gruppi alla fine delle 8 settimane (periodo di trattamento) e paragoneremo i risultati medi (M) di ogni gruppo. In questo caso potrebbe essere impiegato il test t, una tecnica statistica utilizzata per stabilire differenze tra due gruppi indipendenti. Calcolando il valore t e comparandolo con il valore fornito da una tabella calcolata a priori, è possibile giudicare se i due gruppi siano significativamente differenti in rapporto alle loro prove di salto in lungo. I metodi per formalizzare le differenze tra i gruppi saranno approfonditi nel capitolo 9.

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PARTE 2 Probabilità Le probabilità che un determinato evento possa accadere. Eventi equiprobabili Un concetto di probabilità per il quale vi è la stessa possibilità che eventi diversi si verifichino.

Frequenza relativa Un concetto di probabilità che permette di confrontare che due o più eventi si realizzino.

Alfa (α) Un livello di probabilità (casualità) fissato dal ricercatore prima dello studio; a volte indicato come livello di significatività.

Errore di tipo I Un rifiuto della ipotesi nulla quando l'ipotesi nulla è vera.

Errore di tipo II Accettazione dell’ipotesi nulla quando l’ipotesi nulla è falsa. Tabella di verità Un grafico delle decisioni corrette ed errate riguardanti l’errore di tipo I e di tipo II.

CAP 7. QUESTIONI STATISTICHE NELLA PIANIFICAZIONE E VALUTAZIONE DI UNA RICERCA 7.1 PROBABILITà

La probabilità è un concetto statistico che cerca di quantificare la possibilità che un certo evento si avveri. La probabilità è utilizzata nella vita di tutti i giorni: ad esempio, se volete giocare a golf o a tennis, vi chiedete quante possibilità ci siano che piova. Durante le previsioni del tempo scoprite che al 90% delle possibilità pioverà. Questo significa che pioverà nel 90% dei luoghi o, più verosimilmente che al 90% delle possibilità pioverà nel luogo dove voi siete? Il concetto di probabilità legato alla statistica può anche essere chiamato “evento equiprobabile”: ad esempio, se lanciate un dado, avrete le stesse possibilità di ottenere qualsiasi numero tra 1 e 6 (1/6, sempre che non stiate giocando a “craps” a Las Vegas, in cui la giocata è pagata non in proporzione alla somma dei numeri usciti dal lancio dei dadi, ma dal rispetto di una serie di regole assai più complicate e inadatte ad un testo universitario…, NdC). Un altro concetto importante legato alla probabilità è la frequenza relativa. Supponiamo di lanciare in aria una moneta per cento volte; teoricamente vi potreste aspettare di ottenere 50 volte “testa” e 50 volte “croce”. La probabilità è ½ o 0,50 per entrambi gli eventi; tuttavia, quando metterete in pratica l’esperimento, è possibile che otteniate “testa” solo 48 volte (0,48): questa è una frequenza relativa. Ripetendo l’esperimento, potrete osservare come difficilmente otterrete 0,50, ma la frequenza relativa sarà sempre distribuita molto vicina a questo numero, che permette di confrontare che due o più eventi si realizzino. Per questo sarà lecito assumere 0,50 come valore di probabilità. In un test statistico si seleziona un campione da una popolazione di partecipanti e di eventi e si forniscono informazioni di probabilità per descrivere l’affidabilità del risultato statistico. Spesso si incontrano test statistici aventi in calce un’asserzione quale “p < 0,05”. Questo significa che si ritiene che la differenza o la relazione osservata abbia una probabilità minore del 5% di essere frutto del caso (quindi avrà la probabilità del 95% di essere legata ad uno o più dei parametri/variabili che state studiando, NdC).

ALFA Nell’ambito della ricerca, il test statistico è messo a confronto con una tabella di probabilità ad hoc, che fornisce informazioni sul grado di casualità. Lo sperimentatore può stabilire un grado di casualità accettabile (chiamato alfa, α) a priori, prima che la ricerca cominci. Il grado di casualità può variare da alto a basso, ma non può mai essere eliminato. Per ogni studio dato, la probabilità che i risultati siano dovuti al caso esiste sempre o, citando la HO vero HO falso Regola di Holten, “l’unico momento in cui si può essere certi, è quando si è certi di aver sbagliato” Accettazione Decisione corretta Errore di tipo II (β) (da Arthur Bloch, “Il terzo libro di Murphy”, LonRifiuto Decisione corretta Errore di tipo I (α) ganesi, 1993, NdC). In ricerche comportamentali, solitamente si asFigura 7.1 – Tabella di verità per l’ipotesi nulla (H0). sume che alfa sia 0,05 o 0,01 (le probabilità che i risultati siano frutto di casualità sono 5 su 100 o 1 su 100). Non si tratta di numeri magici, ma semplicemente sono numeri che controllano l’errore di tipo I. Ci sono due tipi di errori che possono capitare in uno studio: si definisce di tipo I l’errore che si commette rifiutando l’ipotesi nulla quando essa è vera nella realtà. Un esempio si verifica quando un ricercatore conclude che vi sia una differenza tra due metodi di allenamento, quando in realtà non ve n’è alcuna. Si definisce di tipo II l’errore che si commette non rifiutando l’ipotesi nulla quando in realtà essa è falsa. Ad esempio quando un ricercatore conclude che non vi sia alcuna differenza tra due metodi di allenamento, mentre invece c’è. La figura 7.1 è detta “Tabella di verità” e mostra entrambi i tipi di errore. Come potete vedere, è corretto accettare un’ipotesi nulla vera o rigettare un’ipotesi nulla falsa. Il modo per controllare gli errori di tipo I è utilizzare alfa. Se assumiamo α=0,05, allora su 100 esperimenti sarà rigettato solamente 5 volte. Sebbene l’errore costituisca sempre una possibilità, lo studioso ha preso in considerazione l’ipotesi stabilendo un valore α a priori. In un certo senso è come dire: assumendo che per forza ci debba essere un errore, che tipo di errore si accetta di commettere? Il valore di α riflette il tipo di errore che siamo disposti ad accettare. In altre parole, cos’è più importante tra evitare di giungere alla conclusione che un metodo di allenamento sia più efficace di un altro quando in realtà non lo è (tipo I) o evitare di concludere che due metodi di allenamento siano equivalenti, quando in realtà non lo sono (tipo II)? Ad esempio, in uno studio sull’effetto di un determinato farmaco per la cura del cancro, se esiste una possibilità che la sostanza in questione possa essere efficace, il ricercatore non vorrà accettare a priori l’ipotesi nulla, corrispondente all’assenza di effetti. Così, il ricercatore assumerà α=0,30, sebbene le probabilità di compiere errori di tipo I saranno maggiori; il suo scopo è quello di dare al farmaco il maggior numero di possibilità di provare la sua efficacia. D’altro canto, utilizzare una α molto bassa, ad esempio α=0,001, diminuisce drasticamente la possibilità di compiere errori di tipo I e conseguentemente rende difficile individuare le reali differenze (errore di tipo II). Non esiste una regola precisa per definire α, ma solitamente valori compresi tra 0,05 e 0,01 sono ampiamente considerati validi dalla comunità scientifica. Se decidete di accrescere o diminuire α, dovrete

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PARTE 2

Step test Test utilizzato per misurazioni dell’efficienza cardiorespiratoria. Comporta la misurazione della frequenza cardiaca dopo essere saliti e discesi da una panca più volte.

CAP 8. RELAZIONI TRA VARIABILI 8.1 CHE COSA INVESTIGA LA RICERCA BASATA SULLA CORRELAZIONE? Spesso un ricercatore è interessato al “grado di relazione”, o correlazione, tra performance, come per esempio la relazione tra le performance in una prova di mezzofondo e nello step test, in quanto entrambe ci offrono un’indicazione dell’efficienza cardiovascolare. Talvolta, un ricercatore desidera stabilire la relazione tra caratteristiche e comportamento, ad esempio se le caratteristiche fisiche di un individuo siano legate alla sua tendenza a partecipare ad attività ricreative ad alto rischio. Altri problemi nella ricerca correlazionale possono coinvolgere la relazione tra due misure antropometriche, come le pliche cutanee e la percentuale di grasso determinata attraverso una misura in acqua. In questo caso il ricercatore potrebbe voler prevedere la percentuale di grasso dalla misura delle pliche cutanee. La correlazione può coinvolgere due variabili, come la relazione tra l’altezza ed il peso, ma può anche coinvolgere tre o più variabili, nel caso si voglia indagare la relazione tra un criterio (variabile dipendente), come ad esempio l’efficienza cardiovascolare, e due o più variabili di previsione (variabili indipendenti), quali il peso, la percentuale di grasso, la velocità, la resistenza muscolare, ecc. Questo è un esempio di correlazione multipla. Un’altra tecnica, la correlazione canonica, stabilisce la relazione tra due o più variabili dipendenti e due o più variabili indipendenti. L’analisi fattoriale usa correlazioni tra un numero n di variabili nel tentativo di identificare le relazioni o fattori fondamentali. Infine il modello strutturale fornisce le prove di come alcune variabili possano direttamente o indirettamente influenzarne altre.

8.2 COMPRENDERE LA NATURA DELLA CORRELAZIONE Coefficiente di correlazione Un valore quantitativo della relazione tra due o più variabili, che va da 0,00 a 1,00 in entrambe le direzioni: positiva e negativa.

Il coefficiente di correlazione è un valore quantitativo che rappresenta la relazione tra due o più variabili. Il coefficiente di correlazione varia tra 0,00 e 1,00 sia in positivo sia in negativo. Dunque, la correlazione perfetta è 1,00 (sia + 1,00 che -1,00), mentre l’assenza di relazione è 0,00 (si veda sotto per esempi di correlazione perfetta e di non correlazione).

