Le Ricette del Buon Ricordo

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uesto libricino raccoglie e propone le ricette di tutte le “specialità del Buon Ricordo” (cioè le ricette abbinate al dono del piatto in ceramica) attualmente in vigore: una per ogni ristorante associato, che ciascuno ha pensato e messo a punto con impegno, consapevole di affidarle il ruolo rappresentativo della sua appartenenza all’Unione, ma anche quello di “ambasciatrice” della cucina del suo territorio. 129 ricette dunque selezionate con passione, che i ristoranti del Buon Ricordo vogliono regalare ai loro amici. Per essere ricordati, per fornire nell’insieme un affresco molto ampio delle tradizioni italiane, per trasferire (come hanno fatto per secoli le nonne e le mamme di un tempo) le loro attenzioni e i piccoli segreti della loro lunga esperienza a chi mostra di saper apprezzare e rispettare il loro impegno. Ovidio Mugnai Presidente Unione Ristoranti Buon Ricordo


Indice alfabetico delle ricette Acquapazza Agnello ai profumi di Colfiorito Aletta di vitello al forno con lardo fresco…. Arancinetto al nero di seppia Baccalà alla cappuccina Baccalà e verdurine al cartoccio Bavette Cacciucate Bigoli in salsa Bocconcini di manzo in foglie di limone…. Brandade di stoccafisso Bucatini all’amatriciana Calamaretti ripieni alla griglia Cannoli di ricotta all’anice stellato…. Cappelletti del conte Loredan Cartoccio di coniglio e gamberi…. Ciupin - Zuppa di pesce alla genovese Cjalsons Coda di vitella piemontese brasata al Barbaresco Coniglio con olive e pinoli Coniglio in peperonata Corzetti alla marinara Corzetti dei Fieschi alle quattro stagioni Coscia d’oca croccante…. Cosciotto di montone al ginepro Cotoletta alla bolognese Dadolata di filetto con crema di Bitto Dop…. Fagottino di fagiano ai porcini…. Fantasia di Baccalà Faraona al ginepro Faraona in crosta…. Filetti di lavarello in agrodolce Filettino di maiale gratinato al timo….

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Le Ricett e Filetto di bue all’aceto balsamico Filetto di maiale ai porri Filetto di maiale al lardo su crema di pecorino…. Filetto di salmerino gratinato Filetto di scorfano in guazzetto Filetto di spigola al lardo di Colonnata Filettobassetto Filettus de castagnola in cassola Fritelle di cavedano con verdure agrodolci…. Frittura della Serenissima Galina imbriaga co’ e tajadele Galletto alla diavola Gamberi alla Gambrinus Gamberoni saltati all’aglio dolce…. Gnocchetti Sabbia d’Oro Gnocchi di susine Guancetta di vitellino al profumo di cacao…. Guanciale di vitello all’olio Guazzetto di pesci e molluschi dell’Adriatico…. Insalata tiepida di gallina bianca di Saluzzo Involtini di carne alla romana Involtini di pesce spada Involtino di orata, melanzane e crema di finocchi Lattughe ripiene Lavarello del Garda in crosta…. Lombetto di coniglio al bacon…. Maialino da latte arrosto…. Mezze maniche all’astaco dell’Adriatico Milanesine con risotto allo zafferano Mlinci con la supeta Minestra cocciula Minestra di farro, verdure e pesce

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Le Ricett e Misto di pesce all’acqua pazza Orecchiette aragosta con astice Ossobuco alla chiantigiana Ossobuco del cavaliere Padella di crostacei alla Titon Pappa al pomodoro con bottarga del Tirreno Pappardelle al ragù in bianco ed erbe di caccia Pappardelle con coniglio in umido Pasta con le sarde Pernice di vitello brasata e canederlotti…. Pesce all’acqua pazza Petto d’anatra all’Amarone Petto di faraona quattro stagioni Piccioncino Notre Dame Piccione all’assisana Piccione arrostito su melanzane alla griglia…. Piccione del Valdarno arrosto…. Pici stesi a mano, sugo di salsiccia e cavolo nero Pizzoccheri Pollo al dragoncello Pollo alla Toscana Primamela in giardino Princisgras Ravioles della valle Varaita servite nel fuiot Ravioli di mare con scampi alla buzara Ravioli di pesce persico in pasta di pane…. Ravioli di ricotta dolci in ragù d’agnello Ravioli di segale ripieni…. Ravioloni con pescato del Golfo e ragù di calamari Ribollita col colombaccio e tartufo Volterrano Risotto alla rape rosse e salsa al Gorgonzola Risotto con filetti di lavarello

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Le Ricett e Risotto con pesce di fiume Risotto con quaglia farcita Risotto di gò Rizòt à la sùca e salamela Rosetta di vitello alle quattro stagioni Rostisciada alla brianzola Salsicce alla cacciatora con medaglione di verdure…. Scaloppa alla valdostana Scaloppine di cernia agli agrumi di Sicilia Seppioline alla pescatora Sfogliatina di grano duro allo scorfano…. Sfogliatine ai funghi Sformatino di melanzane…. Sformato di chiocciole…. Sformato di Parmigiano Reggiano e prosciutto…. Sinfonia bustocca Sinfonia di pesci…. Spezzato di pesce in brodetto del matto Spinosini con vongole dell’Adriatico…. Strascinati all’antica…. Stinco di vitello morbido…. Suprema di cappone di Giuseppe Verdi Tagliatelle con ragù alla bolognese Tagliatelle di nonna Finuccia Tagliolini all’Angelica Tortelli all’anatra al profumo d’arancia Tortelli di patate con lardo e timo Tortelli di zucca del Casalasco Totani ripieni di gamberi con polentina di fave Treccette orchidee delle Eolie Vellutata di Roveja di Castelluccio…. Vitella a oxelletto Zuppa di pescato quotidiano

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Valle D’Aosta - Saint Christophe

Hotel Ristorante Casale di Claudio Casale Brunet

Scaloppa alla valdostana Ingredienti per 4 persone

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4 fettine di vitello 4 fette di prosciutto cotto 100 g di Fontina Dop 1 dl di vino bianco secco farina bianca burro noce moscata pepe

utte le ricette ‘alla valdostana’ hanno per protagonista la fontina, formaggio valligiano per eccellenza. Ne abbiamo prima notizia scritta da un registro dell’Ospizio del Gran San Bernardo, datato 1717, ma ben più antica è la produzione di questo formaggio d’alpeggio. La produzione avviene oggi sotto il segno della Denominazione di Origine Protetta, ovvero di un disciplinare tra i più restrittivi della casearia italiana. 6


Basti dire che il latte dev’essere di bovini di sola razza valdostana pezzata rossa, pezzata nera o castana; e che la maturazione deve avvenire in cavità naturali, a temperatura e umidità costanti, cosicché la microflora ambientale favorisca la formazione della sottile crosta di colore bruno rossiccio che racchiude una pasta elastica, con scarsa occhiatura, di colore leggermente paglierino, più accentuato nella produzione estiva, fondente in bocca, di sapore dolce e caratteristico. Questo Piatto del Buon Ricordo è una delle versioni della popolarissima costoletta alla valdostana, piatto di storia piuttosto recente, ideato dai ristoratori valligiani come moderna alternativa alla ‘carbonade’, tradizionale umido di manzo e cipolle cotte nel vino. Ispirata alla francese ‘cordon blue’, questa scaloppa fa caso a sé proprio per il contributo della fontina, inconfondibile per consistenza e sapore. Le fettine di vitello vanno infarinate e scottate su ambedue i lati in una padella nella quale avrete sciolto una noce di burro. Salate leggermente o evitate pure di farlo considerando l’apporto di sapore degli altri ingredienti. Togliete le scaloppe dal fuoco per la guarnizione: riducete il prosciutto cotto in fette di superficie adeguata e stendetele sulla carne; fate lo stesso con la fontina e completate con una spolverata di pepe e noce moscata a piacere. Rimettete le scaloppe in padella, aggiungendo un bicchiere di vino bianco secco; lasciate consumare il liquido a fuoco basso e sotto coperchio di modo che la fontina possa illanguidirsi senza problemi.

Vino consigliato: Petit Rouge Valle d’Aosta Doc 7


Piemonte - Alessandria

Ristorante Torino di Michele Tamburrino e Andrea Gallinaro

Coniglio in peperonata Ingredienti per 6 persone

1 coniglio da 1,5-2 kg 1 kg di peperoni | 200 g di passata di pomodoro fresca 100 g di cipolla | 100 g di sedano 50 g di acciughe salate | 200 g di vino bianco secco 100 g di aceto di vino bianco 100 g di olio extravergine d’oliva 30 g di rosmarino, prezzemolo, basilico, salvia 2 spicchi d’aglio | sale e pepe

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allevamento del coniglio è molto popolare in Piemonte, dalla celebre realtà di Carmagnola, con tanto di razza autoctona, alle innumerevoli fattorie che hanno trovato sempre spazio per questi simpatici roditori. Così è anche per Alessandria, nella fascia di pianura detta Fraschetta, punteggiata da tanti paesini di campagna, che un tempo facevano a gara per rifornire la città di ortaggi e di carni di bassa corte. Oggi le cose non sono più così idilliache, ma i buoni produttori, a saperli cercare, non mancano. 8


Analogo è il discorso per il peperone, che giunge in Piemonte nel Seicento grazie agli storici contatti tra casa Savoia e i Borboni. Numerose, le produzioni d’eccellenza, dal Quadrato d’Asti al Corno di Bue di Carmagnola, ed anche le ricette che esaltano le loro caratteristiche. Come in questo caso, dove la carne di coniglio, che ricorda gradevolmente i trascorsi selvatici della specie, trova contraltare nell’aroma intenso e nella vena piccante di questo ortaggio. Pulite il coniglio privandolo anche della testa e dei fegatini; tagliatelo a pezzi e fatelo rosolare in una casseruola con metà dell’olio e uno spicchio d’aglio. Aggiungete il vino bianco, salate e pepate, portando a tre quarti di cottura; se il fondo dovesse restringersi troppo, aggiungete un po’ di brodo. In una seconda casseruola mettete l’olio e lo spicchio d’aglio restanti, e a fuoco moderato, stemperando con un mestolo di legno, fate sciogliere le acciughe, preventivamente dissalate. Aggiungete la cipolla affettata e il sedano tagliato a bastoncini, lasciando prendere colore a fuoco moderato. Mondate i peperoni e tagliateli a falde, quindi aggiungeteli al soffritto lasciando rosolare; bagnate con l’aceto lasciando sfumare, quindi aggiungete la passata di pomodoro. Quando i peperoni saranno all’incirca a metà cottura, aggiungeteli al coniglio assieme al trito di erbe aromatiche e lasciate sul fuoco fin quando il pezzo di carne più consistente non sarà perfettamente cotto all’osso.

Vino consigliato: Dolcetto D’acqui Doc 9


Piemonte - Belgirate

Hotel Milano di Ovidio Mugnai

Filetto di salmerino gratinato Ingredienti per 4 persone

4 filetti di salmerino | 4 pomodori | 4 zucchine 100 g di formaggio Grana Padano Dop giovane rosmarino | salvia | burro Per la vellutata di pesce: 10 g di burro | 10 g di farina bianca 150 g di brodo di pesce | 1 tuorlo d’uovo | pepe bianco Per la guarnizione: 80 g di fagiolini lessati | 4 fette di pancetta

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l salmerino è un pesce d’alto rango, della stessa famiglia dei salmoni come suggerisce il nome, ma inconfondibile per l’appariscente livrea: dorso blu chiaro; fianchi verdastri punteggiati di piccole macchie rosse o giallo arancioni; ventre rosseggiante e pinne evidenti quando il maschio va in amore. La denominazione scientifica, Salvelinus alpinus, conferma che è specie indigena delle nostre montagne, dove abita i laghi dalle acque cristalline e fredde, in alta quota, alla soglia dei ghiacciai, ma anche i laghi prealpini, come il Maggiore. Un pesce molto 10


esigente, dunque, anche quando viene allevato, e così spiega la straordinaria qualità delle sue carni, rosa e delicate, che i cuochi reputano di gran lunga migliori della trota salmonata. Quanto alla ricetta, preparate innanzitutto la vellutata di pesce: fate fondere il burro in una casseruola dal fondo spesso; amalgamate la farina senza che il composto abbia a prendere colore; aggiungete un mestolino di brodo di pesce freddo e, mescolando, lasciatelo assorbire in modo omogeneo; attendete il bollore e aggiungete altro liquido a più riprese, sempre con la stessa procedura; alla fine, fuori dal fuoco, aggiungete il tuorlo d’uovo, mescolando velocemente; aggiustate di sale e pepe e lasciate sobbollire ancora per un minuto. Spellate i filetti di salmerino e infarinateli leggermente; poi date metà cottura ad ambo i lati del pesce in una padella con poco olio e burro, salvia e rosmarino, regolando infine di sale e pepe. A crudo nel frattempo riducete i pomodori a sottili rondelle e le zucchine a fiammifero; salate e spadellate separatamente le verdure per un minuto senza condimento. Disponete sui filetti di pesce prima le rondelle di pomodoro in bell’ordine, poi la julienne di zucchine, quindi versate un mestolo di vellutata di pesce e completate con una spolverata di formaggio grana grattugiato. Infornate quel tanto che basta per la gratinatura. Servite su un piatto di bella foggia, guarnendo con un mazzetto di fagiolini ripassati in padella con poco burro dopo averli avvolti in una fettina di pancetta.

Vino consigliato: Nebbiolo Rosato delle Colline Novaresi Doc 11


Piemonte - Belgirate

Hotel Villa Carlotta di Ovidio Mugnai

Risotto con filetti di lavarello Ingredienti per 4 persone

4 lavarelli freschi (300 g cad) | 300 g di riso Carnaroli 90 g di burro | 50 g di Parmigiano Reggiano 1 bicchiere di vino bianco secco 1 litro di brodo vegetale | farina bianca prezzemolo | pepe bianco

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uesto piatto, di grande tradizione, esalta due prodotti condivisi tra Piemonte e Lombardia: il pesce del lago Maggiore e il riso della Lomellina. Il primo riferimento è per il lavarello, altrimenti detto coregone, pesce dal corpo slanciato e dalla colorazione argentea, lungo 30-40 cm, tipico delle acque lacustri continentali, dove vive in profondità nutrendosi di piccoli organismi animali. Introdotto nelle nostre acque ai primi del Novecento, si è perfettamente acclimatato e la bontà delle sue carni, bianche e magre, di sapore delicato, ne hanno fatto uno dei protagonisti della buona tavola dei laghi prealpini. 12


Quanto al riso, il Carnaroli è una delle varietà d’eccellenza della produzione italiana. Unanime è il consenso che raccoglie in materia di risotti: chicco lungo, per dare tono raffinato al piatto; elevato contenuto di amido, che si traduce in una naturale predisposizione alla mantecatura; ottima tenuta alla cottura, perché il piatto si mantenga a consistenza perfetta dalla prima all’ultima forchettata. Un risotto, tra l’altro, che fa piatto unico, dimostrando come la saggezza della tradizione trovi riscontro nei più recenti dettami alimentari. Innanzitutto sfilettate i lavarelli, utilizzando gli scarti nobili per preparare un brodo di pesce: mettete sul fuoco un litro di brodo vegetale, al quale aggiungere la testa e la lisca del pesce; fate ridurre il liquido di un terzo, filtratelo e tenetelo a disposizione su fuoco basso. Versate il riso in un tegame a fondo spesso e portatelo a cottura in un quarto d’ora con aggiunte di brodo al bisogno. Nel frattempo infarinate i filetti di lavarello e passateli in padella con poco burro e due foglie di salvia, facendoli dorare a fuoco vivo su entrambi i lati; bagnate con il vino bianco, aggiungete 30 grammi di burro e del prezzemolo tritato, regolando il sapore con sale e pepe. Mantecate il risotto con il burro restante e il formaggio grattugiato, lasciando riposare qualche istante sotto coperchio. Quindi impiattate, depositando due filetti di pesce a testa su un letto di risotto; come rifinitura cospargete ad arte il fondo di cottura.

Vino consigliato: Arneis del Roero Doc 13


Piemonte - Cuneo

Ristorante “Lovera dal 1939” di Stefania e Giorgio Chiesa

Ravioles della valle Varaita servite nel fujot Ingredienti per 6 persone

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1 kg di patate di montagna 350 g di toma fresca 2 uova Grana Padano Dop grattugiato burro

uesto Piatto del Buon Ricordo porta dritto nel cuore delle Valli Occitane, termine geografico che si riferisce all’antica lingua ‘d’oc’, la parlata romanza che nel Medioevo venne usata dai trovatori della Provenza per un’importante produzione letteraria. È una lingua decaduta di fronte alla lingua ‘d’oeil’, da cui sarebbe derivato il francese moderno, ma pur sempre viva nella fascia geografica che ancor oggi viene definita Occitania. In territorio italiano questo distretto linguistico interessa le 13 valli piemontesi aperte a ventaglio alle spalle di Torino e Cuneo. Attorno al Monviso sono d’etnia occitana la Val Pellice (Torre Pellice), la Val Po (Crissolo) e la Val Varaita (Sampeyre). 14


Molto particolari sono le tradizioni gastronomiche di queste genti che fondano la propria cucina sui prodotti tipici delle Alpi, ma conservano anche memorie d’usanze provenzali, da una certa predilezione per l’aglio al frequente impiego delle acciughe salate che erano tradizionale oggetto di commercio ambulante. Di questa cornice folclorica fa parte anche il ‘fujòt’, il fornellino di terracotta che viene posto al centro della tavola o a disposizione del singolo commensale per mantenere in caldo salse e vivande, come nel caso più noto della ‘bagna cauda’ piemontese. Lessate le patate in acqua salata; scolatele, pelatele e passatele al setaccio o nello schiacciapatate. Unite la purea ottenuta alla farina, già disposta a fontana sulla spianatoia; aggiungete la toma sminuzzata e poi le uova; salate e lavorate con cura fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo. Tagliatene dei pezzi e ricavate dei rotolini dello spessore di un dito mignolo; riduceteli a tocchetti, quindi ripassateli tra le mani infarinate modellandoli a spoletta, perché possano dirsi ‘ravioles’. Portate a bollore abbondante acqua salata e versate, pochi per volta, questi gnocchi; non appena tornano a galla, scolateli e condite con burro fuso e abbondante spolvero di grana padano grattugiato. Mettete le ‘ravioles’ nel ‘fujòt’ riscaldato in forno; accendete il lumino e portate in tavola.

Vino consigliato: Pelaverga delle Colline Saluzzesi Doc 15


Piemonte - Cuneo

Ristorante delle Antiche Contrade di Stefania e Giorgio Chiesa

Insalata tiepida di gallina bianca di Saluzzo, salsa tonnata e chicchi d’uva Ingredienti per 4 persone

4 petti di gallina bianca di Saluzzo olio extravergine d’oliva monocultivar Taggiasca 50 g di sale calibrato | pepe bianco Per la tinta di rapa rossa: 400 g di rapa rossa | 50 cc di acqua minerale Per le chips di polenta: 125 g di farina di mais per polenta 50 g di acqua minerale | 3 g di sale | pepe nero Per la guarnizione: uva bianca | salsa tonnata insalatine miste | brodo ristretto di gallina

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e la lista degli ingredienti è una dichiarazione d’intenti a favore di una cucina del territorio, la cottura minimalista anticipa i sensi di una filosofia culinaria tanto essenziale quanto raffinata. Si consideri innanzitutto la gallina, che non è un volatile qualsiasi, ma un esemplare di Bianca di Saluzzo, razza rustica di media 16


taglia, tutt’oggi allevata a terra con becchimi tradizionali. Unico ornamento della sua carne è un olio extravergine d’oliva che arriva d’oltregiogo, dall’Imperiese, culla dell’oliva Taggiasca, che conferisce al prodotto del frantoio aroma fruttato dolce, con sentori di erbe selvatiche, mandorlo e pinolo. Ogni dettaglio è studiato con analoga ispirazione, anche la salsa tonnata, che è ulteriore richiamo agli antichi commerci tra Liguria e Piemonte. Con ampio anticipo tagliate la rapa rossa a cubetti regolari da un centimetro di lato e frullatela con l’acqua minerale fino a ottenere una crema liscia e omogenea; lasciate decantare per almeno 6 ore a una temperatura di 6 gradi, dopo di che procedete a ridurre il liquido sino alla concentrazione desiderata. Al momento portate a ebollizione l’acqua e versate a pioggia la farina gialla, lasciando su fuoco moderato per almeno 35 minuti; stendete la polenta tra due fogli di carta da forno e fate asciugate le chips per 12 minuti a 120 gradi. Prendete i petti di gallina bianca di Saluzzo e sigillateli in un sacchetto da sottovuoto con l’olio extravergine d’oliva di Taggiasca, il sale calibrato e una spolverata di pepe bianco; predisponete il forno per una cottura a vapore, 35 minuti a 65 gradi di temperatura. A questo punto avete tutti gli elementi per assemblare il piatto. Spennellate il fondo con la tinta di rapa rossa; adagiate in modo armonioso il petto tiepido di gallina e a fargli da cornice una chips di polenta, una cucchiaiata di salsa tonnata, delle insalatine miste croccanti, qualche acino d’uva bianca pelata e liberata dai semi. Completate, salsando con un po’ di ristretto di gallina. Vino consigliato: Pelaverga delle Colline Saluzzesi Doc 17


Piemonte - Neive

La Contea di Claudia e Tonino Verro

Coda di vitella piemontese brasata al Barbaresco Ingredienti per 4 persone

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2 code di vitello 2 cipolle chiodate di garofano e cannella 2 carotine | 2 coste di sedano | 5 spicchi d’aglio 1 l di vino Barbaresco | olio extravergine d’oliva sale e pepe

l nome di Neive evoca immediatamente i paesaggi delle Langhe, dai vigneti dei suoi grandi vini rossi, nella fattispecie del Barbaresco, alle terre dei bovini della monumentale razza Bianca Piemontese. Due pezzi da novanta, che si ritrovano in un brasato che è un classico della cucina piemontese. Singolare è la scelta di un taglio, la coda, che tecnicamente rientra, assieme a trippe e altre frattaglie, nel ‘quinto quarto’, ovvero tra le carni di infima categoria, un tempo destinate al consumo più popolare. Il vero gourmet, invece, sa che sono un tesoro di sapore tutto da scoprire. Specie la coda, ricca di parti gelatinose. Non a caso un vecchio detto piemontese dice: “la carne attaccata all’osso 18


così come il formaggio vicino alla crosta è la parte più buona da mangiare”; la coda è null’altro che carne ed ossa insieme ed ha un sapore davvero speciale. Quanto alla marinatura nel vino, occorre sottolinearne i vantaggi: di consistenza, perché la carne risulterà ancor più morbida, e di sapore, che si arricchisce di quegli aromi che fanno grande il Barbaresco. Infine, la cottura lenta nello stesso liquido: si dice ‘brasare’ perché in origine avveniva ponendo la casseruola nel camino, a contatto con la brace: lateralmente, ma talvolta anche sul coperchio, che era concavo proprio a questo scopo e pesante per trattenere i vapori il più possibile. Tagliate le code a pezzi affondando il coltello nelle giunture. Picchiettate le cipolle con chiodi di garofano e pezzetti di cannella in stecca. Spezzettate anche sedano e carote. Versate il vino in una casseruola, aggiungendo carne, verdure, profumi, sale e pepe quanto basta. Lasciate marinare per almeno 12 ore, girando la carne per esser certi che sia bene intrisa del vino; alla fine scolate il contenuto, sia carne che verdure, e mettete sul fuoco avviando la cottura su un fondo d’olio extravergine. Dopo una prima rosolatura, abbassate la fiamma e portate a cottura in forno a bassa temperatura, finché la carne non si disferà solo a toccarla; aggiungente poco alla volta il vino della marinata e del normale brodo se questa non bastasse. Alla fine passate al setaccio verdure e fondo di cottura; impiattate suddividendo i tocchi di coda tra i commensali e salsate generosamente.

Vino consigliato: Barbaresco Docg 19


Liguria - Albenga

Ristorante Il Pernambucco di Luciano e Ivana Alessandri e Nicoletta Pellegrinetti

Lattughe ripiene Ingredienti per 4 persone

8 cespi di lattuga cappuccia 200 g di carne di vitello magra 50 g di filone e poppa di vitello 4 uova | 1 mazzetto di bietoline | 1 cipolla 1 costa di sedano | 1 carota | 1 spicchio d’aglio Parmigiano Reggiano | mollica di pane ½ l di brodo di carne | olio extravergine d’oliva maggiorana | prezzemolo | noce moscata | pepe

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h leitûga, çibbo inscipido, dimme ûn pö comme ti peu divventâ gustosa e sapida e ciù bonn-a de i ravieu…”, – questo l’incipit di una poesia dialettale genovese, – “O lattuga, cibo insipido, dimmi un po’ come puoi diventare gustosa e saporita e più buona dei ravioli...” Fonte d’ispirazione del poeta Nicolò Bacigalupo è un piatto di antica tradizione ligure, le lattughe ripiene, previste in versione di magro, di origine monastica, 20


prescritte per il pranzo pasquale, ma peraltro molto popolari nella cucina d’entroterra, e in una versione di carne, di origini borghesi, che compare nei ricettari fin dal Settecento. Un chiarimento riguarda il tipo di lattuga adatta a questa preparazione: tra le tante varietà si scelga la ‘cappuccia’, idonea al ripieno per via delle grandi foglie. Mondate i cespi di lattuga, date loro un colpo di bollore e lasciateli sgocciolare bene su un panno. Tritate un pezzo di cipolla, uno spicchio d’aglio, un po’ di sedano e carota, e le foglioline di un ciuffo di prezzemolo. Versate un fondo d’olio in una padella e soffriggete gli aromi, quindi rosolate le carni e portatele a cottura aggiungendo il poco brodo necessario. Versate il tutto sul tagliere e tritatelo con le foglie di bietola e la mollica di pane bagnata con il latte e l’olio del soffritto. Amalgamate al composto le uova e una presa di formaggio grattugiato; aromatizzate con maggiorana, noce moscata e pepe, quindi regolate di sapore con poco sale. Usate l’impasto per farcire le lattughe, legandole a giri di spago bianco da cucina. Adagiate le lattughe nel brodo, che avrete nel frattempo portato a bollore, lasciandole cuocere per una decina di minuti. Servite in brodo, completando con una spolverata di formaggio grattugiato.

Vino consigliato: Pigato della Riviera Ligure di Ponente Doc 21


Liguria - Genova

Ristorante Gran Gotto della Famiglia Bertola

Brandade di stoccafisso Ingredienti per 4 persone

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700 g di stoccafisso bagnato 200 g di patate 2 spicchi d’aglio prezzemolo olio extravergine d’oliva

nnanzitutto, una precisazione sullo stoccafisso: questo termine indica il merluzzo essiccato, proveniente per lo più dall’arcipelago norvegese delle Lofoten; è prodotto inconfondibile per leggerezza e rigidità, da cui l’appellativo di ‘stockfish’, pesce bastone, italianizzato come s’è già detto. Diverso e meno pregiato è invece il baccalà, sempre merluzzo del Nord Atlantico, ma conservato sotto sale (anche se poi tra i due termini, specie nei dialetti, c’è un certo scambio di ruoli). Per questa ricetta, e su questo non c’è dubbio, serve ‘stocco’ della migliore qualità. L’epoca d’oro dello stoccafisso è stato il Medioevo e Genova fin da allora è stata uno dei suoi principali 22


punti di diffusione in Italia, come ricorda la ricetta cittadina dello stocco ‘accomodato’, con patate, pomodori, olive taggiasche, pinoli e aglio. Altro piatto molto popolare nella Riviera di Ponente e in particolare a San Remo, è invece lo stocco ‘brandacujon’, che nel nome rimanda alla ‘brandade’ provenzale, nella quale il pesce viene bollito, sminuzzato e sbattuto con aggiunta d’olio fino a ridurlo in crema, come peraltro accade nella mantecatura alla veneziana. Quanto alla ricetta ligure, non si può ignorare il riferimento allo sbattimento di certi attributi maschili. Due sono le interpretazioni: la prima, più letterale, che ci si riferisca alla zona d’appoggio della pentola durante il mescolamento indispensabile per la cremosità del composto; la seconda, ancor più maliziosa, che il ‘cujon’ in oggetto sia il malcapitato cui affidare questo compito di scarso concetto, come vorrebbe l’adagio “branda, cujon, che ciu ti u brandi, ciu u l’è bon!”, “sbatti, sciocco, che più lo sbatti, più è buono”. Nel pratico è preparazione essenziale. Fate bollire per mezz’ora lo stoccafisso assieme alle patate intere pelate. Spinate il pesce liberando la polpa di ogni impurità, sminuzzatelo e passatelo in tegame con l’olio e un trito d’aglio e prezzemolo; aggiungete le patate tagliate a fette e nel giro di un’altra mezz’ora, a fuoco lento, lavorando costantemente con un mestolo di legno, il composto dovrà acquistare una consistenza cremosa. Impiattate la brandade ancora calda con un crostino di pane, un ciuffetto di erba cipollina per decorazione e un filo d’olio extravergine d’oliva. Vino consigliato: Vermentino della Riviera di Ponente Doc

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Liguria - Genova Nervi

Trattoria Patan di Anna D’urso

Ciupin - Zuppa di pesce alla genovese Ingredienti per 6 persone

1 kg di pesce misto, non pregiato 6 pesci di scoglio da porzione (scorfano, gallinella, rana pescatrice, grongo) | 200 g di cannocchie e/o crostacei vari 200 g di seppie tagliate a striscioline 1 ciuffo di prezzemolo | 1 cipolla tritata finemente 3 acciughe salate | 2 spicchi d’aglio | 4 pomodori maturi, pelati e tagliati a cubetti | 1 bicchiere di vino bianco ligure olio extravergine d’oliva ligure 6 gallette del marinaio | pepe

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e non è zuppa, è pan bagnato”, recita l’adagio volendo sottolineare il piacere che viene dall’intingere il pane in un piatto succulento. La considerazione acquista particolare significato nella cucina di mare, che in navigazione non può certo far conto sul pane casereccio. Il discorso torna ancora una volta ai brodetti di pesce che in passato si preparava in navigazione, riunendo in una pentola di terracotta il pesce d’improbabile vendita. Nel piatto, per far zuppa, si sbriciolava una galletta, ovvero del pane 24


biscottato di lunga conservazione, per così dire ‘gagliardo’ come suggerisce l’etimo. Nella cucina ligure sono diversi i piatti che lo prescrivono come ingrediente: dal popolarissimo ‘bagnùn’ d’acciughe al signorile ‘cappon magro’, come a sottolineare che in cucina non ci sono pregiudizi. Prendete una pentola a bordo alto e scaldate un fondo d’olio extravergine nel quale far prendere colore a un trito d’aglio, cipolla e prezzemolo. Aggiungete il pesce economico, mescolate e a fuoco vivo lasciate che il soffritto faccia il suo dovere. Aggiungete un litro d’acqua, riportate a bollore e abbassate la fiamma lasciando proseguire così. Nel frattempo prendete una seconda pentola e preparate analogo soffritto, al quale aggiungere i pomodori, che avrete pelato e tritato a cubetti. Mettete sul fuoco anche la seppia tagliata a striscioline e fate assorbire i liquidi a fiamma viva; poi è la volta di mezzo bicchiere di vino e dei crostacei; di seguito, versate mezzo litro d’acqua, fate alzare nuovamente il bollore e lasciate cuocere per un quarto d’ora. Filtrate il brodo della prima pentola e aggiungetelo alla seconda, lasciando evaporare a fuoco moderato fino a densità desiderata. È questo il momento di aggiungere i pesci da porzione, lasciando sul fuoco per altri cinque minuti a contenitore coperto, senza far nulla che possa rovinarne le carni delicate. Predisponete i piatti ponendo sul fondo delle gallette; aggiungete il pesce da porzione con tutte le attenzioni del caso e bagnate con abbondante brodetto, benedicendo infine il ciupin con un giro d’olio extravergine. Vino consigliato: Bianco del Golfo del Tigullio Doc 25


Liguria - Genova Quarto

Antica Osteria Del Bai di Gianni Malagoli

Totani ripieni di gamberi con polentina di fave Ingredienti per 4 persone

12 totani | 200 g di gamberi sgusciati 4 gamberoni | 2 uova | 1 cipolla 30 g di pangrattato | 1 bicchiere di vino bianco secco 1 cucchiaio di salsa di pomodoro olio extravergine d’oliva | timo | pepe Per la polenta di fave: 50 g di fave secche (200 g se fresche) | 1 patata

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l totano e il calamaro sono due molluschi molto simili: il primo si distingue per le maggiori dimensioni, il colore violaceo e l’appariscente pinna a punta di freccia. Nello specifico di questa ricetta è importante sapere che in Liguria si dice totano ma si pensa al calamaro, che non pochi considerano migliore per morbidezza e sapore. Sia quel che sia, la ricetta deve il suo successo alla pazienza che i liguri dimostrano nel far ripieni, dalle lattughe alle cozze. Quanto alle fave, sono legumi di antichissima coltivazione, ancor oggi molto utilizzati nella cucina del Mediterraneo: non fa eccezione 26


la Liguria, dove la fava è detta ‘bazann-a’, per via del grosso baccello, e fresca di raccolto la si mangia col pecorino, senza dimenticare le tante ricette che la richiedono, dalle trofie allo stoccafisso, e quel particolarissimo pesto alla menta che va sotto il nome marò. Pulite ed eviscerate i totani. Tagliate a pezzi le teste e fatele cuocere per una decina di minuti in una padella nella quale avrete fatto rosolare il trito della cipolla. Aggiungete i gamberetti sgusciati e lasciate sul fuoco per pochi minuti ancora. Tritate quanto avete appena cotto, amalgamandolo in una terrina alle uova e al pangrattato; aromatizzate con una presa di timo tritato e una spolverata di pepe, salando quanto basta. Con questa farcia riempite i totani per tre quarti chiudendoli con uno stecchino; passateli in un tegame con un fondo d’olio e fateli rosolare a fiamma viva, lasciando sfumare un bicchiere di vino bianco. Aggiungete un cucchiaio di pomodoro, mettete il coperchio e lasciate cuocere a fuoco lento per una decina di minuti. Nel frattempo lessate le fave, precedentemente ammollate se secche, e la patata, che avrete sbucciato e tagliato a pezzi; passate il composto al mixer e aggiungete dell’olio a filo, sempre mescolando, in modo da ottenere una crema morbida e omogenea; passatela al setaccio, mettetela sul fuoco fino al bollore e solo a questo punto regolatela di sale. A cottura completa, liberate i totani dallo stecchino e impiattate adagiandoli su un letto di polentina, sgocciolando a bella posta il sugo di cottura dei molluschi; come guarnizione, un gamberone bollito. Vino consigliato: Bianco delle Cinque Terre Doc 27


Liguria - Portovenere

Ristorante Dei Poeti del Royal Sporting Hotel di Abramo Prandi

Ravioloni con pescato del Golfo e ragù di calamari Ingredienti per 6 persone

Per la pasta: 300 g di farina 00 100 g di calamari frullati a crudo | 1 uovo intero e 4 tuorli olio extravergine d’oliva Per il ripieno: 300 g di polpa sfilettata di orata, branzino e gallinella | 1 mazzetto di erbe aromatiche 1 pomodoro | Parmigiano Reggiano | pepe Per il ragù: 100 g di calamari | 150 g di seppie 1 costa di sedano | 1 carotina | 2 scalogni 2 spicchi d’aglio | 1 l di brodo di pesce | farina bianca vino bianco secco | passata di pomodoro Per la guarnizione: 12 code di gambero bollite 6 filetti di calamaro | verdure di stagione

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ravioli sono vera specialità ligure: di carne, di patate, di ricotta ed erbette, sempre profumatissimi, conditi con burro e salvia, ragù 28


o salsa varie, di noci o di funghi per esempio. Di tradizione più recente sono quelli di pesce, ma prontamente acquisiti dalla cucina tipica. Nella fattispecie della ricetta il Golfo di cui si parla è quello dei Poeti, che spazia da Portovenere a Lerici e abbraccia La Spezia. Fondali alquanto vari, ma soprattutto di roccia, ai quali corrisponde una fauna ittica specifica. Perciò quando il cuoco dice ‘pescato del Golfo’ pensa a un misto nel quale non mancheranno mai l’orata, il branzino e la gallinella. Dunque, amalgamate gli ingredienti per la pasta e tirate una sfoglia dello spessore consueto per i ravioli. Riducete a dadini i filetti di pesce e insaporite con sale, pepe e un trito di aromi; aggiungete qualche cubetto di pomodoro, una manciata di formaggio grattugiato e un filo d’olio d’oliva. Distribuite il ripieno sulla sfoglia in modo da ottenere 18 bei ravioloni rotondi, 3 per commensale. Tritate carota, sedano, aglio e scalogno, e mettete sul fuoco su un fondo d’olio. A questo soffritto aggiungete il composto di calamari e seppie passati al tritacarne con il disco grosso; versate due cucchiaiate di farina bianca, lasciate sfumare un bicchiere di vino bianco e cominciate a bagnare con il brodo di pesce. A cottura completa, aggiungete passata di pomodoro a piacere e quanto basta di sale e pepe. La consistenza finale dev’essere analoga a quella di un ragù di carne. Lessate i ravioli e adagiateli nei piatti, sul fondo dei quali avrete versato un mestolo di ragù. Guarnite con un paio di code di gambero, striscioline di calamaro spadellate e verdure miste, come suggerito dalla stagione. Vino consigliato: Bianco delle Cinque Terre Doc 29


Liguria - Recco

Ristorante Manuelina della Famiglia Carbone

Corzetti dei Fieschi alle quattro stagioni Ingredienti per 4 persone

Per la pasta: 500 g di farina 00 | 1 uovo | sale Sugo all’ortolana: verdure novelle Parmigiano Reggiano grattugiato Sugo alle erbe: maggiorana | basilico | salvia | origano, sedano | timo. Sugo alla boscaiola: funghi porcini freschi. Sugo alla frantoiana: pasta di olive | olive nere Taggiasche, salsa di pomodoro | acciughe salate

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corzetti sono una pasta tipica del Genovesato, con particolare riferimento all’entroterra di Chiavari, antico feudo della famiglia dei Fieschi. Di semplice impasto, sono inconfondibili per la forma, a medaglione, e la decorazione, impressa con appositi timbri. Il nome, infatti, deriva dall’antica usanza propiziatoria di segnarli con una croce, donde il termine originario di ‘croxetto’. In seguito, le famiglie nobili vollero distinguersi anche in questo caso, imprimendo sulla pasta il proprio stemma nobiliare. Per 30


la stampigliatura si usavano veri e propri timbri in legno duro – pero, melo, faggio, acero – che nel tempo sono diventati oggetto di uno specifico antiquariato. Per la pasta tirate una sfoglia come di consueto per le lasagne. Poi ricavate i corzetti con l’apposito timbro (o in mancanza di questo con un copapasta del diametro di 5 centimetri). Una volta lessata la pasta, impiattate distribuendo il condimento a strati: la soluzione più tradizionale era il burro fuso con maggiorana e pinoli, completando con una spolverata di quel formaggio grana che giungeva dalle valli emiliane. Volendo onorare le quattro stagioni, si possono invece preparare sughi specifici, abbinando poi vini di adeguata intensità. Per la primavera si propone un sugo all’ortolana di verdure novelle, bollite e ripassate in padella con olio d’oliva e formaggio grana grattugiato; per un risultato ottimale, si cuociano i corzetti nell’acqua di cottura delle verdure. Per l’estate vale l’idea di una sorta di pesto preparato con varie erbe aromatiche, dalla maggiorana al timo, naturalmente appena colte. Per l’autunno è di prammatica un sugo alla boscaiola, con funghi porcini, specifica ricchezza delle valli tra la Liguria e l’Emilia. Per l’inverno, infine, una salsa d’ispirazione frantoiana, con le locali olive Taggiasche, snocciolate e in pasta, e il tocco di colore del pomodoro.

Vino consigliato: Primavera: Vermentino dei Colli di Luni Doc

Estate: Pigato di Albenga Doc

Autunno: Ormeasco di Pornassio Doc

Inverno: Ciliegiolo del Golfo del Tigullio Doc 31


Liguria - San Cipriano di Serra Riccò

Ristorante Ferrando di Piero Ferrando

Vitella a oxelletto Ingredienti per 4 persone

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8 fettine di scamone di vitello piuttosto sottili 400 g di patate 20 g di pinoli 4 spicchi d’aglio 4 foglie d’alloro vino bianco secco olio extravergine d’oliva

a curiosità è immediata. Che cosa vuol dire ‘a oxeletto’? La risposta potrebbe venire da Pellegrino Artusi, il celebre gastronomo di fine Ottocento, autore de «La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene». Citando la ricetta fiorentina dei fagioli all’uccelletto, lascia intendere che si tratta di una preparazione ‘a guisa di uccellini’, come se il cacciatore andato in bianco potesse consolarsi con un piatto che per sostanza e profumo li ricorda. E poi, non ci sono tante ricette di ‘uccelli scappati’, dove per farne surrogato sullo spiedo s’infilano in successione pezzetti di carne, fegato, lardelli e foglie di salvia? 32


Ecco, forse in tal senso vanno interpretati questi bocconcini di vitella, innervati dall’aroma dell’aglio e dell’alloro. A Serra Riccò c’è una Festa dei Cacciatori, che a fine agosto tiene alta la sua tradizione venatoria e dunque conforta questa ipotesi. Quanto al taglio di carne, lo scamone è muscolo pregiato tra coscia e lombata, magro e tenero, ideale per farne scaloppe e come in questo caso fettine ancor più delicate. Da non sottovalutare, il dettaglio dei pinoli, che nella cucina ligure ricordano sempre quanto sia vicino il mare. Prendete le fettine di scamone e tagliatele a fettucce disuguali. Scaldate in padella un fondo d’olio, nel quale soffriggere l’aglio con le foglie d’alloro spezzate e l’aggiunta di un bicchiere di vino bianco. Quando gli spicchi d’aglio avranno preso colore toglieteli dal fuoco, sostituendoli con la carne, che andrà rosolata a fuoco molto vivo; salate, aggiungete una presa di pinoli e bagnate con altro vino, lasciando sfumare. È il momento delle patate, che nel frattempo avrete sbucciato e tagliato a bastoncini sottili. Abbassate la fiamma, incoperchiate e portate a cottura regolando ancora di sale alla fine. Desiderando una pietanza ben asciutta, togliete il coperchio quanto basta per restringere il fondo. In alternativa alle patate, si possono offrire contorni di stagione, come carciofi o funghi.

