Taccuino didattico III

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Paesaggio e paesaggi a scuola paesaggio e toponomastica

Taccuino didattico/3 a.s. 2017/2018

EDIZIONI ISTITUTO ALCIDE CERVI



Paesaggio e paesaggi a scuola paesaggio e toponomastica un luogo, un nome, una storia

A cura di Gabriella Bonini e Mario Calidoni

Taccuino didattico/3 a.s. 2017/2018

EDIZIONI ISTITUTO ALCIDE CERVI


Volume realizzato in collaborazione con

Associazione di Insegnanti e Ricercatori sulla didattica della Storia

Cura redazionale di Mario Calidoni e Gabriella Bonini Editing e Grafica di Gaia Monticelli e Emiliana Zigatti

Copyright Š DICEMBRE 2018 ISTITUTO ALCIDE CERVI - BIBLIOTECA ARCHIVIO EMILIO SERENI via Fratelli Cervi, 9 42043 Gattatico (RE) tel. 0522 678356 - fax 0522 477491 biblioteca-archivio@emiliosereni.it www.istitutocervi.it I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore.

stampato su carta certificata


Indice Presentazione Uno sguardo al cammino percorso Gabriella Bonini e Mario Calidoni

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PARTE I - I contributi scientifici Toponomastica e geografia Stefano Piastra

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Cartografia e storia dei luoghi Carlo Alberto Gemignani

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La toponomastica di una città, Reggio Emilia Fabio Anceschi

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Il contributo della toponomastica alla ricostruzione del paesaggio agrario dell’Appennino piacentino alla luce della Tabula Alimentaria Veleiate Ilaria Di Cocco

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Un esempio di ricerca toponomastica sul campo: l’Atlante toponomastico della provincia di Cremona Valerio Ferrari

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Etimi, confini, orizzonti. Fra storia e immaginazione, il disegno dei luoghi Luciano Sassi

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Natura e gente nella toponomastica dell’Appennino parmense Giorgio Baruffini

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PARTE II - Le esperienze e i progetti Reggio Emilia medievale. Tra storia e toponomastica Monica Bottai

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Strade nuove. Ricerca sui cambiamenti dell’onomastica stradale di Castelnovo Sotto Stefania Debbi e Lorenza Zinani

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Conoscere il paesaggio e le sue trasformazioni Daniela Mologni

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I nomi della Storia nelle vie di Gussola (CR) Giuseppina Bacchi

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PARTE III - Allegati L’importanza fondamentale del dare un nome alle cose, secondo Franco Farinelli e Zygmunt Bauman 59 Dal piede al triangolo. Cartografia & dintorni Monica Manicardi

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PARTE IV - Appendice I relatori

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Programma del corso

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I partecipanti

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Le scuole

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Presentazione

Uno sguardo al cammino percorso

Gabriella Bonini e Mario Calidoni

La Convenzione Europea sul Paesaggio è un documento firmato il 20 Ottobre 2000 a Firenze ed è parte del lavoro del Consiglio d’Europa sul patrimonio culturale e naturale. È documento fondamentale per la salvaguardia e la gestione relativi al patrimonio paesaggistico, riconoscendo la sua importanza culturale, ambientale, sociale, storica. L’Italia ha ratificato questo documento nel 2006 e il tema Paesaggio è entrato nel dibattito pedagogico come tema cruciale transdisciplinare al di là del proprio tradizionale ambito che riguardava lo studio della geografia. Dal punto di vista scolastico il riconoscimento della valenza formativa del tema si è tradotta per il primo ciclo scolastico (scuola dai 6 ai 14 anni) nell’esplicita affermazione del valore educativo del paesaggio. Il documento del Comitato scientifico nazionale per l’attuazione delle Indicazioni nazionali e il miglioramento continuo dell’insegnamento del 2017, Indicazioni nazionali e nuovi scenari, riprende le stesse indicazioni: La conoscenza e la valorizzazione del patrimonio culturale ereditato dal passato, con i suoi “segni” leggibili sul territorio, si affianca allo studio del paesaggio, contenitore di tutte le memorie materiali e immateriali, anche nella loro proiezione futura. Tali percorsi consentono sintesi con la storia e le scienze sociali, con cui la geografia condivide pure la progettazione di azioni di salvaguardia e di recupero del patrimonio naturale, affinché le generazioni future possano giovarsi di un ambiente sano. Per il secondo ciclo scolastico (scuola dai 14 ai 18 anni) si è riaperto il dibattito dopo che la riforma Tremonti – Gelmini aveva tagliato l’insegnamento della geografia soprattutto nei Licei e negli Istituti tecnici, per una presenza più forte nei curricoli di discipline del territorio. Ora sperimentazioni e progetti locali ed un rinnovato interesse per gli studi geografici sta muovendo le acque e Carlo Brusa sottolinea: La geografia serve a leggere i paesaggi. Vedere i negozi che chiudono, le fabbriche abbandonate, i poveri nelle metropolitane quando fa freddo, questa è geografia (…) la geografia serve per comprendere ragioni e movimenti delle masse (...) per disegnare le trasformazioni del territorio, definire i Piani paesaggistici. La Biblioteca Sereni con le iniziative di formazione dei docenti, si è inserita a pieno titolo nel dibattito culturale, accademico e scolastico, forte della sua origine dal fondamentale contributo di Emilio Sereni agli studi sul paesaggio e della esperienza acquisita con 10 anni di Summer School sul paesaggio agrario italiano. Ha declinato didatticamente questo suo impegno individuando ogni anno un tema specifico che mettesse in evidenza la pluralità dei significati e dei sensi del Paesaggio come contenuto disciplinare e transdisciplinare, e nello stesso tempo formativo nelle due declinazioni essenziali del termine e cioè degli elementi oggettivi e soggettivi/ sociali di cui ogni paesaggio è portatore. 5


I taccuini danno conto di questa esperienza formativa che, grazie alla partecipazione attiva dei partecipanti, riportano sia i contributi teorici degli esperti, con tutti i materiali utilizzati in presenza, sia i resoconti delle esperienze didattiche che gli insegnanti hanno realizzato in classe mantenendo in itinere con la Biblioteca un raccordo come vuole la tipologia della Ricerca Azione. Per l’anno scolastico 2015/2016 il focus è stato acceso sui Valori culturali, territoriali e civici del Paesaggio a scuola una sorta di legittimazione pedagogica dell’approccio scelto. E nell’intervento Sapere geografico e paesaggio il prof. Carlo Alberto Gemignani sottolineava A partire dalla lezione di L. Gambi il seminario fornisce la cornice per riflettere sui concetti scientifici più lungamente discussi dalla geografia nel suo dialogo con le discipline sociali( con particolare riferimento alla storia ) e con quelle naturalistiche. Nel corso per l’anno scolastico 2016/2017 l’attenzione è stata rivolta al tema intrigante e affascinante dello Spazio e cartografia che ha sollecitato esperienze didattiche ricche e fascinose perché , come ha osservato la prof. Luisa Rossi nell’intervento La carta e il paesaggio: Dalla mappa rupestre di Bedolina in Val Camonica ( età del Bronzo) ai pannelli con le piante alle uscite delle Metropolitane delle grandi città la carta accompagna le comunità umane in ogni epoca, cultura e nazione. Questo terzo Taccuino per l’anno 2017/2018 sofferma la propria attenzione su un altro tema altrettanto affascinante, Paesaggio e toponomastica. Il prof. Valerio Ferrari nel suo intervento su L’Atlante toponomastico della provincia di Cremona osserva: l’analisi dei nomi dei luoghi delinea l’immagine di una sorta di paesaggio parallelo relativo allo spazio considerato, che al processo evocativo di suggestioni geografico/ antropologiche aggiunge anche l’elemento storico – temporale. Una osservazione che, come si può vedere nelle esperienze scolastiche riportate in questo Taccuino, ha avuto ampio riscontro didattico. Ora l’impegno a proseguire nell’opera di formazione è sostenuta da ulteriori elementi che contribuiscono a rendere l’educazione al Paesaggio un elemento essenziale del rinnovamento scolastico e disciplinare ben lontani da una sorta di moda o di contingenza culturale visto lo stato di degrado di molti nostri paesaggi. Ci riferiamo a due documenti ed una ricerca che a livello europeo e nazionale ribadiscono questa urgenza. 1. La Carta nazionale del Paesaggio è un documento sintetico del MiBACT (marzo 2018) che in modo assolutamente esplicito indica come obiettivo delle politiche nazionali La promozione dell’educazione e della formazione alla cultura e alla conoscenza del paesaggio. Azioni: Promuovere la cultura del paesaggio quale bene comune per la creazione di una coscienza civica diffusa. 2. La Raccomandazione CM/Rec (2014) 5 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulla promozione della conoscenza del paesaggio attraverso l’educazione è analoga alla precedente Raccomandazione del 1998 sul Patrimonio che ha innescato una serie di progetti di valore europeo che sono alla base di un consapevole senso dell’Europa culturalmente integrata. Ora al Patrimonio si aggiunge il Paesaggio per il quale si consiglia tra l’altro di: • introdurre l’educazione al paesaggio nei programmi scolastici delle scuole primarie e secondarie. • incoraggiare la creazione di dipartimenti educativi nelle organizzazione responsabili per il paesaggio. 6