CORRELAZIONE: PERFETTA E NON-COSÌ-PERFETTA

Famosi aforismi anonimi in merito alla correlazione perfetta (r=1,00) Fumare uccide. Se vieni ucciso, perdi una parte molto importante della tua vita. Tradizionalmente, la maggior parte dei beni importati dall’Australia proviene d’oltremare. Essere superstiziosi porta sfortuna. Le cose ora sono più simili a come sono adesso di com’erano prima. La polizia non serve a creare disordine, ma a mantenere disordine (il verbo inglese to reserve può essere tradotto sia come mantenere sia come proteggere). Internet è un buon metodo per essere in rete. Il Presidente ha mantenuto tutte le promesse che intendeva mantenere. La Cina è un grande stato abitato da tanti cinesi. Quel cialtrone di bassa lega merita di essere preso a calci fino alla morte da un asino ed io sono quello che lo farà. È come un continuo déjà-vu. La perdita della vita sarà insostituibile.

Affermazioni di studenti non correlate al processo d’insegnamento Talvolta gli studenti scrivono cose interessanti nei questionari di valutazione del nostro corso di valutazione dei metodi di ricerca. Vi forniamo alcuni esempi in cui le affermazioni raccolte non avevano nulla a che vedere con il processo d’insegnamento (r=0,00).

1. Questo corso per me è stato un’esperienza religiosa. L’ho dovuto basare tutto sulla fede. 2. Il testo produce un suono soddisfacente quando lo sbatto sul pavimento. 3. Vi siete mai addormentati durante un corso e svegliati durante un altro? 4. Aiuto! Mi sono addormentato e non riesco a svegliarmi! 5. Il professore spiega alla velocità di Speedy Gonzales drogato di caffeina. 6. Sto imparando per osmosi, dormo con la testa sul libro. 7. Questo corso è un buon anti-stress – mi ha talmente confuso che mi ha fatto dimenticare chi ero. 8. Questo corso mi ha tenuto fuori dai casini ogni martedì e giovedì dalle due e mezza alle quattro del pomeriggio.

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PARTE 2

La statistica può solo valutare il contributo delle variabili indipendenti che si riversa nell'effetto del trattamento, ma non può determinare le cause di tali effetti.

R quadro (R2) Un metodo per interpretare la significatività del grado di relazione tra la variabile indipendente e la variabile dipendente; ovvero una frazione della varianza totale, debitamente contratta dai trattamenti.

Per stabilire se due gruppi sono significativamente differenti, è importante ricordare due parametri fondamentali: la stima del grado di differenza fra la variabile dipendente e quella indipendente e la misura della differenza tra i gruppi.

CAP 9. DIFFERENZE FRA GRUPPI 9.1 QUANTO LA STATISTICA RIESCE A VALUTARE LE DIFFERENZE Nella ricerca sperimentale, i valori delle variabili indipendenti sono stabiliti a priori dallo sperimentatore. Si prenda ad esempio l’indagine sugli effetti dell’intensità di allenamento sulla resistenza cardiorespiratoria: posta l’intensità di allenamento come variabile indipendente (o trattamento), la resistenza cardiorespiratoria diventa la variabile dipendente. L’intensità di allenamento può essere strutturata a livelli e questi definiti in numerosità e valori in modo arbitrario come, per esempio, frazioni percentuali del massimo consumo di ossigeno (VO2max) del tipo 30%, 40%, 50%. Si consideri ora il semplice caso in cui due gruppi di soggetti si sottopongono a 12 settimane di un protocollo sperimentale, composto da 3 sedute settimanali di allenamento della durata di 30 minuti ciascuna, con un’intensità di allenamento di 40% e 70% del VO2max, rispettivamente per il primo e il secondo gruppo (variabile indipendente a due livelli). Lo scopo dell’esperimento è valutare la variazione della distanza percorsa in 12 minuti di corsa prima e dopo il protocollo (variabile dipendente). L’obiettivo intrinseco del test statistico è quello di valutare l’ipotesi nulla a uno specifico livello di significatività di verifica (per esempio p < 0,05), cioè se i due tipi di trattamento differiscono tra loro in modo significativo (p < 0,05) e se le differenze tra i trattamenti sono attribuite alla casualità 5 volte su 100. Il test statistico è effettuato sempre sull’ipotesi nulla. La soluzione del test può accettare o rifiutare l’ipotesi nulla, ma non può confermare la tesi della ricerca. Solo il ragionamento logico, un dettagliato progetto sperimentale e una profonda conoscenza della teoria che sta alla base del fenomeno da indagare possono supportare la tesi della ricerca. Con la statistica si possono solo rilevare le differenze tra gruppi di campioni, ma non i motivi di tali differenze. Dopo aver trovato le differenze significative, se si decide di utilizzare la logica concettuale per formulare le inferenze che legano le cause con gli effetti, bisogna considerare proprio tutte le combinazioni possibili e verificabili del caso. Per esempio, osservando che i primi numeri interi dispari 1, 3, 5 e 7 sono divisibili per uno e per se stessi e utilizzando un ragionamento induttivo, è logico formulare la teoria che tutti i numeri dispari sono numeri primi (da Ronen et al., citato in Scherr 1983), ovvero divisibili solo per 1 e per se stessi. Tale dicotomia proposta da Ronen et al. dimostra come l’osservazione di alcuni campioni della variabile indipendente può indurre a un’inferenza errata, se trasmessa a tutti i livelli della variabile indipendente (difatti 9, il numero dispari successivo al 7, non è un numero primo, NdC). Utilizzare le tecniche statistiche per rilevare le differenze tra due gruppi, non solo determina il grado di differenza tra i gruppi, ma anche la significatività dell’inferenza tra variabili e la potenza del legame che unisce la variabile dipendente a quella indipendente. In questo capitolo verranno descritte le funzioni t e distribuzione F per valutare la significatività dell’inferenza tra i gruppi e l’effect size (ES) o potenza dell’effetto, per valutare la potenza del legame che unisce la variabile dipendente a quella indipendente (per maggiori dettagli, si rimanda al capitolo 7). Nelle tecniche ANOVA, anche il coefficiente di determinazione lineare (R2) è impiegato per stimare il grado di differenza fra la variabile dipendente e quella indipendente. In termini tecnici, l’R2 è una percentuale della varianza della variabile dipendente spiegata dalla variabile indipendente. L’uso delle funzioni statistiche t e di distribuzione F presentate in questo capitolo richiede l’assunzione di quattro corollari, in aggiunta a quelli delle tecniche statistiche parametriche presentate nel capitolo 6 (Kirk, 1982, è un buon testo da consultare per maggiori informazioni): • • • •

Le osservazioni sono prelevate da una popolazione con distribuzione normale. Le osservazioni rappresentano un campione casuale della popolazione. Il numeratore e il denominatore di t e F sono stimati dalla stessa varianza di popolazione. Il numeratore e il denominatore di t e F sono indipendenti.

Benché le funzioni t e F siano abbastanza robuste da essere poco influenzate dalla violazione delle quattro suddette regole, è bene non infrangerle per evitare di ridurre troppo il grado di probabilità espresso dal loro utilizzo.

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PARTE 2

CAP 10. TECNICHE NON PARAMETRICHE

Nel capitolo 6 si è provveduto a fornire una serie di procedure per verificare la normalità dei dati, per poi essere in grado di scegliere la tipologia di test più idonea, tra parametrica o non parametrica. Tra queste sono state esposte anche quelle procedure che descrivono la conformità dei dati alla gaussiana per mezzo di rappresentazioni grafiche a istogrammi, di distribuzione tabellare delle occorrenze (detta stem-and-leaf) e di indici come la skewness (coefficiente di simmetria della curva rispetto alla media, NdC) e la kurtosis (coefficiente di ampiezza dell'intervallo di confidenza della curva, NdC). Tuttavia, non è per niente facile decidere se i dati posseggono o no caratteristiche di normalità (Thomas, Nelson, & Thomas, 1999). Nella ricerca scientifica, si riscontrano numerose occasioni in cui i dati sono presentati senza rispettare l'assunto della normalità. Micceri (1989), per esempio, giustifica la tendenza all'uso del trattamento statistico non parametrico dei dati trattati in psicologia e pedagogia, Quanto normali dobbiamo essere? poiché in questi ambiti si verificano situazioni il più delle volte non normali. Ad ogni modo, quando i ricercatori si imbattono in dati che rappresentano indici di frequenza campionaria o ranghi e che non hanno caratteristiche gaussiane, possono obiettivamente applicare test non parametrici. In questo capitolo verranno presentati due tipi di analisi statistiche non parametriche. La prima è il chi quadro, utilizzato per l’analisi della frequenza campionaria dei dati categoriali, cioè in quei casi nei quali si vuole rispondere a domande come: • C'è differenza tra la condizione fisica generale delle ragazze rispetto a quella dei ragazzi? • C'è differenza tra il grado di preparazione fisica degli sportivi agonisti, rispetto ai non agonisti, per classi di età inferiori ai 30 anni? • A che livello di qualità atletiche le donne agoniste si presentano nelle competizioni di nuoto, di corsa, e di ciclismo?

La seconda tecnica statistica non parametrica presentata in questo capitolo è una procedura standard che permette di analizzare l'ordine dei dati, quando la posizione dei dati in un insieme ordinato (il rango) non ha caratteristiche di normalità. Per utilizzare le tecniche statistiche basate sul modello lineare generale (GLM, general linear model), descritte nei capitoli 8 e 9, i dati devono essere rappresentati da una distribuzione normale e devono potersi relazionare tramite una combinazione lineare, cioè una retta. Esempi di dati che non assumono caratteristiche di distribuzione normale sono i seguenti: • Gli esiti dei questionari che richiedono di rispondere su scale composte a livelli, del tipo 1 - totalmente in accordo, 2 - abbastanza in accordo, 3 - non so, 4 - in disaccordo, 5 - totalmente in disaccordo, possono essere valutati su una scala ordinata di ranghi che va da un valor minimo 1 (totalmente in accordo) a un valor massimo 5 (totalmente in disaccordo). • I dati di tempo, velocità, accelerazione e numero di eventi (per esempio, il numero di piegamenti sulle braccia che si riescono a compiere in una prova ad esaurimento).

