Bonsai & Suiseki magazine - Marzo 2010

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BONSAI & SUISEKI MAGAZINE: THE FIRST OPEN-MAGAZINE We think this self-made journal is destined to be for the elite, a precious icon only for a few. It is not meant to be for many, we are not interested in the number of readers, but in quality as bonsai and suiseki are products of excellence. It is not in competition with any other magazine on the market because owing to its features, it has no competitors, no market, no editors and therefore it is in the condition of being independent of the economic power that regulates every mechanism and affects thought in modern society. This is a magazine whose sole and basic interest lies in the best qualified dissemination of bonsai and suiseki. We will define this journal with the English term “fanzine, which translated into Italian as “rivista amatoriale/amateur magazine“ comes from the contraction of the English words fan and magazine It is linked to do-it-yourself practice also thanks to the possibility of printing color copies at a cost of only a few cents. A fanzine is a real organ of independent press, as an alternative to so-called mainstream publishing. This magazine is still growing in terms of content and graphics; it is not static: each issue varies depending on the articles and reports that the Editorial Committee decides to publish. It is the first magazine to offer equal space and dignity to suiseki, with the aim of giving it a greater dissemination. From a structural-organizational point of view, the magazine is directed by IBS Instructor Antonio Ricchiari which cooperates with an Editorial Committee composed of IBS Instructors, Luca Bragazzi, Luciana Queirolo, Antonio Acampora, and Carlo Scafuri who are also in charge of the entire editorial process and of external relations. The magazine is an informative, scientific and technical instrument open to all and this flexibility has given it a work in progress quality that other organs of specific sector media do not possess. So, this magazine has developed various forms of assistance for its readers. The context in which such a collaboration operates implies that the Editorial Committee is committed to develop continuously the “containers” of the topics, that the reader is willing to take part in the magazine, and that the staff is ready to stake the whole approved communication system for it. A non rhetorical place for bonsai and suiseki ,therefore, implies that the reader must be ready to play along with it: it is no longer the plant or the stone to be the aesthetic pole, but the rapport, the way we look at the things will introduce us to the work of art itself, as is hinted in the aphorism by Tzara “poetry will resemble you”. The strength, therefore lies in the initiative that has made the magazine tangible and real, the ways in which its visibility has risen remarkably since issue Number One and especially the play of dispositions of the range of coverage which we have put in an ordinary context through an extraordinary medium: that is online communication.

BONSAI y SUISEKI MAGAZINE: EL PRIMERO OPEN MAGAZINE Un auto de esta revista se cree que están destinados a ser para la elite, un icono de unos preciosos. Esta revista no pretende ser para muchos, no nos interesa el número de lectores, pero la calidad como el bonsái y suiseki son un producto de excelencia. No es una revista en competencia con las otras del mercado porque por sus peculiaridades no tiene a competidores, no tiene mercado, no tiene a editores y por lo tanto está en las condiciones de mantenerse independiente del poder económico que regula cada mecanismo en la sociedad moderna y que condiciona el pensamiento. Y’ una revista cuyo interés único y esencial es solamente la mejor y calificada difusión del bonsai y el suiseki. Ésta es una revista que definimos con un término angloparlante “fancine.” El término fancine, que podemos traducir como en italiano “vuelta a ver amatoriale”, deriva de la contracción de las palabras ingleses hinchas, fanatico/appassionato y magazine, revista. Se derrite con la práctica del doy it yourself, error solo, gracias también a la posibilidad de imprimirla en copias a colores al coste de pocos céntesimos. El fancine es un real órgano de prensa independiente, en alternativa a la asillamada industria editorial mainstream. La revista del punto de vista de contenidos y gráfica está en continua expansión, no es estática, varia cada número en función de los escritos y los servicios que el Comité de Redacción decide publicar. Del punto de vista estructural-organizativo el magazine es dirigido por el Instructor IBS Antonio Ricchiari con el que colabora un Comité de Redacción compuesto por los Instructores IBS Luca Bragazzi, Luciana Queirolo, de Antonio Acampora y de Carlo Scafuri que también se ocupa de toda la fase editorial y de las relaciones externas. El Magazine es un instrumento informativo, científico y técnico abierto a todas las colaboraciones y esta flexibilidad lo lleva a haber adquirido un work en progress que otros órganos de prensa sectorial no poseen. Así este magazine ha elaborado varias formas de intervención por sus lectores. El contexto en el que funciona este tipo de colaboración implica el empeño de parte del Comité de Redacción a acrecentar continuamente los “contenedores” de los argumentos, la disposición del lector a intervenir en la revista, la disposición de los colaboradores a poner en juego todo el sistema mismo de la comunicación homologada. Una colocación no retórica, pues, del bonsai y del suiseki implica la disposición de parte del lector de estar al juego: no es la planta o la piedra más a ser el polo estético pero la relación, nuestra mirada por las cosas nos introduce en el funcionamiento de la obra misma, como para aludir al aforismo de Tzara “la poesía os se parecerá”. En fin este magazine representa el arquetipo del digital native generation, la generación crecida a “pan e internet”. Una revelación y una promesa: convertirse en la revista leída en otros Países del mundo. La velocidad del web ha hecho el resto.


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ditoriale di Sandro Segneri

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ari lettori, Vi ringrazio in anticipo per l’attenzione che porrete nel leggere questo spazio. Nel movimento bonsaistico italiano, da decenni esistono delle realtà che si sono dedicate con passione e perseverante impegno a diffondere il bonsai e il suiseki. Queste realtà, molto tangibili nel nostro Paese, hanno fatto si che nel tempo fossero attivate iniziative più o meno importanti, più o meno interessanti, che hanno contribuito alla crescita dell’informazione di questo mondo, che può apparire misterioso, aiutando a sfatare questa diceria. Credo quindi che noi tutti dobbiamo un doveroso grazie a quanti, all'interno di queste realtà, hanno contribuito in maniera evidente a una corretta informazione per praticare queste arti. Mi riferisco in primis a coloro che hanno dato inizio alla conoscenza e che sovente hanno dovuto faticare per scoprire, per cercare di capire, per sperimentare e approfondire le pratiche sia culturali che colturali, spesso inventandosi le tecniche per "arrivare", gli attrezzi e quant’altro necessario alla propria passione e che, successivamente, si sono impegnati nella diffusione delle informazioni assunte ai nuovi adepti che via via si sono a loro avvicinati per conoscere e approfondire queste arti. Sono molteplici i personaggi che hanno lasciato testimonianze scritte con articoli e pubblicazioni e che con dimostrazioni, seminari e work-shop, mettendo a disposizione la loro storia e la loro esperienza, hanno svelato aspetti culturali e tecnici che sono di attualità nel bonsai moderno. Non da meno un ruolo significativo è stato svolto dalle associazioni, prima sparute e non coese e ora molto distribuite sul territorio; ognuna con le proprie finalità, metodi organizzativi e gestionali; di queste, molte oggi si riconoscono nell’associazione nazionale U.B.I. (Unione Bonsaisti Italiani) associazione che cura gli aspetti amatoriali e di promozione dell'arte. Altro contributo va riconosciuto alla didattica, gli istruttori, che con il loro lavoro e metodo hanno contribuito efficacemente alla crescita media del bonsaismo italiano, attuando quelle dinamiche concettuali che si basano su una corretta informazione e che hanno saputo svilupparsi raggiungendo attualmente una professionalità specialistica estremamente evidente e fruibile. In questo settore della didattica, il Collegio Nazionale degli Istruttori del Bonsai e del Suiseki - IBS rappresenta il motore trainante dell’evoluzione “moderna” del Bonsai, del Suiseki. Sono tantissime le energie e il lavoro d’informazione che i singoli istruttori IBS divulgano, da quindici anni, in modo capillare e che hanno segnato una svolta epocale che è oggi rappresentata in modo eloquente nell’immagine ed il livello raggiunto dal bonsai e suiseki italiano.

In questo ultimo trascorso, si sono stabiliti ruoli associativi che hanno attivato sinergie adeguate e funzionali che hanno reso possibile la nascita di scuole che oggi operano con metodologie diversificate, comunque efficaci, e capaci a tal punto da essere presenti, oltre che nel territorio Nazionale, anche in Europa ed oltreoceano; scuole la cui valenza è stata riconosciuta dall’UBI, e oggi anche dall’IBS, per gli appartenenti al collegio, con valutazioni meritocratiche basate sul reale operato e contributo dei caposcuola alla crescita del movimento ed alla rappresentatività bonsaistica italiana nel mondo. Questa riflessione mi fa scaturire l'invito di promuovere in tutte le associazioni percorsi formativi corretti, pedagogici ed efficaci per far si che ogni singolo apporti energia e sinergia per incentivare una sempre più corretta divulgazione, ignorando percorsi proposti da chi non ha: requisiti, metodo e capacità riconosciute. Buon bonsai

Sandro Segneri


Anno II - n. 3 - Marzo 2010 in collaborazione con

Ideato da: Luca Bragazzi, Antonio Ricchiari, Carlo Scafuri Direttore: Antonio Ricchiari - progettobonsai@hotmail.it Direttore Responsabile: Antonio Acampora - acampor@alice.it Caporedattore: Carlo Scafuri - carlo_scafuri@fastwebnet.it Art directors: Salvatore De Cicco - sacedi@yahoo.it Carlo Scafuri Comitato di redazione: Antonio Acampora Massimo Bandera - mb@massimobandera.it Luca Bragazzi - tsunamibonsai@tiscali.it Luciana Queirolo - pietredarte@libero.it Antonio Ricchiari Carlo Scafuri Sandro Segneri - info@bonsaicreativo.it Redazione: Daniele Abbattista - bestbonsai@gmail.com Sandra Guerra Giuseppe Monteleone - alchimista.vv@tiscali.it Dario Rubertelli - iperdario@yahoo.it Pietro Strada - info@notturnoindiano.it Marco Tarozzo - marco.tarozzo@tiscali.it Impaginazione: Giuseppe Monteleone Carlo Scafuri Pietro Strada Hanno colalborato: Nicola Crivelli - kitora@mac.com Gian Luigi Enny - ennyg@tiscali.it Tiberio Gracco - info@tiberiogracco.it G.Kyoosuke - Bonsai&News - info@crespieditori.com Davide Lenzi Antonio Morri Carlo Oddone Giacomo Pappalardo - pappalardogiacomo@gmail.com Gianfranco Rossi - gianbonsai@libero.it Elisabetta Ruo - best22@alice.it Francesco Santini - info@francescosantini.it Anna Lisa Somma - annalisasomma@gmail.com Federico Springolo Axel Vigino In copertina:

Federico Springolo Franchi Bonsai Luciana Queirolo

Sito web:

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Indirizzo e-mail:

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

06 Le vaschette nei giardini giapponesi di G. L. Enny 10 Un luogo Museale dov'è protagonista il Bonsai di A. Ricchiari 15 Costantino Franchi. Il ricordo di un AMICO di A. Ricchiari 17 XIV Congresso Nazionale UBI - Talenti Italiani a confronti di A. Morri

>> Bonsai-do: pratica e sapere 22 Cioosen: la sfida di M. Bandera

>> Mostre ed Eventi

28 Sotto il cielo d'inverno andando verso la primavera - "Backstage" di F. Santini 34 Yon Shun-Ten di N. Crivelli

>> Dalle pagine di Bonsai&News

40 Specie da fiore e da frutto di G. Kyoosuke

>> In libreria

44 Come creare raffinati giardini giapponesi di A. Ricchiari

>> Bonsai ’cult’

45 Bonsai o Penjing di A. Ricchiari

>> La mia esperienza

47 Phillyrea Angustifolia - Prima impostazione di D. Lenzi 51 Nel laboratorio di un artista di T. Gracco, C. Scafuri 56 La mantide religiosa di G. Pappalardo

>> A lezione di suiseki

62 Vita breve di una pietra giapponese: una Luuuuunga Storia, ai nostri occhi di L. Queirolo

>> Noi... di Bonsai Creativo School

70 Larice. Essenza meravigliosa di F. Springolo

>> L’opinione di...

80 Lorenzo Agnoletti di G. Monteleone

>> A scuola di estetica

86 Sokan: il doppio tronco di A. Ricchiari

>> L’essenza del mese

90 La carmona di A. Acampora

>> Non tutti sanno che... 94 L'acero di E. Ruo

>> Note di coltivazione

98 L'utilizzo dell sfagno nelle pratiche bonsaistiche di L. Bragazzi

>> Tecniche bonsai

100 Propagazione per talea di A. Acampora

>> L’angolo di Oddone

104 Il ligustro di C. Oddone

>> Vita da Club

108 Spazio Bonsai di G. Rossi

>> Il Giappone visto da vicino

109 L'abito da sera. Quel che non ci aspetteremmo da Yukio Mishima di A. L. Somma 110 Le ultime Geishe di A. Ricchiari

>> Axel’s World

114 Lo shintoismo di A. Vigino

>> Che insetto è?

116 Gli atrezzi come veicolo di malattie. I vettori antropici di trasmissione di L. Bragazzi


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L E VASCHETTE nei giardini giapponesi

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e vaschette di pietra furono introdotte nei giardini giapponesi assieme alla tradizione del giardino del tè (XVI secolo), divenendo così un elemento irrinunciabili assieme alle lanterne, caratteristiche del suo arredo. Ne esistono fondamentalmente due modelli, il primo tipo è la vaschetta chiamata “Chotsubachi” di maggiore altezza, dimensione e semplicità che serviva esclusivamente per lavarsi le mani ed era collocata generalmente all’entrata del giardino in cui poteva essere utilizzata appena entrati. L’altro tipo di vasca, detta “Tsukubai”più vicina alla stanza del tè, era utilizzata prima di acce-

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1. "Kakehi"

2. Modello di vasca tsukubai comunemente usato per i giardini giapponesi

dere alla cerimonia del tè ed era formata da una vaschetta più piccola della precedente sempre in pietra naturale e da un raggruppamento di rocce impiegate per appoggiare la lanterna, ( visto che molte volte il cerimoniale si svolgeva all’imbrunire) e il mestolo di bambù, utensili tipici del rituale del tè. Il termine tsukubai precisamente comprende oltre la va-

sca, una breve tubazione in bambù (“Kakehi”), che convoglia l’acqua all’interno del bacile, il mestolo generalmente di bambù, necessario per prelevare l’acqua da portare alla bocca per purificarsi simbolicamente prima di accedere alla cerimonia, più alcune pietre posizionate a breve distanza. Prima di entrare nella stanza del tè, l'ospite doveva attraversare il giardino se-

guendo un percorso ben preciso, segnato da pietre per il camminamento, in tal modo ci si preparava spiritualmente; arrivati alla tsukubai, l'ospite bagnava le mani e la bocca con l'acqua della vaschetta, tutto ciò stava a significare simbolicamente la purificazione del corpo e della mente, solo dopo queste abluzioni, il padrone di casa e l'ospite si preparavano per la cerimonia

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

disponendosi uno di fronte all'altro nella stanza del tè appositamente preparata secondo il rituale. Attualmente le tsukubai sono onnipresenti nella maggior parte dei giardini cominciarono a essere utilizzate come parte della decorazione alla

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fine del periodo Edo, così non è raro trovarle nei Ryokan (alberghi tradizionali), o nei giardini privati. Nei giorni nostri quasi più nessuno esercita la cerimonia del tè, però queste vaschette sono molto considerate dai maestri giardinieri nella co-

3. Visione insolita di un intero complesso “tsukubai” - 4. Pietre per il camminamento fino alla vasca - 5. “Tsukubai” in un giovane giardino nostrano in stile giapponese - 6. ”Chotsubachi” in un moderno giardino - 7, 8. “Chotsubachi” con giovani geishe - 9. Modello di vasca tsukubai usata per i giardini nipponici.


struzione dei nuovi giardini nipponici, assieme alla lampada in pietra sono utilizzate come arredo, dando all’intera struttura quel fascino misterioso molto ricercato in chi pratica la filosofia zen. La loro disposizione non è più connessa agli schemi rigidi che riguardava l’intera pratica del tè, ma sarà legato al buon gusto dei maestri giardinieri che dovranno disporre il tutto dando alla loro realizzazione quel fascino, quell’emozione e quella naturalezza ricercata proprio in chi pratica quest’arte. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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a storia è costituita da eventi e da uomini, anzi sono gli uomini che determinano gli eventi e Costantino Franchi è stato uno dei personaggi del bonsai italiano che ha creduto con lungimiranza al bonsai fin dagli albori. La passione per il bonsai ha superato di gran lunga l'aspetto commerciale dell'azienda che Franchi ha fondato a Pescia e che costituisce oggi uno dei più sicuri e qualificati punti di riferimento del bonsai in Italia. Quando si parla di bonsai di Olivo il riferimento è il Vivaio Franchi perché l'allevamento e la formazione di questi esemplari è stata ed è la specializzazione del Centro. Vivaista da sempre, ha

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fatto del suo Centro l'eccellenza nella produzione di bonsai di Olivo e di altre specie autoctone. È grazie all'iniziativa di Costantino che il bonsai di Olivo ha suscitato l'interesse dei giapponesi che ne hanno incrementato la coltivazione e guardato con notevole interesse lo stile di questi esemplari. La sua curiosità per l'Oriente lo ha portato a raccogliere la collezione più ricca di varietà di essenze per bonsai, a promuovere una serie di manifestazioni a carattere nazionale e internazionale, e incontri di grande importanza didattica, con la partecipazione di maestri della portata di Kimura, Robinson, Terakawa, Pall e i maggiori esperti italiani. Franchi organizzò, dal 29 aprile all’1 maggio 1995 a Pescia, un indimenticabile incontro con il maestro Masahiko Kimura. Furono tre irripetibili giornate durante le quali l’Oyakata, assistito da Salvatore Liporace, lavorò alcune piante. Ebbi la fortuna di parteciparvi come inviato della rivista Bonsai Italiano e di fare un dettagliato reportage. In quell'occasione, in vista della venuta di Kimura in Italia, Liporace gli domandò quale fos-

se il suo ideale artistico: egli rispose che "[ ... ] nel realizzare un bonsai mi pongo sempre la domanda: in che modo posso esprimere la grandezza nel contesto di un vaso così piccolo e limitato? Insomma, cerco di fare immaginare, a chi guarda le mie opere, il tempo che è trascorso lasciando il proprio segno sulla pianta e alludendo allo spazio e alle dimensioni di un paesaggio reale". Il Kokufu-Ten è la più prestigiosa manifestazione di bonsai al mondo e si tiene ogni anno in Giappone. Il Centro Bonsai di Franchi ebbe l'onore di partecipare alla sua settantunesima edizione e per l'Italia bonsaistica fu un evento davvero prestigioso. L'eccezionalità era dovuta al fatto che in quell'occasione, per la prima volta, una pianta occidentale era stata ammessa a tale prestigiosa manifestazione. Vi partecipano infatti, e solo dopo una severa selezione delle piante presentate, i principali maestri di arte bonsai. Le richieste di ammissione per quella edizione ammontavano a circa 600, molte delle quali presentate dai più grandi maestri. Di queste solo 200 furono accolte: fra esse anche la pianta allevata nei vivai Franchi. - Antonio Ricchiari -

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

La pianta, un Ficus retusa, notata dal maestro Kobayashi nel Museo di Pescia, fu spedita in Giappone a radice nuda. Il Ficus presentato fu molto apprezzato dai maestri giapponesi, tanto che alla fine della manifestazione l'esemplare fu lasciato, su richiesta del Maestro, nella Collezione di Kunio Kobayashi, affinchè potesse essere ammirata da esperti e appassionati, oltre ad essere esibita in altre manifestazioni che si tengono in Giappone. Inoltre Costantino Franchi e la moglie Alda furono invitati all'inaugurazione del KokufuTen a Tokyo. Qui furono ricevuti dai maggiori maestri di bonsai giapponesi, come Kimura e Kobayashi, che li accompagnarono nella visita alle maggiori collezioni di Bonsai del Sol Levante, compresa quella di Daizo Iwasaki e di Reiji Takagi. Il bonsai di Ficus ammesso alla mostra fa parte del libro fotografico del Kokufu-Ten dell'edizione del 1997. Vorrei ricordare soltanto l’ultima iniziativa ad opera di Nara Franchi che ha raccolto l’eredità morale di Costantino e che ora dirige con grande competenza il Vivaio ed il Museo: una tre giorni organizzata presso la sede con il Maestro

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- Antonio Ricchiari -

Shinji Suzuki nei giorni 26, 27, 28 febbraio 2010, cui hanno fatto da cornice una mostra di scroll ed una Conferenza. In memoria di Costantino Franchi, la famiglia ha istituito nel 2008, in occasione dell'annuale manifestazione di Arco Bonsai, un premio che porta il suo nome e che premia le migliori piante. Il memorial continuerà negli anni a venire a futura memoria. È un atto dovuto a chi fa parte ormai a pieno titolo della storia del bonsaismo italiano. Il Museo Franchi – L’altra iniziativa riguarda la fondazione del Museo Bonsai, inaugurato a Pescia nel giugno del 1992, conta una varietà di esemplari davvero eccezionali. Il Museo è aperto tutti i giorni della settimana dalle ore 8,00 alle 13,00 e dalle 14,30 alle 19,00 e le piante sono curate sotto la supervisione di Lorenzo Agnoletti. Il tema del rapporto fra uomo e natura venne affrontato implicitamente nella costruzione di un Museo che accogliesse esemplari bonsai. Un Museo che è anche un luogo non equivoco nel quale il visitatore è anche spettatore di una realtà vissuta nei primi momenti come fantastica rappresentazione di una cultura


“altra”.

