Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio 2009

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bonsai & suiseki magazine

Bonsai&Suiseki Magazine

Anno I - n. 1

Gennaio 2009

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Bonsai & Suiseki magazine Gennaio

editoriale

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2009

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DIRETTO DA Antonio Ricchiari IDEATO DA Luca Bragazzi Antonio Ricchiari Carlo Scafuri

REDATTORE Carlo Scafuri

REVISORI Giuseppe Monteleone Pietro Strada

GRAFICA ED IMPAGINAZIONE Carlo Scafuri

FOTO DI COPERTINA Gino Strada HANNO COLLABORATO Antonio Acampora Nicola Crivelli Antonio Defina Gian Luigi Enny Giovanni Genotti Luciana Queirolo Dario Rubertelli Daniela Schifano Andrea Zamboni

Tutti gli scritti, le foto, i disegni e quant’altro materiale pubblicato su questo sito rimane di esclusiva proprietà dei rispettivi Autori che ne concedono in via provvisoria l’utilizzo esclusivo al Napoli Bonsai Club ONLUS a titolo gratuito e ne detengono il copyright © in base alle Leggi internazionali sull’editoria. E’ vietata la duplicazione e qualsiasi tipo di utilizzo e la diffusione con qualsiasi mezzo (meccanico o elettronico). I trasgressori saranno perseguiti e puniti secondo gli articoli di legge previsti dal Codice di procedura Penale che ne regolano la materia.

Quello che stiamo vivendo è senz’altro un momento intenso per il mondo del bonsai. Osservando l’evoluzione dei bonsaisti un tempo immersi dall’alba al tramonto nell’alta erudizione ed oggi, al contrario, diventati poli di sincretismo in cui la frontiera tra la vera e la falsa cultura è irrimediabilmente confusa assieme ad un misto di presunzione (presunzione di bruciare i tempi, presunzione di sapere, presunzione nei confronti del prossimo) sono preso da momenti di incertezza che qualche volta sfociano nel dubbio più profondo. Ma, tant’è, l’entusiasmo che questo forum, gli amici, il bonsai stesso riescono a darmi mi ha convinto ad iniziare questa impresa che trova il suo input nel volere fare qualcosa assieme che, seppure entro limiti ristretti, gode di un auditorium di gente attenta e motivata che ha voglia di apprendere e soprattutto di fare. Di fare assieme, senza protagonismi o antagonismi. Questo è fondamentale. Incrociamo le dita e diciamoci un in bocca al lupo con la speranza di fare proseliti, coinvolgendo sempre di più amici nell’affascinante universo del bonsai e del suiseki. Da parte mia la certezza di un impegno serio e costante nell’interesse unico appunto del bonsai. Antonio Ricchiari

Perfettamente in linea con le attuali esigenze della comunità bonsaistica italiana, questo Magazine vede la sua prima uscita su di un supporto che rispecchia la modernità dei metodi di reperimento delle informazioni. La sempre crescente sete di nozioni in tutti i livelli, unita alla facilità con cui è possibile reperirle, pone questo nuovo periodico tra quelli che soddisfano tali esigenze, rendendolo attuale. La fonte da cui proviene questa nuova idea, è alimentata da persone che credono in quello che si sta facendo, convinti che si possa aumentare il livello culturale di tutti coloro che ne usufruiranno. Personalmente ritengo questo nuovo Magazine come una grande idea, costruttiva, ed in grado di avvicinare virtualmente molti modi di pensare. Tra i suoi scopi, esiste senza dubbio, la volontà di non precluderne l’accesso a nessuno e, sicuramente la capacità di arricchirsi grazie a quello che tutti avranno da dire tra queste “pagine”. Il bonsai, ormai proiettato nella sua modernità, ha bisogno di nuove iniziative, capaci di rinnovarlo sia nel modo di interpretarlo che nella didattica, ed è per questo che credo che il Direttivo del Napoli Bonsai Club, nella persona del Suo Presidente Antonio Acampora, abbia quella vena lungimirante tipicamente di chi agisce nella cultura e per la cultura. La giusta intesa tra chi opera e opererà tra le righe e l’intervento sistematico di chi fa didattica bonsai giornalmente, rendono ancora più credibile questo progetto. Il mio Augurio per questa importante evoluzione è che possa espandersi così come il Forum ha fatto dopo la sua nascita.

Luca Bragazzi Inizia oggi una nuova avventura editoriale interamente dedicata ai bonsai ed ai suiseki; un magazine libero e gratuito nato dall’intento di contribuire alla diffusione di queste nobili arti, di tutto ciò che ad esse risulta connesso, e che finalmente metta al centro di tutto ‘l’appassionato’ e non gli interessi economici che sull’appassionato vengono puntualmente costruiti. Questa pubblicazione vuole consentire una trasmissione di conoscenze alimentata unicamente dalla passione di quanti dedicano il proprio tempo al bonsaismo ed all’arte del suiseki. E’ in tale ottica, pertanto, che il mensile si propone di costituirsi in quanto ‘Open Magazine’, si da accogliere il contributo di chiunque voglia condividere la propria esperienza, ed in molti casi, la propria professionalità con tutti. A rendere ancor più ricca di contenuti la pubblicazione saranni i contributi dei professionisti tra i migliori attualmente operanti nel panorama bonsaistico e suisekistico, tra i quali, solo per citarne alcuni: Antonio Acampora, Luca Bragazzi, Giovanni Genotti, Luciana Queirolo, Antonio Ricchiari. Ci auguriamo pertanto che questa impresa editoriale possa riscuotere il vostro consenso e costituire per voi tutti un riferimento apprezzato.

Carlo Scafuri


Sommario

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Dal mondo del Bonsai & Suiseki pag. 01 “Giardini giapponesi” - G. L. Enny pag. 03 “Il messaggero” - D. Schifano

Mostre ed eventi pag. 06 “Sakka Ten Autumn Trees” - A. Zamboni

In libreria pag. 08 “Bonsai - Tecniche e segreti di coltivazio ne” - C. Scafuri

Acero Tridente coll. di Giovanni Genotti

L’essenza del mese

Bonsai ‘cult’ pag. 09 “Alcuni punti fermi” - A. Ricchiari, G. Genotti

pag. 19 “Acero tridente” - A. Acampora, A. Ricchiari, P. Strada

Note di coltivazione pag. 24 “I concimi chimici” - L. Bragazzi

La mia esperienza pag. 11 “La mia favoletta” - A. Defina pag. 13 “Tra il dire e il fare...” - D. Rubertelli

Tecniche bonsai pag. 25 “Applicazione del filo” - A. Acampora

Vita da club pag. 30 “Napoli Bonsai Club” - A. Acampora

Che insetto è? pag. 32 “Patologia vegetale - I parte” L. Bragazzi

A lezione di Suiseki pag. 15 “Quanto grande” - L. Queirolo

A scuola di estetica pag. 18 “Note sull’estetica dei bonsai - A. Ricchiari


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Dal mondo del Bonsai & Suiseki

I GIARDINI GIAPPONESI - Gian Luigi Enny Quando si cerca di raccontare il giardino giapponese, diventa impossibile non fare riferimento continuo ai concetti filosofici, dovuto alla fede religiosa, allo stile di vita, a quel modo di concepire la natura; ecco, tutte queste cose messe assieme, nell’estremo oriente è “Zen”. Questa forma di pensiero si è formata con gli anni e si è evoluta sopratutto nel Sol Levante, grazie a monaci buddisti che l’hanno resa comprensibile anche a persone di umile cultura. Nell’insegnamento, questo era un modo di avvicinarsi agli dei e alla natura; essendo i monaci anche realizzatori dei giardini all’interno dei monasteri in cui vivevano, era inevitabile che il pensiero Zen e la tecnica di giardinaggio si fondessero. Un po’ come i nostri frati occidentali che nel medioevo si occupavano di sperimentare prodotti orticoli, in “primis” piante medicinali, naturalmente tutto questo era circondato da un alone religioso e filosofico, che per i monaci, si trasformava in “Horat et labora”. Ed è per questo che tutta la storia antica e moderna del Giappone è impregnata di filosofia, si nota nel loro stile di vita, nella cerimonia del tè, nella scrittura, nella pittura, e soprattutto nel giardino, lo si vede nel modo di potare le piante, nel posizionare le pietre nel creare giochi di luci e ombre, creando una certa atmosfera che dona pace e tranquillità all’osservatore. Descrivere solo la tecnica di come deve essere realizzato il giardino giapponese, senza introdurre continuamente concetti filosofici, è come descrivere tecnicamente la costruzione di un classico giardino, cosa già fatta da molti altri. E’ risaputo che chi si avvicina al giardino giapponese è perché tendenzialmente è aperto all’arte e ai concetti filosofici, soprattutto al pensiero Zen. Personalmente conosco persone che, a questi concetti non sono interessate, e che naturalmente tutta questa filosofia di cui si parla tanto per loro rimane un

concetto incomprensibile e probabilmente qualcosa di noioso Termino citando un antico proverbio orientale che dice: “Se vuoi essere felice un giorno, bevi del vino! Se vuoi essere felice un anno, sposati! Se vuoi essere felice tutta la vita, allora cura il tuo giardino con amore e con passione”. Non credete anche voi che in questa pillola di saggezza si nascondi un concetto filosofico?

L’atteggiamento verso la Natura

Tutti sappiamo quanto il popolo giapponese sia vicino alla natura, c’è però da dire che più che vicino alla natura, esso se ne sente un partecipe e non padrone, riconoscendo nell’animo umano una componente “naturale”, che non è altro che la diretta espansione dell’ambiente che circonda l’uomo. Il culto giapponese per la natura che lo circonda ha radici antiche, che addirittura affondano nell’alba della storia nipponica. Il fenomeno naturale era sentito come una componente potente e sublime, meravigliosa e terribile, ed ancora oggi costituisce la base della religione tradizionale giapponese, lo Shintoismo. Tale credo religioso attribuisce un’anima ad ogni manifestazione naturale, sia essa un elemento inorganico come una roccia, o più semplicemente per una pianta, oppure un evento transitorio quale un acquazzone con tuoni e fulmini o un’alba con i suoi colori accattivanti. Questi “spiriti” vengono definiti Kami, alcune volte non benevoli, richiedono una particolare venerazione in virtù della loro superiorità, senza andare oltre. Già attorno al IV secolo vennero costruiti dei santuari dedicati a diverse divinità, indicando l’inizio dell’ area consacrata mediante un Torii, ovvero un

Torii di fronte all’isola di Miyajima

grande portale, solitamente in legno. Tra il IX ed il XII secolo tali santuari furono integrati da templi buddisti, che però non si sostituirono alla precedente architettura, bensì, nel più puro stile nipponico, cercarono di fondersi rispettosamente tra le opere artistiche e il paesaggio naturale preesistente. L’amore per la natura ne vuole dunque esaltata la bellezza, ed è forse a tale fine che si deve la perfezione raggiunta dall’arte della disposizione floreale, l’Ikebana, che conosce il suo momento di splendore nel periodo Momoyama.

Ikebana

Ancora oggi, nonostante la progressiva evoluzione e la scissione in varie scuole, i tre elementi vegetali fondamentali dell’Ikebana rappresentano il Cielo (Shin), l’Uomo (So) e la Terra (Gyo), combinati in un insieme armonioso dove i rami e i fiori, sebbene recisi, non perdono la loro vitalità.


Dal mondo del Bonsai & Suiseki

I GIARDINI GIAPPONESI - Gian Luigi Enny

L’età feudale

L’indebolimento della classe nobiliare della tarda Epoca Heian è concomitante con la crescente presa di potere da parte della classe guerriera, che vede stabilirsi il nuovo centro del potere miltare e politico a Kamakura, da cui viene il nome dell’epoca successiva (1192-1338 ). Le famiglie dei Samurai, sebbene non potessero competere con l’autorità imperiale, erano tuttavia alla ricerca di una propria identità. La pulsione spirituale dei Samurai trovò il giusto sfogo nella scuola filosofico religiosa del Buddismo Zen, che ben si adattava allo stile semplice, sobrio e spartano della classe guerriera. Diversamente dal Buddimo di Amida, lo Zen promette una soddisfazione in questo mondo, in cambio però di una rigida applicazione e disciplina mentale, riponendo fiducia nelle capacità meditative dell’uomo. Il “Giardino Secco” (Karesansui), sviluppatosi successivamente, è un tipico esempio di tali condizioni: composto da rocce, sabbia e pochissimi o nessun vegetale, è l’espressione più tipica della semplicità, o addirittura del minimalismo tipico dello Zen. Le recinzioni, di pietra o vegetali, che celavano i giardini Zen al loro interno non offrivano pura distrazione estetica all’osservatore, ma un paesaggio che richiedeva una mediazione spirituale e un certo sforzo intellettivo. La tranquillità interiore che lo Zen prometteva attirò di conseguenza la classe guerriera, avvezza all’autodisciplina, ma al contempo esasperata dalla barbarie e dalle sanguinose lotte che dilaniavano il paese.

Il giardino giapponese moderno

La fine dello Shogunato dei Tokugawa, e del periodo di isolamento dell’arcipelago nipponico, già in fase di conclusione all’arrivo del commodoro Perry, avvenuto nel 1853, avevano causato dei grandi cambiamenti sociali, sebbene l’impronta tradizionale del Giappone feudale non fosse stata cancellata. Si andava però diffondendo un sentimento ammirato e curioso per la civiltà occidentale, che ebbe evidenti risvolti anche nell’arte del giardino. Il desiderio di possedere i nuovi edifici in stile occidentale, e la conseguente necessità di costruire per essi dei giardini diversi da quelli tradizionali, spinse

i giapponesi a copiare modelli stranieri, anche se, nella più pura tradizione nipponica, il gusto estetico d’oltremare non venne mai adottato in modo ne da sostituire integralmente, ne da prevalere su quello autoctono. Già nel periodo Tokugawa, nella città di Nagasaki, si trovavano gli insediamenti di portoghesi, olandesi e cinesi, la cui influenza culturale riuscì a filtrare nella compagine nipponica. Proprio in quel periodo, un gruppo di pittori la cui arte era volta all’uso di colori smorzati e tratto morbido, da loro nacque il movimento letterario Bunjin, che, come per la scuola monocromatica di quattro secoli precedente, preferiva dipingere i paesaggi del continente, l’influenza di questo stile venne adottata in seguito dai giardinieri dell’epoca, che cercarono di imitare questo modo di dipingere, utilizzando pochi vegetali dai colori sobri e le pietre dalle linee morbide.