• organizzare seminari e corsi di formazione sia per insegnanti che per professionisti (esperti). Tutto questo perché si riconosce che: Il Paesaggio ha dovunque una parte importante nella qualità della vita delle popolazioni, sia nelle aree urbane che rurali, nelle aree di alto pregio o in quelle degradate, nelle aree riconosciute per essere di eccezionale bellezza e nelle aree di tutti i giorni. 3. Raccontami un paesaggio è una ricerca condotta dal Mibact (Direzione Generale Educazione e Ricerca e Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio) insieme all’Università degli Studi di Padova - Dipartimento di Scienze Storiche Geografiche e dell’Antichità e prevede la ricognizione di iniziative di formazione rivolte sia ai docenti e/o operatori dei musei e del territorio, nonché la rilevazione della consistenza dei progetti educativi e formativi realizzati nel contesto nazionale da parte di diversi soggetti e con diversi approcci che abbiano in comune il fatto di collocare il paesaggio al centro del loro ambito d’azione. I primi risultati che saranno presentati nell’autunno relativamente alla applicazione della Convenzione Europea del Paesaggio: l’educazione, mostrano come il tema sia sentito nelle scuole ma manchi quella consapevolezza generalizzata da renderlo decisivo per la qualità del curricolo. L’Istituto si inserisce quindi nel dibattito che emerge sul tema Paesaggio integrando sempre riflessione teorica ed esempi di buone pratiche in situazione di classe, convinto di rendere un servizio utile ad una scuola che è sempre più alla ricerca di una integrazione tra cultura scolastico/accademica e cultura vissuta. Educare significa trasmettere una visione del mondo, un ordine di valori, porre anche il territorio, di cui il paesaggio costituisce il volto, al centro del progetto educativo come primo passaggio per lo sviluppo di relazioni sostenibili a tutte le scale geografiche. La formazione gioca un ruolo chiave e a tutto campo perché è alla base della costruzione della consapevolezza collettiva del territorio come bene comune, catalizzatore per istituzioni e professionalità. Il paesaggio è in ogni luogo, recita la Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000), è componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità. È dunque indispensabile favorire la creazione di una vasta cultura del paesaggio cogliendone sia gli aspetti meno scontati, sia quelli più noti al fine di dare la più ampia attuazione ai principi della Convenzione nelle politiche pubbliche e dell’agire quotidiano. Il paesaggio in Italia è visto ancora prevalentemente come ‘bel paesaggio’, come panorama, e quindi l’idea di paesaggio è ancora associata ai luoghi di grande valore naturalistico o culturale. Invece la Convenzione Europea del Paesaggio sottolinea l’importanza di tutti i paesaggi, anche di quelli ordinari o degradati. I paesaggi assumono valore e importanza non solo perché li guardiamo quando andiamo in vacanza, ma perché li abitiamo tutti i giorni, perché sono i luoghi della nostra vita quotidiana. Riteniamo che il percorso di studio e di ricerca che abbiamo intrapreso con questi Taccuini didattici sia molto importante, perché è necessario e urgente avviare studi e ricerche sul paesaggio che si interroghino su questi valori. Ed è altrettanto importante educare al paesaggio, cioè far crescere giovani generazioni allenate a guardarsi intorno con curiosità, per riconoscere che cosa i luoghi di vita possono raccontare del passato, del presente e anche del futuro dei loro abitanti. Per far questo, sono indispensabili gli 7


insegnanti e gli operatori in grado di diffondere questo tipo di educazione. Il paesaggio va considerato come uno strumento educativo per favorire un atteggiamento di cittadinanza attiva e responsabile. L’educazione e la formazione dei cittadini sono tra le principali misure specifiche previste dalla -, in quanto presupposti fondamentali per migliorare la protezione, la gestione e la pianificazione dei paesaggi, siano essi di valore universalmente riconosciuto oppure i nostri del quotidiano.

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PARTE I

I contributi scientifici



Toponomastica e geografia Stefano Piastra Università di Bologna

La toponomastica registra e raccoglie, all’interno dei significanti, un’infinità di significati, cioè di dinamiche ed eventi territoriali, grandi, piccoli o minimi, in relazione ai vari orizzonti storici. Nel tempo, i nomi di luogo, orali o fissati sui documenti oppure sulla cartografia, si sovrappongono e si stratificano quindi come in un processo di formazione di un virtuale sedimento archeologico; il tutto avviene poi in una prospettiva transcalare, dal livello locale, a quelli regionale, nazionale, continentale o mondiale. Ad esempio, in Italia è possibile delineare, tramite i nomi di luogo, il susseguirsi delle civiltà che qui si sono avvicendate negli ultimi 2000 anni circa, le cui lingue hanno lasciato tracce toponomastiche: se Firenze e Faenza (Ravenna) derivano rispettivamente da Florentia e Faventia (sostantivi latini a carattere augurale connessi all’essere fiorente, piuttosto che favorevole), rimandando quindi alla romanizzazione della penisola, Bardone (Terenzo, Parma) o i numerosi Filetto/Filattiera sparsi da nord a sud rispecchiano la contrapposizione altomedievale tra Longobardi e Bizantini, risultando collegabili il primo all’etnico stesso longobardo e i secondi a insediamenti fortificati esarcali (dal greco antico fulàsso, ovvero “proteggere”); Marsala (Trapani) è spiegabile nel contesto dell’occupazione araba della Sicilia tra il IX e l’XI secolo d.C. (da Marsa Allāh, cioè “porto di Allah”), mentre Castelfranco Emilia (Modena, ma sino al 1929 in Provincia di Bologna), in origine, semplicemente Castelfranco, è il risultato di una nuova fondazione duecentesca voluta dal Comune di Bologna, contraddistinta da privilegi fiscali, il cui toponimo contemporaneamente riflette l’avvenuta affermazione, a quel tempo, del volgare rispetto al latino. Su scala planetaria, tale fenomeno diventa eclatante se si guarda ai territori interessati, a partire dall’età moderna, dal colonialismo europeo: negli Stati Uniti continentali (escludendo quindi i casi particolari delle Hawaii e dell’Alaska) convivono nomi di luogo “originari” nelle lingue dei nativi americani (ad esempio l’idronimo Potomac, fiume presso cui sorge Washington), accanto a toponimi francesi in Louisiana (a partire dalla sua capitale, Baton Rouge), a toponimi spagnoli in California, Nevada o Nuovo Messico (San Diego, San Francisco, Los Angeles, Las Vegas, ecc.) e a più numerosi toponimi anglosassoni nel resto del paese; la stessa dinamica è presente in Australia con toponimi aborigeni e inglesi (il caso più famoso è forse il doppio toponimo Uluru/ Ayers Rock), o in Argentina, dove i nomi di luogo nativi sono però ormai residuali rispetto a quelli spagnoli (tra i pochi, Ushuaia, all’estremità della Terra del Fuoco, ovvero “baia profonda” in lingua yaghan). Parallelamente al valore testimoniale riguardo alle popolazioni che si sono avvicendate nello stesso territorio in una prospettiva diacronica di lungo periodo, i toponimi racchiudono inoltre in sé informazioni in riferimento all’evoluzione dei quadri ambientali, all’economia, alla società o ai regimi politici. Esistono infatti nomi di luogo incentrati sulla vegetazione (fitonimi), nomi relativi al paesaggio agrario (le colture attestate, la forma, l’orientamento o l’estensione dei campi, la proprietà o la forma di conduzione, ecc.), oppure, per periodo storici più recenti, nomi connessi al settore secondario (ad esempio, Villaggio ANIC, in corrispondenza del grande polo chimico omonimo sorto a Ravenna negli anni Cinquanta del Novecento, a quell’epoca 11


tra i massimi d’Europa) o al Terziario (si pensi, sempre restando al territorio ravennate, al toponimo di neo-invenzione recente “Mirabilandia”). Sulla base di quanto sin qui rapidamente discusso, è chiaro come, per una pluralità di ragioni, i toponimi possano risultare fondamentali nel contesto delle ricostruzioni topografiche o storico-geografiche. Ma il loro ruolo non si esaurisce nel solo ambito della ricerca. In quanto espressione del genius loci, essi possono essere pienamente annoverati tra i beni culturali intangibili di un territorio: a conferma di ciò, l’UNESCO, massima organizzazione mondiale in materia di cultura, contempla, tra le proprie attività, l’istituzione di appositi gruppi di lavoro e organizza periodici convegni internazionali sui nomi di luogo, considerati in un’ottica patrimoniale. E proprio come nel caso di un bene culturale “materiale”, anche la toponomastica, sebbene immateriale, può essere minacciata (ad esempio, per motivi ideologici, all’interno di uno stato che ne promuove un cambiamento sistematico “dall’alto”), oppure essere oggetto di apposite leggi di protezione o valorizzazione. Studio, gestione, protezione e valorizzazione dei nomi di luogo possono però incontrare difficoltà oppure ostacoli connessi all’alto grado di “incertezza”, almeno nel caso delle lingue occidentali, in relazione all’interpretazione del senso dei toponimi. Il susseguirsi attraverso la storia di popolazioni con lingue appartenenti a differenti famiglie, nonché la presenza di significanti aventi più significati, molto diversi tra loro, portano infatti frequentemente a interpretazioni dubitative o non condivise all’interno della comunità scientifica circa l’etimo dei nomi di luogo. Ad esempio, tornando al caso italiano, il toponimo “miglio”, molto comune in varie regioni, andrà ricondotto all’unità di misura lineare romana, oppure al cereale omonimo? Il toponimo “gualdo”, ugualmente molto diffuso, sarà spiegabile come un relitto altomedievale di ascendenza germanica derivato da “wald”, ovvero bosco, o piuttosto farà riferimento alla pianta tintoria del gualdo, nota anche come guado (Isatis tinctoria), rappresentando quindi un fitonimo? Se in alcuni casi l’analisi territoriale interdisciplinare può portare a spiegazioni convincenti in una direzione piuttosto che nell’altra, in altre situazioni l’esiguità dei dati a disposizione non permette la disambiguazione del senso del toponimo. Non è invece così nelle lingue che ricorrono a sistemi di scrittura ideografici come ad esempio il cinese, dove a un dato carattere corrisponde solitamente un solo significato, e non una pluralità di significati. Da ciò discende il grande sviluppo avuto dagli studi dei nomi di luogo in Cina, ben maggiore rispetto all’Occidente, in quanto la toponomastica è qui “scienza esatta” o quasi. Se sinora si è trattato l’argomento dei nomi di luogo come “oggetti”, prodotti storici figli della sedimentazione linguistica lungo la linea del tempo, è però opportuno sottolineare come esistano in Italia anche toponimi “errati”, frutto di fraintendimenti involontari ma, nonostante ciò, istituzionalizzati a tutti gli effetti. La stagione in cui si verificò la gran parte dei problemi di questo tipo fu immediatamente dopo l’Unità, quando il neonato Istituto Geografico Militare intraprese la stesura e la successiva pubblicazione delle carte topografiche di primo impianto del territorio nazionale: su di esse figuravano quelli che erano destinati a diventare i toponimi ufficiali delle località italiane (prassi poi più tardi tradottasi nella legge 2 febbraio 1960, n. 68, Norme sulla cartografia ufficiale dello Stato e sulla disciplina della produzione e dei rilevamenti terrestri e idrografici). Nell’ambito di tale programma, i cartografi recuperarono i nomi dei luoghi dalla viva voce dei residenti durante le operazioni di rilievo sul terreno, e, complice la scarsa diffusione dell’italiano nelle campagne di 12