Il Museo ideato da Costantino ha, per scopi e contenuti, l’altezza morale e fantastica di una location assoluta e incorruttibile della mente e dello spirito. E’ un luogo mitico per l’esaltazione della natura. E’ curioso osservare le reazioni del visitatore impreparato alla visione di questi piccoli capolavori. E’ intrigante l’avvicinarsi ed il penetrare una cultura che non ci appartiene ma che ci attrae fortemente e di cui possiamo essere a buon diritto fruitori. Il Museo è luogo violabile in tutta la sua sacralità dove si celebra perennemente la liturgia del bonsai. C’è chi, al cospetto di un bonsai, lo interpreta come un sogno, come qualcosa che porta in un’altra dimensione, o che comunque ci racconta qualcosa della natura, in modo originale e talvolta spiazzante. E tutto questo Franchi lo aveva sperimentato ed attuato quando il bonsai non apparteneva ai fenomeni modaioli dell’occidente frivolo e superficiale Il Museo è la dimensione di un Uomo che ha voluto dedicare la propria dedizione alla Natura consacrando la sua esistenza alla cura delle piante e dei bonsai. E di questo gliene siamo riconoscenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Antonio Ricchiari -

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COSTANTINO FRANCHI il ricordo di un

AMICO Q

uesta non è una commemorazione, perché le commemorazioni sono sempre un fatto sterile di circostanza, ma è il ricordo di un amico, di una persona onesta e retta (razza tristemente in estinzione) di uno dei personaggi che hanno fatto il bonsai italiano e la sua storia, Costantino

Franchi, purtroppo scomparso da poco tempo. La memoria è labile quando i personaggi non sono più in vita, ma è doveroso rendere omaggio e fissare nel tempo ciò che Costantino ha fatto. Ed è molto. Franchi inizia la sua carriera come vivaista per divenire poi amante del bonsai. - Antonio Ricchiari -

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

Stiamo parlando di un periodo che vedeva gli albori del bonsai e che era poco popolare. Un periodo pionieristico, insomma. Con una sensibilità ed una perspicacia da vero manager, Costantino ha investito moltissimo in questa sua attività, creando nel tempo attorno a sé uno staff di collaboratori ed esperti che hanno fatto poi del Centro il leader nella produzione in particolare di bonsai di olivo e di molte altre specie autoctone. La genialità e la percezione di Franchi è stata quella della specializzazione, di avere approfondito le tecniche di colti-

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- Antonio Ricchiari -

vazione soltanto per alcune specie, primo fa tutti l’olivo. Essenza tipica mediterranea che poi susciterà il profondo interesse dei Maestri giapponesi che ne stanno apprezzando e valorizzando le caratteristiche ed i pregi estetici. Il suo sogno nel cassetto era quello di creare una collezione privata che riuscisse ad esprimere lo spirito delle diverse scuole orientali unite al meglio dell’allora giovane bonsaismo occidentale. La curiosità per l’Oriente lo ha portato nel 1992 a raccogliere la collezione più ricca di essenze uti-

lizzate per bonsai ed in quell’anno potè inaugurare a giugno di quell’anno il Museo a Pescia, che conta oggi oltre 350 esemplari di 240 specie. La storia è costituita da eventi e da uomini, anzi sono gli uomini che determinano gli eventi e si può tranquillamente affermare che Costantino Franchi è stato uno dei personaggi del bonsai italiano che ha creduto con lungimiranza al bonsai fin agli albori.

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TALENTI

ITALIANI A CONTRONTO

Paolo Licari - Talento Italiano 1998 Iniziai ad occuparmi di bonsai all'inizio del 1990. All'ora facevo parte del bonsai club palermo.In quei tre anni ebbi l'opportunita di lavorare (e precisamente nel 91-92-93 ) con Hotzumi Terakawa in occasione di tre work shop di 3 ore ciascuno e dimostrazioni del suo modo eccezionale nel mettere il filo e di impostare le piante. Inizia da subito a raccogliere piante in natura, non scordero mai la prima una Tamarix, raccolta nel 90' e dopo un anno scolpita e impostata a palchetti come fosse un ginepro. Nel 91 a Palermo in occasione di una mostra annuale fu invitato il professor Giovanni Genotti, che quando vide la mia Tamarix la volle premiare, non per l'impostazione (che era sbagliata) ma per la lavorazione della legna morta. Nel 96 in occasione della mostra drago verde (Messina) conobbi Gianni Picella, fondatore e all'ora presidente dell'UBI. In mostra c'erano alcune mie piante fra la quale un cipresso raccolto in natura e da me impostato a bunjin, quando Gianni lo vide si informo di chi fosse quella pianta, e saputo che ero io mi volle al talento italiano a Martina Franca nel 97. Vinsi il talento italiano e terzo al talento europeo a Fermo nel 98. Ora dopo tanti anni posso dire che la colpa della sconfitta fu indubbiamente l'emozione, dopo di allora ho partecipato a molte mostre regionali e nazionali, l'ultima "il grande sogno per un bonsaista" il congresso mondiale del 2008, portando un carrubo premiato con il premio Casinò Vallè. Dopo 18anni da bonsaista autodidatta credo di poter esser abbastanza sodisfatto - a cura di Antonio Morri -

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Mario Segneri - Talento Italiano 2001 Nato a Frosinone si avvicina al bonsai nel 1993, senza pretese o particolari ambizioni ne vive le applicazioni tecniche e culturali con semplicità cercando riscontro e confronto in rare occasioni. Nel 2001 partecipa alla selezione per il talento italiano UBI e acquisisce il titolo. Nello stesso anno si aggiudica il premio nazionale per autori d’arte bonsai So-Saku Bonsai Award riconoscimento assegnatogli dal giudice unico Hotsumi TerakawaNel 2002 Rappresenta l’Associazione nazionale al congresso EBA di Rouen (Francia) classificandosi al 2° posto. Il suo percorso continua negli anni collaborando in numerose lavorazioni con Sandro Segneri.

Roberto Raspanti - Talento Italiano 2002 Dal 1997 frequenta regolarmente la scuola “Bonsai creativo Europe School” ottenendo nel 2001 la qualifica di “istruttore di 3° livello”. Si interessa di realizzazioni di piccoli spazi verdi, con riferimenti specifici circa il giardinaggio orientale, la realizzazione di giardini acquatici e di laghetti per koi. Nov.97: 3° class. nel concorso “Bonsai Creativo” svolto a Frosinone. Nov. 98: 3°class. nel concorso “bonsai creativo” svolto a Latina. Set. 2000: cura la progettazione e la realizzazione dello spazio espositivo dell’associazione “Pistoia Bonsai” alla Biennale del fiore di Pescia (medaglia d’oro come migliore spazio espositivo presentato da amatori). Mag. 01: un allestimento bonsai dal titolo “tra i rami soffiano venti antichi” vince il premio di” miglior Tokonoma” a Roma presso l’Orto Botanico. Giu. 02: a S. Sofia (FO), vince la selezione nazionale “Talento italiano 2002”. Tale affermazione lo candida come il bonsaista rappresentante l’Italia nel Concorso “Talento Europeo 2003” che si svolgerà a Maggio nella Repubblica Ceca, nell’ambito del congresso Europeo del Bonsai (EBA). Set. 02: cura la progettazione e la realizzazione dello spazio espositivo del “Coordinamento dei Bonsai Clubs della Toscana” alla Biennale del fiore di Pescia ( medaglia d’oro come migliore spazio espositivo presentato da amatori). Ott. 02: viene invitato in qualità di dimostratore alla manifestazione bonsai So-Saku tenutasi a Roma. Diversi articoli vengono pubblicati su bonsaitalia. Numerosi articoli sono stati pubblicati in internet e all’interno del “Notiziario del coordinamento bonsai clubs della Toscana”. Apr. 03: in occasione del Congresso Nazionale UBI, tenutosi a Fermo, vince il premio IBS per il bonsai. Mag. 03: in occasione della mostra del Coordinamento Bonsai Club della Toscana, svoltasi a Pisa una sua pianta vince il premio “Miglior Bonsai”. La stessa pianta si aggiudica inoltre il premio “Memorial Elio Boni” , quale miglior pianta autoctona presente in mostra. Giu. 03: in occasione del congresso EBA tenutosi a Jihlava (Repubblica Ceca) risulta il vincitore del concorso “new talent contest”, il più ambito premio per i giovani bonsaisti emergenti, al quale partecipano i rappresentanti di tutte le associazioni nazionali europee. Set. 03: entra a far parte del Collegio Nazionale I.B.S. Ott. 03: viene invitato quale dimostratore alla seconda edizione della mostra So-Saku tenutasi a Roma. Dic. 03: riceve l’attestato di “Arte e Mestiere” presso la Bonsai Creativo Europe School. Mag. 04: con la lavorazione di un cipresso si aggiudica il prestigioso trofeo “Arcobonsai” riservato agli istruttori. Mag. 05: dimostratore Congresso EBA Arco di Trento. Ott. 05: Menzione di merito So-Saku Roma (buxus). Ott. 06: vincitore trofeo So-Saku Demo Award Roma (cupressus). Nov. 06: premio presidente UBI Napoli (cupressus). Feb. 07: menzione di merito Congresso UBI Fermo (cupressus). Set. 07: Giudice unico mostra bonsai centro italia Foligno - giudice unico per il bonsai 10° coordinamento Emilia Romagna e S. Marino (Cesena). Set. 08: Espositore e dimostratore BCI-IBS Congress St. Vincent (Olea oleaster & demo cupressus). Set. 09: menzione di merito per il bonsai categoria istruttori Giareda R. Emilia (pinus silvestris). Set. 09: secondo classificato demo istruttori a confronto Giareda R. Emilia (juniperus sabina)


Matteo Caldiero - Talento Italiano 2003 Istruttore B.C.A.S. (bonsai Creativo Accademy School) Si avvicina al Bonsai quasi per gioco nel lontano 1994. Incuriosito da quest’arte orientale il semplice interesse si trasforma in profonda passione. Ciò lo induce , allo scopo di affinare le proprie conoscenze, ad approfondire le tematiche e gli aspetti tecnico - didattici della materia frequentando nel contempo corsi e seminari con maestri orientali e Istruttori Italiani. Ha tenuto dimostrazioni in molte manifestazioni Italiane ed Europee sia singolarmente che in collaborazione con la “Bonsai Creativo Accademy School” . Nell’anno 2003 vince il concorso per il talento italiano UBI. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti in mostre italiane ed europee. Attualmente risiede a Formia (Lt), dove riceve i suoi allievi, vive e coltiva la sua passione. Palmares: 1999. Roma Orto Botanico: Premio del Dipartimento di botanica Università la Sapienza di Roma “Miglior Bonsai esposto” – Mostra di Primavera; 2003 – Fermo (Ap): Vincitore del concorso Talento Italiano U.B.I. (Unione Bonsaisti Italiani) 2006 Napoli: Kokoro – no Bonsai Ten Premio I.B.S. (collegio Istruttori Bonsai & Suiseki) per il Miglior Bonsai esposto; 2007 – Fermo (Ap): Mostra Nazionale Unione Bonsaisti Italiani: Menzione di Merito 2007; 2007 - Roma - Orto Botanico: Premio del Dipartimento di botanica Università la Sapienza di Roma “Miglior Bonsai esposto” – Mostra di Primavera. 2007 – Roma: Sosaku Bonsai International Exibition: Certificato di merito II classificato ex equo; 2007 – Gent (Belgio): Certrè Europe Award miglior abbinamento pianta – vaso.

Francesco Santini - Talento Italiano 2004 Si avvicina al mondo del bonsai alla fine degli anni ‘80 grazie a suo padre, Santini Renzo. Dopo aver frequentato diversi seminari e workshop, nel 2001 inizia il suo percorso didattico nella “Bonsai Creativo School” di Sandro Segneri. Nel 2004 vince il concorso “Nuovo Talento Italiano”. I suoi bonsai sono pubblicati nei cataloghi UBI “Miglior Bonsai e Suiseki” del 2004, 2005, 2006, 2007 e 2009. Al congresso UBI 2009 cura la dimostrazione per conto della “Bonsai Creativo School”. Dal 2007 cura la collezione privata di Gianfranco Giorgi, uno dei padri fondatori del bonsaismo in Italia. Dal 2009 collabora alla creazione e al mantenimento degli esemplari del Museo “Costantino Franchi” e dell’azienda “Nara Franchi” di Pescia (LU). È istruttore della “Bonsai Creativo School” dove svolge attività didattica di base e avanzata. Dal 2009 è istruttore IBS.


Marcelo Michelotti - Talento Italiano 2005 Mi chiamo Michelotti Marcelo, vengo dall'Argentina e mi trovo in Italia dal 1983. La mia passione per i bonsai nacque circa sette anni fa, dopo che visitai una mostra organizzata da un vivaio situato vicino a Collodi in provincia di Pistoia. Rimasi affascinato da queste piante, dal loro movimento nello spazio e capii che ogni bonsai è una vera e propria opera d'arte vivente.Fu così che cominciai a leggere libri e riviste del settore e iniziai a lavorare anche qualche pianta ma non ero soddisfatto del risultato; in seguito ho avuto la fortuna di conoscere il "gruppo di bonsaisti medio Valdarno". Sono entrato a far parte del club e così ha avuto inizio la mia avventura. Successivamente, entrai a far parte della Bonsai Creativo School nel 2002, e devo dire che qui ho veramente capito che fare bonsai è un'arte. Grazie all'insegnamento di Sandro Segneri ho avuto grandi soddisfazioni nel mondo bonsai. 1° classificato talento toscano nel 2004 - 1° classificato talento italiano nel 2005 - 2° classificato eba new talent contest 2006 (talento europeo Polonia)- premio "miglior allestimento" mostra Napoli 2006 - diplomato istruttore della "Bonsai Creativo School" nel 2005 - allievo dell'accademia "European Bonsai School" - Assistente di Sandro Segneri al congresso UBI 2006, ad Alberobello; in altre numerose occasioni, ho dimostrato insieme a Francesco Santini, come ad esempio al congresso UBI 2009 a Salerno per conto della "Bonsai Creativo School".

Alfredo Salaccione - Talento Italiano 2006 Ho incontrato il mio primo bonsai, nel negozio di Elio Piccin a Milano, all’età di 13 anni. Successivamente ho iniziato a leggere tutto ciò che riguardava l’argomento, e per alcuni anni ho continuato il mio percorso da autodidatta fino al 1999, quando ho conosciuto Salvatore Liporace. Dopo un periodo di perfezionamento sotto la guida di Donato Danisi e Patrizia Cappellaro, ho cominciato il mio apprendistato presso lo Studio Botanico. Per quasi tre anni ho lavorato quotidianamente a fianco di Salvatore, contribuendo attivamente alla cura, alla ristrutturazione e alla realizzazione di moltissimi bonsai. Nel 2005 inizio a collaborare con la OltreilVerde, centro bonsai di Cernusco sul Naviglio. Nel settembre dello stesso anno comincio ad occuparmi delle lezioni per il bonsaiclub Amici del Verde. Nel 2006 ho vinto il concorso per il talento italiano. Nel gennaio dello stesso anno realizzo il mio sito web dedicato al bonsai: www.bonsailab.it in cui racconto la mia attività ed i miei lavori. Dal 2007 mi occupo dell’organizzazione della OltreilVerde Bonsai Competition. Nel 2009 sono stato accettato nel collegio nazionale IBS. In questi anni ho presentato e preparato diverse piante per mostre nazionali ed internazionali, ricevendo diversi riconoscimenti. Sono stato inoltre invitato per dimostrazioni sia in Italia che in diversi paesi europei. Continuo questo percorso insieme a tutte le persone che incontrerò


Ivo Saporiti - Talento Italiano 2007 Nato nel 1972, si avvicina al mondo del bonsai all’età di 20 anni circa. Prosegue per lungo periodo il proprio cammino come autodidatta, documentandosi su libri e riviste e presenziando alle mostre e lavorazioni sul territorio locale. Nel 2004, conosce Enrico Savini e Stefano Frisoni (istruttori IBS) fondatori della scuola bonsai Progetto Futuro, al quale si affida per mettere a fino le proprie conoscenze nel campo del bonsai e per imparare le tecniche moderne di lavorazione e modellatura. Tra il 2004 ed il 2005, collabora con la scuola bonsai Progetto Futuro, alla realizzazione di alcuni filmati didattici sulla lavorazione del bonsai. Nel 2005, apre una sede della scuola Progetto Futuro in Lombardia dove offre insegnamenti ed organizza corsi bonsai. Dal 2006 ad oggi, tiene work shop ed incontri didattici in Italia ed all’estero. Numerose anche le lavorazioni svolte in pubblico. Nel 2007, vince il premio Talento Italiano 2007, durante il concorso organizzato al XI congresso UBI. Aprile 2008 partecipa al concorso New Talent Contest EBA e guadagna il titolo di Nuovo Talento Europeo 2008. Maggio 2008 viene nominato Consigliere UBI. Settembre 2008, diventa Istruttore IBS.

Gianfranco Rossi - Talento Italiano 2008 Giovane artista bonsaista nasce a Milano nel 1977, diplomatosi come perito agrario, si avvicina al bonsai all’età di 14 anni con Salvatore Liporace presso lo Studio Botanico. L’incontro con queste opere della natura fa scaturire subito in lui una grande emozione e nel 1996 consegue un riconoscimento dall’Università del Bonsai di Crespi sotto la supervisione del maestro Noburo Kaneko, partecipando inoltre a workshop con diversi maestri internazionali e giapponesi. Nel 2005 incontra Enrico Savini e la scuola Progetto Futuro, qui ha la possibilità di affinare la propria tecnica, interpretando e lavorando periodicamente su bonsai di altissimo livello provenienti dei maggiori collezionisti e professionisti del settore. Nell’ottobre 2007 si aggiudica la DEMO AWARD (concorso per dimostratori alla So Saku Award di Roma giudice unico Marc Noelanders). Nel 2008 gli viene assegnato il titolo di TALENTO ITALIANO ad Arco (Tn) in occasione del XIII Congresso UBI dove è anche espositore. Inizia a tenere numerosi work shop, dimostrazioni e incontri didattici in vari club, numerose le lavorazioni svolte in pubblico in Italia e all’estero, inoltre cura e stilizza esemplari di collezionisti. Nel 2009 rappresenta l’Italia in occasione del XXV anniversario del Congresso dell’ EBA tenutosi a Lorca in Spagna, aggiudicandosi il titolo di NEW EUROPEAN TALENT 2009. Sempre nel 2009 gli viene conferito il prestigioso riconoscimento all’albo degli Istruttori del Bonsai e del Suiseki dal Collegio Nazionale IBS. Attualmente risiede a Cattolica (RN) dove ama lavorare bonsai di qualsiasi genere e stadio, qui ha creato “SPAZIO BONSAI” luogo d’insegnamento dell’arte bonsai dove far confluire interpretazione e mezzi espressivi libero da concetti predefiniti ma al tempo stesso custode di creatività artistica. Il privilegio dell’incontro con la natura non è solo per pochi prediletti. L’arte come epressione di comunione dell’uomo con la natura è una ricchezza dell’individuo e un patrimonio della collettività da ritrovare, coltivare e tutelare.


>> Bonsai-do: pratica e sapere

CIOOSEN: la sfida Dopo il primo incontro tre anni prima in Italia, l’anno dopo in Giappone e lo stesso anno in Lussemburgo, ho finalmente la fortuita occasione di lavorare per la prima volta con il mio futuro maestro, in Svizzera nel maggio 1993. L’esperienza della “prima volta” fu terribile e stupefacente allo stesso tempo, incredibile, un vero pilastro della mia vita e dell’insegnamento nella tradizione giapponese. Alla fine il maestro disse solo una parola: Cioosen, la sfida.

Foto Angelo Attini


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er comprendere l’esperienza che ho ricordato, che segna anche la base per l’inizio dell’epistolario col maestro e l’inizio degli studi con lui, vi riepilogo il racconto per sommi capi. Il primo Maggio 1993 il mio amico Pius Notter organizza un seminario col Maestro a casa sua, a Boswil in Svizzera, con persone provenienti ognuna da uno stato europeo. Come italiano partecipavo evidentemente io. Con la mia prof. di giapponese, Sawa, e Maria Teresa iniziamo l’avventura di questo giorno mitico. La saletta è un po’ piccolina e i seminaristi molto seri e composti. Si inizia a lavorare: il Maestro chiede le idee dei partecipanti su ogni bonsai. L’unico folle dei cinque seminaristi ad aver portato una pianta importante ero io, gli altri, sotto consiglio degli organizzatori, avevano portato piantine semplici e veloci. Questo seminario infatti non era in programma, perché il Maestro era lì per una vacanza dopo il congresso europeo in Lussemburgo; del resto si sa che Kimura sensei nei seminari non interviene sulle piante, e tanto meno fa scultura. Con il mio Ginepro che era evidentemente da scolpire, esulavo dal programma, e già questo causava malumori. Ad un certo punto, dopo interventi minimi, il sereno Maestro in vacanza mi dice di passare alla legatura dei rami. Ora questo voleva dire non scolpire, cioè non fare quello per cui avevo sperato e lavorato tanto… protesto e chiedo di intervenire sul legno; il Maestro mi spiega in tutta pacatezza, come un saggio taoista, che la scultura con utensili elettrici non è una cosa che si fa nei seminari, e, comunque, è una cosa difficilissima da realizzare bene. Non contento, un po’ deluso e un po’ incosciente, prendo la fresa in mano ed inizio a scolpire. D’un tratto, come se un pianeta maligno lo avesse acceso d’ira, col volto tramutato in una maschera da demone del teatro NO, mi lancia un’occhiata fulminante

2. Logo di Giuseppe Attini derivato dal bonsai “La Sfida” simbolo della Fuji Kyookai Bonsai scuola d’avanguardia 6. Lo studio dei controvena nello shari… 8. ...il dono... 9. ...solo nello stanzino... 10. ...ad opera compiuta... 11. La dedica “CIOOSEN” sulla fascia del kimono 12. "La sfida" appena tornata a casa.


e mi dice: “No! La fresa disturba gli altri!”. La mia impensabile, inaccettabile disubbidienza ed impertinenza lo aveva alterato e la cosa si stava mettendo male… senza in realtà decidere il tutto per tutto, disperato e fors’anche piangente, insisto nel mio imperdonabile atteggiamento, e, su consiglio dell’amico Pius, vado nello stanzino buio accanto e continuo ad usare la

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- Massimo Bandera -

fresa e cercar di scolpire il mio pure pungente bonsai. Ogni tanto il Maestro apre la porta, mi guarda ogni volta con una maschera diversa, tra furia e ferocia, sguardi crucciati e truci, gesti d’ira e scatti di violenza, sempre sbattendo la porta, richiudendomi nello stanzino, solo con il mio bonsai e le mie infrante speranze. Ormai il tempo passava irrefrenabile,

disperato, tento il tutto per tutto. Del tutto casualmente mi ero portato un regalino per il Maestro da donargli a fine lavoro in ringraziamento, non tanto del seminario, quanto della sua opera d’artista d’avanguardia bonsai con il quale mi sarebbe piaciuto avere un confronto culturale. Allora come oggi ho una tale ammirazione per il Maestro, come uomo e artista,


forse perché nelle montagne in cui vivo abbondano forme con componenti scultoree …lo studio dei controvena nello shari… in Larici, Pini e Ginepri, che rivedo nella sua opera, una grande bellezza naturale. Decido quindi di dargli il dono lì, in mezzo a tutti, a metà seminario, nel tumulto e nel marasma generale, sperando che almeno questo importante dono lo smuovesse. Sawa incomincia a tradurre, un po’ divertita, un po’ esterefatta, mentre il Maestro si mette sull’attenti e accende la sigaretta come fa di solito quando riceve doni. L’importante regalo che mi ero portato consisteva in un bracciale egizio del Medio Regno, in Faience, antico di oltre tremila anni. Non appena Kimura sensei comprende la rarità del dono, appassionato a mia insa-

puta di egittologia, si trasforma, sconvolto e stupefatto come un bambino, corre per la stanza a passo svelto gridando ai suoi assistenti giapponesi di questo meraviglioso dono che gli avevano fatto! Attivato e acceso, come vero artista può fare, si complimenta, scolpisce, insegna. Oltre a fresare personalmente e spiegare cose incredibili, praticamente trasforma il seminario in una dimostrazione collettiva. Ricordo il fotografo che si lanciava da una parte all’altra della sala, come appeso a liane, per fare fotografie e godersi lo spettacolo. Gli altri seminaristi, intanto, tramavano la mia morte per digiuno a vita! In quella dimostrazione il Maestro spiegò molte tecniche, dall’importanza della alternanza nella scultura tra parti semplici e parti complesse per non creare una figura

troppo complessa: alternanza tra piccolo e grande, tra dentro e fuori. I vecchi rami che scendono dalla chioma seguendo le curve del tronco, e le pieghe a spacco che non danneggiano i rami, almeno nelle sue mani, così come la puntura d’un’ape non fa nulla. Ed ancora trasporti di vene e tagli contro vena davvero inimmaginabili. Il Maestro era molto creativo ed eccitatissimo, ecco perché ha creato un capolavoro, cosa che raramente ha fatto nelle dimostrazioni. A fine lavoro mi dona delle fotografie del suo più bel bonsai, “il dragone”, che aveva portato come dono a Felipe Gonzales, allora presidente della Spagna e suo importante cliente, e mi fa una dedica sulla cintura del Kimono: CIOOSEN, la sfida. Ho chiamato questo