Ciliegio in fiore - Wang Mien XIV sec.

Tra i promotori che nel XX secolo contribuirono all’elevazione del giardinaggio come arte, il più fulgido esempio fu Shigemori Mirei (1896-1975), il quale volse la sua vita al recupero dei livelli artistici raggiunti dalla cultura nipponica del passato. La sua formazione ebbe luogo presso l’Accademia delle Belle Arti di Tokyo, che lo preparò anche alla cerimonia del the e all’ikebana, affinando così in lui il gusto per il senso estetico giapponese.

Un moderno giardino in Giappone - foto da internet

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Dal mondo del Bonsai & Suiseki

IL MESSAGGERO - Daniela Schifano

Volo d’aquila ali toccano il cielo sotto, il mondo

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el colore di un’alba incerta, sospesa tra la luna ed il sole, immagino un’aquila, immota, osservare il suo regno: forte della sua formidabile vista, impettita e resa ancora più regale dal soffio del vento che le alza le piume, scruta ogni piccolo anfratto alla ricerca di incaute prede, mentre il cielo la invita a cavalcare le nuvole. Lontana, nitida e incontaminata, la vetta del Fuji sovrasta la scena : è il mondo della serenità che il sacro monte ispira, punto di riferimento costante, anche nei momenti di tempesta, per una umanità immersa nelle consuetudini del quotidiano. ontagna unica, il Fuji : per altezza, la più alta di tutte le terre limitrofe; per posizione, isolata ed incontrastata nel paesaggio circostante; per visibilità, la si intravede fin dai lontani territori della terraferma continentale; per linea, pura ed

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elegante, un perfetto tronco di cono; per tipologia, vulcano attivo quindi vivo. ontagna sacra per lo shintoismo: Yama no Kami, sede degli spiriti, dei ancestrali della montagna, poi personalizzati nella divinità di Konohana Sakuya, discendente da Izanagi ed Izanami, la coppia divina primordiale generatrice dell’arcipelago delle isole. ontagna sacra per il taoismo: sulle sue pendici è sepolto il monaco Hsu fu (in giapponese, Jofuku), che, inviato dall’imperatore cinese Shi-Houang (Saiko) nel 221 a.C., diffuse questa dottrina nel Giappone. ontagna sacra per il buddismo: simbolo religioso, connesso con la vita e la morte. Nel Nihon ryoiki (VIII/IX secolo) viene riportato come l’eremita buddista, En no Shokaku,

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Dal mondo del Bonsai & Suiseki

IL MESSAGGERO - Daniela Schifano

durante l’esilio nell’isola di Oshima, accusato di stregoneria, di notte ascendeva al sacro monte per meditare. l rapace sembra percepire, in un rapporto autentico con la bellezza, il sacro della montagna, ma l’aquila stessa è nella storia e nel tempo simbolo della volontà e del potere divini. Imponente, maestosa e fiera, capace di raggiungere altezze vertiginose in brevissimo tempo, per poi picchiare con inaudita velocità e padronanza verso pareti a strapiombo, quasi a voler dimostrare la sua superba autorità, capace di muoversi nel cielo senza battere le ali, di vedere cose minuscole da grandissima distanza. osata oppure in volo, l’aquila affascina l’uomo, sia nella fantasia, che nell’inconscio : sguardo profondo magnetico e potente, portamento fiero ed eretto, quel becco, e quegli artigli, che solo un superbo predatore possiede, ali magiche, capaci di voli strabilianti. Il suo segreto e’ la forza, la sicurezza di sé, la bellezza, l’arte

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“Fra le terre di Kai e quelle di Suruga lambita dalle onde sta la vetta del Fuji. Gli alti cirri osano appena avvicinarsi, e mai volano fin lassù gli uccelli. Il ghiaccio raggela irosi incendi e il fuoco distrugge la caduta neve. Vano è cercar parole, non v’è un nome degno di lui. Che sia un misterioso kami?” Mushimaro - VII secolo d.C.

del volo, l’armonia, la prontezza di riflessi, il trasformismo magico della predazione. al saettare dall’alto in basso dell’aquila che scende a ghermire la preda al saettare repentino del fulmine : l’antica leggenda vuole che l’aquila sia l’unico uccello al quale il fulmine non può nuocere. Quindi la sua pertinenza con le regioni superiori dell’aria, con il sole e con il fulmine ne fanno simbolo della volontà e del potere divini, mentre il volo alto, sicuro, dritto e veloce la rendono il messaggero degli dei, da Zeus fino alla iconografia cristiana che spesso rappresenta gli angeli con ali d’aquila. on a caso quindi questo rapace e’ stato utilizzato nella storia come simbolo di potere : dall’aquila uccello di Zeus, suo messaggero o sua metamorfosi all’aquila imperiale romana, simbolo primario dell’impero romano (e quindi di quello bizantino e romano-germanico), il sacro volatile è simbolo di potenza, di sapienza (vista acutissima, fino a guardare il sole) e

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Dal mondo del Bonsai & Suiseki

IL MESSAGGERO - Daniela Schifano

“ArcoBonsai 2008” Premio IBS - Menzione di merito UBI foto di C. Scafuri

e di giustizia, che può innalzare nell’apoteosi o scendere piombando sul reo come il rapace sulla sua preda. ancora, lo sciamano delle culture centroasiatiche ed amerinde è letteralmente figlio dell’aquila : si adorna delle sue piume per volare in cielo, per scendere negli inferi e per evocare i morti. Presso gli indiani delle praterie americane, le penne d’aquila sono ornamento del diadema dei capi e un bastone alla cima del quale è legata una penna d’aquila è considerato medicina

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contro le infermità. uesto è quello che l’aquila ha significato nel tempo e tra diversi popoli per l’uomo; ma io ancora voglio immaginarla, con la sua grande e inconfondibile sagoma uscire all’improvviso da orizzonti di rocce e canaloni, per poi planare, oppure volteggiare, con le ampie ali : io guardo una pietra e vedo un’aquila, nel gioco dell’immaginazione che lascia spazio all’animo ed alle sensazioni per passare rapidamente ad una comunicazione interna che è libera, quasi come un lieve

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vento, che fluisce da una forma appena accennata verso una interpretazione che non è solo mentale.

Al di là delle parole, delle spiegazioni, delle motivazioni, questa è, per me, la magia del suiseki!


Mostre ed eventi

SAKKA TEN 2008 - Andrea Zamboni

Sakka Ten Autumn tree 2008

A Bressanone dal 14 al 16 novembre 2008, inserito in una cornice paesaggistica spettacolare, si è svolto il III Congresso Internazonale della Nippon Bonsai Sakka Kyookai Europe, la “Sakka Ten - Autumn Trees”, promossa dal Bonsai Club Brixen. La manifestazione ha come scopo primario quello di divulgare e approfondire la disciplina estetica e filosofica del Bonsai e del suo allestimento in un Tokonoma. Ospite d’onore per questa edizione è stato il famoso Maestro Kunio Kobayashi. Le piante viste in mostra si sono rivelate tutte di alto livello (da sottolineare la l’elevata presenza di espositori stranieri), ed in linea con la filosofia che è caratteri-stica della NBSKE, e ricalcavano i dettami delle esposizini e del pensiero della scuola giapponese. Di assoluto rilievo anche sei spettacolari tokonoma allestiti come giusta cornice per le piante esposte. Prima di addentrarci nella cronaca delle tre giornate della mostra, permettetemi una considerazione sulle piante scelte. Gli anni di mochikomi, la loro maturità, ma allo stesso tempo la naturalezza e leggerezza risaltavano a decretare l’indiscussa bellezza di questi esemplari (la quasi totalità di questi erano praticamente privi di filo). Tutto questo ha fatto si che l’attenzione dei visitatori, addetti ai lavori e non, fosse attirata non dalle sole piante ma da tutto l’insieme. Avendo avuto la possibilità di collaborare con l’organizzazione, mi ha dato la possibilità di constatarlo personalmente anche grazie alle domande che mi venivano rivolte. Oltre alle domande di rito sulle varie essenze, il pubblico ha mostrato grande interesse per tutte le componenti degli allestimenti, arrivando a chiedere dettagli relativi al perché delle scelte delle erbe e dei tempai ed il loro esatto significato estetico nell’allestimento. Queste domande mi venivano fatte anche da persone che non masticano di bonsai, e ciò sta indubbiamente a

significare come l’accuratezza, l’impegno e la serietà nel disporre l’allestimento da parte dei soci, ha colpito nel segno. Premettendo che la Sakka Ten - Autumn Trees non è stata solo mostra ma anche un compendio tra relazioni, seminari e dimostrazioni, tuffiamoci ora nella cronaca della manifestazione. Le dimostrazioni sono state molte ed interessanti, purtroppo un resoconto dettagliato richiederebbe troppe pagine a disposizione, quindi mi limiterò a qualche accenno e qualche annotazione. La prima giornata ha messo in evidenza, tra gli altri, le demo di Daniela Biei, Carlos Van der Vaart, Hartmut Münchenbach, Aurelio de Capitani, che hanno lavorato rispettivamente ad un bellissimo chohin di azalea, un pino silvestre alla sua prima impostazione, un pino mugo ed uno shohin di shinpaku. Da ricordare in particolare la performance di H. Münchenbach, la cui lavorazione ha dato vita ad una gustosa discussione tra l’autore ed il pubblico, e l’esemplare di de Capitani (che presentava un secco a vela molto bello come risultato di successivi shari eseguiti negli anni di preparazione). Da rilevare che quest’ultimo ha preferito lavorare la sua pianta senza arrivare a stressarla eccessivamente; questo non ha tuttavia impedito che il risultato fosse assolutamente inecepibbile (pur non essendo ancora completo). Il secondo giorno della SakkaTen ha visto all’opera Lorenzo Agnoletti, Alfonsina Zenari, Nicola Crivelli, Diego Rigotti. Questa giornata ha visto porre l’accento sugli elementi di accompagnamento. Grazie al lavoro ed alla esposizione di A. Zenari, infatti, si è avuto modo di vedere e capire come si assemblano Shitakusa e Kusamono. Intanto i vari istruttori presenti deliziavano gli spettatori con le loro lavorazioni. Agnoletti apriva le dimostrazioni intervenendo su un silvestre cui dava un’impostazione leggera e molto accattivante.

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Mostre ed eventi

SAKKA TEN 2008 - Andrea Zamboni

La successiva dimostrazione ha avuto luogo nel pomeriggio quando Nicola Crivelli ha impostato un bellissimo Yamadori di pino silvestre. La pianta si presentava a svariate interpretazioni dal momento che il suo bellissimo tronco, molto sinuoso, offriva molteplici possibilità. Nicola, dopo un’attenta analisi ha optato per un’impostazione Han Kengai piuttosto che Moyogi. Quest’ultima è stata scartata perché avrebbe richiesto una vegetazione compatta che avrebbe parzialmente nascosto il vetusto tronco, punto focale della pianta. Contemporaneamente, al suo fianco Diego Rigotti ha discusso, lavorato e spiegato molto attentamente e in maniera molto comprensibile e coinvolgente l’impostazione di un p. silvestre. Su questo materiale Rigotti già l’anno precedente aveva eseguito una grossa piega, tra l’altro molto complicata per via del diametro del tronco stesso; la scelta è stata fatta per ovviare ad un “difetto” di questo Yamadori. Tutte le attività sono state inframezzate dalla graditissima presenza del M° Kunio Kobayashi, il quale nella giornata di venerdì ha tenuto un interessante Workshop, ma sabato e domenica ha dato quelle dimostrazioni pratiche che tutti aspettavano impostando alcune piante dei soci. In questa attività è stato coadiuvato da alcuni di loro: i fortunati sono stati nell’ordine Nicola Crivelli, Edoardo Rossi e Giorgio Raniero nella giornata di sabato, Carlos Van der Vaart, Aurelio De Capitani e Mario Sandri in quella di domenica. Per quanto riguarda le conferenze e le relazioni, citiamo subito la conferenza di sabato del Prof. Aldo Tollini “L’influenza del Buddismo sull’arte e sull’estetica giapponese”; il Prof. Tollini è un luminare della cultura giapponese oltre ad essere un bravissimo relatore, appassionando e rendendo oltremodo partecipe il numeroso pubblico accorso alla conferenza. Domenica si è svolta una conferenza di Edoardo Rossi e Auer Othmar sul “Bunjin”; è stata una bellissima ed emozionante relazione nella quale il primo ha cercato di far comprendere ai presenti l’importanza del “Nulla”, della “Semplicità”, del “Wabi Sabi”, del come un semplice sentiero di sassi disposti senza nessun ordine apparente invece sia carico di valori fondamentali come ad esempio la “preparazione dello spirito” prima di recarsi alla cerimonia del tè. A. Othmar nel frattempo ha impostato un pino nello stile literati, bonsai che esprimeva esattamente le caratteristiche di questo stile e cioè semplicità, povertà, vecchiaia ma soprattutto Wabi Sabi. Il giorno successivo nel giardino di A. Othmar nei pressi di Bressanone (giardino che meriterebbe una giornata solo per essere ammirato per le bellezze che contiene), il M° Kobayashi ha dato una lezione sull’allestimento in Tokonoma. Per tutta la giornata, volata veloce come il vento, si sono susseguiti vari tipi di esposizioni che il Maestro componeva, spiegando non solo con le parole ma anche con la gestualità, per esempio per evidenziare il “flusso” che l’occhio dell’osservatore è indotto a seguire nel guardare l’allestimento. Questo evento internazionale ha avuto un successo incredibile per la moltitudine di visitatori nonché per i contenuti, il Maestro ha detto di essere piacevolmente sorpreso sull’alto livello di conoscenza e di preparazione dei soci della NBSKE e dei loro materiali, e che sarà felice se verrà invitato nuovamente alle loro manifestazioni. Questa edizione della Sakka Ten Autumn Trees è terminata, e per la prossima edizione nel 2010 ancora non si conosce l’ubicazione (forse in Spagna o in Olanda). Il mio cuore è gonfio di emozioni, pensieri e riconoscenza alla Nippon Bonsai Sakka Kyookai Europe e a tutti i suoi membri, per il lavoro che stanno portando avanti permettendoci di godere di queste manifestazioni di così alto livello.