Vino consigliato: Rossese di Albenga Doc 33


Lombardia - Bergamo Alta

Taverna del Colleoni e dell’Angelo di Pierangelo Cornaro

Guancetta di vitellino al profumo di cacao con polentina morbida al Taleggio Ingredienti per 6 persone

1200 g di guancia di vitello magra 100 g di carote | 150 g di sedano verde 100 g di cipolline dorate | 3 spicchi d’aglio 1 mazzetto guarnito: timo, alloro, prezzemolo, salvia ½ litro di vino Rosso della Valcalepio Doc concentrato di pomodoro | Olio extravergine d’oliva del lago d’Iseo | chiodi di garofano | pepe Per la fonduta: Taleggio di grotta | 1 bicchiere di latte Per la polenta: 500 g di farina gialla bramata

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el cuore di Bergamo Alta troviamo questa ricetta d’autore, che chiama in causa un taglio bovino poco noto, la guancia: quand’è di carne rossa, è delizioso pezzo da bollito; quand’è di vitello si presta a più raffinate squisitezze specie se 34


la prolungata cottura a bassa temperatura riesce a estrarne le sostanze gelatinose. Quanto all’impiego del cacao, si consideri che nelle sue terre d’origine gli Aztechi usavano impastarlo proprio con la farina di mais; una singolare circostanza, che qui si ripropone in termini padani con la polenta. Tagliate grossolanamente le verdure e l’aglio, rosolando per una decina di minuti su un generoso fondo d’olio d’oliva; unite le guance e il mazzetto guarnito continuando a fuoco bassissimo per altri 20 minuti. Salate e pepate, bagnate con il vino rosso, riportando a ebollizione; lasciate evaporare per 5 minuti e aggiungete un paio di cucchiai di pasta di pomodoro. Proseguite la cottura per almeno tre ore, a bollore appena accennato e recipiente coperto, aggiungendo acqua tiepida quando il fondo si dovesse asciugare. Passato questo tempo, togliete dal fuoco e lasciate intiepidire senza levare il coperchio. Passate al setaccio il fondo di cottura e le verdure, aggiungete un cucchiaino di cacao amaro e rimettete sul fuoco per una ventina di minuti perché la carne prenda il nuovo sapore. Regolate di sale e pepe, concludendo con un filo d’olio. Lasciate riposare qualche ora prima di servire. Preparate una polentina di farina bergamasca a grana grossa e una fonduta al Taleggio. Impiattate guarnendo con una spolverata di cacao.

Vino consigliato: Rosso della Valcalepio Doc 35


Lombardia - Busto Arsizio

Ristorante I 5 Campanili di Antonio Pagani

Sinfonia bustocca Ingredienti per 4 persone

20 riquadri (15 x 6 cm) di pasta all’uovo 400 g di branzino in filetti 200 g di ricotta | 100 g di Parmigiano Reggiano 100 g di crema di carote | 100 g di crema di zucchine 1 scalogno | qualche pomodoro ciliegino prezzemolo | basilico | erba cipollina | timo olio extravergine d’oliva | pepe

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uesto Piatto del Buon Ricordo va inteso come una Sinfonia delle Quattro Stagioni nel senso che la ricetta non vuole porsi limiti di tempo e fantasia: la versione in oggetto ha per protagonista il branzino, che tuttavia può cedere il ruolo a uno qualsiasi dei migliori pesci a polpa bianca suggeriti dal calendario di pesca; ma il ripieno può anche essere di carne, dal vitello tonnato in versione estiva al brasato o bollito in versione invernale; passando in rassegna, ovviamente tutte le verdure di stagione, dai piselli al radicchio rosso.

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Sbollentate i fazzoletti di pasta in acqua salata e trasferiteli su un telo da cucina, ben distanziati, perché possano asciugare. Per quanto riguarda le due creme, per prepararne piccole quantità è pratico procedere a vista: fate rosolare del burro sul fondo di una pentolina; aggiungete della farina e fatela tostare dolcemente, dopo di che aggiungete del brodo e la verdura a pezzetti; portate a cottura, togliete dal fuoco e frullate; aggiungete un po’ di panna e di rosso d’uovo, a seconda della ricchezza desiderata, e regolate di fluidità con aggiunte di brodo o un pizzico di maizena. Al momento rosolate due spicchi di scalogno; aggiungete il branzino a tocchetti, salate e lasciate soffriggere a fuoco moderato con un po’ di timo. Togliete dal fuoco e lasciate raffreddare; aggiungete la ricotta e il formaggio grattugiato, lavorando l’insieme con una forchetta fino a ottenere un impasto omogeneo. Versate il ripieno sulla pasta e arrotolatela a cannellone; passate in forno a vapore per 15 minuti; in alternativa usate una pirofila coperta con la stagnola. A questo punto potete assemblare il piatto: versate cinque cucchiaiate di crema di zucchine, deponendovi sopra un cannellone; quindi cinque cucchiaiate di crema di carote, a decorazione del cannellone; tutt’intorno spargete ad arte qualche spicchio di pomodorino e del basilico sminuzzato; a incorniciare il tutto, un giro d’olio extravergine.

Vino consigliato: Bianco Curtefranca Doc 37


Lombardia - Cantù Mirabello

Ristorante Le Querce di Maurizio Luraschi

Ravioli di pesce persico in pasta di pane al burro e salvia Ingredienti per 4 persone

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Per la pasta: 500 g di farina bianca 50 g di lievito | 1 uovo olio extravergine d’oliva | sale Per il ripieno: 500 g di filetti di pesce persico 200 g di cipolla | 20 g di burro | 1 foglia d’alloro vino bianco secco | noce moscata | pepe

l persico reale (Perca fluviatilis) è uno dei pesci di lago più apprezzati dalla cucina lombarda. Dal vivo è inconfondibile: taglia media, colore verde striato, pinna dorsale spinosa, coda e pinne ventrali arancioni, fisionomia aggressiva da predatore qual è, ragion per cui ha carni eccellenti e ricercate. Tradizionale piatto dei laghi lombardi è il risotto con i filetti di pesce persico, benedetto da un’abbondante dose di burro e salvia, evidente fonte d’ispirazione per questa ricetta di ravioli canturini.

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Il pesce persico si pesca nei grandi laghi con le reti e raggiunge anche i mercati delle grandi città. Attenzione, tuttavia, che da qualche tempo è comparso un fantomatico persico del Nilo, suo lontano congenere, ma di ben poco valore gastronomico. Tagliate la cipolla a bastoncini e fatela rosolare in una casseruola con il burro e una foglia d’alloro spezzata. Quando avrà preso colore dorato, aggiungete i filetti di pesce persico, una grattugiata di noce moscata e un po’ di vino bianco. A cottura ultimata, lasciate asciugare il fondo di cottura prima di passare il tutto al mixer, in modo da ottenere un composto omogeneo e di consistenza adatta a un ripieno. Impastate gli ingredienti per la pasta in una bacinella lavorandoli a lungo facendo in modo di ottenere un composto consistente e perfettamente amalgamato; passatelo alla macchina per la pasta ricavandone una sfoglia di 2-3 millimetri di spessore. Con un copapasta del diametro di 12 millimetri ricavate dei cerchi di pasta. Disponeteli su un piano infarinato, pennellateli con l’uovo sbattuto, distribuite il ripieno e richiudeteli a mezzaluna premendo bene con le dita i lembi perché non abbiano a rilasciare il contenuto in cottura. Dovrete ottenere 12 ravioli, da passare in acqua bollente salata con l’accortezza dovuta alla loro dimensione. Scolateli dopo 10-12 minuti dalla ripresa del bollore. Disponete i ravioli a ventaglio, tre per piatto; conditeli con burro e salvia, e completate con una spolverata di formaggio grattugiato. Vino consigliato: Riesling dell’Oltrepò Pavese Doc

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Lombardia - Cappella de’ Picenardi

Ristorante Locanda degli Artisti di Sergio Carboni

Rizòt a la sùca e salamela Ingredienti per 4 persone

300 g di riso Vialone Nano | 2 salsicce di maiale 100 g di Grana Padano Dop | 100 g di burro | ½ cipolla vino bianco secco | prezzemolo tritato Per la crema di zucca: 300 g di zucca a pezzi | 30 g di amaretti 30 g di mostarda | 300 g di brodo di carne | noce moscata

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uesto piatto è un inno ai sapori della Bassa Lombarda: il riso, la carne di maiale, il formaggio grana e la zucca. Di quest’ultima si raccomanda la varietà Marina di Chioggia, riconoscibile per la forma a turbante e la scorza bitorzoluta di colore verde scuro. Nei secoli passati l’importanza di questo ortaggio nell’alimentazione invernale derivava non solo dalla facilità di coltivazione nelle terre padane, ma anche perché la sua conservazione si protraeva senza difficoltà per vari mesi fornendo materia prima per minestre, risotti e gnocchi. L’abbinamento della zucca alla mostarda e all’amaretto, nella 40


cornice aromatica della noce moscata, rimanda a un’armonia di sapori tipica della cucina rinascimentale. Siamo nelle terre delle antiche corti padane, che se non furono tra le più influenti nella storia d’Italia, tuttavia risaltarono per amore della cultura in ogni sua espressione ed anche sul fronte gastronomico. Nella tradizione locale restano a testimoniarlo i tortelli di zucca, che si basano sulla stessa quaterna d’ingredienti; un tempo piatto di magro tipico della vigilia di Natale, oggi sono fonte d’ispirazione per piatti come questo risotto. Versate il brodo in una pentola e cuocete per una mezz’ora la zucca con gli amaretti e la mostarda, aromatizzando con una grattugiata di noce moscata, quindi frullate il composto fino a ottenere una crema semiliquida omogenea. Tritate la cipolla e fatele prendere colore in casseruola su un fondo di burro; aggiungete il riso, mescolate perché assorba bene il soffritto e avviate a fuoco lento la cottura aggiungendo brodo al bisogno. A parte spellate e tagliate la salsiccia a rondelle, rosolatela in tegame lasciando prima sfumare un po’ di vino bianco e quindi aggiungendo del brodo di modo che nel giro di una decina di minuti possa cuocere; aggiungetela al risotto, incorporate anche la crema di zucca e portate a cottura. Mantecate il risotto con il formaggio grattugiato e quel che resta del burro, badando che la consistenza resti molto cremosa. Impiattate, guarnendo con una spolverata di prezzemolo tritato.

Vino consigliato: Lambrusco Mantovano Doc

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Lombardia - Carate Brianza

Ristorante La Piana di Gilberto Farina

Filettino di maiale gratinato al timo selvatico con tortino di patate e cipollotto Ingredienti per 6 persone

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900 g di filetto di maiale 500 g di patate | 150 g di cipolle bianche 2 dl di salsa demi-glace | 120 g di burro Per la gratinatura: 20 g di timo selvatico | 150 g di pangrattato 1 tuorlo d’uovo 150 g di formaggio Casera Dop semistagionato

un piatto che ricorda le montagne della Valtellina, dove si produce il formaggio Casera Dop e dove nel corso di una passeggiata potrete anche raccogliere del timo selvatico, piccolo arbusto riconoscibile dagli steli striscianti, oltre che dall’aroma intenso e inconfondibile. Ăˆ quello che i vivaisti presentano come timo serpillo.

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Quanto alla demi-glace, si legge che deriva da una salsa spagnola, una delle quattro fondamentali dell’alta cucina, fatta ridurre della metà a calore medio, quindi completata con un po’ di fondo bruno e, fuori del fuoco, con un vino liquoroso secco, in rapporto di 1:10. Già la salsa di partenza è laboriosa, ragion per cui è difficile pensare a livello domestico la preparazione della piccola quantità di demi-glace richiesta dalla ricetta. In alternativa si segnala quello che i francesi chiamano ‘jus liè’, ovvero del sugo di carne leggermente addensato con fecola di patate o altro. Con mezza giornata d’anticipo preparate il composto per la gratinatura: riunite tutti gli ingredienti nella tazza del cutter e azionate le lame fino a ottenere un composto il più omogeneo possibile; avvolgetelo in carta pellicola e compattatelo in un cilindro, che porrete a riposare in frigorifero. Al momento prendete i filetti di maiale e ricavatene 18 medaglioni; fateli rosolare nel burro e poi allineateli su una placca da forno; tagliate una fettina di composto per la gratinatura e adagiatelo su ogni pezzo di carne; passate in forno il tempo necessario. Nel frattempo portate sul fuoco il fondo di cottura con la salsa demi-glace e legate il tutto con una noce di burro freddo. Per il tortino tagliate a cubetti le patate sbucciate e cuocetele in acqua salata; poi mondate e tagliate a fiammifero le cipolle a fatele stufare con poco burro; alla fine rosolate assieme le due verdure. A questo punto potete assemblare il piatto: con l’aiuto di un disco metallico formate al centro un tortino di patate e cipolle; disponete attorno tre medaglioni di filetto e salsate ad arte.

Vino consigliato: Rosso della Valcalepio Doc 43


Lombardia - Corgeno di Vergiate

Ristorante La Cinzianella dei Fratelli Gnocchi

Cartoccio di coniglio e gamberi d’acqua dolce Ingredienti per 4 persone

1 coscia e 1 sella di coniglio | 28 code di gamberi d’acqua dolce | 16 olive Taggiasche | 1 pomodoro di media grandezza | 2 bicchieri di vino bianco secco 4 cucchiai d’olio extravergine d’oliva 4 scorzette di limone verde | 1 mazzetto guarnito (prezzemolo, alloro, timo) | pepe carta da forno e spago da cucina

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iamo sulle sponde del lago di Comabbio e questo piatto rivela una sottile nostalgia per i bei tempi andati, quando ogni fattoria aveva spazio per una conigliera e nei ruscelli erano abbondanti i gamberi di fiume per la gioia dei ragazzini che li catturavano con fiocine improvvisate. Al giorno d’oggi pochi sanno della presenza di crostacei nelle acque dei fiumi italiani. I motivi sono facilmente comprensibili: le abitudini riservatissime di questi abitatori dei greti sassosi, ma soprattutto la loro rarefazione, causata nell’Ottocento da un’epidemia naturale e 44


più recentemente dall’inquinamento nonché dalla maldestra introduzioni di specie antagoniste, come l’ormai famigerato gambero ‘killer’ della Louisiana. Il gambero d’acqua dolce resiste nei corsi d’acqua corrente più integri: misura dai 10 ai 15 centimetri e presenta chele che lo fanno assomigliare a un piccolo astice, salvo il colore che è marrone aranciato. Le carni sono delicatissime e, secondo gli esperti, inconfondibili. Proibita la pesca, il gambero di fiume oggi viene allevato, ma in quantità molto esigue, destinate alla ristorazione d’eccellenza, ragion per cui i comuni mortali per riprodurre questo piatto dovranno rassegnarsi a gamberi di provenienza esotica. Disossate la coscia e la sella di coniglio, tagliate la polpa a tocchetti e passatela in casseruola con due cucchiai d’olio; salate, pepate e fate dorare a fuoco vivo per qualche minuto. Bagnate con il vino bianco, aspettando che si riduca; aggiungete il pomodoro tagliato a cubetti, dopo averlo pelato e liberato dai semi; lasciate sul fuoco fino a tre quarti della cottura. Predisponete quattro fogli di carta da forno di dimensione adeguata e al centro di ognuno mettete un quarto della carne, 7 code di gambero e 4 olive, completando con un po’ di vino bianco e d’olio d’oliva, una scorzetta di limone e un pizzico di erbe fini. Chiudete il cartoccio e infornate per 10 minuti a 180 gradi. Deponete i cartocci sui piatti e apriteli in tavola perché l’aroma sprigionato possa deliziare il commensale.

Vino consigliato: Rosato del Salento Igt 45


Lombardia - Grosio

Hotel Sassella Ristorante Jim di Giacomo Jim Pini

Dadolata di filetto con crema di Bitto Dop e bacetti di segale Ingredienti per 4 persone

400 g di filetto di manzo | 40 g di burro d’alpeggio 4 rametti di timo selvatico | pepe Per gli gnocchetti: 300 g di pane di segale raffermo 200 g di latte | 50 g di farina | 1 uovo 40 g di Parmigiano Reggiano | 40 g di burro 3 foglie di salvia | noce moscata Per la crema: 100 g di formaggio Bitto Dop | latte

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uesto piatto esalta la realtà pastorale della Valtellina, accostando il fior fiore della carne di manzo ai più tipici sapori d’alpeggio: il burro, il formaggio e le erbe di pascolo che li rendono inconfondibili. La ricetta, in particolare, invita a risalire le valli percorse dai due rami del fiume Bitto, alle spalle della città di Morbegno, fin quasi alle falde del Pizzo dei Tre 46


Signori. Qui resiste la tradizionale economia dell’alpeggio, con le mandrie che all’inizio dell’estate raggiungono i pascoli d’alta quota e i pastori che ogni mattina, all’aperto, mantenendo viva una tradizione arcaica, producono un formaggio di latte vaccino e in piccola parte caprino, assolutamente unico nel suo genere. Tagliate il pane di segale e mettetelo in ammollo nel latte; aggiungete la farina, l’uovo e il formaggio grattugiato, amalgamando con cura; regolate di sapore con quanto basta di sale, pepe e noce moscata. La consistenza semidensa del composto dovrà consentire, aiutandosi con un cucchiaio, di lasciarne cadere delle piccole quantità in una pentola d’acqua salata bollente ottenendo dei morbidi gnocchetti; a mano a mano che tornano a galla, recuperateli con un mestolo forato e alla fine spadellateli con burro e salvia. A tempo debito tagliate a cubetti il formaggio Bitto e fatelo sciogliere in un tegame, a fuoco bassissimo o ancor meglio a bagnomaria, aggiungendo il latte che serve per renderlo cremoso. Calcolando bene i tempi, tagliate il filetto di manzo a cubetti di buona dimensione e cuocetelo a fuoco vivace su un fondo di burro aromatizzato con il timo selvatico; completate con una grattugiata di pepe e impiattate la dadolata con i due elementi di contorno che nel frattempo avrete mantenuto al caldo.

Vino consigliato: Valtellina Superiore Docg

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Lombardia - Induno Olona

Ristorante Olona da Venanzio dal 1922 di Venanzio e Chiara Pedrinelli

Aletta di vitello al forno con lardo fresco, rosmarino e flan di zucchine Ingredienti per 4 persone

1 kg di aletta di vitello | 150 g di lardo fresco 100 g di burro | 1 rametto di rosmarino vino bianco secco | brodo vegetale | pepe Per il flan: 300 g di zucchine | 200 g di panna da cucina 4 uova | 1 cipolla | olio extravergine d’oliva

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uesta ricetta dimostra come la perfetta conoscenza dei tagli di carne metta un cuoco in condizione di fare scelte fuori dalla portata dei comuni mortali della cucina. Si consideri la carne bovina, classificata in una ventina di tagli principali, a loro volta ancor più specificamente suddivisi; e si consideri ancora, a parità di taglio, i differenti utilizzi culinari suggeriti dal manzo e dal vitello. Così capita con l’aletta, o ala di spalla, taglio del quarto anteriore che in caso di carne rossa è pezzo da umido o bollito, mentre in caso di carne bianca è delizioso pezzo da 48


arrosto. Fin qui la teoria, perché poi il cuoco ci mette del suo – un soffritto di lardo al rosmarino, nella fattispecie – perché il piatto risulti superlativo. Legate l’aletta di vitello, cospargetela di sale e pepe, quindi fatela rosolare a fuoco vivace in una casseruola, sul fondo della quale avrete posto il burro, il lardo tagliato a dadini e il rosmarino. Quando la carne avrà preso un bel colore, bagnatela con un bicchiere di vino bianco e quando sarà evaporato passate il contenitore in forno a 200 gradi. Durante la prima delle due ore di cottura, bagnate l’arrosto con brodo vegetale, girandolo spesso. Alla fine tagliate la carne a fette piuttosto spesse e usate il fondo di cottura per renderla ancora più attraente. Nel frattempo dedicatevi allo sformato di verdura. Tritate la cipolla e versatene due cucchiaiate a rosolare a fuoco dolce in una modica quantità d’olio d’oliva. Tagliate le zucchine a rondelle e unitele al soffritto; salate, mettete il coperchio e lasciate cuocere dolcemente per un quarto d’ora, poi aspettate che si raffreddino e frullatele. A questa base vegetale amalgamate le uova e la panna, che avrete frullato a parte. Prendete degli stampini d’acciaio a bordo piuttosto alto, imburrateli e riempiteli con il composto; sistemateli per la cottura a bagnomaria e passate in forno a 180 gradi per una mezz’ora. Per verificare il grado di cottura, affondate la punta di un coltello nello sformato; quando la ritirerete asciutta saranno pronti.

Vino consigliato: Rosso delle Terre di Franciacorta Doc

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Lombardia - Livigno

Hotel Chalet Mattias di Mattias Peri

Ravioli di segale ripieni di polenta cuncia con salsa di porcini trifolati e scaglie di grana grosino Ingredienti per unità di misura

Per la pasta: 550 g di farina bianca 450 g di farina di segale macinata fine | 32 rossi d’uovo olio extravergine d’oliva Per la polenta: 1 l d’acqua | 200 g di farina gialla bramata fine | 400 g di formaggi d’alpeggio | 50 g di burro timo selvatico Per il contorno: funghi porcini | prezzemolo aglio | formaggio grana grosino

È

una ricetta creativa, che tuttavia abbina vari elementi tipici della cucina valtellinese. Innanzitutto la pasta, che nasce dall’incontro della farina bianca, un tempo importata dalla pianura, con la farina scura di segale, il cereale coltivato nelle valli alpine. Poi c’è la polenta, definita ‘cuncia’, traducibile in acconcia, ovvero condita come meglio si possa immaginare, 50


amalgamando formaggi valligiani e burro fuso con un rametto di timo selvatico. Infine i funghi porcini, altro tesoro della valli retiche, e il formaggio grana, che per totale adesione alla ricetta dovrebbe essere quello della latteria di Grosio. Innanzitutto preparate la polenta: fate scendere a pioggia la farina gialla nell’acqua bollente leggermente salata, disfacendo eventuali grumi con una frusta; portate a cottura in 40 minuti circa e condite con i formaggi d’alpeggio ridotti a pezzettini e una giusta dose di burro fuso al quale avrete fatto prendere colore con un rametto di timo, possibilmente selvatico. Mescolate bene e tenete da parte al caldo. Nel frattempo preparate la pasta: miscelate accuratamente le due farine e formate una ‘fontana’ all’interno della quale porre i 32 rossi d’uovo e un pizzico di sale; impastate con cura, regolando la consistenza della pasta con piccole aggiunte d’olio extravergine d’oliva; dall’impasto dovrete ricavare una sfoglia sottile, elastica e lucida. Con la rotella da ravioli o con un copapasta ricavate dei riquadri o dei dischi, al centro dei quali versare una cucchiaiata di polenta; coprite con un altro riquadro di pasta o ripiegate il disco su se stesso, e pressate bene i bordi. Passate in acqua bollente salata per un paio di minuti. Come condimento avrete preparato con adeguato anticipo una salsa di funghi trifolati, facendo cuocere in tegame, su un fondo d’olio con uno spicchio d’aglio e una presa di prezzemolo tritato, i porcini ridotti a tocchetti. Recuperate delicatemente i ravioli dall’acqua e disponeteli sui piatti, distribuendo la salsa e una generosa quantità di grana in scaglie. Vino consigliato: Sassella Valtellina Superiore Docg 51


Lombardia - Madesimo

Ristorante Il Cantinone dello Sport Hotel Alpina di Stefano Masanti

Stinco di vitello morbido con crema di gemme d’abete ed emulsione di missultin Ingredienti per 4 persone

600 g di stinco di vitello disossato 100 g di carota | 100 g di cipolla | 100 g di sedano 2 litri di brodo di carne | germogli freschi timo fresco | rosmarino fresco | 1 foglia di alloro burro | olio extravergine di oliva | pepe Per la crema: 100 g di olio di semi di girasole 100 g di gemme di abete | 150 g di patate lesse | pepe Per l’emulsione: 100 g di missultin (agoni essicati) 60 g di olio di semi di girasole | 40 g di acqua

L

a ricetta richiede un ingrediente molto particolare, che arriva dal Lago di Como: il missultin, ovvero un pesce, l’agone, conservato alla maniera delle aringhe. Dopo una salagione preliminare, viene esposto al sole per qualche giorno, quindi posto in barattoli di latta con foglie d’alloro e infine pressato 52


per drenare l’umore oleoso delle carni. Così si conserva da una stagione all’altra, disponibile a una rapida rigenerazione sulla griglia o in tegame. Quanto al nome, una fra tante interpretazioni lo riferisce alla botticella in legno che in origine si usava per conservarli, la ‘missolta’ (dall’arcaico ‘misàlta’, messo sotto sale). Rosolate lo stinco in padella con uguale quantità di burro e olio, salate e pepate. Togliete la carne dal fuoco e per 5 minuti fate sudare nello stesso condimento le verdure tagliate a fettine. Passate carne e verdure in una teglia da forno. Versate un bicchiere d’acqua nella padella, scaldatelo e raschiate delicatamente i depositi della rosolatura di modo che possano formare un fondo saporoso. Versate questo liquido sulla carne, aggiungete il brodo e le erbe, infornando a 130 gradi per 3 ore. Alla fine coprite la teglia con un foglio d’alluminio e lasciare riposare almeno mezz’ora. Lavate bene le gemme di abete e asciugatele (in alternativa, usate delle erbe aromatiche); usate un frullatore per renderle omogenee all’olio e filtrate il composto con un colino. Pelate e schiacciate le patate, poi passatele sul fuoco in un padellino con l’olio aromatizzato ed eventualmente un po’ d’acqua, ottenendo una purea; regolare di sale e pepe, e mantenete al caldo. Per l’emulsione di pesce, pelate e diliscate i missultin, frullando la polpa con l’olio e l’acqua. Componete il piatto: al centro una cucchiaiata di purè, sormontandola con una bella fetta di stinco; tutt’intorno, versata ad arte, l’emulsione di missultin; tocco finale, qualche germoglio freschissimo.

Vino consigliato: Valtellina Superiore Docg 53


Lombardia - Maleo

Albergo Del Sole di Mario e Francesca Colombani

Galletto alla diavola Ingredienti per 4 persone

C

1 galletto intero olio extravergine d’oliva pepe nero di Caienna sale

he basti un gallo nel pollaio è constatazione spicciola di pratica agricola, ma in senso traslato è anche principio di buon senso quando si vuole evitare battibecchi tra persone troppo concorrenziali. Così uno è il privilegiato, che fa il sultano, beato tra le sue galline, e gli altri vivono una spensierata quanto breve giovinezza prima di finire in padella. Spiegata la storia del galletto, che cosa c’entra il diavolo? Simpatica è la spiegazione che ne dà, sul finire dell’Ottocento, Pellegrino Artusi, autore de «La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene»: “Si chiama così perché si dovrebbe condire con pepe forte di Caienna e servire con una salsa molto forte, cosicché a chi lo mangia, nel sentirsi accendere la bocca, verrebbe la tentazione di mandare al diavolo il pollo e chi l’ha cucinato.” 54


Mondate accuratamente il galletto, tagliatelo in quattro parti e battetelo bene con un pestacarne. Bagnate la carne con olio d’oliva, cospargetela di sale e pepe, e lasciatela riposare su un piatto perché possa fare propri i sapori. Prendete una padella antiaderente e ungetela appena, disponete i quarti di galletto e copriteli con un foglio d’alluminio, quindi appoggiate un piatto e un peso adeguato a mantenere la carne ben aderente al fondo. Avviate la cottura a fiamma abbastanza vivace, girando il pollo di tanto in tanto; tempo una mezz’ora, il galletto dovrebbe essere ben cotto all’interno e croccante all’esterno. La cottura ‘alla diavola’, è quanto di più semplice e allo stesso tempo difficile attuare: semplice, perché in teoria basta disporre di una padella a doppio fondo, che sappia diffondere in modo uniforme il calore della fiamma (senza dimenticare la più consueta griglia); difficile, perché ci vuole occhio per gestire al meglio i due fattori, temperatura e tempo, che determinano il giusto grado di cottura. Che non è solo questione di profondità – il pollo va senza dubbio cotto a fondo – ma anche di superficie, laddove si attua la fondamentale reazione di Maillard, che trasforma proteine e zuccheri nei composti bruni e nelle essenze volatili che rendono così gradevole la carne ben cotta.

Vino consigliato: Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc 55


Lombardia - Mariano Comense

Ristorante La Rimessa di Sergio Mauri

Rostisciada alla brianzola Ingredienti per 4 persone

350 g di “luganega” monzese 350 g di controfiletto o filetto di maiale | 400 g di patate 250 g di cipollotti | 50 g d’olio extravergine d’oliva 50 g di burro | vino rosso | Marsala secco concentrato di pomodoro | brodo di carne | farina bianca prezzemolo | alloro | chiodi di garofano | pepe

L

a rosticciata è un piatto comune a molte zone della Lombardia. Il nome deriva dalla rosolatura iniziali delle carni, più che dalla cottura vera e propria che si configura come una stufatura. La ricetta in genere richiede carne di maiale, salsiccia, cipolle e prevede come contorno la polenta. Molte però sono le varianti, a partire dalla Brianza, la zona collinare che si stende tra Milano e i grandi laghi, ben nota per la sua produzione salumiera. La prima osservazione riguarda infatti la “luganega”, che in quel di Monza, capoluogo storico del distretto, viene prodotta con carni più magre e con un’aggiunta di formaggio grana grattugiato. 56


Di questa specialità resta testimonianza anche nel dialetto: se un tempo a Milano, infatti, il salumiere veniva chiamato “cervellèe”, per il prevalente smercio di frattaglie a basso prezzo, a Monza diventava “luganeghée”, proprio perché la produzione locale era orientata agli insaccati di piccolo calibro. Come d’altra parte è testimoniato anche dal piatto che è la bandiera della gastronomia monzese, riso e luganega. Il secondo elemento distintivo di questa “rostisciada” sta nell’impiego delle patate, che non solo promuove la preparazione a piatto unico, ma anche favorisce amalgama e cremosità dell’insieme. La preparazione prende il via proprio dalla patate che vanno preventivamente lessate con la buccia. Altra operazione preliminare riguarda i cipollotti, da sbollentare per una decina di minuti dopo averli tagliati a pezzi. A seguire spellate e tagliate a bocconcini la luganega; tagliate a striscioline la carne di maiale; rosolatele assieme in una padella nella quale avrete scaldato pari quantità d’olio e burro. Spargete una cucchiaiata di farina bianca e bagnate con mezzo bicchiere di vino bianco e Marsala misti, nel quale avrete stemperato un cucchiaino di concentrato di pomodoro. Aggiungete qualche mestolo di brodo e i cipollotti, lasciando sul fuoco per un quarto d’ora circa. Nel frattempo pelate le patate, tagliatele a tocchetti e spadellatele delicatamente assieme alla carne per un paio di minuti, amalgamando bene il tutto. Spolverate con il prezzemolo tritato al momento e servite.

Vino consigliato: Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc vivace 57


Lombardia - Milano

Trattoria Masuelli S. Marco della famiglia Masuelli

Solare: Milanesine mignon con risotto allo zafferano Ingredienti per 4 persone

Per il risotto: 160 g di riso Carnaroli | 60 g di burro ¼ di cipolla bianca | ½ bicchiere di vino bianco secco 1 pizzico di zafferano in stimmi ½ litro di brodo leggero e chiarificato 40 g di Parmigiano Reggiano grattugiato Per le milanesine: 12 “cubetti” di fesa di vitello (4 cm di lato; 2,5 di spessore) | farina bianca pangrattato | 2 uova | 40 g di burro

Q

uesto piatto chiama in causa due classici della cucina milanese. Innanzitutto la cotoletta: ‘lombolos cum panitio’, si legge nella lista di un banchetto del 1134, trovando conferma che il taglio dev’essere la parte anteriore della lombata di vitello, con tanto d’osso che tiene la carne in banderuola. Alta o battuta, è stata altra questione a lungo discussa, ma ormai è certo che ogni maltrattamento nuoce alla sua bontà. 58


Quanto al risotto, protagonista è lo zafferano, spezia che si ottiene dal croco (Crocus sativus), bulbacea originaria della Persia, diffusa dagli Arabi nelle terre mediterranee. La polvere arancione ricavata con straordinaria pazienza dagli stimmi del fiore deve agli Spagnoli la sua notorietà gastronomica, dalla paella valenciana, piatto di riso guarnito con pesce, crostacei e carni miste, al risotto mantecato alla milanese, tradizionalmente servito con l’ossobuco in gremolata. Avviate la preparazione del risotto soffriggendo con una noce di burro la cipolla tritata molto finemente. Aggiungete il riso e con una paletta di legno mescolatelo in modo da insaporirlo omogeneamente. Versate il vino bianco e lasciatelo sfumare. Aggiungete il brodo e gli stimmi di zafferano portando a cottura. Levate la pentola dal fuoco, aggiungete il formaggio grattugiato e il burro restante, mescolando con vigore per mantecare bene il risotto; se necessario, aggiustate di sale. Nel frattempo dedicatevi alle milanesine. Passate i cubetti di fesa prima nella farina bianca, quindi nell’uovo sbattuto e infine nel pangrattato, compattando con le mani in modo da far aderire bene la panatura. Sciogliete il burro in una padella e quando friggerà dolcemente aggiungete le milanesine; fatele imbiondire su ambo i lati girandole con attenzione; alla fine sgocciolatele con una paletta forata e trasferitele su carta da cucina perché possano cedere il grasso in eccesso. Componete i piatti con tre ‘cotolettine’ a testa e una mezzaluna di risotto giallo. Vino consigliato: Barbera del Monferrato Doc 59


Lombardia - Milano

Ristorante 13 Giugno di Saverio Dolcimascolo

Pasta con le sarde Ingredienti per 4 persone

300 g di bucatini o perciatini | 300 g di sarde fresche 6 mazzi di finocchietto di montagna 1 grossa cipolla | 30 g di uva passa scura senza semi 30 g di pinoli | 2 acciughe salate | olio extravergine di oliva zafferano in polvere | pepe

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a sardina rientra nel cosiddetto pesce azzurro: stretta parente dell’acciuga, ha profilo più affusolato, taglia maggiore e carni pregiate, per lo più da fritto e griglia, molto popolari sul mercato. Tra cento e passa ricette, ne risaltano alcune con una vena dolce che tradisce ascendenti levantini. Ben note sono le sarde ‘in saor’, immancabili nelle osterie veneziane, infarinate, fritte e quindi bagnate in una marinata a base d’aceto, con cipolle, uvetta e pinoli. Nello stesso filone si colloca anche la pasta con le sarde, piatto siciliano che vive della straordinaria armonia di aromi mediterranei data da finocchietto selvatico, pinoli, uva passa e zafferano. 60


Nella gastronomia isolana spiccano anche le sarde ‘a beccafico’, preparate a involtino e farcite di pangrattato, uvetta, pinoli e scorza d’arancia, che avvicinano per bontà quegli spiedi di certi piccoli uccelli – cose d’altri tempi – che si nutrono di frutta. Pulite accuratamente le sarde, levando loro testa e spina. Mondate il finocchietto selvatico selezionando le parti verdi più tenere, che andranno lavate e lessate per una decina di minuti, quindi strizzatele e tritatele; conservate l’acqua di cottura, almeno 2 litri, per cuocervi la pasta. Lavate l’uva passa e tenetela in ammollo in una ciotola d’acqua tiepida. Tritate finemente la cipolla, copritela d’acqua e fatela appassire con poco sale in un largo tegame. Aggiungete 70 grammi d’olio, mezza bustina di zafferano disciolto in un po’ d’acqua, i pinoli e l’uvetta ben strizzata, quindi le sarde sfilettate. Dopo una decina di minuti mettete sul fuoco anche il finocchietto e una spolverata di pepe. Incoperchiate e portate a cottura a fuoco molto basso, mescolando delicatamente. Aggiungete infine le acciughe, che nel frattempo avrete diliscato, dissalato e disfatto con poco olio in un tegame a parte. A questo punto, se necessario, regolate di sale. Rimettete sul fuoco l’acqua dei finocchietti e cuocete la pasta; scolatela bene al dente e conditela con il sugo di sarde, lasciando riposare sotto coperchio per qualche minuto.

Vino consigliato: Chardonnay di Sicilia Igt 61


Lombardia - Milano

Ristorante 13 Giugno Brera di Saverio Dolcimascolo

Involtini di pesce spada Ingredienti per 4 persone

250 g di pesce spada in fettine molto sottili 150 g di ritagli di polpa di pesce spada | 100 g di pangrattato 80 g di pinoli | 50 g di uva passa | 1 cipolla | prezzemolo olio extravergine d’oliva | pepe Per il salmoriglio: olio extravergine d’oliva succo di limone | prezzemolo | origano | aglio

I

l pesce spada (Xiphias gladius) è pesce pelagico per eccellenza, dal nuoto vigoroso e rapido, presente in tutti i mari tropicali e temperati del mondo, fortemente insidiato per le sue carni rosse, deliziose comunque le si prepari, a partire dalla semplice griglia. Nello stretto di Messina, che è zona di intenso passaggio nella stagione riproduttiva, la pesca viene esercitata con una tecnica tanto antica quanto particolare. Si utilizzano infatti barche dotate di un pennone alto anche più di venti metri con il posto per la vedetta e di una lunga passerella a prua dalla quale scagliare la fiocina; se non fosse per il motore, poco o nulla sarebbe cambiato dal tempo dei Malavoglia. 62


Secondo tradizione calabro-sicula il pesce spada si prepara ‘a ghiotta’, con salsa di pomodoro, capperi, olive, uva passa, cipolla e prezzemolo; oppure a ‘braciola’, sotto forma di involtini ripieni della stessa polpa e aromi, da bagnare prima, durante e dopo la cottura alla griglia con il ‘salmoriglio’, una semplice salsa a base d’olio e limone, con aggiunta di origano, prezzemolo e aglio. Interessante notare, come in entrambi i casi il sapore agrodolce denoti – fatto salvo l’uso del pomodoro – gli ascedenti arabi delle ricette. Fate soffriggere in poco olio la cipolla tagliata sottile; aggiungete i ritagli di pesce tritati a coltello, i pinoli e l’uva passa che avrete preventivamente ammollato nell’acqua; completate il soffritto con una cucchiaiata di prezzemolo tritato e il pangrattato, bagnando con un po’ di vino bianco. Lasciate insaporire bene e lavorate il composto fino a perfetto amalgama, regolando di sapore con sale e pepe. Battete le fettine di pesce spada proteggendole con un foglio di pellicola per alimenti di modo che non abbiano a stracciarsi. Suddividete il composto in tante parti quante sono le fette e formate degli involtini, fermandoli con uno stecchino; passateli sulla griglia e mentre cuociono bagnateli con il salmoriglio, che userete a piacere anche per guarnire il piatto.

Vino consigliato: Chardonnay di Sicilia Igt 63


Lombardia - Montescano

Ristorante Le Robinie di Enrico Bartolini

Risotto alle rape rosse e salsa Gorgonzola Ingredienti per 4 persone

400 g di riso Carnaroli | ½ cipolla bianca 50 g vino bianco secco | 1 litro di brodo vegetale qualche goccia di succo di limone 25 g di Parmigiano Reggiano | 30 g burro Per il gelato alle rape rosse (proporzioni): 120 g di rape rosse | 40 g di latte (⅓) | 30 g di brodo vegetale (¼) poca cipolla cotta | zucchero | sale Per la finitura: 50 g di Gorgonzola | 15 g di panna da cucina

L

a preparazione del risotto richiede due sessioni preliminari. La prima va dedicata alla preparazione del ‘gelato’ di rape rosse, utilizzando una macchina professionale, il Pacojet, che consente di trasformare in spuma gelata gli ingredienti più disparati. In questo caso si tratta di arrostire delle rape rose, pelarle e trattarle con aggiunta di poca cipolla cotta, sale e zucchero. A livello domestico si può cercare di ottenere un composto analogo seguendo il procedimento di preparazione di una mousse: 64


passare al molinetto rape rosse e cipolla, lavorando il composto con l’aggiunta di un addensante, come l’albume, che consenta una montata a neve. La seconda lavorazione preliminare riguarda la salsa al Gorgonzola, che si ottiene facendo fondere a bagnomaria il formaggio con un terzo del suo peso di panna; il risultato più coerente si ottiene con la cosiddetta panna ‘autoctona’, ovvero la stessa utilizzata nel processo caseario, anche se non è da tutti poterne disporre. Della panna da cucina fresca è l’unica alternativa. Prendete una pentola a doppio fondo da risotto, scaldate un velo d’olio extravergine e fate stufare la cipolla tritata senza che abbia a prendere colore; frullate e setacciate il soffritto e nella crema risultante tostate il riso mescolando perché abbia ad assorbire omogeneamente il condimento. Versate un bicchiere di vino bianco e lasciate evaporare a fiamma viva; coprite con il brodo e portate a cottura nei 13 minuti che sono il tempo medio del Carnaroli, mescolando ed eventualmente aggiungendo altro liquido al bisogno. Togliete da fuoco e mantecate con una noce di burro, aggiungendo qualche goccia di succo di limone, una grattugiata di zenzero e una manciata di formaggio grattugiato, regolando solo alla fine di sale. Lasciate riposare un minuto sotto coperchio per il perfetto amalgama, poi incorporate il ‘gelato’ di rape rosse per giocare sul contrasto di temperatura. Impiattate una porzione di risotto, schizzando il piatto con la salsa al Gorgonzola. Vino consigliato: Spumante Metodo Classico Rosè

dell’Oltrepò Pavese Doc 65


Lombardia - Ornago

Osteria della Buona Condotta di Nicoletta Rossi e Matteo Scibilia

Guanciale di vitello all’olio Ingredienti per 4 persone

1 kg di guanciale di vitello 1 litro di olio extravergine d’oliva Laghi Lombardi Dop 200 g di cipolla bianca | 200 g di sedano verde 200 g di zucchine verdi | 100 g di carote 50 g di filetti d’acciughe sott’olio 50 g di capperi sotto sale | brodo di carne | pepe

I

l manzo all’olio è specialità di Rovato, cittadina della pianura bresciana, sede di una fiera della carne ultracentenaria, testimone della grande tradizione zootecnica locale. La sua storicità è attestata dal ricettario di Donna Veronica Porcellaga, vissuta nella seconda metà del Cinquecento. Tra i requisiti, uno specifico taglio di spalla, detto ‘cappello del prete’ e olio d’oliva del vicino lago d’Iseo; tra i consigli, la cottura anticipata di un giorno, di modo che il sapore possa concentrarsi, e l’utilizzo del fondo di cottura per ripassare in padella le patate di contorno.