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bonsai “La sfida”, da cui deriva il logo, opera di Giuseppe Attini, della mia scuola, la Fuji Kyookai Bonsai, e quando al crepuscolo vedo le pieghe di quel tronco scolpito, oltre al ricordo di quel memorabile giorno, mi vengono in mente i lavori su marmo del divino Michelangelo. In una sua lettera del dicembre dello stesso anno il Maestro mi dirà: “Il gioiello è

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esposto in sala con altri doni di amici. La sfida è come due famosi pionieri velisti, Kenichi Horie che va e diventa la prima persona ad attraversare a vela l’Oceano Pacifico nel 1962, vince, e diventa un eroe, e l'altro, Naoki Uemura, tenta la stessa impresa ma fallisce e muore". Non deve stupire se il maestro cita due persone impegnate nella “navigazione estrema”, forse non tutti sanno che

Kimura sensei è appassionato di caccia e pesca, soprattutto di pesca d’altura: quando si concede un po’ di tempo fuori dal bonsai va con un gruppo d’amici a pesca nell’Oceano. Per Lui Kenichi Horie è un eroe. © RIPRODUZIONE RISERVATA



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sotto il

CIE L O

d'inverno

andando verso la

primavera

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arte della mia giovane storia bonsaistica inizia proprio da qui….11 anni fa! Quando nel 1999 l’azienda Franchi organizzò una manifestazione con ospite d’onore Kunio Kobayashi, io c’ero! Ero tra quel gruppo che parteciparono al laboratorio, che seguì la dimostrazione, attratto e affascinato da quel maestro venuto da così lontano. Mi ricordo tutto di quei giorni: la faccia del maestro, i suoi consigli, le foto e la stretta di mano. E quell’attestato di partecipazione è ancora lì, incorniciato e appeso al muro di casa mia! Era giusto il periodo in cui il mio fervore di imparare a fare bonsai era alle stelle e ricordo quell’incontro con grande piacere e un pizzico di nostalgia. Costantino Franchi ci aveva abituati a manifestazioni con nomi altisonanti e i bonsaisti non facevano mancare la loro presenza ad avvenimenti del genere. Che si voglia o no questo è un luogo storico del bonsai italiano. Venti anni fa, tutti gli appassionati passavano da queste serre. Un vero punto d’incontro…un crocevia di bonsaisti alla ricerca di informazioni e qualche nuova pianta da mettere in collezione. Anche il mio babbo ci veniva spesso e io ero sempre con lui. Mi ricordo di quando fu inaugurata la collezione Paccagnella, quando c’erano le dimostrazioni di Lorenzo Agnoletti, Edoardo Scardo, Carlo Bazzali, e tantissimi altri. Le mura di questo centro bonsai hanno significato tanto per me… e credo per molti bonsaisti. Da allora, per motivi conosciuti, c’è stato un lungo periodo di silenzio. Una pausa comprensibile durata fino all’avvicendamento di Nara Franchi a capo dell’azienda di famiglia. Questo cambiamento ha dato nuova vita

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- Francesco Santini -


ed entusiasmo: l’obiettivo di Nara è preciso, dare continuità a un lavoro già intrapreso dal padre, ma mettendoci le proprie idee, la propria personalità, il proprio impegno! Quando Nara mi mise al corrente della volontà di organizzare una manifestazione con ospite un grande maestro giapponese, rimasi veramente colpito. “Finalmente!” pensai.... si! perché in un attimo mi vennero in mente le emozioni vissute qui… e l’idea di organizzare qualcosa che potesse regalare una simile spinta emotiva nei giovani appassionati mi piaceva da matti. Ecco perché questa voglia di “ricominciare” è stata accolta con tutto il mio entusiasmo. Il lavoro da fare è tantissimo. Mettere in piedi una manifestazione di questo livello dopo tanti anni ri-

chiede un grande lavoro, a volte molto radicale. Ed è qui che appare la forza di questa realtà. Parlare di azienda è corretto solo sotto il punto di vista commerciale. La percezione che si ha nel lavorare qui non è quella di un’azienda ma di una grande famiglia. È questa l’impronta che la famiglia Franchi ha dato a questa realtà. Avete presente quando tutta la famiglia è coinvolta nell’organizzazione del pranzo di Natale? Tutti hanno dei compiti, tutti con la voglia e la partecipazione necessaria, tutti con la volontà di fare le cose al meglio e di accogliere gli ospiti nel miglior modo possibile. Ecco! Dal mio punto di vista abbiamo organizzato questa manifestazione con questa ottica, con questo stile… in un ambiente così lavorare è più facile, più bello. Grazie anche alla




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- Francesco Santini -


preziosa collaborazione di Lorenzo Agnoletti è stato fatto un lavoro veramente splendido a cominciare dal programma: Il maestro Suzuki, una mostra di bonsai e di scroll, conferenze, dimostrazioni, workshop. Gli ingredienti ci sono tutti! La fatidica data si avvicina. I giorni stringono e come sempre ci sembra che non sia tutto pronto, invece tutto fila liscio. Il museo, la sala conferenze, le aree per le varie attività prendono forma. Tutto è in ordine….tutto è pronto! Entusiasmo! Questo è lo stato d’animo con cui io, ma credo tutti i membri dell’azienda, hanno vissuto questi giorni della manifestazione. Man mano che la gente cominciava ad arrivare la preoccupazione era quella di metterla a proprio agio, e come sempre le cose più attese scivolano via con una velocità impressionante. Come per i viaggi... appena partiti, ci scopriamo già di ritorno. Sembra di non averla nemmeno vissuta da quanto è stata veloce! Solo a mente fredda ci si può finalmente fermare a pensare a quello che è stato. Penso a quante persone ho salutato, alle strette di mano, penso ai molti partecipanti alla mostra, ai laboratori alle demo, penso all’emozione di lavorare fianco a fianco a un maestro del calibro di Suzuki. La cronaca della manifestazione ha poco senso... quello che è stato importante è aver visto tanta gente sorridente e soddisfatta; i tanti complimenti che ci sono giunti hanno ripagato ampiamente tutto il lavoro fatto, che vi assicuro è stato tanto!

Ripenso a un momento particolare vissuto in questi giorni: alla fine delle dimostrazioni, quando l’affluenza del pubblico era al massimo, ho sentito la voglia di allontanarmi un attimo; sono salito al museo, quello che considero quasi una seconda casa. Da solo mi sono affacciato alla finestra e mi sono messo a osservare quel piazzale pieno di gente. Vedo quel brulichio di persone, chi parla, chi osserva i bonsai, chi esce dalla mostra…è come se il tempo non fosse passato, è come se 11 anni fossero volati via in un attimo. C’e’ stato un momento che mi è sembrato di vedere il mio babbo lì su quel piazzale, a parlare di bonsai con tutti gli altri! Mi sono commosso! Dal mio punto di vista questa manifestazione aveva un significato ben preciso: doveva essere un giusto tributo alla figura di Costantino Franchi per quello che ha fatto per il bonsai in Italia, ma soprattutto un caloroso benvenuto a Nara, che chi ha avuto la fortuna di conoscere vi ha riconosciuto la degna erede di suo padre! A lei va tutto il mio ringraziamento, il mio benvenuto in questo pazzo mondo del bonsai con la convinzione che il suo impegno e la sua impronta non potrà che giovare a tutti noi “malati” di bonsai! È giunto il momento di non guardare più al passato con nostalgia. Il presente è già una bella conferma. Non resta che guardare al futuro! © RIPRODUZIONE RISERVATA


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YON SHUN-TEN


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ella fine di settimana dal 19 al 21 marzo si è svolta a Landsberg am Lech, in Germania, la 4a edizione della YON SHUN-TEN, mostra internazionale di primavera. Sono stato invitato a fare due dimostrazioni durante la manifestazione. Gli altri dimostratori erano, dal Giappone, Hirotoshi Saitho, dimostratore ufficiale della Nippon Bonsai Association. Inc., dalla Svizzera Hartmut Münchenbach ed io, Falko Hamann, Udo Fischer, Carmen Ganzenüller dalla Germania. C’era anche un’esposizione di ikebana, realizzati dalla signora Ingrid Eichinger, della scuola Ikenobo. La mostra è stata allestita in una splendida cornice, lo Stadtmuseum, (http://www.museum-landsberg.de) I bonsai sono stati esposti tra antiche statue che rappresentavano angeli, madonne e santi: un’atmosfera molto wabi sabi. L’allestimento della mostra è stato curato da Udo Fisher; la prima sala conteneva sette tokonoma con luce interna, dove i bonsai risaltavano al meglio. La mostra, nell’insieme, è stata curata in ogni minimo dettaglio, con alternanza di conifere e latifoglie, piante grosse, chuhin e shohin. Non mancavano le essenze da fiore, uno stupendo chojubai del signor Lehner, una camelia, un corylopsis ed altre essenze da fiore. La giuria era composta da Hirotoshi Saitho, Harald Lehner e da me. Molte le piante meritevoli, ed io ho preparato la mia lista (naturalmente non avevo votato le mie piante) ed è stata una vera sorpresa, quando sabato sera durante la premiazione, il mio abete si è aggiudicato il primo premio. Sembra che sia molto

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piaciuto al Maestro Hirotoshi Saitho; il secondo premio è andato ad un abete di Udo Fischer, il terzo ad un larice di Karin Wittich. Per quanto riguarda i suiseki il primo premio è stato aggiudicato a Holger Göbel, il secondo al dr. Michal Sebo e il terzo a Liselotte Weller. Le dimostrazioni, di tre ore l’una, sono state tutte molto interessanti, peccato per la lingua, io non parlo il tedesco. Sabato mattina ho lavorato due shohin di itoigawa, mentre domenica mattina una ceppaia di taglia chuhin di ezomatsu. Sugli shohin si trattava di dare una prima impostazione, il primo materiale era abba-

stanza ramificato ed ha richiesto più tempo ed una lavorazione più dettagliata. La ceppaia era molto vecchia, ed aveva perso la sua forma originaria, il lavoro è stato quasi tutto di potatura, per ridargli i vuoti ed i pieni oramai scomparsi. Tra una cosa e l’altra sono riuscito anche a far una visita alla magnifica casa del the realizzata dai signori Lehner nel loro giardino. Un sentito ringraziamento alla famiglia Lehner ed il suo staff, per l’accoglienza e l’organizzazione: tutto era perfetto ed è filato liscio senza intoppi.

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>> Dalle pagine di Bonsai&News

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>> In libreria

GIARDINI GIAPPONESI recensione a cura di Antonio Ricchiari

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o letto, come si suol dire, tutto d’un fiato il lavoro pubblicato da Gian Luigi Enny. Un testo sintetico ma ben articolato e strutturato che offre al lettore un panorama completo sui giardini giapponesi: argomento molto attuale che interessa ed affascina una vasta platea di lettori e non solo gli appassionati di orientalismo. I testi sono redatti da Enny con efficace stile giornalistico e chiara didattica e accompagnano il lettore lungo un percorso completo che inizia dai concetti filosofici che si celano dietro i giardini orientali per passare ad una fase pratica che illustra tutti gli elementi necessaria alla costruzione del giardino. Progetti pratici arricchiscono i contenuti del lavoro di Gian Luigi e dimostrano l’elevata preparazione dell’Autore. Ho molto apprezzato le numerosissime foto che corredano il libro. E’ un testo che non può mancare nelle nostre biblioteche e in quelle di tutti gli appassionati non solo di bonsai e suiseki, ma di tutto quello che attiene all’Oriente. Complimenti Gian Luigi e devo sottolineare il fatto che devolverai i tuoi diritti d’autore: questo è un valore aggiunto che ti fa molto onore. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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- Antonio Ricchiari -


Bonsai 'cult' <<

Bonsai o Penjing?

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hi si è avvicinato al bonsai negli anni settanta (e non solo, anche dopo) si è fatta l'idea che la coltivazione di queste piante avesse una origine esclusivamente giapponese. Si sentiva parlare poco della Cina e se ne sapeva ancora meno. In quegli anni la Cina era chiusa all'Occidente e non si poteva conoscere granché sulla sua eventuale cultura bonsai. La forma del bonsai era quella cui principalmente si ispirava chiunque si occupasse della coltivazione di alberi in miniatura: soprattutto l'America e più tardi l'Inghilterra l'avevano resa come un preciso riferimento estetico. Negli Stati Uniti, già prima del secondo conflitto mondiale, vivevano dei giapponesi naturalizzati che si occupavano di bonsai e questi alla fine delle ostilità diventarono i primi maestri e depositari della cultura e della tecnica, come l'avevano appresa in Giappone. Basti pensare a questo riguardo all'Associazione Bonsai della California ed al grande John Joshio Naka. Il primo libro ricco di immagini della famosa collezione di Wu Yee-Sun di Hong Kong. Fece scoprire così tutto un nuovo mondo sul penjing, come lo chiamano i cinesi. Spesso rifiutato, e a noi, aveva tuttavia qualcosa di piuttosto inconsueto, ma anche di "artistico". Il libro di Wu Yee-Sun ci fece comprendere alcune cose: che le origini

del penjing erano molto antiche e che i giapponesi avevano tratto ispirazione per il bonsai da questo aspetto della cultura cinese e che, come avevano fatto in molti altri casi, l'avevano assimilata e poco per volta inglobata. Per ultimo che il penjinq era ancora ben vivo nella Cina odierna, anche se molto in sordina e poco conosciuto. All'inizio degli anni ottanta la Cina mise sul mercato i primi penjing, presentandoli in varie esposizioni, come Le Floralies di Gand in Belgio, la Chelsea Show di Londra ed anche in Germania. Alcuni rifiutarono nettamente la produzione cinese, altri ne furono affascinati: il risultato fu una discreta confusione. Ciò che comunque diede ai cinesi una presa sicura in Occidente furono le numerose varietà di alberi provenienti da regioni tropicali o sub-tropicali. Le opinioni, ancora più che per il bonsai giapponese, restano divise. Per molte persone le forme del penjing restano estranee; altri considerano poco impegnativa questa arte cinese così poco convenzionale. Questa decisa ripulsa o il poco interesse per il penjing sono legati, secondo me, al tipo di informazione avuta: se ci si accontenta di formarsi un opinione su quanto si vede in certi vivai è impossibile capirne l'essenza. Cominciamo dalla Cina, dove vi è una antica tradizione di giardinaggio, che tuttavia,contrariamente a quella giapponese, è decisamente poco conosciuta. Se un giardino non lo si sa - Antonio Ricchiari -

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>> Bonsai 'cult' “leggere", non se ne può comprendere il significato e se ne vede magari solo l'aspetto grottesco o bizzarro. Credo che il penjing tragga le sue radici proprio nell'arte dei giardini e poi di qui ne è evoluto: quanto più imparo sui giardini cinesi, tanto meglio comprendo il penjing. La Cina ancora oggi ha dei paesaggi montagnosi stupendi: incredibilmente selvaggi e bizzarri, ripetutamente celebrati dagli artisti nelle loro pitture, poesie e canzoni. Sono una parte essenziale di ciò che i cinesi chiamano "bellezza". Anche il Taoismo ha contribuito a far sentire questa coscienza di unità con la natura. La differenza tra i bonsai ed i pen-jing si può spiegare facilmente attraverso la diversità della natura e del carattere dei due popoli. Il paesaggio cinese presenta: violenti contrasti di zone montagnose e pianure, e rivela le ampie escursioni termiche di un clima continentale. La popolazione è lieta e spensierata, amante dei colori e delle novità. Il Giappone è un caos di montagne vulcaniche, un isola con un assortimento di piante ricco quasi quanto la Cina. ma con un clima assai più mite durante tutto l'anno, che non conosce estreme temperature invernali ed estive, ma lunghe primavere ed autunni. Ogni intervento è assai accurato, ma dissimulato come fosse casuale. Le potature sulle piante sono importanti, poiché esse devono avere una forma armoniosa, ma non si deve notare dove è stato fatto il taglio. Questa diversità nell'atteggiamento mentale vale anche per il penjing ed il bonsai: La Cina accomodante intende il "naturale" in modo completamente diverso dal Giappone. Ciò che appare naturale deve essere rappresentato e realizzato in modo spontaneo, mentre i giapponesi. più formali. simulano la naturalezza senza però lasciarlo vedere. Certamente gli antichi pen-jing cinesi sono caricati di simbolismi e ciò non può stupire, poiché così tanto dell'antica Cina è ricco di simbologia. Ciò si evidenzia ancora oggi nei vecchi penjing salvatisi dalla Rivoluzione Culturale. In questo spirito si devono guardare gli alberi foggiati a forma di elefante o drago o a simulare un ideogramma o una ruota: non come banali curiosità ma piuttosto espressioni di una cultura ricca e variegata, anche se lontana dalla nostra. Ogni teoria generale dell’arte deve cominciare da questo presupposto: che l’osservatore reagisca alla forma dell’oggetto presente ai

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- Antonio Ricchiari -

suoi occhi, in questo caso l’albero, e che la visione deve risolversi in una sensazione di piacere. L’assenza di questa sensazione porta all’indifferenza, se non ad un disagio e ad una repulsione vera e propria. Il senso di rapporti piacevoli è il senso del bello; l’opposto è il senso del brutto. Il senso della bellezza è un fenomeno assai fluttuante che, nel corso della storia, si manifesta in maniere molto incerte e spesso molto sconcertanti. La maggiore o minore diffusione del penjing rispetto al bonsai deriva da diversi fattori. Come per le forme d’arte o le correnti artistiche va fatta un’analisi accurata che coinvolge il periodo storico, le aggettivazioni sociali, culturali ed etniche. Un’arte non ha maggiore o minore successo perché è più o meno bella o esteticamente coinvolgente. La diffusione del penjing è stata innanzitutto limitata poiché la nazione cinese ha avuto nei secoli delle chiusure ermetiche dal punto di vista geopolitico, culturale ed artistico. La Cina non ha mai avuto alcun interesse ad esportare oltre i propri confini tutto ciò che attiene alla scienza, all’arte etc. Diciamo allora che dal punto di vista comunicativo e divulgativo il Giappone ha avuto dall’Ottocento in poi significative aperture. La cosiddetta rivoluzione culturale di Mao – scoppiata alla fine degli anni ‘60 dello scorso secolo - è stata dal punto di vista culturale-artistico un notevole regresso per la Cina e per l’interscambio con l’Occidente. Furono distrutti la maggior parte degli esemplari: il poco che sopravvisse alla stolta logica delle rivoluzioni deve la sua salvezza alla passione e all’amore di singoli coltivatori. Il penjing perse in Cina quell’importanza e quel valore che gli appartenevano da secoli. Prevale fra le varie motivazioni il fatto che sono stati per primi i giapponesi a fare conoscere e divulgare i bonsai. Il penjing è rimasto per molto, troppo tempo sconosciuto all’Occidente. Quella che si chiama “educazione artistica” ha imposto per primo il gusto verso il bonsai. Il penjing rimane apprezzato e seguito da un numero minore di appassionati, ma questa è una valutazione che non ha nulla a che fare con il valore intrinsecamente estetico dello stile. © RIPRODUZIONE RISERVATA


La mia esperienza <<

- Davide Lenzi -

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>> La mia esperienza

L

'essenza presa in esame è una Fillirea. Originaria della Grecia, in Italia ne esistono due specie: Phillyrea Latifolia e Phillyrea Angustifolia. Quest'ultima è la più diffusa e vive allo stato spontaneo in tutto il bacino del Mediterraneo. Le sue carattetistiche sono l'adattamento a tutti i tipi di suolo, resistenza agli inquinamenti atmosferici e soprattutto ai venti marini. Grazie a queste caratteristiche, alla corteccia vecchia e rugosa, ed alla ridotta dimensione delle foglie, si adatta benissimo alla coltivazione bonsai.

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- Davide Lenzi -

La Fillirea descritta in questo articolo è stata raccolta sulle colline Livornesi nella primavera del 2007, precisamente a fine Marzo. Il terreno nel quale viveva era composto da argilla, gabbriccio e roccie varie che ne hanno reso la raccolta molto difficoltosa; difatti la pianta è rimasta in stasi vegetativa per tutto un anno fino alla primavera successiva. Dopodichè è stata coltivata con concimi organici a lenta cessione, poca acqua e tanto sole all'interno di un terreno abbastanza drenante, ben areato e ricco di sali minerali, per garantire una crescita ottimale


all'apparato radicale (30% di terriccio universale, 35% di pomice a granulometria media e 35% di lapillo vulcanico medio). Quando la Fillirea ha raggiunto un ottimo stato di salute, ho deciso di lavorarla dandogli la prima impostazione dopo tre anni di coltivazione. Inizialmente viene ripulito il nebari per trovare le radici principali, poi, dopo aver studiato bene la struttura del tronco e dei rami primari, si progettano i vari tipi di soluzioni mettendo in risalto le parti belle pi첫 importanti e nascondendo o rendendo belle quelle parti poco interessanti,

che possono essere identificate come difetti. Nel caso di questa Fillirea le soluzioni erano due: intervenire sulla parte del tronco sinistro tagliandolo, per eseguire un Moyogi o uno Shokan (eretto informale o inclinato); oppure togliere la parte destra per sviluppare un Han-kengai (semicascante). Visto le caratteristiche del tronco e l'andamento molto naturale della pianta ho deciso di scegliere la seconda soluzione eseguendo un semicascante ed evitando anche di fare un bonsai abbastanza usuale e simile a molti altri.