Un ringraziamento particolare a Nicola Crivelli per aver gentilmente concesso le foto della manifestazione. Per poterle visionare tutte potete collegarvi al sito: http://web.mac.com/kitora/Espo/SAKKA_TEN_2008.html


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In libreria

BONSAI - Carlo Scafuri

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ISBN: 8850652984

Prezzo: € 26,50

Editore: Calderini - Il Sole 24 Business Media s.r.l

Autore: Antonio Ricchiari

Titolo: Bonsai - Tecniche e segreti di coltivazione

ntonio Ricchiari è giunto al sedicesimo libro pubblicato. Credo che non vi sia bonsaista, e non soltanto in Italia, che si sia dedicato negli anni così assiduamente alla didattica ed alla diffusione di quest’arte. Penso che per certi versi ognuno di noi debba un piccolo grazie a questo autore perché credo sia unica l’assiduità, la costanza e la pertinenza con le quali nell’arco di oltre venticinque anni di attività editoriale si è dedicato alla “carta stampata” nel settore del bonsai. Questa ennesima pubblicazione che l’autore dedica con molta sensibilità e genorisita al compianto Costantino Franchi si inquadra nella tipologia del “manuale” che risulta di facile consultazione, ed è quello che gli anglofoni chiamano “work in progress” poiché lo scopo di Antonio Ricchiari è quello di produrre testi estremamente pratici e con finalità unicamente didattica, servendo sempre su un piatto d’argento il bonsai con un approccio molto facile, senza misteri, senza auree, insomma cercando di semplificare al massimi quei concetti e quegli argomenti che solitamente vengono proposti in modo difficile e prezioso. Sostenitore di un ‘bonsai classico’, ‘tradizionale’, va sottolineato perché molto importante, Ricchiari arricchisce questo suo ennesimo lavoro con delle monografie (termine a dir poco riduttivo) molto ricche ed interessanti dedicandosi alle essenze di casa nostra, qualcuna certamente trascurata, come se nel bonsai anche la Natura sia un fatto di mode. Da bonsaista è stata una gran bella sorpresa poter leggere ed approfondire quelle informazioni su tutte quelle specie che rendono unico e prezioso il nostro panorama nazionale quali ad esempio l’olivo, il cotoneaster, il faggio, il carrubbo, il bagolaro. A chiusura di questo importante lavoro, una veloce quanto esauriente descrizione di tutte le specie botaniche adatta alla coltivazione bonsai, l’immancabile glossario ed un’ultimissima parte che da dei riferimenti su quel che ruota attorno al pianeta bonsai, ovvero club, scuole, riviste, ecc.ecc. Antonio Ricchiari continua a cogliere nel segno con lavori che sono nel tempo in continua evoluzione poiché il neofita e il bonsaista più smaliziato potranno cogliervi sempre nuove nozioni, nuovi elementi di estetica e quant’altro li possa davvero interessare.


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Bonsai ‘cult’

ALCUNI PUNTI FERMI - G. Genotti, A. Ricchiari

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Saint Vincent ho avuto modo di trascorrere parecchio tempo con Giovanni Genotti, uno dei “padri” del bonsaismo italiano. Siamo a pranzo assieme e gli chiedo alcuni pareri che trascrivo integralmente perché possano rimanere come principi di uno dei Padri del bonsaismo italiano. “Negli ultimi tempi – è Giovanni che parla – ho visto esposti molti bonsai e quasi esclusivamente conifere. Nessuna di tali piante era stata educata da tempo ma di recente gli era stata imposta una forma. Erano piante adulte cresciute in natura con difficoltà e ferrate con fili di rame per imporre un’estetica. Penso che ogni essere vivente accumulando esperienze nella sua vita arriva alla maturità esprimendo in modo personale unico e anche armonioso se stesso. La pianta, eliminando di volta in volta il superfluo giunge alla maturità, come si richiede nel bonsai, ed acquista l’equilibrio della vita che se giustamente indirizzato si associa ad un equilibrio estetico. Il bonsaista quindi, educando con tecniche particolari di posizionatura e potatura dovrebbe arrivare a tale equilibrio prima del processo naturale e mantenere dell’albero la sua personalità. Nessun albero dovrebbe essere esposto con fili di sostegno ma dopo l’impostazione col filo e la stabilizzazione dei rami i tutori devono essere tolti perché la pianta deve esprimersi, essere libera di crescere e vivere ed il bonsaista dopo la rimozione dei tutori l’aiuta procedendo esclusivamente per potature. I bonsai esposti in mostra come recentemente ho visto sono quasi tutti provenienti da yamadori ed indirizzando i pochi rami appaiono esteticamente perfetti ma freddi, senz’anima, incapaci di suscitare sensazioni o anche soltanto richiamare le sofferenze patite e superate denunciati dai tronchi parzialmente rimarginati. Dopo avere visto pochi esemplari ci si rende conto che l’interesse che nasce dall’amore per la natura non esiste e non si riesce a captare nessun sentimento di astrazione vitale ma appare un’estetica fine a se stessa in un essere

vivente che viene evidentemente violentato, non educato poiché si impone spesso una forma non rispondente alla natura dell’albero. Appare anche evidente come la forma ad ombrello delle chiome artificialmente costruite senza tenere conto della struttura portante e con essa spesso stride. La parte basale sofferente, contorta con shari e sabamiki molto interessante contrasta con la chioma giovane ed equilibratissima. Si nota inoltre come i bonsaisti moderni non abbiano esperienze sui vari tipi di piante e trattano solamente conifere meno soggette a traumi per torsioni, posizioni e ferrature. Le caducifoglie vengono quasi disprezzate anche perché penso non conoscano le loro reazioni e non sanno potarle. La potatura è la tecnica indispensabile per trattare latifoglie. Una considerazione ancora. Ogni buon bonsaista specie se forma una cosiddetta scuola deve, a mio avviso, imparare a formare bonsai nei precisi stili per poi superarli. E’ come imparare a scrivere. Prima si tracciano le sillabe perfette in corsivo o stampatello poi, acquisite le loro forme, ognuno le scrive in modo personale tanto da evidenziare addirittura il proprio carattere. Specialmente per le piante raccolte in natura è indispensabile conoscere la reattività dell’albero, la forza e la consistenza dei diversi vasi linfatici che si innalzano dal tronco e giungono ai rami per potere riequilibrarli e far sì che le fronde siano concordi con il tronco che le sorregge. La tendenza attuale è ottenere subito un risultato tagliando all’albero la forza vitale e la capacità di suscitare in chi lo osserva un qualsiasi rapporto di comunicabilità. E’ una moda che esprime dominio e allontana dalla partecipazione alla vita. Il bonsai moderno è freddo, non è educato ma costruito per imposizione ed il risultato è una perdita di quel valore che dà modo alla pianta di comunicare. A mio avviso tale modo va verso una snaturalizzazione del bonsai. Forse un giorno si creeranno bonsai mettendo la chioma nella terra e le radici all’aria e chiameremo questo bonsai


Bonsai ‘cult’

ALCUNI PUNTI FERMI - G. Genotti, A. Ricchiari

artistico. Il bonsai è raggiungere nella pianta l’astrazione della forma rispondente alla natura dell’albero con l’eliminazione del superfluo. E’ quindi un continuo evolversi dell’albero in climi e condizioni diverse che si susseguono e che sull’aspetto restano segni. Il bonsai moderno è sottoposto a regole e rapporti applicabili a cose inanimate. La fredda staticità che ne deriva è priva di personalità e incapace di comunicare neppure i momenti della sua vita perché cancellati nella falsità. Il bonsai moderno non ha modo di crescere e l’impersonalità è legata all’impersonalità del moderno bonsaista. Il bonsai moderno oggi ha perso quel colloquio che il bonsaista ha con la natura, colloquio che lo rende partecipe al mondo della Il bonsai moderno va verso una immobile staticità inanimata.”

Il discorso con Giovanni approda adesso verso un altro argomento che sta, o dovrebbe stare a cuori a tutti perché riflette direttamente l’immagine del bonsaismo italiano: l’associazionismo. Genotti così continua: “L’italiano a mio avviso è molto individualista e quindi le associazioni hanno una vita difficile, Non c’è umiltà, tutti hanno la coda di paglia e si instaurano rapporti non sinceri specialmente con chi dovrebbero confrontarsi. Tutti voglio per il orgoglio il potere, si considerano migliori, più bravi degli altri e detentori della verità. Le associazioni specialmente quelle italiane hanno perciò difficoltà a resistere. Solamente se esiste un direttivo fermo, privo di interessi personali con finalità positive non dettate da ripicche si può avere un’associazione stabile. Ho visto sorgere, unirsi, disfarsi, morire e nuovamente sorgere associazioni che se pur valide nei principi teorici, prevalendo interessi personali sono cadute senza lasciare un risultato positivo ai fini della diffusione amatoriale del vero bonsai. Non si deve vendere fumo per arrosto come è accaduto e accade soprattutto per alcuni giovani che avendo possibilità di tempo e danaro non rispettano il verso bonsaista che cura con amore anche le più umili piante e disprezzano quelle che secondo

il loro modo di vedere non diventeranno mai capolavori.” Ho avuto il privilegio e l’onore di raccogliere queste dichiarazioni dal maestro Genotti. Credo che Giovanni sia anche “maestro” di vita… di anni col bonsai ne ha passati tantissimi e tanti ne passerà ancora, giorno dopo giorno, appresso alle sue piante. Oltre che apprezzare, condivido appieno il suo pensiero e la sua maniera di “fare” bonsai. Dovrebbe essere uguale per tutti. Senza esagerati interessi, smodati protagonismi, false passerelle, improbabili personaggi. Ci guadagneremmo tutti e ci guadagnerebbe soprattutto il bonsaismo italiano.

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La mia esperienza

C’era una volta.. . una vecchia farnia da rinvasare LA MIA FAVOLETTA - Antonio Defina

Molte volte, nel mio acerbo percorso bonsaistico mi sono imbattuto, per necessità o per piacere personale, nel tanto famigerato rinvaso. Inizialmente l’ho sempre considerata un’operazione alquanto ostica e complessa, e le certezze venivano meno mano a mano che mi documentavo leggendo le riviste cosiddette “specializzate”. Ora che sono maturato capisco che tali suggerimenti,complicati e a volte, almeno dal mio punto di vista, spesso non trovano riscontro nella realtà, le piante sono esseri viventi relativamente semplici, e generalmente con un buon grado di adattabilità. Come testimonianza pratica vi voglio rendere partecipi di questo rinvaso molto “naturale” e pratico, seguito e vissuto assieme al mio maestro – Giovanni Genotti*. Protagonista è una vecchia farnia (quercus ruber) raccolta in natura nel lontano 2000 e tenuta in campo sino al 2004 per poi essere rinvasata in un vaso da coltivazione. Visto il livello di maturità raggiunto dell’albero e la stagione favorevole (autunno), Giovanni ha ritenuto opportuno procedere al rinvaso in vaso bonsai. Lo sforzo fisico per l’estrazione è stato ampiamente ripagato dal profumo che il pane radicale emanava, all’improvviso mi sono ritrovato nel bel mezzo di un bosco..... che emozione!!! Ma.... torniamo alla realtà. A differenza dell’opinione diffusa che il pane radicale debba essere lavato e quindi messo a “nudo”, Genotti sostiene che una pianta può vivere nella stessa terra e nello stesso vaso (naturalmente apportando le corrette concimazioni) anche per diversi anni. In questo caso, per una latifoglia, 8/10 anni, ritenendo quindi inutile l’operazione di lavaggio e asportazione del vecchio substrato. Sostiene anche, avvalorato dai fatti e dall’esperienza, che non si creino situazioni di alterazione/squilibrio

* http://www.napolibonsaiclub.it/forum/topic.asp?TOPIC_ID=538

tra il vecchio terreno ed il nuovo che si inserirà in fase di rinvaso. Quindi si è solo ridimensionato il volume del vecchio pane radicale per poterlo adattare alle dimensioni del nuovo vaso.

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Vista la scarsa profondità del vaso, come strato drenante si sono semplicemente messi sopra alla retina dei cocci, lo strato classico drenante costituito da pomice avrebbe tolto troppo spazio al terriccio nuovo.

particolare vaso/drenaggio

Una o due manciate di polvere di ferro in un volume di circa 50 litri per ovviare a problemi di clorosi ferrica nel corso del tempo. (Nb gli ossidi prodotti dalla limatura vengono assimilati dalla pianta in un lungo arco di tempo, per azioni più incisive è

opportuno usare prodotti a base di ferro chelato)

particolare vaso/limatura di ferro


La mia esperienza

LA MIA FAVOLETTA - Antonio Defina La pianta è messa a dimora nel nuovo vaso bonsai con una miscela cosi’ formata (per il tipo d’essenza): 30% terriccio universale 20% terra comune di campo 10% pomice 10% lapillo 10% sabbia 10% akadama 10% kanuma

La pianta non è stata legata al vaso vista la mole e il peso.

