stop motion la sperimentazione cinematografica dai puppetoons agli special effects

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FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA DAMS – DISCIPLINE DELLE ARTI, DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO

L-ART/06

STOP MOTION La sperimentazione cinematografica dai Puppetoons agli special effects

Relatore Prof. Marco Maria GAZZANO

Candidato Alessandro TIMPANARO Matr. 225551

Anno Accademico 2007/2008


Indice

p. 3

Stop Motion: l’immagine animata

I. Origini 6

1. Preistoria

9

2. Prove tecniche

10

3. Avanguardie storiche

II. Pupazzi Animati 19

1.Volumi animati

23

2. Ladislas Starevitch

26

3. Jiri Trnka e Karel Zeman

30

4. Nuovi maestri

38

5. Clay animation

III. Effetti speciali 46

1. Trucchi ed effetti visivi

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2. Willis O’Brien & King Kong

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3. George Pal

59

4. Ray Harryhausen

65

5. Motion blur

70

6. Phil Tippett

72

Conclusioni

78

Blibliografia di riferimento

80

Siti Web


Stop Motion: l’immagine animata Il cinema d’animazione non è esattamente un genere cinematografico, se per genere s’intende un’opera sviluppata seguendo determinate regole di composizione. E’ più propriamente un mezzo d’espressione diverso dal cinema dal vero sia per quanto riguarda la tecnica, sia per quanto riguarda i principi estetici su cui il suo linguaggio si costruisce. Solitamente per cinema d’animazione s’intende soltanto il disegno animato, che in realtà ne costituisce solo uno degli aspetti. Considerando le sue diverse tecniche, è possibile definire il Cinema d’Animazione quel mezzo espressivo che si ottiene con la successione d’immagini statiche, il cui movimento nasce durante il montaggio o la proiezione e non esiste già in fase di ripresa. Se si escludono i grandi studi hollywoodiani, europei o giapponesi, il cinema d’animazione è il risultato di un lavoro artigianale, frutto di pazienza, precisione, tenacia e meticolosità. Il laboratorio di un animatore può essere costituito da semplici fogli più o meno trasparenti, matite e penne o da argilla e plastilina colorata e una macchina da presa. Un’attrezzatura che non differisce molto da quella di un pittore o di uno scultore, in altre parole di un artista nel senso tradizionale della parola, il cui rapporto con la propria opera è diretto. Il potere più grande dell’animatore, che racchiude in potenza infinite possibilità, è il partire da zero, l’avere l’opportunità di costruire la sua opera in ogni sua parte, non solo controllando e scegliendo il materiale, ma addirittura creandolo volta per volta Le principali tecniche dell’animazione sono: il disegno animato, il disegno diretto su pellicola, la manipolazione della pellicola con gli strumenti più


svariati (lamette, punte, sovrimpressioni, ecc…), e lo stop motion o passo uno, tecnica che utilizza modellini, pupazzi, fotografie o immagini statiche, ritagli di giornale, e materiali di qualunque natura. Lo stop motion è una tecnica d’animazione che permette di realizzare un filmato utilizzando degli oggetti inanimati, attraverso un processo fotografico svolto dall'operatore / animatore; l'oggetto è fotografato numerose volte, circa 24 per ogni secondo di filmato (il numero di fotogrammi dipende dal formato di destinazione: cinema, Pal, NTSC), e progressivamente movimentato, in modo da ottenere un'animazione fluida al montaggio. L'animazione su celluloide funziona

praticamente con

lo stesso

procedimento: in essa viene modificato leggermente il disegno del personaggio, mentre nel passo uno vi è la modificazione spaziale di un modellino; le fotografie di questo movimento sono fatte scorrere l’una dopo l’altra come si farebbe per i disegni di un’animazione tradizionale. Il fatto di coinvolgere dei reali oggetti fisici, e non degli oggetti disegnati manualmente, ha permesso l'uso di questa tecnica anche nella comune cinematografia, per la quale ha rappresentato la prima fonte d’effetti speciali. L’utilizzo delle varianti di questa tecnica, oltre alle sperimentazioni delle avanguardie, al cinema dei pupazzi animati, ed all’utilizzo nel cinema di fantascienza per la creazione d’effetti speciali artigianali, prima dei computers e degli effetti speciali digitali, ha poi avuto un enorme spazio all’interno della produzione pubblicitaria televisiva e dei video musicali, nella quale molti autori d’avanguardia hanno trovato un più ampio spazio d’espressione. Questo lavoro si pone lo scopo di indagare in maniera più approfondita questa tecnica e le sue possibilità attraverso l’analisi di una serie d’opere, 4


tendenze e autori particolarmente interessanti e significativi, che hanno creato non solo il genere ma via via un linguaggio specifico per questo genere. La prima parte è incentrata sulla storia, per grandi linee, dell’animazione e delle correnti sperimentali, mettendo in evidenza ciò che le differenzia dal cinema tout court. La seconda è dedicata all'applicazione della tecnica nel cinema dei pupazzi, dai primi esperimenti agli odierni sviluppi, e nella storia del cinema degli effetti speciali.

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ORIGINI

Preistoria Quando ci si occupa di cinema d’animazione, una delle complicazioni che ci si trova di fronte è la refrattarietà di questo settore rispetto al resto della storia e della teoria del cinema. Generalmente, salvo alcune eccezioni, la riflessione sul cinema d’animazione è portata avanti da un numero limitato di studiosi e raramente è sviluppata un’integrazione tra le categorie storiografiche del cinema d’animazione e quelle del cinema dal vero. Prova di questa separazione è che la periodizzazione della storia del cinema non si adatta per nulla alla storia del cinema d’animazione. «La maggior parte delle storie generali del cinema prende le mosse dal desiderio dell’uomo di rappresentare il movimento e dai suoi tentativi di riprodurne in forme e modi diversi la natura»1. Un campo d’indagine che ci porta al di fuori della nostra ricerca, anche se più del cinema dal vero, quello d’animazione ha dei precedenti antichi. Il cinema d’animazione, infatti, si rifà sia alle immagini luminose proiettate sullo schermo dalla lanterna magica sia agli spettacoli d’ombre cinesi del Settecento e dell’Ottocento. Il passaggio dalla lanterna magica al cinema avviene attraverso una lunga teoria d’apparecchi meccanici e procedimenti tecnici. Se il cinema si sviluppa a partire dalle ricerche nel campo della fotografia, soprattutto con gli esperimenti di Muybridge di ripresa fotografica del movimento e con quelli di Marey e del suo fucile fotografico, il cinema 1

Gianni Rondolino, Storia del Cinema d’Animazione, UTET, 2003, p.19 6


d’animazione prende le mosse proprio dalla lanterna magica e da quelle invenzioni meccaniche in cui la ricerca del movimento è collegata al disegno e all’illustrazione. La nascita ufficiale del cinema d’animazione è da attribuire ad Emile Reynaud e all’invenzione del

Theâtre Optique, attorno al 1890, una

complessa macchina che proiettava su un telo, grazie ad un gioco di specchi, figure disegnate su un rullo di carta. L’opera di Reynaud, oggi in gran parte dispersa, potrebbe essere considerata un paragrafo della preistoria del disegno animato, tuttavia essa contiene in sé i principi fondamentali e ricorrenti di tutto il cinema d’animazione, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista formale. Volendo dare al cinema d’animazione due precursori ai quali far risalire due diverse tendenze sia sul piano artistico che formale, non si può che ricordare i nomi di Emile Reynaud e di Gorge Melies.

Georges Méliès in un fotogramma del film Indian Rubber Head (1902).

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Considerato il creatore dello spettacolo cinematografico, Melies aveva capito che il cinema poteva non soltanto cogliere la realtà nel suo farsi, ma anche creare una realtà costruita appositamente per lo spettacolo, creare una nuova realtà, quella del sogno e della fantasia, per mezzo di trucchi ed effetti e un uso geniale delle tecniche di ripresa. Melies approfondisce l’aspetto del “tempo bloccato”, ovvero l’esaltazione del singolo fotogramma. L’effetto Melies è quell’operazione attraverso cui, a cinepresa ferma in una posizione, bloccando e riprendendo la registrazione della scena, è possibile ottenere sparizioni o apparizioni di persone, oggetti o elementi del profilmico. «Pensare gli oggetti sulla scena come parti separabili da mettere insieme è un’idea cardine di tutto il cinema d’animazione».2

2

Giaime Alonge e Alessandro Amaducci, Passo Uno, L’immagine animata dal cinema al digitale, Lindau, 2003, p. 83 8


Prove Tecniche Fino a pochi anni fa gli storici attribuivano non a Melies ma all’americano James Stuart Blackton l’invenzione della tecnica dell’animazione con un film del 1906, Humorous Phases of Funny Faces, e un anno dopo con The Haunted Hotel. Il film ebbe un enorme successo e il pubblico accorse a vederlo, attratto da trucchi più stupefacenti di quelli di Melies. In realtà ricerche recenti hanno individuato in Segundo de Chomòn, un abile tecnico cinematografico spagnolo, operatore e regista, l’inventore della tecnica dell’animazione degli oggetti. Pare che già nel 1902 Chomòn avesse costruito un apparecchio che faceva scorrere la pellicola fotogramma per fotogramma. Il film che realizzò nel 1905, El Hotel Electrico, era basato prevalentemente sull’animazione, il cui uso permetteva movimenti d’oggetti inanimati e varie combinazioni dinamiche. Altre ricerche indicano Matches Appeal (1899), un film di propaganda in cui si muovono degli omini fatti di fiammiferi, realizzato da Arthur Melbourne Cooper in Inghilterra, come il primo film d’animazione. Contemporaneamente ai primi artisti dell’animazione, hanno inizio le prime produzioni di disegni animati e oggetti animati in vari paesi; la tecnica dell’animazione iniziava ad essere impiegata per creare effetti speciali in film “dal vero” e acquisiva il suo status di tecnica cinematografica a tutti gli effetti. Il cinema d’animazione, quindi, sperimentato agli inizi del secolo, a partire dal 1905 fece la sua comparsa sugli schermi. Sarebbe passato ancora molto tempo prima della sua affermazione, ma le sue possibilità erano già tutte individuate.

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Avanguardie storiche

«Per le avanguardie letterarie, artistiche, teatrali, cinematografiche rappresentare e raccontare il mondo significa innanzitutto cessare di raccontarlo in maniera descrittiva, lineare, unitaria, compiuta e partire da una riflessione sul linguaggio, sui modi di narrare».3 Punto di partenza delle avanguardie storiche è quindi il linguaggio, le sue potenzialità inesplorate, la possibilità di combinare linguaggi diversi e assemblarli in maniera inconsueta. Il linguaggio diventa la materia prima ed il contenuto stesso dell’opera. Contemporaneamente ci si rende conto dell’insufficienza della singola arte, di una tecnica settoriale che rappresenti una pluralità di sollecitazioni ed inizia a nascere un’idea di multimedialità. All’interno di questa rivoluzione, il cinema si trasforma in arte moderna e viene interpretato dalle diverse correnti artistiche che ne evidenziano le caratteristiche: il cinema onirico, il cinema astratto, le sinfonie visive e naturalmente l’animazione. All’inizio del secolo assistiamo ad una serie di sperimentazioni e ricerche sul movimento nelle arti plastiche e ad un recupero di questo come componente estetica principale dell’opera. Il cinema è sicuramente alla base di tale cambiamento dell’arte figurativa, soprattutto a partire dall’interesse di alcuni pittori che lo pongono come nuovo mezzo d’espressione di un’arte autenticamente cinetica. Il rapporto tra il cinema e la pittura di Balla, Delaunay, Picabia, Duchamp, Leger Larionov, Malevic, si fa sempre più stretto ed ancora più stretti i

3

Andrea Balzola e Anna Maria Monteverdi (a cura di), Le Arti Multimediali Digitali, Garzanti, 2004, p. 54. 10


rapporti col cinema d’animazione, che permette di determinare l’immagine, il ritmo e analizzare il movimento. Tra i movimenti d’avanguardia, il primo che vede nel cinema un mezzo d’analisi del movimento e di rappresentazione dinamica del reale, è il futurismo. Nell’ambito di tale corrente, rivestono un’importanza particolare le opere dei fratelli Corradini (Arnaldo Ginna e Bruno Corra). Intorno agli anni Dieci i due fratelli sperimentano un cinema pittorico astratto: dopo un primo esperimento fallimentare, che consisteva in un pianoforte nel quale la pressione dei tasti proiettava delle luci su una superficie, la coppia inizia a pitturare direttamente la pellicola, utilizzando una tecnica d’animazione che sarà poi sviluppata e portata alle estreme conseguenze da Len Lye e Norman McLaren. L’utilizzo coerente del cinema come mezzo per la rappresentazione dinamica di composizioni statiche ha però inizio con la sperimentazione di Leopold Survage (Parigi 1879-1968), pittore molto vicino alla poetica cubista. Egli immagina una composizione all’interno della quale colori, linee, forme e superfici si animano e s’intersecano dando vita ad un balletto astratto che segua un ritmo prestabilito. Purtroppo per una serie di difficoltà il film non fu realizzato, ma dalle indicazioni di Survage è possibile comprendere chiaramente l’idea dell’opera. La tecnica del disegno animato sarebbe stata utilizzata per la prima volta per realizzare del cinema astratto. Nel fermento delle avanguardie cinematografiche degli anni Venti, particolare importanza occupa il lavoro di due pittori legati al movimento Dadaista, lo svedese Viking Eggeling (1880-1925) e il tedesco Hans Richter (1888-1976), massimi sperimentatori d’estetica cinematografica. Entrambi

interessati

al

problema 11

della

forma,

giungono


contemporaneamente, ma separatamente, all’ideazione dei rotoli dipinti, lunghe strisce di carta dipinte con segni che seguivano una determinata composizione musicale, che segnano il punto d’incontro tra pittura

e

cinema d’animazione. Mentre Richter, fin dall’ inizio, dedica le sue ricerche all'esigenza di articolare lo spazio figurativo in un movimento che uscisse dai limiti del quadro tradizionale, Eggeling è più interessato alla dinamica della linea. Col cinema potevano creare contemporaneamente il segno, il suo ritmo e la sua trasformazione dinamica. Le due direzioni di ricerca sono rintracciabili già nei loro primi film, Rhythmus 21, girato da Richter nel 1921, e Horizontal-Vertical Orchestra portato a termine da Eggeling nel 1922. A questi seguono Rhythmus 23 (1923) e Rhythmus 25 (1925) in cui Richter crea una composizione più complessa inserendo all’interno delle trasformazioni delle superfici anche disegni lineari e forme geometriche; Diagonal Symphonie (1925) con cui Eggeling approfondisce lo sviluppo ritmico di una serie di motivi segnici sfruttando tutte le possibilità dinamiche che gli offriva il mezzo cinematografico. I loro esperimenti sono tra le opere più interessanti e rilevanti del cinema astratto e costituiscono la base delle successive indagini sperimentali del cinema d’animazione. Tra il 1921 e il 1925 un altro pittore, Walter Ruttmann (1887-1941), si cimenta col cinema, interessato allo stesso tipo di ricerca formale. Con le sue opere, Opus I, Opus II, Opus III e Opus IV, sviluppa una tecnica molto particolare basata sull’animazione di forme di cera sempre in stretto rapporto ritmico col sonoro. Nel 1923 collabora con Fritz Lang alla realizzazione del film I Nibelunghi creando una sequenza onirica con l’animazione di forme astratte. 12