In queste circostanze, l'uso di correlazioni parametriche e di procedure di ANOVA (includendo anche il test t) risultano inappropriate, poiché i valori raccolti nelle tabelle utilizzate per ricavare r, t ed F, estratti da gaussiane normali, non rappresentano un modello di criticità idoneo alla comparazione dei dati. In questo capitolo verranno presentate una serie di tecniche statistiche per dati ordinati per ranghi, che vogliono rappresentare le corrispettive delle procedure parametriche di correlazione lineare e di ANOVA (incluso il test t). I concetti matematici che sono alla base di tali tecniche non parametriche sono gli stessi presentati nei capitoli 8 e 9. Gli algoritmi che utilizzano gli applicativi informatici di statistica, per analizzare la disposizione per ranghi dei dati (SPSS, SAS, R, ecc…), non adoperano le tavole di r, t ed F, ma un nuovo parametro statistico (chiamato L), che viene confrontato coi valori critici raccolti nella tabella del chi quadro, realizzata in assenza delle condizioni di normalità gaussiana.

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PARTE 2

Validità Quanto uno strumento di misura o un test sia in grado di stimare una variabile. Può essere classificata come logica, di contenuto, di criterio o di costrutto. Validità logica Quanto una misura sia in relazione con la grandezza che si vuole indagare. è anche detta validità di immagine o di facciata.

Validità di contenuto Quanto un test (di solito in un contesto pedagogico) rilevi effettivamente i parametri che si era presupposto indagare. Validità di criterio Quanto i valori ottenuti da un test siano in relazione con un criterio di riferimento.

Validità di costrutto Quanto un test sia in grado di predire un ipotetico costrutto; di solito in relazione a un andamento noto dei dati. Validità di facciata Un modo alternativo di definire la validità logica. Equilibrio posturale statico La capacità di rimanere in posizione stazionaria.

CAP 11. VALIDARE LE VARIABILI SPERIMENTALI 11.1 VALIDITà I risultati delle analisi sperimentali dipendono direttamente dalla validità della raccolta dei dati. Per esempio, se si vogliono comparare gli sviluppi di forza muscolare determinati da diversi metodi di allenamento, si deve rilevare "quella" valida misura che sia in grado di confrontare tra loro le differenti efficacie dei metodi. La validità della misura è per l'appunto un indice di qualità dell'interpretazione dei dati ricavati dalle misure. Ovvero, col termine validità ci si vuole riferire alla bontà della corrispondenza tra il dato ricavato dal test e la variabile da misurare. Questa asserzione è la più importante considerazione nel campo delle misure sperimentali. Se per differenti obiettivi di ricerca ci sono differenti tipologie di misure, allora per differenti tipologie di misure ci saranno differenti tipi di validità. Qui verranno considerate quattro tipologie di validità: validità logica (apparente, di immagine o di facciata), di contenuto (interna o attributiva), di criterio (esterna o contestuale) e di costrutto (o strumentale). Sebbene la validità logica qui verrà studiata come una tipologia a parte, è bene precisare che l'Associazione Americana di Psicologia (American Psychological Association) e l'Associazione Americana di Ricerca Pedagogica e Psicologia dello Sviluppo (American Educational Research Association) la considerano invece come un caso particolare di validità contestuale.

VALIDITà LOGICA

La validità logica (o apparente), definita anche validità di facciata o di immagine (anche se agli esperti di misure non piacciono questi termini), mette in relazione ciò che si sta effettivamente misurando con quello che si vorrebbe misurare. In altre parole, è la parte di validità che il test acquisisce al momento della sua ideazione (in inglese, questo tipo di validità è descritta col termine di logical validity, poiché vuole intendere la logica che sta alla base dell'associazione tra fenomeno da indagare e costruzione del test, NdC). Per esempio, posseggono validità apparente test come quelli per la valutazione dell'equilibrio posturale statico monopodale (il test si dice statico per intendere un movimento molto piccolo, ma il soggetto si muove! NdC), o della rapidità d'azione, cronometrando la corsa per distanze definite (il tempo misurato è quello di tutto il percorso e non di ogni singolo movimento! NdC). Anche se ci si può avvalere della validità logica per confermare certi tipi di studi sperimentali, i ricercatori preferiscono attenersi comunque a criteri di validità di misura più oggettivi.

VALIDITà DI CONTENUTO

La validità di contenuto (o attributiva) è più pertinente al campo della ricerca pedagogica di carattere osservativo. Questo tipo di validità si riscontra quando tutte le fasi del test rilevano esattamente ciò che si è pensato di misurare. Così come la validità logica precedentemente descritta, anche questa tipologia di validità non può essere valutata tramite un'evidenza statistica. In fase progettuale dei test, la validità di contenuto potrebbe essere valutata attraverso alcune tavole delle specifiche del test (chiamate in inglese blueprint, derivate dai fogli blu dei progetti dei cicli di lavorazione meccanica, NdC) composte da una serie di istanze che descrivono l'associazione tra l'obiettivo di ogni fase del test e i dati rilevati. Un secondo modo di intendere la validità attributiva è pertinente ai test attitudinali. Spesso i ricercatori vogliono verificare se un questionario che hanno compilato rileva effettivamente la caratteristica comportamentale per la quale esso è stato formulato. In tal caso, viene interpellato un gruppo di esperti (20 o più) che ha il compito di giudicare l'attinenza delle domande al comportamento da studiare. Un'approvazione pari all'80-85% da parte della commissione istituita può confermare la relazione tra il test formulato e la caratteristica attitudinale osservata.

VALIDITà DI CRITERIO

Le misure effettuate negli studi sperimentali sono spesso validate rispetto ad alcuni criteri di riferimento. Dalle caratteristiche del criterio di riferimento, si distinguono due tipi di validità di criterio: la validità concorrente e la validità predittiva. Validità concorrente Tipo di validità di criterio che identifica il grado di correlazione tra lo strumento di misura e un criterio che concorre contestualmente al fenomeno che si vuole indagare.

Validità concorrente La validità concorrente è un tipo di validità di criterio che correla uno strumento a una variabile (criterio) che "concorre" contestualmente al fenomeno che si vuole indagare. Le misure di molte prestazioni fisiche sono validate in questo modo. I criteri di misura più comuni sono rappresentati da una misura campione già convalidata e convenzionalmente accettata, come una scala di giudizio o una tecnica di laboratorio (il cosiddetto gold standard, NdC). La validità concorrente è spesso richiesta quando si vuole sostituire una difficile e costosa tecnica di misurazione con una più semplice ed economica.

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PARTE 3

Paradigma Insieme di assunzioni di uno studioso relativamente al mondo (passato e presente), alle definizioni di teoria e ai dati e possibili domande che possono essere poste.

CAP 12. RICERCA STORICA IN AMBITO MOTORIO 12.1 PARADIGMI DI RICERCA La buona storia e la buona scienza condividono un’altra caratteristica: un paradigma significativo, una valida architettura e struttura. Un paradigma si può definire come un congegno intellettivo che contiene il pensiero e le assunzioni dello studioso sul mondo, sul passato e sull’evidenza; le sue concezioni o definizioni di teoria e di dati; e le domande che egli si pone e pone, per darvi o cercarne la risposta. Un paradigma opera, in termini assai semplici, come la cornice di una fotografia. Essa contiene e modella particolari elementi ed è di guida per il ricercatore. Egli separa anche i propri pensieri, assunzioni, teorie e punti di vista da altri pensieri, assunzioni, teorie e punti di vista che potremmo definire alternativi. Uno storico che aderisce a un particolare paradigma non si porrà e non porrà le stesse domande di un altro studioso che aderisce invece a un altro paradigma (o cornice o prospettiva o scuola di pensiero), né questi due tipi di storici racconteranno alla fine la medesima “storia”1. Quando si legge la letteratura di ricerca oggigiorno è indubbio che si osservino, che ci si imbatta in numerosi paradigmi. Una iniziale cornice attinse dalla teoria della modernizzazione e fu efficacemente impiegata da Allen Guttmann in quello che è divenuto un suo classico, “Dal rituale al record. La natura dello sport moderno”2. Il paradigma della modernizzazione, che potrebbe anche essere definito come una teoria e conserva una sua componente predittiva, sostiene che “incrementi progressivi della produttività pro capite pongono [anche] nel movimento” un’intera serie di cambiamenti che sono comuni a una gamma di istituzioni e attività umane3. Dopo aver definito le caratteristiche dello sport moderno, Guttmann procedette a ritrovare, a individuare l’evidenza di tali caratteristiche in testimonianze (in dati, in evidenze) della metà del diciannovesimo secolo. Poi, per spiegare come e perché queste particolari forme di sport erano emerse così come avvenne nel XIX secolo, esaminò processi e cambiamenti nelle città dove gli sport moderni si affermarono e trovò evidenze di crescita della produttività come descritto dalla “cornice” della modernizzazione (o teoria). Alla fine egli desunse che l’esistenza nel tempo di particolari fattori di guida di carattere economico (le crescite pro capite) e l’emergere di sport moderni non fosse casuale, rispondendo la prima dell’apparizione della seconda. Specialmente nell’ultimo decennio, il paradigma della modernizzazione ha cessato di essere così popolare e intellettualmente produttivo come era stato in passato. In parte, ciò è dovuto al fatto che gli storici dello sport hanno trovato evidenze di cose che la teoria della modernizzazione o cornice della modernizzazione non considera né spiega. Per esempio, una delle caratteristiche dello sport moderno - la specializzazione - apparve prima di quanto lo stesso Guttmann non riconobbe, ovvero nella metà del XVIII secolo4. Di conseguenza, gli storici dello sport si sono allontanati dalla cornice della modernizzazione, orientandosi verso altre cornici (e altri paradigmi, NdC).