• particolare del muschio sbriciolato

• particolare dello shari naturale

Ultimato il riempimento con il nuovo terriccio si è provveduto a tagliare le radici superficiali antiestetiche e poco utili.

Finito il rinvaso si è provveduto a sistemare sulla superficie del terreno un po’ di sabbia nella quale è stato sbriciolato del muschio vellutato raccolto con sporangi evidenti.

• farnia a rinvaso eseguito

...ed eccoci giunti alla fine della favola..... ...e come tutte le belle favole.... ....vivranno tutti felici e contenti per molti e molti anni ancora!

Ringrazio lo staff del NBC forum per l’opportunità datami Ringrazio ancora per tutto il mio Maestro Giovanni Genotti

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13 TRA IL DIRE E IL FARE... - Dario Rubertelli La mia esperienza

...c’è di mezzo il mare. Non c’è detto più esplicativo e calzante per descrivere quella che è stata la mia più recente esperienza nel mio bonsai-do. A maggio di quest’anno (2008 ndr) ho acquistai presso il vivaio Iodice di cui è ospite il Napoli Bonsai Club (di cui sono socio) un Juniperus Chinensis di quella varietà tipica delle piante da vivaio, con la squama robusta, e che crea palchi molto fitti (foto 1). La pianta mi colpì soprattutto per il bellissimo piede, con un nebari sviluppato e con una curva e controcurva che si susseguivano nei primi 15 cm di tronco. Lo stato di salute generale e la vigoria tipica di questa varietà fecero il resto e la pianta divenne mia. Anche i rami non mancavano, alcuni abbastanza sviluppati, altri meno. In generale una pianta che si prestava a diverse interpretazioni. Naturalmente anche questa pianta aveva dei difetti… dal secondo terzo di pianta a salire il tronco era molto dritto, svilendo l’interesse e il ritmo dettati dal primo tratto . Dopo la pulizia del piede, della corteccia e della vegetazione mi resi conto che il terzo più alto della pianta non aveva motivo di esistere, e che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe diventato un Ten-Jin. Andava eliminato. Rimossa la vegetazione e scortecciato il “palo” la pianta prendeva molta più luce ed il passaggio di aria era garantito. Anche quella poca vegetazione meno tonica avrebbe tratto giovamento. La dominanza apicale era impressionante e nei primi mesi la contrastai con potature (sostituzione dell’apice) atte a riequilibrare il vigore. Era giunto il momento di decidere che impostazione darle.

Scelsi di avvalermi dell’aiuto di persone più esperte di me nel decidere lo stile più adatto. Postate le foto della pianta sul forum del club dopo poco arrivarono le prime indicazioni. Più di tutti si prodigò Nicola Crivelli (che ancora ringrazio per l’aiuto) che pubblicò ben quattro interpretazioni della pianta attraverso i suoi famosissimi “virtual” (foto 2). Ero entusiasta. Tutti i virtual rappresentavano piante molto belle: eleganti e sinuose, potenti e contorte o addirittura ridottissime per farne uno shoin molto suggestivo. Entrambi i fronti possibili erano stati analizzati ed utilizzati nei disegni. Era tutto perfetto, dovevo solo decidere quale virtual utilizzare e partire col lavoro. Escluso lo shohin che consideravo uno “spreco” per la bellezza della pianta optai per la soluzione più compatta che prevedeva l’utilizzo di un ramo laterale situato alla fine del secondo terzo di pianta per creare il nuovo apice. Tutto quello che c’era sopra era da eliminare e l’enorme palo scortecciato andava ridotto tantissimo per creare un piccolo ten-jin. Cominciai dal basso, creai dei jin e cominciai la filatura. Ed ecco i primi problemi. Nonostante avessi movimentato parecchio i rami filati non riuscivo a riavvicinare la vegetazione alla pianta in maniera soddisfacente. Era sempre troppo lontana. Mi resi conto che le foto che avevo postato della pianta non riproducevano sufficientemente le profondità dei vari rami. Inoltre mi mancava un ramo che ritenevo indispensabile. Non volevo pensare a soluzioni alternative, quella scelta mi piaceva, era così che volevo divenisse la mia pianta. Mi misi a lavoro sul nuovo apice ma anche li c’erano delle difficoltà.

foto 1

foto 2

foto 3


La mia esperienza

TRA IL DIRE E IL FARE... - Dario Rubertelli Il ramo era troppo corto per piegarlo e ripiegarlo su se stesso conferendogli sinuosità, eleganza e facendo capitare i rametti all’esterno delle curve dove erano più che mai necessari. Il risultato fu avvilente. Il mio tronco aveva si carattere ma conservava una sinuosità che stonava con le curve poco armoniose che avevo prodotto per il mio nuovo apice. Avvilimento. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

foto 4

foto 5

foto 6

A quel punto l’avevo capito. Mi ero reso conto che riprodurre una pianta disegnata è difficilissimo e che creare virtual senza avere la pianta tra le mani lo è ancor di più. La svolta c’è stata pochi giorni fa, quando, approfittando della consulenza sullo stato di salute di un’altra pianta presso Luca Bragazzi, decisi di portare anche il ginepro in lavorazione. Sottoposta alla sua analisi mi spiegò che la soluzione scelta avrebbe richiesto diversi anni di coltivazione per ottenere dei risultati almeno discreti. La vegetazione era troppo lontana, i rami troppo sottili, l’apice era un disastro. E qui la fortuna mi era venuta in soccorso. Da eterno indeciso non avevo ancora rimosso un ramo più in alto del nuovo apice mantenendolo come soluzione alternativa (foto 3). Dopo pochi minuti Luca aveva disegnato la Sua interpretazione della pianta. Andava fatta, come spesso succede, con un solo ramo ed era molto più somigliante ad uno dei virtual di Kitora che avevo precedentemente scartato. Ero frastornato. Da un lato mesi di elucubrazioni mentali su come raggiungere quel risultato “virtuale” al quale mi ero oramai affezionato, dall’altro un bellissimo disegno su carta che mostrava come quella pianta poteva essere impostata definitivamente con un paio d’ore di lavoro. Un Bunjin, elegante, sinuoso ma non etereo, tutt’altro che sofferente, sprezzante di fisicità, quasi arrogante. Una pianta che aveva lottato perdendo dei rami negli anni testimoniati

testimoniati dai jin e dagli shari ancora solo immaginati, ma che era divenuta ancora più bella e forte. Mentre valutavo questi aspetti mi resi conto che la scelta era fatta. Dopo due minuti eravamo a lavoro. Ripuliamo da radici secche e muschio la superficie del substrato. Effettuiamo buchi dalla superficie fino al fondo per garantire maggiore areazione dell’apparato radicale. Si comincia a potare. Rimane solo il ramo alto che avevo “conservato” nella precedente lavorazione (foto 4). E’ pomeriggio, Luca ha ormai completato la sistemazione dei palchi. C’è ritmo, i punti di interesse sono valorizzati, il lavoro di contrasto dei difetti è a buonissimo punto, verrà completato nei mesi a venire (foto 5). Mentre fotografo il risultato percepisco la soddisfazione sul suo volto. Resta da movimentare maggiormente il ramo che non si è voluto sottoporre ad ulteriori stress. Adesso riposo fino alla primavera, poi concimazioni con organico azotato ed altri accorgimenti per ottimizzare la spinta e valutazione di un eventuale rinvaso. A metà maggio si comincerà a creare gradualmente gli shari e la legna secca che, come sempre avviene nelle conifere, soprattutto nei ginepri, conferiscono quel senso di vissuto, di vetusto che rincorriamo per le nostre creature (foto 6). Adesso la guardo, inclinata a sinistra nella posizione che assumerà dopo il rinvaso... ha riacquistato quella dignità e quell’eleganza insita nel dna di molte piante, soprattutto delle conifere. A me piace pensare che anche lei se ne renda conto e che pensi tra se e se… grazie!

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15 QUANTO GRANDE - Luciana Queirolo A lezione di suiseki

Vorrei fare una premessa, prima di iniziare questo viaggio attorno e dentro al mondo delle pietre: vorrei che recepiste i miei scritti come frutto di notizie e concetti acquisiti da persone esperte più di me, filtrati e miscelati con: convincimenti, esperienze e sensazioni personali. Non amo mettere ogni pensiero al condizionale. Io racconto la mia verità. Voi fatela vostra se vi aggrada. Non voletemene quando non vi troverete in sintonia. Vi racconterò come io vivo ed interpreto il suiseki e quanto l’arte della pietra faccia parte di me. Luciana Queirolo

Un argomento tira l’altro, come per connessione di feeling, come le cose che piacciono…come le ciliegie, appunto. Andrea Z, dall’Alto Adige, con il suo post: “O.T. Stelle e Montagne dall’Alto” ci ha rimandato ad una splendida raccolta di panoramiche delle Dolomiti: ”il bello però è che le immagini sono state fatte TUTTE DI NOTTE e l’effetto, a mio vedere, è spettacolare”. Magiche montagne in magiche notti…. già il titolo del post mi aveva ricordato il nome poetico di una mia pietra ”Dove puoi contare le stelle”: una pietra paesaggio di ampie vallate e picchi imponenti, dove immagini notti non inquinate da luci artificiali; un nome che, a dire il vero, va oltre le foto di quel sito, dove gli insediamenti umani ardono come fuochi, in antagonismo foto 1

con gli astri (foto 1). Una pietra che non può essere certamente definita piccola o media: di un peso che solo la caparbietà mi induce a spostare (foto2). Un ottimo pretesto per riprendere un altro post, ingiustamente trascurato, di Sergio Bassi: Pietre grandi, del 12 settembre. “Io sono pieno foto 2 di dubbi e curiosità da sciogliere, farei domande in continuazione sul suiseki: é vero che la grandezza (o pesantezza) di un suiseki deve essere al massimo quella che può portare un uomo ‘normale’?” Sergio esortava giustamente tutti a tener vivo il dialogo: a questo serve un forum.

foto 3 e 4

ritrovamento e oggettiva difficoltà nel reperire un legno sì ampio I suiseki, a seconda della dimensione, vengono divisi in quattro gruppi: Mame suiseki: è una pietra che misura fino a 15 cm circa di lunghezza; Kogata suiseki: viene considerato ancora abbastanza piccolo ed ha una lunghezza che va dai 15 ai 30 cm; Hyojun suiseki: è una pietra ritenuta di misura media e va dai 30 ai 60 cm; Ogata suiseki: vanno oltre tali misure. Per cercare di capire quale di questi gruppi potrebbe corrispondere alla pietra ideale, per un giapponese e non solo…. dovremmo ragionare su diversi concetti ed anche soprattutto per quali utilizzi, io credo. Il metodo tradizionale di giudizio ed apprezzamento di un suiseki consiste nel sedersi davanti a lui e osservarlo fissamente. Se la pietra permette di essere focalizzata totalmente in un unico sguardo, senza doverlo spostare dal punto focale, allora è della misura ideale per una esposizione.


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A lezione di suiseki

QUANTO GRANDE - Luciana Queirolo (logicamente, se mi allontano maggiormente da una pietra più grande, posso vedere l’insieme totale, ma non riuscire ad apprezzare texture, toni etc.) Questo “colpo d’occhio” fornisce la valenza della pietra. Se la sensazione che ne riceviamo è di fastidio (o perché innaturale, o squilibrata, o respingente) la pietra non è buona. Altre indagini conoscitive potranno poi comprovare la prima impressione, ma non è di questo che stiamo disquisendo. Teniamo comunque presente che in una buona pietra devono coesistere, assieme alla forma e ad una certa valenza su ogni lato, una buona armonia tra dimensioni e massa visiva: Una pietra pesante dovrebbe rispecchiare la sua pesantezza nella potenza; una forma sottile ed allungata sarà ovviamente più leggera ed elegante. Pietra come oggetto per la meditazione. Con forma che noi occidentali, superficialmente, potremmo definire addirittura amorfa, poco significativa…

foto 7

foto 8

foto 9

Una linea semplice e morbida, una superficie patinata dal tempo (Jidai) e dalla manipolazione (Yoseki). Una pietra che si tiene con piacere tra le mani: prima fredda, assorbe il calore e lo rimanda, quasi rafforzato da una vitalità interna. Una pietra su cui meditare, sarà non più lunga di 30 cm. (Kogata o Mame Suiseki). “La meditazione è una capacità della mente che favorisce un percorso interiore e che ne è influenzata…. attraverso la dinamica del modo di operare della mente, si può riuscire a riconoscere la distinzione tra un io egocenfoto 10 - proprietario Karel Serak trico, che si identifica con l’essere io (nome) e l’Io (sé) in grado di osservare l’osservatore (oggettivizzare il soggetto, “ vedi: wikipedia”).

foto 5 - dono di Karel Serak

foto 6

… una forma dettagliata per un giapponese non è determinante, anche se “non c’è niente di male a cercare la forma, se questo ti dà il senso del piacere e della tranquillità”.

foto 11 Kamuikotan-ishi - 33cm proprietario D. Sampson (http://www.aias-suiseki.it/it/Sampson)

Sedersi di fronte ad una pietra per osservarla, anche se da una distanza limitata, richiede una dimensione non inferiore ai 15 cm; inoltre, se gli spazi vuoti di una esposizione sono importanti quanto i pieni, un vuoto eccessivo davanti a noi può creare pace ma anche malinconia o malessere (“senso di vuoto” nel detto comune). Un piccolo puntino nell’universo….un punto di vista senz’altro filosofico, ma apprezzarne la forma e la texture, richiede che ci si pieghi, osservando a “sguardo di gallina” ( = capo proteso su un lato, focalizzando