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A Rovato la ricetta del manzo all’olio è stata ufficialmente registrata, ma non mancano piatti che si ispirano a questa specialità ben oltre i confini comunali. Quella in oggetto propone l’utilizzo della guancia, che di solito è taglio da bollito, ma nel caso del vitello è considerata anche deliziosa carne da arrosto, ricca com’è di venature gelatinose; ‘mostosa’, per definirla con un aggettivo tipicamente lombardo, a straordinario beneficio del fondo di cottura e della salsa che se ne ottiene. Scaldate un fondo d’olio in una pentola bassa, stemperate le acciughe assieme ai capperi e quindi rosolate bene i guanciali di vitello. Aggiungete tutto l’olio e le verdure tagliate a pezzi. Coprite parzialmente con brodo di carne e fate cuocere a fiamma moderata per un’ora circa. Di tanto in tanto, se necessario, aggiungete olio o brodo. Regolate di sale e pepe, tenendo conto del contributo iniziale di acciughe e capperi. Verificate il grado di cottura con uno spillone, che alla fine dovrà penetrare senza fatica nella carne. Togliete la carne dall’intingolo e frullate le verdure. Componete il piatto con il guanciale e un contorno di patate in estate o di polenta in inverno; guarnite con la salsa di verdura e con un giro d’olio a crudo. È prevista una variante invernale anche per la salsa, con aggiunta di pangrattato o formaggio grana grattugiato, di modo che consistenza e gusto risultino commisurati ai rigori della stagione.

Vino consigliato: Rosso delle Terre di Franciacorta Doc

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Lombardia - Salò

Ristorante del Romantik Hotel Laurin della Famiglia Rossi

Frittelle di cavedano con verdure agrodolci e foglie croccanti di polenta di Storo Ingredienti per 6 persone

1 kg di filetti di cavedano | 3 limoni non trattati 1 arancia non trattata | 2 chiare d’uovo 450 g di patate bollite pelate | timo fresco | pepe Per le verdure agrodolci: 3 cipolle bianche | 3 carote 3 coste di sedano | 150 ml di aceto di vino bianco 200 ml di vino bianco secco 150 ml di olio extravergine del Garda Dop 100 ml di acqua | 1 spicchio d’aglio 1 foglia d’alloro | 30 g di zucchero | pepe nero Per le cialde di polenta: 100 g di farina di mais di Storo | 400 g di acqua

I

l cavedano (Squalius cephalus) è pesce d’acqua dolce dalle ottime carni bianche, poco sfruttate in cucina tuttavia perché 68


reputate eccessivamente spinose. Ecco spiegato, dunque, il tradizionale espediente delle polpette, fritte o anche al sugo, che consentivano alle massaie di offrire un piatto graditissimo ai commensali d’ogni età. Cuocete i filetti di cavedano a vapore per 6-7 minuti; lasciate raffreddare un po’ e togliete con cura le lische residue, avendo cura di non sminuzzare eccessivamente la polpa; passate in frigorifero a rassodare per alcune ore. Schiacciate le patate con la forchetta e mischiate alla purea il pesce, le bucce d’agrume grattuggiate, le chiare d’uovo, una presa di timo tritato, sale e pepe quanto bastano. Versate il composto in stampi da terrina e lasciate in frigorifero a rassodare per almeno 24 ore. Nel frattempo preparate la polenta e spennellatela su fogli di carta da forno; fate asciugare al caldo per una notte intera ottenendo delle cialde croccanti. Pelate sedano, carote e cipolle, riduceteli a filetti di circa 3 centimetri di lunghezza e soffriggeteli a fuoco basso con l’aglio e l’alloro in un tegame abbastanza capiente; mescolate l’aceto al vino e versateli sulle verdure; regolate il sapore con zucchero, sale e pepe, lasciando cuocere per altri cinque minuti. Poco prima di servire, tagliate l’impasto di cavedano a fette di circa un centimentro di spessore, passatele nella semola e friggetele in olio ben caldo. Asciugate le frittelle su carta da cucina e componete il piatto con le verdure in agrodolce a temperatura ambiente e le cialde di polenta.

Vino consigliato: Lugana Doc 69


Lombardia - Suzzara

Albergo Ristorante Cavallino Bianco di Mauro e Antonio Egidio Gorreri

Risotto con pesce di fiume Ingredienti per 6 persone

600 g di pesce: storione, pesce gatto, anguilla 500 g di riso Vialone Nano | 1 cipolla 1 carota | 1 costa di sedano | 1 pomodoro 1 spicchio d’aglio | ½ bicchiere di vino bianco secco olio extravergine d’oliva | salvia | alloro | prezzemolo

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ià nel Cinquecento risulta che la Lombardia vantasse grandi estensioni di risaie come consueguenza del matrimonio tra Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona, dal momento che andrebbe agli Spagnoli il merito di aver appreso dagli Arabi i segreti di questo cereale. L’Oltrepò Mantovano, antica terra di risaie, ha per varietà caratteristica il Vialone Nano, riso semifino dai chicchi piuttosto piccoli e tondeggianti, molto ricchi di amido, ben compatti a cottura e con una grande capacità di crescita, ideale da risotti.

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Nelle terre del riso c’è un piatto per ogni stagione: in primavera si coglie il momento degli ortaggi e delle erbe spontanee; più avanti è il momento di rane, tinche e anguille, altri doni delle risaie; in autunno, c’è la delizia delle quaglie e dei migratori acquatici; più avanti ancora è la volta di fagioli, patate, verze e zucche. Uno dei piatti più caratteristici della Bassa Lombarda è il risotto alla certosina, che richiama alla memoria i monasteri che tanto ruolo ebbero nella sua messa a coltura; piatto di magro, veniva preparato con piselli, cosce di rana, code di gambero e filetti di pesce persico, ricorrendo, caso più unica che raro, all’olio d’oliva e al brodo vegetale per la cottura. A Suzzara, in riva al Po, si fa risotto di fiume, chiamando in causa lo storione, che oggi s’alleva, l’anguilla e il pesce gatto. Preparate un trito delle verdure e fatelo soffriggere con uno spicchio d’aglio in un capace tegame. Aggiungete il trancio di storione e gli altri pesci interi, più qualche foglia di salvia e alloro. Versate il vino bianco e lasciate cuocere per una mezz’ora a recipiente coperto. Togliete dal fornello e lasciate raffreddare il pesce prima di spolparlo; accantonate 6 pezzetti di polpa per sorte, rimettendo il resto, sminuzzato, nel recipiente di cottura. Nel frattempo cuocete il riso e scolatelo bene al dente; versatelo sulla salsa, mescolatelo rapidamente e suddividetelo nei piatti, che guarnirete con un pezzetto di ciascun pesce. Tocco finale, una presa di prezzemolo tritato al momento.

Vino consigliato: Bianco di Custoza Doc 71


Lombardia - Villastrada di Dosolo

Ristorante Nizzoli di Odoardo Nizzoli

Tortelli di zucca del Casalasco Ingredienti per 6 persone

Per la pasta: 500 g di farina 00 | 4 uova Per il ripieno: 1 kg di zucca viadanese 400 g di mostarda di mele mantovana | 200 g di amaretti pangrattato | scorza di limone grattugiata noce moscata | salvia | Grana Padano grattugiato olio extravergine d’oliva

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asalmaggiore è l’antica cittadina che dà nome al Casalasco, triangolo di territorio disegnato dal fiume Po e dal suo affluente Oglio. La ricetta è molto specifica per origine d’ingredienti e volendola riprodurla a regola d’arte si dovrà per forza fare spesa localmente. Innanzitutto, la zucca di Viadana, anzi per l’esattezza di Bellaguarda, nome che è tutto un programma: la raccomandazione, in particolare, è per la varietà Piacentina, a frutto grande, piuttosto schiacciato, con costolature profonde e scorza bugnata di colore verde piombo, e polpa giallo spento, piuttosto asciutta, proprio per questo ideale per gli gnocchi. 72


Quanto alla mostarda, dev’essere quella mantovana di mele, anche in questo caso con riferimento ancor più specifico per la varietà Campanina, dai minuscoli frutti rossi, che venivano raccolti in ottobre e si conservavano in fruttaio fino a primavera; naturalmente ricca di pectina, era l’ideale per la trasformazione in mostarda; in anni recenti l’industria alimentare ha provato a utilizzare mele più inclini alla produzione di massa, ma per gli esperti non c’è confronto, ragion per cui anche in questo caso patron Nizzoli è categorico. Quanto ai tortelli di zucca, è noto che la ricetta è al centro di secolari dispute di campanile; Villastrada, tuttavia, ricade nel Mantovano e dunque rientra nel territorio d’impiego di mostarda e amaretti, oltre agli aromi che sono retaggio della cucina rinascimentale. Per il ripieno amalgamate con cura la polpa di zucca lessata, sgocciolata e ridotta in poltiglia, la mostarda tritata finemente e gli amaretti sbriciolati; aggiungete la scorza di limone grattugiata, la noce moscata e pangrattato in quantità sufficiente ad avere un composto di adeguata consistenza, quindi lasciate riposare un paio d’ore. A parte preparate la pasta e tirate la sfoglia ricavando delle liste che richiuderete a caramella attorno al ripieno. Cuocete i tortelli così ottenuti in abbondante acqua salata, scolateli delicatamente e passateli nelle fondine ben calde. Come condimento, olio extravergine d’oliva, possibilmente ligure, e un’abbondante spolverata di grana grattugiato.

Vino consigliato: Lambrusco Mantovano Doc 73


Veneto - Bassano del Grappa

Belvedere Ristorante Hotel della Famiglia Bonotto

Petto di faraona quattro stagioni Ingredienti per 4 persone

4 petti di faraona con l’ala 200 g di verdure di stagione (asparagi, funghi porcini, carciofi, zucca e tartufo nero) panna pepe olio extravergine d’oliva

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uattro Stagioni, come i celebri concerti di Vivaldi, e un sapore per ciascuna: in primavera, gli asparagi bianchi di Bassano del Grappa; in estate, il tartufo nero, che si raccoglie dal monte Baldo ai colli Berici; in autunno, i funghi porcini, orgoglio di tante valli; in inverno, i carciofi di Chioggia e Sant’Erasmo, nella laguna di Venezia. Protagonista che non conosce stagioni è invece la faraona, volatile da cortile dalla storia romanzesca. Discende infatti da un gallinaceo delle savane africane (Numida meleagris), addomesticato non dagli Egizi, come verrebbe spontaneo pensare, ma dai Greci, che la fecero conoscere ai Romani.

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Estinta con la caduta del’Impero d’Occidente, la faraona riapparve in Europa solo verso la fine del Medioevo, grazie ai portoghesi che la importarono nuovamente dal continente nero come ‘pollo di Guinea’, da cui l’inglese ‘Guinea fowl’. In Veneto, terra di ville e fattorie, dov’è fortissima la tradizione avicola, la faraona è ancora oggi allevata su larga scala, dalla varietà Grigia, più comune, ad altre minori dai nomi evocativi: Azzurra, Bluetta, Camosciata, Fulvetta, Lilla, Paonata, Pezzata. Una carne piuttosto scura, che ricorda quella del fagiano, ottima per lo spiedo e il forno, specie il petto che non è mai asciutto come capita al pollo. Scalzate l’ala con un coltello e private il petto del filetto. Rosolate la carne in una padella antiaderente solo dalla parte della pelle. Con i filetti puliti dalla cartilagine preparate una mousse con un po’ di panna, sale e pepe, passando tutto al cutter. Unite le verdure di stagione, precedentemente rosolate su un fondo d’olio in proporzione di uno a dieci. Con un coltello incidete il petto e con l’aiuto di una sac à poche farcitelo con la mousse. Chiudete con la pellicola e cuocete a vapore. Servite il petto tagliato a metà in lunghezza, accompagnando con verdure saltate corrispondenti al ripieno.

Vino consigliato: Tai Rosso dei Colli Berici Doc 75


Veneto - Caorle

Ristorante Duilio della Famiglia Bortolussi

Seppioline alla pescatora Ingredienti per 4 persone

1 kg di seppioline fresche pulite | 100 g di cipolle tritate 100 g di concentrato di pomodoro 1 bicchiere di vino bianco secco | olio extravergine d’oliva 1 spicchio d’aglio | prezzemolo | alloro | pepe

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ell’Alto Adriatico la seppia (Sepia officinalis) è grande protagonista in cucina. Si pesca in abbondanza in primavera, quand’è stagione per un piatto molto popolare, le seppie con i piselli, e poi ancora in autunno, quando si presta ad altre preparazioni, come le seppie in nero con la polenta; senza dimenticare, ovviamente, quei piatti che non hanno stagione, come gli spaghetti o il risotto al nero di seppia, e le ricette d’autore che suggeriscono variazioni sul tema cromatico del bianco e nero. A Venezia, tuttavia, quando si parla di seppioline di solito non ci si riferisce a piccole seppie, ma a un loro minuscolo congenere (Sepiola rondeleti), che ha il momento di gloria 76


nel cuore dell’estate. Conosciuta sotto vario nome (‘sepiola’, ‘sepiolina’, ‘zotolo’, ‘zotoleto’), ha corpo corto, dai 3 ai 6 centimetri, con due pinne che sembrano orecchie, e conta dieci tentacoli, due dei quali molto più lunghi degli altri. Inutile dire che la seppiolina è un boccone delizioso nel vero senso della parola, sia che venga cotta alla griglia e servita su un riquadro di polenta, come ‘cicheto’ da osteria, sia che diventi oggetto di preparazioni più elaborate, per esempio ripiene. La ricetta in oggetto si colloca nel solco della più schietta tradizione lagunare e rimanda ai tempi in cui i pescatori preparavano questo semplice umido sul focolare dei loro casoni. Lavate con cura le seppioline e tagliatele a fettucce larghe 1-2 centimetri. In un tegame fate riscaldare un fondo d’olio con uno spicchio d’aglio e soffriggete la cipolla tritata. Fate scivolare i molluschi sul fuoco e lasciate sfumare un bicchiere di vino bianco, dopo di che aggiungete il concentrato di pomodoro, un paio di foglie d’alloro spezzate, sale e pepe di mulinello. Fate cuocere a fuoco basso per tre quarti d’ora circa a recipiente coperto. Nel frattempo preparate una polentina fluida, che verserete sul piatto a cornice delle seppioline, con un po’ prezzemolo tritato come tocco finale di freschezza.

Vino consigliato: Lagrein Rosé dell’Alto Adige Doc 77


Veneto - Cortina d’Ampezzo

Ristorante Beppe Sello di Carlo Orlandi

Sfogliatine ai funghi

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Ingredienti per 4 persone

100 g di pasta sfoglia | 500 g di spinacini freschi 500 g di porcini freschi | 1 rosso d’uovo prezzemolo | burro

ell’arco alpino si contano diverse isole linguistiche: dai Valdostani, di ceppo francese, agli Sloveni, di ceppo balcanico. A cavallo tra il Trentino-Alto Adige e il Veneto, nelle quattro valli che si irraggiano dal gruppo montuoso del Sella, sono stanziati i Ladini, discendenti dei Reti, gli abitatori preistorici delle Alpi Centrali, dapprima latinizzati dalle legioni romane e poi sospinti alle più alte quote dall’espansione delle genti di lingua tedesca. Nell’Alto Bellunese i Ladini abitano la valle di Cortina d’Ampezzo e il Comelico. Inconfondibile è la loro parlata, d’impronta romanza, ma altrettanto particolari sono le usanze, anche gastronomiche. I prodotti di base sono quelli offerti dalle valli dolomitiche, ma tutto il resto, a partire dal vino, arriva dal “mondo esterno”ed è per questo che la cucina ladina riunisce i caratteri delle 78


comunità limitrofe - veneta, trentina e sud-tirolese - affidando a un ingrediente onnipresente, i semi di papavero una sorta di marchio di fabbrica. Il piatto che meglio rappresenta la tradizione ampezzana sono i “casunziei”, grossi ravioli a semiluna che a seconda della stagione si distinguono per il ripieno: “rosso”, con rape rosse, patate e papavero; “verde”, con spinaci selvatici, ricotta, burro, erba cipollina e formaggio; con zucca o radicchio, nelle varianti più diffuse. Detto questo è immediato cogliere lo spirito di queste sfogliatine, che vivono della bontà dei pochi ingredienti: la pasta, che sta all’artefice rendere superlativa, e il burro di malga, che si riconosce per intensità di colore e sapore; i funghi porcini, vera ricchezza delle montagne del Cadore; gli spinaci, con ovvia preferenza quelli spontanei, “gamàite“ in dialetto o erba del Buon Enrico, che crescono abbondanti nei prati umidi. Tirate la pasta in uno spessore di 5 millimetri e ricavate dei dischi di 5-6 centimetri di diametro; spennellateli con rosso d’uovo e infornateli su una teglia imburrata e infarinata per almeno una ventina di minuti a 180 gradi. Nel frattempo lavate gli spinaci e sbollentateli in acqua salata per 5 minuti; strizzateli e ripassateli in padella con burro e sale. Ripulite i funghi, tagliateli a fette sottili e fateli saltare in padella su un fondo d’olio con uno spicchio d’aglio regolando di sale e pepe. Prendete infine le sfogliatine e dividetele in due in altezza; sulla base adagiate prima gli spinaci ben caldi e quindi i funghi; poi rimettete il “coperchio“ e guarnite con un pizzico di prezzemolo tritato. Vino consigliato: Pinot Nero (Blauburgunder)

dell’Alto Adige Doc 79


Veneto - Mestre

Trattoria dall’Amelia di Marco e Diego Boscarato

Baccalà alla cappuccina Ingredienti per 4 persone

400 g di stoccafisso bagnato 50 g di farina bianca | 1-2 cipolle una manciata di uva sultanina | una manciata di pinoli 5 filetti d’acciuga | pangrattato | zucchero di canna alloro | cannella | noce moscata pepe | olio extravergine d’oliva | brodo e latte

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a trattoria Dall’Amelia è uno dei santuari della cucina veneziana e la scelta del baccalà alla cappuccina quale Piatto del Buon Ricordo ha una precisa referenza storica. È stato infatti un navigatore della Serenissima, Piero Querini, ad approdare nel 1542, o per meglio dire a farvi naufragio, nelle norvegesi isole Lofoten; un vero e proprio eldorado del merluzzo, che solo a quelle latitudini riesce ad essiccare al gelido vento dell’Artico. Non tutte le disgrazie vengono per nuocere, come si può ben dire, considerando il primato che da allora Venezia detiene in materia di stoccafisso, importando ancor oggi la quasi totalità del miglior prodotto. 80


Questa ricetta richiede alcuni chiarimenti lessicali. Uno, fondamentale, perché riguarda la materia prima: di solito, infatti, il termine ‘baccalà’ indica il merluzzo sotto sale; in Veneto, tuttavia, per un curioso scambio semantico, viene applicato allo stoccafisso, ovvero al merluzzo essiccato. Attenzione a non fare confusione. La seconda precisazione riguarda invece la preparazione ‘alla cappuccina’, da riferirsi all’antica consuetudine dei frati Cappuccini, che il venerdì nelle loro mense per i poveri offrivano baccalà, quand’era cibo più che economico. Procuratevi un contenitore per la cottura adatto sia al fuoco che al forno. Pulite lo stoccafisso e togliete tutte le spine, poi tagliatelo a pezzi e infarinatelo. A parte affettate le cipolle e soffriggetele con le acciughe e l’olio; quando avranno preso colore, aggiungete i pezzetti di stoccafisso e fate rosolare il tutto con un poco di brodo. A questo punto cospargete di pangrattato, aggiungete qualche foglia di alloro, la cannella, la noce moscata, lo zucchero, sale e pepe; coprite il tutto con brodo e latte. Infornate a 180 gradi e poco prima di terminare la cottura, quando lo stoccafisso sarà ben dorato e avrà formato un sugo liquido, aggiungete l’uva sultanina e i pinoli. Servite con polenta di mais tradizionale veneto, Marano o Sponcio della Valbelluna.

Vino consigliato: Merlot del Friuli Doc 81


Veneto - Miane

Ristorante Da Gigetto di Luigi Bortolini

Rosetta di vitello alle quattro stagioni Ingredienti per 6 persone

6 guanciali di vitello | 200 g di sedano | 200 g di carote 200 g di cipolle | ½ litro di Marsala secco ½ litro di vino bianco secco | farina bianca 1 mazzetto guarnito di aromi | pepe Per il contorno di stagione, in alternativa: 300 g di asparagi bianchi (primavera) 200 g di erbe aromatiche: rosmarino, timo, salvia, maggiorana, finocchietto (estate) 300 g di funghi porcini (autunno) 500 g di radicchio rosso di Treviso (inverno)

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iane è località affacciata alla pittoresca valle del Soligo, non distante dall’abbazia di Follina, sulla strada per Valdobbiadene, dove hanno inizio le Terre del Prosecco. Questo preambolo inquadra la ricetta nella scena della Marca Trevigiana, uno dei distretti gastronomici più celebri del Veneto. I suoi tesori sono gli asparagi bianchi di Cimadolmo, i funghi del Montello, il radicchio rosso di Treviso e altro ancora, in una rassegna che 82


copre ogni stagione. Se ne ha dimostrazione in questo Piatto del Buon Ricordo, nel quale una ‘rosetta’ di vitello – modo leggiadro per chiamare la guancia, taglio dalle gustosissime venature di gelatina – è al centro di quattro variazioni su un tema di sicuro successo. Infarinate e rosolate i guanciali in una padella velata d’olio. Tagliate grossolanamente le cipolle, le carote e il sedano, e fateli imbiondire in una pentola capiente assieme a un mazzetto guarnito di aromi. Riprendete la carne, salate e pepate quanto basta, poi bagnate con il Marsala e il vino bianco, lasciando sfumare. Aggiungete poi del brodo di carne e fate ridurre a fuoco lento, ultimando la cottura a pentola coperta. Alla fine togliete i guanciali dal contenitore, filtrate il fondo di cottura e frullatelo fino a ottenere una crema che servirà da guarnizione alla carne, accompagnando con polenta fresca o abbrustolita. Il piatto va modificato in base alle stagioni. In primavera aggiungete in pentola degli asparagi bianchi sbollentati e tagliati a pezzi, accantonando le punte per impreziosire il piatto. In estate, approfittate della disponibilità di erbe aromatiche fresche, preparando un trito fine da aggiungere al fondo di cottura. In autunno sarà la volta di un po’ di funghi porcini profumati all’aglio e di una spolverata di prezzemolo tritato alla fine. In inverno, l’alternativa sarà offerta dal radicchio rosso di Treviso, preferendo il cuore dei cespi, da brasare a fuoco lento e tegame coperto.

Vino consigliato: Merlot dei Colli Trevigiani Igt 83


Veneto - Molvena

Ristorante Albergo Villa Conte Mastai Ferretti di Vanni Bonotto

Baccalà e verdurine al cartoccio Ingredienti per 4 persone

500 g di merluzzo salato | 200 g di patate 100 g di spinaci ‘baby’ | 40 g di burro olio extravergine d’oliva | rosmarino | aglio | sale Per il cartoccio: Carta da forno o, per la precisione, pellicola trasparente Carta Fata®

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Il baccalà è ingrediente che in Veneto vanta eccezionale tradizione. Importato dalla Norvegia fin dal Medioevo, ha avuto in Venezia il suo principale centro di diffusione. Alimento di magro per eccellenza, per questo immancabile sulle tavole sia nobili che contadine, conta svariate ricette ed è proprio Vicenza che ne ha fatto la propria bandiera culinaria con una pazientissima cottura che lo sublima a deliziosa consistenza. Da segnalare, le molteplici attività della Venerabile Confraternita del Baccalà alla Vicentina, che accoglie i nuovi adepti con doppio tocco non di spada ma di stoccafisso; oltre a vigilare sulla corretta esecuzione della storica ricetta, segnala i ristoranti che ne garantiscono la 84


costante presenza in menù e tra questi proprio Villa Conte Mastai Ferretti. Quanto al vino, Breganze è a due passi da Molvena e il suo Vespaiolo è scelta benedetta dai confratelli. La ricetta in oggetto è una variazione sul tema classico del baccalà, si può dire d’attualità, con verdure di stagione e cottura abbreviata in contenitori che lasciano intravedere il contenuto imperlato di goccioline brillanti d’aroma. Dissalate il baccalà in acqua corrente per almeno due ore. Asciugatelo su carta da cucina e tagliatelo in tranci da circa 120 grammi. Scaldate il burro in una padella con uno spicchio d’aglio e un rametto di rosmarino. Fatevi rosolare il merluzzo un paio di minuti per lato. Nel frattempo stendete su una placca quattro fogli di carta da forno d’adeguata grandezza e disponete al centro di ciascuno le patate che avrete bollito e tagliato a rondelle, gli spinacini che avrete lessato al vapore ed eventualmente altre verdure di stagione, come per esempio delle punte d’asparagi bianchi di Bassano del Grappa lessate. Salate e pepate. Disponete sulle verdure i filetti di merluzzo e pepateli senza aggiungervi altro sale perché il pesce ne trattiene a sufficienza. Chiudete la carta a saccottino, legando con uno spago da cucina. Infornate a 180 gradi per 7 minuti. Servite aprendo i cartocci in tavola.

Vino consigliato: Vespaiolo di Breganze Doc 85


Veneto - Noventa di Piave

Trattoria Guaiane di Lucio Marangoni

Sfogliatina di grano duro allo scorfano dell’Alto Adriatico su vellutata di basilico Ingredienti per 4 persone

250 g di semola di grano duro 150 g di farina granito di grano tenero | 4 uova Per la crema: 40 g di foglie di basilico 150 g di crema di latte Per il ragù: 1 scorfano freschissimo (800 g) 200 g di pomodorini Pachino | ½ scalogno ½ spicchio d’aglio | olio extravergine d’oliva | vino Prosecco

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rotagonista della ricetta è lo scorfano, pesce ubiquitario nel Mediterraneo - rosso, se di fondale sabbioso; nero, se di scoglio - tra i più apprezzati sul mercato. In Veneto prende nome di “scorpena”, con riferimento alle pinne spinose degne di uno scorpione; altrove lo si chiama “cappone” per la testa smisurata rispetto al corpo. Ha carni bianche e sode, deliziose, che riescono al meglio in zuppa e dunque anche in intingoli come questo ragù. 86


Tra gli ingredienti incuriosisce la farina di grano tenero di tipo granito, cosiddetta per la macinazione meno fine, per far paio con la semola di grano duro. Miscelate accuratamente la semola di grano duro e la farina di grano tenero, aggiungete le uova e lavorate il composto in modo da ottenere una sfoglia molto sottile dalla quale ricavare dei riquadri di pasta di circa 12 centimetri di lato. Versate la crema di latte in una pentolina e fatela sobbollire per una decina di minuti dopo aver aggiunto le foglie di basilico, una noce di burro, sale e pepe quanto basta; passate il composto al mixer e mantenetelo caldo, a portata di mano. Diliscate, sfilettate e spellate lo scorfano, quindi tagliate a cubetti la polpa e versatela in una capace padella, nella quale avrete nel frattempo scaldato dell’olio extravergine d’oliva e fatto prendere colore a un po’ d’aglio e scalogno; versate un bicchiere di Prosecco e lasciatelo sfumare, proseguendo la cottura per cinque minuti; aggiungete i pomodorini Pachino tagliati a cubetti e regolate di sale e pepe. Versate sul ragù la pasta, che nel frattempo avrete cotta in abbondante acqua salata, e spadellate a fuoco vivo per un paio di minuti. Alla fine componete i piatti: dapprima uno specchio di crema al basilico, quindi un riquadro di pasta, coprendolo con il ragù di scorfano; un secondo strato, analogamente, con una foglia di basilico per guarnizione.

Vino consigliato: Lison - Lison Pramaggiore Doc 87


Veneto - Noventa Padovana

Ristorante Boccadoro della Famiglia Piovan

Galina imbriaga co’ e tajadele Ingredienti per 4 persone

1 gallina Polverara o Padovana | 1 cipolla 800 ml di vino rosso (Cabernet Franc) 100 g di pancetta affumicata | 100 g di funghi champignon 100 g di farina 00 | 50 g di brandy | 50 g di burro 1 rametto di rosmarino | 1 cucchiaio di prezzemolo tritato Ingredienti per le tagliatelle: 100 g di polpa di gallina 100 g di faraona | 100 g di polpa d’anatra 100 g di polpa di coniglio | 100 g di cuori di pollo o anatra 1 costa di sedano | 1 cipolla | 1 carota | 1 spicchio d’aglio 1 bicchiere di vino bianco | 100 g di olio extravergine d’oliva | 100 g di Grana Padano grattugiato brodo di carne | rosmarino

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l Veneto, terra di ville e fattorie, ha una tradizione culinaria che privilegia le cosiddette carni di bassa corte, a partire dalla gallina, utilizzata dall’arrosto al bollito, ma anche per altri intingoli. Particolarmente apprezzate sono la gallina Padovana, detta dal gran ciuffo per il suo più evidente attributo, documentata fin dal 88


Cinquecento, e la gallina Polverara, affine alla precedente, che prende nome da un paese della Bassa. La ricetta prevede che la protagonista finisca la sua vicenda terrena ‘imbriaga’, ovvero ubriaca di buon rosso, con specifico riferimento al Cabernet dei Colli Euganei che hanno fatto da sfondo alla sua vita. Tagliate la gallina in 4 o 8 pezzi, che dovrete infarinare e rosolare a fuoco vivo in una teglia a doppio fondo, rigirandoli di tanto in tanto di modo che prendano colore uniformemente. Bagnate con il brandy, aggiungete il sale e coprite con vino rosso; portate a bollore e poi abbassate la fiamma per una cottura lenta di circa due ore. A tempo debito sciogliete in una seconda pentola il burro con un rametto di rosmarino; aggiungete cipolla, pancetta e funghi, dopo averli tagliati a listerelle, lasciando cuocere a fuoco lento per un quarto d’ora. Quasi allo scadere del tempo di cottura della gallina, aggiungete questo composto e lasciate bene amalgamare sul fuoco. Servite la gallina con abbondante salsa accompagnando con polenta gialla o bianca. Quanto alle tagliatelle, tritate le verdure e fatele soffriggere in un tegame con un velo d’olio. Passate la polpa di gallina, anitra, faraona e coniglio, e le frattaglie, nel tritacarne e aggiungetele al soffritto; bagnate con il vino bianco e lasciate cuocere a fuoco lento per 90 minuti circa aggiungendo del brodo al bisogno e quanto basta di sale alla fine. Al momento buttate la pasta fresca in una pentola d’acqua bollente salata; fatela cuocere per qualche minuto, scolatela rapidamente e spadellatela con il ragù, aggiungendo formaggio grattugiato a piacere.

Vino consigliato: Cabernet dei Colli Euganei Doc 89


Veneto - Oriago di Mira

Il Burchiello Ristorante Locanda di Adelino e Gabriele Carraro

Risotto di gò Ingredienti per 4 persone

320 g di riso Carnaroli | 16 ghiozzi (‘gò’) di media misura 2 cipolle | 1 carota | 1 costa di sedano | 1 limone 1 spicchio d’aglio | ½ bicchiere di vino bianco secco brandy | 40 g di burro | olio extravergine d’oliva Grana Padano grattugiato | farina bianca | pepe

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l ghiozzo (Gobius ophicephalus), popolarmente detto ‘gò’, è un piccolo pesce lagunare d’aspetto inconfondibile: corporatura tozza, muso breve, pinne arrotondate, colorazione marmorizzata verde-bruna. Può raggiungere i 25 centimetri di lunghezza, ma sono gli esemplari di taglia minore quelli preferiti per una serie di piatti di specifica tradizione veneziana, dalla frittura alla zuppa di pesce, con un picco di popolarità nel risotto di gò. Dal calendario ittico si rileva che i periodi più favorevoli alla pesca sono i mesi di aprile-maggio e settembre-ottobre, quando i mercati sono sempre ben forniti, ma non è raro che i residenti 90


scelgano di passare una mezza giornata con la canna in mano, lungo i moli o le dighe della laguna, per mettere insieme un numero di gò sufficiente per un risotto. Eviscerate i ghiozzi e lavateli bene con acqua e limone. Diliscate e sfilettate 12 pesci, lasciandone 4 interi per la guarnizione del piatto. Preparate un brodo di pesce mettendo a bollire per una mezz’ora teste e lische assieme a una cipolla, una carota e una costa di sedano. Prendete una pentola da risotto e preparate un soffritto con il trito della seconda cipolla e di uno spicchio d’aglio; aggiungete i filetti di pesce, lasciate sfumare mezzo bicchiere di vino bianco secco, aggiustate di sale e pepe, lasciando ancora sul fuoco per un minuto. Aggiungete il riso lasciandolo tostare per 3 minuti circa, mescolando di continuo di modo che abbia a insaporirsi bene; portate a cottura al dente aggiungendo piccole quantitĂ di brodo. Spegnete la fiamma e mantecate il risotto con burro e formaggio grattugiato; completate con una spruzzata di brandy e il succo di mezzo limone. Impiattate, guarnendo ogni porzione con un ghiozzo, che avrete nel frattempo infarinato e soffritto, e una spolverata di prezzemolo tritato.

Vino consigliato: Pinot Grigio Lison-Pramaggiore Doc 91


Veneto - Padova

Ristorante Antico Brolo di Mario Di Natale

Fantasia di baccalà Ingredienti per 8 persone

Per il baccalà alla vicentina: 400 g di stoccafisso bagnato 1 cipolla | 2 acciughe salate | 1 spicchio d’aglio | prezzemolo olio extravergine d’oliva | latte fresco | farina bianca Parmigiano Reggiano grattugiato Per il baccalà mantecato: 400 g di stoccafisso bagnato 1 acciuga salata | 1 spicchio d’aglio | prezzemolo olio extravergine d’oliva | latte o acqua Per completare la fantasia: pasta fillo | verdure di stagione (asparagi, erbe spontanee, fiori di zucca ecc.)

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n Veneto quando si parla di baccalà bisogna sempre ricordare che s’intende stoccafisso, ovvero merluzzo essiccato. Ironia della sorte, con tutto il pesce dell’Adriatico, è un prodotto norvegese, perché è dal Nord Atlantico che arriva ancora oggi, a fare da prim’attore nella cucina locale. Cibo di magro per eccellenza, leggero e conservabile, solcava mari e monti, come nessun altra derrata alimentare; eccezionalmente versatile, lo dimostra una volta di più nella fantasia di assaggi di questo Piatto del Buon Ricordo. 92


Dopo averlo tenuto a mollo per almeno tre giorni, cambiando più volte l’acqua, pulite e spellate lo stoccafisso, riducendo la polpa a pezzi. Versate un bicchiere d’olio in un tegame, stemperate l’acciuga sotto sale e fate soffriggere un trito di cipolla, aglio e prezzemolo. Adagiate i pezzi di baccalà in una teglia da forno, dopo averli passati nella farina bianca mista a un po’ di formaggio grattugiato. Cospargete il pesce con il soffritto e coprite con il latte. Fate cuocere a 150 gradi per 4-5 ore, scuotendo di tanto in tanto la teglia perché il pesce non attacchi. Servite caldo con polenta al cucchiaio. Per il baccalà mantecato le operazioni preliminari sono le stesse, poi coprite d’acqua o latte freddo i pezzi di stoccafisso e procedete a lenta cottura per una ventina di minuti dopo la presa di bollore. Scolate accuratamente il pesce e lavoratelo energicamente con una spatola di legno, aggiungendo dell’olio d’oliva a filo e qualche cucchiaiata del liquido di bollitura. Il mixer può rendere più veloce questa operazione, ma il risultato non sarà lo stesso. Il baccalà sarà ‘mantecato’ al punto giusto quando non riuscirà più ad assorbire olio, presentandosi come un composto omogeneo e lucido. Regolate di sale e pepate generosamente; aggiungete un pesto delicato di prezzemolo con pochissimo aglio e un’acciuga dissalata. Servite tiepido con polenta in fetta ravvivata sulla griglia. È con il baccalà mantecato che potrete completare la fantasia: per esempio, mischiandolo a punte d’asparagi e formando degli involtini con dei riquadri di pasta fillo, da passare in forno quel tanto che basta per renderla croccante; oppure impastando delle polpettine, da passare nel pangrattato e friggere.

Vino consigliato: Vespaiolo di Breganze Doc 93


Veneto - Rubano

Ristorante La Bulesca di Piodaniele e Giovanni Chimetto

La primamela in giardino Ingredienti per 4 persone

4 mele rosse (Stark) 2 mele verdi (Granny Smith) 2 mele gialle (Golden) 12 fettine e una fetta spessa di prosciutto crudo di montagna 200 g di formaggio Asiago di malga mezzano 1 costa di sedano 1 limone olio extravergine di oliva pepe

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uesto è un Piatto del Buon Ricordo nel senso più vero della parola, venato com’è dalla nostalgia dei sapori della montagna: la mela, declinata in tre varietà – Stark, Granny Smith e Golden, inimitabili quelle del Trentino–Alto Adige – che il palato scopre diverse per consistenza e acidità; il prosciutto di montagna, celebre quello di Sauris, in Carnia, di gusto intenso, utilizzato sia per avvolgere gli spicchi di frutta che per la dadolata di contorno; il formaggio Asiago, dall’Altopiano dei Sette Comuni, con 94


specifica richiesta per il prodotto di malga, inconfondibile per gli aromi di pascolo che conserva; il sedano della Pedemontana, da Rubbio e Campese, luoghi di storica produzione, che apporta quell’aroma erbaceo e quella nota di colore che completano il giardinetto. Tra i dettagli che contano, l’olio extravergine di oliva dei Colli Euganei o di Pove del Grappa. Da notare l’abbinamento tutt’altro che casuale con uno Chardonnay, vino dall’aroma primario di mela. Tagliate la parte superiore di ogni mela Stark e conservatela per riutilizzarla come ‘coperchio’ della ciotolina che ricaverete svuotando con uno scavino la parte inferiore del frutto. Sbucciate le mele Granny Smith, e tagliate ognuna in sei spicchi, che rivestirete con una fetta di prosciutto; infilate tre di questi involtini in ogni mela rossa e ricomponete il frutto con il suo coperchio. Tagliate a cubetti di un centimetro di lato le mele Golden sbucciate, il sedano mondato da eventuali filamenti, il formaggio Asiago mezzano e la fetta spessa di prosciutto, dopo averla liberata dal grasso; condite con olio extravergine di oliva, succo di limone e pepe, ma senza sale. Distribuite questa insalata sui piatti e al centro ponete la mela a sorpresa.

Vino consigliato: Chardonnay dei Colli Euganei Doc 95


Veneto - San Polo di Piave

Ristorante Parco Gambrinus La Locanda 1847 di Adriano Zanotto

Gamberi alla Gambrinus Ingredienti per 4 persone

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20 gamberi d’acqua dolce prezzemolo | 1 spicchio d’aglio farina bianca | vino bianco secco olio extravergine di oliva | paprika Per la polenta: 1 litro d’acqua 250 g di farina di mais Biancoperla 10-15 grammi di sale

hi ha detto che la pianura del Nord-Est è un ambiente piatto e banale? Evidentemente questo sprovveduto non ha mai visto un fontanile, ovvero una di quelle pozze dove le acque di certi torrenti, dopo un percorso sotterraneo tra le ghiaie, riaffiorano come d’incanto, cristalline e sempre fluenti, a temperatura che sembra gelida d’estate e tiepida d’inverno, ricchissime di vegetazione sommersa, vere gemme della campagna veneta. Tra i suoi abitanti, il gambero di fiume, che ha proprio qui una delle sue ultime roccaforti. Meno male che hanno imparato ad allevarli 96


così da perpetuare il piacere di averli in tavola. Dettaglio non trascurabile, la polenta, che a Venezia e nel suo entroterra, quando si parla di pesce, dal fritto alle seppie con il nero, dev’essere bianca. Abituati a considerare giallo o tutt’al più arancione il chiccho di mais, da queste parti se ne scopre un’antica varietà bianca, dal chicco traslucido, che un’anima poetica ha nominato Biancoperla e una benemerita associazione di Conservatori ha salvato dall’oblio. Sciacquate accuratamente i gamberi e passateli in un ampio tegame nel quale avrete riscaldato un velo d’olio. Avviate la cottura a fuoco moderato e dopo qualche minuto bagnate con un bicchiere di vino bianco; aggiungete una presa di sale grosso e il trito di un bel ciuffo di prezzemolo appena colto con uno spicchio d’aglio; aiutandovi con un passino fine fate scendere un paio di cucchiaiate di farina bianca e un cucchiaino di paprika, dell’intensità che vi è più gradita. Coprite il tutto per 7-8 minuti e dopo aver tolto i gamberi, se necessario, fate addensare rapidamente il fondo di cottura. Impiattate i gamberi, cinque a testa, disponendoli a ventaglio e bagnandoli con la salsa; accompagnate con fettine di polenta bianca abbrustolita e guarnite con una presa di prezzemolo tritato. Non sapete come affrontare i gamberi? Nessun problema, basta seguire alla lettera i 10 comandamenti del Gambrinus, che incitano all’uso delle dita e di un grande tovagliolo, altrimenti detto ‘bavariol’.