allora e le grandi differenze linguistiche tra i vari dialetti, furono numerosi i casi di errata trascrizione del toponimo originario e di istituzionalizzazione di un toponimo frainteso, neo-inventato per errore. In relazione all’Emilia-Romagna, paradigmatico è il caso, nell’Appennino faentino, del Re d-s’tera, ovvero in dialetto romagnolo “Rio di sottoterra” in quanto assorbito da un inghiottitoio carsico in corrispondenza delle evaporiti messiniane della Vena del Gesso, che l’IGM istituzionalizzò in “Rio Stella”, ribaltandone completamente il significato da una sfera semantica legata al mondo ipogeo ad una sfera semantica astronomica. Tenendo ben presenti da un lato i valori storico-culturali della toponomastica, dall’altro le difficoltà e le ambiguità relative alla sua interpretazione, i nomi di luogo possono oggi costituire l’oggetto di percorsi didattici, in verticale dalla scuola primaria sino alla secondaria di secondo grado. I toponimi, utilizzati quotidianamente quanto spesso inconsapevolmente dagli studenti e che ben si prestano ad attività laboratoriali e alla sperimentazione di didattiche attive, possono infatti rappresentare uno strumento attraverso il quale avvicinare i discenti allo studio dei territori locali di appartenenza. Un simile approccio permette di superare un vecchio modo, nozionistico e obsoleto, di insegnare geografia a scuola, e schiude una prospettiva interdisciplinare rispetto ad altre discipline scolastiche, a partire dalla storia e dalla linguistica italiana. Allo stesso tempo, esso può favorire una riscoperta dell’appartenenza a una specifica comunità locale, con matrici ambientali e storico-geografiche proprie (si pensi al caso emiliano-romagnolo, il cui coronimo stesso riunisce due momenti cruciali delle vicende regionali, rispettivamente l’apertura della via consolare Aemilia nel 187 a.C. e l’affermarsi dell’Esarcato d’Italia, con capitale Ravenna), funzionale anche a una cittadinanza attiva e a processi partecipativi “dal basso”. Presentazione dell’intervento

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Per accedere ai contenuti multimediali completi relativi a questo intervento:

Bibliografia Testi generali: Gasca Queirazza G. et alii, Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino, UTET, 2006. Pellegrini G.B., Toponomastica italiana. 10.000 nomi di città, paesi, frazioni, regioni, contrade, fiumi, monti, spiegati nella loro origine e storia, Milano, Hoepli, 1990. Toponomastica e geografia: Camiz A. (a cura di), Toponomastica bene comune, Roma, ARE, 2016. Cantile A., Kerfoot H. (edited by), Place Names as Intangible Cultural Heritage, (Proceedings of the International Scientific Symposium, Florence, 26th-27th March 2015), Firenze, IGMI, 2016. Fuschi M., Massimi G. (a cura di), Toponomastica italiana. L’eredità storica e le nuove tendenze, (Atti della Giornata di Studio, Pescara, 13 dicembre 2007), Roma, Società Geografica Italiana, 2008. 14


Principali studi toponomastici in relazione ai diversi ambiti emiliano-romagnoli: Calzolari M., Toponomastica urbana a Modena dal 1818 al 2009. I nomi delle vie del centro storico. Memoria dei luoghi e memoria civica, Modena, Colombini, 2011. Calzolari M., I nomi delle vie di Ferrara dal 1810 al 2010. Ricerche di toponomastica urbana. Dalla memoria storica all’identità locale, Ferrara, Edizioni cartografica, 2011. Corradi Cervi M., In tema di toponomastica piacentina, Piacenza, Soc. Tip. Edit. Porta, 1940. Fanti M., Le vie di Bologna. Saggio di toponomastica storica e di storia della toponomastica urbana, Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1974. Paltrinieri V., Toponomastica parmense ed altri studi sul dialetto delle province parmensi, Parma, La Tipografica Parmense, 1934. Polloni A., Toponomastica romagnola, Firenze, Olschki, 1966. Ulteriori approfondimenti e una bibliografia ragionata circa il territorio emilianoromagnolo sono presenti alla pagina web http://ibc.regione.emilia-romagna.it/ argomenti/dialetti/indagini-sulla-toponomastica. Link:

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Cartografia e storia dei luoghi Carlo Alberto Gemignani Università di Parma

Il contributo affronta le interazioni tra cartografia e ricerca storica partendo dai concetti fondativi delle carte geografiche e dal loro studio, sia dal punto di vista delle informazioni che rappresentano sia come oggetto in sè, decostruizzandolo. Le carte infatti, oltre a fornirci indicazioni oggettive sul territorio che rapresentano, ci raccontano anche la biografia dei loro produttori: committenti, disegnatori, geometri, stampatori. Passando poi per un breve excursus sulla definizione di paesaggio e di patrimonio culturale, si arriva a trattare infine del rapporto tra cartografia e toponomastica per lo studio del paesaggio storico e la creazione di mappe di comunità.

Presentazione dell’intervento

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Per accedere ai contenuti multimediali completi relativi a questo intervento: Link:

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La toponomastica di una città, Reggio Emilia

Evoluzione storica e piste di lavoro Fabio Anceschi

Esiste una data fondamentale per chi voglia interessarsi della toponomastica reggiana in riferimento alle strade urbane: per la prima volta nel 1814 la municipalità assegna un nome ufficiale alle vie. Prima, sostanzialmente, era il caos, perché capitava che una strada potesse essere identificata anche nello stesso periodo con nomi diversi o che una intitolazione particolare si riferisse a più vie. Tutto comincia, di fatto, nel 1315, quando il Liber Focorum, un documento redatto a fini fiscali ma essenziale per ricostruire la Reggio bassomedievale pochi anni prima della grande peste, elenca i capifamiglia (i “fuochi”) che abitavano in città (e non solo), suddividendoli per vie e parrocchie. Fondamentale, anche se le vicende di trasformazione della città nei secoli successivi impediscono una banale sovrapposizione di quella rete urbana all’attuale: vie e vicoli furono aperti o soppressi, la città subì radicali modifiche come la costruzione della Cittadella (ora area occupata dai Giardini pubblici) nel 1339 che portò alla demolizione di un intero quartiere, nomi di strade presenti nel Liber Focorum in molti casi non ci forniscono alcun riferimento preciso con la situazione odierna. Ma poi, rispetto al Liber Focorum, nei secoli la nomenclatura delle vie si trasforma secondo una molteplicità di tipologie, sempre però riconducibili a fatti, importanti o meno, che toccano le vicende della città, così che recuperare la storia delle intitolazioni delle strade significa spesso aprire squarci significativi sulle vicende di Reggio. Solo per fare alcuni esempi, le strade poterono assumere il nome: • di famiglie importanti che vi avevano la loro residenza es. via Sessi → illorum de Zobolis, del canton di Zoboli • di un convento es. via Mazzini → strada degli Zoccolanti (Minori di Santo Spirito) dopo la ricostruzione del loro convento entro le mura a seguito della “tagliata” del 1551 es. via Ferrari Bonini → via dei Cappuccini, dal 1571 es. via Gazzata → orto di S. Agostino • di una chiesa es. via Ferrari Bonini → via di S. Biagio, per la chiesa esterna a porta S. Croce che lì fu ricostruita dopo la “tagliata” • di una osteria es. via Corridoni → osteria del Cappel Rosso (ora Hotel Posta) • dei mestieri che vi si esercitavano es. via Farini, parte settentrionale → contrada degli Spadari, perché vi si fabbricavano armi (esiste ancora palazzo Ancini e la famiglia si distinse in questa lavorazione) es. via Squadroni → via Chioderia dei Panni (attestazione del 1758) in riferimento all’arte della lana es. via della Croce Bianca → via dei Brentadori 19