Attorno al 1925-26 partecipa, invece, alla realizzazione del film Il Principe Achmed di Lotte Reiniger, di cui cura sfondi e scenografie. Con i suoi film, Ruttmann cerca di creare una musica visiva, in grado di produrre delle esperienze visuali simili a quelle musicali. Le sue opere sono associate anche al concetto di cinema assoluto, l’idea di una lingua universale fatta di immagini astratte. Un’altra figura fondamentale di questo periodo è Oskar Fischinger (19001967), allievo e collaboratore di Ruttmann. Nel 1921 Fischinger progetta una macchina per realizzare alcuni esperimenti di cinema astratto: un congegno atto a filmare le "metamorfosi" cromatiche di una massa di cera colorata. A partire dal 1922 la sua produzione si fa più complessa e completa sia dal punto di vista tecnico che espressivo. La produzione degli Studien comincia a partire dal 1927 con Regenbogen, conosciuto anche come Studien n. 1. L’animazione di forme astratte si arricchisce di effetti di colore ed il rapporto tra immagine e struttura ritmica assume un valore fondamentale all’interno dell’opera. All’inizio degli anni Trenta, la serie dei suoi Studi, dal n. 2 (1929) al n. 12 (1932), raggiunge le sale cinematografiche e l’interesse del pubblico. Nel 1933 il film Kreise viene utilizzato a scopi pubblicitari; è il primo contatto di Fischinger con la pubblicità. Nel 1934 realizza i film per le sigarette Muratti, basati sull’animazione di sigarette su ritmi di marcia. Sempre nel 1934 tenta i primi esperimenti di cinema tridimensionale con Komposition in Blau, in cui oggetti geometrici eseguono un balletto su un piccolo palcoscenico. Tra i 1936 e il 1940 è a Hollywood, dove, grazie al successo ottenuto, la Paramount e la Metro Goldwyn Mayer sono disposte a produrre qualsiasi sua opera. La parentesi, però, si rivela deludente, così come la 13


collaborazione con Walt Disney per il film Fantasia, ritenuto da Fischinger una “volgarizzazione” cinematografica della musica. Tra il 1946

e il 1947 realizza, grazie al contributo finanziario della

Guggenheim Foundation, Motion Painting n. 1, una delle opere più importanti del cinema d’animazione astratto, soprattutto all’interno dell’analisi sulla relazione tra linguaggio cinematografico e linguaggio musicale. Il traguardo raggiunto con questa opera rappresenta il punto d’arrivo di una ricerca estetica iniziata trenta anni prima, e il punto di partenza per le successive sperimentazioni. Un altro artista di grande importanza nella storia del cinema d’animazione è Alexandre Alexeieff (Kazan 1901 - Parigi 1982). Costumista teatrale, incisore ed illustratore, approda al cinema spinto dalla necessità di dare il movimento alle immagini statiche dei suoi disegni. Alla base della sua concezione dinamica, a differenza dei suoi predecessori e contemporanei, c’è il teatro come fonte d’ispirazione. Attorno al 1932, dopo un’attenta ricerca, inventa lo schermo di spilli (ecran d’epingles), un’apparecchiatura costituita da un pannello trafitto da centinaia di migliaia di spilli, variamente illuminati da due faretti: l'assorbimento della luce dovuto alle variazioni di profondità d’immersione degli spilli crea gradazioni diverse di grigio, consentendo la costruzione d’immagini complesse e modificabili. Fotografando le successive modifiche, ottiene un effetto morbido d’animazione. Il risultato appare come un’incisione in movimento. Nel 1933, presenta in una sala parigina il primo cortometraggio (otto minuti) realizzato con questa tecnica originale: Une nuit sur le Mont Chauve (Una notte sul Monte Calvo), libera interpretazione dell'opera di Mussorgski.

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Negli anni successivi Alexeieff realizza una serie di film pubblicitari molto raffinati da un punto di vista tecnico e formale e ricchi di soluzioni originali, tra cui La Belle au Bois Dormant (1935), un balletto realizzato con l’animazione di pupazzi. Nel 1962 realizza il prologo e l’epilogo del film di Orson Welles Il Processo utilizzando lo schermo a spilli, e, con la medesima tecnica, altri due film, Le Nez (1963) e Tableaux d’une exposition (1972), i quali assieme a Une Nuit sur le Mont Chauve compongono una trilogia. Un

altro

fondamentale

esponente

dell’avanguardia

nel

cinema

d’animazione è il neozelandese Len Lye (1901-1980). Artista poliedrico e geniale, esordisce nel 1929 col film Tusalava basato sull’animazione di figure e forme primitive. In seguito Lye sperimenta la tecnica dell’animazione diretta, che consiste nel graffiare o disegnare la pellicola non impressionta (scratch film) o appoggiando oggetti sulla pellicola, così come faceva Man Ray con le rayographe. Con tale tecnica Lye crea Color Box (1935), il primo film realizzato senza l’uso della cinepresa, costruito fotogramma per fotogramma utilizzando la pellicola come una tela su cui dipingere linee e colori, giudicato un’opera fondamentale nello sviluppo delle tecniche d’animazione. Con il lavoro successivo, Kaleidoscope (1935), continua ad approfondire e perfezionare l’uso dell’animazione diretta, realizzando una coreografia di forme e musica. Tra il 1935 e il 1936 gira il film The Birth of a Robot con l’animazione di oggetti e pupazzi; nel 1936, con Rainbow Dance, inserisce all’interno dell’animazione silhouette di figure riprese dal vero. E’ la prima volta che la figura umana viene inserita in uno spazio virtuale. La sua opera più completa rimane Particles in Space (1966) in cui riesce a combinare in maniera compiuta le varie tecniche dell’animazione.

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La continua ricerca e le soluzioni espressive proposte, hanno portato la sua sperimentazione ad identificarsi con l’espressione poetica vera e propria, assegnando a Lye un posto particolare nella storia dell’animazione. Continuatore della lezione di Fischinger, Alexeieff e Lye è poi un altro artista, Norman McLaren (Scozia 1914 – Montreal 1987), considerato assieme a Lye il padre della tecnica dell’animazione diretta.

Norman McLaren impegnato a disegnare direttamente sulla pellicola.

McLaren inizia ad interessarsi alla sperimentazione cinematografica a partire dal 1933 con i primi esperimenti di disegno diretto su pellicola. Le sue ricerche nell’ambito di questa tecnica lo portano a realizzare numerosi film tra i quali Loops (1940) e Rythmetic (1956), in cui il

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controllo delle forme e delle linee è molto più raffinato e rigoroso rispetto allo stile di Lye. Nel 1941 si trasferisce in Canada presso il National Film Board, chiamato da John Grierson, produttore, critico cinematografico e teorico del cinema britannico, considerato il caposcuola del movimento documentaristico britannico. Qui inizia una sperimentazione sistematica delle più diverse tecniche dell’animazione, tra le quali la pixillation, una delle tecniche più rivoluzionarie della storia del cinema. Questo procedimento, già utilizzato diverse volte durante la storia del cinema ma mai in maniera sistematica, consiste nell’uso di oggetti o persone dal vivo per farle muovere a passo uno; un effetto Meliès ripetuto fotogramma per fotogramma. Questo vale anche per la cinepresa, che si libera del suo perno e si sposta in maniera insolita e innovativa. McLaren usa questa tecnica nei films Neighbours (1952), A Chairy Tale (1957) e Opening Speech (1961), in cui gli attori si trasformano in vere e proprie marionette e gli oggetti comuni diventano personaggi a tutti gli effetti. McLaren, inoltre, così come avevano fatto i suoi predecessori, basa la propria animazione sulla colonna sonora della pellicola, intervenendo lui stesso, come nel caso di Synchromy (1971) con la creazione di suoni nuovi sintetizzati, che seguono in perfetta armonia-sincronia le immagini, fondendosi in un contesto unico. «La pixillation era stata già usata anche come effetto speciale nel corso della storia del cinema […], ma McLaren ne intuisce più di altri le potenzialità e le sfrutta già fino in fondo. Con questa tecnica l’animatore non ha più solo a disposizione pennelli o strumenti grafici per mettere in moto il proprio stile pittorico personale più o meno astratto, ma il mondo fisico degli oggetti e dei corpi. 17


In qualche modo anche gli oggetti e i corpi subiscono un processo di astrattizzazione […] ma, paradossalmente, in questa trasformazione degli oggetti e dei corpi in docili automi robotizzati, gli oggetti riescono ad esprimere dei sentimenti e i corpi recitano in quanto tali e non più con la parola parlata. Mai come ora l’animatore è padrone del tempo e dello spazio delle sue immagini».4

4

Giaime Alonge e Alessandro Amaducci, Passo Uno, L’immagine animata dal cinema al digitale, Lindau, 2003, p.102 e 103. 18


PUPAZZI ANIMATI

Volumi Animati

Secondo quello che abbiamo detto nel primo capitolo, si può affermare che l'animazione nasce volumetrica. Per anni Emile Cohl fu considerato il padre del cinema d'animazione; il suo Fantasmagorie (1908) il primo film di disegno animato e Les freres Boutdebois (1909) il primo film di volumi animati. Come abbiamo visto, però, questo primato spetta in realtà all'inglese Arthur Melbourne-Cooper (1874-1961). Già nel 1898 pare che nella sala cinematografica The Empire di Leicester Square venisse proiettato un suo film in cui alcuni fiammiferi giocavano a cricket, football e golf. Si trattava, stando a quel che narrano le cronache, di un film sponsorizzato della Bryant & May, ditta produttrice di fiammiferi. Presumibilmente l'anno dopo, in seguito allo scoppio della Guerra dei Boeri, Melbourne Cooper dirige Matches Appeal, il primo film d'animazione di cui si ha prova certa, dal momento che ne è sopravvissuta una copia. Su un palcoscenico una vera scatola di fiammiferi si apre da sola, e gli zolfanelli si dispongono a formare due omini e una scala. Uno dei due personaggi sostiene la scala, l'altro vi sale e comincia a scrivere su una lavagna un appello agli spettatori per sostenere i soldati al fronte.

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L'agire dei personaggi di Cooper manifesta personalità, e delinea un linguaggio, superando così la linea di confine tra movimento e animazione. Resta comunque problematico definire con chiarezza quale animazione possa essere considerata puppet animation e quale no.

Animatori sul set del film Corpse Bride (2005) di Tim Burton e Mike Johnson

In generale possiamo dire che si parla d'animazione di pupazzi ogni qualvolta ad essere animato sia un oggetto volumetrico tridimensionale (ciò esclude i pupazzi piatti che ricadono nelle categorie del découpage, delle silhouette e simili), indipendentemente dal materiale che lo compone. In base ai materiali utilizzati, però, si distinguono diverse tecniche d’animazione in stop motion:

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Claymation® - abbreviazione di Clay Animation; questa tecnica consiste nel creare personaggi e sfondi tramite sostanze malleabili (normalmente plastilina) di solito intorno ad uno scheletro filiforme chiamato armatura, e in seguito riprendere immagini singole dopo aver leggermente modificato le posizioni degli elementi nella scena. Il termine Claymation® è un marchio registrato negli Stati Uniti da Will Vinton nel 1978 per descrivere i suoi film d'animazione in argilla. La parola è spesso utilizzata genericamente per fare riferimento a qualsiasi animazione che utilizzi plasticene o sostanze simili.

Model animation - tecnica che permette l'inserimento di elementi animati in stop motion all'interno delle scene di un comune film dal vivo ( es: King Kong di Ernest Beaumont Schoedsack, Merian C. Cooper, 1933).

Go-Motion - tecnica inventata dalla Industrial Light & Magic, da abbinarsi al computer. La normale model animation può creare un effetto di disorientamento nello spettatore, quando applicata ad oggetti che dovrebbero muoversi a gran velocità, essendo costituita da foto di soggetti fissi; nella Go-Motion le fotografie sono realizzate su soggetti che sono realmente in movimento (con ciò che ne deriva in ambito di profondità di campo, sensibilità della pellicola, e regolazione di otturatore e diaframma). Fu impiegata nel film di Gorge Lucas The Empire Strikes Back [“L’Impero colpisce ancora”] (1980).