- Davide Lenzi -

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Prima di tutto spoglio la parte destra per decidere di tenerla oppure trasformarla in un lungo jin. Dopodichè pulisco la parte sinistra per leggere meglio il resto del tronco: la vegetazione nascondeva uno Shari naturale molto bello; non ho più dubbi la parte pulita è molto più interessante, cosi' procedo. Trasformo le parti dei rami spogliati dalla vegetazione i lunghi jin, per realizzare se occorreranno alla struttura finale del bonsai e li prolungo con delle parti scortecciate lungo il tronco per rendere il tutto più naturale possibile. Poi metto del mastice lungo gli Shari ottenuti per proteggerli da eventuali ritiri di linfa eccessivi ed ini-

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- Davide Lenzi -

zio a basculare la pianta per scegliere l' inclinazione giusta ed il futuro fronte del bonsai. Scelti inclinazione e fronte noto che la linea di forza del jin destro è in contrasto con quella della direzione della pianta, cosi' decido di tagliarlo e di ridurlo molto piccolo. Dopo aver lavorato con sgorbie le parti rese secche, mi dedico alla filatura della pianta con del rame cotto e all' impostazione finale del bonsai. Il risultato finale è molto soddisfacente! Pensando che si tratta di una prima lavorazione devo dire che questo futuro bonsai di Fillirea mi darà delle ottime soddisfazioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA


La mia esperienza <<

Nel laboratorio di un

ARTISTA

S

in dalla nascita della mia passione per i bonsai, sono sempre stato affascinato dai vasi. Il vaso non è semplicemente un anonimo contenitore per un albero in miniatura, ma un prezioso e ricercato completamento per quel che è una rappresentazione artistica di un vecchio albero in natura. Parlare di un vaso di qualità, significa prima di tutto entrare a contatto di un mondo formato da mille sfaccettature... l'età, il

tipo di gres, la forma, il colore, lo smalto, la patina, la produzione, sono soltanto alcune delle peculiarità che fanno di un vaso un vero e proprio oggetto d'arte. Senza arrivare a parlare delle preziose produzioni di Tokoname, o degli inarrivabili Kowatari cinesi, c'è da dire che l'Europa si è distinta negli ultimi anni per la presenza di artigiani vasai dalle eccellenti qualità, tra cui John Pitt, Bryan Albright, Morea Pubben, e in Italia, Ma- Tiberio Gracco, Carlo Scafuri -

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rio Remeggio e, dulcis in fundo, Tiberio Gracco. Avere Tiberio tra i soci del club al quale appartengo, il Napoli Bonsai Club, è stata una vera fortuna per noi tutti. Tiberio ha saputo con zelo, umiltà e modestia, doti inscindibili del suo carattere, partire da zero ed imparare tutto ciò che riguarda la creazione di un vaso di qualità. Ha fatto sue le varie tecniche di produzione,

l'utilizzo degli smalti, la scelta dei diversi gres, l'estetica celata dietro ogni forma, ha perfezionato negli anni le sue creazioni fino al punto di sbalordire gli stessi “ammiratori” dei tanto blasonati Tokoname. Infine, la qualità dei suoi lavori ha fatto in modo che si concretizzasse una speciale collaborazione con Sandro Segneri, che ha portato allo studio ed alla successiva

realizzazione di vasi unici nel loro genere! Durante una delle mie visite al suo laboratorio, Tiberio ha voluto che io assistessi alla creazione di un vaso che lo stesso Sandro gli aveva disegnato per un suo olivastro chuhin. Mentre parliamo, si avvicina al tornio spiegandomene l'utilità ed i principi di funzionamento. Mi spiega che quella


>> Tecniche bonsai del tornio è una tecnica antichissima, basata sull'utilizzo di un piano rotante collegato ad una grossa ruota in pietra che, fungendo da volano, prolungava il moto del piano rotante che veniva fatto ruotare dall'artigiano vasaio con i piedi. Al giorno d'oggi, invece, grazie all'utilizzo del motore, non solo il lavoro risulta più agevole e meno stancante, ma è possibile variare la velocità di rotazione adattandola alle varie fasi di lavorazione. Prima di mettersi

all'opera col tornio, però, si inizia a studiare il progetto del vaso, tenendo in considerazione che per giungere alle misure definitive del vaso, bisogna tener presente della percentuale di restringimento dell'impasto che può variare dal 6 al 10%. Si passa quindi a preparare l'impasto di gres in una apposita macchina detta “degasatrice”, che provvede all'eliminazione delle bolle d'aria presenti nell'impasto stesso, questo al fine di evitare spiacevoli rotture rendendo il manufatto più resistente.

- Tiberio Gracco, Carlo Scafuri -

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Quel che vedo dopo è un mix di manualità, tecnica, bravura... e magia. Tiberio posiziona una palla di gres sul tornio, centrandola con la forza delle mani sul piano rotante ed utilizzando del gres fluido (la cosidetta “barbottina”) per ridurre l'attrito tra le mani e l'impasto. In questa fase viene data una prima modellatura a quel che fino ad un attimo prima era un ammasso informe di gres. Il ritmo cambia, ed in men che non si dica viene arrotondato il profilo del vaso e vengono abbozzate le “corde” sulla sua superficie. Con una spugna imbevuta viene ammorbidito il tutto ed il vaso comincia ad assumere quel che sarà la sua forma definitiva. Mentre sul mio volto si stampa la tipica espressione inebetita di chi ha visto materializzarsi magicamente un vaso dal nulla, con l'ausilio di un filo metallico in tensione Tiberio stacca il vaso dal tornio adagiandolo delicatamente al contrario. Non appena il vaso raggiunge una precisa consistenza, gli viene dapprima attaccata una striscia di gres da cui vengono ricavati i piedini, gli vengono praticati e rifiniti i fori di drenaggio ed ancoraggio, ed infine gli vengono apposti i timbri. Il vaso è praticamente ultimato, Tiberio mi spiega che per considerarsi davvero finito dovrà prima asciugarsi lentamente e poi venire infornato e smaltato. È ora di prendere commiato da questo grande artista vasaio che ho l'onore di considerare amico, non prima però di farmi promettere di avere le foto finali del vaso una volta cotto e smaltato... inutile dirvi che Tiberio ha poi mantenuto la promessa!!!

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- Tiberio Gracco, Carlo Scafuri -

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>> La mia esperienza

la

MAreligiosa N T IDE I

l Ginepro comune ha una vasta diffusione in tutto l’emisfero settentrionale, dove vive spontaneo dal livello del mare fino a notevole altitudine, tanto che nella forma arbustiva nana e prostrata, raggiunge i 3700 m nel Monte Rosa. E' pianta molto longeva (può vivere fino a 1000 anni) e frugale, adattabile a qualsiasi condizioni di clima e di terreno, vegeta in ambienti aperti e luminosi, tollera aridità e forte vento. La pianta protagonista di questo articolo è un Ginepro comune var. “Emisferica” che vive in Sicilia e sporadicamente in Calabria, in entrambi i posti lo si trova in alcuni monti a partire dai 1000 fino ai 2200 metri di altezza. E' una varietà che assume in natura un portamento strisciante formando dei cuscini più o meno grandi di forma tondeggiante, da qui il nome latino “Emisferica”. Quindi, pur essendo molto longeva, raggiunge di rado grandezze di tronco di un certo livello. Il materiale in questione catturò inizialmente la mia attenzione per la grandezza del tronco, inusuale per questa essenza, e subito dopo per i movimenti del tronco stesso e per la legna secca molto vissuta. Stranamente, dopo pochi minuti di osservazione della pianta, avevo già chiaro in mente il disegno finale, cosa che mi capita raramente soprattutto con materiale così complesso. Il progetto che avevo in mente avrebbe dato come risultato uno stile bunjin insolito, perché solitamente rappresentato da tronchi sottili e vegetazione leggera,

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- Giacomo Pappalardo -



mentre la pianta in questione aveva un tronco notevole ed una chioma poco leggera, ma il tutto era molto naturale anche perché sfruttavo delle curve drastiche naturali. Lo stile bunjin a mio avviso è lo stile più complicato da realizzare, ed anche se in molti si cimentano a farlo, sono pochissime le piante che si avvicinano veramente a questo stile, “libero” ma allo stesso tempo ricco di significato. Dopo un periodo di pieno recupero della pianta iniziai la prima lavorazione, nel Maggio 2005, consapevole del fatto che il disegno che avevo in mente non si sarebbe potuto realizzare in un intervento. Iniziai con la pulitura delle vene in modo da capire quali zone delle piante ali-


mentavano e devo ammettere che non e’ stato facile. Capita spesso che nei ginepri, soprattutto nei soggetti molto vecchi, le vene o fasci linfatici si incrocino e col tempo si saldino insieme per poi dividersi e alimentare due zone opposte, oppure che radici avventizie trovino una zona di terreno più profondo e si ingrossino fino a diventare un tutt'uno con il tronco. Parliamo comunque di processi che la pianta mette in atto in decine e decine di anni, e molto spesso in centinaia di anni. Dopo la pulitura delle vene iniziai la lavorazione della legna secca cercando di non toccare assolutamente le parti naturali lavorate in molti anni come solo madre natura sa fare, mi limitai soltanto a raccordare i tagli dei jin che erano stati tagliati al momento della raccolta ed a eliminare una grossa parte di legna

secca in basso (molto probabilmente una grossa radice che formava il tronco ormai secca e inattiva da diversi anni). La maggior parte del lavoro di legna secca lo feci con la tecnica dello strappo, mentre per le parti più grosse che dovevo eliminare completamente mi servii di una smerigliatrice ad alta velocità. La prima lavorazione della chioma in un ginepro ad aghi non da quasi mai un risultato piacevole perché spesso si ha poca vegetazione secondaria, ma si lavora per se-

lezionare e dirigere la ramificazione primaria che serve al disegno che ci siamo prefissati ed eliminare il superfluo; come risultato la pianta, se è sana ed è stata ben concimata, vegeterà abbondantemente creando la vegetazione secondaria, che se cimata al momento giusto può regalarci nello stesso anno una seconda vegetazione creando la vegetazione di rifinitura. Il risultato finale della prima lavorazione corrispondeva al disegno che avevo in mente anche se c’era la zona bassa della


>> La mia esperienza pianta che mi creava problemi perché nel disegno che avevo in mente andava eliminata, ma a lei era legata la sopravvivenza della vena che parte dalla sinistra del tronco per poi girare sopra per andare ad alimentare i due palchi in basso, mentre la zona in alto era alimentata dalla vena di destra. Decisi momentaneamente di lasciare quella zona e prendermi un po’ di tempo per pensare ad una possibile soluzione. Lo stesso anno della lavorazione decisi di rinvasare la pianta, pur sapendo di rischiare preferivo farlo subito per eliminare il lapillo vulcanico con cui era stata rinvasata la pianta, che se in Sicilia ed in genere al Sud Italia è un ottimo terriccio per la coltivazione, ma in Piemonte dove abitavo, si rischia, soprattutto con questa essenza, un marciume radicale. La pianta (ben concimata precedentemente) rispose bene al rinvaso e mi regalò anche una discreta vegetazione. Nella primavera del 2006 prima del risveglio reimpostai la pianta accorciando ulteriormente i famosi tre palchi in basso lasciandone solo uno, che se pur fastidioso per il disegno, mi permetteva di tenere in vita la vena. Ma feci male i miei conti perché come ben sappiamo ma spesso dimentichiamo abbiamo a che fare con esseri viventi (ed io aggiungo pensanti, anche se a modo loro) e non con delle rocce o del legno secco che possiamo forgiare a nostro piacimento. La pianta percependo che la vegetazione alimentata da quella vena era insignificante rispetto al resto della chioma alimentata dall’altra vena, fece scattare il processo di econo-

mia delle risorse e quindi di sacrificare la zona più debole, non produttiva, a favore della zona più forte, più efficiente. Conclusione: il rametto che avevo lasciato ritiro’ la linfa e seccò e con lui la vena di sinistra. Alla fine poco male perché comunque la vena di destra che alimenta adesso tutta la chioma e’ ben visibile dal fronte. Per il resto non ci furono più imprevisti, la pianta continuò a vegetare generosamente per tutto l’anno. Nell’Ottobre 2006 fu presentata a Roma alla “So-saku Bonsai Awards” aggiudicandosi il Premio per Autori. Nella primavera del 2007 fu rinvasata in un vaso “prototipo” realizzato su mia richiesta dall’amico e artista Piero Cantù. Questa volta portai la pianta a radice nuda eliminando così l’ultima parete di zolla che avevo lasciato al primo rinvaso in modo da escludere qualsiasi pericolo di ristagni d’acqua. Voglio chiarire che questi interventi così ravvicinati possono sembrare eccessivi e in effetti lo sono ma sono frutto di anni di esperienza sommata all’utilizzo di prodotti di ultima generazione che se saputi utilizzare al meglio con l’aggiunta dell’esperienza possono accorciare di parecchio i tempi di risposta e di recupero della pianta a certi interventi invasivi. Quindi se non si ha l’esperienza necessaria consiglio di continuare a eseguire gli interventi di rinvaso mantenendo parte di zolla e con i canonici due tre anni di recupero tra un intervento e l’altro. Nel 2007 fu presentata alla Ginko Award


dove venne selezionata per il Mondiale 2008 in Italia. Nel 2008 durante il congresso di Arco di Trento in Italia, si aggiudicò il premio UBI. Sempre nel 2008 la pianta si e’ distinta alla “Bonsai Award Certre’ International on line” aggiudicandosi la sesta posizione. Buon bonsai a tutti.

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Vita breve di una pietra giapponese: una Luuuuunga Storia, ai nostri occhi ….

Tratto da: “The Sen-En-Kyo: COLLECTION OF JAPANESE VIEWING STONES” di Sen-En-Kyo Supervisore editoriale: Kin-ichi Yoshimura

La vacca od il bue sono un simbolo della diffusione della cultura buddista. In Giappone, il bue mansueto ha il nome speciale di Gagyu.

Un'antica storia zen cinese è rappresentata in dieci antichi disegni: “Le dieci icone del toro domato”. Per gli antichi monaci cinesi Chan; in seguito, anche per i monaci Zen dopo, rappresentano i dieci passi che portano lungo la via alla scoperta della Verità.


Un pastore vuole ritrovare il bue che ha perso. Il bue, prima disobbediente ed irruento, rappresenta la mente incline a correre qua e là. Il mandriano che tenta di legare il bue ad un albero è lo yoghi; quando il solido punto fermo sarà fissato, il mandriano potrà allontanarsi senza timore di perdere nuovamente il bue, ormai tranquillo e sottomesso: metafora calzante per la pratica della meditazione. “Proprio come un uomo legherebbe ad un palo Un vitello che dovrebbe essere addomesticato, Così pure uno dovrebbe qui legare strettamente La propria mente all'oggetto di consapevolezza”.

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el maggio 2005, fu la prima volta in cui vidi il famoso Gagyu-ishi (precedentemente, di proprietà di Kamiya Yoanken). Prima, lo avevo visto solo in fotografia. La Pietra mi apparve piccola, ma aveva una dignitosa e massiccia apparenza. Vi è una profonda connessione tra la pietra ed il Kofu-En Bonsai Garden. Il Gagyu-ishi, (pietra amata da Bejo, il fondatore del Giardino Taiko-En Bonsai) fu dapprima data a Yoshimura Toshiji da Hanjiro, il titolare di seconda generazione di Taiko-En nel 1924, come un riconoscimento per l'apertura del Toshiji Bonsai Garden. Beio, nato nell’anno del Toro aveva una smodata passione per la pietra. Nonbei, una mano da maestro nel creare suiban, aveva anche fatto una figura di bue per il compleanno di Beio, ma sfortunatamente era bruciata quando scoppiò un incendio, durante il grande terremoto di Kanto, nel 1923. Kin-ichi Yoshimura dice che, quando si trova faccia a faccia con la pietra, è come se Beio fosse in realtà di fronte a lui. Anche se non ha

mai avuto familiarità con Beio, la pietra gli somiglia esattamente come suo padre Toshiji gli aveva descritto: grande, pesante, e calvo, con una faccia rotonda. Le sue mani erano abbastanza grandi. Quando Toshiji fu suo apprendista, si soffiava i pugni durante il lavoro ed erano piuttosto doloranti. Il Gagyu-ishi è stato venduto dal Kofu-En Garden diverse volte ma, stranamente, torna sempre indietro come un boomerang, dopo un pò. E' come presente… un senso di relazione predestinata tra la pietra e il Kofu-En. Nei primi mesi del Showa la pietra fu trasferita a Kyoto da Kamija Yoanken, che è stato un appassionato di suiseki e che gestiva una grande borsa di vendita. Per qualche ragione, egli ha venduto tutte le sue pietre di Tokyo, il 22 settembre 1941. Il prezzo del Gagyu-ishi allora fu di 551 Yen. Il nome di Toshiji era elencato nella lista degli agenti per la vendita, per cui, poi, si pensò che la pietra fosse stata comperata in quel momento. Nel 1945, anno in cui finì la guerra, vi era- a cura di Luciana Queirolo -

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no due suiseki rinomati, al Kofu-En Bonsai Garden: la pietra Gagyu e una pietra crisantemo chiamata "Hagoromo". La Pietra "Hagoromo" fu scambiata per del riso, ma Toshiji non abbandò la Gagyu-ishi. Nel 1965, quando il collezionismo Suiseki era all'apice del boom, Toshiji fu avvicinato da Hashimoto Masukichi, un importante cliente, al Kofu-En Garden, e la pietra gli fu venduta. Ma Toshiji sognò la pietra, quella notte, e nel sogno la pietra gli disse che voleva ritornare; così il giorno dopo Toshiji andò a spiegare il suo sogno e se la fece ridare. Questo episodio è famoso. Nuovamente, nel 1975, La pietra fu trasferita a Katayama Teiichi su sua richiesta e dopo passò a Chuji Sugii. La pietra è stata inclusa negli "Importanti Suiseki e Utensili Certificati dalla Japan Suiseki Association” come un importante suiseki di sua proprietà (registration n ° 66) Nel maggio 2005, Quando Chuji Sugii ebbe intenzione di vendere la pietra, molti entusiasti richiesero di comprarla, così decise di consultare Arishige Matsuura, presidente della Japan Suiseki Association. Egli fu dell’avviso che la pietra dovesse appartenere a Kofu-En Bonsai Garden e, di conseguenza, Sugii concluse di venderlo alla Kofu-En. Kin-ichi Yoshimura osservò, dopo aver ottenuto la pietra: "Ho sognato di mio padre (Toshiji) la notte scorsa. E’ apparso accanto al mio letto ed ha semplicemente sorriso." È come se Toshiji fosse contento che la pietra Gagyu tornasse al KofuEn. Ora la pietra è sotto le cure di Ikki Yoshimura, che è il figlio di Kin-ichi ed ora è in formazione sotto di lui.” (nota di redazione:!!!!!!!). “… Nel giugno 2006, Ikki Yoshimura ha assunto

l'incarico di direttore della Japan Suiseki Association. È’ come se Toshiji avesse portato la pietra al Kofu-En per sostenere Ikki. Mi auguro che la pietra possa rimanere, per una lunga durata, tesoro del Kofu-En e spero per l'ulteriore sviluppo del Kofu-En.” © RIPRODUZIONE RISERVATA

COSA NOI SUISEKISTI DOBBIAMO SAPERE

società giapponese: artisti ed aristocrazia.

YUJI YOSHIMURA nasce nel 1921, secondo di 12 figli, dalla famiglia di Toshiji Yoshimura, uno dei massimi leader del bonsaismo mondiale, samurai e famoso designer di giardino, proprietario del Kofu-en Bonsai Nursery, situata in un sobborgo di Tokyo; fino al 1960, uno dei tre giardini dal periodo Meiji. Toshiji, uomo di gusto estremamente raffinato e di grande istruzione, annoverava tra i suoi clienti la crema della

“L’estetica della Kofu-En Nursery è stata per una bellezza interiore oltre che leggiadria esteriore, favorendo l'eleganza piuttosto che l’impatto. Quando guardi un piccolo albero, il tuo cuore si sente rilassato e puoi sentire soffiare il vento; più di quello che può essere visto con gli occhi e l'albero assume una bellezza eterea. Yuji imparò questa estetica dal padre e l’ha insegnata al mondo Occidentale, prima in


Giappone e poi negli Stati Uniti. Visse nel mondo occidentale per più di trentacinque anni, studiando le differenze tra le culture occidentali ed orientali. Yuji Yoshimura è stato un artista bonsai giapponese che, vivendo al di fuori del Giappone per molti anni, divenne un legame diretto tra le tradizioni del bonsai classico giapponese e

l'approccio progressivo occidentale. Il risultato è stato una scuola elegante e raffinata del bonsai adattato per il mondo moderno.” Il 27 agosto 1975, il padre, Toshiji Yoshimura, muore. Il fratello di Yuji, Kanekazu, diviene titolare della Kofu-En: molto attiva all’interno della Nippon Bonsai Association e

della Nippon Suiseki Association, in cui Yuji è stato tra i fondatori. Nel 1984, in collaborazione con Vincent T. Covello, pubblica “L’Arte Giapponese dell’Apprezzamento della Pietra, Suiseki e il suo uso col Bonsai” . Libro che rimane a tutt’oggi la Bibbia di ogni nuovo appassionato del Suiseki.