• di un elemento della geografia del luogo es. via Filzi → via del Crostolo vecchio (prima che con la “tagliata” il suo corso venisse deviato 600 metri più ad ovest) • di aspetti particolari es. piazza 24 maggio → mercato della legna (che lì giungeva dall’Appennino entrando in città da porta Castello; e vicino si trovava via Asinerie, ora Monte Cusna, dove erano le stalle degli asini che trasportavano i prodotti della montagna). La storia di una via diventa così parte delle vicende cittadine, per cui ad esempio l’attuale via Spallanzani ebbe nei secoli, tra gli altri, i nomi di Cittadella, Fossa della Cittadella, Molini, Orti degli Ebrei, Orto dei Cappuccini, Veza, ad indicare una pluralità di aspetti della storia della città di Reggio in qualche modo connessi con la via stessa. Ma, come si scriveva in precedenza, poteva avvenire anche che vie diverse fossero indicate con nomi uguali, come capitò con via del Teatro, perché nel corso dell’età moderna vennero aperti in città più luoghi per gli spettacoli pubblici. Alla confusione delle intitolazioni delle strade va aggiunto che mancavano i numeri civici, introdotti solo dal 1786 e con numerazione progressiva: il n. 1 corrispondeva al palazzo ducale in Cittadella, il n. 2029 si trovava nella zona di S. Stefano. Solo dal 1821 si introdusse un sistema simile a quello attuale, per cui ogni via iniziò con il n. 1, i pari da una parte, i dispari dall’altra. In precedenza, le case potevano essere indicate con il nome del proprietario o di chi vi abitava, ma doppi cognomi, soprannomi e la corruzione del nome a causa dell’uso del dialetto potevano accrescere la confusione. Dunque, il 1814. Non è stato trovato nessun atto ufficiale relativo all’intitolazione delle strade, ma se ne possono ricavare i dati essenziali a posteriori. La commissione preposta dovette scegliere fra le risultanze della storia e la tradizione popolare. Optò per la prima e riesumò, quando le fu possibile, la nomenclatura che emergeva dal Liber Focorum, cosicché alcune vie ebbero di nuovo un nome ormai scomparso da secoli: è il caso, tra le altre, di via Resti. Ma a creare qualche difficoltà vi fu anche la decisione di dare spesso un nome a tronchi stradali, per cui ad esempio lungo l’asse formato attualmente dalle vie Toschi e S. Martino si doveva fare i conti con ben sei intitolazioni diverse. Una “moltiplicazione di vie” che ancora oggi rende problematica la ricerca, se si manca degli strumenti adeguati. La griglia delle strade urbane venne semplificata nel 1872, quando si provvide tra l’altro a ricondurre ad un unico nome tanti tronchi stradali. Il nuovo ordinamento prendeva vita però in un clima culturale ben diverso dal precedente. La fine del ducato, assorbito nella nuova realtà del Regno d’Italia, rendeva ormai non più attuale quel “destino estense” a cui era stata relegata Reggio in precedenza; occorreva dunque ridefinire il rapporto della città con il nuovo stato, venuta meno la subordinazione a Modena, attraverso la rielaborazione di una identità civica che non casualmente vide negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia la nascita della Deputazione di Storia Patria e del Gabinetto di Antichità Patrie, ora Civici Musei. In questo nuovo clima culturale, che si caratterizzò anche per la fioritura di lapidi commemorative a “glorie” locali, assistiamo alla progressiva laicizzazione dello spazio urbano, con la ridenominazione di vie e piazze legate al nuovo corso storico. Ecco allora che la vecchia piazza d’Armi viene intitolata a Cavour, piazza del Duomo a Vittorio Emanuele II, la via della Ghiara diventa corso Garibaldi e la via degli Spadari 20


assume il nome di Farini. Ma in questo processo c’è posto anche per significative personalità locali: nascono allora via Secchi e piazza Fontanesi. Da allora, ogni periodo storico e ogni grande avvenimento lasciano tracce importanti nella toponomastica cittadina, per cui, ma è quasi banale sottolinearlo, le intitolazioni urbane hanno spesso una valenza politico-storica. Così la prima guerra mondiale viene celebrata nei viali di circonvallazione (Piave, Isonzo, Timavo) o nelle piazze della Vittoria e Cesare Battisti, ora di nuovo “del Monte” (di Pietà); la seconda guerra mondiale porta con sé l’intitolazione a fatti e personaggi della Resistenza. Ma va tenuto conto anche della persistenza del ricordo, ora come nei tempi passati. Valga un esempio: l’attuale via Calderini, laterale di via Emilia a S. Pietro, per i reggiani anziani resta ancora via delle Beccherie, nonostante da quasi ottant’anni abbia cambiato nome. Si ricordava, con la precedente intitolazione, la presenza per lungo tempo del macello pubblico (“beccai” erano i macellai, nel lessico di un tempo); nel 1940, quando al regime fascista serviva rinvigorire lo spirito del fronte interno a causa dell’entrata in guerra, si pensò bene di dedicare la strada a Mario Calderini, appunto, di nonno mazziniano e di padre garibaldino, morto nel 1936 in Etiopia in uno degli ultimi scontri prima della definitiva conquista e decorato con medaglia al valore. Per quanto riguarda la periferia, dove l’eredità lasciata dalla storia è spesso inesistente, soprattutto nell’immediato dopoguerra la nascita di nuovi quartieri è stata talora caratterizzata da intitolazioni tematiche: a protagonisti della letteratura italiana (quartiere del Belvedere), a musicisti, a ricordi coloniali più o meno felici, spesso (ma lo stesso fenomeno è riscontrabile anche in centro storico) senza una precisa corrispondenza fra l’importanza della strada e del suo titolare.

Suggerimenti per l’attività didattica Per evitare dispersioni, consiglierei sempre di ritagliarsi con attenzione un campo d’indagine ben delimitato: il centro di un paese, una parte del quartiere della città in cui si situa la scuola oppure un tema particolare, come vie e piazze legate ad un particolare periodo storico (Risorgimento, Resistenza…). Per Reggio città, potrebbero essere argomenti interessanti e fattibili temi quali le vie dei mestieri (su cui cf. anche la rivista Reggio Storia, n. 47) o le strade del ghetto. Non mette quasi conto sottolineare che al docente è richiesto un accurato lavoro preliminare.

Bibliografia Villani A., Le vie di Reggio, Reggio Emilia 1911 Jori A., A zonzo per Reggio, Reggio Emilia 1928 Iori C., Reggio nella memoria, Reggio Emilia 2001 Nironi V., Stradario reggiano antico, Reggio Emilia 1971 Nironi V., Le case di Reggio nel Settecento, Reggio Emilia 1978

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Il contributo della toponomastica alla ricostruzione del paesaggio agrario dell’Appennino piacentino alla luce della Tabula Alimentaria Veleiate Ilaria Di Cocco Ufficio Paesaggio – MiBACT Segretariato regionale Emilia Romagna

L’intervento si propone di presentare un’indagine condotta sul paesaggio agrario dell’Appennino piacentino. È questo un territorio particolarmente ricco di fonti documentarie, sia scritte che archeologiche, e il cui studio si presta pertanto all’interzione tra diverse discipline: linguistiche, storiche, giuristiche, agronomiche, geologiche e geomorfologiche. La ricerca ha riguardato in particolare il periodo romano e tardoantico con lo scopo di ricostruire l’assetto territoriale e dell’uso dei suoli attaverso la lettura delle fonti archeologiche relative all’area in oggetto.

Presentazione dell’intervento

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Un esempio di ricerca toponomastica sul campo: l’Atlante toponomastico della provincia di Cremona Valerio Ferrari Studioso di storia locale

Nel suo oscillare tra le scienze linguistiche e quelle geografiche – soprattutto, ma non solo, poiché la sua contiguità con innumerevoli altre discipline è una costante primaria – la toponomastica, ossia lo studio dei nomi di luogo, è spesso in grado di restituire in un solo momento, mobilitando immagini diverse, il senso di una storia plurisecolare attraverso cui un territorio, insieme ai suoi abitanti, si è organizzato nel tempo, potendone marcare con notevole efficacia i vari livelli stratificatisi nel suo corso evolutivo. L’analisi del nome dei luoghi può, così, delineare l’immagine di una sorta di paesaggio parallelo relativo alla regione considerata, che al processo evocativo di suggestioni geografico-antropologiche aggiunge anche l’elemento storico-temporale. Il toponimo singolo, e ancor più il complesso dei macro e dei microtoponimi sorti e conservatisi in un determinato ambito corografico, possono raccontare, attraverso un percorso di riscoperta espresso con modalità di sintesi in altro modo irraggiungibili, la storia evolutiva di uno spazio geografico avvenuta nel tempo, nelle sue più composite sfaccettature, sia di ordine naturale sia di sovrapposizione antropica in tutte le sue componenti, sociale, culturale, religiosa, economica, tecnologica, e via elencando, in un’infinita gamma di variabili locali. Ecco allora che lo studio toponomastico di una definita regione può divenire un momento di riscoperta profonda e di riappropriazione di una specifica identità sociale e culturale che ben poche altre operazioni sarebbero in grado di restituire in modo altrettanto articolato, organico e incisivo. Sono questi alcuni tra i criteri adottati nello svolgimento delle indagini toponomastiche che, ormai da circa un trentennio, si vanno conducendo sull’intero territorio della provincia di Cremona, con lo scopo di rilevare, comune per comune, il complesso dei macro e dei microtoponimi relativi a ciascun ambito amministrativo, senza escludere i semplici appellativi che spesso si ripetono con buona costanza ben oltre lo stesso distretto provinciale, anche attraverso forme alterate o varianti. Parallelamente, ove possibile, vengono svolte ricerche d’archivio mirate ovvero si procede allo spoglio di fonti diplomatiche edite, al fine di redigere non tanto una toponomastica storica indipendente dalla realtà precedente – che potrà essere, semmai, un obiettivo futuro da coltivare a più lungo termine – bensì con lo scopo di ricercare le testimonianze più antiche dei toponimi volta a volta studiati, per analizzarne le più antiche forme grafiche, le varianti, il contesto storico e linguistico, nell’intento di avvicinarsi quanto più possibile all’autentico significato dell’oggetto studiato. L’indagine, svolta su diversi fronti e condotta sovente da soggetti diversi, ha comportato, e tuttora comporta, il rilevamento dei singoli nomi di luogo preferibilmente nella loro forma dialettale che, quando possibile o quando accettato dagli informatori, prevede anche la registrazione vocale della testimonianza orale specifica, affinché venga in qualche modo fissata la corretta pronuncia del toponimo o dell’appellativo, con le sue caratteristiche fonetiche. Partito con intenzioni prevalentemente didattiche il progetto nasceva, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, secondo un’impostazione rivolta essenzialmente 25