17 QUANTO GRANDE - Luciana Queirolo A lezione di suiseki

con un occhio solo), oppure rigirando il mame tra le mani come un gioiello. E’ preferibile perciò riunire più pietre, piccoli shohin, oggetti, utilizzando un multi-stand e seguendo un tema: lo svolgimento di

di spiegarsi l’inizio del mondo.” Un altro collegamento lega l’arte cinese e le caverne: il giardino. E’ risaputo che nei giardini cinesi le rocce, gli edifici e l’acqua, prevalgano sulla vegetazione. Come nel mondo interiore delle grotte carsiche, i giardini sono costruiti in modo tale che non si possa mai vedere l’intero panorama, solamente scorci parziali. ”L’impareggiabile significato delle rocce dello studioso, nell’arte cinese, deriva in gran parte dal fatto che essa è la rappresentazione della montagna, della grotta, e del giardino. Si porta il peso di questa singolare estetica e simbolismo spirituale.”

foto 12

una storia. Pietre grandi... infine.

foto 13 - una pietra di 24 kg, nel giardino del M° Kobayashi

Non adatte per esposizioni nel tokonoma, vengono considerate pietre da giardino o come arredamento da interni in struttura moderne. L’origine dell’uso delle pietre nel giardino è da ricercare nella tradizione cinese. Nel saggio: ”il Simbolismo delle Rocce Cinesi”, Richard Rosenblum (scultore, collezionista di Gongshi, deceduto) fa risalire l’uso delle pietre all’origine dell’uomo. La morfologia geologica fa pensare che l’uomo preistorico in Cina vivesse entro caverne calcaree. Le grotte carsiche, dalle caratteristiche tortuose e gallerie senza fine, sono molto comuni in Cina. In questo “Mondo sotterraneo” non mancavano fiumi, laghi, sfiatatoi, pesci. Quando gli uomini si spinsero all’aperto, poterono facilmente vedere e camminare attorno a queste piccole montagne, contenenti quel mondo che prima era stato il “loro” mondo: “Mondi all’interno di Mondi”: (‘worlds within worlds’). “Tutto questo si collega ad uno dei fatti più strani che riguardano la cultura cinese: è pensiero comune che essi siano stati l’unico popolo che abbia iniziato la propria storia senza un mito circa la creazione; tali miti furono sviluppati molto più tardi. Possiamo ipotizzare che, poiché i cinesi ebbero familiarità con un mondo che è più grande ‘dentro’ di quanto sia ‘fuori’, e che non ha fine, essi non si preoccuparono

“La pietra non è più una materialista rappresentazione di una montagna, ma un simbolo, una immagine ideale”… “Nell’esperienza cinese, le montagne e le pietre sono la tangibile espressione dell’ordine naturale”… ..”Pietre, una microcosmica immagine di montagne”.. “Le formazioni sono meravigliose e fantastiche, meraviglie della natura nascoste in strani luoghi.”.( Estratte da varie fonti, secondo il principio Daoista del pu, per la comprensione della pietra gongshi). foto 14 - grande pietra da giardino. Kemin Hu

L’uso delle pietre nel giardino giapponese rappresenta una elaborazione dal concetto del giardino cinese, simboleggiando la vastità della natura anche in piccoli spazi, sino al raggiungimento dell’essenza e linearità spirituale del giardino Zen (karesansui): composizioni essenziali di solo rocce e ghiaia evocanti fiumi e montagne; ed alberi, presenti solamente nella nostra fantasia. Stesso spirito ritroviamo nel bonseki: giardini zen in miniatura creati con sabbia, ciottoli e pietre su vassoi neri laccati. Pare che queste composizioni siano state largamente usate per progettare i maggiori giardini di Kyoto. Nel karesansui o nel bonseki; in queste rappresentazioni semplici, pulite, austere, serene eppur vagamente tristi, delicatamente rispettose, troviamo la più alta espressione e ricchezza spirituale di uno spazio sconfinato ed elegante… ma di questo lascio scrivere a chi sa più di me.

Alla prossima


A scuola di estetica

NOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari

Alcuni elementi del design sono così definibili: ● Il design del bonsai è suggestione: si deve far sentire all’osservatore ● Il design è sollecitazione visiva: deve portare l’osservatore a riflettere sulla pianta ● Il design deve essere naturale: deve portare direttamente la mente dell’osservatore alla visione della natura ● Il design deve essere coerente: solo così mantiene l’integrità compositiva ● Il design è interessante: disegna il visualizzatore ● Il design deve essere dinamico: rappresenta visivamente la vita e la vitalità dell’albero ● Il design deve essere descrittivo: racconta all’osservatore la storia di un luogo e la vita di una pianta ● Il design è ritmo e flusso: non deve essere né monotono né caotico.

Il design del bonsai è arte. Questa frase descrive tutti gli elementi sopra menzionati. Come accade per qualunque artista, anche nel bonsai bisogna comunicare gli elementi che abbiamo elencati in precedenza e che sono sottoposti all’occhio dell’osservatore. Ora ci si può chiedere: come si fa? Per poter trasmettere efficacemente sensazioni, è necessario utilizzare il linguaggio della comunicazione artistica. Se un bonsaista riesce a comunicare attraverso la propria opera, il gioco è fatto. Altrimenti un bonsai rimarrà una bella pianta e nulla più. Se questi semplici elementi, che poi stanno alla base del bonsai, saranno inglobati e applicati bene allora l’albero comunicherà all’osservatore tutte quelle sensazioni ed intenzioni che il bonsaista mette sia nella fase progettuale che nella fase esecutiva. Se non si mette in tutto ciò sentimento e anima, il bonsai non susciterà nessuna reazione nell’osservatore. Empatia – Trasferire nel bonsai le proprie sensazioni, e mediante questa animazione conferirgli pathos, espressione, significato. Linee e Forma – Due elementi che stanno alla base della comunicazione estetica sono la linea e la forma.Tipi diversi di linee e forme trasmettono significati diversi. Per essere efficaci nel comunicare ciò che il bonsaista in effetti vuole trasmettere, è necessario conoscerne i significati che poi sono base comune nella comunicazione visiva. Una forma ben equilibrata è fonte fondamentale sia dell’armonia che ritroviamo nell’albero, sia del piacere che quell’armonia ci dà. In natura una forma potenzialmente regolare di ciascun albero risulta deviata rispetto alla simmetria a causa dell’influenza del vento, del sole e di altri fattori atmosferici e risulta essere bloccata dalla presenza di altri alberi come avviene nei boschi.

compagnia, uniformità somiglianza duro, rigido, gruppo di persone forte, fiducioso, solitario

stabile, carattere maschile

movimento lineare, drammatico, sensazione di precarietà

madre-figlio

statico, interruzione

azione, dinamicità in crescendo, di rottura

stabilità instabilità

lento, rilassato, senso prospettico

naturale, spontaneo, senso di felicità

energico, caotico

orizzontale, percezione di calma, tranquillità

vecchia, stanca

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19 ACERO TRIDENTE L’essenza del mese

A. Acampora, A. Ricchiari, P. Strada

acero tridente famiglia aceraceae genere acer specie buergerianum

Acero Tridente coll. di Giovanni Genotti

L’Acero Tridente (Acer buergerianum) é entrato nell’immaginario collettivo, anche tra i non esperti di arte bonsai, come una tra le piante che più simboleggia quest’arte. Forse per via di quella sua alternanza di eleganza e forza, ben rappresentata da un apparato radicale estremamente generoso, in grado di creare nebari possenti ma mai banali - contrapposto al sottile merletto della ramificazione secondaria e terziaria e alle foglie aggraziate, piccole ma meno delicate rispetto alle più sottili ed eleganti foglie dei leggeri Aceri palmati. UN PO’ DI STORIA Nell’aerale di orgine (Cina, Giappone), l’Acer B. si presenta come un albero di medie/piccole dimensioni, che predilige gli habitat boschivi e montani. L’altezza media è all’incirca tra gli 8 e 12 metri. E’ una specie robusta, in grado di resistere bene sia al freddo che al caldo. Le foglie richiamano visivamente le zampe palmate del rospo, da qui il nome “kaeda” dato dai giapponesi all’Acero tridente, che deriva dal termine “Kaeru-de” = mano del rospo. L’A.b. possiede, come il Gingko Biloba, un’ottima capacità di adattamento agli elevati livelli di inquinamento degli ambienti cittadini,

per questo motivo (in Giappone) è molto diffuso in viali e parchi cittadini. ASPETTO Le foglie sono palmate, strette alla base, con tre lobi diretti in avanti, di solito non dentati o poco dentati lungo il margine, di colore verde scuro nella parte superiore, bluastra in quell’inferiore., diventano lisce su ambo i lati e assumono colorazione rossa in autunno e in primavera. Le dimensioni delle foglie vanno dai 3/8 cm. (lunghezza) ai 4/8 cm (larghezza). La corteccia è di color grigio-marrone e tende a sfaldarsi in squame piatte con il passare degli anni, i fiori sono piccoli e giallo-verdi, in grappoli conici, larghi, diritti e fioriscono in primavera all’apparire delle giovani foglie. Frutti: con ali parallele (samare/disamare), diritte, lunghe fino a 2,5 cm verdi o rossastre dapprima, di colore marrone alla maturazione. CULTIVAR La sottospecie A. buergerianum formosanum presenta altezza ridotta e fogliame più fitto e coriaceo. Una cultivar rara per i bonsai è


L’essenza del mese

ACERO TRIDENTE - A. Acampora, A. Ricchiari, P. Strada A. buergerianum “Mino Yatsubusa”, varietà nana con fogliame fitto e brillante, apice acuminato e lucide foglie lunghe e strette che in autunno appaiono come laccate di rosso. RIPRODUZIONE Per seme, talea, margotta CONSIGLI BASE PER LA COLTIVAZIONE Per le doti di resistenza al freddo e al caldo, l’ A. b. è, tra gli aceri, la specie non autoctona che si presta maggiormente alla coltivazione bonsai nelle diverse condizioni climatiche riscontrabili nelle nostre regioni. Per ovvie ragioni le indicazioni riportate sono abbastanza generalizzate. Invitiamo pertanto chi legge ad adeguare sempre le indicazioni al proprio microclima, ricordando che, per ogni approfondimento, è possibile effettuare ricerche o aprire post sul forum (http://www.napolibonsaiclub.it/forum).

in presenza di esemplari con abbondante vegetazione ed estesi apparati radicali, messi a dimora in terreni particolarmente drenanti, e soprattutto in casi di vento, i problemi derivati dalla traspirazione che potrebbero, se non controllati per tempo, influire negativamente sullo stato di salute della pianta sino a conseguenze estreme (dai semplici afflosciamenti sino ai più estesi colpi di secco). Allo stesso modo vanno evitati eccessi d’acqua che potrebbero provocare marciumi e annerimenti delle punte. STILI Quasi tutti, ad eccezione dello stile literati. Meno diffusi negli stili “non convenzionali” per le latifoglie, in quanto più utilizzati per le conifere (battuto dal vento, cascata, semicascata). Molto più diffusi invece nello stile eretto informale e su roccia.

ESPOSIZIONE E PROTEZIONE In generale è considerata una pianta piuttosto resistente sia nei confronti del caldo che del freddo. Per precauzione, nelle località più a Sud e nei mesi più caldi, per evitare rischi all’apparato fogliare, è opportuno proteggerla dall’irraggiamento solare più intenso e dai venti caldi. Per il resto non va sottratta all’esposizione solare, sia per incrementare la colorazione del fogliame nel periodo autunnale, sia per favorire l’accorciamento degli internodi e la riduzione delle dimensioni dell’apparato fogliare. In inverno può rimanere all’esterno, dato che ha una buona tolleranza alle basse temperature. Si consiglia comunque un minimo riparo dell’apparato radicale rispetto ad eventuale gelate (es. tessuto non tessuto, foglie, strati di torba ecc...). REATTIVITA’ E’ considerata una pianta che “perdona” molti errori, in quanto possiede elevata capacità cicatriziale e sopporta bene (se eseguite nei corretti periodi) potature importanti. ANNAFFIATURE Vale, anche per l’A.b., la regola dell’alternanza bagnato/asciutto. Vanno sempre considerate,

Acero tridente su roccia - coll. Sergio Biagi

POTATURA L’inserimento delle gemme dell’A. b. sul caule (fusto) è opposto. Su ogni ramo avremo sempre una coppia di gemme opposta e tendente, nella coppia successiva, ad effettuare una rotazione sull’asse compresa tra circa 30°- 90°. Questo non succede per esempio nell’Acer mospessolanum, nel quale ogni coppia di gemme è ruotata di 90° dopo ogni inserzione sul fusto.