Puppet animation - tecnica tipicamente usata per animare pupazzi, marionette, fantocci, giocattoli, bambole di carta e modellini, inseriti in un ambiente costruito (in contrasto quindi con la model animation ambientata 21


nel mondo reale). I pupazzi usati hanno generalmente un'armatura interna che li mantiene fermi e rigidi anche durante le manipolazioni delle giunture. Esempi di questa tecnica sono: Le Roman de Renard [“Una Volpe a Corte”] (1931) di Ladislav Starevich, i film di Ji í Trnka, Tim Burton’s Nightmare Before Christmas (1993) di Henry Selick e Corpse Bride [“La Sposa Cadavere”] (2005) di Tim Burton e Mike Johnson.

Puppetoons - variante creata sulla base dei metodi impiegati da George Pál; questa tecnica impiega numerosi pupazzi identici fra loro, che si differenziano soltanto nella struttura interna, in modo da usare il pupazzo più adatto per l'azione del momento.

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Ladislas Starevitch

Il film di pupazzi, quindi, ha inizio nei primi anni Dieci, subito dopo l’applicazione delle tecniche dell’animazione degli oggetti in diversi paesi. L’iniziatore e principale sperimentatore del filone del film di pupazzi è l’artista Ladislas Starevitch (1882 – 1965). Nato a Mosca e dedicatosi inizialmente all’entomologia ed al documentario etnografico, nel 1910 passa al cinema d’animazione nel tentativo di rappresentare meglio la vita e il comportamento degli animali usando dei modellini che animati imitassero il movimento degli scarabei. Il risultato è il breve Lucanus Cervus (1910), uno dei primi film a pupazzi animati nella storia del cinema. Per questo e per parecchi altri film, Starewitch

utilizza

insetti

imbalsamati

o

riproduzioni

in

legno

perfettamente ricostruite, mosse con un'animazione in stop motion che verrà via via sempre più affinata nelle successive pellicole Tra il 1911 e il 1919 realizza svariati film d’animazione di pupazzi alternando questa attività a quella di regista di film “dal vero”. Di questo periodo è Prekrasnaja Ljukanida [“La Bella Lucanide”] (1911): il film, una lotta fra scarabei per la conquista dell'ambito coleottero femmina

Elena,

è

la

prima

matura

e

innovativa

esplorazione

dell'animazione in stop motion e nel contempo il primo cortometraggio in cui Starewitch libera tutta la sua inventiva. Prekrasnaja Ljukanida contiene così in nuce alcune delle particolarità dei film seguenti, soprattutto per quanto riguarda le minuziose animazioni, in cui ogni minimo gesto o movimento dei personaggi è perfettamente curato; per esempio, nel successivo Mest’kinematograficeceskogo operatora [“La vendetta del cineoperatore”] (1912), impressionano tanto la danza di una

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libellula sul palcoscenico, quanto la corsa in bicicletta del grillo-operatore, e in generale i contatti fisici fra tutti i personaggi e gli oggetti che li attorniano. I suoi film hanno prevalentemente degli insetti come protagonisti di storie avventurose e umoristiche e puntano sullo spettacolo ed il divertimento del pubblico. Come Cohl anche Starevitch è un artista-artigiano che deve fare quasi tutto da solo: è contemporaneamente regista, operatore, scenografo, nonché realizzatore dei pupazzi, per lo più scolpiti in legno. Il cinema di pupazzi, che Starevitch sviluppa per primo ad un alto grado tecnico e artistico, avrà uno sviluppo del tutto particolare nella storia del cinema d’animazione, costituendo un settore indipendente sia sul piano della tecnica sia su quello più generalmente artistico e culturale. Fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando poi subentreranno altri autori, l’evoluzione del genere è affidata praticamente soltanto alla sua opera solitaria, realizzata in condizioni del tutto artigianali e con intenti chiaramente rivolti a un pubblico infantile. Trasferitosi in Francia nel 1919, creatosi un suo studio vicino Parigi, si dedica alla realizzazione di film di pupazzi o di tecniche miste, rivolti prevalentemente all’infanzia con soggetti tratti dalla favolistica mondiale come Le rat de ville et le rat des champs (1926), una sorta di tipica slapstick comedy dell'epoca, impostasi per le sofisticate coreografie e la sottigliezza dei gesti dei personaggi, e La cigale et la fourmi (1927). La produzione di questi anni culmina con il lungometraggio Le roman de renard (realizzato fra il 1930 e il 1931, proiettato dapprima in Germania con il titolo Reineke Fuchs nel 1937, e poi in Francia in versione differente nel 1941) curato in maniera maniacale nella creazione e animazione dei pupazzi animali e dei superbi costumi e scenografie, che tentano d'infondere una certa vena di lirismo alla vicenda. 24


Nel 1933 sulla scia del successo dei lungometraggi Disney, anche Starevitch inventa un personaggio chiaramente definito, adatto ad interpretare numerose storie, si tratta del pupazzo Fétiche, protagonista di numerose pellicole. I film della serie furono Fétiche mascotte (1933), Fétiche prestidigitateur (1934), Fétiche se marie (1935), Fétiche en voyage de noces (1936) e Fétiche chez le sirènes (1937). Nel dopoguerra realizza altri film di pupazzi vincendo alcuni premi di categoria in festival internazionali. Starewitch morirà nel 1965, lasciando incompleta la realizzazione del suo ultimo film, che si sarebbe intitolato Comme chien et chot. Nonostante i limiti d'efficacia della sua regia, il suo rimane un nome fondamentale e indelebile nella storia del cinema d'animazione mondiale, il primo che abbia saputo dare all'animazione di pupazzi il successo e la riconoscibilità internazionale che raramente avrebbe ritrovato in seguito.

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Ji í Trnka e Karel Zeman

L’artista forse più significativo nella storia del cinema dei pupazzi animati è il cecoslovacco Ji í Trnka (Pilsen, 1912 - Praga, 1969), definito il Walt Disney dell’Est. Allievo di Josef Skupa, figura di spicco del teatro di marionette boemo, inizia lavorando come marionettista, scenografo e costumista, sia per Skupa che per il Teatro Nazionale di Praga. Con la formazione ricevuta alla scuola d’arte di Praga, Trnka inizia negli anni della guerra una brillante carriera come illustratore di libri per l’infanzia. Molte delle sue opere sono autentici classici della letteratura infantile: numerosi i bambini cresciuti leggendo le avventure scritte da Josef Menzel e illustrate da Trnka. L’attività teatrale fu comunque quella che influenzò maggiormente la sua successiva attività. Appassionato di marionette sin dall’infanzia, formò il suo primo teatro attorno al 1936. Alcuni anni più tardi, al termine della Seconda Guerra Mondiale, dopo la parentesi come illustratore, fonda con Eduard Hofman e Ji í Brde ka uno studio di animazione, chiamato Brat i v Triku. Inizia la sua attività nello studio dirigendo alcuni cortometraggi di disegni animati, come Zví átka a petrov tí [“Gli animali e i banditi”] (1946), premiato al primo festival di Cannes e Dárek [“Il Regalo”] (1946), una satira sui valori della classe media. Nonostante il valore di queste prime opere e i riconoscimenti ottenuto a livello internazionale, Trnka si sente poco a suo agio con l’animazione tradizionale, che secondo la sua opinione richiedeva troppi intermediari e

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gli impediva di esprimere liberamente la sua creatività e a partire dal 1946 matura l’idea di realizzare dei film di animazione utilizzando le marionette. Il risultato fu il lungometraggio pali ek (1947), basato su un libro illustrato per Mikolá Ale , e composto da sei episodi nei quali mise in scena brillantemente le legende e i costumi del suo paese. La pellicola attirò l’attenzione della critica e fu premiata in numerosi festival internazionali, tra cui quello di Venezia. A partire dal 1948 lo studio d’animazione di Trnka inizia a ricevere sovvenzioni statali. Il lavoro seguente è Cisaruv slavík (1949), basato su un racconto di Hans Christian Andersen. A differenza del primo, si tratta di un vero e proprio lungometraggio. Le marionette e le decorazioni sono notevolmente differenti dal lavoro precedente, data l’ambientazione dela storia in una Cina imperiale idealizzata. Nel 1959 Trnka realizza un film a pupazzi animati tratto dall’opera di Shakespear Sen noci svatojanske [“Sogno di una notte di mezza estate”] (1959), per il quale fa realizzare delle marionette di una plastica speciale che permetteva un maggior dettaglio nei movimenti del viso. Sen noci svatojanske è riconosciuta come una delle opere più importanti della cinematografia di Trnka. L’opera più poetica, vero testamento artistico e spirituale dell’artista, rimane Ruka [“La Mano”] (1965), in cui attraverso il racconto di uno scultore costretto a costruire una mano gigantesca che simboleggia il potere, Trnka realizza un’opera di protesta contro la condizione imposta dallo stato comunista cecoslovacco alla creazione artistica. Sebbene inizialmente il film non subì restrizioni da parte della censura, dopo la morte di Trnka, le copie dell’opera furono confiscate e proibita la proiezione pubblica in cecoslovacchia per circa vent’anni. 27


Ji í Trnka è considerato il padre del cinema d’animazione cecoslovacco per eccellenza. Fu senza dubbio la figura più rappresentativa del cinema di pupazzi, esaltando le possibilità di questa tecnica e influenzando e ispirando il lavoro di artisti successivi. Il cinema d’animazione cecoslovacco ha trovato nel cinema dei pupazzi e degli oggetti animati la sua espressione più originale. Accanto all’opera di Trnka, anche la sperimentazione di un altro importante artista, Karel Zeman, indica al cinema europeo una strada alternativa, del tutto distante dagli

schemi formali del cinema

hollywoodiano, e strettamente legata a una tradizione artistica e culturale autoctona. Zeman (1910 – 1989) inizia prestissimo ad interessarsi al teatro delle marionette. Diplomato alla Art School of Advertising in Francia, inizia a lavorare in campo pubblicitario, tentando i primi esperimenti d’animazione. Nel 1943 viene assunto da uno studio di Zlin, dove conosce l’animatrice e regista Hermína T rlová. Assieme realizzano il film Váno ní Sen [“Il sogno di Natale”] (1946) coniugando la recitazione di attori in live-action e pupazzi animati capaci di interagire con gli oggetti reali. Il film viene premiato al festival cinematografico di Cannes. Il primo progetto che Zeman realizza da solo è la popolare serie di cortometraggi a pupazzi animati incentrati sul personaggio chiamato Mr. Prokuok, brevi storie in cui si manifesta la sua capacità di fondere la sperimentazione tecnica e una visione poetica e fantastica della realtà. Nel 1950 produce il suo primo lungometraggio d’animazione di pupazzi, Král Lávra [“Re Lávra”], basato su un poema di Karel Havlí ek Borovsk . Del 1955 è il suo primo film d’avventura, Cesta do Pravèku [“Viaggio nella preistoria”] realizzato con una tecnica che combina attori reali, animazione ed effetti speciali. 28


Quattro anni dopo produce la sua opera più originale e riuscita, Vynález Zkázy [“La diabolica invenzione”] (1958), ispirato ad un romanzo di Jules Verne. Il film è il risultato di un lavoro accurato e scrupoloso di tecnica mista. Gli attori reali si muovono in mezzo a scenografie dipinte nello stile delle illustrazioni Vittoriane ed oggetti animati in stop motion. «Se il tema del film è tratto da Verne, e di Verne l’opera respira il gusto per la tecnica e il messaggio progressista, la resa spettacolare del film si richiama alla migliore lezione di Méliès, per quel senso del meraviglioso, quel piacere del racconto fantastico, quel gusto scenografico che furono le caratteristiche peculiari dell’artista francese».5 Con la medesima tecnica realizza nel 1961 Baron Prá il [“Il Barone di Munchhausen”] tratto dal romanzo di Gottfried Burger. Il suo film più insolito ed originale rimane il cortometraggio Inspiration (1949), in cui Zeman utilizzando delle figure di vetro produce un’animazione sorprendentemente fluida con uno squisito senso della sincronizzazione, del movimento e della struttura narrativa.

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Gianni Rondolino, Storia del Cinema d’Animazione, UTET, 2003, p. 239. 29


Nuovi Maestri

Negli anni la tecnica dei pupazzi animati sviluppata da Trnka e Starevitch, è stata raffinata e portata avanti da altri artisti che ne hanno continuato il lavoro di ricerca formale e sono riusciti a conquistare ed affascinare un pubblico sempre maggiore. «La reinvenzione delle tecniche d’animazione tradizionale di pupazzi e marionette cui si assiste fin dagli anni Ottanta, punta alla rappresentazione di personaggi che si propongono con la massima credibilità, che suggeriscano la verosimiglianza di un mondo parallelo, in cui i pupazzi possano assumere, con tutta la loro forza espressiva, un valore esemplare, sia esso metaforico, simbolico o di parodia, in un confronto continuo con il mondo reale». 6 Tra gli artefici di questa rinascita ed evoluzione del cinema dei pupazzi animati, è necessario soffermarsi su Barry Purves, Jan vankmajer, i Brothers Quay e Henry Selick. Nato in Inghilterra nel 1955, Barry Purves inizia la sua carriera artistica come attore teatrale, strada che abbandona quasi subito attratto dai pupazzi animati e convinto che questi avrebbero potuto avere più espressività di quella che lui stesso sarebbe mai riuscito ad avere. Ha diretto e animato vari lungometraggi e serie televisive per la catena Thames e la sua metodologia di lavoro consiste nello scegliere diversi animatori per creare personaggi specifici. Dal 1986 ha realizzato settanta annunci pubblicitari, inserzioni animate, sequenze d’apertura, per mezzo di studi come Aardman o Bare Boards, da lui fondato al principio degli anni novanta. 6

Chiara Magni in Storia del Cinema d’Animazione di Gianni Rondolino, UTET, 2003, p. 477. 30


Ha collaborato anche ai film Mars Attacks! (1996) di Tim Burton, Il Signore degli Anelli: il ritorno del Re (2004) e King Kong (2005) di Peter Jackson. Il suo primo lavoro è il cortometraggio Next (1989), una divertente animazione in cui sotto lo sguardo di un impresario teatrale, un pupazzo dalle sembianze di William Shakespeare, mette in scena tutto il suo repertorio, senza una sola parola, con il linguaggio del corpo e con mille trucchi scenici che si confondono con i trucchi dell’animazione. Shakespeare è un attore frenetico che privato della parola ammicca, gesticola, danza, salta, un pupazzo dal corpo esile, il volto immobile ma espressivo. Tre anni dopo Purves realizza Screen Play (1992), una storia d’amore e gelosia costruita facendo riferimento al teatro giapponese kabuki. L’opera teatrale è uno dei generi più indagati e rivisitati da Barry Purves. Rigoletto (1993), prodotto per la televisione inglese, è una delle sue opere più ambiziose, una versione sontuosa e sanguinaria dell’opera di Verdi, realizzato

con

un’eccezionale

cura

del

dettaglio,

dai

costumi

all’espressività realistica dei pupazzi. Nel 1995 produce Achilles, un omaggio al teatro greco e all’arte classica con una visione erotica dell’amicizia tra Achille e Patroclo. Tre anni più tardi realizza Gilbert and Sullivan: the Very Models (1998), raccontando il rapporto tra Gilbert e Sullivan, due celebri autori di operetta, e il loro produttore. Il lavoro di Purves ha una particolare importanza per la sua capacità di coniugare animazione, arti della performance, teatro e balletto. Purves trova la via per uno stile unico, spingendo ai limiti la credibilità e il realismo dei suoi pupazzi.

