Capitani Coraggiosi sul Corriere del Veneto

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Tomat: «Le banche facciano di più»

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VENEZIA - Globalizzazione, digitalizzazione e competizione sfrenata sui mercati internazionali. Roba da manager 2,0, laureati nelle migliori business school, affamati di tecnologia ed esperti di marketing. E soprattutto specialisti nelle strategie di ampliamento delle aziende e dei mercati. Un'attitudine, quella dei manager, che spesso cozza con l'atteggiamento - decisamente più prudente - delle famiglie del Nordest, quei proprietari d'azienda che, sulla base delle decisioni dei manager, devono aprire il portafoglio e finanziare di tasca loro le operazioni di ampliamento o rinnovamento dell'impresa. «La riconoscenza verso il fondatore, la coerenza e l'identità d'impresa sono sentimenti nobili, ma ormai mettono in crisi molte più aziende di quante non ne facciano consolidare e sviluppare. Le aziende, così facendo, restano imprigionate in un'ottica di conservazione», interviene il presidente della Cassa di Risparmio del Veneto Giovanni Costa durante il Convegno Capitani coraggiosi: manager 2.0 nel Nordest del terzo millennnio organizzato dall'Alea, associazione alumni dell'Università di Ca' Foscari. «Bisogna guardare oltre - continua Costa, che è anche docente di

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strategia d'impresa - Le aziende del Nordest che hanno trasformato la crisi in una occasione di crescita sono quelle che hanno saputo ridisegnare le relazioni tra la proprietà e il management superando le logiche familiari». A conferma della tesi di Costa arriva l'esperienza dell'amministratore delegato di Coin, Stefano Beraldo, che ha preso le redini del gruppo proprio in un momento in cui la famiglia fondatrice stava uscendo dall'azienda. «Il private equity che rilevò Coin non portò nessun capitale aggiuntivo, ma la discontinuità diede fiducia alle banche che sulla base di un nuovo piano di sviluppo aprirono nuove linee di credito», spiega Beraldo che oggi conta su un'azienda che supera il miliardo e mezzo di fattu-

rato. Le soluzioni proposte dai manager spesso infatti permettono ad aziende in difficoltà di ripartire a patto che si rompa la catena familiare e si cambi strategia. Anche Lauro Buoro, patron di Nice, ricorda che, in occasione dell'ingresso in borsa della sua società, è stato chiamato a guidare l'azienda un amministratore delegato esterno che avesse competenze che in azienda (e soprattutto in famiglia) non erano presenti. «Negli ultimi tempi la contrapposizione tra manager e famiglie è sfumata - dice Buoro - Quello che serve è la contaminazione tra i vari livelli, solo così nascono nuove idee e si possono affrontare le sfide del mercato». Un rapporto di collaborazione tra famiglie e manager però non è ancora sufficiente per affrontare la situazione di crisi che le aziende stanno attraversando. «Serve un apporto che la finanza adesso non dà - puntualizza Andrea Tomat, patron di Lotto e da un anno presidente di Ca' Foscari Alumni - I banchieri dicono che le aziende devono investire ma per farlo devono poter ristrutturare i debiti. I costi imposti dalle banche sono inaccettabili anche a causa degli emolumenti scandalosi concessi ai loro manager». «Su questo sono in parte d'accordo - conclude Costa - ma i tempi in cui in un anno un top manager di banca poteva anche guadagnare di solo bonus l'equivalente del profitto di una media azienda di successo stanno finendo. E gli organi di vigilanza stanno facendo un buon lavoro per evitare distorsioni».

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