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A. Acampora, A. Ricchiari, P. Strada

Posizione gemme Acero tridente

Posizione gemme Acer mospesolanum

Nel “disegnare” la potatura del nostro albero dovremo quindi tenere sempre ben presente questa caratteristica, introducendo alcune variazioni rispetto alle naturali linee di crescita dell’acero. Si lavorerà sulla ramificazione secondaria in modo che si presenti alterna, e non più opposta. Lo sviluppo dei successivi germogli dovrà poi essere “monitorato” secondo le proprie aspettative per evitare crescite disordinate e mantenere l’armonia delle proporzioni (l’A. b. è anche una pianta a crescita veloce!). Un’eventuale crescita di parte della ramificazione secondaria potrà essere utile per irrobustire le parti che si vogliono conservare: successivamente si potrà intervenire, lasciando un solo germoglio ad ogni nodo. Tutto ciò riguarda la prima fase della cosiddetta potatura di formazione. Quando si sarà raggiunta la necessaria conicità di ogni ramo e le giuste proporzioni, ci si potrà dedicare ad ottenere una buona ramificazione terziaria. La defogliazione si puotrà effettuare indicativamente prima del periodo estivo e servirà, tra l’altro, per ottenere un fogliame più bello ai fini della colorazione autunnale.

radici poste sotto alla base del tronco favorendo le radici perimetrali, per consentire l’allargamento della base del nebari. Ph del terreno neutro o leggermente acido. Possibili miscele con : Akadama, Sabbia di Fiume, Torba Bionda, Terriccio Universale, Torba nera, Pomice. La granulometria della miscela dovrà essere in funzione degli stadi di crescita della pianta. Per piante in formazione sarà opportuno avere una granulometria medio/grossa, in grado di garantire una maggiore ossigenazione al terreno e quindi un assorbimento più veloce della sostanza organica. CONCIMAZIONE Mediamente ogni 15 giorni dall’apparire delle foglie fino alla prima metà dell’estate con prevalenza di azoto. Si può aumentare l’intensità del fogliame con la somministrazione di fosforo e potassio da mezza estate in poi. Eliminando contemporaneamente l’azoto si riduce la comparsa di nuovi germogli tardivi e si favorisce l’accumulo di zuccheri nelle foglie vecchie. AVVOLGIMENTO L’applicazione del filo va fatta durante il riposo vegetativo estivo, facendo attenzione alla fragilità dei rami, poiché questi sono assai delicati durante il periodo di sviluppo. Il momento più adatto è alla fine della stagione vegetativa, di solito a metà giugno. E’ opportuno interrompere per un paio di giorni le annaffiature prima di procedere alla “filatura” e/o proteggere i rami durante l’operazione. PATOLOGIE Parassiti e malattie: erniosi, scolitidi, bruchi, cicadelle. Per quanto riguarda l’oidio, si consiglia un trattamento in primavera e alla fine dell’estate, ai primi segni della patologia, mediante l’utilizzo di prodotti sistemici. Si ricorda inoltre che come misure di prevenzione contro l’oidio è opportuno tenere le piante sempre in posizione ben ventilata e luminosa, ed evitare annaffiature dirette sul fogliame. Altre patologie riscontrabili sono: cancro, malattia del corallo, malattia delle tacche nere dell’acero, disseccamento parassitario dei rami, verticillosi, maculatura fogliare, marciume radicale. Afidi e cocciniglie sono piuttosto frequenti e si controllano con i normali presidi. I funghi si sviluppano in varie occasioni, favoriti da eccessiva umidità; le foglie e le radici sono i punti deboli dove entra il patogeno. La prevenzione efficace consiste nel non bagnare troppo e troppo spesso e nell’evitare alle foglie bruciature causate dal sole estivo che possono essere punti d’ingresso di eventuali patogeni.

TECNICHE DI RINVASO Trapianto: alla fine dell’inverno, prima che la pianta emetta le foglie, ogni 2-3 anni, anticipando in caso di piante più giovani. Durante il rinvaso si dovrà cercare di eliminare le

APPENDICE – Esempi di Coltivazione in pieno campo L’Acer Buergerianum è un’essenza che si presta bene alla coltivazione in pieno campo, per portare a maturazione il tronco e/o irrobustire la ramificazione primaria. Di seguito alcuni esempi che descrivono i vari passaggi della coltivazione.


L’essenza del mese

ACERO TRIDENTE - A. Acampora, A. Ricchiari, P. Strada Le fotografie e gli esempi riportati non sono esaustivi, ma sono da intendersi come spunti per eventuali approfondimenti. SISTEMAZIONE DEL LUGO DI POSA

foto 1

foto 2

In generale, se la zona di coltivazione è estesa, valutare costi e benefici della copertura tramite telo antialghe della zona di piantumazione. In questo modo si eviterà la crescità delle infestanti e tutta una serie di lavori di manutenzione piuttosto noiosi, e ci si potrà concentrare sulle piante. Delineare la zona di posa ed effettuare lo scasso, con relativa asportazione del terreno originario. Stendere sul fondo sabbia o ghiaia per il drenaggio (e/o altro materiale a disposizione con caratteristiche simili per il drenaggio). Alleggerire il terreno originario prelevato dallo scasso (se di buona qualità, altrimenti sostituirlo con altro terreno idoneo alla coltivazione), miscelandolo con inerti sabbiosi se la struttura del terreno risultasse troppo compatta (foto 1). Nb – evitare l’effetto “vaso”, ovvero l’accostamento tra due terreni con caratteristiche completamente diverse tra di loro, aggiungere sempre una parte del terreno originale. TECNICA DELLA PIASTRELLA

foto 3

foto 4

foto 5

La tecnica della piastrella consiste nel posizionare la pianta sopra un supporto orizzontale (come può essere appunto una piastrella) per strutturare in orizzontale la crescita dell’apparato radicale. Si può effettuare in pieno campo, per piante che abbiano già un minimo di fusto (semenzali di due/tre anni). La pianta può essere ancorata alla piastrella oppure appoggiata. Nel primo caso la pianta è molto più stabile ma esiste il rischio che le radici entrino nei buchi e spacchino la piastrella, nel secondo non c’è il rischio della spaccatura ma è più difficoltoso ancorare la pianta alla piastrella. Vediamo il primo caso. Si recuperano delle piastrelle (sottili, da bagno o da cucina, possibilmente rettangolari), e si forano come da schema. Si prepara un cordino in rafia sintetica o naturale lungo circa 1/1,5 mt. (la rafia naturale tende a marcire nel tempo, e questo può essere un bene se non si prevedono zollature troppo frequenti, mentre la rafia sintetica può durare anni senza degradarsi – questo ptrebbe costituire un problema, se non si effettuano zollature, perchè la pressione esercitata dalla corda sulle radici in crescita potrebbe tagliarle o segnarle profondamente). In fondo si mette un fermo, costituito da un pezzetto di comune ferro zincato rivestito in gomma (foto 2). Si introduce il cordino in uno dei buchi ( a seconda della disposizione dell’apparato radicale e si fa scorrere sino ad arrivare al blocco. Si fa quindi passare il cordino attraverso i diversi fori sino ad arrivare al bloccaggio della pianta, al termine dell’operazione il cordino andrà fissato, avvolgendolo con un paio di giri, al blocco. Si sistema l’apparato radicale cercando di posizionarlo e di distenderlo il più orizzontale possibile e poi si interra. Naturalmente, operando a radici nude, si dovrà effettuare l’operazione il più velocemente possibile e mantenendo l’apparato radicale umido tramite un vaporizzatore (foto 3, 4).

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del mese 23 L’essenza ACERO TRIDENTE -

A. Acampora, A. Ricchiari, P. Strada

ESTRAZIONE L’anno successivo alla posa su piastrella, le foto della zollatura/ estrazione di uno degli Acer buergerianum in coltivazione (foto 5). Tramite una vanga piatta lavoro il bordo della zona di scasso, sino ad introdurre la vanga al di sotto della piastrella. Nonostante la piastrella si sente la presenza di un esteso apparato radicale, con alcune radici scese già in profondità. Tagliate quelle, con un paio di spinte si riesce ad estrarre la pianta (senza rompere la piastrella - foto 6). Il pane radicale si presenta radiale con una sezione compatta e uniformemente distribuita, sviluppata per circa 4/5 cm di altezza. Dall’immagine si vede l’abbondanza delle radici capillari. Questa forte crescita si deve, oltre alla “generosità” della pianta, all’azione combinata dei due elementi introdotti l’anno prima. Ovvero un terreno molto più sciolto rispetto a quello di partenza, per stimolare la crescita di radici più fini, e la presenza di un elemento “ contenitivo” come la piastrella, per evitare la naturale proiezione delle radici verso il fondo del terreno e mantenere il futuro nebari compatto e radiale (foto 7,8).

foto 6

foto 7

foto 8


Note di coltivazione

I CONCIMI CHIMICI - Luca Bragazzi

La

concimazione è una pratica estremamente diffusa, se la si guarda sotto il profilo agricolo, essa mira all’ottenimento di una maggiore quantità di prodotto, nel nostro caso, invece, interessa solo per migliorare la salute del nostro bonsai. Questa pratica, purtroppo non è sempre sfruttata al massimo perché non si conosce a fondo l’utilizzo da parte delle piante, perché alcuni la ritengono inutile e perché si passa da un tipo di concime ad un altro con troppa facilità . Tutti i concimi sono caratterizzati da una sigla chiamata TITOLO (N P K), i tre numeri corrispondenti ai tre macroelementi rappresentano le % di ogni singolo elemento ogni 100kg di prodotto. Se ad esempio acquistiamo un concime con titolo 3-6-5, vorrà dire che se acquistiamo 100 kg di quel concime all’interno troveremo 3 kg di Azoto, 6 kg di Fosforo e 5 kg di Potassio, la restante parte rimanente è rappresentata da minerali e sostanze ammendanti che migliorano la decomposizione stessa del concime. I concimi si distinguono in due grandi categorie: Chimici o di sintesi, rappresentati da concimi prodotti dall’industria chimica e Concimi Organici derivanti dalle deiezioni e dagli scarti di macellazione degli animali o dagli scarti delle colture agrarie destinate all’alimentazione umana e animale. La categoria di concimi che trattiamo in questa prima parte sono quelli chimici o di sintesi. Questi, anche chiamati “a pronto effetto”, rilasciano il principio attivo nutritivo poco tempo dopo la sua somministrazione. L’inconveniente di questo tipo

tipo di concime è che le piante necessitano di somministrazioni idriche prima dell’applicazione, questo evita accumuli di nutriente intorno ai peli radicali, che potrebbero bruciarli. Inoltre, bisogna attenersi alle dosi consigliate dai produttori, si consiglia anzi, di sotto dosare le quantità per non incorrere in pericolosi aumenti di concentrazione e di NON eccedere mai. I concimi inorganici contengono nella loro composizione una buona % di sostanze inerti e solo la restante parte rappresenta l’effettivo nutriente, per questo, si sconsiglia di utilizzarli per lunghi periodi, proprio per l’accumulo di tali inerti (Sali) che indurrebbero carenze nutrizionali. In commercio la loro presenza è preponderante e le loro titolazioni sono praticamente innumerevoli. Fanno parte di questi concimi anche quelli a base di microelementi, più considerati coadiuvanti che veri e propri concimi. Le formulazioni commerciali, sono numerosissime, infatti si possono trovare sotto forma di polvere, bastoncelli, granuli, pellets, micro-granuli ecc. la scelta è in base al loro utilizzo. Non condivido il loro utilizzo in coltivazione bonsai, questi, non hanno le stesse prestazioni che hanno invece i concimi organici, di cui si parlerà prossimamente. Solitamente sono sempre adottati dai principianti per scarsa conoscenza in materia, e molti degli insuccessi nella gestione ordinaria degli esemplari sono dovuti proprio al loro utilizzo.

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Tecniche bonsai

APPLICAZIONE DEL FILO - Antonio Acampora

L’

avvolgimento è il più importante processo intermedio di modellazione, effettuato per finalità estetiche che viene effettuato su un bonsai. Deve essere ripetuto tutte le volte che è necessario, con il semplice fine di ottenere una pianta sempre più bella. Prima dell’attività di modellazione con il filo sono di solito richieste altre due attività complementari, che integrano e completano la filatura stessa.

- La progettazione e la potatura -

La prima è un’attività progettuale. In questa fase, osservando l’albero, bisogna cercare di proiettare la crescita nel tempo secondo lo stile scelto, individuando di conseguenza i rami sui quali si andrà ad applicare il filo e quelli che invece si elimineranno perchè ininfluenti, inutili o in più, rispetto al disegno complessivo. E’ sicuramente un momento di intensa creatività, quindi i possibili strumenti saranno la macchina fotografica, il blocco appunti, nastri per segnare i rami da eliminare, pezzetti di filo di rame per identificare i possibili fronti ecc. Nella seconda fase, definito il progetto di base si passa all’eliminazione dei rami superflui e/o posizionati non correttamente (interno delle curve, sovrapposti ecc.), con gli attrezzi corretti (tronchesi sferici o concavi) e proteggendo i tagli più grossi con mastice. Terminati questi due step, è possibile procedere con l’avvolgimento del filo. In sintesi, il filo metallico può correggere e impostare, sulla base di un preciso progetto, la direzione di crescita dei germogli e della ramificazione, modellare il tronco e conferire un aspetto completamente “diverso” all’albero, rendendolo, secondo i canoni dell’estetica bonsai, più “maturo”.