Vino consigliato: Pinot Bianco del Piave Doc 97


Veneto - Selvazzano Dentro

Ristorante La Montecchia di Erminio Alajmo

Coscia d’oca croccante con crema di patate, caponatina e salsa ai pepi Ingredienti per 6 persone

6 cosce d’oca (300 g cadauna) | 100 g di senape di Digione 15 g di erbe aromatiche (aneto, timo, origano) ½ l di brodo di carne | olio extravergine d’oliva polvere Tandoori (miscela di spezie indiane) | zucchero Per la crema di patate: 450 g di patate tagliate a cubetti (2 cm) 100 g di panna liquida | 95 g di latte 60 g di brodo vegetale bollente 20 g di olio extravergine d’oliva | zucchero Per la caponatina: 3 zucchine | 2 peperoni medi (1 giallo e 1 rosso) | 1 melanzana | ½ cipolla | 1 spicchio d’aglio | timo

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itata da Dante nell’Inferno prim’ancora di dire degli Scrovegni, l’oca di corte padovana viene tradizionalmente allevata allo stato libero nella bassa pianura. La sua macellazione era un ‘rito’ legato al giorno di san Martino, l’11 novembre, quando convenzionalmente finiva l’anno agrario e si tenevano le più 98


importanti fiere agricole. La carne d’oca veniva conservata nel suo stesso grasso, consentendo il consumo dai primi dell’inverno fino a primavera inoltrata. Il piatto che meglio rappresenta questa realtà è risi e bisi con l’oco in onto, ovvero il risotto con i piselli, primizia d’aprile, arricchito con gli ultimi tocchetti di carne in conserva. Tra le ricette padovane più singolari, il collo d’oca ripieno, preparato dalle famiglie della comunità ebraica. Disossate le cosce, sgrassando quanto possibile, quindi cospargetele di sale, zucchero e polvere Tandoori. A parte diluite la senape con poco brodo di carne e olio, aggiungete gli aromi tritati e spalmate il composto sulla carne. Inserite le cosce in un sacchetto da sottovuoto e togliete l’aria, quindi passate in forno per una cottura a vapore a bassa temperatura, 64 gradi per 24 ore. Questa tecnica, che conferisce alle carni eccezionale morbidezza, richiede forni professionali; in ambito domestico la normale cottura al vapore per circa 2 ore darà esito comunque soddisfacente. Al momento preparate una crema di patate: pelatele, tagliatele a pezzettini e fatele cuocere in abbondante acqua, dopo di che lavoratele al mixer con il brodo, la panna, il latte e un filo d’olio extravergine; regolate il sapore con sale e zucchero. Preparate la caponatina facendo saltare in una padella con poco olio dapprima l’aglio e il timo, e poi le verdure tagliate a cubetti, aggiustando di sapore alla fine. Da ultimo scaldate una padella antiaderente e passate le cosce fino a renderle croccanti. Versate al centro di ogni piatto qualche cucchiaiata di crema di patate, adagiandovi sopra una coscia d’oca croccante e la caponatina di verdure.

Vino consigliato: Cabernet dei Colli Euganei Riserva Doc 99


Veneto - Torri del Benaco

Hotel Ristorante Gardesana di Giuseppe e Mirko Lorenzini

Filetti di lavarello in agrodolce Ingredienti per 4 persone

2 lavarelli da 300-350 g | 100 g di peperoni rossi e gialli 100 g di porri | 100 g di carote | 100 g di sedano 50 g di aceto di mele | 50 g di zucchero semolato 100 g d’olio extravergine d’oliva del Garda alloro | bacche di ginepro | chiodi di garofano

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uesto piatto si ispira alla preparazione del pesce in carpione, ovvero marinato alla maniera tipica delle regioni interne del Nord. Di solito è il pesce di piccola taglia, come l’alborella, a essere sottoposto a questo trattamento, dapprima infarinato e fritto, poi bagnato con una marinata d’acqua, aceto e sale, con aggiunta di cipolla, carota, sedano e aromi. Ricetta molto popolare, il carpione consentiva di conservare il pesce per qualche giorno ma anche di sfruttare pesci un po’ ostici come il cavedano, tanto ci pensava l’aceto e sciogliere le spine più profonde. Nel caso della Gardesana la ricetta tradizionale viene sublimata. In primo luogo grazie alla scelta del lavarello, pesce di 100


lago tra i più apprezzati per le carni bianche e delicate; poi, per la ricchezza della guarnizione, che con i peperoni s’accende di colore e sapore quasi mediterranei. È interessante notare, però, l’introduzione dello zucchero, che rimanda alla tradizione veneziana delle sarde in saor. Ingrediente strategico, l’olio extravergine d’oliva, che sul Garda ha aroma inconfondibile con sensibile effetto sul profilo aromatico del piatto. La salsa agrodolce può essere preparata con largo anticipo, che anzi il sapore s’arrotonda con qualche ora d’attesa. Curate le verdure come s’addice ad ognuna e tagliatele a listerelle sottili; tritate un po’ di bacche di ginepro; spezzettate poche foglie d’alloro. Passate tutto in padella su un fondo d’olio addizionato con l’aceto di mele e lo zucchero; friggete a fuoco vivo per una decina di minuti di modo che la julienne di verdure risulti croccante; salate quanto basta. Eviscerate e pulite i lavarelli; ricavate i quattro filetti e spellateli. Scaldate in padella un fondo d’olio extravergine d’oliva, e friggete il pesce, tre minuti basteranno, salando con prudenza. Trasferite delicatamente i filetti sul piatto e copriteli con l’agrodolce di verdure, lasciando alla stagione un suggerimento per un’ulteriore guarnizione vegetale d’effetto.

Vino consigliato: Lugana Doc 101


Veneto - Venegazzù

Trattoria da Celeste di Celeste e Giuliano Tonon

Cappelletti del conte Loredan Ingredienti per 4 persone:

600 g di pasta fresca | 2 piccioni freschi 200 g di funghi ‘barboni’ (Albatrellus pes-caprae), al secolo “piede di capra” o “lingua di brughiera” 200 g di funghi porcini | 50 g di pancetta ½ cipolla | 1 costa di sedano | 2 spicchi d’aglio prezzemolo | rosmarino | salvia | 1 cucchiaio di farina 1 bicchiere di vino bianco secco | 1 bicchierino di Porto Parmigiano Reggiano grattugiato | noce moscata

I

l più celebre dei Loredan fu Leonardo, eletto doge ai primi del Cinquecento, all’epoca della Guerra della Lega di Cambrai, in un momento cruciale per la Repubblica di Venezia. Tra i possedimenti della sua casata figurava la villa di Volpago del Montello, al centro di una grande tenuta ancor oggi famosa per la sua produzione vinicola. Ecco spiegata, dunque, l’ispirazione di questo piatto, trovato su un antico ricettario e reinterpretato dai Tonon: carne di piccione, ricordando la passione del conte per la falconeria, e involucro di pasta in forma di cappello dogale, a memoria dell’onore che gli toccò. 102


Eviscerate i piccioni, accantonando i fegatini, poi disossateli e spellateli. Con quanto scartato preparate un fondo bruno così facendo: in una pentola scaldate un fondo d’olio con rosmarino, salvia, aglio, un po’ di pancetta e mezza cipolla tritate; nel soffritto fate rosolare le ossa, aggiungete 2 cucchiai di farina, sale e pepe, quindi passate in forno a tostare per dieci minuti; riportate sulla fiamma, sfumate con vino bianco e aggiungete un litro d’acqua circa; lasciate bollire per venti minuti e filtrate. Tritate a coltello la polpa di piccione e i fegatini, passate leggermente in forno e poi rosolate in padella, lasciando sfumare un bicchierino di Porto. A parte fate rosolare con olio e burro la cipolla tritata con rosmarino, salvia, aglio e sedano; aggiungete la carne, mescolate e bagnate con il vino; versate il fondo bruno e fate bollire leggermente per una ventina di minuti. A questo punto aggiungete i funghi, che nel frattempo avrete affettato sottile e spadellato con burro, poco olio, sale e pepe; proseguite la cottura per un altro quarto d’ora e regolate il sapore. Per il ripieno tagliate i porcini a fettine sottili e cucinateli con aglio tritato e prezzemolo su un velo d’olio; dopo dieci minuti aggiungete le patate bollite e frullate il tutto; amalgamate due uova e il formaggio grattugiato, regolando con noce moscata, sale e pepe. Tirate una sfoglia sottile di pasta, distribuendo un cucchiaino di ripieno ogni tre centimetri. Ricoprite con un altro foglio di pasta e tagliate i ravioli con un copapasta che per fedeltà alla ricetta dovrà avere forma di ‘corno’ dogale. Servite con abbondante salsa e formaggio grattugiato.

Vino consigliato: Manzoni Bianco della Marca Trevigiana Igt 103


Veneto - Venezia

Ristorante Fiaschetteria Toscana di Albino Busatto

Frittura della Serenissima Ingredienti per 4 persone

600 g di pesce, molluschi e crostacei da fritto 6 zucchine | 2 carciofi | 1 porro | 4 fiori di zucca 1,5 kg di farina bianca 00 ½ litro di latte 1,2 l di acqua ghiacciata olio extravergine d’oliva di sapore delicato

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uesta frittura è davvero degna di un doge. Di spine neppure l’ombra: scampi, calamari, calamaretti, canestrelli, seppioline, bocconcini d’anguilla, ganascette di rana pescatrice… Certo, se non frequentate il mercato di Venezia vi sarà impossibile trovare le ‘moeche’, piccoli granchi mantenuti in vivaio fino al momento della muta, quando perdono il guscio e diventano bocconi morbidissimi. La filosofia del piatto, tuttavia, è chiara e richiede l’acquisto di quanto di meglio offre il mercato anche sul fronte dell’orto, come 104


i carciofi dell’isola di Sant’Erasmo, che potrebbero mangiarsi crudi, e tutte le verdure del Cavallino. Poi ovviamente ci vuole la mano che li sappia trasformare in croccanti bocconi, senza che passi inosservato l’accorgimento fondamentale dell’olio extravergine d’oliva per la frittura, ma solo a patto che sia delicato. Fate la pastella per le verdure con ½ chilo di farina bianca stemperata nell’acqua ghiacciata cercando di ottenere un composto fluido e omogeneo. Tagliate a fiammmifero la parte esterna delle zucchine, immergendola nel latte per almeno 20 minuti. Tagliate a fettine il più sottili possibile il cuore dei carciofi. Tagliate il porro, invece, a fettine più spesse, 3-4 mm, in modo che non si sfaldi. Togliete il gambo ai fiori di zucca, lavateli internamente e asciugateli. Immergete nella pastella, porro, carciofi e fiori di zucca. Scolate bene dal latte le zucchine, infarinatele levando il superfluo con un setaccio. Il pesce dev’essere pulito e lavato in acqua corrente, quindi asciugato, infarinato e passato al setaccio. Friggete verdure e pesce in pentole separate, con un litro d’olio per le prime e due litri per il secondo; portate l’olio a 180 gradi e cuocete piccole quantità alla volta di modo che la temperatura non s’abbassi troppo. Levate la frittura quando avrà raggiunto una doratura croccante, sgocciolatela con cura e lasciatele su carta da cucina perché s’asciughi; salate e servite immediatamente.

Vino consigliato: Pinot Grigio Ramato dei Colli Orientali

del Friuli Doc 105


Veneto - Venezia Lido

Trattoria Favorita di Luca e Gabriella Pradel

Spezzato di pesce in brodetto del matto Ingredienti per 4 persone

300 g di coda di rospo | 200 g di seppie 200 g di totani a rondelle | 160 g di code di gamberi 4 scampi interi | 200 g di vongole veraci 120 g di olio extravergine d’oliva 200 g di pomodori maturi 150 cl di fumetto di pesce ridotto vino bianco secco | 1 spicchio d’aglio 1 peperoncino secco tritato | 1 foglia d’alloro | pepe

I

mmaginate una barca da pesca sulla via del ritorno in porto: dopo la cernita del pesce, quello destinato al mercato è bell’e sistemato nelle cassette, mentre la minutaglia finisce in pentola per rifocillare l’equipaggio al termine dell’uscita in mare. Una scena senza tempo con un focolare improvvisato al centro della barca e una pentola di coccio che accoglie pesci diversi con la stagione. Una ricetta, che poi si trasferisce tra le mura domestiche, più curata nella preparazione, basta solo un soffritto e qualche spezia, magari affiancata da una polenta fresca di paiolo. 106


Nell’Adriatico si parla di brodetto, passando da Grado, dove si prepara in bianco con una sola varietà di pesce, a Termoli, dove invece è rosso e piccante. A Venezia è particolarmente vario, perché alla pesca in mare, che offre a questa zuppa la rana pescatrice o lo scorfano, s’aggiunge quella lagunare, con una sorprendente varietà di molluschi e crostacei. Nato nelle umili cucine dei casoni di pesca lagunari, ancora oggi si dimostra piatto fondato soprattutto sulla bontà degli ingredienti. A proposito, il matto sarebbe un vecchio zio, fissato con questa ricetta della sua infanzia, a suo dire unica e inderogabile. La preparazione è essenziale. Preparate per tempo un fumetto di pesce ristretto, facendo bollire teste e lische con la consueta dote di cipolla, carota e sedano, più qualche grano di pepe. Scaldate un fondo d’olio in una casseruola capiente e rosolate lo spicchio d’aglio privato del germe e il peperoncino tritato. Aggiungete il pesce, partendo da quello di polpa più consistente, lasciando rosolare. Nel caso suggerito, prima la coda di rospo, poi le rondelle di totani e solo verso la fine gamberi, scampi e vongole. Esaurita la sequenza, versate un bicchiere di vino bianco e lasciatelo sfumare; aggiungete il pomodoro tagliato a dadini e il brodo di pesce bollente. A cottura ultimata, aggiustate di sale e pepe. Servite con crostini di pane all’aglio.

Vino consigliato: Ribolla Gialla dei Colli Orientali

del Friuli Doc 107


Veneto - Verona

Ristorante 12 Apostoli di Giorgio e Antonio Gioco

Petto d’anatra all’Amarone Ingredienti per 4 persone

700 g di petto d’anatra | 4 bicchieri di vino Recioto Amarone | funghi porcini freschi | carote | sedano cipolla | aglio | salvia | rosmarino | alloro olio extravergine d’oliva | pepe Per lo sformato: 360 g di formaggio Monte Veronese Dop mezzano 1 litro di latte | 4 uova | 100 g di farina bianca 70 g di burro

P

rotagonista del piatto è l’anatra, che in Veneto, regione ricca di acque è non solo oggetto di interesse venatorio, ma soprattutto è il più popolare tra i volatili di bassa corte. Basti dire dei ‘bigoi co’ l’arna’, piatto di pasta al torchio con ragù d’anatra, che sono quasi di precetto per la Festa del Rosario, ai primi di ottobre, quando la Serenissima ricordava anche la vittoria di Lepanto sui Turchi. Quanto agli ingredienti di complemento, non si potrebbe chiedere niente di più tipico: il formaggio Monte Veronese, orgoglio dei Monti Lessini, prodotto ancora oggi in 108


malga, e il vino Recioto Amarone, prodotto in Valpolicella con le ‘recie’, le orecchie, ovvero i racimoli più esterni dei grappoli, messi ad appassire di modo che il vino risulti fortificato meritandosi un nome che non lascia adito a dubbi. Liberate i petti d’anatra dalle loro cartilagini, rifilateli bene e fateli rosolare da entrambi i lati in una casseruola dove avrete già soffritto un trito di funghi porcini, carote, sedano, cipolla e aglio, oltre alle erbe aromatiche. Passate in forno a 180 gradi per un quarto d’ora circa. Poi mettete la carne da parte, mantenendola al caldo, e passate al setaccio il fondo di cottura, diluendolo poi con il vino rosso; portate sul fuoco e fate addensare fino a ottenere una salsa corposa che andrà regolata di sapore. Con adeguato anticipo impostate la preparazione dello sformato. Sciogliete il burro aggiungendo un po’ di farina bianca; aggiungete il latte bollente, i tuorli d’uovo e il formaggio Monte Veronese di mezza stagionatura, che avrete tagliato finemente. Versate il composto in stampini da sformato e infornate a bagnomaria a 100 gradi per circa 2 ore. A tempo scaduto liberate i tortini e disponeteli al centro dei piatti. Nel frattempo avrete provveduto a scaloppare i petti d’anatra disponendo le fettine a raggiera; completate con la salsa purpurea di Amarone e la guarnizione di un giro d’olio extravergine del Garda.

Vino consigliato: Valpolicella Classico Superiore Doc 109


Trentino Alto Adige - Moena

Hotel Ristorante Foresta di Teresa Piazzi

Pernice di vitello brasata e canederlotti di ortiche e spinaci Ingredienti per 4 persone

1 kg di pernice di vitello 200 g di verdure a cubetti (sedano rapa, cipolle, carote, porro, sedano) | 40 g di concentrato di pomodoro ¼ l di vino bianco secco | brodo di carne | rosmarino alloro | aglio | burro | senape | paprika dolce | pepe Per i canederli: 200 g di pangrattato 200 g di spinaci | 150 g di ortiche | 1 cipollotto 3 uova | 60 g di farina | Grana Trentino | pepe

È

sostanzialmente un piatto tradizionale, immancabile nelle osterie al tempo in cui vi facevano sosta le diligenze. Per il brasato viene data una precisa indicazione di macelleria, la pernice di spalla, che nel caso del vitello è il non plus ultra. Per contorno, dei canederli alle erbe: il termine è l’italianizzazione di ‘Knödeln’, a sua volta derivato dall’altogermanico ‘nokk’, che indicava un nodo nel legno e per estensione qualcosa di sferico, come per 110


l’appunto un grosso gnocco. Come materia prima, per lo più pane; come ingredienti complementari, un po’ di tutto, a seconda della stagione, spinaci ed erbe spontanee, speck o fegato; infine il consumo, per lo più in brodo o conditi con burro fuso, salvia e formaggio, ma anche con sughi sostanziosi come un gulash. Talora il rapporto si inverte e il canederlo diventa contorno, come nei piatti di capriolo o camoscio in umido, con salsa di mirtilli rossi. Particolari, i canederli a ripieno dolce, albicocche o prugne secche, profumati alla cannella. Innanzitutto avviate il brasato. Insaporite la carne con senape, paprika, sale e pepe; infarinatela leggermente e rosolatela in una casseruola con un po’ d’olio e burro. Unite la dadolata di verdure, un rametto di rosmarino e un paio di foglie d’alloro spezzate; bagnate con il vino bianco e lasciate evaporare. A questo punto aggiungete il concentrato di pomodoro e il brodo di carne, avviando la cottura per un paio d’ore a fuoco lento rigirando la carne di tanto in tanto. Nel frattempo dedicatevi ai canederli: stufate a fuoco basso il cipollotto tritato in un po’ d’olio e burro; insaporite analogamente spinaci e ortiche e poi stufateli dolcemente. Passate tutto nel cutter, impastando quanto risulta con le uova, il formaggio grattugiato, il pangrattato, la farina, sale e pepe. Formate dei piccoli canederli e cuoceteli in un brodo leggero; non appena vengono a galla scolateli e accompagnateli alla carne, che avrete affettato allo spessore desiderato. Come condimento, burro dorato e scaglie di Grana Trentino.

Vino consigliato: Teroldego Rotaliano Doc 111


Trentino Alto Adige - San Michele all’Adige

Ristorante da Pino di Danilo Moresco e Luciana Caset

Fagottino di fagiano ai porcini con galletta di patate e fagiolini alla pancetta Ingredienti per 4 persone

400 g di petto di fagiano Per la farcia: 100 g di tacchino | 50 g di fagiano 100 g di porcini | 1 albume d’uovo | 1 carota 1 zucchina | pepe Per il tortino: 400 g di patate | 50 g di burro 20 g di porro | rosmarino | pepe Per l’involtino: 200 g di fagiolini lessati 50 g di pancetta affumicata | olio extravergine d’oliva

I

nnanzitutto preparate la farcia passando al tritacarne la polpa di tacchino e fagiano, lavorandola quindi al mixer con l’albume d’uovo fino a ottenere un composto omogeneo. Trifolate i porcini con olio, aglio e prezzemolo, e tritateli a coltello; scottate e tagliate a cubetti la carota e la parte verde della zucchina; impastate il tutto e regolate di sale e pepe. 112


Battete leggermente i petti di fagiano, aromatizzandoli con sale, pepe e poco vino santo. Spalmate la farcia al centro del petto e avvolgetelo in carta alimentare o carta Fata, conferendo la classica forma ovale di suprema. Passate in forno a vapore per una cottura di circa 10 minuti a 85 gradi; togliete il petto farcito dalla pellicola e rosolatelo in un tegame con poco burro o olio extravergine. Scaldate un tegame antiaderente e rosolate nel burro il porro tagliato a brunoise (dadolata fine). Tagliate le patate a cubetti e fatele scottare al vapore per 4 minuti, quindi conditele con rosmarino tritato, sale e pepe di macinino. Aggiungetele al soffritto e a cottura ultimata comprimetele in stampini cilindrici da 7 centimetri. I tortini cosĂŹ preparati andranno adagiati su carta da forno o in teglia unta, e passati in forno a calore medio-alto per pochi minuti. Cuocete i fagiolini fini al vapore a 100 gradi per una decina di minuti; aggiungete olio extravergine e sale, quindi avvolgeteli a mazzetti entro fettine di pancetta affumicata, passando in forno temperato a 130 gradi per 3 minuti. A questo punto tutto è pronto per assemblare il piatto: sistemate il tortino di patate nella parte destra del piatto, sormontatelo con l’involtino di fagiolini e appoggiate il petto di fagiano scaloppato. Macchiate il piatto con il fondo di cottura e qualche goccia d’olio extravergine; guarnite con un mazzetto di erbette.

Vino consigliato: Pinot Nero Vigneti delle Dolomiti Igt 113


Trentino Alto Adige - Torbole sul Garda

Ristorante Hotel Piccolo Mondo della Famiglia Chiesa

Lavarello del Garda in crosta di patate al rosmarino Ingredienti per 4 persone

I

4 lavarelli da 350-400 g. 4 patate 4 fette di pan carrè rosmarino formaggio grana Trentino Dop olio extravergine d’oliva vino bianco secco pepe

l coregone, localmente noto come lavarello, è pesce dal corpo slanciato e dalla colorazione argentea, lungo in media 30-40 cm, tipico delle acque lacustri, dove vive in profondità nutrendosi di piccoli organismi animali. È lo ‘straniero’ di maggiore successo delle nostre acque: venne introdotto, infatti, sul finire dell’Ottocento dalla Germania e il perfetto acclimatamento ne 114


ha fatto una delle voci più significative nei registri della pesca professionale dei nostri laghi prealpini. La bontà delle carni, bianche e piuttosto magre, di sapore delicato, con un contenuto proteico analogo a quelle del manzo, ideali tanto per la griglia quanto per il forno, ha reso il lavarello protagonista della buona tavola dal lago Maggiore a quello di Garda. Degna di nota è anche la produzione di filetti di lavarello aromatizzati alle erbe o affumicati. Per questa ricetta, rappresentativa dell’Alto Garda Trentino, dove il paesaggio parla già di montagna, pulite i lavarelli, apriteli a libro e diliscateli. A parte preparate un battuto di rosmarino, aggiungete il frullato del pan carrè, sale e pepe quanto basta. Sbucciate le patate e riducetele a fette sottili. Disponete i pesci in una pirofila, cospargeteli con il pane aromatizzato e copriteli completamente con le fettine di patate; spolverate con il formaggio grana Trentino grattugiato, qualche rametto di rosmarino, e bagnate con un filo d’olio d’oliva. Dopo aver versato sul fondo del contenitore un po’ di vino bianco, passate i lavarelli in forno preriscaldato a circa 190 gradi. Lasciate cuocere per 10-15 minuti. Servite su un piatto guarnito con fili d’erba cipollina e una dadolata di pomodorini freschi.

Vino consigliato: Pinot Grigio Valdadige Doc 115


Friuli Venezia Giulia - Cormòns

Trattoria Al Giardinetto della Famiglia Zoppolatti

Gnocchi di susine Ingredienti per 4 persone

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1 kg di patate 250 g di farina 200 g di susine del Collio 100 g di burro 2 tuorli d’uovo 3 cucchiai di pangrattato zucchero semolato cannella in polvere

ormons è il capoluogo del Collio, celeberrimo distretto vinicolo del Goriziano. La parte più antica della cittadina è la ‘centa’ medievale, attorno alla quale si sviluppano i quartieri con belle architetture sei-settecentesche che mantengono viva l’atmosfera asburgica. Qui non fanno alcun mistero della nostalgia per quei tempi, tanto che la tradizionale Festa dei Popoli Mitteleuropei si fa cadere il 18 agosto, genetliaco dell’imperatore Francesco Giuseppe. Questa inclinazione vale anche per la ristorazione, dove si fa tesoro di quel che i secolari scambi con l’Oltralpe ha insegnato ai cuochi. 116


Nello specifico il riferimento è per il gioco d’agro, dolce e salato che è una delle caratteristiche della cucina mitteleuropea. Come per questo piatto di gnocchi, che non a caso la Venezia Giulia condivide con l’Alto Adige, dov’è protagonista la susina, tradizionale prodotto della frutticoltura montana. Per ripieno e condimento, burro fuso con zucchero e cannella, combinazione di sapori che tuttavia si devono al Levante tramite la Serenissima. Per dare adeguato suggello al pranzo, un bicchierino di quell’acquavite di susine che prende il nome di prugna o sliwovitz. Pulite le susine e fate un’incisione nel senso della lunghezza. Togliete il nocciolo e riempitele con un ripieno fatto con 20 grammi di burro sciolto mescolato a 2 cucchiai di zucchero e un cucchiaino di cannella in polvere. Lessate le patate con la buccia; quando saranno tenere, scolatele e pelatele. Schiacciatele con l’apposito attrezzo su una spianatoia e preparate l’impasto con i tuorli, un pizzico di sale e la farina. Prendete una grossa noce di impasto, appiattitela e ponete al centro la susina ripiena; richiudete con cura in modo da formare un grosso gnocco. Al momento cucinate gli gnocchi in acqua bollente salata scolandoli non appena tornano a galla. Distribuiteli nei piatti cospargendoli con una miscela di zucchero e cannella in polvere. Condite con burro fuso.

Vino consigliato: Verduzzo Friulano Doc 117


Friuli Venezia Giulia - Gradiscutta di Varmo

Trattoria da Toni di Aldo Morassutti

Filetto di maiale ai porri Ingredienti per 4 persone

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4 grossi medaglioni di maiale 600 g di porri 4 patate vino bianco secco brodo di carne olio extravergine d’oliva burro pepe

lemento caratterizzante di questa ricetta è il porro, benemerito rappresentante della famiglia delle Liliacee, il che vuol dire che se aspettassimo la sua seconda primavera godremmo della vista di una bella infiorescenza violacea. Gli esperti della nutrizione sono più sensibili alle sue virtù salutari, sapendolo antisettico e diuretico. I cuochi, dal canto loro, possono contare sul suo apporto in ogni momento: le varietà antiche sono autunno-invernali, le più saporite, ma poi s’è trovato modo di selezionarne per ogni stagione, dolci e fondenti quelle estive. “Il 118


romano Giovenale ci parla dei porri” – riferisce l’erudito Ippolito Pizzetti – “come di una verdura degna di accompagnare la testa di montone bollita, che è come dire il massimo.” Oggi in Italia lo si coltiva soprattutto al Nord, dove trova impiego tradizionale in minestre e sformati, più recentemente come ingrediente per ricette dai sapori raffinati. Lavate e tagliate a grossi pezzi i porri, lasciando da parte una gamba. Soffriggeteli nell’olio, salate e pepate, portando a cottura con aggiunte di brodo di carne al bisogno. Passate al setaccio, legando se necessario con poca farina bianca. A parte salate e pepate i medaglioni di filetto, rosolateli nell’olio d’oliva bagnandoli con un po’ di vino bianco. Quando il liquido sarà evaporato, aggiungete la salsa preparata in precedenza e portate a cottura. Disponete ciascun filetto nel piatto e copritelo con la salsa di porro. Guarnite con una corona di patate tagliate sottili e gratinate al forno, e con qualche sottile anello di porro fritto.

Vino consigliato: Refosco dal Peduncolo Rosso Grave

del Friuli Doc 119


Friuli Venezia Giulia - Muggia

Hotel Ristorante Al Lido di Vilma Zocchi e Giorgio Suraci

Ravioli di mare con scampi alla buzara Ingredienti per 4 persone

400 g di pasta fresca all’uovo 1 spigola (branzino) | 1200 g di scampi grandi interi ¼ di cipolla bianca tritata | 2 spicchi d’aglio salsa di pomodoro | olio extravergine d’oliva 1 bicchiere di vino bianco secco 1 bicchierino di brandy peperoncino rosso piccante

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i fronte a Trieste sorge Muggia, borgo che conserva una piazza di perfetta immagine veneziana, ben noto per la sua cucina di pesce di tradizione istriana. Vera specialità, i crostacei, che nell’alto Adriatico trovano una gamma completa di habitat, dalle minuscole schie, i gamberetti grigi che vengono fritti e serviti con una polentina, all’astice, al vertice gastronomico della categoria. Ruolo del tutto particolare è quello dello scampo, che può essere descritto, se gli esperti fanno finta di non sentire, come un grosso gambero con le chele; il bacino di pesca più ricco è proprio l’Istria, specie nel golfo del Quarnaro. 120


Ricetta tipica di questo mare è la ‘buzara’, piatto in umido che molto ha fatto discutere i linguisti: secondo alcuni ha attinenza con il verbo buggerare, in quanto un intruglio di composizione poco chiara; secondo altri, con ‘buzzo’, ovvero pancia, fors’anche riferibile alla pignatta che i pescatori usavano per cucinare durante le uscite in mare. Piatto antico, ha visto l’aggiunta di pomodoro e peperoncino in tempi relativamente recenti. Questo Piatto del Buon Ricordo estende la preparazione della ‘buzara’ a una pasta ripiena. Innanzitutto cuocete la spigola al vapore, sgocciolatela, recuperate la polpa delle parti migliori e sminuzzatela insaporendola con sale e pepe. Preparate una sfoglia di pasta fresca e riducetela a riquadri o dischi, sui quali appoggiare il ripieno di pesce per poi formare i ravioli. Al momento rosolate la cipolla in un’ampia pentola con un velo d’olio; aggiungete un trito d’aglio e prezzemolo; mettete anche gli scampi e bagnateli con il vino bianco; fate evaporare un po’ e aggiungete la salsa di pomodoro, il peperoncino e il brandy; fate cuocere per 20 minuti circa, aggiungendo quanto basta d’acqua; addensate il fondo di cottura, regolando di sale. Sincronizzando le cotture, fate cuocere i ravioli in acqua bollente salata; ritirateli al dente per poterli ripassare in padella con la salsa e impiattate suddividendo gli scampi.

Vino consigliato: Chardonnay del Friuli Doc 121


Friuli Venezia Giulia - Savogna d’Isonzo

Lokanda Devetak 1870 della Famiglia Devetak

Mlinci con la supeta Ingredienti per 8 persone

Per la pasta: 500 g di farina 00 | 5 uova 5 cucchiai d’olio d’oliva | erbe aromatiche Per lo spezzatino: 1 gallina nostrana tagliata a quarti 1 l di brodo vegetale | 3 cipolle grosse 1 patata lessata | 1 mazzetto di maggiorana fresca concentrato di pomodoro | olio extravergine d’oliva vino bianco secco | pepe

I

l Carso è l’altopiano calcareo che si stende a 300 metri di quota segnando il margine orientale della Venezia Giulia, al confine con la Slovenia. Il paesaggio è brullo e tormentato, molto suggestivo. Per i triestini il Carso rappresenta la prima meta per una scampagnata, a motivo anche del buon numero di gostilne (trattorie) e osmizze (osterie, da “osem”, otto in sloveno, numero di giorni durante i quali, fin dai tempi di Maria Teresa d’Austria, i contadini potevano vendere vino e quant’altro). I sapori sono di frontiera, con piatti che nascono 122


dal compromesso fra cultura mitteleuropea e ambiente mediterraneo. Versate la farina sulla spianatoia e formate la fontana: rompete le uova, aggiungete 5 cucchiai di olio extravergine d’oliva, una presa di sale e le erbe aromatiche tritate finemente. Lavorate il tutto a pasta dura, lasciatela riposare coperta per un’ora e poi tirate una sfoglia sottile, tagliandola a riquadri irregolari. Cospargete lo stampo da forno con la farina e disponete sopra i mlinci (leggasi ‘mlinzi’). Cuocete a 200 gradi per una decina di minuti in modo che risultino leggermente abbrustoliti. Versate un velo d’olio in una pentola piuttosto capace e fate rosolare a fuoco vivo i pezzi di gallina; bagnate con il vino, aggiungete la cipolla tritata e soffritta, il sale, la maggiorana e la conserva. Coprire il tutto con brodo vegetale e lasciate cuocere a fuoco moderato e recipiente semicoperto per circa 3 ore. A questo punto togliete la gallina dal sugo e disossatela, riducendo la polpa a pezzetti grossolani. Schiacciate una patata lessata nel fondo di cottura di modo che s’addensi e frullate il tutto. A tempo debito lessate i ‘mlinci’ in acqua salata per cinque minuti. Infine componete i tre elementi, versando in una fondina la ‘supeta’ in crema, con i ‘mlinci’ e la carne di gallina.

Vino consigliato: Malvasia del Carso Doc

123


Friuli Venezia Giulia - Udine

Hotel Ristorante Là Di Moret di Piero Ferrando

Lombetto di coniglio al bacon, carotine e scalogno ripieno Ingredienti per 4 persone

400 g di sella di coniglio disossata 4 fette di bacon (pancetta affumicata) 8 carotine baby | farina gialla | semi di cumino 10 ml di fondo di coniglio Per lo scalogno ripieno: 4 scalogni medi 1 spicchio d’aglio | timo e maggiorana freschi olio extravergine d’oliva | sale grosso | pepe

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on è fra i primati nazionali più noti, ma quasi metà dei conigli allevati in Europa è di origine italiana, con particolare merito del Nord-Est. Questa realtà trae origine da un’ubiquitaria pratica domestica, quando ogni fattoria aveva la sua conigliera e i roditori venivano alimentati a erba e fieno, ma anche con la frutta e gli ortaggi che non trovavano migliore utilizzo. Per molti di noi il coniglio è stato una costante dei pranzi domenicali della 124


gioventù, specie nei paesi di campagna, anche se ovviamente non ci si limitava a consumare il suo taglio più nobile, la sella. Disossate la sella di coniglio e ricavate quattro filettini, che andranno avvolti nelle fette di bacon, salati e pepati. La cottura più tecnologica è sottovuoto, negli appositi sacchettini, a 60 gradi per 30 minuti, per ottenere il massimo in fatto di morbidezza e sapore. L’alternativa domestica è la consueta cottura arrosto in casseruola. Nel frattempo lavate e pelate le carotine, sbollentatele in acqua salata e poi ripassatele in padella con i semi di cumino. Quanto agli scalogni, è necessaria una cottura preventiva in forno su un letto di sale grosso a 140 gradi per due ore circa; a tempo scaduto, rimuovete la calotta del bulbo e prelevate la polpa senza rompere l’involucro che servirà da contenitore. Insaporite la polpa in padella con olio, aglio e le erbe aromatiche, poi frullate il tutto e ricollocatela nel suo involucro originale. Preparate del burro chiarificato, facendolo cuocere a bagnomaria per un’ora di modo che la componente grassa, che apparirà come un liquido cristallino, si separi da quella solida, consistente nella caseina. Il burro chiarificato servirà per rosolare i lombetti di coniglio, dopo averli passati nella farina gialla. A questo punto scaloppate la carne e apritela a ventaglio sul piatto, bagnando con il fondo di cottura del coniglio, debitamente filtrato; guarnite ogni porzione con uno scalogno ripieno e con un paio di carotine al cumino.

Vino consigliato: Merlot dei Colli Orientali del Friuli Doc 125


Friuli Venezia Giulia - Venzone

Hotel Ristorante Carnia di Livio Treppo

Cjalsons Ingredienti per 4 persone

Per il ripieno: 500 g di ricotta affumicata di malga 100 g di spinaci | 2 uova | 50 g di pinoli | 50 g di uvetta ½ cipolla | 300 g di burro | formaggio grattugiato 1 cucchiaio di farina di mais | prezzemolo | menta noce moscata | cannella in polvere | pepe nero Per la pasta: | 700 g di farina bianca 00 | 500 g di patate 3 uova | sale q.b.

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a Carnia è il distretto che occupa la parte alta del Friuli: sette valli alpine convergenti verso Tolmezzo, che ne è il capoluogo storico; 40mila abitanti e un’economia che riesce a restare ancora fedele alla tradizione rurale. In tavola troverete una rassegna di sapori di montagna, che si distingue per gli accenti che le derivano dai contatti con le comunità tirolesi e carinziane. Come specialità, i cjalsons, una pasta a mezzaluna che nel ripieno offre alle massaie e ai cuochi una bella opportunità per seguire le stagioni. In origine era un piatto di magro, a base 126


di ricotta o patate, preparato innanzitutto per la vigilia di Natale, ma poi è entrato nell’uso comune, quale ricetta festiva, anche in altre formulazioni. Condimento di prammatica, burro e ricotta affumicata. Grattugiate la ricotta, aggiungete i pinoli, l’uvetta, le uova intere, il formaggio, la noce moscata, la cannella, sale e pepe. A parte preparate il cosiddetto ‘ont’, sciogliendo il burro con una cucchiaiata di farina gialla mantenendolo sul fuoco fino a quando prende color nocciola. Usatelo per rosolare la cipolla, poi aggiungete gli spinaci, il prezzemolo, la menta e un po’ di sale. Quando le verdure saranno raffreddate, tritatele e aggiungetele al ripieno mescolando il tutto. Cuocete le patate in acqua bollente salata, scolatele e passatele al setaccio. Una volta raffreddate, aggiungete le uova e la farina amalgamando il tutto. Lasciate riposare per 10 minuti e stendete la pasta a spessore di circa 5 millimetri, ricavando dei dischi del diametro di 12 centimetri; versate una cucchiata di ripieno su una metà e ripiegate l’altra formando delle mezzelune pigiando bene i bordi a cordoncino. Cuocete i cjalzons in acqua bollente salata per cinque minuti, scolateli delicatamente e distribuiteli in una terrina. Spolverateli con il formaggio grattugiato, cannella e pangrattato. Versate l’‘ont’ molto caldo e portate subito in tavola.

Vino consigliato: Tocai Friulano dei Colli Orientali

del Friuli Doc 127


Emilia Romagna - Bagno di Romagna

Ristorante Prêt à Porter di Paolo Teverini

Piccione arrostito su melanzane alla griglia, semolino fritto, mela in padella e animelle di vitello al pistacchio Ingredienti per 4 persone

2 piccioni 1 melanzana lunga | 200 g di animelle di vitello 80 g di pistacchi tritati | 40 g di burro 200 g di semolino | 500 g di latte 50 g di Parmigiano Reggiano grattugiato olio extravergine d’oliva | 1 peperone rosso 1 peperone giallo | 1 mela Golden | pepe

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el rango gastronomico di questo volatile si trova testimonianza nei trattati di cucina rinascimentale, che lo annoverano tra la selvaggina più indicata per lo spiedo. La sua caccia è ancora oggi molto praticata, specie lungo le dorsali dell’Appennino Centrale, e non a caso Bagno di Romagna è vicina al passo dei Mandrioli, che porta nel toscano Casentino. 128


Valida alternativa alla cacciagione sono i piccioni allevati, in omaggio alla tradizione dell’allevamento in torre, anche questo praticato fin dall’antichità. Pulite e disossate i piccioni, lasciando l’ala attaccata al petto e la coscia con l’osso. Condite le cosce con sale e pepe, avvolgetele una ad una in carta stagnola e fatele cuocere immerse nell’olio per un’ora a 70 gradi circa. Portate a bollore il latte con il burro e un pizzico di sale; aggiungete il semolino, mescolate e fate cuocere per qualche minuto; togliete dal fuoco, aggiungete il formaggio grattugiato e prima che si raffreddi formate delle crocchette grandi quanto un tappo di sughero. Tagliate le melanzane in quattro fette nel senso della lunghezza; conditele con sale e pepe e passatele sulla griglia. Nel frattempo fate cuocere il petto di piccione in forno a 180 gradi il necessario per averle rosa al cuore. Lasciate le animelle per qualche ora in acqua fredda corrente, poi lessatele per una ventina di minuti; lasciate raffreddare, tagliatele a cubetti di 2 centimetri di lato e passatele nei pistacchi tritati. Cuocete i peperoni in forno, privateli della pelle e dei semi, poi frullateli separatamente. Rosolate la coscia di pollo in forno e la dadolata di animelle in padella. Friggete le crocchette. Tagliate la mela in quattro spicchi e fateli appassire in padella. Prendete piatti rettangolari e disponete una fetta di melanzana su ciascuno, allineandovi sopra, da destra a sinistra, un po’ di animelle, le crocchette in piedi, il petto di piccione, lo spicchio di mela e la coscia; decorate con qualche riga di salsa di peperone, alternando i colori.

Vino consigliato: Sangiovese di Romagna Doc 129


Emilia Romagna - Bologna

Rosteria Luciano di Renato e Anna Rosa Bicocchi

Cotoletta alla bolognese Ingredienti per 4 persone

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4 fettine di fesa di vitello 4 fette di prosciutto crudo dolce formaggio Parmigiano Reggiano 2 uova pangrattato | burro | brodo | pepe

l pensiero corre subito al confronto con la cotoletta alla milanese, ma le differenze tra le due ricette sono più forti delle analogie. Carne di vitello, certo, ma di parti ben differenti. In questo caso fesa, dunque taglio di coscia e senz’osso, il che rende un po’ fuorviante il termine cotoletta (dal francese ‘côte’, costa). È preparazione importante e antica, che si riconosce già in certe portate di banchetto del primo Seicento, ma codificata solo due secoli più tardi. In questo caso «La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene» dell’Artusi è fonte interessante, alla voce “Cotolette col prosciutto”. Preparazioni analoghe sono la ‘valdostana’ farcita di fontina, con eventuale aggiunta di tartufo bianco, e la francese ‘cordon bleu’, guarnita con formaggio 130


e prosciutto cotto, ma senza speranza di uguagliare una combinazione d’ingredienti emiliani all’insegna dell’eccellenza assoluta. Battete le uova con qualche cucchiaiata di formaggio grattugiato, sale e pepe. Passate le fettine di vitello nel pangrattato, immergetele nel battuto e di nuovo nel pane. In una padella fate prendere leggero colore al burro e friggete le cotolette delicatamente fino a uniforme doratura, quindi trasferitele su carta assorbente perché cedano il condimento in eccesso. Rivestite le cotolette con fettine di prosciutto crudo e copritele con scaglie di Parmigiano Reggiano; riportatele in padella, aggiungendo al fondo di cottura un po’ di brodo e fate scaldare a fuoco moderato, sotto coperchio, di modo che il formaggio abbia a fondere. Servite con alcune foglie di salvia e un gratin di pomodoro e zucchine. Quanto alla frittura tenete presente che è sempre valido il ricorso a burro chiarificato, che consente una cottura a temperatura più elevata a favore della migliore consistenza della panatura. Per chiarificare del burro basta scioglierlo a bagnomaria, lasciandolo sul fuoco il tempo necessario, un’ora circa, per ottenere la totale separazione della componente grassa, che appare come un liquido cristallino, da quella solida, che s’accumula sul fondo. Versato in un vasetto, il burro chiarificato si conserva a lungo in frigorifero.