Un secondo paradigma in grado di influenzare notevolmente scelte e orientamenti deriva dalle tradizioni storiche sociali e culturali britanniche ed europee. Anche se manca di un titolo semplice, questa cornice può essere ben compresa come paradigma dell’agire e dell’azione umana (human agency), dal momento che eleva la gente, le persone, gli esseri umani allo stato di creatori della loro storia, piuttosto che vedere e considerare l’uomo in maniera più reattiva (alle condizioni ambientali complessive) come fa invece la teoria della modernizzazione. Un primo significativo lavoro in questo filone è apparso negli Stati Uniti ed è rappresentato da The Manly Art: Bare-Knuckle Prize Fighting in America (la Bare-Knuckle Prize Fighting è una forma originale di boxe, che si rifà ad antiche tradizioni di lotta; Manly Art è l’arte virile della particolare forma di lotta, NdC) di Elliott Gorn, che suggeriva che forme tradizionali di Bare-Knuckle Prize Fighting esprimevano i valori e le relazioni degli operai nella città di New York e che questo sport costituiva una delle poche occasioni di poter esercitare la loro capacità di agire, di azione5. Negli ultimi 15 anni, numerosi storici hanno ridisegnato e messo a fuoco questo più ampio paradigma, con la conseguenza che attualmente vi sono diversi paradigmi cosiddetti delle diramazioni del paradigma dell’azione umana (offshoot paradigm), che enfatizzano l’azione creativa umana e i processi sociali. Questi ultimi includono un’egemonia culturale e sociale, o costruttivismo culturale, e devono molto agli ambiti di studi culturali nati in Gran Bretagna6. Molta parte della recente conoscenza sullo sport specie in relazione al genere o alle razze, sulle esperienze storicamente documentate di donne e di persone di colore, sull’egemonia istituzionale, sulla contestualizzazione culturale e sociale di sport e tempo libero utilizza proprio questi paradigmi7. Fin dagli anni ’90 del secolo scorso, un’altra cornice di ideazione europea ha pervaso la conoscenza della storia dello sport, negli Stati Uniti (e anche altrove, NdC): il post-modernismo. Alcuni studiosi nordamericani di ricerche di sport hanno adottato tutti i principi del post-modernismo o della sua sorgente linguistica, il post-strutturalismo. Post-modernismo e post-strutturalismo si sono sviluppati nella seconda metà del XX secolo, hanno contribuito a definire un vero e proprio ampio e qualificato catalogo di studiosi come Roland Barthes, Pierre Bourdieu, Jacques Derrida, Frederic Jameson e Michel Foucault. Con il rischio di una iper-riduzione, il post-strutturalismo (spesso definito come il “metodo”) e il post-modernismo (l’estetica) ri-

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PARTE 3

CAP 13. RICERCA FILOSOFICA NELL’ATTIVITÀ MOTORIA Le ragioni di questo accresciuto interesse sono legate ai propositi della filosofia e al crescente riconoscimento delle potenziali relazioni complementari tra la ricerca filosofica e gli studi empirici. Tuttavia, la maniera migliore per apprezzare la natura insostituibile della filosofia e il suo ruolo potenzialmente significativo nell’influenzare la vita degli uomini è quella di farsi coinvolgere in essa, di sperimentare il pensiero filosofico e di entrare in un dibattito filosofico. Di conseguenza, questo capitolo include un esame dei propositi della ricerca filosofica e rivolge l’attenzione a similarità e differenze tra filosofia, ricerca qualitativa e scienza. Tale discussione sarà seguita dalla descrizione di 4 approcci generali alla ricerca filosofica e dalla breve analisi dei punti forti e di quelli deboli di ciascuno dei quattro metodi descritti. Questo materiale preliminare è stato predisposto per abilitare il lettore alla lettura di un articolo di Gardner (1989) e per partecipare al dibattito contemporaneo sull’etica sportiva che è presentato nella sezione “Per verificare il livello di comprensione del capitolo”, alla fine di questo stesso capitolo.

13.1 IDENTIFICAZIONE DEI PROPOSITI DELLA RICERCA FILOSOFICA Un obiettivo fondamentale della filosofia è quello di esaminare la realtà utilizzando procedure riflessive, non l’armamentario, non gli arnesi empirici della scienza. Di conseguenza, filosofi e scienziati differiscono non tanto per ciò che osservano, quanto piuttosto per come studiano ciò che osservano. Entrambi questi tipi di ricercatori sono interessati, per esempio, alla comprensione dell’esercizio fisico. Gli scienziati empirici, tuttavia, affrontano questo fenomeno utilizzando microscopi per indagare parti come il tessuto muscolare, raccogliendo dati respiratori o pressioni del sangue e impiegando procedure statistiche per determinare la forza (i punti forti) di possibili relazioni causali. I filosofi, d’altra parte, riflettono sull’esercizio fisico e utilizzano concetti come idee e ideali, significati, esperienza vissuta, valori, relazioni logiche e ragioni per tentare di fare luce sul fenomeno (appunto dell’esercizio). L’approccio peculiare consente ai filosofi di rispondere a domande cui le metodologie empiriche non possono fornire risposta. Per esempio, dopo che i dati sull’esercizio sono stati raccolti e analizzati da chimici, fisiologi, sociologi, psicologi e storici, resta aperta la questione, assolutamente cruciale, dei significati umani e dei valori associati al fenomeno. Perché ci si dovrebbe dedicare all’esercizio fisico? Per vivere più a lungo? Per vivere meglio? Per entrambi questi scopi? Se sì, se cioè per entrambi, qual è più importante, la presenza di più vita per se stessi, oppure l’esistenza di una certa qualità di vita? Su quali criteri dovremmo basarci per determinare la qualità della vita? Potrebbe essere la libertà, il potere, la ricchezza, la novità, l’amore, la conoscenza, la sicurezza, l’avventura? Altro ancora? La ricerca dei filosofi è necessaria non perché le metodologie empiriche siano inefficaci, ma perché esse sono, per loro stesse, incomplete. Per esempio, è stata a lungo una speranza della scienza quella di scoprire i vari meccanismi che governano i processi naturali e il comportamento dell’uomo. Se questo potesse essere fatto, futuri eventi e comportamento potrebbero essere previsti e alcuni di essi potrebbero essere anche controllati. Progressi considerevoli sono stati fatti lungo queste direttrici. Nel regno dell’esercizio, una migliore comprensione empirica di vari meccanismi fisiologici, collegata con informazioni più sofisticate sull’esercizio in quanto stressor fisiologico, ci ha molto aiutato a prevedere e a controllare i risultati e gli effetti visibili di uno stile di vita attivo. Ma l’esercizio umano è un evento davvero molto complesso, per cui tale previsione e tale controllo sono stati, nel migliore dei casi, assai tenui. Ciò avviene particolarmente in tal modo quando la previsione riguarda un essere umano completo, pensante, inserito nel mondo naturale piuttosto che un sistema fisiologico isolato in uno scenario controllato di laboratorio. Alcuni potrebbero osservare che questa mancanza di prevedibilità è dovuta allo stato presente della scienza empirica e che è così perché venga raggiunto un più massiccio ed efficace grado di controllo. Ma molti filosofi potrebbero arguire che una previsione completa è, in linea di principio, non possibile, non importa quanto sofisticati possano divenire i metodi della scienza (Kelso & Engstrom 2006; Merleau-Ponty, 1964; Midgley, 1994; Ridley, 2003; Sheets-Johnstone, 1999; Wallace, 2000). La ragione per cui la prevedibilità e il controllo dell’esercizio risultano così tenui è che l’esercizio è un evento significativo elettrico – chimico – biomeccanico – culturale – psicologico. Per essere certi, le reazioni lineari o caotiche elettriche e chimiche ci aiutano a comprendere l’esercizio, ma solo fino a un certo grado. E le regole biomeccaniche lineari o dinamiche gettano luce su vari meccanismi dell’esercizio, ma ancora oggi solo fino a un certo punto. Inevitabilmente (poiché si tratta di gente che si esercita, di persone, non di mere macchine) ci sono anche significato, desiderio intenso, interesse, speranza, esperienza vissuta e percezione idiosincratica nell’evento di un esercizio fisico. Tutte cose che giocano un ruolo nel comportamento e che non possono pienamente essere apprezzate se le si guarda in termini elettrici, chimici, biomeccanici o attraverso qualsivoglia altra stretta finestra empirica. è inutile girarci intorno. Le tecniche di riflessione sono necessarie per misurare e analizzare significati e valori così come vengono incontrati dalla gente attuale, quella che si incontra nella vita di tutti i giorni.

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PARTE 3

CAP 14. REVISIONE SISTEMATICA (META-ANALISI) L'approccio a una revisione sistematica è identico a qualsiasi altro tipo di ricerca. Il ricercatore deve indicare chiaramente le procedure che devono essere seguite. Purtroppo gli articoli di revisione della letteratura specificano di rado le procedure che l'autore ha usato. Pertanto la base del lavoro su ogni singola ricerca analizzata di solito è sconosciuta al lettore. Naturalmente questo rende quasi impossibile una valutazione obiettiva di una revisione della letteratura. Le domande importanti, ma che di solito rimangono senza risposta nella tipica revisione della letteratura, sono le seguenti: -

Come è stata approfondita la ricerca della letteratura? è stata inclusa una ricerca al computer e una ricerca cartacea? Per quanto riguarda la ricerca al computer, quali chiavi di ricerca sono state utilizzate? Quali periodici sono stati cercati? Sono stati incluse tesi e dissertazioni ?

- Su quale base sono stati inclusi o eventualmente esclusi alcuni studi? - Tesi e dissertazioni sono state arbitrariamente escluse? - L'autore ha preso decisioni circa l'inclusione o l'esclusione basandosi sulla validità interna percepita della ricerca, sulla dimensione del campione, sul progetto di ricerca o su appropriate analisi statistiche? - Come ha fatto l'autore a giungere a una conclusione particolare? Si è basato sul numero di studi a sostegno o a confutazione della conclusione (lo spoglio dei voti)? - Questi studi sono stati ponderati differenziandoli in base alle dimensioni del campione, alla significatività dei risultati, alla qualità della rivista e alla validità interna dello studio?

meta-analisi Una tecnica della revisione della letteratura che contiene una metodologia definitiva e quantitativa per analizzare i risultati dei vari studi, in modo da ottenere uno standard che permetta di usare tecniche statistiche come mezzo di analisi.