- Materiali utilizzati -

I fili metallici disponibili in commercio possono essere di rame cotto, di ferro o di alluminio ramato. Generalmente, per problemi legati all’ossidazione, il ferro è poco utilizzato, a differenza di rame e alluminio ramato. Il rame, per la sua rigidità, è più difficile da posare all’inizio, mentre l’alluminio, essendo più malleabile, presenta una maggior facilità d’utilizzo. A parità di sezione, il vantaggio dell’utilizzo del filo di rame rispetto all’alluminio si traduce in maggior tenuta e rigidità, qualità che ne fanno preferire l’utilizzo sulle conifere, mentre su piante che “segnano” facilmente, quindi con un cambio sottile è preferibile usare diametri maggiori, e quindi utilizzare alluminio ramato. Si consiglia comunque, se possibile, di proteggere sempre la corteccia con rafia durante la legatura. I fili, per poter esercitare la loro azione, devono avere un diametro pari ad 1/3 del ramo sul quale vengono posizionati. Per questo motivo è necessario avere un discreto assortimento di misure, in quanto la conicità dei rami richiede frequenti variazioni di diametro del filo utilizzato, più spessi per il tronco ed i rami, più sottili per la ramificazione secondaria,

molto sottili per la ramificazione terziaria. I fili lavora sul principio della leva, per poter piegare il ramo correttamente necessitano di un punto di appoggio, che può essere il fissaggio al terreno, l’avvolgimento al tronco o a un altro ramo. Un filo molle, senza punto d’appoggio, non serve a niente, è materiale sprecato. Il filo va applicato procedendo a spirali regolari con angoli di 45°, e in direzione base-cima. Durante l’avvolgimento è inoltre necessario cercare di evitare di legare foglie, aghi e soprattutto gemme, che in questo caso risulterebbero danneggiate. Togliere il filo, soprattutto agli inizi, è più complicato e pericoloso che metterlo! Anche se può sembrare un paradosso, il primo passo da compiere, nell’apprendimento dell’uso del filo è quello di imparare a rimuoverlo: in questo modo si può constatare, meglio di quando si avvolge, quanti errori sì potrebbero commettere per inesperienza. Si impara, inoltre, a correggere i difetti di avvolgimento, che possono provocare strangolamento dei rami e cicatrici, e a superare le difficoltà nello svolgimento del filo che, a causa di fili incrociati possono portare alla rottura dei rami. Vanno utilizzati, per la rimozione del filo, gli attrezzi adatti. Una tronchese da filo (per bonsai) è un attrezzo veramente indispensabile, taglia il filo senza tagliare il ramo, cosa che non fanno le tronchesi qualunque. Siate virtuosi - Non buttate via il rame rimosso dalle piante e cercate dei fornitori che lo possano riciclare. Se non si dispone di materiale da cui togliere il filo. è consigliabile allenarsi avvolgendo rami secchi o residui di potature, evitando così di rompere rami, magari di importanza fondamentale, su alberi della propria collezione quando non si sia ancora raggiunta una certa abilità. Per lo stesso motivo è meglio iniziare ad avvolgere i rami più sottili sui quali si utilizza filo di minor spessore poiché, essendo più duttili. si corrono minori rischi di rottura. Nel caso in cui si cominci a lavorare con alberi già avvolti si avrà la possibilità di avere un primo contatto con il filo e di poter valutare, in modo immediato e diretto l’effetto che produce sui rami. Se si ha l’opportunità, è certamente di grande aiuto imparare l’avvolgimento da una persona che possiede già una certa esperienza focalizzandosi sull’angolo utilizzato per avvolgere il filo, sulla distanza che è stata lasciata tra un giro e l’altro, sulla pressione con la quale è stato collocato, sul diametro del filo impiegato in relazione allo spessore del ramo, sulla salute dell’albero e la sua età e sull’impressione che si è riusciti a dare.

- Quando togliere il filo ? -

Non vi è un periodo specifico per procedere allo svolgimento del filo: tutto dipende dalla rapidità di crescita dell’albero che è stato avvolto, come anche dalla parte trattata. Per esempio in un albero giovane, ma con accrescimento rapido e strato cambiale sottile, come l’Acero, il filo inizierà a incidere la corteccia dopo pochi mesi e, di conseguenza, il tempo di avvolgimento dovrà essere breve. Per lo stesso motivo, la cima e la parte apicale degli


Tecniche bonsai

APPLICAZIONE DEL FILO - Antonio Acampora

la cui crescita è di solito molto più rapida di quella della parte inferiore, dovrà essere svolta qualche tempo prima. Come norma generale, si terranno gli alberi avvolti sotto osservazione costante e quando si noterà che l’avvolgimento comincia a incidere la corteccia, si provvederà allo svolgimento. Se il ramo svolto non rimane nella posizione desiderata, lo si avvolge di nuovo, eventualmente con del filo di spessore maggiore oppure raddoppiando il filo. Nel caso in cui il filo abbia inciso la corteccia profondamente, si eviterà di collocare di nuovo il filo sopra alle ferite precedenti e si applicherà pasta cicatrizzante. Per svolgere il filo dall’albero, si inizierà col tagliare il filo sottile prima e quello grosso poi, al contrario di quando si avvolge; di conseguenza, dovremo iniziare il procedimento, togliendo inizialmente il filo dai rametti secondari, successivamente da quelli principali e infine dal tronco.

- Avvolgimento dei rami -

Il primo punto da considerare, quando si comincia ad avvolgere, è il grado di pressione che deve raggiungere il filo sulla corteccia dell’albero. Se il filo è troppo pressato, l’albero non avrà spazio per crescere liberamente e si dovrà svolgere in un periodo di pochi mesi o anche di settimane. Se rimarrà allentato, non lavorerà sul ramo adeguatamente. I canoni classici giapponesi stabiliscono che tra il filo e la corteccia dell’albero deve esserci esattamente lo spessore di un foglio di carta. Ciò significa che il filo deve restare fissato al ramo, senza tuttavia strozzare la corteccia. Il secondo punto che si deve tenere in considerazione è che, quando si avvolge, il filo deve seguire la forma del tronco e del ramo. Se durante il lavoro di avvolgimento si tentasse contemporaneamente di dare la forma desiderata, probabilmente il ramo si spezzerebbe. Per effettuare un buon lavoro, è necessario che l’avvolgimento divenga un procedimento meccanico, eseguito automaticamente, una volta che si è decisa la posizione nella quale devono rimanere tronco e rami. L’applicazione inizierà sempre dal primo ramo partendo dal basso che andrà completato in tutte le sue parti prima di passare al successivo: si procederà dal ramo di maggiore dimensione verso i più piccoli, riducendo via via il diametro del filo. Il primo obiettivo è quello di stabilire l’angolo di inclinazione del filo tra le curve. Questo angolo, che per buona regola va mantenuto costantemente, deve essere di 45°. Il passo successivo sarà quello di controllare la diminuzione della distanza tra le curve, in conformità allo spessore variabile dei rami. Finché non ne avrete terminata l’applicazione vi conviene tenere sempre le forbici a portata di mano. Sebbene il filo sia piuttosto scomodo da lavorare, è meglio tagliarlo quando avrete finito di avvolgerlo, perché se lo tagliate troppo corto dovrete riapplicarlo e se lo tagliate troppo lungo si spreca. Sarà infine bene ricordarsi sempre che la presenza del filo non giova all’estetica dell’albero, pertanto esso andrà applicato con cura ed in minor

quantità possibile, cercando di non ostentarlo. Si posizioneranno i rami dopo aver applicato il filo. Si procede iniziando dal ramo che si diparte dal tronco dandogli l’inclinazione e la direzione voluta e quindi si passa alla ramificazione secondaria e terziaria. I rametti che andranno a formare un palco, andranno posti a guisa di mano con le dita aperte rivolte leggermente verso l’alto. Questo asseconderà il normale tropismo verso l’alto della vegetazione e consentirà inoltre di ricevere i raggi ultravioletti. Man mano che si sistemano i rami, è consigliabile interrompersi, allontanarsi un poco dalla pianta ed osservarla: ciò ci fornirà una più chiara visione del disegno che stiamo creando. La crescita dell’albero renderà necessario riapplicare il filo con una cadenza semestrale od annuale. Ritardando eccessivamente tale operazione, si consentirà al filo d’incidere i rami. In altre parole, la pianta crescerà nelle parti prive di filo, tra una spirale e l’altra, mentre sotto di esso no: il risultato consisterà nella formazione di solchi nella corteccia in cui si affosserà il filo. Tale evenienza è da evitarsi assolutamente, per svariati motivi. La pianta sarà penalizzata dal punto di vista estetico, in quanto i rami presenteranno solcature spiraliformi. Il filo affossato sarà molto più difficile da togliere, con rischio di compromissione del ramo durante il taglio. Infine un eccessivo sprofondamento del filo determinerà l’interruzione delle linee linfatiche con conseguente perdita del ramo o della pianta stessa. Pertanto non rinviate mai l’operazione di asportazione del filo. Piuttosto, trascurate la sua immediata riapplicazione, rimandandola ad un momento di maggior disponibilità di tempo (senza far passare mesi!).

- Come tagliare il filo -

Se lo tagliate obliquo è pericoloso perché può pungere il dito mentre lo staccate dalla pianta; meglio tagliare perpendicolarmente Si deve incominciare sempre dalla base, come quando si costruisce una casa, ma la rifinitura invece inizierà dall’apice procedendo verso il basso, perché i rametti e le foglie tagliate si depositano sui rami inferiori che, mentre vengono rifiniti vengono anche puliti. Questo fa sì che i rami, una volta lavorati, non siano più da ripulire. Quando lavorate una ceppaia è importante iniziare dagli alberi posti al centro, passando mano a mano a quelli esterni per non rovinare quelli già lavorati. È opportuno imparare sin dall’inizio, in modo corretto, l’applicazione del filo perché è molto difficile correggere una cattiva abitudine acquisita. La direzione dell’avvolgimento dipende dal lato verso il quale si vuole piegare il ramo o il tronco: quando dovete piegarlo a destra avvolgete il filo in senso orario e a sinistra in senso antiorario, ma quando arrivate nel tratto in cui il tronco deve essere piegato nella direzione opposta rispetto a quella precedente, agganciatelo sul ramo, oppure all’estremità del filo precedentemente applicato per poter invertire il giro. Il filo grosso da applicare sul tronco deve essere

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Tecniche bonsai

APPLICAZIONE DEL FILO - Antonio Acampora ancorato saldamente nella terra perché faccia presa, ma al momento di infilarlo, occorre fare attenzione a non rovinare il nebari.

in questa scelta ci aiuterà molto la nostra esperienza. Non lasciare foglie e rametti sotto il filo (fig. 3).

- Avvolgimento dei rami primari -

Per l’ avvolgimento dei rami primari si segue lo stesso procedimento utilizzato per quelli secondari; però in questo caso è necessario avvolgere i rami due a due, senza dimenticare che, per avvolgere ogni coppia di rami, ci deve essere una distanza sufficiente, tra ciascuno di essi, che consenta almeno due giri di filo in qualche punto di tenuta. Il punto di tenuta generalmente può essere un ramo un po’ più grosso o il tronco. L’avvolgimento dei rami principali, due a due, ha diversi vantaggi: se si esegue adeguatamente, permette una buona aderenza del filo al tronco, inoltre evita, in molti casi, di dover incrociare i fili. Vediamo ora alcuni accorgimenti per eseguire le legature con qualsiasi tipo di filo. Il filo andrà avvolto su rami e tronchi, con spire il più regolare possibile e a 45° circa; ci aiuteremo con il pollice che tiene il filo fermo mentre facciamo la spira successiva (fig. 1)

Usare due fili piuttosto che uno solo grosso, senza farli accavallare e il secondo filo si potrà utilizzare poi per un ramo secondario. Legando un ramo dalla base alla cima, verranno usati diametri sempre più piccoli (fig.5).

posteriormente al fronte (fig. 8). Per abbassare un ramo, il filo passerà sopra, tra il ramo ed il tronco sulla ascella superiore

(fig. 9), per alzarlo si farà passare sull’ascella inferiore (fig. 10). Le spire troppo ravvicinate produ-

Dovendo legare più rametti, fare attenzione a non accavallare i fili (fig. 11),

Il diametro da applicare non deve essere troppo grosso rispetto al ramo e non deve essere stretto troppo, pur essendo bene accostato non deve deformare il ramo creando delle strozzature (fig. 2).

cono un effetto a molla e tornano in dietro senza trattenere il ramo (fig. 6). Per ancorare il filo si può

doppiarlo sullo stesso ramo (fig. 7). Per legare il tronco ancoriamo il filo nel terreno e

ma fare in modo che questo non succeda (fig. 12).


Tecniche bonsai

APPLICAZIONE DEL FILO - Antonio Acampora

Un caso frequente durante la legatura è quello di direzionare una forcella, vediamo come evitare alcuni errori. Guardando il disegno 13, questa legatura è corretta se dobbiamo stringere la forcella, ma diventa comple-

più chiaro anche il disegno 12, e osservandolo sappiamo anche in che direzione andranno spostati i rami. Vediamo ora una serie di disegni dello stesso ramo con i fili posizionati in sequenza. Mettiamo il primo filo grande sul ramo primario senza arrivare in punta e rimanendo sul ramo più

esterno (fig. 16), passiamo ora a legare il ramo A e finiamo di

tamente sbagliato se cerchiamo di allargarla perché il filo si allenterà molto alla base (fig. 14).

Il sistema corretto lo vediamo nel disegno 15, dove abbiamo

legare l’apice del ramo B (fig. 17). Finiamo la nostra legatura con il ramo C e D (fig. 18), ora abbiamo

vediamo dei rami opposti alla fine di un grosso ramo. Ora il problema è che non possiamo applicare la tecnica del disegno 15, perché il filo che serve a legare il grosso ramo primario è decisamente grande per uno dei rametti, allora dobbiamo utilizzare un filo più sottile facendolo arrivare da un rametto sottostante. Adesso i nostri rametti sono a posto. Se nel posizionare un ramo dobbiamo anche ruotarlo su se stesso, ricordiamo di avvolgere il filo con le spire nel senso di rotazio-

ne che daremo poi al ramo (fig. 20). Un’altra tecnica per piegare i rami è quella dei pesi, ma essa presenta solo svantaggi rispetto al filo. Di solito (anzi sempre) il peso da rami ad arco, il ramo si può solo abbassare e non si può sollevare, e non si possono dare curve orizzontali. Un altro inconveniente è che se il nostro bonsai è educato con i pesi non si potrà più spostare senza rischiare di creargli gravi danni.