al mondo della scuola, con particolare riguardo per le ultime classi delle scuole elementari e a quelle delle scuole medie inferiori. Appositi corsi di formazione e di aggiornamento vennero così indirizzati specificatamente alla preparazione degli insegnanti partecipanti al progetto che, peraltro, aderirono con entusiasmo e in modo massiccio oltre ogni aspettativa. Non tutti i successivi esperimenti condotti sul campo diedero, ovviamente, buoni frutti, per le cause più disparate: non ultima la difficoltà, soprattutto per le scuole cittadine, di realizzare le indagini in ambienti sempre più pesantemente antropizzati, dove la campagna viene erosa dall’incombente urbanizzazione con rapidità impressionante, dove il veloce ricambio di proprietà favorisce la dispersione di saperi propri a chi a quella terra era legato da molto tempo e dove, più che altrove, i flussi di nuovi abitanti provenienti da altre regioni, italiane e straniere, dilatano ancor più la divaricazione con le tradizioni locali. Le raccolte toponomastiche ancora possibili si configurano, così e sempre più, come vere e proprie azioni di salvataggio di un retaggio culturale quanto mai specifico e ad alto rischio di dispersione senza rimedio. Anche negli abitati rurali, tuttavia, la progressiva scomparsa degli anziani – ormai i soli, o quasi, depositari di tanto preziosi e minuti saperi – mette sempre di più a repentaglio la volontà di raccogliere e fissare in qualche modo il complicatissimo mosaico dei microtoponimi che, si può dire, vanno scomparendo con velocità sconcertante, travolti dalle quotidiane e profonde trasformazioni di una campagna dalle elevatissime capacità produttive e, proprio per questo, soggetta a modificazioni costanti e repentine che trascinano con sé, inesorabilmente, ogni antica connotazione, inclusa quella toponomastica. E, tuttavia, tra gli anni ’93 e ’97 del secolo appena concluso ‒ con qualche ulteriore aggiunta successiva ‒ si riusciva a raccogliere il corpus toponomastico di una cinquantina, all’incirca, dei 115 comuni appartenenti alla provincia di Cremona. Nell’ottica dell’ambizioso progetto di completare l’esplorazione dell’intero territorio provinciale non si è raggiunta nemmeno la metà del lavoro, è vero, ma in ogni caso, l’aver compiuto l’indagine sul territorio di cinquanta comuni, con svariate migliaia di toponimi e appellativi raccolti, sembra già un risultato apprezzabile. D’altra parte mentre si provvede allo studio e alla pubblicazione dei singoli repertori comunali, integrati fin dove possibile dalla rispettiva toponomastica storica scaturita da corrispondenti ricerche d’archivio, continua, sul versante della ricerca sul campo, la raccolta della microtoponomastica comune per comune, seppur più a rilento poiché attualmente condotta da singoli e volontari appassionati locali. Un nuovo coinvolgimento delle scuole è sempre all’esame, nell’intento di riuscire a coprire l’intero territorio provinciale prima che sia troppo tardi.

La ricerca Sembra utile, a questo punto, illustrare, seppur brevemente, lo svolgimento della ricerca e della raccolta del patrimonio toponomastico vivente così come è stato condotto finora, mediante metodologie piuttosto semplici e alla portata dell’eterogeneo piccolo esercito di rilevatori coinvolto. L’esito positivo di alcune indagini-campione condotte con la metodologia poi seguita, già alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, sembrava incoraggiare l’idea di partire con un progetto via via replicabile sull’intero territorio provinciale. Lo scopo 26


di un simile lavoro era quello di stimolare e coinvolgere la popolazione delle singole località affinché potesse riprendere possesso e coscienza di un patrimonio di cui rimaneva la sola depositaria. Perché effettivamente ciascuna comunità potesse rendersi conto del valore di ciò che i suoi componenti si tramandavano da secoli, in forma più o meno codificata, e si appassionasse nel contempo alla ricerca era però necessario pensare fin da subito all’interpretazione etimologica dei singoli toponimi o appellativi, in modo che divenisse trasparente e a tutti comprensibile il significato di molti nomi divenuti nel tempo opachi. Una simile operazione, infatti, fa apparire immediatamente agli occhi tanto dei rilevatori quanto degli stessi informatori l’utilità del loro lavoro con la gratificazione che ne consegue. La successiva correlazione tra i diversi elementi, riuniti anche in “famiglie tematiche”, poteva aiutare ancor più a perseguire l’obiettivo. Era anche chiaro che, affinché tutti, alla fine dell’indagine, potessero possedere una testimonianza della loro partecipazione o del loro contributo, anche marginale, alla ricerca, il lavoro dovesse essere pubblicato, in modo che ciascuno, alla fine, potesse toccare con mano i risultati concreti del proprio impegno. Dopo alcuni tentativi in diverse direzioni si profilò la possibilità che fosse l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Cremona ad assumersi l’onere della pubblicazione dei vari volumi di quella che ben presto divenne una collana.

Materiali e metodi

Il progetto, come già si è spiegato, privilegia il coinvolgimento delle scuole: soluzione, questa, ampiamente sperimentata e che ha prodotto buoni risultati, ma che sembra anche essere la più indicata per conseguire la partecipazione della massima parte della popolazione locale che viene coinvolta in vario modo nelle indagini e nelle inchieste degli alunni, soprattutto tramite l’implicazione delle famiglie, che finisce poi per allargarsi alla cerchia dei conoscenti, in una sorta di macchia d’olio conoscitiva. Per poter operare al meglio in tal senso occorre trovare l’interesse e il coinvolgimento del corpo docente nonché l’appoggio e la collaborazione della dirigenza dei rispettivi istituti scolastici. La base di partenza è costituita dalla Carta Tecnica Regionale alla scala 1:10.000 di ciascun territorio comunale, che consente omogeneità di organizzazione e di rappresentazione. A questa possono essere affiancate le carte catastali alla scala 1:2.000 o i quadri d’unione delle stesse, sempre alla scala 1:10.000 che, sebbene piuttosto datate e meno particolareggiate hanno il merito di riportare con buona evidenza la viabilità maggiore e minore e l’idrografia, anche minuta, con i rispettivi nomi, e di indicare già un certo numero di microtoponimi: numero variabile da comune a comune e talora anche riportato in forme grafiche quantomeno incerte, se non sospette (quanto a fedeltà di trascrizione del toponimo originario, spesso tramandato in forma dialettale e non di rado traslitterato in modo arbitrario), ma comunque sempre interessante. In questo modo, tra l’altro, si costringono i futuri rilevatori a prendere coscienza per primi del territorio in cui abitano nonché ad acquistare dimestichezza con l’uso delle carte, con il loro orientamento nello spazio, con il linguaggio convenzionale delle rappresentazioni cartografiche, e così via.

Prima fase

Dopo aver opportunamente approntato le carte di base, anche attraverso l’evidenziamento, con colori diversi, dei confini comunali, della viabilità, dell’idrografia e di tutto ciò che possa servire da punto di riferimento e di orientamento tanto per 27


il rilevatore quanto per l’informatore, quasi sempre poco avvezzo all’uso delle carte topografiche, si passa alla raccolta vera e propria di tutti i nomi di luogo noti agli stessi informatori, tramite interviste portate ai proprietari, agli affittuari, ai regolatori delle diverse rogge, ai campari o a chiunque possa aggiungere notizie sui diversi comparti comunali meglio conosciuti. Per il buon esito della ricerca si considera indispensabile: • raccogliere il massimo numero possibile di toponimi o appellativi; • rilevarne preferibilmente la corretta pronuncia dialettale con le possibili varianti anche attraverso la registrazione vocale (in passato su nastro magnetico, ora con tecnologie ben più pratiche e agili); • collocare precisamente il nome di luogo in corrispondenza dell’oggetto così denominato: parcella agraria, corso d’acqua, strada, cascina, cappella, edicola, ecc. • compilare una scheda per ogni singolo nome di luogo secondo uno schema predeterminato che comporta la risposta a precise richieste (denominazione o denominazioni se più d’una, caratteri salienti, destinazione attuale, etimologia presunta dall’informatore, ecc.). Terminata questa fase e corrette le eventuali imprecisioni di localizzazione – tramite il raffronto di più rilevamenti effettuati negli stessi luoghi da soggetti diversi – toponimi e appellativi vengono riportati, dalle carte di campagna, su una cartografia finale (spesso un ingrandimento della carta base) che diverrà la carta toponomastica ufficiale della ricerca.

Seconda fase

Poiché l’esplorazione toponomastica offre svariate possibilità di analisi, nella seconda fase sarà opportuno affrontare tematiche ed elaborazioni alla portata delle singole scolaresche protagoniste della ricerca. La scelta varia da classe a classe, a seconda delle preferenze e delle conoscenze degli insegnanti e, ove possibile, in modo da trovare collegamenti con i programmi curricolari in corso di svolgimento. Tuttavia il desiderio di conoscere il valore e il significato dei singoli nomi di luogo è in genere prevalente. Per ottenere risultati speditivi e alla portata degli alunni si può operare suddividendo toponimi e appellativi in una serie di categorie concettuali che raggruppino, ciascuna, i nomi che abbiano una determinata affinità etimologica: forma del terreno, idrografia, paesaggio agrario, vegetazione, colture, industrie, sedi umane civili, militari, religiose, ecc. Un’ultima categoria conterrà tutti i casi dubbi o particolari e quei toponimi che non mostrino un’etimologia trasparente o ricostruibile nell’immediato se non alla luce di ulteriori ricerche che aiutino a scioglierne il significato. Già in questa fase è utile ricorrere all’aiuto di qualche esperto o, più frequentemente, alla consultazione di manuali o altri lavori di toponomastica non troppo specifici.