Molte altre questioni potrebbero essere sollevate a proposito delle decisioni prese in un tipico articolo di revisione della letteratura, poiché una buona ricerca infatti comporta un metodo sistematico di problem solving. In ogni modo in molte revisioni della letteratura il metodo sistematico dell'autore resta sconosciuto al lettore, cosa che impedisce una valutazione obiettiva di tali decisioni. Negli ultimi anni, sono stati fatti diversi tentativi per risolvere i problemi associati alle revisioni. Il più noto di questi tentativi è stato fatto in un articolo di Glass del 1976 e seguito da un suo stesso libro scritto insieme ad altri collaboratori nel 1981, nel quale veniva proposta una tecnica chiamata meta-analisi. Lo scopo principale di questo capitolo è di presentare una panoramica della meta-analisi e delle procedure sviluppate (per un approccio più generale alla revisione sistematica si veda Cooper & Hedges, 1994).

14.1 USARE LA META-ANALISI PER SINTETIZZARE LA RICERCA Da quando Glass ha introdotto la meta-analisi nel 1976, sono state pubblicate migliaia di meta-analisi, in particolare nelle scienze sociali, comportamentali e mediche. Nel corso di una conferenza nazionale nel 1986, sponsorizzata dall'Istituto Nazionale della Salute, durante un workshop sulle questioni metodologiche, in una panoramica di studi clinici randomizzati, i partecipanti hanno focalizzato molto l'attenzione su una meta-analisi di argomenti connessi alla salute e alla ricerca medica. Un manuale di revisione sistemica, a cura di Cooper e Hedges (1994), è ancora oggi la fonte più utile per la pianificazione e conduzione di revisioni meta-analitiche.

SCOPO DELLA META-ANALISI Come qualsiasi procedura di ricerca, la meta-analisi comporta la selezione di un problema importante da affrontare; in più la meta-analisi comprende due punti mancanti negli articoli tipici di revisione della letteratura. In primo luogo viene segnalata una metodologia definitiva relativa alle decisioni da prendere in un’analisi della letteratura. In secondo luogo i risultati di vari studi sono quantificati da uno standard metrico chiamato importanza dell’effetto (ES ∆), che consente l'uso di tecniche statistiche come strumento di analisi. Questi sono i passi in una meta-analisi:

1. Identificare un problema. 2. Effettuare una ricerca bibliografica mediante strumenti specifici. 3. Individuare gli studi da includere o escludere. 4. Leggere attentamente e valutare per identificare e codificare le caratteristiche importanti dello studio. 5. Calcolare l’importanza dell’effetto. 6. Applicare le opportune tecniche statistiche. 7. Riportare tutti questi passaggi e gli esiti in un articolo di revisione.

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PARTE 3

Questionario Tipo di indagine cartacea utilizzata nella ricerca descrittiva, in cui l'informazione si ottiene chiedendo ai partecipanti di rispondere alle domande, piuttosto che osservando il loro comportamento. Intervista Indagine tecnica simile al questionario, tranne che per il fatto che i partecipanti rispondono oralmente piuttosto che per scritto.

Nonostante il questionario sia limitato a ciò che chi risponde dice di fare, di credere o di preferire, è l'unica tecnica in grado di fornire alcune particolari informazioni.

CAP 15. I SONDAGGI 15.1 IL QUESTIONARIO Il questionario e l'intervista sono sostanzialmente la stessa cosa, tranne per il metodo di interrogazione. I questionari solitamente richiedono una risposta scritta, mentre le interviste sono di solito effettuate oralmente. Le procedure per lo sviluppo degli item di questionari e di interviste sono simili. Di conseguenza gran parte degli step necessari per la costruzione del questionario si applicano anche al colloquio. Allo stesso modo questi consigli valgono anche per i sondaggi condotti tramite e-mail o internet. Il metodo di consegna del sondaggio può dipendere dal campione: in formato elettronico se i partecipanti sono geograficamente lontani, con la spedizione postale se la loro distanza non è importante. I ricercatori utilizzano il questionario per ottenere informazioni chiedendo ai partecipanti di rispondere alle domande piuttosto che osservando il loro comportamento. La limitazione evidente del questionario è che i risultati possono consistere semplicemente in ciò che le persone dicono di fare o in ciò in cui dicono di credere o di cosa gli piaccia o non gli piaccia. Tuttavia alcune informazioni possono essere ottenute solo in questo modo, quindi è imperativo che il questionario debba essere pianificato e preparato con cura al fine di garantire risultati validi. Ci sono otto fasi del processo di ricerca sociale, le discuteremo una per una in questa sezione; ci focalizzeremo sul questionario scritto e spedito via posta con una sezione seguente riservata ai sondaggi via internet.

DEFINIRE GLI OBIETTIVI

Questo passo può sembrare troppo ovvio per essere menzionato, ma innumerevoli questionari sono stati predisposti senza obiettivi chiaramente definiti. In effetti la scarsa pianificazione può spiegare la scarsa stima in cui la ricerca sociale a volte è tenuta in considerazione. Il ricercatore deve avere una chiara comprensione di quali informazioni sono necessarie e di come ogni item sarà analizzato. Come per qualsiasi ricerca, l'analisi è determinata in fase di pianificazione dello studio, non dopo che i dati sono stati raccolti. Il ricercatore deve decidere i fini specifici del questionario: quali informazioni si vogliono? Come saranno analizzate le risposte ? Saranno solo descritte elencando le percentuali di partecipanti che hanno risposto in un certo modo, oppure le risposte di un gruppo saranno confrontate con quelle di un altro? Uno degli errori più comuni nella costruzione di un questionario è non specificare le variabili che saranno analizzate. In alcuni casi, quando i ricercatori non riescono a elencare le variabili, si fanno domande non collegate agli obiettivi. In altri casi, il ricercatore si dimentica di porre domande pertinenti.

DELIMITARE IL CAMPIONE

La maggior parte dei ricercatori che utilizzano questionari hanno in mente una determinata popolazione da campionare. Ovviamente i partecipanti selezionati devono essere quelli che hanno le risposte alle domande che verranno poste. In altre parole il ricercatore deve sapere chi può fornire le informazioni. Se si desiderano informazioni sulle decisioni politiche, gli intervistati dovrebbero avere conoscenze pertinenti a tali decisioni. A volte la fonte utilizzata nella scelta del campione è insufficiente. Ad esempio, alcune associazioni professionali sono costituite da insegnanti, dirigenti, docenti e altri lavoratori professionali di supporto. Così l'appartenenza a una tale associazione non è una buona scelta per la selezione di partecipanti a uno studio orientato ad esempio solo per insegnanti di scuola pubblica; a meno che non si voglia avere uno screening del luogo di lavoro, molti questionari saranno restituiti incompleti perché le domande non sono applicabili. La rappresentatività del campione è un fattore importante. Talvolta è usato un campionamento casuale stratificato, come discusso nel capitolo 6. In un questionario di rilevamento delle preferenze sul tempo libero di un gruppo di studenti universitari, il campione dovrebbe rispecchiare la proporzione di studenti ai vari livelli di classe. Quindi, se il 35% degli studenti sono matricole, il 30% sono studenti del secondo anno, il 20% sono nel terzo e quarto anno e il 15% sono i più anziani: il campione deve essere selezionato in base tali percentuali. Allo stesso modo, se un ricercatore sta studiando le offerte del programma scolastico e il 60% delle scuole dello stato ha meno di 200 studenti iscritti, il 60% del campione dovrebbe provenire da queste scuole. Nella ricerca basata sui sondaggi la rappresentatività del campione è più importante della sua dimensione.

La selezione del campione dovrebbe essere basata sulle variabili specifiche da studiare. Questo influenza la possibilità di generalizzare i risultati. Se un ricercatore specifica che si occupa di uno studio con un solo sesso, un solo livello di istruzione o una sola istituzione, la popolazione è strettamente definita e può essere facilmente selezionata attraverso un campione rappresentativo di tale popolazione specifica. Tuttavia le generalizzazioni che possono essere fatte dai risultati sono limitate a quella specifica popolazione. D'altra parte, se il ricercatore propone il questionario a tutti i membri di una popolazione specifica (ad esempio, tutti i direttori atletici o tutti gli istruttori di fitness), la generalizzabilità è migliorata, ma le procedure di campionamento diventano più difficili. La rappresentatività del campione è più importante della sua dimensione.

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PARTE 3

Ricerca sulle fasi dello sviluppo Studio dei cambiamenti di comportamento nel corso degli anni.

Studi longitudinali Ricerche in cui gli stessi partecipanti sono studiati per un periodo di tempo lungo.

Studi trasversali Ricerca in cui i campioni di partecipanti provenienti da diversi gruppi di età sono selezionati al fine di valutare gli effetti dello sviluppo.

Problema della coorte Problema legato al protocollo trasversale relativo al fatto che tutte le fasce d'età analizzate siano realmente della stessa popolazione.

CAP 16. ALTRI METODI DI RICERCA DESCRITTIVA 16.1 LA RICERCA SULLE FASI DELLO SVILUPPO La ricerca sulle fasi dello sviluppo è lo studio dei cambiamenti nel comportamento nel corso degli anni. Sebbene gran parte della ricerca nello sviluppo si è concentrata nella prima, seconda infanzia e nell'adolescenza, è sempre più comune la ricerca nella terza età e anche oltre la durata totale della vita umana.