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Jan vankmajer è un artista nato a Praga nel 1934. Noto soprattutto per le sue opere d'animazione, che hanno ispirato artisti come Tim Burton, Terry Gilliam, i fratelli Quay, Jan vankmajer è però un artista fuori dal comune, un creatore a 360 gradi, regista, pittore, scultore e poeta sempre in bilico tra una disciplina e l'altra. Il regista ceco è uno degli artisti visuali più importanti degli ultimi trenta anni. Il critico inglese Julian Petley lo ha definito «...il maestro europeo del cinema di animazione». Sfortunatamente i suoi lavori, filosoficamente profondi e stilisticamente ricchi ed innovativi, sono poco conosciuti. Questo anche a causa di restrizioni politiche che hanno censurato i suoi film in patria nel periodo che va dal 1968 al 1989. Dopo gli studi all'Accademia delle Belle Arti praghese e la specializzazione in rappresentazioni con i burattini, regia e scenografia, dopo aver lavorato con il Theatre of Masks e il celebre Laterna Magika Theatre, esordisce nel cinema nel 1964 con il corto Posledni trik pana Schwarzewaldea a pana Edgara [“The Last Trick”]. Talentuoso alchimista dell’immagine, vankmajer ha sperimentato diverse tecniche, dall’animzione di pupazzi e burattini, alla clay animation, dall’animazione tradizionale, agli effetti speciali in stop motion e ai collages di oggetti, infondendo la vita in verdure, giocattoli, rocce e alberi. Si avvicina all’animazione in una maniera non tradizionale preferendo innovative tecniche tridimensionali che accorciano le distanze tra il mondo delle creature animate e quello degli oggetti inanimati. Se gli esseri umani agiscono sempre come robot, gli oggetti mostrano un alto grado di antropomorfismo; essi combattono, subiscono decapitazioni, si suicidano e compiono riti cannibali. I set sono quasi sempre cosparsi di mobili vecchi, edifici decadenti, rifiuti 32


dell'era industriale e persino viti arrugginite e segatura. vankmajer pesca a piene mani da Bosch, Arcimboldi e Giger. Molte sono le allusioni figurative mentre i ritmi forsennati e dissennati delle immagini ci riportano indietro al cinema di Un chien andalou di Luis Buñuel e Salvador Dalí. L'humor nero, l'introspezione, il grottesco e una ricerca kafkiana dell'assurdo oltre che del fantastico sono le caratteristiche fondamentali della poetica di vankmajer. L'interesse per i pupazzi e gli oggetti inanimati e la commistione d’animazione e riproduzione del movimento tramite la tecnica dello stopmotion hanno già credito nel primo periodo, che va dal 1964 al 1972, in opere come Punch And Judy (1966), Don Juan (1970) e Jabberwocky (1971). Gli attori sono inutili e quando appaiono, come in The Garden (1968) e The Flat (1968), sono pantomime, fantocci di materiale diverso, ma mossi come marionette. vankmajer si cimenta, a modo suo, anche con classici della letteratura gotica come Horace Walpole in The Castel Of Otranto (1973/79) e Edgar Allan Poe, con The Fall Of House Of Usher (1980). I corti del secondo periodo (1979-92) mostrano decisivi passi in avanti dal punto di vista tecnico e una ormai incontenibile carica satirica, fino a sfociare nello sberleffo finale di The Death Of Stalinism In Bohemia (1990), premiato al Festival di Annecy. Dimensions Of Dialogue (1982), mostra il lato più sperimentale e avanguardista dell'autore: una serie di teste, simili a quelle di Arcimboldo, si mangiano e risputano l'un l'altra fino a diventare tutte uguali ("exhaustive discussion"); un uomo e una donna d'argilla si dissolvono sessualmente l'uno dentro l'altro, poi litigano e si riducono a una frenetica poltiglia bollente ("passionate discourse"); e due teste di argilla più anziane tirano fuori vari oggetti dalle loro lingue (spazzolini e dentifrici, scarpe e lacci, 33


ecc.) e li usano in ogni combinazione possibile, sensata o meno ("factual conversation").

Fotogramma tratto dal film di Jan vankmajer Dimensions Of Dialogue (1982).

Il primo lungometraggio è Alice (1987) un libero adattamento dal celebre classico di Lewis Carroll. Alice libera ulteriormente la sua creatività. Una serie impressionante di soluzioni tecniche, per animare esseri ispirati dagli affreschi di Bosch, sono il presupposto per una rilettura personale e destabilizzante del classico di Carroll. Il bianconiglio è un pupazzo di cartapesta che perde di continuo la sabbia che lo riempie, mentre l'orologiaio e il cappellaio matto si presentano con le sembianze di un giocattolo a carica e una marionetta di legno. Completamente costruita in una serie di stanze stilizzate e sinistre, quella di vankmajer è una versione claustrofobica e allucinata.

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I lavori successivi, Faust (1994), Conspirators of Pleasure (1996) e Otesánek (2000), confermano la capacità di vankmajer di creare mondi all’interno dei quali la realtà si ribalta trascendendo l’estetica surrealistà. Continuatori dell'estetica svankmajeriana, i fratelli Quay, o Brothers Quay (Pennsylvania, USA, 1947), sono due artisti gemelli americani, esperti d’animazione in stop motion, che hanno fondato un’estetica visiva che in molti hanno ripreso in seguito. Trasferitisi a Londra nel 1969, studiano illustrazione al Royal College of Arts. Negli anni Ottanta fondano il Koninck Studios assieme ad un altro studente del Royal College, Keith Griffiths, che diventerà il produttore di tutti i loro film. Gli oggetti animati dei Quay Brothers rappresentano una dimensione onirica e surreale, visionaria ed espressionista. Le loro opere sono caratterizzate da atmosfere ostiche e inquietanti; il filo logico narrativo tende a vaporizzarsi ed astrarsi, le azioni sono dominate dal caos e dall’irrazionalità. Nell’arco della loro carriera hanno realizzato film su commissione, video musicali, pubblicità, sigle per il canale televisivo MTV e film e cortometraggi personali. Alcuni di questi sono omaggi ad artisti da cui sono stati ispirati, come ad esempio The Cabinet of Jan vankmajer (1984) e Leòs Janá ek: Intimate Excursions (1983). Altri sono rivisitazioni di opere letterarie, come Ein Brudermord (1981) tratto da Kafka, o visioni ispirate da dipinti, come Rehearsals for Extinct Anatomies (1987) da un’opera di Fragonard. La loro opera più conosciuta è probabilmente Street of Crocodiles (1985), basata su un racconto breve di Bruno Schulz. La tecnica dello stop motion è usata per costruire ogni particolare dell’immagine, non solo per animare i pupazzi, ma anche per i movimenti di macchina. Ogni dettaglio è curato nei 35


minimi particolari, dai set ai pupazzi. La loro perizia tecnica fa sì che anche minuscoli chiodi o grumi di polvere possano animarsi assumendo una valenza espressiva. Il loro stile ha creato una vera e propria tendenza estetica ripresa da fotografi e registi di videoclip, come quelli girati per il gruppo californiano Tool dal chitarrista Adam Jones. Henry Selick (New Jersey, 1952) è un regista, produttore e scrittore conosciuto per i lungometraggi Tim Burton’s The Nightmare Before Christmas (1993) e James and the Giant Peach (1996). Allievo di Jules Engel al California Institute of the Arts, lavora alla Disney tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta per i film Pete’s Dragon [“Elliot il Drago Ivisibile”] (1977) e The Fox and the Hounde [“Red e Toby Nemiciamici”], (1981), durante la cui lavorazione ha modo di conoscere Tim Burton. Nel 1986 inizia a lavorare come freelance e fonda una società per la produzione di pubblicità e sigle televisive per l’emittente televisiva MTV, per la quale crea anche il pilota della serie animata Slow Bob in the Lower Dimension (1991). L’episodio attira l’attenzione di Burton in quel periodo impegnato nella pre-produzione di un film tratto da un poemetto illustrato scritto dieci anni prima e immaginato come film di marionette. Consapevole delle difficoltà del cinema d’animazione a passo uno, Burton decide di affidarsi a Selick. Inizia così la produzione di The Nightmare Before Christmas, uno dei film di pupazzi animati più importanti e famosi della storia del cinema. Selick affronta Nightmare come una sfida, con l’obiettivo di portare l’animazione dei pupazzi a un livello mai sfiorato prima. Dopo il film con Burton la società di Selick aveva potenzialità tali da produrre u altro film di pupazzi animati di successo.

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Così Selick inizia la produzione di James and the Giant Peach tratto da un racconto di Roald Dahl. Girato in parte in live-action, all’inizio doveva basarsi sull’interazione del bambino ripreso dal vero con le creature animate in stop motion. Sebbene vanti un’animazione e un uso della cinepresa sempre più raffinati ed innovativi, un design elegante e una cura attenta e minuziosa dei dettagli, il film non è riuscito ad ottenere il successo sperato. Accanto al lavoro rivoluzionario di questi artisti si sono sviluppati inoltre numerosi studi d’animazione dediti alla sperimentazione del cinema dei pupazzi animati. Ne sono un esempio la Nukufilm fondata nel 1957 in Estonia da Elbert Tuganov, la Trattoria di Frame fondata in Brasile nel 1991, l’uruguaiana Tournier Animation e l’inglese Aardman di cui parleremo in seguito.

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Clay animation

Con la plastilina è possibili realizzare sia un’animazione bidimensionale, cioè affine al decoupage, più adatta alla metamorfosi delle figure che alla narrazione di eventi, sia tridimensionale, e assai simile a quella dei pupazzi. Tra gli artisti più importanti e rilevanti nell’uso dell’animazione bidimensionale va ricordata Fusako Yusaki (Tokyo, 1937), animatrice giappone naturalizzata italiana. Laureata in design creativo nel 1960, dopo aver vinto un concorso internazionale, nel 1964 si stabilisce a Milano, dove frequenta l'Accademia di Belle Arti di Brera. Si specializza quindi nella lavorazione ed animazione della plastilina (clay animation), grazie alla quale vince il Bagatto d'Oro nel 1971 per il suo lavoro nella pubblicità del liquore Fernet Branca nella trasmissione Carosello. Ha lavorato molto per la pubblicità e poi come produttrice indipendente, ottenendo diversi premi nei festival internazionali. Collabora con televisioni europee e giapponesi realizzando sigle, cortometraggi e brevi serie. Ha inoltre collaborato con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, Dipartimento Litosfera, realizzando dei film sull’origine dei terremoti. E’ stata membro di giuria dei più prestigiosi festival di cinema d’animazione, quelli di Annecy in Francia (1989), di Hiroshima in Giappone (1990), di Zagabria in Croazia (2000), di Espinho in Portogallo (2002) e di Wissembourg in Francia (2003). La serie completa dei suoi film é inserita nella collezione dello Hara Museum of Contemporary Art di Tokyo. Tra gli artisti italiani è necessario ricordare Francesco Misseri, considerato una figura eccezionale della pubblicità italiana.

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Durante il periodo del Carosello, crea assieme ad altri tre soci lo Studio Kappa, una delle più importanti compagnie impegnate nella produzione pubblicitaria. Molti capolavori della pubblicità italiana portano la sua firma, come ad esempio Susanna Tuttapanna, Olivella e Mariarosa e Mister X. Già in quel periodo Francesco Misseri sviluppa uno stile d’animazione molto personale utilizzando materiali come carta, sabbia e plastilina. Negli anni Settanta, dopo aver sviluppata ulteriormente queste tecniche, focalizza la sua attività sull’animazione. Crea nuovi e originali personaggi e produce diverse serie animate per bambini come Mio & Mao in clay animation, Quaqquao, animazione di origami in stop motion, The Red and The Blue e AEIOU. Negli anni Ottanta ha creato il Misseri Studio e realizzato numerosi film pubblicitari che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Pioniere della tecnica tridimensionale è considerato invece l’artista americano Art Clokey [Arthur Farrington] (Detroit, Michigan, 1921). Incoraggiato e influenzato dal suo professore Slavo Vorkapich alla University of Southern California, nel 1955 inizia la sperimentazione dell’animazione dell’argilla e della plastilina con il cortometraggio Gumbasia, una surreale parodia di Fantasia. A partire dal 1957 produce la serie televisiva animata The Gumby Show, con protagonista Gumby il suo personaggio più celebre. La serie continuerà ad intervalli irregolari fino al 1988, con circa 233 episodi, trasformandosi nel 1995 nel lungometraggio Gumby: The Movie. La tecnica tridimensionale è stata brevettata negli Stati Uniti nel 1978 da Will Vinton come Claymation®.