Vino consigliato: Sangiovese di Romagna Superiore Doc 131


Emilia Romagna - Cesenatico­­

Ristorante Titon 1954 della Famiglia Malpezzi

Padella di crostacei alla Titon Ingredienti per 4 persone

L’

2 astici | 4 aragostelle | 4 scampi 4 mazzancolle | 8 canocchie | 4 granchi 10 pomodori a grappolo maturi 100 g di fagioli cannellini salvia | aglio | rosmarino prezzemolo | pepe

Adriatico è un mare che sa riservare vere sorprese e questa padella di crostacei sembra fatta apposta per dimostrarlo. Il porto canale di Cesenatico, con i suoi cento e più pescherecci, e lo storico edificio del mercato ittico offrono una bella immagine di una delle più attive marinerie di questo mare; il primato spetta al pesce azzurro, ma anche i crostacei registrano catture ragguardevoli, 300 tonnellate all’anno. Pezzo forte è la canocchia, altrimenti detta cicala di mare, ma di giorno in giorno sono diverse le opportunità per comporre degnamente il piatto: specie di sabbia, come lo scampo, la 132


mazzancollla e il granchio, ma anche di roccia, come l’astice e l’aragosta, per contraddire chi pensa che l’Adriatico abbia fondale monotono. Significativa è la presenza dei fagioli in un piatto di mare: in primo luogo a testimonianza che non esistono confini pregiudiziali tra cucina marinara e d’entroterra; in secondo luogo a ricordare che la Toscana, con il Mugello e il Casentino, dove i legumi sono coltivazione ormai connaturata alla montagna, è giusto di là dei valichi d’Appennino. Dettaglio: i cannellini oggi viene spontaneo prenderli in scatola, ma sarebbe bene partire da quelli secchi, che sono un vero concentrato di sapore. Tritate uno spicchio d’aglio e fatelo rosolare in olio extravergine. Tagliate i pomodori a pezzetti, aggiungeteli al soffritto e fateli cuocere a fuoco medio per non più di mezz’ora, regolando di sale e pepe. In una padella scaldate dell’olio con un trito molto fine di salvia e rosmarino; unite la salsa di pomodoro e adagiate i crostacei, i più grossi tagliati per il lungo e aperti a libro; diluite il fondo di cottura con un mestolo di brodo di pesce o acqua, quindi aggiungete i fagioli cannellini e a fuoco medio completate la cottura in poco più di 5 minuti avendo cura di tenere coperta la padella. Alla fine profumate con un trito di prezzemolo e un filo d’olio extravergine della migliore qualità; servite accompagnando con crostini.

Vino consigliato: Gewürtztraminer dell’Alto Adige Doc 133


Emilia Romagna - Collecchio

Ristorante Villa Maria Luigia della Famiglia Ceci

Risotto con quaglia farcita Ingredienti per 6 persone

300 g di riso Vialone Nano | 3 quaglie | 1 salsiccia 50 g di fegatini | 50 g di pane grattugiato 50 g di Parmigiano Reggiano grattugiato 3 fette di pancetta | 1 uovo | ½ cipolla concentrato di pomodoro ½ bicchiere di vino bianco | brodo di carne Sherry e Marsala | 6 foglie di salvia | burro

L

a quaglia è il più piccolo rappresentante della famiglia dei Fasianidi. Specie terricola, s’alza con un frullo d’ali che non la presenta come una grande volatrice; invece, a differenza dei suoi congeneri, affronta lunghe migrazioni, dalle steppe dell’Est alle savane dell’Africa, formando stormi tanto numerosi d’aver sempre suscitato stupore: celebre è l’episodio biblico degli Ebrei erranti nel deserto, che, avendo chiesto della carne al Signore, videro il cielo oscurato da questi piccoli uccelli. Peccato che nel nostro paese questi spettacoli siano diventati rari tant’è che non è più la caccia ma l’allevamento a rifornire la cucina. 134


Nonostante le modeste dimensioni, infatti, la quaglia è sempre stata nella massima considerazione dei cuochi. Fa fede il celebre Bartolomeo Scappi che nel Cinquecento aveva in repertorio delle “quaglie tramezzate con libre otto di salciccia, arrostite allo spiedo, servite con melangole tagliate sopra”. Senza arrivare a tanto, ricetta di solida tradizione padana è il risotto con le quaglie, che probabilmente non mancava sulla tavola di Maria Luigia d’Austria, duchessa di Parma, al tempo della villeggiatura nei Boschi di Carrega. Innanzitutto, il ripieno: tritate la cipolla, rosolatela con poco olio, quindi aggiungete la salsiccia sbriciolata e i fegatini; quando anche questi avranno preso colore, bagnate con il vino bianco, salate, aggiungete mezzo cucchiaio di concentrato di pomodoro e un po’ di brodo portando a cottura. Usate il fondo di cottura per scottare il pangrattato. Agli ingredienti soffritti, battuti a coltello, amalgamate il formaggio e un uovo. Con questo composto farcite le quaglie e ricucitele; salate e pepate, quindi avvolgete i volatili nella pancetta fermando le foglie di salvia con qualche giro di filo. Rosolate le quaglie, sfumate con lo Sherry e il Marsala, quindi portate a cottura in tegame con aggiunte di poco brodo. Da ultimo, tostate il riso in padella e portatelo a cottura insaporendolo con la salsa delle quaglie; mantecate con una noce di burro e formaggio grattugiato, quindi impiattate guarnendo ogni porzione di risotto con mezza quaglia e quanto avrete risparmiato del fondo di cottura.

Vino consigliato: Rosso dei Colli di Parma Doc 135


Emilia Romagna - Finale Emilia

Osteria La Fefa di Giovanna Guidetti

Sformato di Parmigiano Reggiano e prosciutto croccante di Modena Ingredienti per 4 persone

Per lo sformato: 250 g di Parmigiano Reggiano grattugiato 240 g di besciamella soda | 1 uovo intero e 2 tuorli 4 stampini in alluminio monoporzione burro a temperatura ambiente | pepe Per la vellutata: 500 g di piselli sgusciati | 25 g di burro 1 cipolla piccola | 1,5 litri di brodo vegetale farina bianca o maizena Per le guarnizioni: 1 fetta spessa di Prosciutto di Modena 8 cucchiaiate di Parmigiano Reggiano grattugiato piuttosto asciutto

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rotagonista di questo Piatto del Buon Ricordo è il più celebre tra i formaggi italiani che, a seconda dell’intensità del piatto desiderata, potrà essere scelto tra le diverse stagionature. É bene sapere che il disciplinare Dop prevede anche due produzioni di particolare pregio che potrebbero dare allo sformato un aroma 136


unico: quello delle vacche rosse Reggiane, razza bovina di antica tradizione, e quella della qualità di montagna, attribuita ai caselli in Appennino. Amalgamate gli ingredienti dello sformato con un mixer, aggiustate di sale e fate riposare in frigorifero. Imburrate gli stampini e riempiteli con il composto. Cuocete a bagnomaria in forno a 130 gradi per circa 30 minuti. Nel frattempo preparate la vellutata: fate sciogliere il burro e rosolate la cipolla tagliata grossolanamente; insaporite i piselli e copriteli col brodo portando a cottura in 20 minuti circa; aggiustate di sale e frullate i legumi con il liquido di cottura; passate il composto al setaccio aiutandovi con un mestolo; se la vellutata risulterà troppo liquida, addensatela con un po’ di farina. Per preparare la cialda di formaggio usate del Parmigiano grattugiato da qualche ora, in modo che abbia perso un po’ di umidità. Mettete sul fuoco una padellina antiaderente del diametro di 16 centimetri e fatela scaldare molto bene; toglietela dal fuoco e ogni volta spargete sul fondo 2 cucchiaiate di Parmigiano; rimettete la padella sulla fiamma e lasciate che il formaggio fonda; togliete dal tegame la cialda e prima che si raffreddi datele la forma di una vela. Prendete il prosciutto, tagliatelo a julienne e scaldatelo in un tegame antiaderente finché non diventi croccante. A questo punto potete assemblare il piatto: capovolgete lo sformato al centro di un piatto leggermente concavo; circondatelo con la salsa di piselli senza macchiarlo; deponetegli in sommità un po’ di prosciutto croccante e conficcate la vela di Parmigiano. Vino consigliato: Lambrusco di Sorbara Doc 137


Emilia Romagna - Massa Lombarda

Ristorante Hotel Tino della Famiglia Baroncini

Ossobuco del cavaliere Ingredienti per 4 persone

4 ossobuchi di vitello | 320 g di riso Carnaroli 1 cipolla rossa | 1 carota | 1 costa di sedano 1 bustina di zafferano | prezzemolo | salvia vino bianco secco | brodo di carne olio extravergine d’oliva Parmigiano Reggiano grattugiato farina bianca | burro

L’

ossobuco corrisponde a un ben preciso taglio bovino, lo stinco o ‘geretto’, meglio se posteriore, tagliato trasversalmente a 4 centimetri d’altezza, grosso modo a metà del muscolo; ne risulta un taglio di 3-400 grammi, in perfetta proporzione per così dire di vuoto e pieno; una carne venata di gelatine, con il midollo a rendere cremosa la salsa. L’abbinamento al risotto giallo con lo zafferano rimanda alla specialità milanese, che tuttavia è in rosso e si distingue per la ‘gremolada’, ovvero l’aggiunta finale di scorza di limone grattugiata, trito di prezzemolo e aglio. Questa

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versione in bianco, molto semplice, è più antica, ma non per questo meno apprezzabile. Tritate cipolla, carota e sedano, e fateli soffriggere in una teglia capace di contenere i quattro ossobuchi. Infarinate leggermente la carne e fatela rosolare; aggiungete qualche foglia di salvia, un bicchiere di vino bianco e una presa di sale; quando il vino bianco sarà quasi del tutto evaporato, cominciate a versare piccole quantità di brodo bollente che consentano alla carne di cuocere nel giro di un’ora senza asciugarsi troppo ma neppure senza lessare. A tempo debito tostate il riso in una padella unta d’olio; bagnate con il vino bianco e fate evaporare; aggiungete lo zafferano, coprite di brodo e portate a cottura; quando il riso sarà bene al dente, togliete dal fuoco e mantecate con burro e formaggio grattugiato, lasciando riposare sotto coperchio. Servite l’ossobuco nell’abbraccio del risotto giallo, spargendo ad arte il cremoso fondo di cottura e una presa di prezzemolo appena tritato. Perché ossobuco del cavaliere? La risposta è nell’incrocio che si verifica a Massa Lombarda tra la strada di San Vitale, che collega Bologna a Ravenna, e la Montanara, che sale verso l’Appennino tra i vigneti delle colline di Imola. Posizione strategica per una locanda come quella dei Baroncini, che lusingava i viandanti con un piatto di carne da tutto pranzo, che per una sera faceva sentire signori.

Vino consigliato: Sangiovese di Romagna Superiore Doc 139


Emilia Romagna - Parma

Ristorante Parizzi di Marco Parizzi

Faraona in crosta di frutta secca con patate e cipollotti Ingredienti per 4 persone

2 faraone intere | 400 g di pistacchi | 40 g di mandorle 40 g di nocciole | 20 g di pinoli | 20 g di lardo non salato 1 scalogno | 20 g di prezzemolo tritato 4 pezzi di rete di maiale (cm 20 x 20) Per la guarnizione: 6 funghi champignon | 4 cipollotti 4 patate piccole | burro chiarificato | pepe Per la salsa: 4 dl di vino bianco passito 30 g di funghi secchi | 2 gambe di sedano | 1 carota 1 cipolla | burro chiarificato

C

uriosa è la vicenda della faraona. Discende infatti da una specie selvatica africana, ma il suo allevamento, nonostate il nome, non fu avviato dagli Egizi, bensì dai Greci. In Italia giunse in epoca romana, ma si estinse nei secoli successivi alla caduta dell’impero; riapparve solo verso la fine del Medioevo, grazie ai portoghesi che la ribattezzarono ‘pollo di Guinea’ 140


(donde l’odierno termine inglese ‘Guinea fowl’). L’allevamento della faraona, che ha carni scure simili a quelle del fagiano, è sviluppato sopprattutto in Veneto ed Emilia. Ricetta delle terre padane è difatti la faraona alla creta, piatto di origini longobarde, caratteristico per la cottura in camicia d’argilla, materiale facilmente reperibile lungo le rive del Po. Per questa raffinata preparazione disossate i petti, ottenendo 4 porzioni di carne, e accantonate il resto delle faraone. Tritate nel mixer tutta la frutta secca, aggiungendo il lardo, il prezzemolo e lo scalogno tritati. Salate la carne, passatela sul trito e avvolgetela nella reticella di maiale. Rosolatela in padella, passatela in forno per 8 minuti, lasciandola poi riposare per altri 7. Tagliate ogni pezzo di carne in 4 fette e disponetele nei piatti. Per il contorno affettate le patate e pulite i funghi, cuocendoli in padelle separate con burro chiarificato e quanto basta di sale. Mondate i cipollotti e bolliteli in acqua salata. Saltate il tutto in padella e componete il contorno sul lato del piatto opposto alla carne. Per la salsa, fate tostare le carcasse in forno e passatele in una pentola piena d’acqua fredda; fate bollire piano e lasciate riposare per un paio d’ore. Preparate una ‘brunoise’ (dadolata) grossolana con sedano, cipolla e funghi secchi, aggiungete il vino passito e fate ridurre a secco; aggiungete il fondo di faraona fino a raggiungere la densità desiderata e versate 2-3 cucchiai della salsa attorno alla carne.

Vino consigliato: Sangiovese di Romagna Doc 141


Emilia Romagna - Polesine Parmense

Al Cavallino Bianco di Massimo e Luciano Spigaroli

Suprema di cappone di Giuseppe Verdi Ingredienti per 6 persone

6 petti di cappone nostrano | 50 g di porro tritato tartufo bianco o nero | 1 dl di Champagne 100 g di sugo di pollo | 100 g di burro | 50 g di farina Per il flan: 300 g di zucchine lessate ½ litro di latte | 80 g di farina bianca | 50 g di burro 100 g di Parmigiano Reggiano grattugiato 3 uova | pepe

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ueste sono le terre di Giuseppe Verdi: a Busseto si visitano i luoghi cari al maestro, e poi ci si sposta a Polesine Parmense, sulle rive del Po, dai fratelli Spigaroli, le persone più adatte a rivelarne sapori e segreti. Detto questo, si capisce la proposta di questa ‘suprême’, specialità della cucina francese scoperta da Verdi alla tavola dei grandi alberghi e riproposta nelle grandi occasioni anche nella villa di Sant’Agata. Grande protagonista, il cappone, non plus ultra della carne bianca, onorato dal tartufo, bianco o nero a 142


seconda della stagione, misconosciuta ricchezza della Bassa. Il piatto richiede una certa quantità di sugo di pollo da preparare in anticipo: prendete gli scarti dei petti o quant’altro e fateli rosolare con un trito di verdure aromatiche, poi bagnate con brodo e lasciate bollire per tre-quattro ore; quanto risulta, una volta filtrato è il fondo che potrà essere usato come base per la salsa della suprema. Un concentrato di carne potrà evitare questo preliminare, ma la differenza sarà molto evidente. Fate fondere il burro in una casseruola e rosolate il porro; infarinate i petti di cappone e aggiungeteli sul fuoco; quando avranno preso colore, aggiungete lo Champagne, lasciate evaporare e aggiungete il sugo di pollo, quindi passate il tutto in forno per un quarto d’ora. Togliete i petti dalla casseruola e rimettetela sul fuoco per far ridurre il fondo di cottura di un terzo; aggiungete parte del tartufo affettato. Tagliate il petto a fette trasversali, disponendole in fila sul piatto, leggermente sovrapposte; distribuite uniformemente la salsa ottenuta e completate con qualche lamella di tartufo. Servite con un piccolo flan di zucchine così preparato: usate latte, farina e burro per una besciamella, alla quale amalgamare il formaggio grattugiato, le uova e le zucchine, che avrete preventivamente tagliato a dadini e cotto nel burro o nell’olio. Versate il composto in stampini monoporzione imburrati o antiaderenti, da passare in forno per la cottura a bagnomaria a 130 gradi.

Vino consigliato: Gutturnio dei Colli Piacentini Doc vivace 143


Emilia Romagna - Q.re di Portomaggiore

Trattoria e Locanda La Chiocciola di Adalberto Migliari

Sformato di chiocciole con crema di lardo e Parmigiano Ingredienti per 8 persone:

500 g di latte | 100 g di burro | 100 g di farina bianca 4 uova intere | 400 g di lumache bollite 60 g di Parmigiano Reggiano | 40 g di scalogno tritato prezzemolo tritato | olio extravergine d’oliva Per la crema: 50 g di lardo tagliato sottile 70 g di Parmigiano Reggiano grattugiato 160 g di brodo di carne | 60 g d’olio extravergine d’oliva

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i parla sempre di ‘lumache’, ma la correttezza scientifica richiederebe la correzione in ‘chiocciole’: le prime non hanno né guscio né alcun interesse gastronomico; le seconde, della specie Helix pomatia, sono quelle delizie che i francesi chiamano ‘escargots’. È una carne atipica, di mollusco terrestre, con estimatori anche fra i nutrizionisti per buon livello di proteine e minimo tenore di grassi. La raccolta è ubiquitaria nelle regioni 144


centro-settentrionali di clima fresco, con una singolare realtà proprio nell’umido entroterra del Ferrarese. La cucina delle lumache richiede un preliminare piuttosto complesso: se il mollusco è attivo, occorre aspettare qualche giorno perché in ambiente idoneo spurghi certe sostanze amare; se invece è in letargo, chiuso nel suo guscio, l’operazione si semplifica, nel senso che richiede solo mezza giornata. Fate fondere il burro in una casseruola, unite la farina setacciata e lasciate che si tosti leggermente. Versate il latte, portate a bollore leggero e mantenetelo per alcuni minuti, mescolando di continuo, finché il composto avrà buona consistenza. Tritate grossolanamente le lumache e ripassatele in padella con lo scalogno e il prezzemolo. Aspettate che la besciamella si sia intiepidita e incorporate una alla volta le uova, poi il formaggio grattugiato e infine le lumache. Regolate di sapore e versate il composto negli stampini monoporzione, da passare in forno per la cottura a bagnomaria, 35 minuti a 160 gradi. Nel frattempo dedicatevi alla crema: pestate il lardo e aggiungetelo al brodo bollente assieme al formaggio grattugiato; rendete omogeneo il composto con un frullatore a immersione, aggiungendo un filo d’olio. Togliete gli stampini dal forno e lasciateli riposare qualche minuto; sformateli direttamente sui piatti, guarnendo con la crema di lardo e Parmigiano.

Vino consigliato: Sauvignon del Bosco Eliceo Doc 145


Emilia Romagna - Reggiolo

Ristorante Il Rigoletto di Giovanni D’Amato e Fulvia Salvarani

Tortelli di patate con lardo e timo Ingredienti per 4 persone

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400 g di patate 100 g di porro 100 g di Parmigiano Reggiano 100 g di sugo d’arrosto 150 g di ricotta di pecora olio extravergine d’oliva sfoglia fresca per tortelli pepe

ra gli ingredienti compare un fantomatico ‘sugo d’arrosto’, che è proprio quello che suggerisce il termine, il fondo di cottura di un piatto di carne. Un tempo, quando la domenica veniva santificata con un pranzo degno dell’occasione, era espediente di saggezza domestica imbastire i piatti del lunedì con quanto era rimasto in cucina; così, destinare il sugo d’arrosto al condimento di un piatto di pasta fatta in casa era una sana abitudine innalzata a ghiottoneria. 146


Nel pratico, tuttavia, la cosa non è così immediata: come minimo il fondo disponibile va filtrato, pazientemente sgrassato e portato a giusta consistenza con aggiunta di brodo di carne, un tempo immancabile nella disponibilità quotidiana, oggi non più, e magari anche di burro. In alternativa la circostanza favorevole può essere creata, prevedendo un menù nel quale un arrosto in casseruola o un roast-beef, faccia da traino a un primo del genere qui presentato. Pelate e lavate le patate; taglietele a rondelle e fatele cuocere a fuoco lento in una padella antiaderente nella quale su un fondo d’olio avrete fatto prendere un delicato colore al trito di porro; a cottura ultimata lasciatele raffreddare e passatele al mixer aggiungendo nel contenitore anche il Parmigiano Reggiano grattugiato, la ricotta di pecora e quanto v’aggrada di sale e pepe. Tirate la sfoglia e con un copapasta da 7-8 centimetri di diametro ritagliate dei dischi, al centro dei quali versare una cucchiaiata di ripieno. Ripiegate la pasta su se stessa e ripassate con le dita sui bordi per sigillare bene il contenuto. Fate scivolare i tortelli in una pentola con abbondante acqua bollente e salata; dopo 5-6 minuti recuperateli con un mestolo forato e sgocciolateli bene prima di ripassarli in padella con il sugo d’arrosto e una noce di burro. Distribuite i tortelli nei piatti, guarnendo ogni porzione con fettine di lardo tagliate a velo e qualche fogliolina di timo a piacere.

Vino consigliato: Malvasia dei Colli Piacentini Doc 147


Emilia Romagna - Riccione

Ristorante Azzurra di Maurizio e Rosella Signorini

Mezze maniche all’astaco dell’Adriatico Ingredienti per 4 persone

320 g di pasta corta (mezze maniche) | 2 astici da 400 g 4 pomodori (Pendolini o Pachino) ¼ di cipolla | 1 bicchiere di vino bianco frizzante olio extravergine d’oliva | prezzemolo basilico | peperoncino piccante | pepe

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baglia chi pensa che l’Adriatico abbia per fondale un’uniforme distesa di sabbia. Sono piuttosto frequenti, invece, gli affioramenti rocciosi, attorno ai quali si sviluppa una sorprendente vita di scoglio. I pescatori, che ben li conoscono, si guardano bene da usare reti a strascico, che vi resterebbero impigliate. Usano piuttosto tramagli da posta per insidiare gli scorfani e nasse per attirare fuori dai loro anfratti polpi e astici. Proprio questo crostaceo dalle grandi chele – a Riccione lo chiamano ‘grillo’ – è una delle sorprese della cucina romagnola; gli esemplari nostrani, riconoscibili dal colore blu verdastro, con profili arancioni, sono ritenuti impareggiabili, niente a che vedere 148


con quelli che di solito sono importati dall’Atlantico se non da mari ancor più lontani. Quel che risulta evidente è la differenza con l’aragosta, la cui polpa tende a sminuzzarsi, ed è per questo che l’astice è preferito dai cuochi per piatti, come questo, dove il crostaceo non è comprimario ma protagonista. Una curiosità riguarda la pasta, che in questo formato è altro prodotto tipico del luogo: ‘mezze maniche’ o anche ‘maniche di frate’, per sottolineare l’ampiezza di questi grossi maccheroni rigati. Tagliate l’astice a metà nel senso della lunghezza, rompete le chele e fatelo rosolare in padella su un fondo d’olio e cipolla tritata, lasciando sfumare un bicchiere di vino bianco frizzante. Togliete il crostaceo dal fuoco, sgusciatelo e tagliate a medaglioni di due centimetri la coda, lasciando così com’è la polpa delle chele. Riscaldate il fondo di cottura e aggiungete i pomodori tagliati a metà; riportate l’astice in padella e lasciatelo sul fuoco per altri dieci minuti. Nel frattempo cuocete le mezze maniche bene al dente e poi spadellatele con l’astice aggiungendo qualche foglia di basilico, pepe e peperoncino a piacere. Ultimo tocco, un filo d’olio extravergine di oliva.

Vino consigliato: Trebbiano di Romagna Doc 149


Toscana - Arezzo

Ristorante Buca di S. Francesco di Mario e Giulia De Filippis

Salsicce alla cacciatora con medaglione di verdure e cibreo Ingredienti per 4 persone

4 salsicce fresche | 800 g di pomodorini freschi 1 spicchio d’aglio | olio extravergine d’oliva Per il medaglione di verdure: 1,5 kg di spinaci 300 g di besciamella molto densa | 4 uova | 150 g di burro 200 g di Parmigiano Reggiano grattugiato noce moscata | pepe Per il cibreo: 800 g di fegatini di pollo | 1 cipolla | 3 uova farina bianca | vin santo | limone | pepe bianco

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iatto rustico, ma nobilitato dal cibreo, preparazione d’inaspettata nobiltà. Il termine è d’etimo indecifrabile, ma riferibile alla composizione eterogenea dell’antica ricetta, che riuniva tutte le frattaglie: creste e bargigli; fegato, durello e cuore; perfino ovaie e testicoli. Nell’insieme si parlava di ‘rigaglie’: secondo l’interpretazione prevalente, perché erano parti ‘regali’, 150


ovvero ‘degne di un re’; secondo un’altra, più schietta, perché spettavano in ‘regalìa’ al contadino quando consegnava un pollo al padrone. A confortare la prima ipotesi è la cottura in salsa d’uovo e limone, affine alla fricassea, preparazione d’ascendenza francese. Pellegrino Artusi presenta il cibreo come “un intingolo semplice, ma delicato e gentile, opportuno alle signore di stomaco svogliato e ai convalescenti” e nella versione qui proposta, di soli fegatini, risulta ancora più fine. Con adeguato anticipo fate bollire gli spinaci, sgocciolateli e tritateli con la mezzaluna; fate sciogliere il burro in un tegame, aggiungendo una generosa manciata di formaggio grattugiato, le uova sbattute e subito dopo gli spinaci mescolando perché prendano sapore; regolate di sale, pepe e noce moscata, quindi incorporate la besciamella. Versate il composto negli stampini monoporzione che avrete imburrato e spolverato di pangrattato; passate in forno a bagnomaria, 45 minuti a 150 gradi. Nel frattempo mettete sul fuoco anche le salsicce. Fate imbiondire uno spicchio d’aglio su un velo d’olio e soffriggete i pomodorini affettati sottili; lasciate evaporare il liquido di vegetazione e aggiungete le salsicce dopo averle punzecchiate con una forchetta; considerate una mezz’ora di cottura. Quasi alla fine prendete i fegatini, mondateli e tagliateli grossolanamente; dopo una leggera infarinata, passateli in padella su un soffritto d’olio e cipolla; lasciate cuocere per una decina di minuti; regolate di sale e pepe, lasciando poi sfumare un bicchierino di Vin Santo; incorporate i tuorli d’uovo e rifinite con qualche goccia di limone.

Vino consigliato: Morellino di Scansano Doc 151


Toscana - Artimino

Ristorante Da Delfina di Carlo Cioni

Coniglio con olive e pinoli Ingredienti per 4 persone

1 coniglio | 2 cipolle | 2 coste di sedano 1 grossa carota | 100 g di olive nere snocciolate 20 g di pinoli | aglio | prezzemolo alloro | rosmarino | salvia olio extravergine d’oliva | vino bianco secco

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a carne di coniglio è una carne bianca atipica in quanto conserva un vago ricordo delle origini selvatiche della specie. Se il roditore è destinato alla cucina nella prima gioventù, com’è ormai prassi, si tratta di una nota interessante, che dà carattere al piatto e anzi consente a questa carne di reggere ad abbinamenti impegnativi meglio del pollo e del vitello: come le olive nere, immancabili nelle preparazioni liguri e toscane; o il peperone, che invece va per la maggiore in Piemonte; o ancora, il finocchio selvatico, che definisce le cosiddette preparazioni ‘in porchetta’ delle Marche. Nelle regioni affacciate al mare ingrediente tipico è il pinolo, al quale la Toscana deve grandi estensioni costiere di pino 152


domestico, dalla Versilia alla Maremma, impiantate a scopo produttivo in epoca granducale; è un ingrediente comprimario, certo, ma determinante per apporto di colore e della nota dolce che stempera la forza dell’oliva in salamoia. Caratteristico è l’uso che del pinolo si fa in Sicilia per una ricetta agrodolce, assieme a uvetta, capperi, olive e cipolla, oltre che ad aceto ovviamente, particolarmente adatta al coniglio selvatico. Sezionate il coniglio in otto pezzi badando bene di non rompere le ossa, che fanno facilmente schegge; spalle e cosce, in corrispondenza delle articolazioni; quindi il tronco, in quattro pezzi regolari con tagli trasversali. Mettete la carne a rosolare in un tegame con poco olio d’oliva e uno spicchio d’aglio; aggiungete un trito di cipolla, carota, sedano e odori (rosmarino, salvia, alloro), e lasciate appassire; bagnate con abbondante vino bianco e quando sarà evaporato aggiungete all’occorrenza modiche quantità d’acqua o brodo. Dopo una decina di minuti togliete la carne dal contenitore e passate al setaccio le verdure; rimettete il tutto sul fuoco e completate la cottura con le olive snocciolate e i pinoli. Servite con un purè di patate.

Vino consigliato: Chianti Montalbano Docg 153


Toscana - Firenze

L’Osteria di Giovanni di Giovanni Latini

Piccione del Valdarno arrosto ripieno di salsiccia al finocchio e cavolo nero Ingredienti per 4 persone

4 piccioni 320 g di salsiccia | 2 salsicce per guarnizione 4 patate piccole | qualche foglia di bietola olio extravergine d’oliva | pepe Per il ripieno: 4 salsicce toscane al finocchio 1 mazzetto di cavolo nero | 1 melanzana ½ carota | ½ cipolla dorata | 1 costa di sedano salvia | rosmarino | 1 spicchio d’aglio | pangrattato Parmigiano Reggiano grattugiato

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ella cucina toscana il piccione ha notevole ruolo, sia come cacciagione di passo, sia come oggetto d’allevamento, d’antica tradizione soprattutto nel Valdarno. La ricetta, tuttavia, ha il suo elemento di maggiore tipicità nella salsiccia al finocchio, testimone di un connubio salumiero tutto toscano, che in passato non aveva finalità semplicemente aromatica, ma anche digestiva e 154


vermifuga. Il prodotto più noto è la finocchiona, particolarmente popolare nel Fiorentino, detta anche ‘sbriciolona’ quando l’impasto è più ‘gentile’ del salame e la fetta tende a sfaldarsi. Preparate un soffritto con cipolla, carota e sedano; aggiungete un cucchiaino di trito d’erbe aromatiche e aglio, quindi la melanzana tagliata a dadi e la salsiccia sgranata; lasciate su fuoco dolce fino a cottura completa, aggiungendo infine il cavolo nero, che avrete nel frattempo sbollentato e raffreddato in acqua ghiacciata perché mantenga il suo colore. Mantenete sul fuoco per alcuni minuti e lasciate raffreddare, poi passate il tutto al tritacarne, amalgamando l’impasto con quanto basta di pangrattato e formaggio grattugiato perché il ripieno abbia giusta consistenza. Riempite i piccioni senza lesinare ripieno e disponeteli in una teglia; salate e bagnate d’olio, lasciando riposare per almeno un’ora; passate in forno a 180 gradi per circa 40 minuti, bagnando a metà cottura con vino bianco. Nel frattempo sbollentate le patate e finite di cuocerle in forno con le due salsicce divise a metà. Aggiungete un po’ di rosmarino e uno spicchio d’aglio. Lavate bene le foglie di bietola e appassitele in padella con olio e uno spicchio d’aglio. Versate in una pentolina il liquido di cottura dei piccioni, aggiungete una noce di burro e amalgamate bene a caldo. Tagliate a metà i piccioni e disponeteli sui piatti, sistemando tutt’intorno la patata, la mezza salsiccia e qualche foglie di bietola; versare sul piccione la salsa bruna e guarnire con un rametto di rosmarino.

Vino consigliato: Sangiovese di Toscana Igt 155


Toscana - Impruneta

Ristorante Il Battibecco di Giovanni Girardi e Dante Del Bravo

Tortelli all’anatra al profumo d’arancia Ingredienti per 4 persone

1 anatra | 1 sfoglia di pasta all’uovo 400 g di ricotta fresca | 2 arance 3 cipolle bianche | 2 coste di sedano 3 carote | olio extravergine d’oliva Marsala | chiodi di garofano | cannella in stecca pepe bianco in grani

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Quando si parla di arancia, il pensiero va subito alla Sicilia, ma lo storico ricorda che questo frutto ha avuto rilievo anche altrove. In Toscana, per esempio, che fin dal Trecento registra una produzione d’agrumi nel Massese, tant’è che la piazza del capoluogo è ancor oggi cinta da un doppio filare di aranci e ne piglia nome. Quanto alla cucina, è nota la vicenda di Caterina de’ Medici, andata in sposa al re di Francia portando con sé la ricetta del papero al melarancio, dalla quale derivò la celebre canard a l’orange. A tale precedente, dunque, si ispira il ripieno di questi tortelli: una carne dal sapore intenso, ingentilita dall’aroma agrodolce del frutto. 156


Versate un velo d’olio in una casseruola e stufate cipolle, carote e sedano tagliati grossolanamente. Aggiungete l’anatra e passate in forno a 160 gradi fino a metà cottura circa, quando la ritirerete per disossarla; tritate a coltello la polpa assieme alle verdure aromatiche e riportate il contenitore su fuoco moderato, sfumando con un bicchierino di Marsala; aggiungete qualche chiodo di garofano, una stecca di cannella e la buccia tritata delle arance; lasciate che il composto asciughi abbastanza, dopo di che lasciatelo intiepidire; eliminate le spezie e incorporate la ricotta amalgamando con cura. Preparate la pasta all’uovo e tirate una sfoglia sottile, ritagliandola in riquadri di 5-6 centimetri di lato; mettete una cucchiaiata di ripieno al centro di ognuno e chiudete i tortelli premendo bene con le dita lungo i bordi di modo che il contenuto non abbia a disperdersi durante la cottura; rifilate la pasta con la rotella per l’estetica del piatto. Lasciate scivolare i tortelli in una pentola d’acqua salata bollente e dopo qualche minuto recuperateli facendoli sgocciolare con cura; impiattate versando sui tortelli burro fuso appena colorito con qualche foglia di salvia; come guarnizione, listerelle di buccia d’arancio saltate nello stesso condimento.

Vino consigliato: Rosso di Montalcino Doc 157


Toscana - Livorno

Ristorante Gennarino di Guido Scatena

Bavette cacciuccate Ingredienti per 4 persone

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300 g di bavette | 150 g di seppie 150 g di polpo | 100 g di cozze concentrato di pomodoro peperoncino rosso piccante olio extravergine d’oliva vino rosso | aglio | salvia

l cacciucco alla livornese è una delle zuppe di pesce più celebri d’Italia, ma pochi sanno che la sua storia è legata alla comunità ebraica di origini portoghesi che nel 1593, espulsa dalla penisola iberica, ebbe da Ferdinando I de’ Medici il permesso di stabilirsi nella città tirrenica. Gli Ebrei livornesi, che nell’Ottocento raggiunsero le 5mila unità, vivevano per lo più nella zona del porto e la loro cucina diventò parte integrante delle usanze locali. Questo vale soprattutto per il cacciucco, che deriva il nome dal turco kaçukli, ‘minutaglia’, a ulteriore sostegno delle remote origini mediorentali di questa zuppa di pesce. In origine dalla 158


ricetta erano esclusi i molluschi, in ossequio ai dettami della cucina kasher, ma da quando il piatto è diventato patrimonio di tutta la cittadinanza anch’essi vi hanno avuto accesso. Anzi, tale è la popolarità del piatto, che ne sono derivate delle ricette ‘cacciuccate’, come questa pasta asciutta, condita con una sorta di zuppetta di molluschi. Un dettaglio riguarda le bavette, formato di pasta lunga d’origine ligure, a sezione appiattita e leggermente convessa, altrimenti dette trenette o linguine. La preparazione è essenziale. Fate soffriggere in una casseruola l’aglio, la salvia e un po’ di peperoncino. Tritate grossolanamente i polpi e le seppie e rosolateli bagnando con un po’ di vino rosso. Aggiungete del concentrato di pomodoro e portate a cottura in una ventina di minuti. Ad almeno cinque minuti dalla fine aggiungete le cozze, sgusciate o meno, di modo che abbiano a cuocere il necessario. Quando il sugo sarà amalgamato, usatelo per spadellare le bavette che avrete nel frattempo cotto piuttosto al dente. Portate in tavola lasciando ai commensali il piacere di aggiungere altro peperoncino a proprio gusto. Dettaglio importante, con questa zuppa di pesce al pomodoro e piccante si beve un vino rosso leggero.

Vino consigliato: Ciliegiolo della Maremma Toscana Igt 159


Toscana - San Gimignano

Ristorante Albergo Latini della Famiglia Latini

Pici stesi a mano, sugo di salsiccia e cavolo nero Ingredienti per 4 persone

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Per i pici: 500 g di farina tipo 0 | acqua | sale Per il sugo: 500 g di salsiccia fresca
 250 g di pomodori ciliegini
 3 costole di cavolo nero | 1 cipolle | aglio
 prezzemolo | semi di finocchio
 peperoncino
rosso piccante | pepe

pici sono la pasta lunga tipica del Senese e guai a definirli spaghetti. Le ricette che li utilizzano sono molteplici, ma nessuna è popolare come i pici con la nana, ovvero col sugo d’anatra, ricetta in origine novembrina, quando veniva San Martino, col tempo promossa a specialità senza stagione. Sul piano della curiosità storica si pongono invece i pici in salsa di zafferano e fiori di zucca, tornati alla ribalta nella scia della preziosa spezia, di cui s’è tornato a far produzione come nel Medioevo, proprio a San Gimignano e dintorni. 160


Certo, i pici si trovano anche di pastificio, bell’e pronti da buttare in pentola, ma dai Latini li stendono ancora a mano e la differenza è palese per calibro e consistenza. Se volete cimentarvi nell’impresa, versate la farina sulla spianatoia, aggiungete poco sale e formate una conca dove versare un bicchiere d’acqua; lavorate l’impasto e per quel riguarda aggiunte d’acqua tenete presente che alla fine dovrà risultare elastico ma ben consistente; fate riposare per una decina di minuti, quindi tirate una sfoglia spessa circa un centimetro, dalla quale ricavare delle listerelle di un centimetro; l’abilità sta nel farle rotolare sulla spianatoia con le mani fino ad ottenere uno spaghetto piuttosto grosso, non importa se leggermente sfrangiato. Per il sugo tritate la cipolla e fatela rosolare in un velo d’olio con un ciuffetto di prezzemolo e 1 spicchio d’aglio. Spellate la salsiccia e aggiungetela in padella, sgranandola bene; bagnate con un bicchiere di vino rosso e lasciate rosolare dolcemente per almeno un’ora. Tagliate i pomodorini a spicchi e aggiungeteli in padella con una presa di semi di finocchio; aggiustate di sale, pepe e peperoncino. Ultimo tocco, il cavolo nero, da tagliare fine e aggiungere al sugo lasciando sul fuoco per altri cinque minuti. Nel frattempo portate a bollore abbondante acqua salata e cuocete i pici; scolateli bene al dente e passateli in padella a legare con il ragù di salsiccia, ricorrendo a un po’ d’acqua di cottura per mantenerli a perfetta fluidità.

Vino consigliato: Chianti dei Colli Senesi Docg 161


Toscana - Tirrenia

Ristorante Enoteca Dante e Ivana di Ivana Lucchesi

Pappa al pomodoro con bottarga del Tirreno Ingredienti per 4 persone

500 g di pane toscano | 400 g di passata di pomodoro bottarga di muggine q.b. | basilico | aglio salvia | burro | olio extravergine d’oliva

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uesta pappa, anche il nome lo evoca, è un piatto d’arcaica semplicità, che rimanda al tempo in cui il pane era il simbolo stesso del cibo. Solo ricordando questa realtà si può comprendere il valore provvidenziale che ancora i nostri nonni davano al pane e il senso del bacio risanatore che davano al boccone caduto per terra prima di rimetterlo in tavola. Il pane era sacro e ogni spreco inconcepibile: una volta raffermo, serviva per fare zuppa nel brodo o per trasformarlo in una di quelle ‘panate’ che sono comuni a tutte le tradizioni regionali. 162


Quanto al pane, il sapore di quello toscano, come si suol dire, è ‘sciocco’, ovvero senza sale, e chi vuol darne motivazione storica indica la rivalità tra Firenze e Pisa, che nel XII secolo portò a un blocco delle forniture dal mare all’entroterra. Allora, per dare sapore del tutto particolare alla pappa, si utilizzi quello cotto nei forni a legna, come accade ancora oggi nelle celebri produzioni di Prato e Altopascio. Quanto al pomodoro, è da considerarsi una novità dell’Ottocento, quando cioè la coltivazione dell’ortaggio è diventata prassi comune ed anche in questo caso la riuscita del piatto dipende dalla varietà da conserva scelta per l’occasione. L’ingrediente che porta una ventata di novità è la bottarga, conserva di mare del colore dell’ambra, prodotta nella laguna di Orbetello con le uova dei cefali che vi vengono allevati. Preparazione sotto sale di tradizione araba, dopo aver corso il rischio d’estinzione, è tornata in auge nell’ultimo decennio come delizia da antipasto, una sorta di caviale del Mediterraneo, o come condimento dall’intenso sapore salmastro per paste asciutte e piatti di cucina creativa. La preparazione è essenziale. Ammollate nell’acqua la mollica del pane. Scaldate in un tegame l’olio extravergine d’oliva, aggiungendo uno o più spicchi d’aglio, qualche foglia di basilico e salvia; versate la passata di pomodoro e fate bollire per una mezz’ora; aggiungete il pane sgrondato dall’acqua e fate cuocere per altrettanto. Servite in fondine o ciotole rustiche, cospargendo a piacere con la bottarga.

Vino consigliato: Chianti delle Colline Pisane Docg 163


Toscana - Viareggio

Ristorante Romano di Romano Franceschini e famiglia

Minestra di farro, verdure e pesce Ingredienti per 4 persone

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200 g di farro | 200 g di fagioli cannellini 150 g di carote | 150 g di zucchine 8 spannocchi (mazzancolle, gamberoni) 200 g di calamaretti 250 g di pomodori da sugo olio extravergine d’oliva | aglio | rosmarino salvia | peperoncino rosso piccante | pepe

alla Versilia si passa in Garfagnana per scoprire le tante virtù del farro, cereale antico che proprio nella valle del Serchio ha conosciuto grande rilancio. Ben noto agli Etruschi e ai Romani, il farro nei secoli è stato soppiantato da varietà di frumento più redditizie, ma anche più esigenti. Robustezza e frugalità sono invece le doti che gli consentono di crescere anche a mezza montagna senza ricorso a trattamenti chimici, proiettandolo nella sfera d’interesse dell’agricoltura biologica e della cucina salutista.