PROTOCOLLI LONGITUDINALI E TRASVERSALI

La ricerca sulle fasi dello sviluppo si concentra su un'analisi incrociata di età. Per esempio i ricercatori possono confrontare quanto i bambini possono saltare quando hanno 6, 8 e 10 anni di età, oppure possono confrontare gli adulti a 45, 55 e 65 anni sulla loro conoscenza degli effetti dell'obesità sulla speranza di vita. Entrambi sono studi sullo sviluppo. La distinzione più importante tra i due approcci di base negli studi sullo sviluppo è se i ricercatori seguono gli stessi partecipanti nel corso del tempo (protocollo longitudinale) o se si seleziona diversi partecipanti ad ogni livello di età (protocollo trasversale). Gli studi longitudinali sono potenti perché i cambiamenti nel comportamento si vedono nella stessa popolazione in tutto il periodo di tempo di interesse. Tuttavia, i disegni longitudinali hanno una problematica negativa legata al fattore tempo. Uno studio longitudinale sulle prestazioni nel salto in bambini di 6, 8 e 10 anni richiede 5 anni per essere completato, il che probabilmente non è una scelta saggia nella progettazione di una tesi di laurea! I protocolli longitudinali hanno ulteriori problemi oltre a quello del tempo necessario per la loro compilazione. In primo luogo, nel corso degli anni dello studio, alcuni dei bambini rischiano di allontanarsi quando i genitori per esempio cambiano lavoro o quando loro stessi cambiano scuola o distretto scolastico. Negli studi longitudinali su anziani alcuni possono morire nel corso dello studio. Il problema è sapere se le caratteristiche del campione rimangono le stesse nel momento in cui si perdono i partecipanti. Ad esempio, quando i bambini vengono persi dal campione perché i genitori cambiano lavoro, il campione rimanente sarà composto da bambini di basso livello socio-economico perché i genitori più ricchi si sono spostati? Inoltre, se l'obesità è legata alla longevità, è realistico affermare che gli anziani oggi hanno maggiori conoscenze e quindi maggiori probabilità di essere meno obesi se gli individui più obesi e con meno conoscenze sono morti? In questo modo la conoscenza circa l'obesità può non cambiare tra i 45 e i 65 anni; invece, il campione può cambiare. Un altro problema con protocolli longitudinali è che i partecipanti acquisiscono sempre più familiarità con gli elementi oggetto dei test ed i test stessi possono causare cambiamenti nel comportamento. Il repertorio di conoscenze in materia di obesità può indurre i partecipanti a cercare informazioni, modificando in tal modo le loro conoscenze, gli atteggiamenti ed i comportamenti. Pertanto nel resoconto delle conoscenze da parte dei soggetti ogni volta risulterà che sono state acquisite conoscenze. Tuttavia, questo guadagno di conoscenza è il risultato dell'esposizione alla prova precedente e potrebbe non essere avvenuto senza l'esposizione.

Gli studi trasversali solitamente richiedono meno tempo per essere terminati. Questi studi richiedono test per diverse fasce di età (per esempio, 6, 8 e 10) contemporaneamente. Sebbene gli studi trasversali siano più efficienti in termini di tempo impiegato di quelli longitudinali, una limitazione esiste e viene chiamata problema della coorte: tutte le fasce d'età provengono in realtà dalla stessa popolazione? Formulando la domanda in un altro modo, le circostanze ambientali che incidono sulle prestazioni per esempio del salto nei soggetti di 6 anni oggi sono le stesse di quando i soggetti di 10 anni ne avevano 6 oppure i programmi di educazione fisica sono migliorati durante questo arco di 4 anni in modo che il bambino di 6 anni ha fatto maggiore pratica rispetto a quella che ha fatto il bambino di 10 anni quando ne aveva 6? Se questa supposizione è vera, noi non stiamo studiando come la capacità di salto sia migliorata nel bambino dai 6 anni ai 10 quanto piuttosto l'interazione tra i diversi effetti di insegnamento. Il problema della coorte esiste in tutti gli studi trasversali. Alcuni esempi di studi longitudinali sono stati fatti da Halverson, Roberton e Langendorfer (1982), che hanno studiato la velocità dell'avambraccio nel tiro in bambini dai primi anni della scuola elementare fino alle superiori e da Nelson, Thomas, Nelson e Abraham (1986) che hanno indagato le differenze sessuali nel lancio da parte di bambini dalla scuola materna alla terza elementare. Thomas (1983) ha fornito un esempio di uno studio dello sviluppo trasversale, in cui ha analizzato l'evoluzione della memoria in diverse fasce di età. Ha confrontato gli effetti di una strategia praticata per la memorizzazione ad ogni livello di età, per dimostrare che l'uso appropriato della strategia riduce le differenze di età per quanto concerne la memoria a lungo termine. Ciascuno di questi studi ha difetti specifici associati al

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PARTE 3

CAP 17. RICERCA EPIDEMIOLOGICA SULL’ATTIVITÀ FISICA Nel 1990 si sono continuate ad accumulare prove epidemiologiche, dimostrando che bassi livelli di attività fisica sono associati ad un aumentato rischio per una serie di patologie che hanno una causa di mortalità specifica, come le malattie cardiovascolari, l'osteoporosi, alcune forme di cancro, malattie psichiche e in generale sono associati anche ad un peggioramento della qualità della vita (US Department of Health and Human Services, 1996). Attualmente sono in corso molte iniziative per capire quale sia il modo migliore per modificare il comportamento della popolazione sia a livello individuale che comunitario. Una di queste iniziative è l'Healthy People 2010, un piano elaborato dal Dipartimento Americano per la Salute ed i Servizi per l'Uomo per raggiungere 467 obiettivi sanitari in 28 aree geografiche per l'anno 2010. Un indice dei principali indicatori di salute (simile al concetto degli indicatori economici più importanti) è utilizzato per monitorare i progressi verso gli obiettivi (US Department of Health and Human Services, 2000). Obiettivi per gli adolescenti:

- aumentare la percentuale di ragazzi che si impegnano in una intensa attività fisica soprattutto legata all'allenamento cardiorespiratorio 3 o più giorni alla settimana per 20 o più minuti ad allenamento;

- aumentare la percentuale di ragazzi che si dedicano ad una moderata attività fisica per almeno 30 minuti per 5 o più giorni alla settimana.

Obiettivi per gli adulti:

- aumentare la percentuale di adulti che si dedicano regolarmente, preferibilmente ogni giorno, ad una moderata attività fisica per almeno 30 minuti al giorno;

- aumentare la percentuale di adulti che si impegnano in una intensa attività fisica, legata all'attività cardiorespiratoria 3 o più giorni alla settimana per 20 minuti o più per ogni sessione. Gli obiettivi del 2010 per l'attività moderata e intensa rispetto ai livelli di attività fisica del 2003 sono evidenziati nella figura 17.1. Per raggiungere gli obiettivi del 2010, gli adolescenti avevano bisogno di aumentare la regolare attività intensa del 22% e quella moderata del 10%. Gli adulti avevano già superato l'obiettivo legato alla attività moderata del 30%, mentre avevano bisogno di aumentare l'attività fisica intensa del 4%.

Questo breve report sulla storia dell' epidemiologia in relazione all'attività fisica Fig. 17.1 – Percentuale di adolescenti e adulti che rispettano gli obiettivi delrispecchia gli obiettivi dei principali l'Healthy People per l'anno 2003 e per l'obiettivo del 2010. studi epidemiologici che verranno descritti nel seguito di questo capitolo. I metodi epidemiologici sono utilizzati per fornire base scientifica alle azioni della sanità pubblica, tra cui (1) quantificare l'entità dei problemi Fattori di rischio di salute, (2) identificare i fattori che causano la malattia (ad esempio i fattori di rischio), (3) fornire L'esposizione ad un indicazioni quantitative per l'assegnazione di risorse alla sanità pubblica e (4) verificare l'efficacia agente od ad un comportamento delle strategie di prevenzione usando programmi di sorveglianza sulla popolazione (Caspersen, 1989). risultato determinante per l'esito di uno stato patologico o per l'alterazione dello stato di salute.

In questo capitolo si definirà l'epidemiologia, si descriveranno i metodi di misurazione dell'attività fisica negli studi epidemiologici ed i protocolli degli studi epidemiologici, si prenderanno in considerazione le minacce alla validità di questi protocolli e si fornirà uno schema per leggere e interpretare gli studi epidemiologici.

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PARTE 3

CAP 18. RICERCA SPERIMENTALE, PRE-SPERIMENTALE E QUASI-SPERIMENTALE Possiamo pensare alla causa ed all'effetto in termini di condizioni necessarie e sufficienti (Krathwohl, 1993). Ad esempio, se la condizione è necessaria e sufficiente per produrre l'effetto, allora ne è la causa. Tuttavia esistono situazioni alternative (vedi anche il riquadro in basso): • necessaria ma non sufficiente: è probabile che alcune condizioni siano correlate per produrre l'effetto; • sufficiente ma non necessaria: una condizione alternativa può anche essere la causa; • né necessaria né sufficiente: molte condizioni correlate possono contribuire ad essere la causa.

Stabilire causa ed effetto richiede pensiero logico applicato ad un protocollo sperimentale adeguato.

Inoltre è bene ricordare che le statistiche non stabiliscono la causa e l'effetto. Le tecniche statistiche possono soltanto respingere l'ipotesi nulla (stabilire che i gruppi siano significativamente differenti) e identificare la percentuale di varianza nella variabile dipendente rispetto alla variabile indipendente o alla dimensione dell'effetto. Nessuna di queste procedure stabilisce causa ed effetto (sono necessarie ma non sufficienti). Causa ed effetto possono essere stabilite solo tramite l'applicazione del pensiero logico in esperimenti ben progettati. Questo processo logico stabilisce infatti che non esista altra spiegazione ragionevole per i cambiamenti nella variabile dipendente se non la manipolazione della variabile indipendente. L'applicazione di questa logica è resa possibile da: • • • • • • •

La scelta di un buon piano di lavoro teorico L'uso di soggetti appropriati L'applicazione di un appropriato disegno sperimentale La giusta selezione e misurazione della variabile indipendente (trattamento) L'appropriata selezione e misura della variabile dipendente L'impiego del modello corretto di statistica e analisi La corretta interpretazione dei risultati.

• • • • •

variabile variabile variabile variabile variabile

In questo capitolo discuteremo dei disegni sperimentali, spiegando come è possibile riconoscere e controllare le fonti di invalidità e le minacce alla validità interna ed esterna. Spiegheremo anche diversi tipi di progetti sperimentali. Prima di andare avanti in questo capitolo, è necessario un riesame dei seguenti termini (introdotti nei capitoli 1 e 3) che ricorreranno in tutto il capitolo: indipendente dipendente categorica di controllo estranea o rivale.