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Artista indipendente ed innovativo, Vinton (Oregon, 1947) inizia ad essere affascinato dall’argilla e dalle sue possibilità metamorfiche durante gli studi d’architettura alla University of California. Influenzato dal design fluido delle sculture di Gaudì, inizia a fare i primi esperimenti già a metà degli anni sessanta. Nel 1974, con lo scultore Bob Gardiner, dirige Closed Mondays, con il quale vince l’Oscar per il miglior cortometraggio animato. Nonostante la poca raffinatezza, il risultato è un film d’animazione pioneristico e ricco di trovate geniali. Nei cinque anni successivi Vinton produce tre film da 27 minuti, dando inizio ad una fase sperimentale del suo lavoro che culminerà con la creazione dei Will Vinton Studios. Vinton perfeziona la tecnica e sfrutta il metamorfismo della plastilina in maniera rivoluzionaria, modellando e animando sia i personaggi che gli ambienti dei suoi film. Martin the Cobbler (1977), Rip Van Winkle (1978, nominato agli Academy Award), e The Little Prince (1979), dimostrano il desiderio di Vinton di sviluppare ed espandere le possibilità della clay animation con esperimenti grandiosi, e la crescita tecnica del suo studio d’animazione diventa evidente. Il successo sperimentato incoraggia Vinton a realizzare il primo lungometraggio in claymation®. Dopo la produzione di Legacy (1979), The Creation (1981) animato da Joan Gratz, diretto da Will Vinton e nominato agli Oscar e The Great Cognito (1982) animato da Barry Bruce, diretto da Vinton e anche questo nominato agli Oscar, che ancora una volta dimostrano quanta strada abbia fatto lo studio in quasi dieci anni di vita, inizia la produzione di The Adventures of Mark Twain (1985). La lavorazione del film dura ben tre anni e mezzo.

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Ogni dettaglio è curato nei minimi particolari ed è modellato in plastilina, persino l’acqua ed il cielo. La struttura ad episodi è molto semplice; i frammenti sono basati su numerose opere di Mark Twain e costruiti attorno ad un plot che fa da cornice. Il film è una delle opere più originali ed audaci del cinema d’animazione e mostra l’espressività inesplorata della plastilina sfoggiando effetti speciali straordinari. Lo

scarso

successo

del

pionieristico

film

è

compensato

però

dall’incredibile popolarità ottenuta in campo pubblicitario con Meet the Raisins, in cui personaggi di uva passa in plastilina cantano e ballano classici

della

musica

pop

immedesimandosi

nei

loro

interpreti,

accompagnati da caricature di personalità come Ray Charles o Michael Jackson. Le California Raisins diventano in poco tempo un fenomeno mediatico, tanto da ottenere degli specials per l’emittente CBS nel 1988 e nel 1990. Sull’onda del successo delle uvette, la CBS commissiona altri tre primetime specials, A Claymation Christmas Celebration (1988), vincitore di un Emmy, lo speciale di halloween The Claymation Comedy of Horrors (1991), e A Claymation Easter (1992). Ancora negli anni Novanta lo studio di Vinton produce altre due serie televisive, The PJs per il network della Fox e Gary and Mike per l’emittente UPN. Un’importanza fondamentale, dovuta allo studio delle tecniche di animazione e all’enorme successo commerciale, è rivestita poi dal lavoro della Aardman Animations Ltd., conosciuta anche come Aardman Studios, uno studio d'animazione britannico con sede a Bristol, in Inghilterra, tra i più importanti al mondo e vincitore di diversi premi Oscar. Tutto inizia nel 1972 dalla collaborazione di Peter Lord e David Sproxton che dopo aver inventato per gioco il personaggio Aardman, un simpatico 41


supereroe imbranato, riescono a vendere venti secondi di animazione al programma televisivo dell’emittente BBC "Vision On", raggiungendo da subito un inaspettato successo commerciale. Nel 1976, dopo aver creato lo studio, creano l’ormai leggendario personaggio di plastilina Morph, protagonista della serie popolare The Amazing Adventures of Morph messa in onda sempre dalla BBC. Nel 1982, su commissione di Channel Four Television, sperimentano una tecnica innovativa, che consisteva nella registrazione di conversazioni reali come base della clay animation. Il risultato è la serie di film da cinque minuti Conversation Pieces. Nel 1985 Nick Park entra a far parte dello studio a tutti gli effetti, dopo una stretta collaborazione iniziata negli anni in cui frequentava ancora la National Film and Television School di Londra, e porta a termine il cortometraggio in clay animation A Grand Day Out with Wallace and Gromit, nominato agli Oscar nel 1989, che vede la prima apparizione dei suoi personaggi più famosi. L'anno successivo l'intero team Aardman collabora con Peter Gabriel, i fratelli Quay e il regista Steve Johnson alla realizzazione del celebrato video per il singolo Sledgehammer, una combinazione di clay animation, pixillation e stop motion tradizionale. Nel 1989 l'emittente televisiva Channel Four commissiona allo studio la creazione di un altra serie di film di cinque minuti che utilizzasse la stessa tecnica sperimentata per Conversation Pieces. La nuova serie include i cortometraggi War Story di Peter Lord, Next di Barry Purves, Ident di Richard Goleszowski e Creature Comforts di Nick Park che riceve nel 1990 l'Oscar come miglior cortometraggio d'animazione. Col crescere della reputazione dello studio crescono naturalmente anche le richieste per la realizzazione di commercials 42


televisivi da parte di importanti brand come Chevron, Nike, Dr Pepper, Homepride. Nel 1993 la Aardman produce il secondo film di Nick Park con protagonisti Wallace e Gromit, The Wrong Trousers vincitore di oltre quaranta premi internazionali tra cui anche l'Oscar, diventando uno dei cortometraggi di animazione pi첫 di successo mai realizzati. Il terzo film di Wallace e Gromit, A Close Shave, viene realizzato nel 1995 e riceve un'altro Oscar. Lo stesso anno lo studio produce il cortometraggio di Peter Lord Wat's Pig, che riceve una nomination agli Oscar. Nel 1998 lo studio lancia la serie televisiva in clay animation Rex the Runt, creata e diretta dal collaboratore Richard Goleszowski, e vincitrice di numerosi premi internazionali.

Nick Park sul set del film Wallace & Gromit: The Curse of the Were-Rabbit (2005).

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In seguito all'accordo di collaborazione con la Dreamworks, lo studio crea tre lungometraggi d'animazione: Chicken Run uscito nel 2000, Wallace & Gromit: The Curse of the Were-Rabbit (2005), entrambi per la regia di Nick Park e Steve Box, e Flushed Away (2006) di David Bowers, quest'ultimo realizzato in CG, ma adottando lo stesso software utilizzato per alcune scene del film di Wallace e Gromit, ovvero un software di modellazione 3D sviluppato alla Aardman che riproduce certe imperfezioni tipiche della plastilina quando viene modellata. Un altro artista fondamentale nel campo della clay animation è senza dubbio Bruce Bickford, folle e geniale animatore di plastilina, uno dei personaggi più sottovalutati nel panorama dell'animazione contemporanea. Bickford deve la sua fama alla collaborazione con Frank Zappa durante gli anni Settanta (dal 1973 al 1980), che sfociò nel 1987 nella creazione di un mediometraggio dal titolo The Amazing Mr. Bickford. Zappa concesse all’artista di creare in assoluta libertà e senza problemi economici, permettendogli così di sviluppare un universo lisergico e allucinato. Le sue strabilianti invenzioni appaiono in varie pellicole di Zappa, tra cui Dub Room Special (1974), A token of his extreme (1974) e Baby Snakes (1979). Grazie all'esperienza artistica con Zappa, la sua animazione in plastilina è ormai leggendaria in ambito underground e Bickford stesso è un'icona nel panorama dell'animazione in stop motion. A partire dagli anni Settanta, Bickford non ha mai smesso di lavorare, continuando a modellare incessantemente i suoi scenari e i suoi personaggi surreali, animando senza sosta il suo mondo. Purtroppo però Bickford è talmente assorbito dalle sue incessanti visioni, che non ha assolutamente il tempo materiale di dedicarsi al montaggio e all'editing video dei suoi sconfinati progetti ed è quindi molto difficile reperire suoi film completi. 44


A Bickford necessitano anni di meticoloso e infaticabile lavoro per portare a termine le sue animazioni, che scaturiscono da singoli fotogrammi, animati con la tecnica dello stop motion. Le sue opere sono flussi di coscienza visivi, costituiti da un personale assemblaggio d’immagini continuamente mutanti, che scardinano le regole della comprensione logica e della linearitĂ narrativa. La sua elaborata tecnica prevede che i suoi personaggi, gli oggetti e il paesaggio continuamente appaiano e scompaiano uno nell'altro, in una perpetua metamorfosi, con un accelerato ciclo biologico di nascita e morte, che raramente ha una durata superiore ai 5 secondi. Prometheus' Garden è l'unico mediometraggio completato negli ultimi anni dall'artista, ispirato al mito greco di Prometeo, celebrato per aver creato i primi uomini della storia del mondo, modellandoli con la creta. Bickford, nell'incipit del film, novello Prometeo contemporaneo entra nel suo mondo, attraverso un giardino modellato nella plastilina e letteralmente crea personaggi dalla creta instillandogli la scintilla vitale. Da questi personaggi origineranno altri personaggi, dando cosĂŹ vita al mito della creazione. La complicatissima ripresa d'apertura si compone di otto sequenze consecutive, ognuna della durata di una manciata di secondi, nelle quali un numero crescente di personaggi in plastilina appare saltando fuori dal terreno del giardino. Per ottenere questo magma creativo Bickford ha scolpito attentamente ogni personaggio in ciascuno degli stadi della metamorfosi, a partire da microscopiche creature in plastilina per arrivare a personaggi a grandezza naturale. Per ognuna delle otto sequenze citate, Bickford ha creato non meno di 24 scenari, ognuno composto da numerosi personaggi in progressione dimensionale e dinamica. Nel 2004 il regista Brett Ingram ha girato Monster Road un documentario su Bruce Bickford, la sua famiglia e la sua arte. 45


EFFETTI SPECIALI

Trucchi ed effetti visivi L’arte degli effetti speciali è antica quasi quanto il cinema stesso e fin dal principio si è mossa contemporaneamente in due direzioni: da una parte la manipolazione del profilmico attraverso la creazione di modellini, pupazzi o pesanti maquillage volti a mutare i connotati dell’attore e dall’altra la creazione di trucchi specificamente cinematografici ottenuti in laboratorio o al momento delle riprese (dall’arresto e sostituzione già utilizzato da Georges Méliés fino all’uso di esposizioni multiple, mascherini, travelling mattes e altri più sofisticati effetti ottici). «L’espressione “effetti speciali” compare per la prima volta nel 1926, nei titoli di testa del film Gloria (1926) di Raoul Walsh. Il cinema, inventando un appellativo che gli è proprio, si allontana dal cugino “trucco”, coniato sul modello francese truc (impiegato per la prestidigitazione e il teatro dal 1803) e dal più vasto truquage».7 Secondo la definizione di Pierre Hemardinquer, gli effetti speciali sono «tecniche utilizzate per assicurare l’illusione visiva e sonora degli spettatori, ampliare la gamma delle immagini e dei suoni al di là della realtà comune, creare illusioni di azioni o simulare avvenimenti troppo difficili da filmare direttamente per ragioni di sicurezza, di possibilità pratiche o di costi di produzione».8

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Rejane Hamus-Vallée, Gli effetti speciali. Forma e ossessione del cinema, Torino, Lindau, 2006, p.5 8 Pierre Hemardinquer, Technique des effets spéciaux pour le film et le vidéo, Dujarric, Paris 1993, p.5 46


E’ quindi possibile considerare quella degli effetti speciali sia un'arte che una scienza. Una "scienza" in quanto studia le nostre capacità sensoriali ed il modo in cui il nostro cervello percepisce il mondo intorno a noi, e "arte" per l'uso strategico di queste informazioni e la capacità di imbrogliare il sistema sensoriale. Il principio del Motion Picture è completamente basato sul fenomeno della persistenza della visione. I nostri occhi possono mantenere un'immagine per una frazione di un secondo dopo averla vista. Prima che questa si esaurisce, se un'altra immagine simile appare nel medesimo posto, gli occhi la vedono come una continuazione della prima e non percepiscono la pausa fra le due immagini. Quindi, se una serie d’immagini statiche che descrivono progressivamente un'azione scorrono davanti ai nostri occhi in rapida successione, gli occhi la percepiscono come fluida e regolare. Un principio che è alla base di qualsiasi tecnica d’animazione. Gli effetti speciali sono divisi tradizionalmente nelle categorie di effetti ottici e di effetti meccanici. Negli ultimi anni è stata riconosciuta una distinzione più grande fra gli effetti speciali e gli effetti visivi: gli effetti visivi si riferiscono alla postproduzione, mentre gli effetti ottici e gli effetti speciali si riferiscono agli effetti meccanici creati sul set. Gli effetti ottici (anche chiamati effetti fotografici), sono tecniche in cui le immagini o singoli frame della pellicola sono create e maneggiate per film e video. Gli effetti ottici sono prodotti fotograficamente, o "in-camera" utilizzando l'esposizione multipla, o attraverso il processo di Schüfftan (uno specchio speciale che crea l'illusione che gli attori interagiscono con modellini scenografici che appaiono enormi e realistici), o nei processi di post47


produzione per mezzo di software di video editing. Gli effetti meccanici (anche chiamati effetti pratici o fisici), sono compiuti solitamente durante le riprese. Questi includono scenografie, modellini in scala ed effetti pirotecnici. E poi, ancora, gli effetti digitali, generati da un computer che elabora le immagini aggiungendo, togliendo o modificando gli elementi presenti nell'inquadratura, dallo sfondo ai personaggi, spesso utilizzando tecniche di computer animation. L’illusionista Georges Méliès (1861-1938) è stato probabilmente il più importante innovatore della storia del cinema. Durante dieci anni di ricerca e sperimentazione delle potenzialità del cinema, Méliès produce centinaia di brevi film e inventa molti dei metodi che sarebbero stati alla base della produzione degli effetti speciali per gran parte del secolo successivo. Durante gli anni Venti e gli anni Trenta, le tecniche degli effetti speciali vengono migliorate e raffinate dall'industria cinematografica. Molte tecniche non erano altro che modifiche delle illusioni utilizzate dal teatro ed ancora dalla fotografia. Il primo effetto speciale del cinema è un effetto di montaggio, il fermo macchina, una semplice pausa della registrazione. Agli inizi del ‘900 grazie a pionieri come Stuart Blackton e Segundo de Chomòn, tale effetto viene spinto all’estremo, giungendo all’animazione immagine per immagine. L’animazione parte da un oggetto inizialmente fisso per creare, solo grazie alla proiezione, un movimento inesistente. Più lo spostamento dell’oggetto, o successivamente del pupazzo articolato, è minimo tra due riprese, più il movimento sarà fluido.