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Come operazione preliminare lasciate in ammollo i fagioli per almeno 5 ore. Mettete i legumi in una pentola con circa due litri d’acqua, portate a ebollizione e lasciate cuocere dolcemente finchè la buccia avrà pressoché perso di consistenza; salate solo a cottura quasi ultimata. Nel frattempo scaldate in un tegame un velo d’olio; aggiungete mezzo peperoncino piccante, uno spicchio d’aglio, qualche foglia di salvia e un rametto di rosmarino, lasciando soffriggere a fiamma bassa. Sbollentate i pomodori, pelateli ed eliminate i semi, quindi tagliateli a pezzetti; mettete sul fuoco, salate e pepate con prudenza, lasciando cuocere per un quarto d’ora circa. Versate la salsa di pomodoro nella pentola dei fagioli e passate il tutto al setaccio. Prendente una teglia abbastanza grande e scaldate un velo d’olio extravergine con peperoncino, aglio, salvia e rosmarino; pulite e lavate i calamaretti togliendo gli occhi e la vescichetta, ma lasciando attaccati i tentacoli; sgusciate gli spannocchi, togliendo il budellino dalla coda, ma lasciando attaccata la testa; mettete sul fuoco e portate a metà cottura, poi metteteli da parte; sostituite il pesce con zucchine e carote, dopo averle ridotte a cubetti abbastanza grossi; anche in questo caso portate a metà cottura e aggiungete il passato di fagioli e il farro, che avrete sciacquato con cura. Lasciate sul fuoco a sobbollire per una mezz’ora. Quasi alla fine si rimette il pesce in teglia, completando la cottura. Servite in fondine o ciotole, guarnendo con un giro d’olio extravergine delle Colline Lucchesi e una macinata di pepe all’istante.

Vino consigliato: Montecarlo Rosso Doc 165


Toscana - Volterra

Ristorante Enoteca Del Duca di Genuino e Ivana del Duca

Ribollita col colombaccio e tartufo volterrano Ingredienti per 10 persone

300 g di cavolo nero | 1 kg di cavolo verza 500 g di bietola | 500 g di fagioli borlotti 500 g di pomodori pisanelli (o costoluti) 500 g di zucchine a buccia scura | 300 g di patate 200 g di piselli | 100 g di tartufo | 2 petti di colombaccio 2 spicchi d’aglio | 1 cipolla | 4 carote | 1 costola di sedano cotenna di prosciutto | pane cotto a legna raffermo brodo vegetale | olio extravergine d’oliva peperoncino piccante | pepe

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a ribollita è la più celebre delle zuppe toscane e nel nome rivela la sua appartenenza alla ricca categoria dei cibi ‘rifatti’. Rigenerare un piatto era pratica dettata un tempo dal risparmio di risorse ma anche di tempo da dedicare alla cucina. Senza sottovalutare il fatto che una tale zuppa poteva essere 166


consumata fino ad esaurimento anche da chi, contadino, pastore o carrettiere, non sempre metteva le gambe sotto il desco familiare. Quella proposta è una versione ricca per aggiunta del colombaccio e del tartufo, vera sorpresa della cucina volterrana. Sul fondo di una pentola rosolate in abbondante olio un trito di cipolla, carote, sedano e aglio con le cotenne di prosciutto. Quando il tutto avrà preso un certo colore, aggiungete la passata di pomodoro e lasciate cuocere lentamente per un quarto d’ora. Aggiungete due litri circa di brodo vegetale e il resto delle verdure; fate cuocere per un paio d’ore. A parte tagliate il pane a fette molto sottili, quindi mettete in una pirofila uno strato di zuppa e uno di pane; ripetete l’operazione fino a esaurimento degli ingredienti e lasciate riposare per qualche tempo. Trasferite la zuppa in una pentola, allungate con altro brodo, aggiungete alcuni spicchi d’aglio tagliati a velo, un po’ di passata di pomodoro e peperoncino; ripassate con olio d’oliva e mettete a sobbollire per 5-6 ore, avendo cura di mescolare. Quando le verdure saranno bene amalgamate, la ribollita potrà dirsi pronta. Coprite la pentola e lasciate riposare. Nel frattempo disossate e rosolate i petti di colombaccio, quindi portateli a cottura su un velo d’olio con uno spicchio d’aglio e rosmarino, bagnando con vino rosso corposo. Tagliate a cubetti il pane e tostatelo bene in forno; tagliate a dadini anche il colombaccio e insaporitelo nel suo fondo di cottura. Impiattate disponendo al centro di ogni piatto un cucchiaio di colombaccio e un mestolo di ribollita; guarnite con un crostino di pane oliato, un giro d’olio e scaglie di tartufo a volontà. Vino consigliato: Sangiovese-Merlot di Toscana Igt 167


Umbria - Assisi

Ristorante Buca di S. Francesco di Giovanni Betti

Piccione all’assisana Ingredienti per 4 persone

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2 piccioni con le loro frattaglie olio extravergine d’oliva aglio rosmarino salvia bacche di ginepro pepe

Umbria ha fama d’essere la regione più verde d’Italia e di questo beneficia anche la sua cucina, che ha nella selvaggina uno dei punti di forza. Vera specialità, difatti, è il palombaccio, ovvero il colombo selvatico, che si caccia di passo. Tutte le ricette che lo riguardano, dallo spiedo alla casseruola, s’applicano anche al piccione d’allevamento, dal sapore meno caratteristico, ma di carni più tenere, con notevole risparmio di tempo in cottura. La taglia ideale di un piccione è di 500-600 grammi, raggiunti entro 168


il primo mese di vita; per verificare l’età basta saggiare il becco, che dev’essere flessibile. Un cenno merita anche il ginepro, aroma da selvaggina per eccellenza; per il migliore risultato le sue bacche dovrebbero essere il più fresche possibile, dunque di colore più incline al blu che al nero, perché l’essenza, molto volatile, perde in fretta d’intensità e proprio per questo vanno schiacciate solo al momento dell’uso. Il profumo del ginepro, leggermente resinoso, s’addice anche ai volatili da cortile che come il piccione o la faraona hanno carni rosse. Spennate i piccioni, svuotateli salvando però fegatini e ventrigli, fiammeggiate la pelle per rimuovere ogni residuo di piuma. Usate del vino bianco per ripulire con cura volatili e frattaglie. Prendete un tegame e scaldate dell’olio extravergine d’oliva; mettete sul fuoco i piccioni e le frattaglie, dopo averli salati e pepati; aggiungete un rametto di rosmarino, delle foglie di salvia e qualche bacca schiacciata di ginepro. Dopo la rosolatura, abbassate la fiamma e lasciate cuocere per un’ora e tre quarti; per accertarvi che il piccione sia cotto, con uno spillone pungete il petto in profondità e ritraendolo verificate che resti pulito. Togliete i piccioni dal tegame, tagliateli a metà e teneteli al caldo su un piatto di portata. Lasciate fegatini e ventrigli sul fuoco ancora un quarto d’ora; il trito che alla fine ne ricaverete andrà amalgamato al fondo di cottura; disponete sui piatti i mezzi piccioni e guarniteli con la salsa di fegatini.

Vino consigliato: Sagrantino di Montefalco Docg 169


Umbria - Gubbio

Ristorante Taverna Del Lupo di Rodolfo Mencarelli

Faraona al ginepro Ingredienti per 4 persone

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500 g di petto di faraona 10 bacche di ginepro 1 rametto di rosmarino 4 foglie di salvia 1 spicchio d’aglio 50 g di pancetta vino bianco secco olio extravergine d’oliva

a faraona è volatile da cortile che si colloca a metà strada tra la carne bianca del tacchino e quella rossa del fagiano, adattandosi a tutte le preparazioni che le riguardano. Questa equidistanza ha un curioso riscontro nel contrasto fra la polpa del petto, piuttosto chiara, e quella delle cosce, abbastanza scura da poter essere confusa con la cacciagione. In cucina è abitudine nostrana trattarla come carne bianca e cuocerla a fondo, 170


ma non è da escludere una cottura leggermente al sangue, altrimenti detta in rosa, come fanno i francesi con la maggior parte della selvaggina da piuma, beccacce comprese. Nel caso di questa ricetta, dove il petto è destinato a essere scaloppato, il colore variegato delle fette andrebbe a tutto vantaggio del colpo d’occhio. Eloquente, il ricorso alle bacche di ginepro, tipico aroma da cacciagione. Disossate i petti di faraona e rifilate lungo i bordi perché alla fine le fette risultino ben disegnate; adagiateli sulla griglia, salate, pepate e lasciate cuocere per una decina di minuti. Nel frattempo preparate la salsa: scaldate l’olio extravergine d’oliva in un tegame e fategli prendere aroma accompagnandolo a uno spicchio d’aglio, un rametto di rosmarino, qualche foglia di salvia, tre-quattro bacche di ginepro schiacciate; aggiungete la pancetta, che avrete tagliato a cubetti; lasciate rosolare a fuoco basso; regolate di sale e pepe, bagnate con un bicchiere di vino bianco secco e lasciate evaporare sul fuoco; mettere il tutto nella tazza del mixer e frullate fino a ottenere una salsa omogenea, che potrete poi regolare in densità aggiungendo del brodo o un po’ d’olio. Togliete i petti di faraona dalla brace e tagliateli a fette di un certo spessore. Impiattate sovrapponendo a ventaglio trequattro di queste scaloppine, bagnatele con la salsa e contornate con verdure di stagione.

Vino consigliato: Rosso del Conero Doc 171


Umbria - Norcia

Ristorante Granaro del Monte dal 1850 di Carlo Bianconi

Filetto di maiale al lardo su crema di pecorino, pere e tartufo Ingredienti per 4 persone

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200 g di filetto di maiale 100 g di lardo saporito dei Monti Sibillini 300 g di pecorino stagionato di Norcia 3,5 dl di latte | 1 pera da cuocere 10 g di tartufo nero pregiato di Norcia vino rosso secco | zucchero | pepe

asta scorrere la lista degli ingredienti per avere conferma dell’eccezionalità del giacimento gastronomico che ha Norcia per capoluogo e i Monti Sibillini per scenario: carni e salumi di storica fama, alcuni da veri intenditori, come questo lardo alle erbe; formaggi pecorini d’intensità degna di queste montagne; il tartufo nero pregiato, proverbiale ricchezza del luogo, che ovviamente può essere il filo conduttore di tutto il menù. Fin qui, tutto a conferma delle migliori aspettative. Contributo 172


singolare viene invece dalla pera sciroppata nel vino rosso. Una prima chiave d’interpretazione viene dal celebre detto “al contadin non fare sapere, quant’è buono il formaggio con le pere”, a sottolineare il rango di questo frutto, un tempo destinato alle mense nobili. “Ma il contadino,” chiosa il proverbio, “che non era un babbione, lo sapeva ben prima del suo padrone,” conclusione irriverente, che riporta il discorso alla cucina rustica. Nel pratico, occorre ricordare che solo alcune varietà di pere, come la Martin, hanno polpa abbastanza soda e astringente da reggere alla cottura. Prendete il filetto di maiale e, dopo averlo salato e pepato, avvolgetelo con le fette di lardo; versate un velo d’olio in un tegame dai bordi alti, sistemate la carne così bardata e passatela in forno preriscaldato a 180 gradi per una ventina di minuti. Preparate nel frattempo la crema di pecorino, riscaldando a bagnomaria il latte e aggiungendo il formaggio a pezzi molto piccoli. Nel frattempo prendete un tegame alto e cuocete nel vino rosso la pera, avendola spolverata di zucchero; dipende dalla varietà, ma dovrebbe bastare ventina di minuti a recipiente coperto. Con un coltello molto affilato aprite il filetto in due parti e avvicinate il lardo alla carne. Versate la salsa di pecorino sul fondo di ogni piatto, disponete la porzione di carne e sul lato opposto mettete la pera affettata a ventaglio; sgocciolate il vino rosso sciroppato tutt’intorno. All’ultimo grattugiate del tartufo nero sul piatto e guarnite con verdurine in foglia e tranci di pomodoro. Servite caldo.

Vino consigliato: Rosso di Montefalco Doc 173


Umbria - Norcia

Ristorante Vespasia di Palazzo Seneca di Federico Bianconi

Vellutata di roveja di Castelluccio con gnocchetti di ricotta soffice del pastore Ingredienti per 4 persone

200 g di roveja di Castelluccio | 2 litri di brodo di gallina 50 g di guanciale dei Sibillini | 100 g di patate rosse 100 g di pane umbro raffermo | 50 g di levistico 10 g di santoreggia | olio extravergine d’oliva umbro Per gli gnocchetti: 150 g di ricotta fresca appena salata 50 g di farina bianca | 100 g di ricotta pecorina fresca 50 g di ricotta marzotica | 50 g di latte fresco ovino

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l Piano Grande di Castelluccio si stende a 1450 metri di quota ed è luogo noto per una straordinaria produzione di legumi, beneficiando dell’effetto combinato di un suolo alluvionale ben drenato e povero di calcare, e di un clima montano dalle forti escursioni termiche. Il prodotto più noto è la lenticchia, a seme verde molto piccolo, tradizionalmente cucinata in umido con le salsicce, ma va segnalata anche la realtà di due legumi pressoché 174


dimenticati altrove, cicerchia (Lathirus sativum) e roveja (Pisum sativum), che rientrano nella categoria dei piselli selvatici, coltivati a pieno campo. Legumi di antica storia, tradizionalmente utilizzati per zuppe e farinate, oggi riscoperti dalla cucina tipica. Lasciate la roveja in ammollo per mezza giornata; dopo averla scolata e lavata, sbollentatela in acqua e olio. Nel contempo scaldate dell’olio in una padella e fate rosolare il guanciale tagliato a fiammifero, il levistico e la santoreggia in foglia, parte del pane umbro e le patate rosse tagliati a cubetti piccoli. Aggiungete i legumi a questo fondo di verdure perché prendano sapore, poi mettetene da parte un terzo e versate il brodo su quanti restano, proseguendo la cottura fin quando la buccia non sarà tenera; regolate di sale, aggiungete dell’olio e frullate il tutto, passando al setaccio fine il composto. Frullate la ricotta pecorina fresca aggiungendo latte fino a densità di una crema e aggiungete la ricotta marzotica tagliata in dadini. Impastate velocemente la farina con la ricotta appena salata passata al setaccio; formate degli gnocchetti rigandoli con l’apposito attrezzo; bolliteli in abbondante acqua salata e spadellateli con la crema soffice di ricotta. Preparate quattro sottili fette di pane, arrotolatele e passate in forno a tostare. Versate la vellutata di roveja in una fondina, aggiungete gli gnocchi con la ricotta soffice; appoggiate la cialda di pane al centro e riempitela con i legumi interi; completate con un giro d’olio e un ciuffo di santoreggia.

Vino consigliato: Rosso del Trasimeno Doc 175


Umbria - Perugia

Hotel Ristorante Grifone di Gianbattista Argentari

Agnello ai profumi di Colfiorito Ingredienti per 4 persone

4 trance di coscio d’agnello di Colfiorito (250 g cadauna) 4 spicchi d’aglio vestito | 400 g di patate rosse di Colfiorito ½ litro di vino bianco | bacche di ginepro rosmarino | farina bianca | olio extravergine d’oliva

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ella lista degli ingredienti si fa riferimento a Colfiorito, località che potrete raggiungere risalendo tutta la bellissima strada della valle del Chienti. Una volta sul valico, a 800 metri di quota, vi apparirà un altopiano aperto in sette conche tra le montagne, con estesi pascoli inframmezzati da coltivi di patate rosse e lenticchie. Va da sé che le carni e ogni altro prodotto locale sono di una bontà assolutamente particolare. Questo, non per dire che il piatto sia irriproducibile, ma per sottolineare che il suo valore è in gran parte merito degli ingredienti. Perciò, dovunque sia riproposto, richiede carne di pascolo e patate di montagna che possano reggere al confronto. 176


La ricetta ha un retroscena che rimanda all’antica consuetudine pastorale della ‘sbacchiatura’, il giorno in cui, essendo prossima la Pasqua, gli agnelli da latte, gli ‘abbacchi’ per l’appunto, venivano destinati al mercato. Per gli allevatori era un giorno lieto, perché foriero di buoni guadagni. Era dunque da festeggiare con un pasto degno dell’occasione, con tanto di arrosto, dopo un’intera stagione di mangiare al sacco: ma non certo un arrosto d’agnello, già monetizzato; piuttosto di castrato o pecora, ed allora ecco l’espediente della cottura nel vino bianco per smorzarne l’intenso sapore. Accorgimento che, qualora applicato all’abbacchio, ne fa grande piatto. Prendete le trance del coscio d’agnello, infarinatele e cospargete con sale e pepe. Fate scaldare dell’olio extravergine d’oliva in un’ampia padella e rosolate la carne, rigirandola più volte, finché avrà preso colore in modo uniforme; scolate l’olio in eccesso e aggiungete gli spicchi d’aglio ‘vestiti’, ovvero con la loro pellicola esterna, di modo che non ci sia il rischio che si rosolino oltre la soglia dell’amaro; a completare il corredo aromatico, qualche bacca di ginepro schiacciata e un rametto di rosmarino. Coprite con il vino bianco e lasciate cuocere fintanto che il fondo non avrà raggiunto buona densità. Impiattate l’agnello, contornando con patate rosse di Colfiorito lessate, che andranno a nozze con la salsa.

Vino consigliato: Rosso di Montefalco Doc 177


Marche - Falconara Marittima

Ristorante Locanda Villa Amalia della Famiglia Ridolfi

Guazzetto di pesci e molluschi dell’Adriatico in pietra ollare Ingredienti per 4 persone

1600 g di pesce misto (seppie, tracina, scorfano, sgombro, palombo, rana pescatrice, canocchie, moscardini, cozze, vongole, fasolari ecc.) secondo l’offerta del mercato. 300 g di pomodori maturi | 1 cipolla | 1 spicchio d’aglio scorza di limone | peperoncino rosso piccante 250 g d’olio extravergine d’oliva

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a ricetta di questo guazzetto nasce dalla consuetudine marinaresca di concedere ai pescatori, al termine di un’uscita in mare, il premio extra di una cassetta di pesce da poco per il consumo in famiglia. Ne risulta, dunque, una preparazione che rifugge ogni codifica, quanto mai varia a seconda della stagione, visto che anche i pesci hanno le loro lune. Una precisazione è richiesta anche dalla pietra ollare, materiale facile da lavorare, molto resistente al calore e capace di 178


accumularlo, per poi cederlo con estrema lentezza; il nome le deriva da ‘olla’, pignatta in latino, perché è stata lavorata fin dall’antichità per fabbricare pentole che consentono di cucinare i cibi in modo lento e uniforme, con il minimo del condimento, antiaderenti per natura. Pentole, che al giorno d’oggi sono tornite da artigiani sempre più rari, piccoli capolavori dal prezzo adeguato alla loro eccezionalità. Venuto il momento del guazzetto, curate pesci, molluschi e crostacei, ciascuno come si conviene, accantonando le teste dei primi che utilizzerete per dare sostanza al primo fondo di cottura. Prendete un tegame di pietra ollare e fate soffriggere in olio un battuto di cipolla e aglio; aggiungete le teste, una dose ecumenica di peperoncino rosso piccante, la scorza gialla di un limone e due mestoli d’acqua calda; salate e lasciate sul fuoco per una decina di minuti. A questo punto togliete le teste, versate i pomodori, che avrete pelato e privato dei semi, e continuate la cottura per altri 10 minuti. A questa base dovrete aggiungere pesci, crostacei e molluschi nell’ordine suggerito dalla consistenza delle loro carni, senza dimenticare che i molluschi da conchiglia richiedono almeno cinque minuti a calore vivo per dirsi cotti. Al termine servite in tavola la pentola ollare aggiungendo dei crostoni di pane e lasciate ai commensali il piacere di servirsi personalmente e scoprire a poco a poco la bontà del guazzetto.

Vino consigliato: Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Doc 179


Marche - Montecosaro Scalo

Ristorante Due Cigni di Rosaria e Sandro Morganti

Princisgras Ingredienti per 4 persone

300 g di pasta fresca | 350 g di guanciale fresco 50 g di animelle | 400 g di panna fresca | 80 g di tartufo spezie (pepe, chiodi di garofano, noce moscata, cannella) erbe aromatiche (prezzemolo, maggiorana, basilico) ortaggi da soffritto (cipolla, sedano e carote tritati) Parmigiano Reggiano grattugiato brodo ristretto di carne olio extravergine d’oliva

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isale alla fine del Settecento il primo riscontro scritto della ricetta dei ‘princisgras’, un pasticcio che i profani considerano variante delle lasagne alla bolognese, suscitando la fiera indignazione dei marchigiani. Tutt’altra cosa, basta leggere gli ingredienti, come si riscontra nel celebre trattato di Antonio Nebbia, «Il cuoco maceratese». Quanto al nome, va inteso come piatto ‘grasso’, ovvero ricco, da ‘principe’, con probabile riferimento al capostipite o al primogenito della famiglia, insomma piatto da grandi occasioni. 180


Tirate una sfoglia non proprio sottile ricavando dei dischi di pasta commisurati a una teglia da 18 centimetri di diametro. Portate a bollore dell’acqua salata con gli ortaggi aromatici, mezza foglia d’alloro, qualche grano di pepe e alcuni chiodi di garofano; immergete le animelle fino a sbiancarle, poi liberatele da membrana e legamenti, suddividetele in lobi con le dita e mettetene da parte otto per la guarnizione del piatto. Scaldate dell’olio con le spezie ridotte in polvere; fate prendere colore a 40 grammi di cipolla tritata e 80 grammi di guanciale macinato; versate sul soffritto le animelle e il guanciale restante a cubetti; aggiustate di sale e spezie, poi aggiungete un trito d’erbe aromatiche e 40 grammi di tartufo tagliato a fiammifero; versate 200 grammi di brodo leggermente speziato e la panna fresca. Lasciate cuocere per una decina di minuti. Imburrate la teglia e formate una croce di fettine sottilissime di guanciale, facendola risalire sui bordi. Dopo aver cotto in brodo la pasta sistematela a strati alternandola con la salsa, formaggio grattugiato e tartufo; passate in forno preriscaldato a 180 gradi per 20 minuti. Stendete su un foglio di carta da forno 8 fettine di guanciale, tagliatele per il lungo e incrociatele; mettete al centro un pezzettino d’animella con una fettina di tartufo, avvolgete e infornate per due minuti. Capovolgete la torta e tagliatela in quattro, centrando le liste di guanciale; impiattate, guarnendo ogni porzione con i bocconcini di animella e lamelle di tartufo.

Vino consigliato: Verdicchio di Matelica Riserva Docg 181


Marche - Porto San Giorgio

Ristorante Davide dal 1955 di Luciano Scafà

Spinosini con vongole dell’Adriatico, zucchine, scampi e zafferano Ingredienti per 4 persone

100 g di maccheroncini di Campofilone (‘spinosini’) 130 g di vongole dell’Adriatico 90 g di scampi freschi 25 g di zucchine olio extravergine d’oliva 1 spicchio d’aglio 1 bustina di zafferano di Navelli peperoncino rosso piccante

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a ricetta è essenziale, ma richiede qualche spiegazione per andare a colpo sicuro con gli ingredienti. Innanzitutto la pasta, che nelle Marche, storica regione frumentaria, ha realtà di primissimo piano. Il riferimento in questo caso è per la produzione di pasta all’uovo che ha dato notorietà a Campofilone; un successo, quello di questo comune piceno, che non ha segreti, basato su materie prime ineccepibili e sulla secolare esperienza dei suoi artigiani, 182


che ancora usano trafile di bronzo e non forzano l’essiccazione della pasta. Il formato più tradizionale sono i maccheroncini, che a dispetto del nome sono una pasta lunga e finissima, dei capellini per intendersi, destinati a sciogliersi in bocca. Quanto allo zafferano, potrebbe sembrare un dettaglio, ma il suo ruolo è determinante. L’indicazione è per la produzione di Navelli, altopiano nel cuore dell’Abruzzo, dove questa spezia viene prodotta fin dal Seicento. L’aroma del vero zafferano, tratto dal croco, delicatissimo fiore di montagna, è inconfondibile, ben più fine di quello della curcuma, altrimenti detta ‘zafferano delle Indie, che rappresenta la base del prodotto più economico. In una padella scaldate dell’olio extravergine d’oliva e rosolate uno spicchio d’aglio e un peperoncino rosso piccante. Eliminate l’aglio non appena avrà preso un bel colore dorato; aggiungete le vongole, che lascerete in conchiglia, e gli scampi, liberati dal rivestimento della coda, ma ancora con testa e chele, per il colpo d’occhio del piatto; tagliate a listerelle sottili le zucchine e aggiungetele in padella. Fate cuocere a fuoco vivo per circa cinque minuti, dopo di che aggiungete lo zafferano, quindi portate a cottura a fuoco lento. A tempo debito – basteranno tre minuti circa – cuocete gli spinosini in abbondante acqua salata. Scolateli molto al dente e portateli a giusta consistenza spadellandoli con il condimento di pesce. Impiattate in ampie fondine, decorando con prezzemolo tritato fine al momento.

Vino consigliato: Verdicchio di Matelica Doc 183


Marche - San Lorenzo in Campo

Hotel Ristorante Giardino di Massimo Biagiali

Pappardelle con coniglio in umido Ingredienti per 8 persone

1 coniglio spezzato 150 g di carne di maiale | 150 g di petto di pollo 1 kg di pomodori pelati 1 kg di pomodori San Marzano freschi 50 g di carote | 50 g di sedano | 40 g di cipolla ½ spicchio d’aglio | vino bianco secco olio extravergine d’oliva Per la pasta: 250 g di farina integrale 250 g di farina bianca 0 | 4 uova grandi

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e pappardelle sono un formato di pasta casereccia tipica dell’Italia Centrale: più spesse e larghe delle tagliatelle, talvolta impastate con farina integrale o di castagne, sono solitamente preparate asciutte e destinate a condimenti rustici, dai funghi alla selvaggina. Già il nome è auspicio di buon appetito, tant’è che ‘stare in pappardelle’ vuol dire passarsela bene. In Toscana sono molto popolari quelle con la lepre, anzi ‘sulla lepre’ tanto abbondante dovrebbe essere il condimento; nelle Marche è più 184


comune il sugo di coniglio, a conferma di una vera predilezione regionale per questa carne, che si cucina in svariato modo: in porchetta, alla cacciatora, in potacchio, a spezzatino o come si suol dire ‘ncip-nciap’. Mescolate le due farine, formate la fontana e rompete le uova, lavorando l’impasto fino a renderlo omogeneo; tirate una sfoglia non troppo sottile e lasciatela asciugare una decina di minuti, quindi arrotolatela senza stringere e con un coltello molto affilato tagliate delle pappardelle larghe circa 3 centimetri, che stenderete sulla spianatoia infarinata ad asciugare ancora. Prelevate dal coniglio cosce e spalle e disossatele, poi prendete la polpa di maiale e i petti di pollo, e macinate tutto insieme. Dividete quanto resta del coniglio in 12 pezzetti disossati e sbollentateli in modo da sbiancare la carne. Scaldate dell’olio e preparate un soffritto di cipolla, sedano e carota; fate rosolare tanto il macinato quanto lo spezzatino. Quando tutto avrà preso colore, versate un bicchiere di vino bianco e lasciatelo evaporare a fiamma sostenuta, regolando infine di sale e pepe. Nel frattempo sbollentate i pomodori San Marzano freschi,pelateli e liberateli dai semi; lasciateli sgrondare dall’acqua di vegetazione e tritateli grossolanamente; aggiungeteli sul fuoco e cuocete per circa 5 minuti, aggiungete quindi i pomodori pelati e portate a cottura nel giro di circa 40 minuti . A tempo debito lessate le pappardelle in abbondante acqua bollente salata; mescolatele bene al sugo e servite con lo spezzatino di coniglio.

Vino consigliato: Rosso del Conero Doc 185


Lazio - Aprilia

Ristorante Il Focarile di Claudio e Paolo Lunghi

Filetto di scorfano in guazzetto Ingredienti per 4 persone

4 filetti di scorfano (120 g cadauno) 2 patate grandi | 20 olive nere grandi con nocciolo 200 g di pomodorini | 1 cucchiaio di pinoli tostati 1 limone | 1 spicchio d’aglio | prezzemolo vino bianco secco | olio extravergine d’oliva brodo di pesce | peperoncino rosso piccante pepe | pane da tostare

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gni mare ha la sua zuppa, che cambia ricetta quasi di porto in porto e nome – brodetto, cacciucco, guazzetto – passando da una costa all’altra. Nel Tirreno, è protagonista il pesce di scoglio, in particolare lo scorfano, che dalla Sicilia alla Liguria prende vario nome: ‘scorpena’, per le spine degne di uno scorpione; ‘cappone’, a ricordare la testa grassa e smisurata che i buongustai sanno come centellinare nel minimo dettaglio. I teorici della cucina di mare non pongono lo scorfano ai vertici del pregio, ma le quotazioni di mercato testimoniano l’inequivocabile 186


gradimento come pesce da zuppa. Se ne trovano di due tipi: quello nero, che abita i fondali rocciosi e ne prende il colore, e quello rosso, che invece abita i fondali omogenei a maggiore profondità; entrambi eccellenti, ma con una leggera preferenza per il primo. Quanto agli altri ingredienti, lo chef fa esplicito riferimento a Gaeta, località celebre per i suoi ortaggi, dai pomodori alle puntarelle, ma soprattutto per le olive da tavola. In una padella abbastanza grande scaldate un fondo d’olio extravergine e fate prendere colore a uno spicchio d’aglio; aggiungete i pomodorini tagliati a pezzetti, un pizzico di sale e del peperoncino rosso piccante e lasciate sul fuoco un paio di minuti. Versate un bicchiere di brodo di pesce e le patate, che avrete tagliato molto sottile e scottato in acqua bollente salata per un minuto. Lasciate cuocere per cinque minuti e aggiungete i filetti di scorfano, le olive nere intere e i pinoli tostati. Portate a cottura in una decina di minuti aggiungendo brodo di pesce per evitare che il pesce o le patate attacchino al fondo. Tostate quattro fette di pane e mettetele sul fondo di ampie scodelle; completate il guazzetto aggiungendo nell’ordine i filetti, le patate, le olive e i pinoli; bagnate con il fondo di cottura, che avrete portato alla densità desiderata aggiungendo eventualmente del brodo di pesce; ultimo tocco, una presa di prezzemolo tritato fine al momento.

Vino consigliato: Trebbiano d’Aprilia Doc 187


Lazio - Borgo Grappa

Ristorante Il Funghetto di Michele Lombardi

Zuppa di pescato quotidiano Ingredienti per 4 persone

4 pesci di scoglio (scorfano, coccio, lucerna) | 1 razza 200 g di calamari | 200 g di seppie | 100 g di moscardini 4 scampi | 4 mazzancolle (gamberoni) | 4 gamberi rossi 4 pannocchie (canocchie) | 100 g di pomodorini 8 fette di pane casereccio | ½ cipolla | 1 spicchio d’aglio ½ bicchiere d’olio extravergine d’oliva 1 bicchiere di vino bianco secco

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l tratto di mare da Anzio a Terracina, con il promontorio del Circeo nel mezzo e l’isola di Ponza all’orizzonte, introduce a uno scenario gastronomico di eccezionale rilevanza. Alla bellezza delle coste corrisponde infatti una ricchezza sottomarina fuori dal comune, che già un illustre ittiologo di fine Ottocento, Domenico Giordano, documentò con i suoi studi, valutando in oltre 70 i tipi di pesce d’interesse culinario. Le indicazioni fornite dalla ricetta rappresentano il non plus ultra della varietà, ma ovviamente molto dipende dal pescato 188


quotidiano, come suggerisce il titolo. Presenza imprescindibile è tuttavia il pesce di scoglio, a partire dallo scorfano, potendo confidare sull’ampia famiglia dei suoi affini; quanto al lessico locale si sappia che il coccio è il capone lira o gallinella e che la lucerna altrove può chiamarsi pesce prete. Altra presenza caratteristica è quella della razza, localmente detta arzilla, dalla polpa bianca e dal grande sapore. Nell’entroterra del Circeo si stendono le storiche bonifiche dell’Agro Pontino, dove le molteplici varietà di pomodori assumono sfumature straordinarie e questo porta il discorso sul ruolo degli ortaggi, che qui trovano ambiente eccezionale per clima e suolo, ma anche particolare ricchezza di sapore per i minerali che traggono dall’acqua salmastra. Questo, per sottolineare una verità culinaria assolta: a rendere inimitabile un piatto sono innanzitutto i prodotti della sua terra, poi il cuoco farà la differenza. Scaldate dell’olio e fate rosolare calamari, seppie e moscardini dopo averli tagliati come si conviene. Aggiungete uno spicchio d’aglio e mezza cipolla tritati, il vino bianco e lasciate sfumare. Allungate il fondo con due mestoli d’acqua bollente e aggiungete i pomodori e una presa di sale; lasciate bollire e dopo una decina di minuti unite i pesci; dopo qualche minuto sarà la volta dei crostacei, che non dovranno stare sul fuoco per molto. Impiattate e guarnite con un giro d’olio extravergine e una presa di prezzemolo tritato. Completate con due fette di pane tostato bruschettato con uno spicchio d’aglio.

Vino consigliato: Circeo Bianco Doc 189


Lazio - Ferentino

Ristorante Hotel Bassetto della Famiglia Concutelli

Filettobassetto Ingredienti per 4 persone

800 g di filetto di manzo 200 g di tagliolini di pasta all’uovo (‘fili d’oro’) verdure di stagione | tartufo nero | olio extravergine d’oliva vino rosso | pane casereccio | farina bianca

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a ricetta ha un retroscena di sapore simpaticamente ciociaro, che rimanda a un piatto – fili d’oro e particella – tradizionalmente destinato ai giorni di festa. Intuire che si tratta di tagliolini all’uovo è immediato, mentre il termine ‘particella’ richiede spiegazione; l’eufemismo è riferito infatti alla fettina di carne in umido che li guarniva. Si parla ovviamente di molto tempo fa, quando la carne era alimento di scarso consumo, ironicamente paragonata per spessore alla particola della messa domenicale. I tempi sono cambiati e questa ricetta è una sorta di rivincita sulle ristrettezze d’un tempo: lo stracotto è stato sostituito dal filetto 190


di manzo, invertendo anche le proporzioni del piatto: se prima era tanta pasta e poca carne, oggi è tanta carne e poca pasta. Quanto al contorno di stagione, c’è la più ampia discrezionalità, confidando nella storica vocazione orticola della Ciociaria – dai peperoni di Pontecorvo ai fagioli di Atina, dai broccoli di Selvacava ai carciofi di Sezze – e senza dimenticare l’abbondante raccolta di tartufo in quel di Campoli. Tagliate il filetto in quattro medaglioni dello spessore di circa 3 centimetri; infarinateli e passateli a rosolare su un fondo d’olio extravergine ben caldo; bagnate generosamente con vino rosso, idealmente del Cesanese del Piglio. Lasciate cuocere a fuoco moderato di modo che gli umori della carne si uniscano al vino a formare una salsa cremosa. Verso la fine passate in padella anche le verdure, che nel frattempo avrete fatto bollire. Sistemate la carne e il contorno su un crostone di pane casereccio, se non proprio ciociaro, quanto meno di grano duro, possibilmente cotto a fuoco di legna. Per rispettare la tradizione, mancano solo i fili d’oro: bolliteli quel poco che richiedono e spadellateli con olio extravergine di oliva e una generosa dose di tartufo nero.

Vino consigliato: Cesanese del Piglio Doc 191


Lazio - Frascati

Ristorante Cacciani della Famiglia Cacciani

Pappardelle al ragù in bianco ed erbe di caccia Ingredienti per 4 persone

50 g di salsiccia | 50 g di polpa di agnello 50 g di costata di manzo 1 costa di sedano | ½ cipolla | 1 piccola carota rosmarino | mentuccia | salvia 5 spicchi d’aglio | 10 capperi di Pantelleria Pecorino Romano grattugiato ½ bicchiere di vino bianco | olio extravergine d’oliva 1 peperoncino fresco | pepe

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a prima considerazione riguarda le cosiddette erbe ‘di caccia’ – rosmarino, mentuccia e salvia – che introducono all’inconfondibile quadro aromatico che la cucina laziale conferisce ai suoi piatti alla cacciatora. In tal senso una delle ricette più popolari è l’abbacchio, ovvero l’agnello da latte, “il più tenero del gregge, vergine d’erba”, come scriveva il latino Giovenale. Tale concetto viene ripreso oggi dal disciplinare del prodotto 192


a Indicazione Geografica Tipica che può fregiarsi di questo appellativo. In sintesi: capi di razze ovine locali; macellazione entro i 40 giorni d’età; allevamento brado o semibrado. Individuata la fonte d’ispirazione di questo Piatto del Buon Ricordo, è interessante notare come l’assenza del pomodoro richieda adeguata contromisura sotto forma di una generosa dose di vino bianco, cui si chiede tanto di sgrassare quanto di dare una nota acidula all’insieme. In linea con la tradizione si pone il ricorso al cappero, dall’inimitabile salinità vegetale, specie se di produzione pantesca, e il peperoncino rosso piccante, di cui si raccomanda la freschezza. In generale, siate prudenti con il sale perché oltre ai capperi anche il pecorino grattugiato ne apporta in buona quantità. Sgranate la salsiccia e macinate le carni di agnello e manzo. Battete il trito di sedano, carota e cipolla fin quasi a disfarlo e fatelo rosolare in padella su un fondo d’olio. Aggiungete le tre carni al soffritto e fate prendere colore a fiamma viva. Tritate con la mezzaluna le erbe di caccia assieme ai capperi e agli spicchi d’aglio; spargete gli aromi sulla carne ormai dorata e bagnate con una generosa spruzzata di vino bianco. Moderate il fuoco e portate a cottura, aggiungendo acqua o brodo bollente al bisogno. A tempo debito cuocete le pappardelle in abbondante acqua salata, scolatele e spadellatele con il ragù. Aggiungete un mestolo di acqua di cottura e quattro cucchiaiate di pecorino; mescolate, mettete il coperchio e lasciate amalgamare per un minuto.

Vino consigliato: Frascati Doc 193


Lazio - Rivodutri

Ristorante La Trota dal ’63 di Sandro e Maurizio Serva

Cannoli di ricotta all’anice stellato su coulis di borragine Ingredienti per 4 persone

1 sfoglia di pasta all’uovo | 300 g di ricotta di pecora 20 g di Parmigiano Reggiano grattugiato 10 g di anice stellato | noce moscata | scorza di limone olio extravergine d’oliva | 100 g di besciamella 1 tuorlo | fiori di borragine | 2 carciofi | pepe Per la coulis di borragine: 300 g di borragine 1 spicchio di cipolla media | 1 patata piccola 1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva 2 dl di brodo vegetale | pepe

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l Reatino è terra di antica tradizione pastorale e la ricotta è uno dei suoi prodotti più apprezzati. Questo latticino, prodotto con siero di latte ovino, ha pasta bianchissima, compatta e morbida, mentre il sapore è dolce, con una lieve punta di acidità. Nel caso di questa ricetta è particolare la sua combinazione con gli aromi di limone e anice stellato. Nel complesso è da 194


apprezzare il controcanto amarognolo dei contorni: il carciofo, vera specialità della campagna laziale, con l’affine cardo; oppure i germogli di luppolo selvatico, simili a piccoli asparagi, raccolti ai piedi delle siepi in primavera. Stendete una sfoglia di pasta all’uovo e ricavatene 20 riquadri da 6 centimetri di lato; sbollentate le piccole sfoglie per un minuto, quindi raffreddatele in acqua e ghiaccio e asciugatele. Aromatizzate la ricotta con l’anice stellato polverizzato e la buccia di limone bollita tre volte e grattugiata; aggiungete il formaggio grattugiato, regolando di sale; mettete questo ripieno in una tasca di tela con beccuccio largo e spremetene una striscia sulle sfoglie; arrotolatele a cannolo allineandole sul fondo di una pirofila imburrata. Preparate una besciamella, aromatizzatela con la noce moscata e aggiungete il tuorlo; distribuitela sopra i cannoli e passateli in forno per 8 minuti a 180 gradi e altri 2 minuti sotto il gratin. Sbollentate per 4-5 minuti metà della borragine, poi raffreddatela in acqua ghiacciata. Affettate la cipolla e fatela sudare nell’olio, aggiungete la patata a cubetti e la restante borragine, lasciate insaporire e versate il brodo. Fate cuocere per 15 minuti a fiamma bassa, poi lasciate che raffreddi e aggiungete la prima quantità di borragine frullata, regolate di sapore e passate al setaccio. Tagliate i carciofi a lamelle sottili e cuocetele a fiamma viva in una padella antiaderente, lasciandole raffreddare. Impiattate i cannoli su una riga di salsa, con le chips di carciofi sopra e qualche fiore di borragine come guarnizione.

Vino consigliato: Trebbiano d’Abruzzo Doc 195


Lazio - Roma

Trattoria Checchino dal 1887 di Marina, Elio e Francesco Mariani

Involtini di carne alla romana Ingredienti per 4 persone

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500 g di controgirello di manzo 500 g di pancetta tesa qualche costa di sedano 500 g di pomodori pelati 1 carota | 1 cipolla ½ bicchiere di vino bianco secco olio extravergine d’oliva | pepe

li involtini di carne sono preparazione molto popolare nella cucina del Centro Sud, anche perché l’abbondante sugo si presta al condimento di una pasta asciutta per far desinare completo. La ricetta romana evidenzia il notevole ruolo del sedano (‘sellaro’) nella cucina capitolina, come confermato da un altro piatto della tradizione, la coda alla vaccinara, voce fissa nel menù dello stesso Checchino. Della bontà di questi involtini testimonia il modo di dire romanesco ‘a ciccio di sellaro’, riferito 196


a qualcosa di assolutamente adatto al caso, così come altrove si usa l’espressione ‘a fagiolo’. Nel pratico diverse sono le varietà di sedano e i rispettivi impieghi culinari: quello a costa bianca – rinomata la produzione di Subiaco, nell’alta valle dell’Aniene – si usa a crudo in insalata o pinzimonio; quello verde, a coste più piccole e fitte, trova impiego per lo più come verdura aromatica da soffritto, anche se non mancano ricette più specifiche per zuppe e sformati. Da segnalare, caso a se stante, la produzione del sedano nero di Trevi, nel Perugino, con tanto di sagra e tradizionale abbinamento con la salsiccia. Battete le fettine di manzo e disponetevi sopra una fettina di pancetta, dei tocchetti di sedano, dopo aver liberato le coste da eventuali filamenti, e qualche strisciolina di carota; salate e pepate leggermente. Arrotolate le fettine e legatele con qualche giro di filo bianco da cucina oppure appuntatele con un paio di stecchini. Scaldate dell’olio e fate soffriggere un trito fine di cipolla; aggiungete gli involtini e fateli rosolare bene da ambo i lati; versate il vino bianco e lasciate che evapori; versate i pomodori pelati rompendoli con un cucchiaio; regolate di sale e pepe, abbassate la fiamma e portate a cottura come fosse uno stufatino. In primavera, come ripieno potrete usare uno spicchio di carciofo e del prosciutto; in estate, per avere un piatto più leggero, sostituite la carne di manzo con pollo o vitello; in inverno usate invece carne di maiale.