ESEMPI DI CAUSA ED EFFETTO NEL GOLF 1. Non importa quanto difficile sia stato il tuo ultimo colpo, il peggio deve ancora venire. E così sarà fino alla 18a buca. 2. La tua migliore partita sarà seguita con tutta probabilità dalla peggiore di sempre. (La probabilità aumenta all'aumentare del numero di persone che racconteranno della tua partita migliore). 3. Le palline nuove sono attratte dall'acqua (L'attrazione aumenta all'aumentare del costo della pallina). 4. Più alto è l'handicap di un giocatore, più facilmente si qualificherà come istruttore. 5. Ogni buca par-3 ha un intimo desiderio di umiliare i golfisti (e più corta è la buca, maggiore è il suo desiderio). 6. Le golf car sono sempre parcheggiate nel punto più lontano del circolo. 7. Il giocatore con cui più si odia perdere è sempre quello che ti batte. 8. Le ultime tre buche di una partita porteranno il tuo risultato a quello che realmente dovrebbe essere. 9. Nel golf le palle che rimbalzano contro gli alberi non tornano mai in gioco e se lo fanno il giardiniere rimuoverà direttamente l'albero prima del tuo turno di gara. 10. Tutte le promesse fatte su un campo da golf sono valide solo fino al tramonto.

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PARTE 3

CAP 19. RICERCA QUALITATIVA Si potrebbe sostenere che il termine ricerca qualitativa possa essere troppo restrittivo, nel senso che sembra denotare l'assenza di qualsiasi approccio quantitativo; tuttavia, non è certo questo il caso che noi prenderemo in esame. Oggi “ricerca qualitativa” sembra essere il termine più spesso usato nel nostro settore, ma la nostra discussione si focalizzerà principalmente sul metodo interpretativo in opposizione alla ricca descrizione che ha caratterizzato la ricerca qualitativa inizialmente svolta in antropologia, psicologia e sociologia. Quest'ultimo approccio comporta una analisi molto lunga e dettagliata della società o dell'evento analizzato ed è stato utilizzato da Franz Boas, che è considerato il padre dell'antropologia culturale. Nel respingere le speculazioni da salotto che caratterizzavano il lavoro della fine del 19° secolo, Boas insistette sul fatto che il ricercatore non è solo colui che raccoglie i propri dati, ma è anche colui che commenta i dati stessi e avanza una ipotesi su quanto una interpretazione dei dati sia possibile (cit. in Kirk & Miller, 1986). Noi crediamo che la caratteristica più importante della ricerca qualitativa sia il contenuto interpretativo piuttosto che una panoramica sulla procedura. Erickson (1986) sostiene che la tecnica di descrizione narrativa (a volte indicata come "scrittura in trance") non significa necessariamente che la ricerca condotta sia soltanto interpretativa o qualitativa. Non è nostra intenzione presentare una revisione globale della ricerca qualitativa, in quanto non abbiamo lo spazio per farlo. Nonostante la nostra affermazione che l'applicazione della ricerca qualitativa sia relativamente recente nel nostro settore, un riesame completo sarebbe comunque molto difficile, perché avremmo bisogno di attingere da molti campi correlati. Considerando che 30 anni fa non c'era quasi nulla di pubblicato nel settore della metodologia qualitativa, ora c'è un’enorme quantità di letteratura in forma di libri, articoli e monografie. Inoltre, vi è un notevole disaccordo tra i ricercatori qualitativi relativamente alla loro metodologia e ai presupposti teorici che devono essere affrontati. è possibile ottenere una panoramica solida per quanto riguarda il campo della ricerca qualitativa, i diversi approcci alla raccolta di dati e di analisi e le sottigliezze nell'uso dei diversi approcci in Locke, Silverman e Spirduso (2010) o in una forma più ampia da Creswell (1998). Testi discorsivi e comprensibili sullo svolgimento di una ricerca qualitativa sono quelli di Bogdan e Biklen (2007), Creswell (2009b), Marshall e Rossman (1999), Morse e Richards (2002) e Patton (2002). C'è anche la possibilità di avere un esempio di studio qualitativo in educazione fisica da McCaughtry e Rovegno (2003).

CARATTERISTICHE DI CONTRASTO TRA RICERCA QUALITATIVA E QUANTITATIVA

La ricerca qualitativa è spesso raffigurata come l'antitesi dei metodi più tradizionali quantitativi, come ad esempio la ricerca sperimentale e d'indagine. I metodi di ricerca quantitativa in genere comportano misure precise, un rigido controllo delle variabili (spesso in un ambiente di laboratorio) e analisi statistiche. I metodi di ricerca qualitativa generalmente includono osservazioni sul campo, studi di casi, l'etnografia e le relazioni narrative (Locke, Silverman e Spirduso, 2010). Bogdan e Biklen (2007) forniscono una analisi dettagliata delle caratteristiche della ricerca qualitativa e quantitativa per quanto riguarda i termini, i concetti chiave, il carattere teorico ed accademico, gli obiettivi, la progettazione, i campioni, i dati e la natura delle proposte di ricerca. La ricerca quantitativa tende a concentrarsi su analisi (cioè smontare ed esaminare i componenti di un fenomeno), mentre la ricerca qualitativa mira a comprendere il significato di una esperienza dei partecipanti in un ambiente specifico (in questo senso è sintetica). Alcune caratteristiche di base della ricerca qualitativa e quantitativa si contrappongono nella tabella 19.1. COMPONENTE DI RICERCA

QUALITATIVA

QUANTITATIVA

Campione

Piccolo

Di grande dimensione / Casuale

Raccolta dei dati

Ricercatore principale strumento

Strumentazione

Analisi dei dati

Descrittiva, interpretativa

Ipotesi

Impostazione

Progettazione

Induttiva1

Naturale / Mondo reale

Flessibile, può cambiare

Tabella 19.1 – Contrasto tra caratteristiche qualitative e quantitative della ricerca.

Deduttiva1

Laboratorio

Determinata in anticipo Metodi statistici

La ricerca qualitativa si concentra sull' "essenza" del fenomeno. Una vista del mondo varia al variare della percezione del soggetto studiato. Gli obiettivi sono principalmente la descrizione, la comprensione e il significato di un fenomeno. Il ricercatore non può manipolare le variabili attraverso trattamenti sperimentali, ha più interesse nel processo che nel prodotto. Il ricercatore osserva e raccoglie i dati sul campo, che è l'ambiente naturale. Non ci sono ipotesi preconcette, che caratterizzano la ricerca quantitativa. Piuttosto, la ricerca qualitativa si sforza di sviluppare ipotesi dalle osservazioni. In altre parole, la ricerca qualitativa enfatizza l'induzione, mentre la ricerca quantitativa sottolinea in gran parte la deduzione. Nella ricerca quantitativa, il ricercatore cerca di escludersi dal processo 1. Per induzione e deduzione si vedano i capitoli 2 e 13 del testo (NdC).

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PARTE 3

CAP 20. RICERCA CON METODI MISTI Questa scoperta ha portato ad una serie di studi correlati (Subramaniam & Silverman, 2000, 2002, 2007) che hanno utilizzato sia metodi quantitativi che qualitativi per affrontare proprio queste questioni. Come abbiamo discusso in precedenza in questo libro, domande diverse richiedono diversi metodi, anche quando le questioni sono strettamente correlate. Teddlie e Tashakkori (2009) hanno osservato che la ricerca con metodi misti è in gran parte una necessità pragmatica. I ricercatori combinano i metodi in una ricerca perché questo può aiutare a rispondere a domande e promuovere diversi programmi di ricerca. Questo non vuol dire, tuttavia, che i metodi misti siano facili, dal momento che i ricercatori devono spesso lavorare con altre persone che hanno esperienze diverse in un altro approccio metodologico o cominciare da zero e imparare nuove competenze. Come per qualsiasi lavoro di ricerca, è necessario diventare esperti nel metodo, in modo da poter pianificare lo studio, raccogliere dati, analizzare i risultati e comunicare con gli altri i risultati (Plano-Clark, Huddleston-Casas, Churchill, Green & Garrett, 2008). Oltre a conoscere altri metodi di ricerca, è necessario conoscere le conseguenze dell'unione di metodi di ricerca diversi. Questo capitolo fornisce una panoramica del processo e permette di iniziare la pianificazione di uno studio con metodi misti fornendo risorse che possono aiutare nella programmazione e nella conduzione della ricerca. Sia Flick (2009) che Robson (2002) forniscono una buona introduzioni pragmatica al tema della combinazione di metodi. Teddlie e Tashakkori (2009), Creswell, Plano-Clark (2007) e Thomas (2003) forniscono maggiori dettagli in testi di facile consultazione. Se sono necessarie ulteriori informazioni, il libro curato da Tashakkori e Teddlie (2003) fornisce una discussione approfondita sulla ricerca con metodi misti.

20.1 COMBINARE METODI QUANTITATIVI E QUALITATIVI Non c'è un solo modo per fare ricerca con metodi misti. Come abbiamo notato in precedenza, l'utilizzo di un metodo combinato è una scelta pragmatica: uno studio può essere principalmente quantitativo con una parte qualitativa o, al contrario, può essere principalmente qualitativo con una componente quantitativa. Certo, può esserci qualsiasi cosa in mezzo (vedi Morse, 2003, per un esempio delle molteplici possibilità di ponderazione dei metodi qualitativi e quantitativi in uno studio). La figura 20.1 presenta un esempio di alcuni casi. L'equilibrio tra le componenti quantitative e qualitative dipende dallo studio, così come i metodi specifici utilizzati in ogni sua parte. Uno studio misto potrebbe raccogliere misure quantitative descrittive e dati qualitativi derivanti da interviste basate su un aspetto dei dati quanFig. 20.1 Il metodo misto sequenziale da titativi. Un intervento sperimentale potrebbe combinare uno studio quauna ricerca altamente qualitativa ad una litativo per valutare la percezione dei partecipanti all'intervento. altamente quantitativa. Interviste e focus group potrebbero essere completati con dati descrittivi. Queste modalità di combinazioni sono infinite, qualsiasi modalità di approccio al metodo misto che risponda ai quesiti posti all'inizio della ricerca può essere svolta dipendendo soltanto dalle capacità del team o del ricercatore di condurre tutte le parti dello studio. Anche se sono possibili molti protocolli misti (ad esempio, vedere Creswell, 2009a, o Leech & OnMetodo misto wuegbuzie 2009, per le discussioni di altre modalità per progettare una ricerca), il modo in cui è stato sequenziale condotto uno studio spesso è caratterizzato da due sole modalità (Creswell , 2009b; Tashakkori & TeddUno studio nel quale uno dei due lie, 1998; Teddlie & Tashakkori, 2009). La prima e più comune tipologia di metodo misto utilizza una componenti disposizione sfalsata dei componenti quantitativi e qualitativi. In questo caso, chiamato metodo misto (qualitativo o quantitativo) avviene sequenziale, una parte viene prima dell'altra. è indifferente quale parte, quantitativa o qualitativa, prima ed è seguito venga prima. Spesso i risultati della prima parte influenzano la seconda. Ad esempio, un ricercatore dall'altro potrebbe raccogliere i punteggi di test per bambini per fornire una descrizione dei livelli di fitness. Metodo misto parallelo Sulla base dei punteggi BMI superiori a 30, i partecipanti saranno convocati per le interviste semiUno studio nel quale strutturate concentrandosi su come hanno percepito la loro composizione corporea e come i livelli di entrambi i componenti fitness hanno infuenzato le loro interazioni con i coetanei. (qualitativo e Quando invece le componenti quantitative e qualitative si verificano contemporaneamente o sono inquantitativo) accadono dipendenti, il protocollo è comunemente etichettato come metodo misto parallelo, o di ricerca con-

contemporaneamente e indipendentemente.