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Il lavoro artigianale e minuzioso dell’animatore ha reso questa ultima una figura chiave degli effetti speciali. Non si tratta solo di dare movimento ad un oggetto, ma un’espressione ed un’anima a un personaggio. La storia dello stop motion negli effetti speciali è la storia di Willis O’Brien, George Pal, Ray Harryhausen e Phil Tippet.

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Willis O’Brien & King Kong

Nato ad Oakland in California nel 1886, il giovane Willis O’Brien inizia a lavorare come scultore di marmo e successivamente come cartoonist per il quotidiano Daily News di San Francisco, prima di essere assunto per creare le sculture per la Fiera Mondiale di San Francisco del 1913. Mentre stava preparando alcune piccole sculture di plastilina per un esibizione di pugilato, O’Brien fa un esperimento che avrebbe cambiato la sua vita e la storia del cinema di effetti speciali. Utilizzando una macchina da presa da cinegiornale avuta in prestito, O’Brien muove le sculture poco alla volta registrando ogni frame. Una volta sviluppata la pellicola, O’Brien assiste ad un match di pugilato in miniatura con movimenti meccanici e convulsi. Le immagini non erano perfette, ma O’Brien aveva creato la vita là dove non c’era e ne rimane affascinato. O’Brien trascorre quindi i due mesi successivi nello scantinato di un teatro di San Francisco per produrre The Dinosaur and the Missino Link (1915), un cortometraggio grottesco di cinque minuti su di un uomo scimmia e varie creature preistoriche realizzate grossolanamente. Il risultato finale, comunque, è talmente impressionante che il film viene acquistato dalla Edison Company per essere distribuito e O’Brien si trasferisce in California per produrre altri film. Tra il 1915 e il 1918 O’Brien produce numerosi cortometraggi, come Prihistoric Poultry (1917) e Curious Pets of Our Ancestors (1917). Il più importante tra questi è un film dal titolo Nippy’s Nightmare in cui combina l’animazione sempre più sofisticata di un dinosauro con delle riprese di attori in live action. Nel 1918 scrive e dirige il mediometraggio The Ghost of Slumber

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Mountain. Per rendere i dinosauri più accurati e realistici O’Brien lavora con il Museo Americano di Storia Naturale. Il film ottiene un successo enorme ed attira l’attenzione del produttore Watterson R. Rothacker, fondatore della Industrial Motion Picture Company, il quale incoraggia il regista a sviluppare la tecnica degli effetti speciali. Rothacker possedeva i diritti del romanzo di Sir Arthr Conan Doyle The Lost World [pubblicato nel 1912] e decide di assumere O’Brien per dar vita ai dinosauri protagonisti della storia. Consapevole che i propri pupazzi non fossero abbastanza sofisticati per The Lost World, O’Brien decide di affidarsi ad un giovane scultore di nome Marcel Delgado che aveva conosciuto durante gli studi artistici. Utilizzando come riferimento le riproduzioni di Charles Knight, Delgado impiega i due anni successivi per realizzare cinquanta dettagliati mostri preistorici, alti circa 45 centimetri, provvisti di complesse armature metalliche anatomicamente perfette, ricoperti di spugne e ovatta per ricreare i muscoli e la carne e di uno strato di latex liquido per la pelle. Mentre Delgado lavora ai modelli, O’Brien supervisiona la costruzione della scenografia e del paesaggio, una miniatura di 60 x 90 metri costruita nei First National’s Hollywood Studios. Nel giugno del 1922 O’Brien completa un breve montaggio delle prime animazioni dei dinosauri che viene mostrato a Conan Doyle, in visita negli Stati Uniti per delle conferenze. L’autore rimane stupefatto e affascinato. Con la conferma dell’efficacia della sue animazioni, O’Brien continua il lavoro sul film più motivato di prima. Voleva mostrare qualcosa che non era mai stato visto prima: persone reali che interagivano e condividevano lo stesso spazio con creature animate. Per fare questo realizza un set a scala reale corrispondente al set in miniatura. I dinosauri venivano animati con una piccola area dell’obiettivo 51


della macchina da presa mascherato (solitamente un angolo in basso), matte shot, in modo che quella parte della pellicola fosse lasciata non esposta. Quando l’animazione era completa, la pellicola veniva riavvolta e un contromascherino veniva disposto sopra l’obiettivo in modo che solo la parte non esposta della pellicola fosse lasciata scoperta. La pellicola allora passava attraverso la macchina da presa una seconda volta per riprendere gli attori nel set a scala reale, come se stessero reagendo ai mostri preistorici nell’altra porzione della pellicola.

Rappresentazione del procedimento di miniature rear projetion utilizzato da O’Brien.

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Questo procedimento di split-screen statico, anche noto come miniature rear projetion, era utilizzato non solo per accostare gli attori e i dinosauri, ma anche i dinosauri e i luoghi reali. Non contento di essere riuscito ad inserire gli attori in scene in miniatura, O’Brien decide di collocare un brontosauro animato all’interno di scena in live-action a scala reale. Circa due mila comparse vengono filmate mentre fuggono da un dinosauro invisibile per le strade di Londra. Il modello del mostro viene quindi animato davanti a un fondale bianco utilizzando una prospettiva della cinepresa corrispondente a quella usata per le riprese in live-action. Successivamente, utilizzando il procedimento del mascherino mobile brevettato dall’operatore Frank Williams (anche chiamato black-backing travelling matte process), combina le inquadrature del dinosauro con quelle in live-action. Il risultato finale, che oggi potrebbe apparire ovvio, per il pubblico dell’epoca risultò strabiliante. The Lost World ottenne un successo enorme. O’Brien riesce a dare una personalità alle sue creature e a infondere loro sfumature dettagliate del carattere. Nonostante il successo del film, O’Brien non torna immediatamente a lavorare; la scoperta del suono e la sperimentazione che ne consegue, catalizzano l’interesse dell’industria cinematografica. Tuttavia nel 1930 O’Brien riesce a convincere la RKO a produrgli un film intitolato Creation. In seguito alla depressione economica dei primi anni Trenta la RKO assume il produttore della Paramount David O. Selznick (1902 – 1965) ed il suo assistente Merian C. Cooper (1893 – 1973) per salvare la compagnia dal sicuro fallimento. La prima decisione di Selznick e Cooper è proprio quella di cancellare il progetto di O’Brien Creation, che era già costato alla compagnia 100,000 $ 53


e non mostrava segni di completamento. Ciò nonostante, Cooper credeva che O’Brien fosse l’unica persona che poteva aiutarlo a realizzare una storia che aveva in mente da tempo. Dopo alcuni esperimenti riusciti di O’Brien, ha così inizio la produzione di quello che il mondo avrebbe in seguito conosciuto come King Kong (1933). Prima di iniziare a lavorare al film O’Brien aveva scoperto le incisioni dell’artista francese Gustave Doré, le cui illustrazioni di scene della foresta con le frange oscure e gli stagni sparsi di luce solare nebbiosa erano in sintonia con quelle che erano le sue idee per creare un’ambientazione preistorica. La miniatura del set della giungla era riempita di alberi nodosi ricavati da argilla modellata e fronde di palme adattate dalla lamiera sottile. Ogni piccolo set era formato da diversi piani, uno dietro l’altro, separati da lastre di vetro sulle quali gli artisti Mario Larrinaga e Bryon Crabble avevano dipinto degli scenari sullo stile delle incisioni di Gustave Doré, in tal modo si aveva l’impressione di una grande profondità di campo. Marcel Delgado viene chiamato per creare i modellini delle creature. Per Kong vengono realizzati sei pupazzi di 46 centimetri utilizzando la stessa tecnica usata per i dinosauri di The Lost World. O’Brien ha bisogno, anche questa volta, di combinare l’animazione in stopmotion con le riprese in live action, ma decide di non utilizzare la tecnica del film precedente, lenta e rischiosa. Il procedimento di retro proiezione (o rear projection effect) era stato perfezionato nei primi anni Trenta e la RKO era una delle case di produzione più all’avanguardia nell’uso di questa tecnica e di un nuovo tipo di background screen inventato dal capo del reparto decoratori e pittori di scena Sydney Saunders. Le prime scene che adottano questa tecnica sono quelle in cui l’attrice Fay Wray è arrampicata ad un albero mentre sullo sfondo scorrono le immagini 54


dello scontro tra Kong e un tirannosauro, animati precedentemente. Per completare l’animazione di King Kong occorrono 55 settimane. Alcune animazioni si trasformano in maratone lunghissime. Una volta iniziata, l’animazione di una scena continua fino a quando non è terminata. Mentre il team di animatori filma i campi lunghi delle animazioni di Kong, O’Brien anima lui stesso scene particolarmente emozionali e primi piani. Il risultato è che Kong rimane una delle creature più emotive ad essere state create per lo schermo. King Kong è indubbiamente il successo tecnico più straordinario di quel periodo ed un catalogo delle più moderne tecniche di effetti speciali.

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George Pàl

Oltre a Willis O'Brien, un altro pioniere e sperimentatore della tecnica dello stop motion nel cinema d’animazione e degli effetti speciali, è George Pàl. George Pàl (Cegléd, 1908 – Los Angeles, 1980) è stato un regista, produttore cinematografico e tecnico degli effetti speciali statunitense d’origine ungherese. Nel 1925, a diciassette anni, viene ammesso al Liceo Artistico di Budapest dove frequenta i corsi di anatomia, composizione e colore e apprende tutti i principi basilari dell'arte del disegno. Laureatosi nel 1928, viene impiegato come apprendista nella creazione di cartoni animati alla Hunnia Film Studio di Budapest. Dopo il matrimonio decide di trasferirsi a Berlino dove trova lavoro come animatore nei famosi studi dell'UFA, la casa di produzione tedesca alla quale si debbono capolavori come Metropolis (1927) e Frau im Mond [“Una donna sulla Luna”] (1929) di Fritz Lang. Dopo due mesi di lavoro Pàl riesce ad ottenere la direzione di tutto il settore UFA dei cartoni animati. Nel 1933, in seguito all’avvento del nazismo, Pàl decide di trasferirsi a Praga dove apre uno studio per conto proprio cominciando a realizzare i disegni per le sue animazioni, ed inizia a pensare di portare la tecnica dei cartoni animati agli oggetti tridimensionali animandoli fotogramma per fotogramma. Nel 1934 Pàl si trasferisce a Parigi e comincia a realizzare i primi filmati pubblicitari con una fabbrica di sigarette, animandole sullo schermo a passo uno. A poco a poco inizia a realizzare brevi filmati animati completamente autonomi come Ship of the Ether e Philips Cavalcade (1934), The Sleepeng Beauty (1935), What Ho, She Bumps (1937)

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conosciuto anche come Captain Kidding, e Love on the Range (1939). Nel 1939 Pal decide di trasferirsi con la famiglia negli Stati Uniti. Il presidente della Paramount, Barney Balaban, che aveva casualmente visto uno dei prodotti di Pàl ed era rimasto colpito dalla sua tecnica di animazione gli propone un contratto con la Paramount garantendogli assoluta libertà e la diffusione dei suoi Puppetoons (in questo modo aveva chiamato i suoi pupazzi animati fotogramma per fotogramma). Queste animazioni erano realizzate con pupazzi di legno, usando la "replacement technique" inventata del Pàl, che consisteva nell’utilizzo di puppet diversi (o parti di questi) per ogni movimento. Per una singola sequenza di movimento, ad esempio, utilizzava dodici paia di gambe per personaggio. Un tipico Puppetoon richiedeva circa 9.000 pupazzi intagliati e circa 12.000 esposizioni. Nel 1940 nasce la George Pàl Productions. Con uno studio che s'ingrandiva sempre di più, e che contava tra i suoi animatori artisti come Gene Warren, Bob Baker e il giovane e talentuoso Ray Harryhausen, Pàl produce film come Western Daze e Rhythm in the Ranks (1941), Tulips Shall Grow (1942) e Jasper and the Beanstalk (1945). Nel 1944 l'Accademy of Motion Picture Ars and Science, gli attribuisce un Oscar Speciale "per aver saputo creare e sviluppare nuove tecniche di ripresa con la sua serie dei Puppetoons". Nel 1949, realizza The Great Rupert, le imprese di uno scoiattolo ammaestrato, realizzato a pupazzi animati, in cui combina l’animazione in stop motion con le riprese in live-action. Mentre Pàl stava ancora completando The Great Rupert, la casa di produzione Eagle Lion decide di concedergli i finanziamenti per realizzare un altro film, Destination Moon (1950), tratto da un romanzo di Robert Heinlein, per la regia di Irving Pichel. 57


Il film è un successo, viene premiato con un Oscar per gli effetti speciali e apre la strada ai suoi successivi film di fantascienza. Negli anni Cinquanta e negli anni Sessanta, sei delle pellicole da lui prodotte vincono l’Oscar per gli effetti speciali. Le produzioni di questi anni contengono meno scienza e più fantasia, ma la sua attenzione per il dettaglio e l’uso giudizioso e misurato di effetti speciali straordinari ha fatto si che le sue pellicole, come When Worlds Collide (1951), The War of the World (1953), The Conquest of Space (1955), The lost Continent (1960) e The Time Machine (1960) prodotto e girato da lui stesso, siano state le più popolari e acclamate dalla critica di quel periodo.