- a cura di Luciana Queirolo -

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Larix decidua

La r i c e meravigliosa essenza

Testo e foto di Federico Springolo


>> Noi... di Bonsai Creativo School

Larice

ESSENZA MERAVIGLIOSA Testo e foto di Federico Springolo

L

a sua corteccia grigia come la cenere, il suo legno dalle venature rossofuoco e dal profumo inconfondibile, i suoi aghi verde tenue e leggeri come piume, il giallo oro in autunno e la sua veste nuda in inverno, fanno di questa essenza una delle mie preferite e quando, durante le mie gite a “caccia” di esemplari mi imbatto in lui è difficile che torni a casa senza! La pianta che presento è un esemplare molto grande di questa meravigliosa essenza, pianta che raccolsi una decina di anni fa e che per circa otto è rimasta a dimorare all’interno di una cassa di legno che costruii appositamente. Dicevo otto anni, tutto questo tempo mi è servito per apprezzare le sue risposte alle stagioni, ammirare il suo mutare di colore e creare con lei quell’armonia che mi ha portato a operare degli

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- Federico Springolo -

interventi avendo il massimo rispetto per la sua vetustà e saggezza. Per la prima lavorazione ho approffitato di un incontro con Sandro Segneri alla Bonsai Creativo School, anche il grande Sandro, nonostante veda continuamente materiali di potenzialità elevatissima, è rimasto colpito ed entusiasta di ciò che aveva davanti ed ha approvato, dopo averlo analizzato attentamente, il progetto che gli ho sottoposto. Il progetto non facile, perché il “laricione” presentava una grossa porzione di tronco arcuata e di poco interesse che allungava la pianta e non conferiva carattere, prevedeva, per conferire quel carattere latente di operare una scelta drastica, scelta che mi portava a eliminare tutta la parte apicale, simulando un incidente meccanico, e ridurre “al secco” una porzione importante della vegetazio-


ne. Ero, e sono convinto, che quello che era un difetto sia divenuto oggi un punto focale dell’insieme. Questa operazione mi ha successivamente portato, negli interventi futuri, a lavorare il legno secco del moncone e operare il suo spostamento, con le tecniche della sfibratura e l’ausilio del fuoco, in avanti di oltre 60 gradi. In questa prima fase, però, non ho previsto di lavorare il legno ma solamente di concentrarmi sull’abbassamento del ramo principale, per simulare uno stile KENGAI (cascata) O HAN KENGAI (semicascata) e una prima allargatura dei rami primari per favorire l’amissione di nuovi germogli. Ho eseguito una legatura importante del ramo, sopra una protezione di banale camera d’aria posizionata su di uno strato doppio di rafia, l’ho abbassato aiutandomi con delle leve e, giunto alla posizione desirata, l’ho ancorato con dei tiranti. Per il punto di partenza della curva ho sfruttato una biforcazione causata

da un evento drastico naturale. Ho lasciato riposare la pianta per tutta la stagione vegetativa e, a Giugno, prima di spostarla come al solito in montagna dove può migliorare le sue funzioni vitali visto che le condizioni di temperatura le sono più favorevoli della pianura, ho operato un dimensionamento delle branche - Federico Springolo -

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>> Noi... di Bonsai Creativo School

primarie che si erano allungate anche di 35/40 cm. A gennaio, ho deciso d’intervenire sul legno secco e di operare una seconda definizione dei palchi. La lavorazione del legno, come detto in precedenza, implicava lo spostamento del moncone in avanti e una piega di questo di circa 60° per enfatizzare il punto di rottura e rendere il difetto accennato in un punto d’interesse. Ho operato quindi la sanificazione della cassa di legno che, come si vede dalle foto, stava cedendo in tutte le sue parti. Ecco questo è stata la mia prima fase di lavorazione con il “laricione” ora, con il tempo si succederanno altri lavori da eseguire e chissà se, magari un giorno, potra darci emozioni dal vivo in qualche esposizione. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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- Federico Springolo -


- Federico Springolo -

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>> Noi... di Bonsai Creativo School

Nasce a Padova nel 1976, nel 1990 inizia a seguire i corsi base presso l’Associazione Euganea Bonsai. Fonda con Luigi Toso nel 1992 il Bonsai Gymnasium. Nello stesso anno frequenta dei corsi di formazione e perfezionamento con alcuni dei più noti istruttori italiani quali: Segneri, Andolfo, Cetorelli, Dal Col, Liporace e simultaneamente partecipa a dei workshop tenuti da H. Terakawa, H. Suzuki e M. Noelander. Nel 1994 inizia a seguire, come assistente, Luigi Toso nelle dimostrazioni e nei workshop tenuti dallo stesso. Si diploma in agraria nel 1995. Dal 1997 è ammesso al Collegio Nazionale IBS. Da allora ha partecipato a manifestazioni nazionali e in alcune di queste le sue piante ricevono citazioni e premi, tra queste ricordiamo: Sacile nel 1998 e Ferrara nel 1999. Nel 1999, dopo lungo apprendistato, intraprende l’attività professionistica di realizzazione di parchi e giardini fondando l’azienda Oltre il Verde Giardini snc. Nel 2001, alla mostra nazionale di Arco (TN), effettua la sua prima dimostrazione in pubblico come Istruttore. Il periodo immediatamente successivo lo vede impegnato in una lunga ed autonoma fase di ricerca sull’estetica delle forme e studio delle piante autoctone. Sviluppa quindi la passione per essenze mediterranee ed alpine del nostro territorio. Si specializza nella raccolta di pini, larici, abeti e quercus affiancando contemporaneamente artisti della lavorazione e dell’intaglio del legno. Dal 2007 frequenta la Bonsai Creativo School, diretta da Sandro Segneri, dove sta approfondendo le nozioni di estetica e le metodologie di lavorazione delle piante con l’applicazione di tecniche avanzate. Nel 2009, insieme ad alcuni amici che condividono la stessa passione, rifonda il BonsaiGymnasium, con sede a Galta di Vigonovo (VE); nell’Associazione ricopre la carica di vicepresidente e istruttore. Cultore dell’estetica la sua specializzazione nel campo bonsaistico sono le forme naturali e la lavorazione del legno secco, predilige l’uso di utensili manuali a quelli elettrici.





>> L'opinione di...

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entrovati amici, con il primo numero di primavera vi regaliamo una chicca, l'intervista ad uno dei pionieri della nostra passione, Lorenzo Agnoletti. Ha iniziato a conoscere i bonsai all’Università di Agraria di Firenze. Partecipa alla prima mostra di bonsai a Pisa nel 1980 ed è cofondatore del club ATABS di Firenze nel 1984, oltre che dell’Associazione Italiana Bonsai (AIB). Nel 1985 inizia la sua collaborazione con un centro bonsai dove ha l’occasione di lavorare ed assistere diversi professionisti: Naka, Suzuki, Robinson, Kobayashi e Terakawa. Il primo viaggio in Giappone risale al 1989 per il primo Congresso Mondiale Bonsai. Ne seguiranno altri fino allo stretto rapporto con Il Maestro Kobayashi e la permanenza nel suo giardino nel 2002 per cinque mesi. Ha partecipato a molte manifestazioni in Italia ed all’estero come espositore concorrente e giudice. I suoi bonsai, tutti di specie europee, hanno vinto concorsi nazionali ed internazionali. Buona lettura.

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Devo confessare che intervistare uno dei pionieri del bonsai in Italia mi desta una certa emozione. A maggior ragione per il fatto che, ultimamente, di te non si hanno molte notizie, a cosa è dovuto questo “isolamento mediatico”? La mia relativa assenza è dovuta ad impegni nella costruzione del mio nuovo giardino e in parte dal mio desiderio di rallentare e selezionare le mie partecipazioni a manifestazioni e media. Potrei dire che ogni tanto mi piace vedere quello che fanno gli altri. Ho l´inconfessato desiderio di tornare ad essere un semplice appassionato bonsai. Per l´isolamento mediatico potreste propormi una collaborazione o un articolo sul vostro magazine. Come sempre, a me piace far trasparire da queste righe un po' dell'uomo che c'è dietro ogni bonsaista, tu che tipo di persona ti definisci? Penso di essere una persona complessa, con un carattere riservato ma molto curioso del mondo e degli altri. Dal punto di vista del bonsai sono sicuramente un epicureo, cerco di trarne tutti i piaceri possibili. Il debutto nel mondo del bonsai risale al 1980 con la tua prima mostra a Pisa, che ricordo hai di quei giorni? Radioso! Come possono essere i 19 anni ed una 500 verde, usata in viaggio per Pisa a vedere i bonsai. E´stato emozionante incontrare quei pochi che allora conoscevano questa arte. Ho rivisto tempo fa un catalogo della mostra: le piante bonsaisticamente erano impresentabili in compenso c´era una bella atmosfera un po' anarchica e naif. Oggi qualunque appassionato si voglia cimentare con quest'arte non ha certo difficoltà a reperire informazioni, a trovare scuole e maestri, ma i tuoi inizi non sono stati certo così semplici, credi che

le difficoltà di allora siano state ripagate in termini di soddisfazioni?

Dal giorno del tuo debutto non ti sei più fermato, innumerevoli le splendide piante che sono venute fuori dalle tue mani, ma ce n'è una alla quale credo tu sia particolarmente affezionato, il famoso cipresso che ormai tutti conoscono, sbaglio se dico che è ormai quasi parte di te e della tua storia? Vedi ho la presunzione di ritenere che tutti i miei bonsai siano parte di me. Tutti i bonsai del mio giardino sono stati lavorati da zero e solo da me, per questo non ho un bonsai preferito. Il mio cipresso e ´stato apprezzato da altri e questo mi fa piacere. Il tuo percorso formativo ti ha portato a frequentare alcuni dei più famosi artisti giapponesi fino a farti approdare nel 2002 nel giardino del Maestro Kobayashi. Che ricordo ti porti di quei cinque mesi? Mi ricordo la gioia e la frenesia del mio maestro Kobayashi

che tutto può essere fuorché un tipico giapponese. Ho vissuto per un periodo con un uomo che ha avuto dei sogni e li ha realizzati: Avere un giardino bonsai creato dal nulla, partecipare e vincere a manifestazioni importanti, costruire un museo di vasi antichi, divulgare il bonsai oltre i confini nazionali, insegnare ad allievi stranieri. Mi porto dentro la lezione quotidiana, mai esplicata ma messa in pratica che il bonsai non è tecnica ma arte. Per questo noi allievi eravamo trascinati a lezioni di calligrafia, visite a mostre di pittura, collezioni di bonsai e vasi, giardini e luoghi naturali famosi. Per Kobayashi il bonsai è parte del “Kazari” che è l'arte di armonizzare ed estetizzare il mondo attorno a noi e per farlo ci vuole la nozione del bello. Rifacendomi alla domanda precedente, io credo che per un occidentale, essere “preso a bottega” da un grande Maestro giapponese rappresenti un onore. La mia è una visione romantica o è ancora così? Sicuramente è stato un privilegio essere stato il suo primo studente straniero di lungo periodo. Un onore è stato l'avermi affidato la lavorazione e preparazione di tanti bonsai per clienti


Una delle particolarità che mi hanno colpito è che tutti i tuoi bonsai sono di specie europee. È un po' singolare per un artista che, oltre ad aver vissuto un periodo in Giappone, ha avuto a che fare con Naka, Suzuki, Kobayashi. Qual è il perchè di questa scelta? Spesso si legge che un lungo viaggio inizia con il primo passo ma non si specifica in quale direzione. La mia direzione nel mondo bonsai è stata verso le specie autoctone perché ho sempre avuto un sentimento di intimità con gli alberi che conoscevo fin da bambino. Come avviene che apprezzo la cultura di altri paesi ma non la faccio propria, allo stesso modo ho solo specie europee nel mio giardino. In passato ho chiesto anche mostre bonsai con solo specie europee ma forse l'ignoranza del nostro patrimonio naturale e forti interessi economici le rendono per il momento impossibili.

importanti e per il Kokufu oltre a l'avermi dato la sua amicizia. Tra tutte le altre cose, sei anche uno dei fondatori della Sakka Kyookai Bonsai Europe, estensione in Europa della Sakka Kyookai Japan. Credi che mantenere un cordone ombelicale molto stretto con il Giappone sia positivo per il movimento bonsaistico europeo ed italiano in particolare? Sì, sono stato uno dei fondatori della Sakka Kyookai Europe e da questo anno ne sono il nuovo presidente. Prima di rispondere vorrei precisare che cosa è la Nippon Bonsai Sakka Kyookai, che è nata per divulgare i valori della tradizione nel bonsai e non il bonsai tradizionale. I maestri della Sakka non cercano di ripetere le forme dei bonsai delle epoche passate, anzi alle loro esposizioni ci sono bonsai molto di-

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versi tra di loro e mai ripetitivi o accademici. Le loro esposizioni sono legate al Kazari che forse si potrebbe tradurre con la parola italiana armonia. Con questa premessa io credo sia importante conoscere ed apprezzare la cultura giapponese soprattutto per individuare i punti di contatto e il comune sentire, al contrario trovo velleitari e inutili i tentativi d'imitazione. La Nippon Bonsai Sakka Kyookai Europe è nata per far conoscere i valori della tradizione ma nello stesso tempo è consapevole che noi europei veniamo da culture altrettanto antiche e più articolate di quella giapponese e quindi aggiungeremo qualcosa di nostro all'arte bonsai. Penso sia importante rimarcare anche tutto quello che ci differenzia dal Giappone in tutti gli aspetti che riguardano il bonsai.

Visto che tra le tue attività puoi annoverare anche la cura del museo Franchi, ci racconti che emozione dà occuparsi degli esemplari custoditi in un museo così prestigioso? Le emozioni sono quelle di ogni grande e varia collezione, principalmente le emozioni di tutte le variazioni stagionali dei bonsai ma anche il piacere continuo e pacato della manutenzione, con tutti quei lavori tecnici e non per migliorare e far star bene ogni esemplare. E della recente manifestazione tenutasi proprio dai Franchi, che impressioni hai avuto? Ho avuto una buona impressione, la manifestazione ha attirato molti appassionati che non vedevo da molto tempo ed è stata un buon ricominciare per la famiglia Franchi dopo l'ultima di 10 anni fa. Il maestro Suzuki è stato di una competenza e disponibilità esemplari ed anche i partecipanti ai laboratori, mostra e


conferenze sono rimasti soddisfatti. Visto il fervore che sembra animare il mondo bonsaistico italiano, cosa pensi delle nuove leve che stanno venendo su in questi ultimi anni? Per fortuna non posso esprimere giudizi, per esperienza personale credo che saranno necessari 10 anni prima di vedere i risultati della strada che hanno intrapreso. Avrei solo un consiglio da fare: è innegabile che in questi ultimi anni nel bonsai è aumentata la parte che riguarda il valore economico tanto che i bonsai sono stati quasi ridotti ad un oggetto, per questo penso sia importante leggere e studiare poeti e scrittori, interessarsi di altre arti e guardare la natura perché solo la conoscenza può arginare questa mercificazione. Leggendo di te, in una intervista di qualche tempo fa dicesti “Vorrei fosse possibile creare un senso estetico occidentale ed una somiglianza che faccia esclamare “Accidenti che Pino!” e non “Accidenti che bonsai!” “. Ho riflettutto a lungo su questa frase e anche se credo di aver compreso il tuo pensiero, mi piacerebbe che fossi tu stesso a spiegarne il significato. Uno dei principi fondamentali del bonsai è che nelle nostre realizzazioni prendiamo a modello gli alberi in natura e le loro numerose variazioni,attenzione dico numerose e non infinite variazioni, per questo trovo ridicoli se non offensivi per l'albero i tentativi di farlo assomigliare ad un'altra specie. In parole semplici non sono in empatia con un bonsai di olivo che ha la forma di un bonsai di pino a 5 aghi. Altra cosa assolutamente singolare ed in controtendenza è un'altra tua affermazione “Sono contento di aver partecipato al bonsai italiano e

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>> L'opinione di... solo oggi dopo 25 anni comincio a comprenderne qualcosa”. Una dichiarazione del genere dovrebbe far riflettere tutte quelle persone che approcciano il bonsai senza alcun rispetto per gli insegnamenti del tempo. Tu, dopo più di 25 anni di bonsai cosa e quanto pensi di aver imparato nel modo di fare bonsai? Penso di aver acquisito una notevole capacità tecnica e pratica e la netta sensazione che ho ancora molto da fare in altre direzioni. Quanto ho imparato lo si può vedere nei miei bonsai, su di loro ho riversato tutta la mia esperienza. Da quando abbiamo fondato la Sakka ci siamo resi conto che abbiamo ancora molto da fare nella presentazione dei bonsai. Nel tuo cammino hai partecipato ad una serie innumerevole di mostre, in alcune come espositore in altre come giudice, in quali panni ti sei trovato più a tuo agio? In quelli di giudice perché è impegnativo e mi piace la tensione che si prova nel cercare di comprendere i bonsai degli altri. Tornando all'argomento mostre, secondo te, sarebbe il caso di trovare un sistema che standardizzi, in qualche modo, il giudizio in modo da evitare veleni e sospetti, o ritieni che la discrezionalità del giudice non debba essere messa in discussione? Per me il bonsai è l'espressione individuale immersa nella natura. Cercare uno standard è inutile e nemico della creatività. Meglio sarebbe non avere mostre a premi ma se questo pare improponibile allora con un minimo di tre giudici competenti e senza tabelle di giudizio si risolve la questione. Per quanto riguarda i veleni e i sospetti mi dispiace ma sono ineliminabili. Da quello che mi è sembrato di capire, non sei attirato dalle forme esasperate e dalla spettaco-

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larizzazione della pianta, è davvero così? Al contrario, nella mia collezione ho anche bonsai con forme estreme e non comuni, vale per loro sempre il principio della naturalezza e di armonia delle parti, trovo che ai bonsai spettacolari manca sempre quel senso di mistero e di abbandono delle cure tipici di un bonsai maturo. Aggiungo che in alcuni modi di fare l'albero mi pare si voglia spostare l attenzione dello spettatore dal bonsai all'autore.

guardo alle piante. Da buon toscano anche tu hai una predilezione per i cipressi? Quali altre essenze ami lavorare? Non ho particolari preferenze la mia collezione è composta in larga parte da sempreverdi, provenienti da tutti gli ambienti naturali europei. Il clima dove abito mi permette, con i dovuti accorgimenti, di coltivare specie alpine e mediterranee. L'importante per realizzare un bonsai è che ne conosca il portamento in natura.

Vivi e lavori nel Chianti dove organizzi corsi. Come rispondono i tuoi allievi al tuo modo di concepire la nostra arte? Organizzo poche lezioni durante l'anno e principalmente per bonsaisti esperti. Si lavora molto, si scherza e si ride, parlo loro di quello che penso del bonsai e dei punti fondamentali ma non impongo la mia visione. Mi fa piacere vedere che i loro bonsai migliorano e tutti gli anni ritornano, non credo lo facciano solo perché mia moglie cucina bene.

Ringraziandoti per il tempo che ci hai concesso, ed augurandoti ancora tanti anni di divulgazione della nostra magnifica arte, ti chiedo un saluto per i nostri lettori. Un saluto a tutti i lettori di questo mezzo di divulgazione che mi ha piacevolmente impressionato per la varietà degli argomenti trattati visto che anche in Giappone si lamentano che le loro riviste bonsai scrivono quasi totalmente di tecnica.

Veniamo alle tue preferenze ri-

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>> A scuola di estetica

Sokan:

il doppio tronco

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roseguiamo con la descrizione degli Stili perché, come già detto, la loro conoscenza è essenziale ad ogni bonsaista per potere approdare poi ad elaborazioni che permettano una personalizzazione nella progettazione delle piante. Lo Stile trattato, il Doppio

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- Antonio Ricchiari -

Tronco, è chiamato molto pittorescamente dai giapponesi "padre e figlio" proprio per la differenza di diametro e di altezza che distingue i due tronchi o addirittura “marito e moglie”. Ma per la dimensione molto diversa dei tronchi si preferisce il termine “padre e figlio” perché la similitudine calza di più. Consiste, essenzialmente, in un'unica pianta con due tronchi molto ravvicinati, con radice unica. Caratteristica essenziale è che questi si dividano alla base, quindi "a filo" di terreno. V'è da dire che questo è l'unico caso in cui si riscontra un numero pari di tronchi in un bonsai perché, com'è noto, le composizioni hanno - secondo i canoni orientali - sempre un numero dispari di piante. Il soggetto si

può impostare secondo lo stile casuale, inclinato e prostrato sempreché la chioma abbia una silhouette come se si trattasse di un solo tronco. La mia idea, a proposito del numero sempre dispari dei tronchi, non è in linea con questa "regola" perché se un boschetto o quant'altro che preveda l'impiego di diverse piante risulta perfettamente armonioso con un numero pari di piante, nulla osta che si possa infrangere la regola: d'altro canto il nostro è un bonsai "fatto in Italia" e non in Giappone. Tronco e rami - Costituisce difetto la visione di un Sookan (così è chiamato dai giapponesi) che abbia il tronco minore che si divide a qualche centimetro dal suolo: sembrerebbe allora più un ramo che un tronco.


Inoltre, nella sistemazione in vaso del bonsai, è necessario che uno dei due tronchi risulti spostato più in avanti dell'altro per esaltarne l'effetto prospettico, essenziale in ogni Stile e per conferire la profondità senza la quale la pianta risulterebbe piatta. L'equilibrio tra massa vegetativa e vaso va racchiusa in un triangolo asimmetrico così che la parte aerea dia la sensazione di un'unica pianta. Come impostare questo Stile Si prestano bene a rappresentare questo Stile molte specie, non dimenticando che il punto focale primario è costituito dai due tronchi quindi : - il tronco principale va fatto crescere per evidenziare la differenza con quello più piccolo; - l'andamento dei tronchi va eventualmente corretto per armonizzarli fra loro; - il diametro dei tronchi è proporzionale alla massa vegetativa; - pianificare la struttura dei rami nel rispetto dell'alternanza e della profondità; - mantenere il principio dei vuoti e dei pieni considerando le cosiddette aree negative.

L'impostazione della pianta prende spunto dagli altri Stili per cui, come si evince in parte dalle immagini, si può avere un doppio tronco Informale, Eretto Formale, Literati, Battuto dal Vento e via di seguito, come abbiamo prima accennato. Il fattore primario è quello di riuscire ad armonizzare i due tronchi perché ne venga fuori un'unica pianta e non importa quale sia la differenza di altezza fra i due: quello che conta è l'abilità del bonsaista nel riuscire ad integrarne i fusti con i rami e la massa vegetativa. Per una certa altezza dalla base l'interno dei tronchi deve risultare libero e la successiva ramificazione deve fondersi senza che si aggrovigli o dia un effetto visivo confuso, quindi va rispettata l'alternanza dei rami che rispetti quella del tronco limitrofo. Una alternativa possibile. Quando non si ha a disposizione un soggetto unico, è quello di procedere con due soggetti scelti preferibilmente con le caratteristiche che occorrono: altezza e diametro di tronco diversi. Alla base del tronco si opererà una incisione e si scorteccerà la zona che deve coincidere - Antonio Ricchiari -

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>> A scuola di estetica con quella dell'altro fusto. Le parti vengono protette con pasta cicatrizzante per evitare infezioni e poi unite saldamente con filo di rafia. A cicatrizzazione avvenuta non rimarrà alcun segno dell'operazione anche perché, se del caso, si interverrà con una fresa o con scalpellini per mimetizzare eventuali imperfezioni. Quindi si procederà con tutte le usuali operazioni di impostazione di rami e tronchi e potature. Quando si inizia da talea, si procede scegliendo i due rami che sono posizionati in modo ottimale e poi si posiziona la talea in un vaso abbastanza capiente o, meglio ancora, in piena terra, soluzione ideale per permettere un rapido sviluppo della pianta. In questo caso gli interventi sono mirati a stimolare la ramificazione e alla formazione dei tronchi. Bisogna evitare le forme ad U, molto frequenti nei materiali di partenza, ma che sono estremamente disarmoniche soprattutto nella parte subito sopra al piede. Normalmente si dice che un vero doppio tronco ha la partenza dal nebari del tronco più piccolo, ed oltre ad una certa altezza non è più considerato uno stile sokan. Questa regola molte volte non viene seguita, anche se effettivamente è difficile incontrare un soggetto con la partenza del doppio tronco in alto che conservi allo stesso tempo la conicità essenziale alla naturalezza; comunque sia in natura questi casi si possono incontrare, ed hanno un certo rilievo nell'evoluzione dello stile dell'avanguardia. Nelle latifoglie i rami caratteristici di questo stile hanno normalmente una grande ramificazione fine, proprio perché si imita un albero normalmente di grandi dimensioni, dove l'effetto di miniaturizzazione dev'essere ricercato attraverso un grande numero di rami fini e a delle foglie piccole. Queste concezioni tipicamente giapponesi possono essere utili per ricercare delle suggestioni legate alla sottile profondità estetica, anche se possono rischiare di portare a delle concettualità un po' fuori dal campo della natura. Il rapporto padre figlio è forse quello più interessante da utilizzare, anche perché normalmente la dimensione dei doppi tronchi ha il rapporto uno a tre, cioè se il tronco dell'albero più alto è tre volte più grosso di quello più piccolo, anche l'altezza sarà tre volte maggiore. Molte volte negli aceri i tronchi hanno dimensioni quasi uguali o con il rapporto uno a due, cosa che viene ricercata per enfatizzare l'ampiezza della ramificazione in modo da esaltare il carattere mo-

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miji delle magnifiche foglie degli Aceri palmati. Nel sokan la struttura a due costituisce il perno portante di tutti gli elementi estetici, ma è soprattutto il movimento che permette, attraverso l'armonia, di guidare lo sguardo dell'osservatore verso le finzioni che l'autore intende presentare, un po' come un genitore che porta il figlio a scoprire una cosa nuova. Nell'architettura dell'albero a doppio tronco, la natura porta normalmente ad avere sempre il tronco più alto più grosso e quello più piccolo più sottile, anche se è possibile osservare il caso inverso, soprattutto per doppi tronchi che sono due piante differenti. Un elemento d'animata discussione è anche la distanza che dev'essere ricercata tra i due tronchi, che va calibrata essenzialmente nella ricerca della naturalezza estetica, tenendo ben presente il progetto da portare avanti per quel certo bonsai; nel doppio tronco, infatti, il livello di compattezza può essere estremamente variabile in base alla specie. Jin e Shari Le parti di legno morto, siano esse jin, ma soprattutto shari, sono da tenere in rapporto diretto tra i due tronchi, nel senso che normalmente, se lo shari è presente sul tronco grande sarà presente anche sul tronco piccolo. Questo carattere è tipico delle conifere, che è molto importante rispettare per raggiungere un livello buono di naturalezza, proprio perché il doppio tronco è formato da due piante normalmente coetanee o con poca differenza di età tra il tronco grande e quello piccolo. Negli eretti informali, jin apicali sono normalmente nel tronco più grande e più alto: difficilmente, infatti, in natura il fulmine colpirebbe l'apice del tronco più basso. I movimenti dei jin e degli shari, essendo particolarmente evidenti, devono essere molto armonici tra di loro, evitando linee e direzioni contrapposte: per aiutarsi nella ricerca di questo effetto è consigliabile pensare allo stile vorticoso, dove su un'immaginaria spirale, oraria o antioraria, si posizionano i jin, rispettando ovviamente anche la triangolarità. Esistono casi molto suggestivi nei quali l'effetto drammatico arriva a lavorare a jin l'intero tronco, normalmente quello piccolo: un caso non frequente in natura, anche se può essere teorizzato per ambienti estremi come i deserti.