Vino consigliato: Cesanese del Piglio Doc 197


Lazio - Roma

Ristorante Dante Taberna dè Gracchi di Dante Mililli

Tagliolini all’Angelica Ingredienti per 4 persone

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360 g di tagliolini all’uovo freschi 1 capone gallinella (‘coccio’) da 500-600 g 160 g di pomodori a grappolo 8 foglie di menta romana 40 g di Pecorino Romano 1 spicchio d’aglio vino bianco secco olio extravergine d’oliva pepe

ei dialetti regionali di pesci capponi se ne trovano in numero che disorienta. Così, per esempio, vengono chiamati gli scorfani, facendo riferimento alla testa sproporzionata. Lo stesso vale per altri rappresentanti della loro famiglia, tra i quali il capone gallinella (Trigla hirundo), pesce di colore rosa giallastro, altrimenti definito con nomi che si riferiscono alla testa (‘cuoccio’) 198


o alle pinne pettorali variopinte e amplissime (‘luserna’, ‘rondine di mare’, ‘angiuletto’). Al suo proposito nel Basso Tirreno non hanno dubbi: è il ‘cuoccio riale’ o ‘faggiano’ che ci vuole per l’acquapazza, che per ingredienti è fonte d’ispirazione di questa ricetta. La preparazione di questi tagliolini di pesce richiede anche un altro ingrediente, la menta romana (Mentha spicata), di non immediata individuazione. Nella numerosa famiglia delle mente si distingue per gli steli rossastri e le foglie lunghe e dentate; a Roma la si usa anche nella preparazione della trippa. Attenzione a non confonderla con la mentuccia, o nepetella, pianta a steli striscianti e foglie piccole, destinata invece ai carciofi alla romana. Con un paio d’ore d’anticipo sbollentate e pelate i pomodori, liberandoli dai semi; tagliateli a pezzetti e aggiungete le foglie di menta, sale, pepe e poco olio, lasciando macerare. Nel frattempo curate il pesce, destinando la testa e la spina, con qualche verdura aromatica, alla preparazione del brodo che servirà nel proseguio. Ricavate i filetti e spellateli, tagliate la polpa a piccole trance e rosolatela in padella con olio e uno spicchio d’aglio; bagnate con un po’ di vino bianco e lasciatelo evaporare; aggiungete i pomodori e lasciate sul fuoco per 5 minuti. Fate cuocere i tagliolini i pochi minuti necessari in una pentola d’acqua, che per tempo avrete portato a bollore, avendo aggiunto un po’ di brodo di pesce. Scolate la pasta e passatela in padella a fuoco vivo perché faccia tutt’uno con il sugo. Impiattate e spolverate di pecorino grattugiato all’istante.

Vino consigliato: Frascati Doc 199


Lazio - Roma

Ristorante 31 Al Vicario di Carlo Repetto

Maialino da latte arrosto, sale profumato alle erbe, spicchi di patate al forno e cicoria ripassata Ingredienti per 10 persone

1 maialino da latte (4 kg circa) 1500 g di patate da taglio | olio extravergine d’oliva 800 g di cicoria sbollentata Per il sale aromatico: 150 g di sale grosso | 1 mazzetto di finocchietto selvatico 50 g di semi di finocchio | 2 capi d’aglio

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a porchetta, ovvero lo spiedo di maiale all’aroma di finocchio, è vanto di diverse località dell’Italia Centrale. La più celebre è quella di Ariccia, dove esiste un consorzio che ne ha codificato la ricetta. Primo requisito, un suinetto da 70-80 chili, che va acconciato con sale, pepe, aglio, finocchio selvatico e quant’altro. Secondo requisito, la cottura allo spiedo che ha termine quando la cotenna è ridotta in una sfoglia lucida e croccante, deliziosa. Tipico mangiare di strada, la porchetta 200


viene affettata tra due fette di pane casereccio, con viva raccomandazione per quello di Genzano. Questo Piatto del Buon Ricordo è una porchetta in versione delicata: maialino da latte, dunque carne giovanissima e magra, cotta a tutto favore della leggerezza; delicati anche gli aromi, diffusi discretamente attraverso il sale. Prendete il maialino e fiammeggiate la cotenna per rimuovere ogni residuo di setole; privatelo di testa, piedini e coda; tagliatelo per il lungo e spargete il sale aromatico, ottenuto per triturazione dei vari ingredienti, solo sulla carne viva, internamente. Sistemate le due mezzene in una teglia e passate in forno per una cottura a vapore a 100 gradi per venti minuti e quindi a 140 gradi per due ore e mezza; a questo punto vaporizzate dell’acqua salata sulla cotenna e portare a 220 gradi per altri 20 minuti di modo che la superficie diventi dorata e croccante. Questo procedimento, che mantiene la porchetta morbida all’interno e simile a uno spiedo esternamente, richiede un forno professionale. A livello domestico si può ottenere risultato analogo con il forno impostato nella funzione ventilata e una bacinella d’acqua per mantenere umida l’aria al suo interno. Quanto al contorno, tagliate le patate a spicchi e tuffatele rapidamente in acqua bollente per sbiancarle; scolatele e disponetele su una teglia con olio, aglio e rosmarino per una cottura in forno a 180 gradi. Nel frattempo ripassate in padella la cicoria lessata con olio e peperoncino.

Vino consigliato: Rosso di Torgiano Doc 201


Abruzzo - Silvi Alta

Ristorante Vecchia Silvi di Marino D’Agostino

Tagliatelle di nonna Finuccia Ingredienti per 4 persone

500 g di farina bianca | 4 uova 100 g di spinaci | 90 g di Emmental 90 g di Fontina | 40 g di Pecorino morbido 30 g di Pecorino grattugiato | 40 g di latte o panna 50 g di guanciale affumicato | 50 g di pomodoro a cubetti pecorino grattugiato

L’

Abruzzo, terra di pastori e di pastai, si ritrova in questo piatto di antica tradizione familiare. La prima osservazione riguarda l’impiego degli spinaci, che non stupisce pensando al fatto che anche il pasticcio di lasagne nella sua forma più ortodossa alla bolognese richiede pasta verde. La particolarità di questo piatto, semmai, sta nell’atipica ‘paglia e fieno’ delle tagliatelle, verdi da una parte e gialle dall’altra. Altro ingrediente che richiede commento è il guanciale, salume teso che si ricava dal taglio tra il collo e la mascella suina, riconoscibile dalla forma triangolare e dalla doppia venatura 202


magra; nell’Italia centrale, specie tra Lazio e Abruzzo, lo si preferisce di gran lunga alla pancetta ed entra nella preparazione di piatti popolari come la pasta all’amatriciana o alla carbonara. La tipicità del salume è accentuata da una leggera affumicatura e talora anche da una manipolazione con peperoncino piccante. Lessate e strizzate gli spinaci; fateli asciugare su fuoco vivo e passateli con il molinetto o il mixer. Versate sulla spianatoia una quantità di farina di peso doppio della verdura; formate la fontana versando al centro due uova e gli spinaci; impastate e tirate una sfoglia il più sottile possibile. Procedete con la farina e le uova restanti, tirando una sfoglia gialla. Sovrapponete le due paste e passate il mattarello di modo che aderiscano in un’unica sfoglia; le tagliatelle che ne ricaverete, dunque, saranno bicolori. Prendete una padella e fate soffriggere in poco olio il guanciale ridotto a dadolini; aggiungete il pomodoro e lasciate cuocere per 20 minuti. Nel frattempo organizzatevi per sciogliere a bagnomaria i quattro formaggi nel latte o nella panna. Prendete un’ampia padella, fate sciogliere una noce di burro e la crema appena ottenuta; aggiungete le tagliatelle, che nel frattempo avrete lessato al dente in abbondante acqua salata; amalgamate bene sul fuoco e distribuite la pasta in piatti ben caldi, completando con il sugo di pomodoro e una spolverata di pecorino.

Vino consigliato: Montepulciano D’Abruzzo Doc 203


Basilicata - Maratea Porto

Ristorante Za’ Mariuccia di Francesca Mazzeo

Ravioli di ricotta dolci in ragù d’agnello Ingredienti per 6 persone

Per la sfoglia: 500 g di semola di grano duro | 5 uova 1 cucchiaio d’olio extravergine d’oliva Per il ripieno: 300 g di ricotta | 3 tuorli d’uovo 1,5 cucchiai di zucchero | cannella in polvere Per il ragù: 200 g di polpa d’agnello 2 peperoni | 2 pomodori maturi | 2 spicchi d’aglio 2 foglie d’alloro | vino bianco secco | pepe pecorino stravecchio grattugiato

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aratea è rinomata per la zuppa di pesce, che vuole solo pesce di scoglio e abbondante peperone rosso, dolce o piccante, come d’abitudine in Lucania. Altrettanto caratteristici, però, sono i piatti d’entroterra, per i quali si utilizzano i prodotti del Monte Sirino: carne d’agnello, ricotta e formaggio pecorino, come in questo Piatto del Buon Ricordo. In ogni caso ciò che risalta è il ruolo della carne ovina nella cucina lucana: da una preparazione ubiquitaria come l’agnello ‘a cutturiddi’, in casseruola con 204


verdure aromatiche, alla specialità materana dell’agnello al forno con i funghi cardoncelli, entrambe sotto il segno del peperoncino rosso. Dettaglio interessante, la presenza di zucchero e cannella nel ripieno dei ravioli, probabile retaggio delle antiche comunità locali di origine albanese. Prendete una padella, scaldate un velo d’olio e fate prendere leggero colore agli spicchi d’aglio; aggiungete la polpa d’agnello tritata grossolanamente e cosparsa di sale e pepe; rosolatela a fuoco vivo senza coperchio e quando sarà ben colorita versate mezzo bicchiere di vino bianco; a evaporazione completa, aggiungete i pomodori, che nel frattempo avrete pelato, liberato dai semi e spezzettati, e i peperoni, tagliati a listerelle. Lasciate su fuoco basso e col coperchio per circa due ore, aggiungendo liquido, acqua o brodo, se il ragù accennasse ad attaccare. Nel frattempo preparate la pasta e tirate una sfoglia sottile, ricavandone delle liste larghe circa dieci centimetri. Amalgamate gli ingredienti del ripieno e distribuitelo a intervalli di dieci centimetri sulla pasta. Ripiegate la pasta su se stessa e ricavate dei ravioli a semiluna aiutandovi con un bicchiere dal bordo sottile. Premete bene lungo i bordi per sigillare perfettamente il contenuto e procedete alla cottura, una decina di minuti in abbondante acqua salata. Recuperate delicatamente i ravioli e distribuiteli nei piatti assieme al ragù, completando con una spolverata di pecorino grattugiato.

Vino consigliato: Aglianico del Vulture Doc 205


Basilicata - Pignola

Giubileo Hotel “La Luna nel Bosco” di Antonio Giubileo

Strascinati all’antica Ingredienti per 4 persone

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Per la pasta: 250 g di semola di grano duro 100 g d’acqua | 1 uovo Per il condimento: 20 g di peperoni ‘cruschi’ | 50 g di cacioricotta 1 spicchio d’aglio | olio extravergine d’oliva prezzemolo

l Potentino è uno di quei luoghi dove la pasta nasce ancora dalle mani di infallibili massaie. In particolare, gli ‘strascinati’, meglio noti al grande pubblico con il nome di ‘orecchiette’, che come suggerisce il termine vengono formati con un indescrivibile movimento delle dita sulla spianatoia. Le preparazioni più note sono pugliesi – davvero in tutte le salse – mentre la ricetta qui proposta è una versione che fa tesoro dei prodotti tipici della Lucania, peperoni ‘cruschi’ e cacioricotta. 206


La produzione dei peperoni lucani ha come epicentro il comune di Senise, alle falde del Pollino. La polpa molto sottile e il basso contenuto d’acqua consentono l’essiccazione al sole, dopo di che si formano quelle collane di peperoni ‘cruschi’ che ancora oggi sono ornamento di tante cucine. Quanto al cacioricotta, rinomato quello di Filiano, viene prodotto da latte di capre tenute a pascolo montano e destinato alla grattugia dopo diversi mesi di stagionatura. Impastate la farina con l’acqua e l’uovo, lavorando il composto fino ad averlo liscio e omogeneo; lasciate riposare per una mezz’ora, quindi formate dei cilindri spessi quanto un grissino e lunghi 3 centimetri; strisciateli sulla spianatoia usando i polpastrelli delle quattro dita escluso il pollice per ottenere la classica forma a ‘orecchietta’. Mentre gli strascinati cuociono in abbondante acqua salata, ponete mano al condimento. Scaldate dell’olio extravergine e preparate un soffritto con uno spicchio d’aglio e i peperoni secchi sbriciolati; aggiungete un po’ d’acqua di cottura della pasta, che col suo amido fungerà da addensante, e lasciate restringere fino a consistenza adeguata. Scolate la pasta lasciando che trattenga un minimo d’acqua, versatela sui peperoni e spadellate mantecando con una generosa spolverata di cacioricotta. Impiattate e completate con una presa di prezzemolo tritato al momento.

Vino consigliato: Aglianico del Vulture Doc 207


Puglia - Alberobello

Ristorante Il Poeta Contadino di Leonardo Marco

Sinfonia di pesci su schiacciata di patate con fumetto al basilico Ingredienti per 4 persone

1 spigola da 600 g 1 sgombro da 400 g 2 triglie da 100 g cadauna 200 g di patate | 2 carciofi | 2 zucchine | 2 carote 10 olive snocciolate | 10 pomodorini a filo prezzemolo | basilico | olio extravergine d’oliva | pepe

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re sono le voci soliste di questo piatto corale: la spigola, o branzino che dir si voglia, carne bianca soda e pregiata, senza dubbio migliore negli esemplari di cattura; poi lo sgombro, che si pesca in mare aperto, piuttosto grasso come tutto il pesce azzurro, ma proprio per questo gustoso; infine, la triglia, tanto delicata quanto saporita, inconfondibile, leggermente liscosa ma ampiamente perdonabile, di scoglio le migliori, dal profilo affusolato. 208


Degli altri ingredienti, una sola constatazione: dalle patate ai pomodorini, il sole e le terre rosse di Puglia offrono un paniere di sapori irriproducibili e lo stesso vale per l’olio d’oliva che nella Murgia dei Trulli prende accento dalla varietà Cima di Mola, la più antica del Mediterraneo. Una cucina di mare e di terra molto spontanea, che accosta senza pregiudiziali quello che la stagione offre al mercato. Lessate le patate e sbollentate le altre verdure. Sfilettate le tre varietà di pesce, usando teste e lische per preparare il brodo che servirà più avanti come liquido di cottura. Prendete un cerchio monoporzione, di quelli che s’usano per sovrapporre a tortino gli ingredienti, e adagiate i filetti di pesce in ordine di grandezza e consistenza: spigola, branzino e triglia; completate con le verdure a tocchetti, intercalando foglie di basilico. Condite con sale, pepe e olio, e passate in forno a 170 gradi per 8 minuti. Nel frattempo schiacciate le patate, incorporando olio, prezzemolo, olive, sale e pepe; prendete delle formine e preparate delle schiacciate grandi quanto hamburger. Da ultimo prendete una padella e scaldate dell’olio con uno spicchio d’aglio; aggiungete i pomodorini tagliati in due, alcune foglie di basilico e del fumetto di pesce, lasciando sul fuoco finché il composto non possa dirsi salsa. Tutto è pronto per impiattare: al centro una schiacciata di patate e sopra la sinfonia di pesce, lasciando al pomodoro l’ultima nota nella composizione.

Vino consigliato: Locorotondo Doc 209


Calabria - Altomonte

Ristorante dell’Hotel Barbieri di Vincenzo Barbieri

Cosciotto di montone al ginepro Ingredienti per 4 persone

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1 cosciotto di montone | 3 cipolle 2 spicchi d’aglio | bacche di ginepro peperoncino rosso piccante peperoncino rosso dolce | alloro | pepe farina bianca | concentrato di pomodoro vino rosso secco | olio extravergine d’oliva

a carne ovina riveste un ruolo molto particolare nello scenario gastronomico italiano. La prima motivazione è il valore simbolico dell’agnello nel pranzo pasquale, che ha come effetto il suo consumo in un periodo ristretto dell’anno. La seconda nasce dalla contrapposizione della cultura padana, legata al maiale, d’ascendenza barbarica, a quella centro-meridionale, legata alla pecora, di matrice latina. Terra di transizione è la Romagna, dove non a caso si comincia a consumare carne di castrato, pressochè sconosciuta alle regioni settentrionali. 210


Al giorno d’oggi il mercato distingue tre tipologie di carne ovina: l’agnello leggero, corrispondente all’abbacchio, ovvero l’animale di 25-30 giorni d’età, alimentato solo a latte materno; quindi l’agnellone, macellato a 100-120 giorni d’età, e infine il castrato, ovvero il maschio adulto di 6-9 mesi d’età. Un tempo gli abbacchi erano fonte di guadagno primaverile e difficilmente giungevano sulle tavole semplici, che invece avevano consuetudine con l’intenso sapore della carne di montone, che proprio per questo veniva bagnata con vino rosso e speziata intensamente con bacche di ginepro e peperoncino, nello specifico caso calabrese sia dolce che piccante. Disossate il cosciotto di montone e tagliate la polpa a tocchetti; lavatela e asciugatela, poi passatela nella farina bianca e per eliminarne l’eccesso scrollatela su un setaccio. Versate un velo d’olio in una teglia e fate rosolare un paio di spicchi d’aglio; aggiungete la carne e la cipolla affettata grossolanamente; versate un bicchiere di vino rosso corposo e aggiungete una cucchiaiata di bacche di ginepro schiacciate, un paio di foglie d’alloro spezzate, il peperoncino dolce in polvere e un paio di peperoncini piccanti. Quando il vino sarà evaporato, abbassate la fiamma e portate a cottura in un paio d’ore aggiungendo dell’acqua quando la carne accenna ad asciugarsi. Servite con contorni di stagione: fave, melanzane, pomodori, peperoni, patate, funghi, carciofi.

Vino consigliato: Rosso Lamezia Doc 211


Calabria - Belvedere Marittimo

Ristorante Sabbia d’Oro di Palmino Raffo e Anna Monetta

Gnocchetti Sabbia d’Oro Ingredienti per 4 persone

700 g di gnocchetti caserecci 300 g di pomodorini Pachino 200 g di gamberetti sgusciati | 30 g di rucola 30 g di radicchio rosso | peperoncino rosso piccante fresco olio extravergine d’oliva | aglio Per gli gnocchetti: (dose per 1 kg di patate) 1 kg di patate farinose 250 grammi di farina bianca 00 sale

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li gnocchi sono preparazione ubiquitaria, dalle Alpi agli Appennini, così come lo è la coltura della patata, che rappresenta la loro materia prima più apprezzata. Con una specifica raccomandazione per le patate di montagna, dove il clima favorisce la concentrazione dell’amido nei tuberi, ovvero la sostanza e il sapore, a discapito dell’acqua, che fa solo peso. Circostanza, questa, che si verifica anche in luoghi inaspettati, come la penisola Sorrentina, titolare di una celebre ricetta di 212


gnocchi con mozzarella, pomodoro e basilico, dove sono i Monti Lattari a tuffarsi nel Tirreno, o come a Belvedere Marittimo, incastonato tra il mare della Riviera dei Cedri e il massiccio del Pollino, sotto il segno, tutto calabrese, del peperoncino rosso piccante. Lavate le patate senza pelarle, mettetele in una pentola, copritele abbondantemente di acqua fredda, salate e mettete sul fuoco. Non appena si alzerà l’ebollizione, regolate la fiamma in modo che la cottura prosegua piano. Recuperate le patate con il mestolo forato, pelatele e passatele allo schiacciapatate mentre sono ancora bollenti. Allargate il passato sulla spianatoia e lasciatelo raffreddare. A questo punto incorporate la farina e il sale e impastate. Formate una palla e ricavatene prima dei rotolini grossi quanto un dito e poi dei pezzetti della dimensione di un’oliva. Segnate gli gnocchetti passandoli con un dito sul dorso di una grattugia o sui rebbi di una forchetta. In un’ampia pentola fate prendere leggero colore a un paio di spicchi d’aglio su un fondo d’olio extravergine. Aggiungete al soffritto i gamberetti sgusciati, la rucola e il radicchio tritati, un paio di peperoncini freschi spezzettati, i pomodorini tagliati a metà e una presa di sale. Cuocete gli gnocchetti in abbondante acqua salata e scolateli non appena riappaiono in superficie; spadellateli a fuoco vivo e servite immediatamente.

Vino consigliato: Terre Lontane Igt 213


Sicilia - Capo D’Orlando

Ristorante Hotel La Tartaruga della Famiglia Damiano

Arancinetto al nero di seppia Ingredienti per 4 persone

500 g di riso Carnaroli 400/500 g di seppie con il nero 200 g di salsa di pomodoro | 1 cipolla grossa 100 g di formaggio tuma a cubetti 100 g di finocchietto selvatico tritato 50 g di basilico | olio extravergine d’oliva 1 bicchiere di vino bianco secco | farina bianca

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immagine della Sicilia come una terra dal clima arido non esclude il fatto che localmente che le sue risorse idriche siano state tali da sostenere colture come il riso, importato sull’isola dagli Arabi attorno al VII secolo dopo Cristo. Resta a testimoniarlo innanzitutto la ricetta delle arancine di riso, grosse frittelle ripiene che sono tipico cibo da strada, consumato anche a temperatura ambiente. La versione più popolare è in bianco con ripieno di ragù, ma si trova spesso anche una versione con riso giallo allo zafferano, altro prodotto d’importazione araba. 214


Su questa impalcatura gli chef contemporanei impostano preparazioni alternative, come questa che sposa il mare con l’entroterra: il primo, rappresentato dalla seppia col suo nero e dal finocchietto che cresce lungo costa; il secondo, dalla tuma, formaggio pecorino o vaccino, di varia stagionatura, che a Capo d’Orlando giunge dagli stazzi dei Monti Nebrodi. Lessate per una decina di minuti il riso in abbondante acqua salata alla quale avrete aggiunto del nero di seppia; dopo averlo ben scolato, allargatelo sopra un largo piatto e lasciate raffreddare. Tritate la cipolla e lasciatela soffriggere su un velo d’olio; aggiungete la seppia tagliata a striscioline e fatela rosolare; versate un bicchiere di vino bianco, lasciando sfumare; aggiungete i pomodori, che avrete sbollentato, pelato e liberato dai semi, e portate a cottura in una decina di minuti; completate con una bella presa di basilico tritato al momento. Mettete del riso nel palmo della mano, sistemate al centro qualche cubetto di formaggio e una cucchiaiata di nero di seppia, che avrete amalgamato a caldo con un po’ d’olio. Chiudete l’arancino e passatelo prima in una pastella di acqua e farina e quindi nel pangrattato. Continuate ad esaurimento degli ingredienti, poi friggete gli arancini, pochi alla volta, in abbondante olio d’oliva; passateli su carta assorbente ed eventualmente un paio di minuti nel forno a 250 gradi per farli bene asciugare. Servite con una guarnizione di finocchietto selvatico.

Vino consigliato: Etna Rosato Doc 215


Sicilia - Catania

Ristorante La Siciliana dei fratelli Salvo e Vito La Rosa

Calamaretti ripieni alla griglia Ingredienti per 4 persone

8 calamari piccoli | 300 g di mollica di pane fresco 30 g di Parmigiano Reggiano grattugiato 30 g di pecorino grattugiato | olio extravergine d’oliva aglio | capperi | olive verdi | pinoli | uvetta prezzemolo | pepe

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ella cucina mediterranea si registrano combinazioni di ingredienti che rivelano la comune origine dei piatti che vi ricorrono. Uvetta e pinoli, per esempio, denotano una fonte d’ispirazione levantina, che nel caso del nostro paese può essere individuata nella cultura araba, radicatasi profondamente proprio in Sicilia, o nei contatti commerciali che città come Venezia hanno avuto nei secoli successivi con il Medio Oriente. Nel primo caso il quadro aromatico si circostanzia per aggiunta di capperi, olive e aglio, oltre che per aggiunta d’olio d’oliva isolano, dal tipico aroma di foglia di pomodoro. È il caso di questi calamari ripieni, specialità tradizionale di Catania. 216


La preparazione dei calamari richiede innanzitutto che vengano spellati. Poi, con le dita, eliminate il becco che si trova al centro dei tentacoli. Trattenendo il mantello con una mano, tirate la testa con l’altra di modo che si trascini dietro le interiora, da rimuoverete assieme agli occhi. Lavate accuratamente tanto il mantello, soprattutto all’interno, quanto la testa, che in un primo momento terrete da parte. Preparate anche gli ingredienti per il ripieno: sbriciolate la mollica di pane; grattugiate il formaggio grana e il pecorino; tritate un paio di spicchi d’aglio assieme a un ciuffo di prezzemolo; snocciolate le olive e dividetele a spicchi; tostate i pinoli e strizzate l’uvetta, che avrete tenuto una mezz’ora in ammollo. Riunite il tutto in una ciotola e mischiate bene gli ingredienti, cospargendoli con sale e pepe, dopo di che potrete tritarli a mezzaluna avendo la certezza che siano ben distribuiti; alla fine amalgamate il composto con un po’ d’olio. Riempite con la farcia le tuniche dei calamari e chiudetele appuntando la testa con uno stecchino. Passate sulla griglia questa sorta di involtini di mare, dapprima a calore vivo, lasciando che si segnino bene, quindi moderato; nel giro di un quarto d’ora potrete trasferirli sul tagliere e ricavarne tre-quattro fette, da disporre a scalare sul piatto, lasciando all’ultimo il tocco di un filo d’olio.

Vino consigliato: Etna Bianco Doc 217


Sicilia - Erice

Ristorante Hotel Moderno di Giuseppe Catalano

Scaloppine di cernia agli agrumi di Sicilia Ingredienti per 6 persone

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1 kg di filetti di cernia 12 pomodorini ciliegini Pachino 1 limone | 1 arancia | 150 g di carote 150 g di patate | prezzemolo vino bianco secco olio extravergine d’oliva farina bianca | pepe

a cucina siciliana propone degli accostamenti di sapore che alla prima esperienza possono sembrare curiosi. Gli agrumi, per esempio, compaiono anche nelle ricette salate secondo un uso che risalirebbe alla dominazione araba. L’esempio più noto è offerto dall’insalata di arance, preparata con cipolla, olive e capperi come tradizionale contorno rinfrescante delle portate di carne. Questo Piatto del Buon Ricordo si inserisce in questo filone proponendo invece un gioco di ingredienti agrodolci come cornice del migliore pesce bianco. Il tutto, sotto il segno di un 218


olio extravergine d’oliva che nel Val di Mazara ha inconfondibile aroma di foglia di pomodoro. L’unico ingrediente che richiede specifico commento è la cernia, presente sul mercato in varietà tale da disorientare l’acquirente poco esperto. Partendo dal presupposto di usare pesce fresco del Mediterraneo, la preferenza va data alla cernia di scoglio, una spanna sopra tutte le altre per habitat e alimentazione. Il naturalista Limneo l’ha classificata come Epinephelus guaza, dove il primo termine significa ‘coperta di nubi’; è la colorazione, infatti, che consente di distinguerla per via delle marezzature scure su fondo rossastro o bruno-giallastro. Più comune, ma meno pregiata, la cernia di fondale, di colore bruno uniforme. Tagliate i filetti di cernia conteggiando tre fettine a porzione; infarinatele leggermente e fatele rosolare d’ambo i lati su un velo d’olio extravergine; versate un bicchiere di vino assieme a 4 cucchiai di succo d’arancia e 2 di succo di limone, e lasciate evaporare; salate e pepate; aggiungete i pomodorini ciliegini tagliati a spicchi e del prezzemolo tritato, portando a cottura in 6-7 minuti per lato. A parte spadellate con poco olio patate e carote, preventivamente lessate e affettate, dando sapore con prezzemolo. Prendete dei piatti ben caldi; suddividete le fettine di cernia e il contorno; distribuite la salsa sul pesce e decorate il bordo con due fettine d’arancia e limone anch’esse prezzemolate.

Vino consigliato: Grillo Bianco di Sicilia Igt 219


Sicilia - Lipari

Ristorante Filippino di Antonio Bernardi

Treccette orchidee delle Eolie Ingredienti per 6 persone

600 g di casarecce siciliane | 500 g di pomodori maturi 4 cucchiai di capperi e cucunci di Salina 2 cucchiai di mandorle | 2 spicchi d’aglio 20 foglie di basilico | 5 foglie di menta 6 cucchiai d’olio extravergine d’oliva 1 cucchiaio di pecorino siciliano stagionato o caciocavallo ragusano stagionato | 3 filetti di acciughe salate peperoncino rosso piccante

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nnanzitutto, un chiarimento sul formato di pasta. Le treccette sono una pasta fresca della casa, dunque coperta da un segreto che è nelle mani di chi quotidianamente la prepara. In commercio, tuttavia, si trova della pasta di grano duro che può fare al caso: sono le caserecce siciliane, arrotolate su se stesse come piccole pergamene per fare tesoro del sugo. Fonte d’ispirazione comune è la pasta ‘busiata’ d’origine araba, che 220


prende nome dalla canna che serve per imprimere la torsione che le è caratteristica. La riuscita del piatto è affidata alla bontà degli ingredienti, per lo più di produzione eoliana. Riproporre questo piatto altrove sarà una bella scommessa perché se alcuni prodotti liparoti si trovano sul mercato, altri potranno essere solo surrogati con ingredienti continentali. Tra quelli originali, capperi e cucunci dell’isola di Salina, chiarendo che i primi sono i boccioli e i secondo i frutti della pianta, trattati in salamoia. E lo stesso dicasi delle acciughe sotto sale, prodotte per lo più in quel di Mazara e a detta dei siciliani una spanna sopra tutte le altre. Gli ingredienti sono molti e tutti richiedono qualche attenzione. Sbollentate i pomodori, pelateli e liberateli dai semi, dopo di che tritateli lasciando che sgrondino il liquido di vegetazione; sciacquate bene capperi e cucunci, e passateli a coltello; dissalate anche le acciughe, ricavando dei filettini; pelate e tostate le mandorle, rompendole appena; preparate delle belle foglie di basilico e menta, spezzettandole con le dita; grattugiate il pecorino stagionato. Mentre la pasta cuoce in abbondante acqua salata, fate scaldare dell’olio in un’ampia padella con il trito di un paio di spicchi d’aglio e una generosa dose di peperoncino; aggiungete gli ingredienti del sugo a fateli saltare a fiamma viva per qualche minuto; aggiungete la pasta scolata bene al dente e quel tanto d’acqua di cottura che servirà per amalgamarla perfettamente al sugo sul fuoco. Vino consigliato: Bianco d’Alcamo Doc 221


Sicilia - Palermo

Ristorante La Scuderia di Giuseppe Stancampiano

Sformatino di melanzane su emulsione di pomodoro e mousse di Ragusano Ingredienti per 4 persone

Per lo sformatino: 600 g di melanzane 90 g di pangrattato | 90 g di Ragusano grattugiato 2 spicchi d’aglio | 3 cucchiai d’olio extravergine d’oliva Per l’emulsione: 4 pomodori maturi 2 dl d’olio extravergine d’oliva | pepe Per la mousse: 200 g di Ragusano grattugiato | 50 g di burro 1 dl d’olio extravergine d’oliva

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a fortuna della melanzana nella cucina mediterranea, e siciliana in particolare, comincia con gli Arabi che importano questo ortaggio coltivato in Persia da tempi molto antichi e probabilmente originario dell’Asia tropicale. Il termine ‘badingian’ con evidente assonanza depone non solo a favore di questa ricostruzione, ma anche della paternità della celebre ‘parmigiana’ 222


di melanzane, assai dibattuta tra ipotesi sicula ed emiliana. Così, per evidente analogia di ingredienti, si giunge a questa ricetta, che scompone la preparazione consueta in tre parti: sformato, emulsione e mousse. Tra gli ingredienti il Ragusano richiede una precisazione; formaggio a pasta filata da latte vaccino intero e crudo, è riconoscibile a colpo d’occhio per la forma parallelepipeda; da quando nel 1995 gli è stata riconosciuta la Denominazione di Origine Protetta si trova abbastanza facilmente nelle botteghe di formaggi d’un certo tono. Scaldate dell’olio in una padella e con uno spicchio d’aglio intero trifolate le melanzane tagliate a cubi; portate a cottura, scolate l’olio in eccesso e passate le melanzane nel frullatore assieme al pangrattato e al formaggio grattugiato; quando avrete ottenuto un composto omogeneo, regolate di sale e pepe; riempite degli stampini monoporzione e infornare a 180 gradi per 4 minuti. Nel frattempo sbollentate per un paio di minuti il pomodoro e passatelo in acqua ghiacciata per mantenere vivo il colore; pelatelo e liberatelo dai semi; versare la polpa nella tazza di un frullatore a immersione ed emulsionate aggiungendo a filo dell’olio extravergine; quando la densità sarà soddisfacente, regolate di sale e pepe. Infine la mousse: con un frullino montate il formaggio grattugiato assieme al burro ammorbidito e all’olio extravergine; versate il composto in una sacca da pasticcere e formate su un piatto delle rosette, da passare in frigo a rassodare.

Vino consigliato: Syrah di Sicilia Igt 223


Sicilia - Zafferana Etnea

Ristorante Parco dei Principi di Enza Cutuli e Seby Sorbello

Bocconcini di manzo in foglie di limone con caponata leggera al miele di zagara e tortino di Ragusano Dop Ingredienti per 4 persone

600 g di filetto di manzo | 16 foglie di limoni Per la caponatina: 1 melanzana | 1 zucchina 1 peperone | 1 patata | ½ cipolla | 2 coste di sedano 1 pomodoro | 5 olive bianche | 20 g di capperi di Pantelleria | 20 g di miele di zagara | 2 dl di aceto di vino bianco | olio extravergine d’oliva | pepe Per il tortino: 1 litro di latte | 100 g di Ragusano Dop 60 g di farina bianca 00 | 40 g di burro | 1 uovo

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uesto Piatto del Buon Ricordo ripropone l’arcaica cottura in foglia, che in questo caso è di limone, ma più spesso è di vite. Il rivestimento protegge il contenuto, carne o pesce che sia, mantenendolo morbido e gli conferisce un interessante aroma vegetale. Alcuni ingredienti delle preparazioni accessorie 224


richiedono commento: le olive bianche sono specialità isolana, ma rientrano anche nella rassegna delle olive di Gaeta, meglio rappresentate sul mercato; il miele di zagara, ovvero di fiori d’arancio, contrariamente alle aspettative, rientra nelle vetrine dei maggiori produttori nazionali; il Ragusano Dop è un formaggio a pasta filata distribuito anche fuori dalla Sicilia, ma può essere sostituito con un caciocavallo a latte crudo. Tagliate il filetto in 16 bocconcini da 40 grammi e fateli marinare per 20 minuti con sale, pepe e olio extravergine; avvolgeteli nelle foglie di limone fissando con stuzzicadenti. Nel frattempo tagliate a quadrucci le verdure della caponata. Cospargete le melanzane di sale, lasciate che spurghino, sciacquatele e friggetele in abbondante olio. Stessa cottura per le patate, mentre zucchine e peperoni, conditi con olio e sale, vanno cotti al dente nel forno a microonde. Sedano e cipolla, invece, devono appassire in padella su un velo d’olio, aggiungendo poi il pomodoro pelato, olive, capperi, miele e aceto; lasciate su fuoco per cinque minuti, poi riunite tutte le verdure, amalgamate e aggiustare di sapore. Per il tortino, sciogliete il burro in una casseruola, aggiungete la farina e versate il latte rimestando; portate a ebollizione e amalgamate a questa base il Ragusano tritato, incorporate l’uovo e regolate di sale e pepe; versate il composto in quattro stampini imburrati e passate in forno per una cottura a vapore, 35 minuti a 90 gradi. Al momento grigliate i bocconcini in foglia, liberateli dal rivestimento carbonizzato e assemblate il piatto adagiandoli su un letto di caponata accanto al tortino.

Vino consigliato: Rosso dell’Etna Doc 225


Sardegna - Cagliari

Ristorante Dal Corsaro di Giancarlo e Gianluigi Deidda

Minestra cocciula Ingredienti per 4 persone

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500 g di arselle (vongole veraci) 2 spicchi d’aglio 1 etto di fregula prezzemolo olio extravergine d’oliva

l termine originario è il latino ‘coccia’, guscio, da cui il dialettale isolano ‘cocciula’, che sta per arsella, dialettale alto-tirrenico, o vongola, per dirla in italiano. In Sardegna per associazione di pensiero si va subito allo stagno di Cabras, disegnato all’interno della penisola del Sinis, nella parte settentrionale del golfo di Oristano: da tempo immemorabile, qui erano di casa i Fenici, vi si pratica la pesca – muggini, soprattutto, con produzione accessoria di bottarga e altre conserve – ma anche l’allevamento dei molluschi – cozze, vongole e ostriche – con sorprendente riscontro gastronomico. Primi piatti di pasta, naturalmente, ma anche un inaspettato risotto alla marinara – nulla di strano perché il cereale è prodotto 226


nelle bonifiche d’Arborea – che riunisce in pentola cozze e arselle, con peperoncino e abbondante bottarga. L’altro ingrediente che richiede spiegazione è la ‘fregula’, termine che sta per briciola e si riferisce a una pasta tipicamente isolana: semola di grano duro bagnata e agglomerata in sferette irregolari, che vengono essiccate e tostate, prendendo colore dorato. In continente bisogna cercarle nei negozi di specialità alimentari, ma si può anche tentarne la preparazione. Serve una terrina a base larga e della semola a grana grossa: versatela sul fondo e bagnatela poco alla volta, strofinandola con la mano sul bordo per formare delle palline; quando tutta la semola sarà diventata ‘fregula’, spargetela su un telo ad asciugare e poi in forno a prendere colore. Poi lavate bene le arselle, e lasciatele spurgare almeno un’ora in acqua e sale. Prendete un tegame largo e basso, scaldate dell’olio extravergine e fate rosolare un paio di spicchi d’aglio, rimuovendoli non appena il loro colore comincerà a superare il dorato. Versate un litro e mezzo d’acqua e portare a ebollizione. Aggiungete le arselle e una manciata di prezzemolo tritato. Riportate a bollore e aggiungere tre cucchiaiate di fregula, lasciando cuocere per una decina di minuti. Regolate di sale e servite.

Vino consigliato: Nuragus di Cagliari Doc 227


Sardegna - Capoterra

Ristorante Sa Cardiga e Su Schironi di Cesare e Gianluca Murgia

Filettus de castagnola in cassola Ingredienti per 4 persone

600 g di filetti di castagnola | 4 gamberi rossi freschi 150 g di cozze | 150 g di vongole 200 g di pomodori ciliegino | 1 cucchiaio di passata di pomodoro | zafferano in pistilli peperoncino rosso piccante | prezzemolo vino bianco secco | olio extravergine d’oliva

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a prima curiosità riguarda la castagnola (Chromis chromis), pesce di scoglio che appartiene allo stesso genere di cernie, spigole e sciarrani, ma raramente supera i 15 centimetri di lunghezza, ragion per cui viene pescato solo con piccoli tramagli e raramente raggiunge i mercati più importanti. Se la ricerca andasse delusa, si possono considerare pesci di scoglio d’analoga taglia come una triglia (distinguibile da quella di fango per il profilo allungato) o uno scorfano (di colore brunastro, rispetto a quello rosso di fondale). 228


La ricetta è molto specifica anche per altri ingredienti: per esempio cozze e vongole (cocciula), che devono essere degli stagni di Oristano, con specifica preferenza per la produzione di Marceddì; poi, lo zafferano, che dev’essere in pistilli, ovvero allo stato grezzo, come fosse appena colto dal fiore del croco, e di provenienza isolana, per l’esattezza da San Gavino Monreale; ancora, l’olio extravergine, che in Sardegna ha aroma varietale di cardo selvatico. Dettagli, si dirà, ma sono quelli che rendono inimitabile un piatto e che a distanza rendono possibile solo avvicinarsi alla bontà dell’originale. Curate il pesce come si conviene a ogni varietà: sfilettate e spellate le castagnole; sgusciate la coda dei gamberi, salvando la testa per il colpo d’occhio; con una bruschetta lavate al meglio le conchiglie dei frutti di mare. Scaldate dell’olio extravergine rosolando un trito d’aglio; scottate i filetti da ambo le parti, aggiungete mezzo bicchiere di vino bianco, una dadolata di pomodoro e un cucchiaio di passata, quindi fate cuocere 6-7 minuti per parte. Aggiungete i gamberi e i frutti di mare in conchiglia, lasciando cuocere per altri cinque minuti almeno. Regolate di sale e peperoncino, aggiungete del prezzemolo tritato e qualche pistillo di zafferano, spadellando perché il pesce prenda tutti gli aromi. Disponete i filetti al centro di una pirofila ovale ben calda e tutt’intorno gamberi e frutti di mare; irrorate con il sughetto e servite all’istante.

Vino consigliato: Nuragus di Cagliari Doc 229


Sardegna - Palau

Ristorante da Franco di Salvatore e Alessandro Malu

Involtino di orata, melanzane e crema di finocchi Ingredienti per 4 persone

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4 orate da 300-400 grammi 2 melanzane di grandezza adeguata 200 g di formaggio vaccino fresco (caciotta) 12 foglie di menta | 2 finocchi 2 patate | farina bianca | aneto olio extravergine d’oliva pepe

un piatto testimone della doppia anima della Sardegna: isola nel cuore del Mediterraneo, ma d’anima pastorale, intrisa dai profumi della macchia portati dal vento. Protagonista è l’orata: un pesce inconfondibile per il profilo pronunciato e tre macchie dorate, una per guancia e l’altra a mezzaluna tra gli occhi, motivo per cui i Greci la ritenevano sacra ad Afrodite. In Sardegna prende nome di ‘cagnina’ e si pesca tanto in mare aperto, quanto nelle lagune costiere. Riesce a meraviglia alla griglia, al cartoccio e sotto sale, come da tradizione mediterranea, ma perfino con 230


funghi, pancetta e vino rosso, ‘daurade à la Bourguignonne’, come vuole la scuola parigina. Questo Piatto del Buon Ricordo si colloca nel filone degli involtini di pesce e ricorda specialità siciliane come le sarde a beccafico e le braciole di pesce spada. Sfilettate le orate, spellatele ed eliminate con cura le spine residue. Mettete a bollire le lische e filtrate il liquido; al fumetto così ottenuto aggiungete un ciuffo d’aneto e lessate i finocchi tagliati striscioline. A parte fate fondere a bagnomaria la caciotta, profumandola con 4 foglie di menta, e passate in frigorifero perché rapprenda. Tagliate le melanzane per il lungo ricavando 8 fette di spessore non superiore ai 2 millimetri. Passate le fette in padella e fatele appassire su un fondo d’olio; usatele come base per gli involtini ponendovi sopra nell’ordine una foglia di menta, un filetto di orata e un rettangolo di formaggio; arrotolate il tutto e fissate con uno stecchino. Disponete gli involtini in una pirofila oliata e portate a cottura a 200 gradi in 8-10 minuti. Nel frattempo frullate i finocchi con parte del fumetto e un po’ d’olio d’oliva; filtrate il composto, aggiustate di sale e pepe tenendo la salsa così ottenuta al caldo. Al momento di servire versatene una cucchiaiata al centro di ogni piatto, sistemate gli involtini a coppie e guarnite con fantasia: foglie di pomodoro, menta ed erbette; un pizzico di semi di papavero; un giro d’olio aromatizato al pistacchio.