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Ray Harryhausen All’età di tredici anni Ray Harryhausen (Los Angeles, California, 29 giugno 1920) assiste alla proiezione del film King Kong al Grauman’s Chinese Theater di Holywood e ne rimane folgorato. Ossessionato dalla voglia di scoprire i trucchi utilizzati per la sua creazione, scopre la tecnica dello stop motion ed inizia a sperimentare l’animazione in un piccolo studio costruito dal padre nel garage di casa, riprendendo dei modellini di mostri ed animali modellati da lui stesso. Dopo un incontro con Willis O’Brien, inizia a studiare anatomia, fotografia, pittura e scultura.

Ray Harryhausen al lavoro su un suo modellino.

Nel 1940, grazie ad un’animazione di prova che aveva realizzato per un progetto poi abortito chiamato Evolution (in segno d’omaggio al Creation di O’Brien), che mostrava due dinosauri in lotta, viene assunto da George 59


Pàl come animatore dell'equipe tecnica che realizzava i suoi Puppetoons. Dopo aver trascorso il periodo della guerra lavorando come cameraman e animatore nella Army Motion Picture Unit di Frank Capra, Harryhausen inizia a realizzare una propria serie di fiabe animate. Nel 1946 gli giunge l'offerta di unirsi all’equipe tecnica di Willis O'Brien e con lui debutta nel film Mighty Joe Young [“Il Re dell’Africa”] (1949), per cui realizza la scena del gorilla chiuso dentro la prigione e gran parte dell’animazione dei personaggi. Nella realizzazione di Mighty Joe Young vengono utilizza molte delle tecniche sviluppate per King Kong. Un piccolo ma significativo progresso è l’uso della pelliccia gommata per i pupazzi gorilla, mentre Kong era ricoperto da una pelliccia di coniglio. Dopo l’uscita di Mighty Joe Young, a Harryhausen viene proposto il ruolo di animatore capo per il monster movie a basso costo The Beast from 20,000 Fathoms (1953). Il procedimento utilizzato da O’Brien per gli sfondi, grandi lastre di vetro dipinte, non potevano essere utilizzate a causa dei costi di produzione ed oltretutto limitavano la macchina da presa ad una singola inquadratura. Harryhausen inventa allora una nuova tecnica, opposta a quella di O’Brien, per combinare le riprese in live-action con le creature animate e le miniature degli sfondi, chiamata Dynamation. Harryhausen utilizza la proiezione posteriore per disporre le sue creature in ambienti reali in cui sono presenti gli attori reale. Durante le riprese in live-action, gli attori fingono di reagire ai movimenti delle creature, spesso utilizzando dei punti di riferimento. Harryhausen quindi studia le azioni della creatura animata in relazione all’ambiente e agli attori. Harryhausen prepara a questo punto un set in miniatura tra un vetro opaco 60


e uno schermo dove retro-proietta i singoli fotogrammi girati dagli attori e sistema il mostro nella posizione voluta. Scatta un fotogramma e poi, subito dopo, proietta sullo schermo il fotogramma successivo del film con gli attori, spostando il suo mostro di una frazione di millimetro. Contemporaneamente un pezzo del vetro opaco tra la macchina fotografica e il set viene verniciato di nero in modo che non sia esposto. Su

questa

parte

il

regista

proietta

successivamente

lo

scorcio

dell’inquadratura in live-action che deve comparire davanti alla creatura animata. Tutto questo è fatto un fotogramma alla volta, fino a completare la scena. Il risultato finale mostra il modello animato che interagisce alla perfezione con tutti gli altri elementi dell’inquadratura, dotata di una notevole profonditĂ di campo.

Rappresentazione della tecnica di Dynamation utilizzata da Harryhausen.

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Harryhausen, inoltre, apporta alcune modiche al tipo di pupazzi utilizzati per l’animazione. La tecnica utilizzata da Delgado per i pupazzi dei film di O’Brien era impressionante, ma se durante le riprese capitava che si danneggiassero, era necessario ricostruirli da capo. Harryhausen decide invece di costruirli utilizzando la plastilina. I modellini vengono ricoperti con del gesso per creare uno stampo. Lo scheletro delle creature viene disposto dentro lo stampo e riempito di schiumosa gomma liquida. Una volta cotta, la gomma si fissa. La creatura di gomma viene poi dipinta e corredata di occhi, capelli, vestiti e accessori. Se durante le riprese si andava incontro a un incidente, il pupazzo poteva essere spogliato del rivestimento e ricoperto di un nuovo rivestimento di gomma identico al precedente. Ma Harryhausen non utilizza sempre questo metodo per creare le sue creature. Per Mysterious Island (1961), crea un crostaceo gigante infilando l'armatura all'interno della corazza reale di un granchio. Dopo la serie dei monster on the rampage films degli anni Cinquanta, Harryhausen si rivolge ai soggetti per cui è diventato famoso. The 7th Voyage of Sinbad [“Il Settimo Viaggio di Sinbad”] (1958) è il primo di una serie di film tratti dai racconti delle Mille e Una Notte e dai miti greci. Il lavoro di Harryhausen in questi film mitologici è artisticamente e tecnicamente sbalorditivo e l’animatore presta più attenzione che mai ai dettagli e alla caratterizzazione delle sue creature, dando loro peculiarità impercettibili e semplici tic che li rendono più credibili. Nei primi anni Sessanta, Harryhausen e il suo produttore Charles Schneer si spostano in Inghilterra, più vicina alle locations europee che utilizzavano 62


solitamente. Durante questo periodo Harryhausen sviluppa numerose nuove tecniche per combinare animazione e live-action in maniera più realistica. Una delle scene più memorabili e di ardua esecuzione tecnica è quella del combattimento degli scheletri in Jason and the Argonauts [“Gli Argonauti”] (1963) per la regia di Don Chaffey. Per questa scena Harryhausen pianifica meticolosamente i movimenti di ogni singolo frame per animare sette scheletri simultaneamente. Per ogni frame deve animare 35 diversi movimenti, perfettamente sincronizzati con le azioni di tre attori in live-action. Harryhausen realizza circa tredici frames al giorno per quattro mesi e mezzo per completare l’intera sequenza. Una dedizione fisicamente e mentalmente estenuante, se si pensa che Harryhausen è stato personalmente responsabile di ogni singolo frame d’animazione di ogni suo lavoro. Nonostante Jason and the Argonauts sia oggi considerato il miglior film di Harryhausen, all’epoca della sua uscita non ottiene un grande successo tra il pubblico. Harryhausen stava comunque già lavorando a First Men in the Moon [“Base Luna chiama Terra”] (1964), ispirato ad un romanzo di H.G. Wells. In seguito collabora con la Hammer, realizzando i dinosauri per One Million Years B.C. [“Un milione di anni fa”] (1966) e quindi con la Warner per un altro film di dinosauri, The Valley of Gwangi [“La vendetta dei Gwangi”] (1969), un suo progetto personale che cercava di realizzare da diversi anni. Negli anni Settanta torna a lavorare a film mitologici con The Golden Voyage of Sinbad [“Il viaggio fantastico di Sinbad”] (1974) e Sinbad and the Eye of the Tiger [“Sinbad e l'occhio della tigre”] (1977). 63


Nel 1981 lavora per l'ultima volta con delle miniature animate a passo uno, nel film Clash of the Titans [“Scontro di Titani”], che gli vale una nomination ai Saturn Awards come Migliori Effetti Speciali. Il suo lavoro è stato riconosciuto solo nel 1992, quando gli è stato assegnato il Gordon E. Sawyer Award dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences alla carriera per il contributo dato al cinema d’animazione e degli effetti speciali.

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Motion Blur

L’animazione in stop motion è capace di creare l’illusione della vita in oggetti inanimati, ma tale tecnica presenta dei difetti che impediscono di creare immagini del tutto realistiche. Quando un oggetto in movimento è filmato alla velocità standard di 24 frames al secondo, l’otturatore rimane aperto per la durata dell’azione. Il risultato è un’immagine che contiene un certo grado di motion blur, un difetto di nitidezza dovuto al movimento dei soggetti inquadrati durante l'esposizione. Il motion blur (mosso fotografico) contribuisce a comunicare l'illusione di movimento realistico quando le immagini statiche sono successivamente proiettate in sequenza rapida su uno schermo. Un oggetto animato in stop motion viene mosso prima di essere fotografato, quindi il suo movimento non possiede motion blur. I movimenti dell’oggetto sembrano saltare da una posizione alla successiva invece di fluire come una reale ripresa in live-action. Questo movimento a scatti, chiamato strobing è più pronunciato nel muoversi

veloce

degli

oggetti

animati

che

cambiano

posizione

notevolmente da un frame all’altro, ed è ancora più evidente quando l’animazione di oggetti, privi di motion blur, è combinata con attori in liveaction che invece hanno un difetto di nitidezza. Molte persone credono che è proprio l’assenza del motion blur a rendere la tecnica dell’animazione in stop motion unica e magica. Senza motion blur, i mostri mitici animati da Ray Harryhausen possiedono una presenza eterea che li rende particolarmente efficaci all’interno dei film fantastici in cui appaiono. Tuttavia, per molte produzioni l’obiettivo è proprio l’assoluto realismo, e

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senza motion blur, l’animazione in stop motion non può mai essere scambiata per live-action. L’animatore Jim Danforth per creare artificialmente l’effetto mosso nell’animazione di alcune sequenze di dinosauri nel film When Dinosaurs Ruled the Earth [“Quando i dinosauri si mordevano la coda”] (1970), usa un metodo che richiede molto tempo e che consiste nell’impressionare tre volte ciascun frame di animazione. Il puppet viene mosso nella posizione e fotografato a un terzo dell’esposizione normalmente necessaria per catturare una buona immagine. Dopo aver mosso il pupazzo, l’animatore impressiona la seconda immagine nello stesso frame del film, ancora una volta ad un terzo dell’esposizione corretta. Dopo aver ripetuto questa operazione una terza volta, il risultato è un singolo frame esposto correttamente in cui l’oggetto animato compare in tre posizioni. Le parti del soggetto che si muovono rapidamente - come le sue gambe – appaiono parzialmente trasparenti, perché in queste aree le tre esposizioni registrano immagini dello sfondo, prima o dopo che l’oggetto è stato mosso davanti a questo. Benché efficace, questo metodo richiede che l’artista animi tre pose per ogni singolo frame del film. Invece di 24 movimenti separati per secondo, quindi, il processo richiede 72 spostamenti, rendendolo senza dubbio assai poco pratico. Un altro metodo per creare un’area di mosso fotografico attorno all’oggetto, consiste nello spalmare della gelatina di petrolio su una lastra di vetro posizionata tra la macchina da presa e l’oggetto da animare. Anche questo processo richiede un enorme dispendio di tempo dato che il grasso deve essere lavato via dal vetro e riapplicato in corrispondenza del movimento dell’oggetto ad ogni frame. L’effetto di motion blur così ottenuto, tuttavia, risulta alla fine abbastanza convincente. Questa tecnica è stata usata da Peter Kleinow per dar vita al robot Terminator nella sequenza 66


animata del film The Terminator (1984) di James Cameron. Il mosso fotografico nell’animazione in stop motion, può inoltre essere prodotto muovendo il pupazzo durante l’esposizione. Questo metodo è stato utilizzato da Phil Tippett nell’animazione del robot ED-209 del film RoboCop (1987) di Paul Verhoeven. Ad ogni nuova posizione il pupazzo viene filmato normalmente. Tuttavia, mentre l’otturatore della macchina da presa è ancora aperto, il modellino viene leggermente agitato. In questo modo si riesce a dare all’immagine un grado di motion blur che risulta piuttosto efficace. Prima di lavorare sul set di RoboCop, Phil Tippett aveva preso parte a diversi esperimenti che erano culminati in alcune delle animazioni più efficaci mai prodotte. Durante la realizzazione di Star Wars [“Guerre Stellari”] (1977), la Industrial Light & Magic, l’azienda creata da George Lucas per creare gli effetti speciali dei suoi film, sperimenta l’uso del motion-control camera, un sistema per "programmare" il movimento di camera (normalmente attaccata ad un braccio) che permette di ripetere lo stesso movimento della macchina da presa. Con questo procedimento il team di animatori filma i modellini delle navi spaziali un frame alla volta, mentre, contemporaneamente, la macchina da presa si muove per superarle, aggiungendo un effetto realistico di motion blur. Nella produzione di The Empire Strikes Back [“L’Impero colpisce ancora”] (1980), il gruppo dell’Industrial Light & Magic prova ad applicare questa tecnologia all’animazione in stop motion delle creature chiamate tauntauns. I pupazzi vengono fissati a un meccanismo di motion-control che può muoverli avanti e indietro e sopra e sotto. Le azioni della corsa dei tauntaun, così come i movimenti della testa e delle gambe, vengono animati da Phil Tippett in maniera tradizionale, ma durante le riprese il meccanismo di motion-control muove i modellini in orizzontale e in 67


verticale mentre l’otturatore della cinepresa è ancora aperto. La conseguenza è un effetto di motion blur che aiuta ad eliminare i problemi dell’animazione in stop motion tradizionale. Subito dopo aver lavorato a The Empire Strikes Back, il team d’animatori dell’Industrial Light & Magic migliora ulteriormente le proprie tecniche durante la realizzazione di Dragonslayer [“Il drago del lago di fuoco”] (1981) diretto da Matthew Robbins.

Phil Tippett accanto alle apparecchiature usate per la Go-Motion.

Il procedimento del motion-control viene sviluppato in un sistema che può controllare specifiche articolazioni del modellino. Le articolazioni sono fissate a motorini collegati ad un computer che può registrare i movimenti di ogni singola posa mentre il pupazzo è animato tradizionalmente.