Specie adatte allo stile I bonsai nello stile sookan possono essere praticamente realizzati con qualunque specie. Normalmente l'uso delle conifere, soprattutto pini ed abeti, tassi e tsughe, è legato a forme snelle e slanciate, sia che si tratti di tronchi mossi che di eretti formali, con un occhio di riguardo per le specie che possano miniaturizzare moltissimo gli aghi proprio per mantenere un certo livello di monumentalità del soggetto. Le latifoglie possono essere utilizzate indifferentemente dalla specie, privilegiando soprattutto le varietà che in natura possono crescere nella forma a ceppaia, come aceri, faggi, olmi, azalee, stevarzie e carpini. L'uso delle azalee nel doppio tronco o nel tronco multiplo è molto interessante perché rispecchia la struttura monumentale e l'architettura della specie. Nel caso in cui il doppio tronco si sia formato da due piante differenti, bisogna privilegiare le varietà che possono fondere i piedi in un unico blocco, come aceri e faggi, evitando le conifere che difficilmente fonderanno la pianta in un unico blocco. Nel caso del sookan formato da due tronchi di specie differenti, caso raro ed estremo, bisogna almeno cercare due specie affini nelle esigenze di coltivazione, soprattutto per quanto riguarda l'esposizione ed il terriccio.

informali, privilegiando gres molto lisci per i ginepri ed i tassi, e superfici molto rugose (fino alla buccia di pera) per abeti e pini. La larghezza dei vasi di un doppio tronco può raggiungere quasi quella della chioma per dare ampiezza alla struttura monumentale dell'albero, non ancora essenzializzato. L'uso del vaso rotondo o esagonale è anch'esso molto interessante per la capacità di raccordare tronchi molto esili dall'aspetto delicato, soprattutto di conifere e piante da fiore, con inclinazioni e movimenti abbastanza accentuati. In questo caso il vaso sarà molto piccolo, proprio per enfatizzare le inclinazioni e potrà avere anche piedini alti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Vasi La casistica dei vasi utilizzati per i doppi tronchi rientra normalmente nella scelta di vasi molto larghi e piatti, normalmente rotondi od ovali. Queste scelte sono legate alle esigenze di orizzontalità che impone un piede normalmente molto allargato. Anche l'effetto del doppio tronco allarga molto il piede alla base e la struttura doppia richiede dal vaso un effetto di stabilità che il vaso piatto e largo può dare. Non sono ricercati toni di imponenza nella struttura del vaso, al massimo si può ricercare il bordo e le pareti laterali con un carattere più arrotondato per tronchi mossi, o più rigido per i doppi tronchi formali. Le colorazioni saranno legate alla varietà ed ai colori delle foglie, ma per le latifoglie possono essere ricercati vasi anche molto colorati, considerando che l'altezza del vaso non impone un effetto troppo sfacciato. Normalmente si utilizzano vasi con piedi particolarmente bassi o inesistenti, proprio per enfatizzare l'effetto di naturalezza e stabilità estetica. Le superfici e le colorazioni dei gres per i sookan di conifera vanno abbinate con le solite regole dei bonsai - Antonio Ricchiari -

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>> L'essenza del mese

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a Carmona appartiene alla famiglia delle Borraginaceae. Si può trovare col nome di Carmona microphylla, d’Ehretia microphylla o Ehretia buxifolia. Originaria della Cina meridionale è diffusa anche in altre zone: Taiwan, Vietnam, Corea e Giappone. È un albero tropicale che può raggiungere i dieci metri d’altezza. Le foglie, di forma ovale, sessili o spicciolate, presentano una pelosità ruvida e breve. Sono perenni, di piccola dimensione e di colore verde scuro brillante. Fiorisce in primavera ed in estate emettendo fiori bianchi, con infiorescenze cimose, in pannocchie terminali; il calice è a cinque divisioni, la corolla ha cinque lobi ottusi e patenti. Il frutto è una piccola drupa, spesso delle dimensioni di un pisello, di colore verde nel momento dello sviluppo, rosso quando maturo. Essendo una specie "da interno", il periodo di fioritura varia a secondo delle condizioni

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ambientali presenti, infatti, la Carmona può fiorire anche in inverno, se le variabili luce-calore sono quelle ideali e la concimazione è corretta. La sua corteccia grigia, negli esemplari maturi diviene rugosa. Queste piante, piuttosto delicate, sono state introdotte nel nostro continente già da circa centocinquant'anni. Si sono diffuse soprattutto nei paesi a clima caldo, dove sono spesso utilizzate nella formazione di parchi pubblici allo scopo di collocare qualcosa d’originale rispetto alla consueta cerchia d’arbusti. Economicamente, l'interesse verso questa pianta si estende anche al suo legname, particolarmente pregiato per la costruzione di svariati utensili e, soprattutto in passato, di ruote di carri e carrozze, impieghi da cui si può dedurne il carattere elastico. L’uso delle sue foglie è diffuso specialmente nelle Filippine per ricavarne una bevanda sostitutiva del tè.


La Carmona come bonsai La specie come detto è importata dai paesi orientali ed arriva a noi nelle più svariate dimensioni e già in vaso. Quando proviene dalla Cina, spesso è accompagnata da rocce con sculture d’argilla in miniatura rappresentanti monaci, pagode, ponti, ecc. In Italia i bonsai di Carmona si trovano facilmente in commercio; la loro diffusione è stata caratterizzata sia dalla possibilità di mantenerli all'interno, sia dal loro prezzo generalmente piuttosto contenuto. Assieme all'Olmo cinese, alla Sagerethia, al Ficus e alla Serissa costituisce una delle specie da interno più conosciute. Può essere formata in quasi tutti gli stili. Metodi d’ottenimento I sistemi d’ottenimento adatti a questa specie sono da seme, da vivaio e da talea. II seme è la forma più comune poiché il frutto, cadendo, germoglia sulla stessa superficie del substrato del bonsai, se costituito da akadama e terriccio. Nel caso in cui non si ha intenzione di attendere che la casualità faccia il suo corso, è possibile raccogliere i frutti già maturi per poi porli in un semenzaio, provvisto di fori di drenaggio, in una miscela costituita da un 60% d’akadama e per il restante 40% da torba e sabbia. I semi s’interrano, dopo averli ripuliti dalla polpa, a 1 cm di distanza l'uno dall'altro ed alla profondità corrispondente al loro diametro. Il tempo di germogliazione varia secondo l'epoca di semina. Generalmente è meglio seminare all'inizio dell'autunno, ponendo il contenitore all'interno dell'abitazione e riscaldandolo ad esempio sopra alla mensola di un calorifero; in primavera si può invece collocarlo all'esterno, ma va coperto con un vetro. Per quanto riguarda l'annaffio, appena il terreno inizia ad asciugarsi va bagnato nuovamente. Le pianticelle, una volta germogliate, vanno collocate in vasi singoli di coltivazione, usando la stessa miscela utilizzata per la semina. Se si vuole conservare il seme fino alla primavera successiva, bisogna ricordarsi di spolparlo e mantenerlo in luogo fresco e asciutto. La riproduzione per talea non comporta alcuna difficoltà, va considerato però che più è legnosa, più ovviamente tarda a radicare. Generalmente la talea si applica in primavera avanzata o all'inizio dell'estate, quando i nuovi germogli cominciano a maturare, ma non sono ancora del tutto lignifi-

cati. Con germogli di 4/6 cm di lunghezza, che non abbiano internodi lunghi, si ottengono abbondanti gemme. Le talee s’interrano al massimo per 2 cm, applicando prima ormoni fitoradicanti in polvere. Il composto ideale è: 60°o d’akadama, 30% di torba e 10% di sabbia. Se le condizioni sono favorevoli le talee, radicheranno in tre, quattro settimane ma è meglio attendere la fine dell'estate per piantarle in vasi singoli. Alla fine di settembre, infatti, le pianticelle saranno già abbastanza forti e pronte per essere trapiantate in vasi di plastica o terracotta di 1015 cm di diametro. Dalla primavera successiva si potranno iniziare a modellarle con la potatura. Nei vivai, come accennato, la Carmona è molto diffusa e i prezzi sono accessibili. Tuttavia, prima dell'acquisto, è bene accertarsi circa le sue condizioni di salute. Soprattutto nel caso d’esemplari medi e grandi è meglio optare per alberi senza cicatrici dovute a potature drastiche evitando di acquistare piante con cicatrici mal dissimulate e ramificazioni troppo deboli, anche se lo stato della ramificazione deve preoccupare meno poiché è possibile ristrutturarla facilmente, e senza difficoltà particolari, applicando una potatura adeguata. Esposizione Poiché si tratta di un albero d’origine tropicale, richiede di temperature elevate costanti, ecco perché è identificato come bonsai da interno. Mentre dalla primavera inoltrata in poi la Carmona può essere collocata sul terrazzo o sul balcone o in giardino, nel momento in cui la temperatura esterna scende al di sotto dei 1315° C è necessario posizionarla all'interno, o comunque in un luogo riparato, dove sia possibile garantirle una fonte luminosa a meno di 1 metro e una temperatura compresa fra i 15° e i 24° C. Quando posta all'esterno, sopporta senza alcun problema il sole diretto, ad esclusione dei mesi estivi più caldi, durante i quali va collocata a mezz'ombra. Annaffiatura L'annaffiatura per questa specie deve essere abbondante e regolare, facendo asciugare il terreno fra un annaffio e l'altro. Non ama i ristagni d'acqua, pertanto il drenaggio va tenuto sempre sotto controllo. La carenza d'acqua è una delle cause principali di moria delle Carmone, e purtroppo è difficile accorgersi della sofferenza di questa pianta in tempo utile, poiché non - Antonio Acampora -

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>> L'essenza del mese

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manifesta i sintomi dovuti alla mancanza d'acqua (rinsecchimento delle foglie) se non quando è ormai troppo tardi.In caso d’eccesso d'acqua invece, in breve tempo, le punte delle foglie diventano nere e gradualmente cadono.

tecnica è applicata durante tutta la stagione vegetativa.

Potatura La potatura drastica può essere effettuata in qualunque periodo dell'anno, anche se va detto che il momento più adatto è l'inizio della primavera, e il meno consigliato è quello invernale. Nonostante la Carmona non si debiliti particolarmente a causa dell'operazione, è indispensabile coprire i grossi tagli con mastice cicatrizzante. Per formare la Carmona si applica il metodo Lignan che consiste nel "lasciar crescere e potare": gli alberi modellati con questo sistema sono caratterizzati da angoli marcati, fenditure brusche e cicatrici mezze chiuse, quindi da un aspetto piuttosto vetusto e affascinante. La potatura utilizzata più spesso è comunque quella di sfoltimento, con la quale si eliminano i rami che crescono in posizioni inadeguate: s'incrociano con altri, si sviluppano verso l'alto o verso il basso, ecc. Si tratta di una tecnica applicata soprattutto nei mesi primaverili, sporadicamente in inverno.

Rinvaso Il trapianto si effettua ogni 2/3 anni in tarda primavera o inizio estate. La mescola di terricci più adatta consiste in akadama (60%), terriccio (30%) e sabbia (10%). Nel caso del primo trapianto l'operazione più delicata è togliere la maggior parte della terra argillosa che accompagna gli alberi importati e che non permette una corretta annaffiatura. Nei trapianti successivi si elimina 1/3 della terra sulla parte esterna del ceppo, accorciando le radici troppo lunghe.

Avvolgimento L'avvolgimento si utilizza solo in casi estremi, cioè esclusivamente se non vi sono alternative per dar forma ad un ramo, poiché la Carmona, malgrado il suo aspetto, presenta ramificazioni molto fragili. Inoltre la sua corteccia è particolarmente delicata ed il filo può inciderla perfino nella fase stessa d’avvolgimento se si esercita troppa pressione. Se proprio si ritiene di dover applicare il filo è meglio usare il sistema dei tiranti, ancorando il filo ad una parte più bassa del tronco o al contenitore. Con questo metodo è possibile abbassare i rami che nascono dal tronco e tendono verso l'alto invece di svilupparsi orizzontalmente. Pinzatura Per rifinire la struttura e la silhouette dell'albero si applica la pinzatura dei germogli troppo lunghi. Il modo migliore per effettuarla è tramite l'uso di forbici specifiche per bonsai, tagliando a 2 o 3 foglie ogni volta che i germogli ne presentano 7/10.La Carmona non tollera la pinzatura con le dita, salvo che non si desideri arrestare completamente la crescita di un ramo. Questa

Concimazione Si utilizza concime organico a lenta cessione una volta al mese oppure liquido, ogni 10/15 giorni ad esclusione dei mesi più caldi (luglio-agosto), mentre nel corso dell'inverno un paio di concimazioni saranno sufficienti. Se non si fertilizza, le foglie ingialliscono progressivamente e malgrado non cadano, l'albero blocca la sua crescita; a questo punto risulterebbe talmente debilitato che qualsiasi altro problema potrebbe risultargli fatale. Ma attenzione, anche l'eccesso di concime ne blocca la crescita: i germogli si atrofizzano e assumono un colore verde scuro, le foglie cadono e i rami si seccano. Malattie Gli agenti patogeni che di solito attaccano la pianta sono afidi e cocciniglie, contro i quali si consiglia di usare un insetticida sistemico alla comparsa dei primi sintomi. In ogni caso, se la pianta è curata adeguatamente, difficilmente è attaccata da insetti, acari o funghi. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Antonio Acampora -

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>> Non tutti sanno che...

L'ACERO

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ome bonsai vengono più usate le specie giapponesi (palmatum, buergerianum) ma io prediligo trattare le piante autoctone, quindi l’acero campestre che appartiene alla famiglia delle aceraceae, e ha come nomi comuni : loppio, testucchio, ma nelle diverse regioni d’Italia viene così chiamato: apice, oeggio, loipu( Liguria), obi, isalabre, aghero (Piemonte), rompich, agher, opol ( Lombardia), opolo

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- Elisabetta Ruo -

nero, pontezo, aierela, fagaro ( Veneto), ajar, voul (Friuli), tostone, loppo (Emilia), albero di vite, fistucchio, loppio (Toscana), testuccio, testone (Umbria), foppo, schiaccio(Lazio), averiello, coppolo( Abruzzo), ficaia,ceriello(Campania), acina, rocchia (Basilicata), uppiolo, aciaro( Calabria), agghiaru, occhiu (Sicilia), acra ( Sardegna). Il nome, di antica derivazione latina, significa aspro, duro, nemico, ma acer che significa


anche "appuntito" indica la caratteristica forma delle foglia con lobi acuminati, con la zona periferica dentata, che porta anche il nome di "Mano Tagliata". Tutti conosciamo l'acero per la sua foglia a cinque punte, simbolo della bandiera canadese. Anni fa, quando l'agricoltura era ancora condotta a livello familiare, l'Acer campestre era molto usato dai vignaioli dell'Italia settentrionale come supporto ai tralci delle viti. Oggi, temendo che le radici dell'acero possano entrare in competizione con quelle delle viti e avere dunque qualche chilo di uva in meno, i loppi sono stati sostituiti da orrendi pali di cemento. Aspetto Quest’albero è spesso solo un arbusto abbastanza grande e quando lo si incontra in forma arborescente è ben raro che superi i 15 metri. E’ un albero deciduo a portamento colonnare o contorto, a chioma stretta e compatta o globosa. I rami giovani sono inizialmente verdi, ma poi con la crescita diventano bruno-rosso chiaro, con delle lunghe striature longitudinali bruno chiare. Spesso si nota sui rami la formazione di coste longitudinali di sughero. Ha crescita lenta, ma è abbastanza longevo. Le foglie sono di forma palmata, larghe al massimo 12 cm, divise in 5 lobi variamente dentati; di questi i due laterali sono piccoli ed il centrale è grande; il colore è verde intenso di sopra e verde chiaro nella pagina inferiore che è più o meno pelosa/vellutata specie lungo le nervature. Durante la primavera e l'estate questo albero ha il fogliame decisamente di un verde lucido mentre in autunno le foglie si colorano dal giallo fino al rosso carminio. Le foglie sono un ottimo foraggio per pecore e capre. I fiori, distinti in maschile e femminile hanno i petali inseriti in un disco nettarifero, essi sono riuniti in corimbi, sono piccoli e color bianco verdastro. I fiori forniscono abbondante nutrimento per le api. I frutti sono delle samare formate da 2 semi, ciascuno munito di ala divergente orizzontalmente, a differenza di quelle di altre specie di acero che formano un angolo più o meno acuto; quelle ali, facendo girare vorticosamente il seme quando cade lo fanno allontanare dalla pianta che lo ha prodotto favorendo la disseminazione. Si dice che Sikoskej uno degli inventori dell’elicottero, abbia avuto l’idea vedendo

cadere un seme di acero. Corteccia La corteccia dei rami giovani è di colore bruno. La corteccia del tronco adulto invece è piuttosto chiara, grigio-bruna, con screpolature che individuano piccole placche suberose che poi cadono spontaneamente. La droga La parte usata è la corteccia dei rami giovani e non sugherificati. Si raccoglie: in primavera (marzo, aprile) quando è più facile staccarla, tagliando dei rami non molto vecchi; si praticano 2 tagli anulari congiunti da uno longitudinale, si inserisce la punta del coltello e facendo leva si distacca la corteccia. Si conserva essiccandola al sole e riponendola in sacchi di carta quando è ben asciutta. Principi attivi: tannini, fitosteroli, allantoina, colina. L’acero in genere è una pianta di uso domestico, molto comune per la possibilità, ancora oggi molto diffusa, di ottenere dalla linfa primaverile di una sua varietà uno sciroppo zuccherino, che, oltre a sostituire il comune zucchero di canna o di barbabietola ha proprietà rinfrescanti. Nel nostro paese l’acero “da zucchero” non è diffuso, dell’acero che alligna in Italia si può utilizzare, per uso esterno, la corteccia. Per il suo contenuto in tannini essa è indicata come rinfrescante astringente. Viene inoltre utilizzata per applicazione locali o bagni su pelli arrossate e fragili. Fitoterapia Si usa la corteccia dei giovani rami per decotti che hanno grande potere rinfrescante e depurativo. Uso interno La corteccia come astringente intestinale, facendo un decotto con 3 g in 100 ml di acqua. Se ne bevono 2-3 tazzine al giorno. Uso esterno La corteccia per pelle arrossate. Si fa il decotto con 5 grammi in 100 ml di acqua, si applicano le compresse di garza imbevute di decotto, sulle parti interessate per 15 minuti. Uso cosmetico - Elisabetta Ruo -

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>> Non tutti sanno che... Basta una manciata di corteccia, gettata nell’acqua del bagno per dare beneficio a pelli particolarmente fragili e delicate. Gemmoterapia Proprietà Le gemme di acero riducono le betalipoproteine, il colesterolo totale e manifestano una blanda attività anticoagulante. Indicazioni • Herpes intercostale. • Tendenza all’arteriosclerosi. • Calcolosi delle vie biliari (Fraxinus excelsior). • Sequele di paralisi o poliomielite. • Nevrosi fobica (Tilia tomentosa). Posologia MG 1 DH, 50 gocce, diluite in un po’ d’acqua, 1-3 volte al dì. Sinergie Fraxinus excelsior (litiasi biliare), Tilia tomentosa (nevrosi fobica). Il dono più prezioso dell’Acero è la linfa zuccherina, ma la raccolta ha bisogno di trattamenti specifici, inoltre ci vogliono circa 40 litri di linfa per ottenere 1 litro di sciroppo. Sciroppo d'acero Proprietà: lo sciroppo derivato da questa linfa, molto zuccherino, ha grandi poteri emollienti, rinfrescanti ed energizzanti, visto il suo alto contenuto in sali minerali; è utile in tutti i casi di gastrite, di costipazione intestinale, di colite spastica. Lo sciroppo di acero è un dolcificante di antichissima origine, uno dei pochi ad essere estratto direttamente da due alberi, l'acero da zucchero e l'acero rosso (Acer saccharinum e Acer rubrum ) che producono una linfa chiara costituita prevalentemente da acqua 97%. Viene utilizzato principalmente per dolcificare. Il potere dolcificante è 25 volte maggiore dello zucchero raffinato. Il sapore delicato, simile al miele d'acacia, lo rende particolarmente gradevole come dolcificante naturale disciolto nelle bevande o nella preparazione di dolci, il vantaggio è che apporta una quantità di calorie ridotta e per queste ragioni è consigliato ai diabetici e in alcuni regimi dietetici. Come si usa: con lo sciroppo d'acero si può addolcire il latte nella colazione dei bambini. Grazie al suo alto potere energetico e depurativo può essere usato per un giorno di "depurazione": si deve bere (senza toccare altro cibo) due litri di acqua dove siano stati sciolti quattro cucchiai di sciroppo di acero: in questo modo verranno assunti tutti i principi attivi della linfa di acero utili

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per disintossicarci e depurarci; alla fine della giornata ci sentiremo più puliti e più "sgonfi". ( OVVIAMENTE è sconsigliato se non si gode di ottima salute o si fa uso di medicinali) Legno L’alburno roseo chiaro è semitenero, ma tenace e di lunga durata. Il legno di acero è molto pregiato e dunque molto richiesto dagli ebanisti, inoltre è impiegato nella fabbricazione di attrezzi agricoli e di calci da fucile, sèsole, pale per i panettieri, plantari per le galosce, ludìns (sci per la slitta) e sci, scàneve (collari per gli animali). Usato molto per gli attrezzi da cucina e agricoli, perchè si mantiene pulito, duro e liscio. Il legno più frequentemente identificato nei reperti archeologici di strumenti musicali anglo-sassoni (come le arpe) è quello dell’Acero campestre. Nel Rinascimento e nel periodo Barocco era in voga l’usanza di impiegare questo legno, con cui si poteva lavorare di precisione, per costruire strumenti musicali. Antonio Stradivari fu il primo a utilizzarne il legno per la costruzione dei suoi leggendari violini. Ottimo combustibile. Letteratura “Bello ed elegante ma di facciata. Sembra forte e sicuro di se, invece è fragile, si


arrende subito, si lascia dominare. Ha bisogno di luce...” (Le voci del bosco, Mauro Corona) "L'acero nelle cui parti secrete tanti diversi e bei colori nasconde…" (Le Metamorfosi , Ovidio) Cenni storici Dodoens (1557 d.C.) riporta l’indicazione di Serenus Samonicus, medico latino del III sec.: ‘Le radici di acero, macerate nel vino e bevute, sono utili nelle algie del costato’. Curiosità Quest'ultimo viene spesso paragonato al rosso sangue, non a caso si dice che in alcune antiche tradizioni venisse associato al funesto. Nella mitologia Greca era l'albero di Fobos, il Dio della paura. Col trascorrere del tempo in Europa,

nel suo folklore , fece in modo di non colpire più l'uomo, ma le sue paure: pipistrelli e streghe. In Alsazia e in Lorena pare che le cicogne mettessero un ramo di acero nei loro nidi per impedire ai pipistrelli di andare ad uccidere i loro piccoli ancora dentro le uova. Piantando alcune zeppe di legno d'acero allo stipite della porta si tenevano lontane le "streghe". Fu nel XIX sec. Che questo albero si riscattò della sua nefasta immagine arrivando ad essere il simbolo delle bandiera Canadese.