Vino consigliato: Vermentino di Gallura Docg 231


Mar Mediterraneo

L’Obelisco - Nave MSC Poesia Msc Italcatering Spa

Gamberoni saltati all’aglio dolce nel nido di spinaci novelli con pinoli e capperi Ingredienti per 4 persone

16-20 gamberoni interi | 60 g di spinaci novelli 10 g di olive nere | 10 g di olive verdi 10 g di capperi | 1 manciata di pinoli spicchi d’aglio in camicia | 1 pomodoro ramato 1 carota | 1 cipolla | olio extravergine d’oliva vino bianco secco | brodo di pesce | timo fresco | pepe

B

en dura era la vita dei marinai d’un tempo: oltre alla fatica c’era anche il ‘rancio’, che si chiamava così proprio perché gli alimenti non brillavano per freschezza. Un’altra curiosità lessicale riguarda il deposito dei viveri, la ‘cambusa’, come dicevano proprio i Genovesi, anche se poi si scopre che il termine ha ascendenti francesi e alla fin fine olandesi. Oggi è tutta un’altra cosa e le navi da crociera come la MSC Poesia dispongono di 232


cucine supertecnologiche. Così, navigando per il Mediterraneo, si può gustare questo piatto che ne racchiude i sapori più tipici, giocando sul contrasto di colore tra gamberoni e spinaci. Pulite i crostacei rimuovendo il guscio centrale, ma lasciando testa e coda perché mantengano la loro bella fisionomia. Utilizzate i gusci per la salsa spadellandoli su un fondo d’olio con un trito d’aglio, carota, cipolla e pomodoro, e un rametto di timo; bagnate con un bicchiere di vino bianco e lasciate sfumare, quindi aggiungete qualche mestolo di brodo di pesce, proseguendo la cottura a fiamma bassa per una mezz’ora, con altre aggiunte di liquido al bisogno; alla fine regolate di sale e pepe, e passate il composto al setaccio, facendo addensare la salsina risultante fino a consistenza sciropposa. Nel frattempo sbollentate gli spinaci in acqua salata, scolateli e fateli saltare in padella in olio d’oliva profumato con aglio; aggiustate di sapore e mantenete a temperatura adeguata. Prendete degli spicchi d’aglio e senza privarli del rivestimento passateli in forno a 110 gradi con poco olio, finché non diventeranno morbidi e dorati. Quando tutti i componenti saranno pronti, potete procedere a far saltare i gamberoni con olio d’oliva e un trito d’aglio, aggiungendo prima le olive divise in quarti e quindi i pinoli e i capperi, che avrete rispettivamente tostato e soffritto; spruzzate con un po’ di vino bianco, lasciando evaporare; aggiustate di sale e pepe e componete ogni piatto sistemando 4-5 gamberoni su un nido di spinaci, con l’aglio in camicia come guarnizione.

Vino consigliato: Gavi Docg 233


Austria - Vienna

Ristorante Firenze Enoteca di Peter Kremslehner

Misto di pesce all’acquapazza Ingredienti per 4 persone

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2 branzini di circa 350 g | 2 orate di circa 400 g 4 medaglioni di coda di rospo (90 g) 4 gamberoni (70 g) | 4 calamari | 8 cozze 16 vongole | 4 cucchiaiate di gamberetti 16 patate novelle sbucciate | 250 cc di vino bianco 300 g di pomodorini | 125 g di salsa di pomodoro 2-3 spicchi d’aglio | 1 limone | rosmarino prezzemolo | pepe

l pesce all’acquapazza nasce come piatto povero, preparato nel modo più estemporaneo con il pesce troppo modesto per essere destinato al mercato. Lo preparavano a bordo i pescatori su un fornello improvvisato per rifocillarsi durante un’uscita in mare, oppure le massaie con quel che i mariti portavano a casa come gratifica quotidiana. Tra gli ingredienti immancabili, i pomodorini, che si conservavano appesi in trecce come l’aglio; poi, perché potesse dirsi all’acquapazza, occorreva una generosa 234


aggiunta di vino bianco, che dava al piatto quel tocco d’acidulo così caratteristico. Il principio è sempre quello, ma sono cambiati gli ingredienti: pesce bianco a polpa soda, branzino, orata e coda di rospo; morbidi anelli di calamaro; gamberetti e gamberoni come tocco delicato; molluschi in conchiglia, per il gusto di portarli alla bocca con il delizioso sughetto. Pulite i branzini, tagliate i filetti e spellateli, liberandoli anche dalle ultime lische, poi ripetete le stesse operazioni con le orate. Spellate la coda di rospo e ricavate quattro medaglioni d’analogo peso. Svuotate i calamari, lavateli con cura e riducete ad anelli il loro mantello. Liberate i gamberoni dal rivestimento della coda, lasciando la testa per il colpo d’occhio. Sgusciate anche i gamberetti. Bruschettate accuratamente le conchiglie. Scaldate un velo d’olio extravergine sul fondo di una teglia e fate prendere appena colore agli spicchi d’aglio schiacciati; versate un quarto di vino bianco, quindi aggiungete i pomodorini tagliati a spicchi e le patatine novelle tagliate a metà. Viene quindi il momento dei filetti di pesce, dei molluschi e dei crostacei, bagnate con il succo di mezzo limone e passate la teglia nel forno preriscaldato a 170 gradi per poco più di un quarto d’ora. Alla fine assaggiate il fondo di cottura e regolate di sale e pepe. Impiattate suddividendo i vari ingredienti, come pure patate e pomodorini, assieme alla salsa, e decorate con un giro d’olio extravergine.

Vino consigliato: Gewürztraminer dell’Alto Adige Doc 235


Francia - Parigi

Ristorante Petrini di Paolo Petrini

Piccioncino Notre Dame Ingredienti per 4 persone

4 piccioncini di 21 giorni (450 g cadauno) 180 g di fegato grasso crudo 6 grosse patate a pasta gialla (600 g) 250 g di funghi (porcini, finferli, prataioli) 4 rametti di rosmarino | 1 cipolla bianca (120 g) 2 costole di sedano (250 g) | 3 carote medie (350 g) 4 spicchi d’aglio | 4 foglie di alloro | 3 dl di vin santo 50 g d’olio extravergine d’oliva 30 g di burro | pepe

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a cucina toscana è nella massima considerazione dei buongustai stranieri e questo Piatto del Buon Ricordo le rende omaggio ispirandosi al tempo in cui ogni fattoria aveva una torre che serviva da piccionaia e da ricovero per le botticelle del vin santo. Disossate i piccioni, conservando carcassa e fegato. Fate tostare le carcasse in forno per 10 minuti. Preparate un soffritto con cipolla, sedano, carote, alloro e aglio; aggiungete le carcasse 236


e i fegatini; bagnate con acqua e fate ridurre a fuoco lento per un’ora; salate e pepate leggermente; filtrate il fondo, rimettetelo sul fuoco, aggiungete il vin santo e fate ridurre. Tagliate i funghi a dadini e le patate, ciascuna in 8 lamelle spesse circa mezzo centimetro; sbollentatele per un minuto in acqua salata; condite con un po’ d’olio e passatele in forno o friggitrice per dorarle. Tagliate a dadini il resto delle patate e spadellatele con olio e uno spicchio d’aglio; a metà cottura aggiungete i funghi, salate e pepate. Nel frattempo salate e pepate i piccioni; legateli come per ricostituirli, oliateli e passateli in forno a 210 gradi da 10 a 15 minuti in funzione della cottura desiderata; a metà bagnate con una spruzzata di vin santo per evitare che secchino (in alternativa, usare casseruola a bordi spessi, utilizzando il coperchio e girando i piccioncini più volte). Passate in padella il fegato grasso per qualche istante da ambedue le parti e mantenetelo al caldo. Togliete i piccioni dal forno e tagliateli in quattro facendo attenzione a evidenziare i due petti con un taglio obliquo verso le cosce. Verificate che la salsa sia ben calda, aggiungete una noce di burro e un’ultima spruzzatina di vin santo. Adagiate su un lato del piatto i funghi e le patatine, appoggiate sopra il petto, quindi sempre in obliquo, come un gioco di carte, un lamella di patata, una trancia di fegato grasso, una lamella di patata e la coscia; riproducete la stessa sequenza sull’altro lato del piatto; salsate e servite.

Vino consigliato: Chianti Riserva Docg 237


Lussemburgo - Lussemburgo

Ristorante dal Notaro di Mario Notaroberto

Filetto di spigola al lardo di Colonnata Ingredienti per 4 persone

1 spigola (branzino) da 500 g 100 g di lardo di Colonnata | 50 g di pangrattato 50 g di rucola della Piana del Sele 50 g di ricotta salata degli Abruzzi | pepe Per la salsa: | 1 arancia | ½ limone 1 noce di burro | aceto di vino olio extravergine d’oliva del Cilento

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ra gli ingredienti spicca il toscano lardo di Colonnata, assurto tempo addietro a simbolo della battaglia per la salvaguardia dei prodotti tipici di nicchia. La zona d’origine è Colonnata, frazione montana del comune di Carrara, nel cuore delle Alpi Apuane. La lavorazione prevede che i tagli di lardo siano cosparsi con una particolare concia aromatica e poi messi a stagionare in conche di marmo bianco. Quello che risuscita dopo sei mesi è un salume di colore leggermente rosato, d’aroma fragrante e quasi dolce al palato. 238


Molto versatile, il lardo di Colonnata viene in questo caso abbinato alla spigola in un singolare involtino di mare. Un commento merita anche un altro ingrediente che lo chef fa giungere da Salerno, sua città d’origine: l’olio extravergine d’oliva del Cilento, molto caratteristico per l’impiego di olive di varietà locale, come la Pisciottana, riconoscibile dagli alberi maestosi, o altre che rispondono ai nomi di Rotondella, Salella, Carpellese e Nostrale. L’olio che ne deriva ha colore intenso e aroma fruttato, gradevolmente amaro e piccante, e quanto trasmette ai piatti li rende inimitabili. Sfilettate e spellate la spigola, e tagliate con l’affettatrice il lardo. Tritate grossolanamente la rucola e mescolatela con la ricotta salata grattugiata. Porzionate i filetti e suddividete il ripieno, poi arrotolateli, avvolgeteli nel lardo e impanateli. Allineate gli involtini in una pirofila appena unta e passatela in forno a 230 gradi per un quarto d’ora. Nel frattempo spremete l’arancia e il mezzo limone; fate sciogliere in padella una noce di burro, aggiungete l’aceto di vino bianco e il succo degli agrumi, riducendo sul fuoco a densità adeguata. A questo punto versate l’olio extravergine a filo e a caldo, su fuoco medio, montate la salsa con un frullino. Disponete gli involtini di pesce nei piatti e copriteli con la salsa tiepida.

Vino consigliato: Vermentino della Val di Cornia Doc 239


Hong Kong - Hong Kong

Ristorante Mistral

Orecchiette aragosta con astice, pomodoro fresco e rucola Ingredienti per 4 persone

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400 g di pasta 200 g di polpa d’astice 200 g di pomodori ciliegini 20 g di rucola aromi da court-bouillon aglio | basilico | prezzemolo olio extravergine d’oliva | pepe

ochi sono i formati di pasta famosi come le orecchiette, vere ambasciatrici della Puglia nel mondo. Cornice di questa ricetta è il suo mare di scoglio; protagonista è infatti l’astice, crostaceo decapode dalle grosse chele, il più grosso tra quelli nostrani, reputato ancor meglio dell’aragosta per compattezza di polpa e sapore. A detta dei pugliesi, e c’è da creder loro, quello nostrano sarebbe il non plus ultra. Poi è inevitabile che il mercato, assillato dalla richiesta di spaghetti all’astice, debba anche rivolgersi 240


altrove, Bretagna e Nord Atlantico solo per cominciare. Come riconoscere l’astice mediterraneo? Sui manuali si legge che è caratteristico il colore blu verdastro con sfumature d’arancione lungo i profili del corpo, ma per essere sicuri non resta che il pescatore. Va da sé che il fresco sia tutt’altra cosa rispetto al surgelato. Mettete sul fuoco una quantità d’acqua sufficiente a coprire l’astice; aggiungete un bicchiere di vino bianco secco, una dote aromatica (cipolla, sedano, carota, prezzemolo, alloro ecc.), una presa di sale e qualche grano di pepe. Raggiunto il bollore, buttate il crostaceo, che avrete legato perché non si accartocci su se stesso, e fate cuocere a fuoco moderato per 15-20 minuti; scolatelo e lasciate che raffreddi; rompete il carapace ed anche le chele per recuperare tutta la polpa, destinandone almeno 200 grammi alla pasta. Pulite e lavate i pomodori ciliegini e tagliateli in quattro spicchi. Tritate la cipolla e fatela rosolare con uno spicchio d’aglio in un fondo d’olio extravergine. Aggiungete i pomodorini e lasciate sul fuoco per un quarto d’ora. Tagliate la polpa d’astice a cubetti e versatela in padella, lasciando sul fuoco per qualche minuto. Eliminate lo spicchio d’aglio e aggiungete un trito di prezzemolo e basilico. Cucinate le orecchiette in abbondante acqua salata e scolatele bene al dente in modo da poterle spadellare con il condimento. Ultimi tocchi, una manciata di foglie di rucola e un giro d’olio extravergine.

Vino consigliato: Rosato del Salento Igt 241


Giappone - Fukui

Ristorante Cucina di Tanaka Atsuya

Pizzoccheri Ingredienti per 4 persone

400 g di farina di grano saraceno | 100 g di farina bianca 200 g di burro | 250 g di formaggio Valtellina Casera Dop 150 g di formaggio grana da grattugia o Parmigiano Reggiano | 200 g di verze | 250 g di patate uno spicchio di aglio | pepe

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uesta celebre ricetta della Valtellina richiede alcune precisazioni in termini di ingredienti. La prima riguarda il grano saraceno, che non è propriamente un cereale ma una pianta delle Poligonacee, Fagopyrum esculentum, che imbianca di piccoli fiori bianchi i campi e produce semi piramidali di color bruno. La sua coltivazione, di origine orientale, donde l’appellativo di grano saraceno, è stata per secoli una delle colonne dell’agricoltura alpina. Dal ‘furmentùn’, come veniva chiamato, si ricava una farina grigiastra utilizzata, spesso in mistura con quella bianca, per preparare polenta e pasta. La preparazione dei pizzoccheri richiede l’impiego di un formaggio ‘magro’, nell’accezione che questo termine assumeva 242


localmente. D’estate, infatti, le mandrie pascolavano in alta quota e da latte intero si produceva il formaggio di malga, di massimo pregio, destinato al mercato: d’inverno, con il bestiame a fondovalle, nutrito a fieno, si produceva da latte scremato il formaggio di casera, ovvero di caseificio, di impiego più corrente. Del primo è esempio attuale il formaggio Bitto Dop; del secondo, il Casera Dop, il più adatto a questa ricetta. L’accademia del Pizzocchero di Teglio ha di recente codificato la ricetta dei pizzoccheri, vedendo aderire anche il Ristorante Cucina. Mescolare le due farine, impastarle con acqua e lavorare per circa 5 minuti. Con il mattarello tirare la sfoglia fino ad uno spessore di 2-3 millimetri dalla quale si ricavano delle fasce di 7-8 centimetri. Sovrapporre le fasce e tagliarle nel senso della larghezza, ottenendo delle tagliatelle larghe circa 5 millimetri. Cuocere le verdure in acqua salata, le verze a piccoli pezzi e le patate a tocchetti, unire i pizzoccheri dopo 5 minuti (le patate sono sempre presenti, mentre le verze possono essere sostituite, a secondo delle stagioni, con coste o fagiolini). Dopo una decina di minuti raccogliere i pizzoccheri con la schiumarola e versarne una parte in una teglia ben calda, cospargere con formaggio grana grattugiato e Valtellina Casera Dop a scaglie, proseguire alternando pizzoccheri e formaggio. Friggere il burro con l’aglio lasciandolo colorire per bene, prima di versarlo sui pizzoccheri. Senza mescolare servire i pizzoccheri bollenti con una spruzzata di pepe. Vino consigliato: Rosso della Valtellina Doc 243


Giappone - Fukui

Ristorante Porco Rosso di Ukon Wataru

Bigoli in salsa Ingredienti per 4 persone

Per la pasta: 400 g di semola di grano duro integrale 4 uova | acqua Per la salsa: 8 acciughe sott’olio | 1 cipolla 1 spicchio d’aglio | 1 peperoncino | vino bianco secco olio extravergine d’oliva

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ello scenario settentrionale della pasta all’uovo il Veneto si segnala per una singolare produzione di pasta trafilata, lavorata con un torchio manuale che era dotazione comune a tutte le case. Per lavorare la pasta con questo attrezzo si fa leva su un manubrio collegato a un pistone che forza la pasta attraverso una trafila di bronzo. Il formato più diffuso è quello dei bigoli, sorta di grossi spaghetti. La lavorazione a freddo e l’asciugatura naturale danno alla pasta una consistenza inconfondibile. I bigoli in salsa sono un piatto d’ampia tradizione veneta, concepiti per onorare il precetto del venerdì e di tutti gli altri giorni di magro: l’olio d’oliva sostituiva lo strutto o il burro, mentre le 244


sarde salate rappresentavano il pesce più a buon buon mercato. La versione di più stretta osservanza prevede i cosiddetti ‘bigoi mori’, scuri e grossolani, impastati con farina integrale, perché la penitenza alimentare fosse completa. Ne risulta in effetti un piatto tutt’altro che mortificante. Disponete la farina a fontana, rompendo al centro le uova intere. Con progressive aggiunte d’acqua lavorate la pasta per almeno una decina di minuti fino a buona consistenza. Lasciate riposare la pasta per una mezz’ora avvolta in un canovaccio. Staccate dalla massa dei pezzi di pasta e introduceteli nel pistone del torchio o di una più consueta macchina per la pasta; trafilatela tagliando i bigoli a lunghezza desiderata; infarinateli perché non s’attacchino e distendeteli su una tovaglia lasciandoli asciugare non più di un’ora. Al momento scaldate un fondo d’olio extravergine facendo prendere colore a uno spicchio d’aglio schiacciato. Con la forchetta stemperate le acciughe salate fino a scioglierle nel condimento; aggiungete la cipolla affettata, lasciatela appassire e infine fate sfumare un bicchiere di vino bianco. Cuocete i bigoli in abbondante acqua bollente salata e scolateli al dente; spadellateli con il condimento regolando di peperoncino piccante a piacere. Come ultimo tocco, una spolverata di prezzemolo tritato al momento.

Vino consigliato: Soave Doc 245


Giappone - Hokkaido

Taverna La Piazza di Fujiki Shigeru

Ossobuco alla chiantigiana Ingredienti per 4 persone

4 ossibuchi di vitello 200 g di pomodori San Marzano 600 g di vino rosso | ½ cipolla bianca | ½ cipolla rosa 1 carota | 2 coste di sedano | 2 spicchi d’aglio prezzemolo | brodo di carne | olio extravergine d’oliva farina bianca | pepe

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arlare di cucina ‘alla Chiantigiana’ equivale a chiamare in scena il celebre vino rosso prodotto nelle colline tra Firenze e Siena; in questo caso, usato come liquido di cottura, impronta di sé per colori e aromi questa rustica pietanza. Quanto alla carne, l’ossobuco corrisponde a un ben preciso taglio bovino, lo stinco o ‘geretto’, meglio se posteriore, tagliato trasversalmente a 4 centimetri d’altezza, grosso modo a metà del muscolo; ne risulterà un pezzo da 300-400 grammi, in perfetta proporzione per così dire di vuoto e pieno; la precisazione vale per la carne, che qui risulta venata di deliziose gelatine, ma soprattutto per 246


il midollo che l’osso contiene, insostituibile per ottenere la glassatura caratteristica del piatto. Come operazione preventiva, sbollentate, pelate e private dai semi i pomodori. Poi prendete gli ossibuchi, liberateli dal grasso in eccesso e incidete la pellicola che li conforma in più punti per evitare che il calore li faccia arricciare; salate e pepate la carne da ambo i lati. Tritate cipolle, sedano, carota, aglio e prezzemolo; metteteli sul fuoco a rosolare in un velo di olio extravergine; aggiungete la polpa di pomodoro schiacciandola con una forchetta; a fuoco vivo lasciate evaporare il liquido in eccesso. Infarinate leggermente gli ossibuchi e fateli rosolare; versate il vino rosso e lasciate sul fuoco fino ad evaporazione. Diluite il fondo di cottura con un po’ di brodo e passate in forno a 250 gradi per 90 minuti; girate gi ossibuchi, aggiungendo altro brodo al bisogno; il sugo deve restare fluido, ma non acquoso; la carne sarà cotta, quando tenderà a staccarsi dall’osso. Alla fine passate al setaccio il fondo di cottura, portandolo sul fuoco per ridurlo o per renderlo più fluido con un po’ di brodo o una noce di burro. Impiattate gli ossibuchi e salsateli, offrendo per contorno patate lessate. Non dimenticate di fornire un cucchiaino per facilitare il compito di quanti vorranno recuperare il midollo dal centro dell’osso.

Vino consigliato: Chianti Classico Docg 247


Giappone - Kanagawa

Albergo Bamboo di Takeuchi Hideo

Pollo alla Toscana Ingredienti per 6 persone

1 kg di cosce di pollo 250 g di salsa di pomodoro 125 g di carote | 125 g di sedano | 125 g di cipolla 50 g di funghi secchi | 100 cc di vino bianco secco olio extravergine d’oliva | prezzemolo farina bianca | pepe

P

iatto essenziale, alla boscaiola per così dire, che richiede materie prime ineccepibili per soddisfare quell’aspettativa di genuinità che suscita a prima vista. Questo riguarda il pollo, innanzitutto, che dev’essere ruspante, ovvero allevato a terra con becchime tradizionale, perché possa avere carni sode e saporite da fare in umido. L’ideale sarebbe, in considerazione dell’origine toscana del piatto, poter disporre di quei polli del Valdarno, tanto celebri in passato, quanto trascurati negli anni del consumismo, da qualche tempo fortunatamente ricomparsi sul mercato del tipico.

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Determinante è anche la salsa di pomodoro, da preparare al momento con ortaggi di provata vocazione, come dei San Marzano, ormai ubiquitari, ma senza escludere di poter trovare quei costoluti fiorentini, rinomati da conserva, che darebbero un impareggiabile tocco d’originalità al piatto. La procedura è semplice: sbollentate i pomodori, pelateli, strizzateli e poi passateli al molinetto per liberarli dalle ultime fibre indesiderate e dai semi; lasciate riposare per un po’ la passata, di modo che l’acqua di vegetazione possa affiorare ed essere rimossa; volendo, potrete anche addensare la salsa sul fuoco insaporendola con un soffritto leggero dei consueti ortaggi aromatici. Con una mezz’ora d’anticipo sulla preparazione del pollo sciacquate rapidamente i funghi e lasciateli a bagno in acqua tiepida perché possano reidratarsi. Tritate cipolla, sedano e carota, facendo prendere colore su un fondo d’olio extravergine. Salate e pepate le cosce di pollo, infarinatele e fatele rosolare nel soffritto, dopo di che aggiungete il vino bianco, lasciando sfumare, e la salsa di pomodoro; tritate grossolanamente i funghi e aggiungeteli sul fuoco. Abbassate la fiamma e portate a cottura in una mezz’ora, a contenitore scoperto, con piccole aggiunte d’acqua o brodo di pollo al bisogno. Alla fine aggiustate di sale e pepe, e impiattate cospargendo di prezzemolo tritato all’istante. Tocco finale, un giro d’olio extravergine toscano.

Vino consigliato: Rosso di Montalcino Doc 249


Giappone - Kanagawa

Terrazzo di Arimoto Jiro

Pesce all’acquapazza Ingredienti a persona:

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1 scorfano o capone da circa 300 g 6 pomodori ciliegini 1 ciuffo di prezzemolo 1 spicchio d’aglio basilico capperi olio extravergine d’oliva

corfani e caponi sono pesci dalla nomenclatura che può disorientare. Lo scorfano rosso (Scorpaena scrofa), per esempio, ha nomi dialettali che sottolineano sia la sproporzione della testa (‘cappone’, ‘capidazza’) sia l’inquietante corredo di pinne spinose (‘scorpena’, ovvero scorpione). Il capone gallinella (Trigla hirundo), di colore rosa giallastro, ha nomi che analogamente si riferiscono alla testa (‘cuoccio’) o alle pinne pettorali variopinte e amplissime (‘luserna’, ‘rondine di mare’, ‘angiuletto’).

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Entrambi, intendiamoci, sono pesci ideali per la cottura in umido, ragion per cui anche se il malinteso è in agguato, non c’è mai danno. Una raccomandazione pratica, semmai, deriva da una delicatezza di carni che accomuna tutta la famiglia e caratterizza alcuni rappresentanti in particolare, come la gallinella, che vanno trattati davvero con i guanti. Anzi, sarebbe meglio toccarli il meno possibile, adagiandoli in un tegame monoporzione di terracotta, da scuotere appena, proprio per essere sicuri che il pesce non attacchi, e portare in tavola, bello a vedersi così com’è. Quanto all’acquapazza, – tutta una parola, come si dice a Napoli, – è una cottura per così dire estemporanea, da pescatori in navigazione, visto che una volta si attingeva acqua di mare fuori bordo, aggiungendo aglio, capperi, pomodorini del pendolo e quant’altro disponibile al momento in cambusa. Ma c’è anche un’altra interpretazione, sostenuta da alcuni dizionari ottocenteschi, che l’acqua fosse pazza, un po’ su di giri, per aggiunta di vino bianco, che col pesce ci sta sempre bene. Eviscerate, squamate e pulite accuratamente il pesce, liberandolo dalle pinne spinose, ma non fatevi prendere dalla tentazione di togliere la testa, che anzi è la parte di questi pesci che gli intenditori apprezzano di più, per via delle guance e di molte altre parti saporose. Versate un velo d’olio extravergine sul fondo del tegame e dopo averlo salato dentro e fuori disponete il pesce con la sua dote di sapori: i pomodorini schiacciati, qualche foglia di basilico sminuzzata, uno spicchio d’aglio e qualche cappero dissalato. Accendete il fuoco, mettete il coperchio e lasciate sobbollire per un quarto d’ora circa. Vino consigliato: Greco di Tufo Docg 251


Giappone - Kyoto

Ristorante Divo-Diva di Nishizawa Akinobu

Filetto di bue con salsa all’aceto balsamico Ingredienti per 4 persone

4 medaglioni di filetto di bue (120 g cadauno) aceto balsamico tradizionale 1 cipolla | 1 carota | 1 costa di sedano 2 spicchi d’aglio olio extravergine d’oliva rosmarino pepe

L’

indicazione della carne di bue, rispetto al consueto manzo, richiede un chiarimento. Tramontato il tempo degli animali da lavoro, al giorno d’oggi questo termine indica determinati bovini selezionati in termini di massima esuberanza muscolare. È il caso della monumentale razza Bianca Piemontese e in particolare del cosiddetto bue grasso, o dalla coscia doppia, che ha patria a Carrù, località dell’Alta Langa non a caso innalzata a santuario del bollito misto. Tornando alla ricetta in questione, la richiesta è dunque per una carne che potrà essere di Piemontese 252


o d’altra razza, ma in ogni caso rossa, matura e sopraffina. Quanto all’aceto balsamico, il termine tradizionale riconduce esclusivamente alle produzioni di Modena e Reggio Emilia, che possono fregiarsi del marchio comunitario della Denominazione di Origine Protetta. Rispetto al prodotto corrente, l’aceto balsamico tradizionale nasce per addensamento a fuoco diretto di mosto d’uva e affina per almeno dodici anni passando di stagione in stagione in botticelle di legno diverso. In questo lungo processo il liquido subisce una forte concentrazione – si calcola che la resa sia nell’ordine di uno a cento e anche più – e acquista sempre più la densità di uno sciroppo, passando da uno svariato uso di cucina alla degustazione in raffinati abbinamenti. Affettate cipolla, carota e sedano, e fateli soffriggere in un fondo d’olio extravergine; aspergete con l’aceto balsamico tradizionale e lasciate sul fuoco a fiamma bassa finché il composto non si sarà ridotto della metà; a quel punto passate al setaccio, riportate eventualmente sul fuoco per regolare di consistenza con un’aggiunta liquida e conservate la salsa in caldo. Quanto al filetto, prendete i quattro medaglioni, cospargeteli di sale e pepe, e fateli rosolare su un velo d’olio aromatizzato con uno spicchio d’aglio e un rametto di rosmarino. Portateli a cottura desiderata, più o meno al sangue, e impiattate coprendoli con la salsa; come decorazione, una teoria di gocce d’aceto balsamico scandita da crudità di stagione.

Vino consigliato: Chianti Classico Docg 253


Giappone - Nagoya

Ristorante Est di Hiramatsu Jun-ichiro

Pollo al dragoncello Ingredienti per 4 persone

1 pollo da 1,5 kg 300 cc di brodo di pollo | 150 cc di vino bianco Trebbiano 50 cc di aceto bianco di vino toscano 2 pomodori | 2 spicchi d’aglio in camicia 2 rametti di dragoncello | 2 cucchiai di dragoncello tritato 30 g di burro | pepe

L

a ricetta, di profilo essenziale, confida sostanzialmente su due ingredienti. Innanzitutto il pollo, per il quale lo chef giapponese menziona la razza Nagoya Kochin, allevata nell’isola di Honsu con quella devozione che solo i giapponesi sanno esprimere anche nelle faccende gastronomiche. Volendo replicare la ricetta con un volatile nostrano, si potrebbe suggerire una delle razze di grande tradizione, come il pollo del Valdarno o la gallina padovana, ma di sicura vocazione culinaria. Quanto al dragoncello, erba aromatica dalle foglie appuntite, va da sÊ che debba essere appena spiccata dalla pianta. Il suo aroma, 254


intermedio tra l’anice e il sedano, s’adatta molto bene alle carni bianche, come il pollo, per l’appunto, o il pesce d’acqua dolce. Molto apprezzato dai francesi, che lo chiamano ‘estragone’, entra nella composizione di celebri salse, come la ‘bérnaise’, la ‘ravigote’ e la ‘tartare’ Tagliate il pollo in otto pezzi come di consueto: allargate le cosce fino a disarticolarle, incidete all’attacco del femore e dividete il fuso dalla sopracoscia; allargate le ali e staccatele dal busto incidendo in corrispondenza dell’articolazione; separate il dorso dal petto, disossando i due filetti contrapposti. Usate la carcassa con qualche ortaggio aromatico per preparare il brodo che tornerà utile per la cottura. Scegliete una casseruola abbastanza capace e sciogliete il burro con un paio di spicchi d’aglio in camicia schiacciati. Disponete lo spezzato di pollo, fate prendere il condimento e passate in forno preriscaldato a 200 gradi finché non abbia assunto un bel colore. Versate l’aceto di vino bianco e il vino Trebbiano, lasciando evaporare, quindi aggiungete il brodo e due rametti di dragoncello. Portate a cottura in una dozzina di minuti e quindi rifinite il fondo, dopo averlo filtrato, aggiungendo un trito di dragoncello, i pomodori ridotti a dadolata fine e una noce di burro per deglassare. Impiattate il pollo e guarnite con la salsa.

Vino consigliato: Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc 255


Giappone - Tokyo

Ristorante Cascina Canamilla di Nagamoto Kazuko

Corzetti alla marinara Ingredienti per 4 persone

Per la pasta: 500 g di farina 00 | 100 cc di vino bianco secco 100 cc di acqua | olio extravergine d’oliva Per il sugo: 500 g di frutti di mare misti (cozze, vongole, gamberi, calamari ecc.) | 4 olive nere | 4 capperi 2 pomodori secchi | 1 spicchio d’aglio | pesto alla genovese basilico | burro

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corzetti sono una pasta tipica della Riviera di Levante e in particolare dell’entroterra di Chiavari. Sono doppiamente caratteristici: per forma, a medaglione, e per decorazione, impressa con appositi timbri intagliati nel legno. Tutto nasce dall’arcaica consuetudine di segnarli con una croce beneaugurante, donde il nome originario di ‘croxetti’; poi il disegno s’è fatto più complesso, arrivando a riprodurre gli stemmi delle famiglie nobiliari. Per il condimento, che va distribuito a strati, la soluzione più tradizionale era il burro fuso con maggiorana e pinoli, 256


completando con una spolverata di quel formaggio grana che giungeva dalle valli emiliane. Sempre valido, il classico ‘tocco’ di carne ligure, mentre in autunno veniva invece il momento dei funghi porcini. Più recenti sono i sughi a base di pesce e frutti di mare. Versate la farina sulla spianatoia e formate una fontana all’interno della quale versare l’acqua, il vino bianco e un po’ d’olio. Aiutandovi con una forchetta, incorporate i liquidi alla farina e lavorate l’impasto fino a ottenere una massa omogenea ed elastica. Lasciate riposare l’impasto coperto da un telo per una mezz’ora, poi spolverate la spianatoia di farina e stendete la pasta in una sfoglia abbastanza spessa, utilizzando gli appositi stampini per ricavare i corzetti. Curate i frutti di mare come si conviene a ciascuno. Fate scaldare dell’olio in un tegame e lasciate che prenda l’aroma da uno spicchio d’aglio schiacciato; versate del brodo di pesce e aggiungete i calamari tagliati ad anello con le olive tagliate a spicchi, i capperi dissalati e i pomodori secchi tritati; quando i calamari cominceranno a essere teneri fate lo stesso con gamberi e le conchiglie, che richiedono poco più di cinque minuti. Nel frattempo lessate la pasta in abbondante acqua salata, scolatela abbastanza al dente e unitela al sugo regolando di sapore con olio e sale. Diluite del pesto alla genovese e usatelo per dare un po’ di colore ai corzetti e sminuzzate qualche foglia di basilico per un tocco finale di freschezza all’insieme.

Vino consigliato: Bianco delle Cinque Terre Doc 257


Giappone - Tokyo

La Scogliera di Hattori Yuki e Fukazawa Natsuki

Acquapazza Ingredienti per 4 persone

600 g di pesci da porzione (scorfani, gallinelle ecc.) 20 pomodorini prezzemolo 1 spicchio d’aglio olio extravergine d’oliva Acqua di mare (in alternativa, vino bianco secco)

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isciplinato come un samurai, lo chef della Scogliera, propone la veracissima ricetta dell’acquapazza napoletana con tanto d’acqua di mare. Sì, perché quello che succedeva a bordo dei pescherecci dei tempi andati è presto detto: l’uomo di cucina prendeva una pentola di coccio, l’accomodava sul fornello e preparava un soffritto d’olio, aglio e pomodori da serbo; poi friggeva quei pesci di poco conto esclusi dalla cernita del pescato e per fare del fondo una sorta di brodetto l’allungava con un mestolo d’acqua di mare.

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Oggi non è più il caso, salvo particolarissime circostanze, ma usare l’acqua di mare in cucina non è idea così lontana dalla realtà, come risulta da certi resoconti d’agiografia partenopea. Chi, navigando per mari incontaminati, ha provato a cuocervi gli spaghetti, ne avrà apprezzato l’intensa mineralità, che di sicuro intrigherebbe un cuoco d’avanguardia. Ma torniamo alla realtà di tutti i giorni: l’alternativa per un’acquapazza più ragionevole è una generosa aggiunta di vino bianco, come peraltro contemplato dalla casistica della ricetta. Dunque, scaldate dell’olio extravergine con uno spicchio d’aglio schiacciato e friggete i pesci da porzione, debitamente curati. Tra le specie più adatte, scorfani e gallinelle, ma in genere tutte quelle che sono considerate da zuppa; al giorno d’oggi non si fa più questione d’economia e anche una coda di rospo è perfetta allo scopo anche perché priva di lische. Aggiungete i pomodorini schiacciati e qualche gambo di prezzemolo, poi il vino bianco lasciandolo evaporare a fuoco vivo. Fate cuocere il pesce senza mettere a rischio la sua integrità per girarlo; piuttosto scuotete la pentola perché non attacchi e mettete il coperchio. Quando l’occhio del pesce sarà diventato bianco e sodo, potrete trasferirlo sul piatto. Eliminate l’aglio e addensate rapidamente il fondo di cottura. Con questa salsa e un trito di prezzemolo perfezionate il piatto che potrà avere degno complemento in un crostone di pane casereccio, bruschettato con aglio e bagnato d’olio extravergine.

Vino consigliato: Fiano d’Avellino Docg 259


Giappone - Tokyo

Trattoria Campagna di Morita Yoshinori

Tagliatelle con ragù alla bolognese Ingredienti per 4 persone

150 g di polpa di manzo | 150 g di polpa di maiale 50 g di pancetta | 50 g di fegatini 900 g di pomodori pelati 2 cipolle | 1 carota | 1 costa di sedano 150 cc di vino rosso | 100 cc di brodo di carne noce moscata | burro | pepe

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a parola ragù deriva dal verbo francese ‘ragoüter’, che significa risvegliare il gusto (‘goút’), e già ai primi del Settecento era usata per indicare una specialità bolognese. Inequivocabile, la descrizione offerta dal letterato Pier Jacopo Martello, quale ‘sugo di carne cotta in umido con pomodori e droghe, per condire la pastasciutta”. La ricetta odierna è stata codificata, ma bisogna dar conto di un’infinità di varianti, come questa di uno chef giapponese formatosi all’ombra delle due torri. Tra gli ingredienti merita osservazione la carne, che dovrebbe essere di solo manzo, con particolare riferimento al taglio ventrale 260


grasso-magro della ‘cartella’. Poi, come si accennava, è numerosa la schiera di quanti danno indicazione di pari quantità di manzo e maiale. Sempre riguardo la carne, è interessante notare che non si parla di macinato, ma di trito a coltello, perché il ragù possa dirsi tale e non piuttosto una salsa. Tutti d’accordo, anche sulla necessità di una cottura in tegame di coccio e sull’impiego del mestolo di legno. Riducete cipolla, sedano e carota a cubetti d’un centimetro di lato e fate prendere colore su un fondo d’olio; fate lo stesso con le carni, i fegatini e la pancetta, aggiungendoli alle verdure per una rosolatura a fiamma viva; salate, abbassate la fiamma e lasciate cuocere dolcemente per una mezz’ora; versate un bicchiere di vino rosso e aspettate che evapori, dopo di che aggiungete anche i pomodori tritati. Versate il brodo e lasciate sul fuoco a fiamma moderata per almeno un’ora e mezza con eventuali altre aggiunte liquide. Alla fine aggiustate di sapore con un po’ di sale, una macinata di pepe nero e una grattugiata di noce moscata. Al momento cuocete le tagliatelle in abbondante acqua salata e scolatele al dente quel tanto che consentirà di ripassarle in padella con il ragù; impiattate aggiungendo qualche fiocco di burro e del formaggio grattugiato lasciando al commensale il piacere dell’ultima mantecatura.

Vino consigliato: Pignoletto Classico dei Colli Bolognesi Doc 261


Giappone - Tokyo

Trattoria Il Boccalone di Oka Hideyuki

Bucatini all’amatriciana Ingredienti per 4 persone

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500 g di bucatini. 500 g di pomodori da salsa 100 g di guanciale 100 g di pecorino e Parmigiano ½ bicchiere di vino bianco olio extravergine d’oliva peperoncino

uando si parla di pasta asciutta il primo pensiero va a Napoli, eppure alcune delle ricette più famose sono romane. Fenomeno curioso, legato senza dubbio all’immagine della trattoria come santuario della cucina più schietta, che proprio nella Città Eterna e nei Castelli Romani ha costruito il suo mito. È il caso dei bucatini all’amatriciana, che evidentemente devono il nome a una cittadina dell’alto Reatino, Amatrice, rinomata anche per la produzione di salumi e formaggi.

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Secondo l’Accademia Italiana della Cucina, tuttavia, tale attribuzione deve considerarsi ‘indiretta’. La località dei monti Sibillini, infatti, sarebbe titolare della ricetta capostipite, l’arcaica pasta ‘alla gricia’, che si ferma al guanciale e al pecorino. Spetterebbe invece a un cuoco della capitale, peraltro amatriciano, la versione in rosso, che per la massima fedeltà richiederebbe l’impiego di pomodori Casalini della Campagna Romana, responsabili dell’inimitabile sapore agrodolce del condimento. Una precisazione è richiesta dal guanciale. Nelle formulazioni più generiche dell’amatriciana si trova l’indicazione della pancetta. Guai a voi: i puristi non solo la mettono all’indice, ma addirittura trasaliscono quando viene richiesta affumicata. Nelle terre d’origine del piatto è lecito parlare solo di ‘guanciale’, ovvero il salume che si ricava dal taglio triangolare tra spalla e testa, piuttosto magro, altrove detto ‘rigatino’ proprio per la venatura rossa che lo distingue dal taglio ventrale più grossolano. Tagliate il guanciale a dadini e fatelo rosolare in padella con poco olio extravergine e un peperoncino piccante frantumato; aggiungete il vino bianco e lasciate sfumare. Accantonate il guanciale e nel suo grasso fate restringere la salsa di pomodoro; quando il sugo potrà dirsi pronto, aggiungete il guanciale. Cuocete la pasta in abbondante acqua salata e scolatela bene al dente; spadellatela con il condimento mantecando con una manciata di Parmigiano; impiattate, completando con una generosa spolverata di pecorino.

Vino consigliato: Orvieto Superiore Doc 263


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