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Una volta che l’intera sequenza è stata programmata secondo le intenzioni dell’animatore, il modellino viene riportato alla posizione iniziale. A questo punto è possibile girare l’intera sequenza. Il pupazzo ripete meccanicamente e in successione i movimenti registrati in precedenza, sotto il controllo del computer, con l’otturatore della macchina da presa aperto. Il risultato è un movimento sorprendentemente fluido e realistico, grazie alla presenza di un reale effetto motion blur. Questa tecnica, evoluzione dello stop motion, è conosciuta come Go-Motion. Benché incredibilmente efficace, la Go-Motion è stata utilizzata solo occasionalmente, come ad esempio nella scena memorabile delle biciclette volanti nel film E.T. The Extra-Terrestrial [“E.T. l’Extra-Terrestre”] (1982) di Steven Spielberg.

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Phil Tippett

Phil Tippett (1951 - ) è un regista e un supervisore e produttore di effetti speciali, specializzato in creature design e character animation. Dopo aver visto The 7th Voyage of Sinbad (1958), Tippett rimane affascinato dall’animazione dei personaggi di Harryhausen. Durante gli studi d’arte alla University of California, acquisisce esperienza animando i personaggi di numerose pubblicità ed inizia a lavorare allo studio di animazione Cascade Pictures di Los Angeles. Nel 1977 entra a far parte del team di animatori del film Star Wars, per lavorare al design degli alieni e animare la sequenza della partita a scacchi olografici tra Chewbacca e R2-D2. Tippett diventa un collaboratore fisso dell’Industrial Light & Magic, l’azienda di George Lucas, e fa parte del team che anima la scena dei robot AT-AT sulla neve nel film The Empire Strikes Back. Anima inoltre la celebre scena delle creature tauntaun e sviluppa un nuovo metodo per aggiungere l’effetto di “mosso fotografico” all’animazione in stop motion. In questi anni, inoltre, contribuisce a rifinire il procedimento chiamato Go-Motion. A partire dal 1978 Tippett dirige il reparto di animazione dell’Industrial Light & Magic e nel 1981 riceve la sua prima nomination agli Academy Award per l’animazione del film Dragonslayer. Dal 1982 inizia a dirigere il reparto creature dell’ILM, dove disegna e costruisce i personaggi per il film Return Of Jedi [“Il Ritorno dello Jedi”] (1983) per i quali vince il suo primo Oscar. Nel 1983 Tippett lascia l’Industrial Light & Magic e crea il Tippett Studio. Lo stesso anno realizza un film sperimentale di dieci minuti dal titolo

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Prehistoric Beast. Il realismo dei dinosauri realizzati e la riflessione sulle moderne teorie scientifiche convincono l’emittente televisiva CBS a commissionargli il documentario animato Dinosaur! per il quale lo studio viene premiato con un Emmy Award per gli effetti speciali. Nel corso degli anni Ottanta, lo studio realizza le sequenze d’animazione in stop motion per numerosi film, tra i quali RoboCop (1987) e Honey, I Shrunk the Kids [“Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi”] (1989). Nel 1991 Tippett viene assunto per creare l’animazione dei dinosauri del film Jurassic Park (1993) di Steven Spielberg utilizzando la tecnica del Go-Motion. Dopo aver visto i brevi test in CGI (Computer Genereted Imagery, immagini generate al computer) di Dennis Muren e del suo team dell’ILM, Spielberg rimane sbigottito. Lo stop motion viene abbandonato e Tippett

nominato

supervisore

all’animazione.

Tippett

supervisiona

contemporaneamente il lavoro del Tippett Studio e degli animatori dell’ILM nella realizzazione dei realistici dinosauri digitali e nel 1993 è premiato con il suo secondo Oscar. Sebbene diriga uno studio che continua ad espandersi, Tippett riesce a gestire da vicino lavori che combinano la tecnologia digitale con la tradizionale animazione in stop motion. Nel 1995 il Tippett Studio crea gli effetti speciali del film come Starship Troopers (1997) di Paul Verhoeven. Per il grado del suo coinvolgimento viene accreditato come co-direttore delle sequenze delle battaglie. Il lavoro fatto per questo film gli vale la sesta nomination agli Academy Award. Nel 2000 collabora col regista Ivan Reitman come supervisore agli effetti speciali per il film Evolution (2001). Il Tippett Studio disegna, realizza e anima più di 17 extraterrestri in 175 scene. Il suo studio ha realizzato inoltre gli effetti speciali di film come Hellboy (2004) di Guillermo Del Toro e Charlotte’s Web (2006) di Gary Winick. 71


Conclusioni

Con l’avvento del cinema digitale e delle tecniche d’animazione in CGI, lo stop motion è stato a poco a poco sostituito dalle immagini generate al computer. Tuttavia, come spesso accade, questa tecnica d’animazione, abbandonata all'oblio, negli ultimi anni è stata riscoperta da numerosi artisti. Grazie al lavoro d’animatori appassionati, il pubblico moderno può godere di nuovo dell’originale immediatezza di film creati interamente utilizzando la tecnica dello stop motion, benché la loro produzione, scrupolosamente lenta, fa sì che tali pellicole siano poche e distanti tra loro. La Aardman Animation Ltd. ha ottenuto un successo enorme producendo i film Chicken Run [“Galline in fuga”] (2000) e Wallace & Gromit: The Curse of the Were-Rabbit [“Wallace & Gromit e la maledizione del coniglio mannaro”] (2005) di Nick Park, mentre Tim Burton ha voluto rendere omaggio ai maestri di questa tecnica, riuscendo a riportarla in auge, con i film The Nightmare Before Christmas (1993) per la regia di Henry Selick, e Corpse Bride [“La Sposa Cadavere”] (2005) girato assieme al collega Mike Johnson. L’esempio più recente è poi quello del breve film a pupazzi animati Peter & the Wolf [“Pierino e il Lupo”] (2006) di Suzie Templeton, ispirato all’opera di Sergei Prokofiev, che è stato premiato agli Academy Awards del 2008 come miglior cortometraggio d’animazione. Sebbene tali pellicole siano state realizzate utilizzando principalmente i procedimenti tradizionali, i loro creatori hanno impiegato anche le più recenti tecnologie per portare le loro visioni sullo schermo. Infatti, nonostante i moderni film in stop motion continuino ancora a dipendere dall’abilità, dal talento e dalla passione degli animatori, le

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tecniche digitali rendono la loro produzione ogni volta più veloce e facile, aiutando gli artisti a creare opere sempre più sofisticate. Corpse Bride, ad esempio, è stato il primo film in stop motion girato in digitale. Per i precedenti film a passo uno (come Galline in fuga dell'Aardman Animations) erano state utilizzate cineprese Mitchell modificate, le stesse vecchie cineprese usate per King Kong. Le camere scelte per la produzione di Corpse Bride, invece, sono state delle Canon EOS-1D Mark II, un tipo di Digital Single Lens Reflex. E’ stato poi necessario un lavoro addizionale, per sviluppare sistemi che permettessero un posizionamento appropriato delle cineprese, il montaggio delle lenti ottiche Nikon e l'anteprima delle scene in camera. Corpse Bride è stato anche il primo film animato in stop motion ad usare il programma di montaggio digitale Final Cut Pro HD della Apple. Per dare alla pellicola la tradizionale visione di un comune film, ogni immagine è stata processata con un profilo di colore basato su un tipo di pellicola usata nei lungometraggi. Il film è stato il primo, animato in stop motion, ad usare la nuova tecnica "gear and paddle" per le teste dei pupazzi utilizzati. Questo nuovo sistema consiste in un complesso sistema d’ingranaggi (gear) all'interno della testa del personaggio. I vari meccanismi vengono attaccati a delle pale (paddle) esterne. Aggiustando i meccanismi, inserendo una brugola dentro piccoli fori localizzati sulla testa dei pupazzi e nelle orecchie, le pale si muovono, aggiustando così l'espressione facciale del personaggio. Ciò permette un maggiore e migliore sistema dei cambiamenti emozionali e della sincronia al contrario che nel vecchio stile di sostituzione delle teste. La soffice "pelle" dei pupazzi ed il successivo ritocco digitale delle immagini, dà inoltre al personaggio un aspetto più naturale. 73


L’evoluzione tecnologica ha allargato a tal punto le potenzialità espressive da annullare la specificità dell’animazione nella produzione digitale delle immagini, ed oggi il confine fra espressione artistica e ricerca scientifica è ormai del tutto svanito. Anche se oggi l’uso del CGI (Computer Genereted Imagery) ha reso la tecnica dello stop motion obsoleta come strumento degli effetti speciali, le sue peculiarità visive - che sembrano andare in diretta controtendenza, in direzione del recupero dell’uso del profilmico piuttosto che del digitale, della costruzione manuale piuttosto che della programmazione, dello spazio e della profondità piuttosto che della superficie - fanno si che questa continui ad essere utilizzata per diversi prodotti, come programmi televisivi per bambini, video musicali e commercials di grande successo. Il genere del videoclip è stato un vero e proprio laboratorio in cui sperimentare le nuove possibilità tecniche, dalla manipolazione fotografica alle nuove possibilità offerte dal computer, giocando sullo spazio tra seconda e terza dimensione, pittura e realismo, fotografia e collage. I video musicali, così come commercials e spot pubblicitari, costruiscono una forma di narrazione, ma non seguono uno svolgimento lineare dall’inizio alla fine e pertanto si avvalgono d’immagini in pellicole o video, modificate però sino a negare le norme tradizionali del realismo cinematografico. Le immagini costruite con materiali eterogenei non sono più subordinate al realismo fotografico, ma si basano su una nuova strategia estetica. Dal video per il singolo di Peter Gabriel Sledgehammer, realizzato dalla Aardman e dai Quay Brothers, ai video della band californiana Tool realizzati dal chitarrista Adam Jones, dai commercials dell’artista indipendente PES per Sneaux (2007), Orange Telecom (2006), Coinstar (2005) e Bacardi (2005), al nuovo spot Sony Bravia in clay animation creato dallo studio londinese Fallon, per citare gli esempi più 74


eclatanti, la tecnica dello stop motion ha continuato negli anni ad ispirare artisti ed animatori nella creazione di prodotti di natura del tutto diversa. Lo sviluppo di Internet ed in particolare del Social Networking Website (comunità virtuali di persone interessate ad un determinato argomento), inoltre, ha reso possibile la nascita e la diffusione di cortometraggi digitali amatoriali d’animazione. Tra questi, un enorme successo è stato ottenuto dai Brickfilms, filmati di lunghezza variabile creati con la tecnica dello stop motion, interamente realizzati con i mattoncini e con i personaggi LEGO, in cui la flessibilità limitata dei pupazzi e l’azione poco realistica si trasformano in caratteristiche peculiari e affascinanti. Accanto ai Brickfilms, un’altra tendenza diffusa su internet, è poi quella dei video artigianali in clay animation di solito estremamente semplici ma efficaci, caratterizzati da toni comico-demenziali e splatter, pubblicati su siti come Google Video o You Tube. Lo stop motion è esagerazione ed esaltazione del movimento. Frazionando il tempo al ventiquattresimo di secondo l’animazione prende coscienza delle più piccole sottigliezze del movimento. Cattura l’anima degli oggetti che articola con meticolosità, millimetro per millimetro. Alexandre Alexeieff afferma: «L’animatore interviene direttamente nel movimento interno a ciascuna immagine e nel ritmo che costituisce il legame tra un'immagine e l'altra. Questa è una risorsa che può gestire nelle unità minime di movimento, a differenza del regista del cinema “dal vero” che amministra sì il movimento ma solo parzialmente. Il “potere” del controllo dettagliato del movimento e del tempo determina tutte le potenzialità espressive del cinema di animazione […] come la pittura sviluppa la coscienza dei colori, dei valori e delle forme, così l’animazione sviluppa la coscienza dei movimenti e delle durate». Lo stop motion è ritorno agli albori del cinema, è ritorno all’infanzia. 75


Se i cartoni digitali spostano l’attenzione sulla superficie; se le tecniche della computer graphic tendono a riprodurre il più possibile una realtà mediata dalla fotografia, facendo dimenticare la difficoltà e la specificità delle tecniche stesse, all’opposto lo stop motion fa di tutto per riportare in luce la meraviglia per la costruzione, per la manualità, per l’abilità artigianale. Le animazioni in stop motion reintegrano i piani del contenuto e della forma,

del

significato

e

del

significante,

attraverso

la

reale

tridimensionalità, e l’esaltazione dell’elemento inventivo: non personaggi e luoghi come se fossero fotografie, ma elementi reali ed esistenti. La materialità dei personaggi e degli ambienti, che siano di plastilina o di resina e alluminio, è parte integrante del processo di fascinazione. The Nightmare Before Christmas esce nel 1993, Toy Story di John Lasseter, il primo lungometraggio della storia del cinema interamente realizzato in computer graphic, nel 1995: la tecnica dei puppetoons torna alla ribalta quasi contemporaneamente alla rivoluzione dell’animazione digitale. Si tratta di due reazioni differenti, praticamente opposte, alla stessa esigenza di innovazione del mezzo dell’animazione. Nell’epoca digitale il cinema d'animazione è il settore che colonizza le altre modalità di produzione di immagini, comune denominatore di ogni costruzione di sintesi. Questo ne fa una delle espressione più complete dell’immagine in movimento nella contemporaneità, perchè riserva ancora una pluralità di scelte e dunque una ricchezza che la contaminazione non può che accrescere: l’ibridazione tra nuove forme e vecchi stili come lo stop motion è un esempio di questa ricchezza.

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Lo stop motion può essere un’alternativa valida proprio al paradigma fotografico, se si accetta che tale percorso parallelo possa anche non identificarsi con l’immagine digitale. Perfettamente in linea con la giocosità delle nuove tecnologie, la tecnica d’animazione a passo uno contiene ontologicamente i tratti di un legame con la realtà, e tuttavia ha le caratteristiche giuste per essere molto altro.

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