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>> Note di coltivazione

L'UTILIZZO DELLO SFAGNO NELLE PRATICHE BONSAISTICHE

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ppartenenti alle Briophyte, i muschi si dividono in base alla loro struttura; Muschi veri (Brydae) , Muschi di montagna (Andreaeidae) a fibra corta e Sfagno (Shagnidae) a fibra lunga. Quest’ultimo maggiormente utilizzato durante le fasi di coltivazione, si differenzia dal muschio a fibra corta (tipo Ceratodon purpureus, Bryum argenteum), che viene utilizzato maggiormente per scopi ornamentali durante le esposizioni per migliorare l’aspetto estetico della superficie della miscela di substrato nei pressi del nebari. Lo sfagno (Sphagnum), la cui struttura a fibra lunga è caratterizzata appunto da strutture vegetali con ramificazioni a grappoli, si sviluppano in zone umide e ne esistono circa 300 specie. La sua presenza assicura una maggior aerazione alle strutture su cui viene adagiato: la pratica della pacciamatura su vasi le cui piante sono state appena rinvasate, infatti, garantisce un miglior attecchimento, in quanto mantiene l’umidità necessaria e costante nei pressi di capillari superficiali, permettendo nel contempo una perfetta aerazione, che evita la formazione di zo-

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ne asfittiche (foto 1, 2). In un mio precedente studio, effettuato durante le fasi di decomposizione di concimi organici, si è già notato quale importantissimo contributo assicuri l’applicazione di sfagno, che, infatti, garantisce meglio la formazione di flora e fauna terricola, utili nelle fasi di cessione del nutriente, proprio grazie anche al trasferimento di ioni H+ da parte delle strutture vegetali dello stesso sfagno che rendono l’ambiente tendenzialmente acido. Descritta in maniera dettagliata durante lezioni di agronomia applicata al bonsai, questa utilissima pratica è ad oggi, in maniera indiscussa, una tra le migliori e più efficaci operazioni adottate in campo bonsaistico, al fine di migliorare le fasi di concimazione, con annessi impianti di inoculo di micorrize e utilizzo di acidi umici (foto 3, 4). Quest’ultima applicazione lo vede come acceleratore delle fasi di germinazione delle spore di funghi micorrizici, diminuendo così il tempo di instaurazione della simbiosi con le strutture radicali. Lo sfagno, annovera, tra i benefici apportati, anche un effetto antisettico (cessione


ioni H+), capace di inibire la formazione di batteri, che provocano la marcescenza dei concimi soggetti ad ambienti umidi. Il suo utilizzo come struttura pacciamante deve essere preceduto da una separazione dei diversi fasci vegetali, per evitare che l’addensamento provochi uno strato impermeabile, capace di inibire il passaggio di acqua agli strati sottostanti: uno strato di sfagno di 2-3 cm su di un vaso di circa 35 cm di lato, infatti, riesce ad assorbire circa due litri d’acqua, impedendo che questa penetri fino alle radici. L’adozione dello sfagno nelle fasi di coltivazione è consigliabile solo durante la concimazione e il rinvaso e nei periodi estivi, limitatamente ai due mesi più caldi (Luglio-Agosto). Durante tutti gli altri periodi, il suolo deve poter interagire con l’atmosfera negli scambi di gas rimanendo libero e pulito e lo sfagno rappresenta una limitazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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>> Tecniche bonsai

per

Propagazione

TALEA

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l metodo di moltiplicazione per talea o sashiki è molto più veloce di quello per seme e ha in più i vantaggi di rendere impiegabili i rami potati dagli altri bonsai per creare nuove piantine ad un costo nullo, e quello di formare soggetti che conservano esattamente le caratteristiche della pianta madre, cosa questa che non avviene sempre per la riproduzione da seme, ed inoltre si hanno nuove piantine senza fittone. Viene tagliata una parte della pianta con lo scopo di metterla nella terra e farla radicare, ottenendo così un'altra pianta. Questo avviene perché il cambio emette prima un callo di cicatrizzazione, e quindi produce una nuova crescita di cellu-

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le che sotterrate ed umide, si formano come radici. Esistono quattro categorie di talee: 1) hazashi, che è la talea di foglia, 2) shinme-zashi o talea di germoglio, 3) eda-zashi o talea di ramo o legna e 4) ne-zashi, che è la talea di radici. Ci occuperemo di talee di ramo o legna, perché sono le più usate nella coltivazione bonsai. Talee di legno tenero Sono i germogli dell’anno in corso, che si tagliano in primavera inoltrata con un taglio obliquo. La temperatura ideale del terreno per la maggior parte delle specie è da 23°C a 27°C, con una temperatura ambientale di 21°C. Conviene collocare la parte inferiore del vaso nel

suolo, lasciando la porzione superiore del vaso e le talee in ombra. Emettono radici in quattro/cinque settimane. Le migliori talee sono quelle che si asportano dalla parte più vigorosa dell’albero madre, ed è importante che presentino almeno due nodi (gemme o ascelle di foglie - fig. 1). Si strappano le foglie della parte che rimarrà interrata, e si abbia cura di lasciare interrate un paio di gemme (fig. 2). Il substrato può essere sabbia di torrente, o un composto di sabbia e torba. Dopo aver bagnato a fondo, si pongono le talee in ombra. Talee di legno semiduro Queste sono più dure delle pre-


cedenti e si asportano in estate. Sono adatte per la riproduzione d’Azalea, Cotoneaster, Pyracanta, Gelsomino, Chamaecyparis, Evonymus, Agrumi, Olivi, e Fichi. Sono lunghe da sette a quindici centimetri e si piantano togliendo le foglie della metà inferiore. Le talee semidure si asportano dalla pianta madre con un taglio a smusso o doppio smusso, e si piantano inclinate in modo che la zona esposta del cambio rimanga sempre in posizione orizzontale (fig. 5) Anche per questo tipo di talee il calore del suolo stimola il radicamento. E’ bene assicurarsi che il terriccio aderisca alle talee, ed è importante anche un buon drenaggio. Talee di legno duro E‘ il tipo più usato in bonsai, poiché il fusto radicato presenta già un certo spessore come tronco. E’ il più lento ad emettere radici, rispetto ai precedenti. Si possono tagliare dalla pianta madre in autunno, oppure alla fine dell’inverno, quando la legna è completamente maturata ed ha sufficienti risorse: si tratta di legna di uno o due anni. Il taglio inferiore deve essere sotto la gemma e quello superiore anche, lasciando sul fusto almeno due gemme. I più comuni tagli delle talee di legna dura sono a smusso, doppio smusso, piantando poi la talea, quasi diritta, di tallone, conservando nella parte inferiore un tratto di legna vecchia, di cuneo, che consiste nel praticare una o più incisioni nella base della talea, separandole poi con delle pietruzze. Questo schema assicura una maggiore zona di cambio esposta. Sono adatte per la riproduzione d’alcune piante da fiore e frutto (berberis, camelia, chaenomeles, ecc.). Molti tipi di piante possono essere ottenuti per talea, ma soprattutto abeti, ginepri, cipressi, aceri, azalee, cotoneaster, melograni, gelsomini, olivi, olmi, salici, zelkova. Numerose talee, come, per esempio, quelle di salice e di zelkova emettono le radici molto facilmente, basta semplicemente immergerle in acqua. Si possono, in teoria, fare talee in ogni periodo dell'anno, ma risultano migliori quando i germogli dell'anno in corso sono sufficientemente maturi per sopportare tale processo. In linea di massima, le talee di piante a foglie decidue dovrebbero essere prese all'inizio dell'estate, quando non sono eccessivamente indurite. Il tempo necessario per la loro radicazione, varia secondo la specie e del clima, in ogni ca-

so quelle verdi o erbacee impiegano meno tempo, ma necessitano di un certo calore e di maggiori cure, mentre quelle legnose radicano più lentamente, ma sono più resistenti. Le talee di conifere non sono facili da realizzare perché stentano a radicare, richiedono molta umidità ambientale, luce e ormoni. Per una buona talea i rami da scegliere devono essere maturi, avere in pratica da uno a tre anni d’età, devono essere robusti, sani non rovinati dagli insetti. Una polvere o un liquido radicanti a base d’ormoni è sempre molto utile perché stimola un precoce sviluppo delle radici; le modalità d'impiego di questi prodotti variano secondo il tipo scelto, ma tutti contengono sempre istruzioni ben dettagliate alle quali attenersi. Una volta raccolti i rametti, si pongono in piccole serre sotto vetro e già nella primavera successiva si dovrebbero avere le piantine. La lunghezza delle talee di latifoglie dovrebbe essere tale da contenere almeno da quattro a sei paia di foghe, quindi da quattro a 10 centimetri, secondo la specie e della distanza esistente fra foglie stesse ( fig. 3, 4). Il taglio della talea va eseguito con cesoie, o con una lama affilata, subito sotto l'attaccatura di un picciolo sul fusto. Si eliminano poi la parte tenera della cima e le foglie nel tratto che deve essere interrato, si fa quindi il trattamento radicante e si mettono i rametti nei contenitori, che possono essere di qualsiasi tipo, purché forniti di fori di drenaggio, riempiti con sabbia piuttosto grossa, che deve essere naturalmente di fiume oppure lavata perché la sabbia di mare, contenendo sale, li farebbe irrimediabilmente morire. La sabbia favorisce l'emissione delle radici, ma non contiene elementi nutritivi sufficienti alla vita delle piantine, per cui non appena le talee avranno attecchito sarà necessario rinvasarle. I contenitori possono essere riempiti anche con una miscela di torba e sabbia in proporzioni uguali, in questo caso le talee possono rimanervi più a lungo. Una volta riempito il contenitore con il substrato prescelto, che deve essere pressato con delicatezza, si praticano dei fori e vi s'inseriscono le talee ben spaziate fra loro per una profondità di qualche centimetro, si preme la terra intorno alla base perché rimangano ferme, e si annaffia con un getto molto sottile. Per evitare il rischio dell'eccessiva traspirazione, si può mettere un pezzo di plastica tra- Antonio Acampora -

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sparente sopra al vaso, fissandola al bordo di questo; dei bastoncini di legno saranno più che sufficienti per tenerla staccata dalle talee. Questo procedimento è un tentativo di riproduzione dell'ambiente ideale per far radicare le talee: una serra con alta percentuale d'umidità. Come per tutti gli altri sistemi di moltiplicazione delle piante, l'esposizione migliore dei contenitori di talee dovrebbe essere riparata dal vento, lontana dai raggi diretti del sole e con una temperatura quanto più è possibile costante. E’ importante ricordare che le talee hanno molto bisogno d'umidità, si controlli quindi frequentemente insieme al substrato, che, specie nel caso della sabbia, deve essere bagnato spesso per rimanere sempre umido. Appena sono spuntate le radici, evento que-

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sto riconoscibile dall'emissione di nuovi germogli, si può cominciare a sollevare la plastica, prima per poche ore e poi gradatamente sempre più a lungo, così che le piantine abbiano modo di abituarsi un po' alla volta al mutamento, senza bruschi sbalzi di clima e di temperatura. Quando l'apparato radicale ha raggiunto un buono sviluppo, si può procedere ad un primo trapianto in vasi singoli (fig. 6) dopo il quale, come si è più volte ripetuto, le piante andranno tenute al riparo per un periodo congruo, che di solito si aggira, per una completa ripresa, intorno alle tre, quattro settimane, trascorse le quali, sarà possibile esporre gradualmente i vasetti al sole, evitando però che sia troppo forte e violento. I fertilizzanti vanno usati solo dal momento in cui le radici sono sufficiente-

mente forti da sopportarli, perché altrimenti potrebbero bruciarsi e la pianta morire; le dosi saranno sempre molto ridotte, in particolare modo all'inizio. Durante l'inverno si abbia cura di proteggere le piantine dalle intemperie e soprattutto dal gelo. Le talee legnose, essendo molto più forti e resistenti di quelle erbacee ­possono essere piantate anche direttamente all'aperto e in piena luce, il che permette una migliore fotosintesi, ma devono sempre essere protette dal sole vivo. Il trattamento bonsai può essere iniziato sulle talee già dopo uno o al massimo due anni, dipenderà solo dalla specie e dalla velocità di sviluppo delle radici.

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>> L'angolo di Oddone

IL LIGUSTRO

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SPECIE E VARIETÀ SPERIMENTATE. LORO CARATTERISTICHE. - Ligustrum sinesis, un sempreverde un po’ delicato, ma capace di performances da campione. Il fogliame già in partenza minuto, riduce assai le sue dimensioni, mentre la ramificazione si divide fittamente. - L. jonandrum o delavayanum, sempreverde, va protetto dalle gelate. - L. lucidum, sempreverde con foglie un po’ grandi e lucide, ma che si riducono. - L. japonicum, spogliante e ragionevolmente rustico. - L. vulgare, nostrano, spogliante e disponibile un po’ in tutta Italia. - L. ibota, giapponese. E’ quello che, visto in fotografia sul libro di Yoshimura, mi ha conquistato e fatto tentare con i Ligustri reperibili qui da noi. Era il bonsai più albero che avessi mai visto! C’è poi una varietà che ogni tanto leggo sui cataloghi, ma non sono mai riuscito a trovare: il Ligustro pendulo “S. Fiorano”. Se qualcuno fosse più fortunato di me... Tutti i Ligustri radicano molto facilmente come talee o margotte. Non è difficile ottenerli come da seme. Essendo a foglie opposte ramificano fittamente. Il Ligustro si presta bene come portainnesto per vari tipi di syringa o Lillà, in particolare il sinesi che non produce polloni radicali. STILI PIÙ ADATTI E PERCHÉ Il Ligustro si lascia guidare facilmente a rappresentare la fisionomia di un albero quieto e possente, ed è forse l'essenza che meglio si adatta all'idea del bonsai soft. Grazie alla estrema semplicità con cui si può infittirne la chioma si pre-

sta a realizzare quel tipo di bonsai che simboleggia l'albero nella sua espressione più tradizionale: solido tronco, belle radici, una ramificazione regolare ed ampia e densa chioma a cupola. Un riferimento preciso al senso di pace che la natura ci dovrebbe ispirare. Un poco di sicurezza ed equilibrio in mezzo alle brutture ed alla confusione del mondo d'oggi. Per chi abbia più creatività il Ligustro si presta ad essere educato in una quantità di stili e Il suo vigore richiede solo un poco di attenzione, se portato prostrato o a cascata, controllare i suoi getti che tentano di andare verticali. Il legno vecchio e compatto accetta persino di durare qualche tempo esposto come shari o come jin. TRAPIANTO, RACCOLTA E SUBSTRATI Essendo una pianta di poche esigenze e molto tollerante, il trapianto o i rinvasi non pongono difficoltà al coltivatore. Le sue radici assai fitte rigenerano rapidamente persino dopo riduzioni drastiche. Data la densità del fogliame, e quindi il suo rapido uso dell’umidità del terriccio, anche i problemi di trovare un substrato giusto vengono facilmente superati con l’uso di quello standard. Neppure il drenaggio riveste una particolare importanza. Si potrebbe dire che un Ligustro si arrangia a vivere bene ovunque lo si metta. POTATURA DI FORMAZIONE Il comportamento del Ligustro è talmente lineare che sembra addirittura banale dover riferire qui le tecniche più consuete di coltivazione. Al solito si deve lasciar crescere ogni ramo finché abbia raggiunto il diametro che interessa e poi lo

si accorcia subito sopra le due gemme al punto in cui si vuole la biforcazione. Per creare la struttura della ramificazione dato che le gemme compaiono opposte, occorre però intervenire per privilegiare lo sviluppo di quello dei due rami che si vuole fare crescere come leader, appena lo si è identificato, accecando l'apice al suo simmetrico, e destinandolo così a diventare un laterale. La brevità degli internodi moltiplica le opportunità di scegliere le corrette proporzioni della struttura a tutti i livelli della ramificazione. Generosi con i vecchi Se si parte dal ceppo di una vecchia pianta conviene metterlo in piena terra; lasciare che ricacci tranquillamente; a metà estate tagliare via i rami (che sono cresciuti volti all'insù conservando pochi millimetri alla base di quelli posti al punto giusto; alla successiva cacciata eliminare tutti i superflui e incominciare ad educare la nuova struttura nella posizione e forma adatta al progetto del bonsai che si vuole realizzare. Il Ligustro qualche volta esagera nel reagire, tanto che conviene ricordarsi di cimarlo solo mentre è in fase di sviluppo e non in riposo, per non trovarsi con tronco e biforcazioni invase da una miriade di nuovi germogli il più delle volte indesiderati APPLICAZIONE DEL FILO L’applicazione del filo e l'educazione del Ligustro vanno eseguite sulle varie parti finché sono relativamente giovani e flessibili, poiché il legno tende a diventare rigido (e fragile) già sin dal primo-secondo anno e a diametri di pochi millimetri. Sulle parti che stanno - Carlo Oddone -

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>> L'angolo di Oddone

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crescendo il ritmo di sviluppo è tale che si possono avere danni alla corteccia in soli 20 giorni. Bisogna quindi fare attenzione e seguirne l'evoluzione con sollecitudine per togliere il filo in tempo. D'altra parte questa pianta è talmente generosa nel fare nuovi getti che si può altrettanto bene gestirne la forma con delle ripetute (e oculate) cimature. CIMATURE

E POTATURE SPECIALI IN FASE VEGETATI -

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Grazie al suo speciale buon carattere, è facile ottenere dal Ligustro reazioni adeguate ad ogni nostro intervento. Una sola cautela forse, dovuta al vigore col quale risponde alle cimature. Una volta creata la struttura sono necessarie frequenti cimature, che mentre infittiscono la ramificazione periferica riducono sempre più la dimensione delle foglie. Proprio stimolati da questi interventi nascono qua e là dei getti più vigorosi degli altri che dirigono verticalmente verso l'alto, spesso nascosti dall'intrico della vegetazione. Se li si lasciasse crescere, pareggiandoli semplicemente all'altezza delle restante chioma, potrebbero creare delle vistose diseguaglianze nel diametro del ramo che li genera. Questi esuberanti vanno perciò identificati ed eliminati vicino alla base prima che combinino dei guai. Per non perdere il profumo - I fiori compaiono come pannocchiette di fiori bianchi, piccoli e molto profumati, all'estremità dei germogli (dopo che hanno 4/6 coppie di foglie) nati da gemme apicali presenti sin dall'autunno precedente. Attenzione allora a non tagliarli via all'inizio della primavera: è meglio aspettare a cimare che si distinguano le infiorescenze, accorciare i rami che ne sono privi ed accettare che i fiori si aprano un poco fuori del profilo del bonsai. La forma si ritocca alla fine. Innaffiature scarse a partire da fine inverno riducono l'entità della crescita e quindi del "danno" estetico. CONCIMAZIONI ED ALTRI TRATTAMENTI Come in qualsiasi essenza l'uso dei fertilizzanti segue l'andamento della loro evoluzione fisiologica e stagionale. Vanno bene i concimati azotati per i soggetti in crescita, ma con fosforo e potassio più abbondanti

alla fine dell'estate. Quando, dopo qualche anno, inizia a fiorire, pure il Ligustro vuole essere aiutato, per cui, oltre alla dose autunnale, anche in inizio primavera la fertilizzazione va ricca di fosforo e potassio. L'azoto si aggiunge solo dopo la fine della fioritura, e neanche troppo presto, se si vogliono vedere i frutticini: un eccesso di azoto ora ne impedisce l'allegagione. Quando il terriccio contiene argilla ed è sufficientemente fertile, è raro che il Ligustro manifesti disordini o carenze. Una condizione necessaria è però che i rinvasi si seguano ad intervalli ragionevoli: da uno a quattro anni a seconda dello stadio del soggetto. PREVENZIONE E CURA DELLE MALATTIE A questo punto non vorrei far credere che la mia descrizione del Ligustro sia condizionata da una passione dissennata. Si tratta di una grande pianta per fare bonsai, ottima per dare incoraggiamento ad un principiante, e che nelle mani di un esperto può rivelare qualità speciali. Qualche difetto, per obiettività, bisogna però riconoscerlo: pur essendo piuttosto resistente alle malattie crittogamiche, qualche volta viene aggredito da una varietà di insetto (Rincote) di aspetto cotonoso che si annida sotto le foglie, e ogni tanto si trovano delle formiche nel suo vaso. Nel primo caso conviene asportare manualmente i parassiti non appena identificati e subito dopo applicare un insetticida per liberarsi delle eventuali neanidi. Se si nota un andirivieni di formiche è consigliabile controllare anche la zolla, estraendola dal vaso: potrebbero vedersi sulla sua superficie delle macchiette lanuginose biancastre più o meno espanse: sono gruppi di afidi particolari che stanno banchettando sulle radici. Granuli al diazinone (o simili) sono efficaci se distribuiti sul terriccio: le annaffiature fanno poi scendere il medicamento insetticida poco per volta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

- Carlo Oddone -

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Spazio Bonsai Tra arte e natura, un viaggio verso sé

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pazio bonsai nasce due anni fa, dall’entusiasmo di tre amici accomunati da una stessa passione per il bonsai. E’ un club che ha come scopo principale quello di divulgare quest’arte attraverso il lavoro e l’interpretazione delle proprie piante. Una volta la settimana si incontrano principianti, amatori, collezionisti e tutti coloro che credono nella spiritualità dell’essenza creativa. E’ un club dove si lavora la propria pianta pensando a come renderla unica, coltivandola nel tempo. In questo modo, la ricerca dell’originalità e dell’unicità del bonsai frutta una nuova consapevolezza della percezione del tempo alla scoperta di una possibile strada che nessuno ha percorso ancora. Spesso si tende ad avere un concetto standard del bonsai, limitando l’immaginazione e la spiritualità che sono fondamentali in qualsiasi forma d’arte. Spazio Bonsai è anche un luogo d’insegnamento, dove oltre alla tecnica e alla modellatura si apprende la botanica. L’obiettivo è quello di modellare piante comuni trasformandoli in bonsai dall’aspetto maturo e vetusto. Il privilegio dell’incontro con la natura non è solo per pochi prediletti. L’arte come espressione di comunione dell’uomo con la natura è un patrimonio della collettività a cui non possiamo, e non dobbiamo, rinunciare: un patto da ritrovare, coltivare e tutelare. Soprattutto, Spazio Bonsai è sì un club, ma anche una bottega dove lavorare alla scoperta di un’alternativa, una via diversa attraverso la quale raccontare, anche, qualcosa di noi. Un viaggio, un’avventura e una sfida per un percorso di crescita che superi le frontiere personali, alla conquista di uno spazio, nostro, in equilibrio con il mondo che ci circonda: una ricchezza da condividere con il prossimo.