Terza fase

La terza fase non è generalizzabile a tutte le scuole che partecipano al lavoro di esplorazione e di raccolta dei nomi di luogo, poiché implica un impegno maggiore e non da parte di tutti affrontabile. Qui rientra lo studio di toponimi e appellativi dal significato divenuto ormai opaco e la determinazione delle stratificazioni cronologiche. Il che implica l’integrazione 28


dell’indagine condotta sul campo con la ricerca d’archivio attraverso l’esame di fonti scritte e di fonti cartografiche più o meno antiche. L’itinerario di ricerca qui delineato in estrema sintesi nella stragrande maggioranza dei casi viene concluso affidandolo al coordinatore del progetto, il quale si occupa degli ulteriori sviluppi, così da portarlo alla redazione finale e alla pubblicazione.

I risultati Bisogna innanzitutto premettere che il territorio provinciale cremonese non era certo privo di bibliografia toponomastica. Al di là del classico e meritorio ‘Dizionario di toponomastica lombarda’ di Dante Olivieri (Milano, Ceschina, 1961) che, seppur datato, conserva tuttora un suo valore e rimane costante riferimento e fonte di spunti di ricerca, la toponomastica locale è stata presa in considerazione anche dal ‘Dizionario di toponomastica bergamasca e cremonese’, compilato da Pierino Boselli e edito da Olschki nel 1990. Ampiamente debitore del primo e scritto con dichiarati intenti di semplicità divulgativa, anche questo lavoro annovera un ricco repertorio di nomi di luogo cui è possibile ricorrere utilmente. Infine i 115 toponimi relativi ai comuni della provincia e gli idronimi propri ai cinque fiumi che ne bagnano il territorio sono esaminati dal ‘Dizionario di toponomastica’ edito dalla UTET nel 1990 e poi aggiornato a varie riprese, ma bisogna anche dire che molti dei macrotoponimi cremonesi compaiono in diverse altre opere specifiche, più o meno recenti, tra cui non si può dimenticare la ‘Toponomastica italiana’ di Gian Battista Pellegrini (Hoepli 1990). Il lavoro inaugurato dall’Atlante toponomastico della provincia di Cremona si fonda sull’ambiziosa e suggestiva ipotesi di raccogliere in modo sistematico l’intero corpus provinciale relativo ai nomi di luogo principali insieme alle più minute denominazioni proprie ad ogni singolo appezzamento di terreno, ad ogni corso d’acqua, ad ogni strada, ad ogni elemento del paesaggio rurale, insomma, riguardante ciascun comune, ricercandone contemporaneamente le testimonianze storiche, fino alle più antiche reperibili, e proponendo per ciascun lemma così definito un’interpretazione etimologica il più possibile fondata su elementi positivi, facilmente riscontrabili e sensatamente plausibili. Ne sono usciti, finora, quindici volumetti (più uno relativo al territorio di Canneto sull’Oglio, in provincia di Mantova) dedicati ad altrettanti territori comunali, eterogenei per dimensione, collocazione geografica e caratterizzazione dialettale nell’ambito della provincia, studiati secondo una logica piuttosto casuale fondata ora sull’accessibilità di materiale storico disponibile, ora sulla possibilità di trovare collaboratori all’elaborazione della ricerca, ora sull’insistenza delle amministrazioni comunali compartecipanti, anche finanziariamente, alla pubblicazione. Un aspetto fondamentale riguarda la corretta collocazione di ogni singolo toponimo o appellativo in corrispondenza dell’elemento denominato: campo, strada, roggia, edificio od altro che sia, a formare la carta toponomastica inerente ciascun territorio comunale. Qui la precisione diviene un elemento fondamentale poiché tale cartografia rappresenta una sorta di catasto della toponomastica vivente relativa ad un determinato ambito geografico così come rilevata in un preciso momento storico. La sua corretta compilazione è una delle attività più importanti e, nel contempo, più complesse, laboriose e talora controverse che riguardino la realizzazione di ogni volume. 29


In assenza di documentazione topografica recente o antica – quali mappe, cabrei o altri registri catastali – non è raro, infatti, che si verifichino discordanze tra gli informatori locali circa la collocazione di questo o di quel nome di campo, il che impegna nella ricerca di ulteriori informazioni e di nuovi riferimenti nel tentativo di raggiungere una precisione che talvolta rimane, però, incerta o irraggiungibile. È anche questa una conseguenza delle trasformazioni territoriali moltiplicatesi negli ultimi tempi, nonché della labilità, sempre più accentuata, di una tradizione orale in rapido dissolvimento. Aiutano, in questo caso, alcuni catasti antichi, come il cosiddetto ‘Catasto napoleonico’ del 1815, relativo, però, per quanto riguarda la provincia di Cremona, al solo territorio cremasco (una parte del settore nord della provincia) che, rimasto dal 1449 al 1797 una vera enclave veneziana del dominio di Terraferma della Serenissima, non era rientrato, come il restante territorio cremonese, nella compilazione del ‘Catasto teresiano’. In questo documento ogni comune del Cremasco è descritto e rappresentato nel suo stato immobiliare generale dove ogni unità catastale è individuata dal proprio toponimo, spesso ancor oggi rilevabile sul terreno. Poco utile, sotto questo punto di vista, salvo qualche caso eccezionale, risulta invece il notissimo ‘Catasto teresiano’ che, per quanto riguarda il territorio cremonese, non riporta di norma toponimi (cosa che, invece, si verifica, ad esempio, nel territorio mantovano). Senza riferimenti cartografici, ma in ogni caso quanto mai prezioso per la minuziosa elencazione dei singoli appezzamenti agricoli o delle unità immobiliari edilizie, si rivela, per il Cremonese, il ‘Catasto di Calo V o catasto spagnolo’ del 1550 circa che, solo nelle rimisurazioni effettuate per molti, ma non tutti, i comuni cremonesi nel 1560, riporta una vera messe di notizie toponomastiche. Analogo per il Cremasco, ma compilato nel 1685, è il cosiddetto ‘Estimo veneto’. Infine esistono alcuni altri catasti antichi – anche quattrocenteschi – o settoriali, come quelli ecclesiastici che, pur discontinui e non generalizzati all’intero territorio, possono utilmente integrare le notizie ricercate, benché sovente siano privi di apparati cartografici. Di tutto ciò si deve tenere debito conto. Riuniti così i repertori toponomastici dei singoli territori comunali attuali, integrati dalle testimonianze del passato e, dove possibile, ulteriormente integrati con qualche riferimento alla storia del luogo – operazione, anche questa, non sempre agevole per mancanza di “storie” locali già prodotte e compilate con la necessaria acribia – il lavoro di ricerca prevede un inquadramento per sommi capi dell’aspetto geografico dell’ambito territoriale – sovente ispiratore di toponimi e appellativi tra i più disparati e interessanti – con i possibili agganci storici suggeriti proprio dall’esame della toponomastica vivente o antica reperita. Ne sono, dunque, scaturiti risultati che, a chi scrive, paiono piuttosto interessanti e senz’altro utili alla composizione di ulteriori studi della più diversa natura. Si conferma, così e in modo più che tangibile, il ruolo di scienza ausiliaria rivestito dalla toponomastica nei confronti di svariate altre materie, dalla storia alla topografia antica, dalla fitogeografia all’archeologia, con particolare riguardo per quella del territorio o del paesaggio, cioè idrologica e idrografica, geomorfologica, ma anche insediativa, civile, militare e religiosa, e via elencando, come del resto è ben noto a chiunque abbia pratica di questi temi. Tra gli aspetti più interessanti discesi dallo studio toponomastico dei territori finora indagati particolare importanza mi sembra di poter attribuire all’individuazione topografica di non pochi insediamenti antichi noti sinora solo dalle carte d’archivio, ovvero alla segnalazione di ulteriori possibili località storiche da meglio esplorare. A Gabbioneta-Binanuova, posta lungo il corso del fiume Oglio, per esempio, 30