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PARTE 4

CAP 21. COMPLETARE IL PROCESSO DI RICERCA 21.1 LA PROPOSTA DI RICERCA La proposta di ricerca contiene la definizione, la portata e l’importanza del problema e la metodologia che verrà utilizzata per risolverlo. Se per la tesi si usa il formato tipico della rivista scientifica (sostenuto dagli Autori ed analizzato nel dettaglio nel capitolo 22), la proposta comprende le sezioni dedicate all’introduzione e ai metodi, tabelle e figure appropriate e appendici (per es. fogli dati, lettere di accompagnamento, questionari, moduli di consenso informato e dati dello studio pilota). In una tesi con quattro sezioni (introduzione, metodi, risultati e discussione) il progetto consiste nelle prime due sezioni. In un formato a cinque sezioni, nel quale la revisione della letteratura è la seconda, la proposta comprende le prime tre sezioni. Uno degli obiettivi di questo libro è aiutare gli studenti a sviluppare una proposta di ricerca. I capitoli 2, 3 e 4 in questo testo si riferiscono nello specifico al corpo di tale proposta. Gli altri capitoli si concentrano su varie sfaccettature della pianificazione di uno studio: le ipotesi, le misure, le immagini e le analisi statistiche. Questo capitolo tratterà di come costruire la proposta e discuterà la riunione programmatica e gli interventi della commissione. Infine ci saranno alcune considerazioni di base sulle proposte di sovvenzione e, in particolare, in cosa differiscono rispetto alle proposte di tesi.

21.2 COME SVILUPPARE UNA BUONA INTRODUZIONE Il più importante obiettivo per uno studente è convincere la commissione (sia essa il comitato del progetto, il revisore di una rivista o un comitato di analisi per un’agenzia di sovvenzioni) che l’argomento sia importante e degno di essere investigato. La prima sezione della proposta dovrebbe fare questo e dovrebbe anche attrarre l’interesse del lettore verso il problema. La revisione della letteratura fornisce le informazioni basilari e una critica delle precedenti ricerche effettuate sull’argomento, sottolineando i limiti, i conflitti e le aree che necessitano di approfondimento. Una concisa enunciazione del problema informa il lettore sull’obiettivo, cioè su cosa il ricercatore intenda fare nello studio. La prima parte dell’introduzione definisce i concetti che costituiscono lo studio e determina brevemente le relazioni tra essi. Generalmente questa sezione, lunga poche pagine, va dal generale allo specifico e quando il lettore legge la dichiarazione del problema o dell’obiettivo risulta chiaro quali variabili saranno studiate. Per esempio, in uno studio sull’atteggiamento degli studenti verso l’educazione fisica, l’introduzione dovrebbe occuparsi di come l’attività fisica abbia considerevoli conseguenze sulla salute. I paragrafi successivi dovrebbero spiegare come l’educazione fisica fornisca e promuova l’attività fisica, come l’atteggiamento individuale influenzi la partecipazione o meno all’attività fisica, come gli atteggiamenti nell’educazione fisica nella scuola primaria possano influenzare i futuri atteggiamenti e come gli atteggiamenti cambino nel tempo. I costrutti di educazione fisica, atteggiamento, bambini di scuola elementare e le loro relazioni, devono essere definiti prima di discutere gli altri aspetti dell’introduzione. In molte università, l’introduzione deve includere una sezione sul significato o il razionale dello studio. Questo è il posto dove sostenere che la ricerca contribuirà al proprio campo di studio. Questa sezione può affrontare ragioni teoriche e pratiche per sostenere lo studio. Molti studenti trovano relativamente facile proporre ragioni pratiche, ma essere abili a descrivere come lo studio contribuisca alla teoria può essere cruciale nel determinare se lo studio sarà pubblicato. Portare contributi teorici richiede andare oltre rispetto al dire “sono stati effettuati molti studi sull’argomento”. Il ricercatore deve spiegare esattamente come lo studio sia in accordo con l’attuale letteratura ed estenda le conoscenze teoriche sull’argomento. Nella proposta, il ricercatore dovrà fornire le definizioni operative per informare il lettore esattamente su come stia usando certi termini (leggere la tabella nella pagina seguente per una definizione operativa del cricket). Alcuni dipartimenti hanno una sezione di definizioni operative, ma sta diventando più comune definire i termini operativi quando vengono utilizzati. Questo approccio è simile al modo in cui è scritto l’articolo di ricerca ed aiuta il lettore definendo i termini quando si incontrano. Il ricercatore inoltre esplicita le limitazioni e gli eventuali punti deboli dello studio che, solitamente, sono il risultato delle delimitazioni che il ricercatore stesso impone. Questa discussione può essere posta in una sezione separata dell’introduzione. Generalmente è più efficace includere una frase dichiarando i limiti e i punti deboli quando si discutono le tecniche e gli esempi nella sezione dei metodi. Il secondo capitolo di questo libro riguardava la revisione della letteratura ed includeva una discussione sui processi di ragionamento, induttivo e deduttivo, utilizzati per sviluppare il problema e formulare le ipotesi. Il terzo capitolo si riferiva agli argomenti richiesti nell’introduzione o nella proposta di ricerca. Si impiegano diverse ore nel preparare la prima sezione (l’introduzione) della proposta, specialmente nel preparare la ricerca della letteratura e la formulazione del problema. Lo studente nello scegliere

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PARTE 4

CAP 22. MODI DI FARE UN REPORT DI RICERCA 22.1 LINEE GUIDA DI BASE PER LA SCRITTURA La regola di Day (1983, 125) è: “Scrivete la vostra tesi per compiacere il vostro relatore, se riuscite a capire cosa gli piace”. Una volta capita questa regola base, si possono applicare alcune linee guida. Ma se ci sono dubbi, si deve ritornare a questa regola base.

• Raccogliere tutti i documenti forniti dall’università, dal corso di laurea e dal dipartimento riguardo le tesi e le dissertazioni. Leggere questi documenti poiché qualcuno potrà verificare ne ne avete tenuto conto nella stesura della tesi. • Controllare le tesi degli studenti laureati nel passato i cui lavori sono apprezzati dall’istituto. Identificare gli elementi comuni nel loro lavoro e modellare il proprio lavoro in base al loro. • Considerare di occupare il doppio del tempo che si presume possa servire. Ricordarsi la legge di Murphy: “Tutto quello che può andare male, andrà male” e il suo speciale corollario “Quando molte cose possono andare male, andrà male quella che causerà il maggior danno”.

Le tesi in genere sono composte dalle stesse parti che si trovano in qualsiasi lavoro scientifico: un’introduzione e una revisione della letteratura, i metodi, i risultati e la discussione. Nel formato tradizionale, ciascuna di queste parti rappresenta un capitolo. Alcune volte l’introduzione e la review della letteratura sono capitoli separati, portando a cinque i capitoli piuttosto che a quattro. Questo formato può cambiare negli articoli storici, filosofici e qualitativi (vedere capitoli 12, 13 e 19), negli esperimenti multipli (vedere capitolo 21) o quando il relatore dice che dovrebbe cambiare.

22.2 QUALCHE PAROLA SUI RINGRAZIAMENTI Una sezione considerata raramente negli articoli e nei libri che riguardano la preparazione delle tesi è quella dei ringraziamenti. Si dovrebbero ringraziare le persone senza le quali la ricerca non sarebbe stata possibile. A volte, i ringraziamenti fatti dagli studenti di laurea prendono alcune pieghe strane. Una volta è capitato che una donna ringraziasse il suo ex marito. Scriveva che se non fosse stato così difficile vivere insieme, ella non sarebbe mai tornata all’università e non si sarebbe laureata. Facendo questo ha trovato un’area nella quale aveva un enorme interesse e ciò ha rappresentato un significativo cambiamento nella sua vita. Questo è forse l’unico commento positivo mai sentito riguardo persone divorziate. Qui di seguito, alcuni altri ringraziamenti divertenti: • I miei genitori, mio marito e i miei figli mi hanno dato l’ispirazione e supportato pienamente, ma sono stata capace di completare la mia tesi lo stesso. • Il mio relatore, Dr. I.M. Published, ha coordinato il lavoro e dato un contributo occasionale. • Il Professor B.A. Snobb vuole che tutti sappiano che egli non ha avuto nulla a che fare con questa tesi. • Infine, vorremmo ringraziare il nostro correttore di bozze, I.D. Best, senza il contributo del quale qusto document nn sareb stato possible.

Più seriamente, si possono ringraziare gli individui giusti, ma mantenendo una lista breve, appropriata e senza essere sdolcinati. Come nelle altre aree, si deve usare un italiano corretto. Nei loro ringraziamenti, gli studenti laureati spesso usano “vorrei” quando intendono dire “voglio”, per esempio: “Vorrei ringraziare I.B.A. Fink”. Questo significa che l’avrebbe voluto ringraziare se il suo contributo non fosse stato così scadente? Lo studente vuole realmente ringraziarlo. Allora perché non dire solo: “Ringrazio I.B.A. Fink”.

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