Il Giappone visto da vicino <<

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QUEL CHE NON CI ASPETTEREMMO DA YUKIO OTTOTITOLO

MISHIMA

recensione a cura Anna Lisa Somma recensione a cura di di Anna Lisa Somma http://bibliotecagiapponese.wordpress.com http://bibliotecagiapponese.wordpress.com

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eazionario, drammatico, estremo: così la maggior parte del pubblico dei lettori è solita considerare Mishima. E le sue opere che rammentiamo meglio - Confessioni di una maschera, Il padiglione d'oro, Lezioni spirituali per giovani samurai - paiono confortare i nostri (pre)giudizi. Senz'altro, Hiraoka Kimitake (questo il suo vero nome) è stato un personaggio complesso, ma della sua caleidoscopica e proteiforme personalità la cultura occidentale ha voluto eternare soltanto l'immagine militarista e bieca d'un uomo vittima del suo credo politico e delle sue nostalgie nazionaliste. Forse anche per questa ragione l'Abito da sera, suo romanzo "frivolo" del 1966 (e dunque appartenente a un'epoca in cui la fama di Mishima era già ben consolidata in patria), è stato pubblicato in Italia da Mondadori solo due anni fa ed è tuttora sconosciuto ai più. Un'opera inaspettata, lontanissima dai consueti clichés sullo scrittore e sul genere affrontato (una storia dalle tinte rosa destinata ad una rivista femminile). E non solo: l'argomento, le situazioni e i personaggi in questione ad un primo sguardo appaiono quanto di più estraneo possa esservi all'universo eroico di Mishima col quale siamo abituati a confrontarci. In queste pagine, infatti, siamo dinanzi al racconto del fidanzamento e dei primi mesi di matrimonio della giovane e candida Ayako con Toshio, affascinante enfant prodige stanco della mondanità esasperata in cui è vissuto a causa della madre, donna Takigawa. Se Kawabata nel Suono della montagna esplora il poetico e quasi impalpabile rapporto tra il protagonista e la nuora, Mishima all'opposto nel suo romanzo evidenzia le sottili strategie messe in atto dalla suocera per dominare gradualmente la sposa del figlio. L'abito da sera si presenta come un romanzo dal duplice piano di lettura: ad un primo livello, scorgiamo le vicende melodrammatiche dei personaggi, rappresentate in modo brillante e coinvolgente, ma, scavando a fondo, tutto ciò si rivela una dura critica all'ipocrisia e alla vacuità di un'esistenza dedita ai valori e ai piaceri altoborghesi (l'equitazione, i ricevimenti, lo shopping di lusso...), il cui simbolo è l'abito da sera cui allude il titolo. Un abito da sera che, se da un verso, attira sguardi d'invidia e dona l'illusione di una vita dorata, dall'altro è soffocante come una prigione. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Anna Lisa Somma -

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>> Il Giappone visto da vicino

a cura di Antonio Ricchiari

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na delle massime espressioni di perfezione estetica della gestualità, dei movimenti, delle norme comportamentali in generale è costituita dalla geisha, da questa figura tipica della società giapponese che ha stimolato la fantasia dei viaggiatori e dei letterati occidentali, allietando con la loro arte raffinata riunioni private e pubbliche. D’estate, a Kyoto, recita una poesia molto popolare, la voce delle cicale “penetra la roccia”. I piedi a mollo, lasciati sulla riva gli sgabellini di legno che fungono da sandali, due gei-

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she conversano sovrastando l'incessante frinire, e lanciano piccoli acuti spezzati sulla superficie increspata del fiume Kamo. Parlano per metafore. “La rugiada dice che ha dormito con la canna”, fa una. “La canna dice che non ha dormito con la rugiada”, le risponde l’amica. “Oh, dice di aver dormito, sì!”. “No, dice di non aver dormito”, nega l'interlocutrice, drappeggiata in un kimono di seta color banana. Una pausa, poi la prima riprende: "Fiorita è la canna, e si è saputo tutto". Di nuovo, echeggiano le loro risatine composte e malizio-


se. I pivieri che pattugliano con puntiglio il limo del Kamo, spaventati, si alzano in volo. Si possono trovare, questi limicoli, a Pontochó, il più famoso quartiere di Kyoto. Però dipinti sulle lanterne in carta di riso che segnalano proprio le ochaya, cioè le case da tè frequentate dalle ultime geishe. Da tempo immemorabile il chidori, il piviere, e l'emblema rionale delle ragazze di Pontochó. Kyoto, che otto secoli addietro era la capitale dell'impero e “dei sensi” del Giappone, oggi rimane il centro del karyiikai, il “mondo dei fiori e dei salici”, come viene chiamato oggi il mondo delle geishe. Gli abitanti di questa cittadina, disseminata di templi shintoisti, hanno visto il Kamo vestirsi di mille arcobaleni. Nei laboratori artigianali disposti lungo il fiume sono tradizionalmente elaborate le tinte vegetali e minerali con cui vengono trattati i kimono destinati alle persone d’arte. Così suona, infatti, la traduzione della parola geisha, dove gei sta per arte e sha per individuo. E certamente molta lirica giapponese è nata da quei pazienti risciacqui di seta nel Kamo. Dunque, chi sono le geishe? Un enigma. Una sconcertante categoria antropologica (diversi etriologi ne hanno intrapreso lo studio, come di fronte a una qualche popolazione aborigena) che da sempre imbarazza il turista occidentale. Ma che oggi rischia l'estinzione. Un tempo showgirls senza troppe pretese e contemporaneamente ballerine, cantanti e musiciste, le loro prestazioni professionali sono diventate sempre più preziose, più elitarie. In effetti sono poche le ragazze che intraprendo-

no la carriera di geisha, ma sono pochi anche coloro che per una cena, un tè o una partita di shangai a fianco di una geisha in una sera spendono un bel po’ di yen. Secondo lo scrittore Junichi Mita, entro poco tempo, le geishe faranno la stessa fine degli indiani d'America: si esibiranno soltanto per i turisti. Donne di piacere? Sacerdotesse di un complicato galateo? Poetesse? Sofisticate cameriere? Donne schiave, o donne libere dal giogo antifemminista della regola di Confucio? Tutto questo e anche più, benché per noi una simile fusione di ruoli scateni inevitabilmente molte contraddizioni. Solo a nominarle, la fantasia si accende. La colpa, probabilmente, è di Charles Baudelaire e del termine "japonisme" (neologismo coniato, appunto dal poeta francese) che si verificò poco più di un secolo fa tra gli artisti che vivevano a Parigi. Pittori come Degas, Manet, Toulouse-Lautrec, la sera si ritrovavano nel loro cabaret preferito, il famoso "Divan Japonais", dove alle cameriere era addirittura imposto il kimono. Uno scrittore come Emile Zola a quel tempo decorava le scale della sua casa parigina con stampe erotiche giapponesi, che descriveva agli amici come "furiose fornicazioni", mentre, nel 1885, Pierre Loti si accingeva a sbarcare per primo, tra tanti sognatori, nel porto di Nagasaki. II Giappone, terra della diversità, per Loti (e per l'Occidente romantico) divenne subito lido di avventure sentimentali: il suo libro Madame Chry-santheme, scritto nel 1887 in pieno clima di "japonisme", ebbe 25 ristampe in

cinque anni. Gauguin e Van Gogh ne restarono fulminati. Giacomo Puccini, quando ne vide una riduzione teatrale a Londra nel 1900, volle far suo il soggetto. L'opera diventò Madame Butterfly. Dove l'eroina, in clima di romanticismo ormai decadente, compie infine il leggendario hara-kiri (cosa che nessuna geisha farebbe, e che comunque sarebbe più corretto chiamare seppuku), espropriando di tale prerogativa addirittura i samurai. Gran pasticcio questo "japonisme", insomma. Equivoci, confusione di ruoli, esotismo quale categoria generica che nasconde una sostanziale impenetrabilità. E allora, ripetiamo, chi sono le geishe? Non prostitute d'alto bordo, è bene chiarirlo subito. La professione più antica del mondo in Giappone è esercitata dalle yújo, amanti mercenarie edotte nell'arte di confezionare mix afrodisiaci con salamandre giganti e anguille carbonizzate. Prostitute occasionalmente prese per geishe sono, o meglio erano, le famose hakujin: le carbonaie, mogli degli zatterieri in servizio tra Kyoto e Osaka sul fiume Kamo, che non hanno mai disdegnato d'incontrare stranieri, in assenza dei mariti. L'equivoco nacque forse per l’abitudine delle hakujin d’impiastricciarsi il viso con polvere bianca, per coprire la patina di fuliggine dovuta alla loro dura occupazione quotidiana. La voce che le geishe giravano "ingessate" come le bamboline di porcellana era ben nota agli stranieri, che, per il resto, non andavano troppo per il sottile. Nient’affatto. Le geishe sono soprattutto artiste delle - Antonio Ricchiari -

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>> Il Giappone visto da vicino buone maniere orientali. Perciò, con la fame di Occidente che ha caratterizzato il Giappone dal dopoguerra in poi, oggi corrono il rischio di sparire. La loro educazione artistica, che inizia in eta prepuberale, è durissima, quasi monastica. Ma a Dio, nel loro caso, se vogliamo conservare il paragone, va sostituito l’uomo: con le sue esigenze, i suoi piaceri e le sue passioni. "Le prostitute si occupano del corpo degli uomini", dice Inoue Yachiyo, la più venerabile delle anziane geishe, dichiarata in Giappone "Tesoro vivente nazionale", "noi invece ne coltiviamo lo spirito". Ma qui la spiritualità e la materialità non sono forze chiaramente contrastanti. Anzitutto i giapponesi non condannano affatto il soddisfacimento dei piaceri dei sensi. Anzi, li considerano qualcosa di positivo e certamente degni di essere coltivati, pur sostenendo la necessità di saperli sempre controllare in modo che non interferiscano con le cose "serie" della vita. Evidentemente non hanno l’iprocrisia di facciata degli occidentali! Quali sono questi piaceri? II sonno, il bagno, il rilassamento, il cibo, la poesia, la musica, il sesso. Essi sono dunque lontanissimi dall'assumere, riguardo a quest'ultimo, un atteggiamento di tipo moralistico. Il sesso è considerato una manifestazione naturale della vita, benché di secondaria importanza. In questa cultura esiste invece una netta distinzione tra la sfera dei rapporti coniugali e quella dell’attività erotica, ricreativa, distensiva. Essere serviti e intrattenuti da belle fanciulle così abbigliate e dalle maniere cerimoniosamente perfette è uno dei piaceri della vita. E non è raro il caso che la stessa moglie del cliente paghi a fine mese il conto della casa da tè che il marito frequenta dopo il lavoro. Se poi la legittima consorte dovesse venire a conoscenza di una relazione più intima allacciata nel frattempo con la geisha (sempre possibile!) non ne farebbe una tragedia. Anche perché nessuno in Giappone sarebbe così pazzo da lasciare la famiglia per mettersi con una vera geisha: troppo costosa, troppo ambiziosa, troppo libera. Troppo potente, in definitiva, come donna. La tenutaria della casa da tè in cui lavorano le geishe è una specie di madre superiora chiamata okasan, cioè "signora madre", e tutte le ragazze sono "sorelle" tra loro. Le vecchie geishe spesso finiscono per farsi vere monache nei conventi buddisti. Il noviziato, durante il quale l’aspirante geisha è chiamata maiko, dura diversi anni e si conclude con la deflorazione rituale della ra-

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gazza ad opera di un gentiluomo scelto dalla okasan, generalmente anziano e abbastanza ricco da poter offrire, in cambio del privilegio, un intero guardaroba di kimono di seta alla novella geisha. Non potrebbe esistere una geisha illibata, ma neppure una geisha maritata: questi ruoli, come a Venezia al tempo delle cortigiane, sono incompatibili. C’e un’arte supplementare richiesta alle geishe del XX secolo: quella di combinare sedute di affari. In effetti, ricchi finanzieri giapponesi hanno preso l'abitudine di trovarsi in compagnia di geishe, ormai perfettamente istruite anche in materia di codice civile e in diritto amministrativo. La ragazza, pagata da uno degli aspiranti contraenti, si darà squisitamente da fare per portare la conversazione sugli aspetti vantaggiosi dell’accordo, impiegando un linguaggio figurato a sfondo naturalistico, com’è in uso nel “mondo dei fiori e dei salici”, che apparentemente non ha nulla a che vedere con azioni, depositi e interessi. Ma nonostante questo adeguamento allo spirito dei tempi, il tè servito dalle sapienti mani della geisha è una cerimonia in via di estinzione. Quante sono, oggi, le geishe? Difficile stabilirlo. Sono purtroppo lontani gli antichi splendori, il via vai di risciò che un tempo portavano da un quartiere all’altro di Kyoto le uniche donne in Giappone munite del privilegio di agire, di muoversi e di bere pubblicamente, come solo gli uomini potevano fare. © RIPRODUZIONE RISERVATA



>> Axel's World

Lo shintoismo

di Axel Vigino

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iò che mi ha sempre affascinato, fra tutte le mille sfaccettature del Giappone, sono tutti i valori, gli insegnamenti spirituali e le forme culturali che ruotano attorno alla sua misteriosa religione: lo shintoismo. Lo shintoismo (o più semplicemente shinto) è una dottrina religiosa sviluppatasi in Giappone. Nel passato è stata la religione di stato. In essa prevale l’adorazione dei kami, parola che può essere tradotta in spiriti naturali o, più semplicemente con il termine generico “divinità”.

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Kami sono gli dei che ho abbozzato negli articoli precedenti, ma anche gli illustri e coraggiosi eroi e gli antichi avi ormai defunti da molto tempo, che stanno al fianco, guidano e proteggono i viventi appartenenti alla loro famiglia. La parola “shinto” deriva dall’accostamento di due ideogrammi (kanji): il primo, shin, significa “divinità”e il secondo, to, significa ”via”,”sentiero” e in senso filosofico rappresentano il cammino di crescita verso una pratica o una disciplina. La terribile sconfitta della seconda guerra


mondiale ha segnato la fine dello shintoismo come religione nazionale; infatti alcuni riti e insegnamenti che durante il conflitto erano ritenuti basilari in quanto volti alla salvezza del Paese o dell’imperatore (come gli attacchi suicidi a bordo di caccia contro le navi nemiche che presero il nome di kami-kaze) ora non sono più praticati né insegnati. La storia Le origini dello shintoismo sono talmente antiche che si sono perse nel tempo, tuttavia si crede che questa dottrina sia tanto arcaica quanto lo è il popolo giapponese, che discende probabilmente da popolazioni dell’Asia centrale o dell’Indonesia. Quando giunsero nell’arcipelago i primi abitanti fondarono i primi rudimentali villaggi. Ognuno aveva le proprie divinità protettrici con rituali ad esse collegate, e non vi era alcuna relazione tra un culto locale e l’altro. Il panteon stabile che conosciamo oggi deriva probabilmente dagli antenati della famiglia imperiale, ma anche ai giorni nostri le divinità sono innumerevoli, in quanto sono considerate manifestazioni della natura che per i giapponesi è sacra in ogni sua forma. A partire dal V secolo, il sistema di credenze scintoiste fu radicalmente riformato a causa dell’invenzione della scrittura e dall’arrivo dalla vicina asia del buddismo. All’alba del periodo Nara, nel 712, furono scritti il Kojikiri (Memorie degli eventi antichi) e, nel 720, il Nohonshoki (Annali del Giappone). Questi due scritti avevano una duplice funzione: innanzitutto, attraverso la scrittura, narrando di miti e leggende legate alla religione taoista e buddista, impressionare l’Impero cinese, dimostrando che la cultura giapponese non era inferiore alla loro e, come secondo, quello di enfatizzare tramite i racconti mitologici, la natura della famiglia imperiale, facendola discendere direttamente dalla dea Amaterasu. Quando vennero stese le prime copie di questi volumi, gran parte dell’arcipelago nipponico era sotto il dominio imperiale, fatta eccezione per alcune minoranze etniche ostili, che quindi andavano eliminate. Per fare ciò, l’imperatore doveva esercitare una forte autorità sul suo popolo.

clo delle rinascite e, talvolta incarnazioni del Buddha stesso. La definitiva scissione tra le due differenti dottrine avvenne in seguito alla “Restaurazione Meiji”. Dopo la restaurazione lo shintoismo divenne religione di stato ed ogni tentativo di unione e avvicinamento verso il buddismo vennero dichiarate illegali, credendo infatti che la religione fosse l’unica speranza per difendere il Giappone dalle invasioni straniere e mantenerlo unito aumentando la devozione verso l’imperatore. Nell’anno 1817 venne istituito un Ministero delle divinità e, successivamente, un Ministero della religione. Esso commissionò ai sacerdoti shintoisti di diffondere tutti gli ideali ed insegnamenti di tale dottrina nelle scuole o luoghi pubblici, talvolta alcuni di questi vennero eletti al governo dello stato. Nel 1890 venne promulgato il Kyoiku Chokgo, uno scritto che imponeva a tutti gli studenti a giurare di offrire la propria vita per salvare il Paese e la famiglia imperiale. L’era del grande shintoismo di stato ebbe termine alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando l’imperatore disse in pubblico di rinunciare al suo stato di divinità e non discendere dalla dea Amaterasu. Ora lo shinto è ritornato ad essere la religione che era un tempo e i suoi valori continuano ad essere le fondamenta della vita e della mentalità giapponese. Quella loro meravigliosa mentalità che li spinge e cercare quella perfetta armonia in tutte le cose che noi occidentali invano cerchiamo di inseguire senza mai afferrare del tutto. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Con l’introduzione del Buddismo, proveniente dalla vicina Asia Orientale, tutti i fedeli shintoisti temevano il peggio. Si pensava infatti che la nuova religione avrebbe lentamente sgretolato il vecchi shinto, mettendo in discussione e quindi in pericolo la natura divina dell’imperatore. Queste nuove credenze, invece, non fecero altro che rafforzare la fede shintoista. Questa dottrina straniera, infatti, considerava gli dei giapponesi come entità divine intrappolate nel ci- Axel Vigino -

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>> Che insetto è?

I vettori antropici di trasmissione

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ello studio della patologia vegetale e delle varie componenti che influenzano la diffusione e lo stadio di alcune malattie, i maggiori fattori su cui maggiormente si concentrano le nostre attenzioni sono i metodi di lotta principalmente preventivi, intesi solitamente in trattamenti a base di presidi fitosanitari. Questi, opportunamente alternati secondo dei calendari formulati all’inizio di ogni stagione di crescita, hanno come principale scopo quello di scongiurare attacchi molesti per la salute della pianta. Il maggiore controllo viene effettuato verso insetti considerati vettori di agenti più aggressivi, quali virus, batteri e funghi. Nella trattazione, per esempio, degli afidi o delle cocciniglie, abbiamo visto che questi sono patogeni non molto nocivi per il danno materiale che provocano, bensì pericolosissimi perché considerati vettori di malattie virotiche e batteriche di inesistente risoluzione. In natura, le malattie, al fine di arginarne la propagazione, vengono studiate anche in base al modo con cui esse si diffondono in certi areali. Se consideriamo i modi con cui un agente patogeno viene diffuso, vediamo che esiste una diffusione di tipo animale, veicolata dalle attività trofiche e cataboliche (escrementi) della fauna selvatica e

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di allevamento; una diffusione di tipo anemofila, ovvero tramite gli spostamenti dovuti al vento, in cui spore e insetti volatili sfruttano le correnti d’aria; e l’ultima, forse la meno considerata, quella di tipo antropico, ovvero favorita dalle attività umane legate alle diverse fasi di coltivazione. Spesso chi coltiva bonsai, anche con i più ineccepibili propositi, può trasformarsi, a sua insaputa, in un pericoloso vettore di malattie. Il più classico modo per diffondere malattie più o meno gravi di tipo batterico, fungino e virotico, è l’utilizzo di strumentazione infetta, utilizzata su diversi esemplari, senza che questa venga disinfettata nel passaggio da un esemplare all’altro. Con l’inasprirsi negli ultimi anni delle condizioni atmosferiche stagionali, l’aggressività di molti patogeni si è acuita e la loro attività si è fatta di gran lunga più deleteria nei confronti degli ospiti vegetali. Questo è indice di una loro maggiore resistenza a sopravvivere nel momento in cui, dovendo passare da un esemplare all’altro, si mantengono in vita per più lungo tempo, pur al di fuori di condizioni a loro confacenti. è il caso, appunto, che si verifica quando si utilizzano attrezzi infetti, che, se non disinfettati subito dopo un’operazione, possono incubare diversi patogeni, pronti ad infettare piante sane. Le principali fitopatie trasmissibili attraverso attrezzi infetti sono di tipo batterico, quali i cancri, e di tipo virotico, oltre che malattie di origine fungina, quali ruggini, tracheomicosi ecc. Le


malattie cui si è appena accennato non devono assolutamente essere sottovalutate: la loro presenza nelle collezioni bonsai è spesso dettata da incuria e superficialità nella gestione delle attrezzature dal punto di vista fitosanitario. La pulizia degli atrezzi consiste in semplici passaggi: 1. eliminazione dei depositi grossolani dovuti ai succhi vegetali e delle porzioni di tessuti meristematici tramite pietra pomice (o similari) (foto1, 2); 2. pulitura di lame e impugnature con alcool denaturato (foto 3, 4); 3. sterilizzazione delle lame con fiamma di microsaldatore di precisione (foto 5); 4. oleatura di lame e impugnature, al fine di preservarle da attacchi di ruggine, laddove il materiale non sia di acciaio inossidabile (foto 6, 7). L’accortezza nell’eseguire queste semplici operazioni dovrebbe essere alla base di una coltivazione coscenziosa, attenta e meticolosa; soprattutto i professionisti del mondo bonsaistico non dovrebbero mai sottovalutare questo aspetto, adottando come normale prassi la pulizia degli attrezzi. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Luca Bragazzi -

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