-Avvolgimento del tronco-

un primo filo che arriva dal ramo primario e il secondo che verrà posizionato facendolo passare all’interno della forcella in modo che non si allenti quando allarghiamo i rami. Ora ci appare

fatto un buon lavoro. In questo esempio (fig. 19)

L’avvolgimento del tronco implica alcune circostanze particolari che obbligano ad uno studio dettagliato e preventivo dello stesso. Davanti ad un tronco senza inte-

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Tecniche bonsai

29 APPLICAZIONE DEL FILO - Antonio Acampora resse, o che non si adatta bene allo stile scelto per le fronde, la prima considerazione da fare è se si potrà o meno modificarne la forma. Se è grosso, si avranno difficoltà al momento di scegliere il diametro di filo adatto; infatti un tronco grosso presuppone, in generale, un albero più o meno vecchio caratterizzato da una maggiore rigidità e di conseguenza potrebbe rompersi durante la piegatura. Per questo è meglio cominciare a modellare il tronco del proprio bonsai quando è ancora giovane e pertanto flessibile. Questo ci obbliga ad “immaginare” in anticipo quella che sarà la forma dell’albero tra quattro o cinque anni. Forse sarà difficile per un principiante, ma l’arte bonsai si occupa appunto di questo: imparare a modellare, creare ed in definitiva immaginare. Per quanto riguarda la tecnica ed il procedimento sono gli stessi descritti per l’avvolgimento dei rami primari e secondari e per cui i principi generali rimangono invariati.

- L’Avvolgimento - Epoca di avvolgimento -

Nel caso di un albero con foglie caduche, sembrerebbe ovvio effettuare 1’ avvolgimento durante l’inverno, quando 1’ albero ha perso le foglie e la silhouette è ben visibile. Tuttavia questo periodo ha i suoi inconvenienti: la ramificazione degli alberi in inverno non è flessibile come in primavera o in estate; in questa stagione, i rami sui quali collocheremo il filo sono già lignificati, e ciò significa che non saranno attivi fino a che la linfa non comincerà di nuovo a circolare. Questo può non sembrare importante, ma se si dovesse spezzare qualche ramo, non si cicatrizzerebbe fino alla primavera successiva e pertanto si rischierebbe di perderlo. Al contrario, in primavera l’albero è più flessibile e, se si osservano attentamente le prime germogliazioni, il nostro lavoro non verrà reso difficile dal fogliame troppo sviluppato. Inoltre, in questo periodo si potrà notare meglio la posizione delle gemme da cui nasceranno le nuove foglie, e perciò sarà molto più facile non schiacciarle con il filo. C’è comunque un’eccezione: le conifere. L’epoca più opportuna per l’avvolgimento delle conifere, che mantengono sempre i loro aghi, è quella in cui le gemme non sono attive, cioè il periodo compreso tra l’autunno, in cui si sono già formate le nuove gemme, e la primavera, quando esse germogliano. Inoltre, in tali epoche cominciano a cambiare il fogliame, per cui si potranno vedere i rami più facilmente.

SUGGERIMENTI Avvolgere nel periodo più idoneo per la specie che si sta trattando. Utilizzare un diametro di filo adeguato alla parte che si desidera modellare: rami secondari, primari, e tronco. Procedere all’avvolgimento seguendo un andamento a spirale e un’inclinazione di 45°. Applicare il filo per gradi: per primo il filo di diametro superiore e poi via ,via i fili con diametro inferiore. Evitare l’avvolgimento troppo stretto. L’importanza di due spire di fissaggio quando si avvolgono i rami a due a due. Non sbagliare la direzione dell’avvolgimento. Se si vuole spostare il ramo verso destra le spire del filo andranno verso destra. Per abbassare un ramo le spire del filo partono da sotto, per alzarlo partono da sopra. Quando il filo è corto, è sempre possibile aggiungerne un’altro nella parte finale, a condizione che accompagni per almeno due tre spire il primo e lo segua senza accavallarsi. Quando il filo non permette di avvicinare due rami, la soluzione è facile:si toglie il filo e lo si rimette nella direzione contraria. Attenzione al periodo dell’avvolgimento. Non mettere il filo troppo vicino ai germogli, potrebbero anche seccare. Se il filo ha inciso la corteccia , non è necessario rinunciare a mettere di nuovo il filo su quel ramo. La soluzione è proteggere il ramo con della rafia, e avvolgere sopra il filo. Nel mettere il filo si eviti di schiacciare foglie aghi, gemme, germogli e altri rametti. Piegando, attenzione alla corteccia. In primavera le conifere sono delicate: la corteccia “scivola” sopra il legno causando la morte del ramo. Se occorre avvolgere il tronco il filo deve partire dal terriccio.


Vita da club

Napoli Bonsai Club ONLUS - Antonio Acampora

Il Napoli Bonsai Club è nato ad ottobre 1996 su proposta di tredici amici amatori del Bonsai,che si incontravano nel vivaio “Iodice”. Si è così costituito nel napoletano un punto di riferimento per tutti gli appassionati, e per fornire ai neofiti un bagaglio iniziale di informazioni corrette sul bonsai, e a chi era più avanti, la possibilità di affinare le proprie conoscenze e tecniche. Dal 1996 il Napoli Bonsai Club ha dato inizio sia ad un corso di base, che di perfezionamento di tecnica bonsai, riservati agli associati e tenuti dagli istruttori UBI, Loris Tango e Massimo Schioppa, soci del Napoli Bonsai Club, e da Sandro Segneri. Tali corsi biennali hanno trattato tutti gli argomenti di teoria e tecnica bonsai. Questi corsi sono stati integrati in questi anni con incontri-laboratori di Hideo Suzuki (1996), di Armando Lisetto (1997), di Cesare Brusa (1997), ecc. Ricordiamo brevemente anche che già dal 1995, anno di fondazione, il Club ha partecipato a manifestazioni come “Flora ‘95” e “Flora ‘96” ad Ercolano. Nel 1997 ha organizzato nel Chiostro piccolo di Santa Chiara, la mostra annuale, dove oltre ad esporre gli esemplari più belli sono state effettuate, a cura di S. Segneri e S. Liporace, dimostrazioni che hanno richiamato l’attenzione di molti visitatori.

nell’operare nel rispetto dello spirito del Bonsai, daranno ai soci le corrette nozioni sul significato del bonsai e dei suoi aspetti filosofici, estetici e di fisiologia vegetale. Per il 1999, il nostro sogno rimasto fino ad ora nel cassetto, si è realizzato, il Napoli Bonsai Club ha ospitato e seguito nella propria città, i corsi della Scuola d’Arte Bonsai. Questa scelta fatta dal N.B.C. di portare a Napoli la Scuola d’Arte Bonsai, è maturata sin dall’inizio; convinti che in un mondo bonsai confuso, dove ogni istruttore ha una sua idea, e interpretazione particolare del Bonsai. Dove si sfrutta al massimo la tecnica per dargli solo una forma esteriore, ma poi col passare del tempo anziché perfezionarsi, i difetti crescono tanto da non poter più essere corretti. In tutto questo, invece noi crediamo, e la Scuola d’Arte Bonsai, ci dà l’opportunità di attuarlo, che il Bonsai deve essere ispirato dall’immensa bellezza della natura che suscita emozioni meravigliose. Che il compito del bonsaista è di evidenziare la bellezza degli alberi facendoli crescere con amore e con cura, e nel frattempo anche la tecnica del bonsaista si raffina e migliora.

Nel 2006 anniversari della fondazione del Club si è svolta la manifestazione KOKORO-NO BONSAI TEN – 2006 Per il 1998 il Napoli Bonsai Club ha ‘Esposizione Bonsai dell’anima, della adottato un progetto didattico in cui mente, e del cuore’, manifestazione gli istruttori L. Tango, D. Mondelli, che ha unito le due scuole che si sono S. Segneri, ognuno con le proprie avvicendate a Napoli: Bonsai Creativo peculiarità e competenze, ma uniti School-Accademia e Scuola d’Arte

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Vita da club

Napoli Bonsai Club ONLUS - Antonio Acampora

Bonsai, riscontrando un successo nazionale con più di cinquantadue bonsai esposti e giudicati dal Maestro Hideo Suzuki. Il Napoli Bonsai Club tiene le sue riunioni settimanali il sabato mattina e pomeriggio nella propria sede. Questo per consentire la massima partecipazine di tutti i soci, privilegiando l’attività pratica con piante portate dagli stessi soci. Inoltre sono state programmate escursioni e gite nei boschi all’osservazione di piante e suiseki. Prima di chiudere questa breve scheda di presentazione, non si può non fare riferimento ai sogni ed alle prospettive che accompagnano l’attività del Napoli Bonsai Club. Il nostro sogno è quello di riuscire a fondere la nostra tipica creatività mediterranea con la grande e profonda esperienza di un maestro giapponese. Il cammino non è facile anche per la crescita notevole del numero degli iscritti, che da una dozzina sono passati ad oltre una quarantina. Lungo è ancora il cammino per giungere ai risultati prefissati, ma quest’arte c’insegna che pazienza e umiltà, qualità spesso dimenticate dai bonsaisti occidentali, ripagano di ogni fatica e sacrificio. Le prospettive sono legate all’evoluzione del rapporto con altri Club e Associazioni: vogliamo collaborare, scambiare esperienze, vogliamo far crescere la cultura del Bonsai e Suiseki, allargando il consueto campo d’azione alla conoscenza ed al rispetto della natura, alla filosofia e all’arte del Bonsai. Il Napoli Bonsai Club ha già instaurato un reciproco e

proficuo rapporto di collaborazione sia con i Club e Associazioni della Campania che con quelli di altre regioni. Ed è in quest’ottica che nel Giugno 2008 è nato il Napoli Bonsai Club Forum, spazio aperto a coloro che desiderano condividere la propria conoscenza e le proprie esperienze con tutti gli altri, ma anche uno spazio dedicato a tutti i suisekisti che finora non avevano in internet una piattaforma per promuovere, dialogare e discutere su tutto ciò che ruota attorno al magico pianeta Suiseki. L’idea sulla quale il forum è nato, e speriamo possa prosperare, è essenzialmente quella per cui questo spazio è aperto a quanti vogliano scrivere, l’importante è che essi facciano trasparire il loro modo di vivere il bonsai ed il suiseki, e a non giudicare solo se il forum c’insegna qualcosa, ma di pensare che dietro ad ogni scritto c’è una persona che sta percorrendo un cammino. Cammino illuminato da fari del panorama bonsaista/suisekista italiano ed internazionale, grandi maestri a cui vanno i nostri più sinceri ringraziamenti, che con pazienza e voglia di promuovere la bellezza e la passione per queste arti hanno accettato di far parte di questa nuova nonchè unica comunità che ha nel web i sui incontri quotidiani.


Che insetto è?

PATOLOGIA VEGETALE I parte - Luca Bragazzi

La

patologia vegetale, è una delle Scienze Agrarie che studia le alterazioni strutturali e/o fisiologiche di singoli individui o di intere popolazioni vegetali. Per malattia s’intende un’anomalia strutturale o fisiologica derivante dall’attacco di patogeni che possono allontanare il vegetale dallo stato di normalità. Le malattie si dividono in: Malattie di origine entomofila Malattie di origine crittogamiche Malattie di origine batterica Virosi Malattie di origine entomofila Sono tutte patologie imputabili ad insetti. Questi, in base al danno che provocano sulla pianta si differenziano in base al loro apparato boccale che può essere pungente-succhiatore o masticatore. Ne fanno parte afidi, tignole, cocciniglie di diverse specie, coleotteri, tarli, mosche bianche ed acari tipo ragno rosso e giallo. Si combattono con Insetticidi (per insetti) e con Acaricidi (per acari-ragni rossi e gialli) di tipo di copertura e sistemici. Soffermiamoci sugli AFIDI. Questi insetti non agiscono in pochi individui, ma in popolazioni di centinaia ed il danno che ognuno provoca è molto amplificato. Sono dotati di un apparato boccale succhiatore, costituito da una sorta di “cannuccia” chiamato Stiletto, questo è in grado di penetrare i tessuti esterni degli organi verdi teneri primaverili e di arrivare fino ai fasci Floematici, da cui può trarre nutrimento grazie alla linfa elaborata ricca di sostanze zuccherine.

Il danno meccanico è trascurabile se la popolazione non è molto numerosa, comunque è sempre in atto un processo di disidratazione dovuta, alla perdita di liquidi importantissimi per la fisiologia della pianta. Ma il danno collaterale dovuto a ciò che gli afidi trasportano è di notevole importanza oltre che di preoccupante entità sotto il profilo fitosanitario. Nel momento in cui gli afidi inseriscono lo stiletto nei tessuti floematici, iniettano delle sostanze anticoagulanti che limitano i processi di chiusura della ferita che la pianta mette in atto per arginare l’attacco, ma insieme a queste sostanze gli afidi potrebbero trasmettere anche Virus. Proprio nel loro apparato boccale, possono stazionare virus fitopatogeni, a loro volta prelevati dalla linfa infetta di altre piante precedentemente visitate dall’afide. Questo fenomeno rende l’afide un perfetto vettore di malattie molto più gravi e di difficile se non impossibile cura. Purtroppo la cura contro molti virus ad oggi è ancora in fase di studio, per cui i metodi di lotta sono di tipo preventivo contro il vettore, ovvero contro l’afide e non contro il virus. Il principio di lotta è quello di evitare che l’afide arrivi sull’ospite e quindi possa eventualmente trasmettere malattie virotiche che vedremo su questo magazine prossimamente. I fitofarmaci attivi contro gli afidi (e non solo) sono gli insetticidi, di copertura e sistemici studiati ed applicati a scopo preventivo ed a volte curativo per scongiurare l’arrivo di tali insetti. Il maggior pericolo si presenta in primavera e primo autunno in cui tutti gli insetti sono maggiormente attivi per la grande disponibilità di cibo presente in natura.

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Bonsai&Suiseki Magazine

Mensile Anno I - n. 1

Gennaio 2009


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