i campi ancora detti i Sanfelìs costituiscono il riferimento topografico di una curtis Sancti Felicis de Ripa Olei nota almeno dal 1187 e fino al XIV secolo e mai precisamente ubicata. A Castelverde due campi in vocabolo la Camiràna hanno inaspettatamente dato collocazione ad una località detta Roccamirana o Roccamayrana nominata dal 1162 fin verso lo scadere del XIII secolo dalle fonti diplomatiche, ma anche prima citazione nota riguardante una rocca nel territorio cremonese extraurbano e uno dei primi richiami relativi a tale genere di strutture fortificate nella pianura lombarda. A Salvirola toponimi viventi detti el Lüignà, el Fugnà insieme ai non lontani i Casà (nell’adiacente comune di Romanengo) e tutti nominati attraverso i secoli dalle carte storiche a partire dal 1191 come località dette in Luvignano, in Fognano e in Caxano, riconducono con ogni verosimiglianza a fundi di origine romana dipendenti presumibilmente dai gentilizi Lufinius o *Lupinius (ma anche Laevinius o Livinius) il primo, Fonnius o Funius (ma anche Folnius) il secondo e Cassius l’ultimo. Analogo discorso riguarda la viabilità antica, e un caso davvero esemplare mi pare quello della strada, di presumibile origine romana, collegante Mediolanum a Cremona e già individuata con metodi e argomenti di carattere topografico da Pierluigi Tozzi, dell’Università di Pavia, sin dai primi anni Settanta del secolo scorso. Ebbene, il tratto territoriale attraversato dalla traccia di questo percorso viario compreso tra l’Adda e il Serio Morto (ma fiume vivo fino al XII-XIV secolo, almeno) ha restituito così ampie testimonianze toponomastiche antiche e attuali da meritare una breve illustrazione. Bisogna innanzitutto premettere che la massima parte di tali testimonianze riflette, per la verità, nomi e situazioni di palese origine medievale, ma resta indubitabile che a suscitarne la coniazione sia stata un’infrastruttura viaria preesistente e di notevole importanza, che l’andamento assolutamente rettilineo, organizzato su tronconi successivi, nonché l’importante sviluppo corografico – da Milano a Cremona – fa risalire con elevata probabilità a buona età romana. Innanzitutto diamo uno sguardo alla toponomastica antica secondo l’ordine cronologico di apparizione: a. 1051: La Strata, con riferimento alla sede stradale più che manifesto; a. 1114: Viacava, corrispondente ad un punto in cui la strada passava tra alti ciglioni laterali; sec. XII, seconda metà: A Strathella, a la Stradela, forse riferito ad un tratto di sede stradale sostitutiva dell’originaria, o a un suo diverticolo laterale; a. 1174: in contrata ubi dicitur Avosta; a.1184: in ora ubi dicitur Avosta; a. 1187: ibi ubi dicitur Agusta, tutti riconducibili presumibilmente ad una *(via) Augusta; a. 1361: ubi dicitur in Selicia, da ricondurre presumibilmente ad una *(via) silicea; a. 1361: ad viam Rayne; ad carobium vie Rayne, inaugurando la denominazione di “via Regina” che accompagnerà questa strada lungo i secoli e fino ad oggi; a. 1375: ad stratam Regnae; ad Foppam que est super stratam Reginam; a. 1473: alla strada Regina; a. 1546: stradella detta della Raina; a. 1757: strada Regina. Anche la toponomastica vivente appare di notevole interesse poiché, a partire da una “strada vicinale della Ragna”, evidente corruzione di strata Regnae/Reginae, che ne occupa l’antica sede, si passa a tre campi, lontani tra loro e dislocati lungo l’antico 31


percorso chiamati “Pilastrello”, mentre un santuario della Madonna del Pilastrello si trova a breve distanza (Dovera). In comune di Castelleone, infine, la strada porta ancora il nome di “Regina”. Ma la presenza di due hospitales (di cui uno detto de Yerusalem) esistenti nel 1158 presso una ecclesia sub honore et vocabula Sancti Iacobi, tuttora ricordata da un oratorio ugualmente intitolato sempre lungo questa strada, rimanda senza dubbio ad un itinerario della peregrinazio religiosa medievale che si avvalse ancora per diverso tempo di questa antica arteria stradale e che proprio di S. Giacomo di Compostella faceva una delle sue mete più ambite. Ma dai rilevamenti toponomastici finora svolti e studiati molte altre straordinarie situazioni emergono con estrema evidenza, di norma riconducibili a passati assetti territoriali anche di ordine strettamente locale, ma in grado di aprire scenari davvero affascinanti che già la documentazione d’archivio lasciava trasparire, ma che così vengono confermati e ancor meglio chiariti. Così nel territorio di Bonemerse, piccolo comune alle porte di Cremona, la raccolta toponomastica ha recuperato con singolare efficacia una sorta di quadro territoriale strettamente legato alle produzioni agricole del passato, secondo metodologie e assetti inaugurati in piena età medievale. La circostanza di trovarsi questa zona inclusa nelle cosiddette clausurae Cremonae, vale a dire in quella fascia territoriale posta a corona della città dove si svolgevano le attività produttive più direttamente destinate a soddisfare le richieste dei mercati cittadini, ha lasciato sul terreno decine e decine di testimonianze legate, per esempio, alla coltura vitivinicola, assai intensa qui e senza dubbio la meglio rappresentata in questa specifica zona suburbana. Almeno un terzo dei toponimi e degli appellativi totali registrati in questo ambito comunale si riferisce alla viticoltura, a partire dalle almeno 24 Brede, dalla decina di Piane e rispettive alterazioni, dai numerosi appellativi riconducibili a Vigna e a Vidùr, ai Du fìi, Fili corti, Filetti, Pergoli, Cima de vin, fino ad arrivare ai campi denominati dal vitigno in essi coltivato (Balzemino, Rossaro grande e Rossaro piccolo). Tra i tanti l’interesse maggiore appare quello suscitato dal termine breda che, riproposto dalla documentazione medievale relativa nella forma grafica di braida, travalica qui espressamente il primitivo significato di “distesa di terreni, pianura” detenuto dall’originaria voce longobarda per designare uno specialissimo assetto di piccole peciae terrae, cinte ciascuna da siepi, aggregate tra loro, servite da viae vicinales et viazolae, e coltivate uniformemente a vite, facenti capo ad un unico proprietario che le assegnava ad altrettanti fictalicii a condizioni uguali o simili tra loro. Torcularia, canevae, e quant’altro potesse servire alla successiva produzione vinicola e al suo stoccaggio erano dotazioni sovente fornite dallo stesso proprietario per ogni braida. È evidente come un così particolare assetto territoriale, moltiplicato per moltissime volte su una vasta zona, dovesse disegnare un paesaggio quanto mai insolito e caratteristico delle aree suburbane. Ebbene, alla luce di quanto sopra riportato, non pare difficile convincersi che quando si scoprano particolarità così caratterizzanti un determinato tratto territoriale e le si restituiscano alle popolazioni locali, rispolverate e rivitalizzate nel loro significato, perché se ne riapproprino come di un’eredità spirituale dimenticata, l’operazione valga a infondere un nuovo amore per la propria terra, per la propria storia, per le proprie tradizioni, che è come dire del risveglio di un nuovo orgoglio particolare che serve a non perdere la propria identità e le proprie radici in un mondo globalizzato dove il rischio di omologazione sciatta e negativa è sempre dietro l’angolo. Beh, se anche le nostre semplici ricerche toponomastiche possono contribuire a riprendere consapevolezza di 32


se stessi e della propria identità culturale e sociale, ci saremo avvicinati una volta di più all’obiettivo che, in fondo, aveva ispirato, sin dapprincipio, il progetto. N.B. ‒ Tutte le monografie sinora pubblicate relative all’Atlante toponomastico della provincia di Cremona, sono consultabili on line e scaricabili all’indirizzo: http:// bibliotecadigitale.provincia.cremona.it/toponomastica/. Link:

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Etimi, confini, orizzonti. Fra storia e immaginazione, il disegno dei luoghi Luciano Sassi Presidente Ecomuseo Isola Dovarese

Il contributo spazia dalla cartografia, con le relative denominazioni dei luoghi che nel tempo si sono susseguite, a storie vissute che hanno determinato negli abitanti particolari percezioni di spazi e luoghi lontani e vicini. Dunque, uno sguardo antropologico che si colloca sulla grande storia di immagini cartografiche che, più o meno consapevolmente, hanno influito sull’immaginario dei luoghi. Da qui nasce l’evocazione dei tre termini che compaiono nel titolo: etimi come radici, confini sin dove arriva lo sguardo, orizzonti ossia l’immagine lontana che compare sullo sfondo e comprende tutto.

Presentazione dell’intervento

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Natura e gente nella toponomastica dell’Appennino parmense Giorgio Baruffini Studioso di storia locale

Una prima avvertenza Quando ci si accosta alla toponomastica, non si ricorra alla spiegazione più semplice e apparentemente ovvia (paraetimologia). Per esemplificare, può essere utile un elenco di luoghi con etimologia scientificamente corretta rispetto a quella popolare: Pieve Ottoville: non otto poderi, ma alta villa (Altesville nel 1046, Oltoville nel 1226); Porcigatone: non c’entrano né il Catone censore né l’Uticense, ma il porcile di un Garatone degli anni attorno al 1000 (Porcilegaratono nel 1191); Passo Santa Donna: non della Vergine, ma di Sant’Abdon, venerato anche nel duomo di Parma, come conferma il contiguo Monte Sant’Adone; Trefiumi: non tre ma tra i fiumi: Interflumina nel 1029, Terfumna dialettale; Pianadetto: non zona piana, ma Plataneto (Pladanè nel 1218), con riferimento a boschi di aceri di monte (pseudoplatanus); Alberi, Albareto: non piante, ma albuli (pioppi bianchi); Siccomonte: niente a che vedere l’aridità, ma il nome tedesco (Sigmund) di un antico proprietario: Sichimunt nel Catasto farnesiano del 1627. I canali Gambadoro e Gambalone non derivano dalla ricchezza di gamberi, ma dai longobardi gamahal (stretti da un patto) com’erano quelli che li avevano scavati. Scortichiere (Varsi) non era un luogo di lavorazione di pellami, ma uno stodigard (recinto per i cavalli) – da cui anche Stoccarda – attraverso Scordigarium come la vicina Costa Scolengarda ed il bussetano cavo Scorticavallo. Utili, per illustrare il peso della cultura umanistica delle corti quattrocentesche, i nomi di Torrechiara e Montechiarugolo, ambedue costruiti giocando sul latino clarus: Torre famosa e Monte famoso, in realtà Luogo dei torchi (Torciara dialettale) e Colle del fosso (Monc’ rugol dialettale, e latino Monticlus riguli). Quali gli strumenti indispensabili per il lavoro etimologico? Un minimo di conoscenze linguistiche, la documentazione antica e i dialetti.

Una seconda avvertenza È chiaro che non esistono toponimi naturali senza gli uomini che per primi li hanno usati: natura e genti sono perciò strettamente legati. Essendo impossibile, in questa sede e specialmente per le età più antiche, individuare tutte le etnie che hanno lasciato tracce nei nomi di luoghi, faremo riferimento in linea di massima a tre fasi degli insediamenti nell’Appennino: l’età pre/proto storica, con sicure tracce liguri, celtiche, forse umbre, etrusche, galliche; l’occupazione romana; la riespansione medievale (dal sec. VII). Tenendo comunque presente che alcuni toponimi entrati nell’uso non necessariamente attestano la corrispondente presenza etnica sul sito: è il caso del prelatino lama (zona umida) o dei longobardi braida (terreno pianeggiante), nelle sue varie forme Bra’, Bré, 37


Braia, Braiola ecc., e gehage (bosco recintato) nei derivati Gazzo, Gaione e simili. Pochi i resti liguri, caratterizzati dalla terminazione in -asco (villaggio): Val Picarasca, Caffarasca, Caprendasca, Cavedasca, testimonianza di una perifericità dell’Appennino parmense rispetto all’area “forte” piacentino – genovese. È certamente umbro Gubinaria < etnico iiovinar documentato ripetutamente nelle Tavole Eugubine. La presenza umbra è certa nell’area romagnola, anche se qui potrebbe trattarsi di un insediamento più tardo legato alla conquista romana. Lo stesso potrebbe dirsi per gli etruschi Drusco e Tosca. Sono probabilmente galli Cagadunno < -dunum (fortilizio) e Bellasola < personale Bellasius ( francese Bellac e lombardo Bellagio). Sempre alla prima fase vanno ricondotti i nomi di monti (pochi ed in genere i più evidenti: l’interesse per la montagna è assai recente). Diffusissimo è il ligure Penna (nel Parmense presso Bedonia, nel Reggiano presso Civago, ma soprattutto all’origine delle Alpi Pennine e degli Appennini), probabilmente sinonimo di “alto monte”, forse con valenza sacra. È certamente di origine ligure il M. Caio (Callius nel Medio Evo), da una radice cal indicante dirupi: come l’analogo calanco. Di origine probabilmente celtica, se non preindoeuropea, sono i nomi di alcuni corsi d’acqua: a Taro e Dorbora (acque impetuose?) corrispondono il piacentino Dorba, le Dore alpine, i francesi Tarn e Dour, l’iberico Duero. Piccolo, ma dal gran nome celtico, è il torrentello Reno presso Tizzano. Alla stessa fase sono riconducibili toponimi dipendenti dalle condizioni geomorfiche, in particolare scoscendimenti: Marra (celtico o preindoeuropeo, come il romagnolo Marradi); il diffuso Madone e Mattogno da indoeuropeo mato (mucchio di pietre) come il greco meta; il diffusissimo Groppo (da prelatino Kruppa, come il provenzale Cropa). A fase più recente, almeno a giudicare dalle radici latine, sono ascrivibili i toponimi legati a frane (La-latta, Lavacchielli < labeor, indicanti scivolamenti) o inondazioni (Lubbia < alluvies, Moie < mollis) ., com Decisamente più tardi, risalenti alla massiccia espansione dei secc. VII-XII, sono i diffusi e riconoscibili fitonimi (di norma terminanti in -eto: Caneto), testimonianza di terre conquistate attraverso sboscamenti: i frequentissimi Ronco e derivati attestano l’uso dello strumento – la roncola - atto allo scopo. Dal momento però che non tutti i fitonimi sono chiaramente individuabili, può essere utile un breve elenco di località con la corretta derivazione: Aneta < alnetum (bosco di ontani); Calamello < calamus (canna); Coloreto, Collari < corilos (nocciolo) per metatesi lo/ri; Calice < Carex (carice); Pugnetolo < Pinetulum; Revoleto < robur (rovere, Rovereto). Indicano cedui toponimi del tipo Cisa, Succiso e simili (lat. Caesus, tagliato), mentre segnano probabilmente confini di proprietà i vari Bocco, Boccolo (cespuglio, siepe). Nascono insieme gli zoonimi, riferiti ad animali selvatici (come Tassara o Volpara) e domestici (Cabriolo, Capriglio), ma anche alle opere per la loro custodia: Barbigarezza < Berbicaricia (da lat. Berbex, pecora), Vaccarezza, Caboara (casa di bovari). È all’occupazione romana (secc. II a.c. – III d.c.) che si devono le più numerose testimonianze toponomastiche nell’Appennino, quasi tutte individuabili a sud dell’attuale pedemontana, dove terminava la centuriazione: nella quale peraltro – a parte l’evidentissimo tessuto fondiario – non vi sono particolari sopravvivenze toponomastiche, certamente prova di una diversa tipologia di insediamenti per un 38


diverso sfruttamento della terra. Difficile dire se i conquistatori si impadronissero di luoghi già abitati o se occupassero siti ancora vergini: una risposta potrebbe venire solo da ricerche archeologiche, per ora solo assai episodiche. Tutti i toponimi – con la terminazione in -anus - documentano la diffusione di praedia o fundi a cui il proprietario ha dato il nome. Il prenome (Gaius > Gaiano) o quello della Gens (Marilia > Mariano) o il cognomen (Octavianus > Tabiano, Cattabiano): tali Azzano < Attius, Bazzano < Badius, Ciano < gens Coelia, Faviano < gens Fabia, Spagnano < Hispanus e simili. Talora il luogo conserva solo il nome del proprietario (Cassio, Terenzo) forse ad indicarne l’effettiva residenza. A volte dal medesimo nome si trovano contigui prediali asuffissati (Vesta), in -anus (Vestana) o in -ola (Vestola), forse espediente per distinguere i fondi: ma la spiegazione non convince, dal momento che altri in -ola (Ramiola, Fabiola) sono distanti dai corrispondenti in -anus (Ramiano, Faviano). Alcuni fondi sono designati dai genitivi plurali (fossilizzati) della gens: Marore > Mariorum, Tiorre > Tulliorum (Tuliore nel 906). Quadro un po’ diverso presenta per il Parmense la Tavola Veleiate, nella quale i toponimi sembrano rimandare a insediamenti preromani: Bitunia (Bedonia), saltus Carucla (Carozza), Mettiae o Mettunia (Metti), Varisto (Varsi), Velleianus (Vianino?). Agli ultimi secoli dell’impero sono riconducibili toponimi attestanti lo stanziamento di genti germaniche, o sconfitte e deportate come i Taifali (a Bibiano nel Reggiano), o federate nell’esercito romano: ma nel Parmense resta solo la memoria dei Marcomanni nel monte Marmagna (come i vari Marmagne francesi). Quasi nulla sembra restare del regno ostrogoto, se non forse Lagrimone (un capo visigoto di nome Lagariman è attestato da Ammiano Marcellino). Dopo lo spopolamento connesso alla fine dell’impero e soprattutto alla guerra greco – gotica, con il consolidamento del nuovo regno longobardo (secc. VI – VII) si apre una fase di intensa occupazione dell’Appennino, anzitutto con presidi militari: come a Rimagna (Arimannia, sede di Heermann, guerrieri), a Bardi o a Bardone, a L’ Agola presso Tizzano, nome che nella forma agglutinata Lagola rimanda esplicitamente al germanico Lakar (campo militare). Miste ai longobardi altre popolazioni “barbare” possono aver lasciato tracce, come i Gepidi (a Zibana?) o i Bulgari (m. Borgallo?). Degli stanziamenti di altre, venute con essi o più tardi con i Franchi, ci serbano memoria le carte: dei Sarmati a Sarmado prope Colliclo (1092); dei Bavari a Baioaria (1006); forse dei Sassoni a Saxignano (921); addirittura dei Vandali a Vandalisi (1026): ma questi luoghi o sono stati abbandonati o hanno cambiato il nome con quello di un santo. Altri toponimi sono riconducibili ai longobardi, quali Sala, Ghiffi < wiffa (ciuffo di paglia come segno di confine) o Ghia < gaida (“punta di freccia”, ma a Bologna nel ‘200 una pezza di terra era detta puncta vel gaida). Per concludere, due considerazioni. Una prima, di carattere etico – politico. A chi oggi si appella ad una presunta identità, non importa se nazionale, regionale o locale, anche la toponomastica può mostrare quante diversità abbiano costruito il nostro presente. Una seconda, di carattere più operativo. Fondamentale, per la storia del paesaggio, è la microtoponomastica dialettale, con cui disegnare percorsi di ricerca con l’apporto delle scuole del territorio.

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Bibliografia Rohlfs G., Antroponimia e toponomastica, pp. 32-59 e Toponomastica italiana, pp, 60-74 in Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze 1972. Pellegrini G.B. , Toponomastica italiana, Milano 1990. Dizionario di toponomastica Utet, Torino 1994 (Contiene tutti i comuni italiani) Baruffini G., Dizionario di toponomastica parmense, Parma 2005. Per ricerche più approfondite le grandi raccolte di documentazione antica come: Schiaparelli L. – Bruhl C., Codice diplomatico longobardo, Roma 1929 – 1973 o, per i nomi personali latini, il Corpus inscriptionum latinarum avviato da Mommsen nel 1847. Ogni città possiede però raccolte di documenti più utili per ricerche di storia locale, come Drei G., Le carte degli archivi parmensi dei sec. X -XII, Parma, 1930 – 1950.

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PARTE II

Le esperienze e i progetti



Reggio Emilia medievale. Tra storia e toponomastica Monica Bottai

Istituto

IIS Blaise Pascal, Reggio Emilia

Anno scolastico

2017-2018

Classi coinvolte

III G

Responsabile del progetto

Prof.ssa Monica Bottai

Discipline coinvolte

Italiano e storia

Docenti coinvolti

Prof.ssa Monica Bottai

Il progetto Il progetto ha avuto lo scopo di guidare gli studenti, all’interno del percorso di studio annuale (storia medievale, XI-XIV secolo), alla conoscenza di alcuni aspetti della storia della propria città attraverso la toponomastica. Con mappe, documenti e dizionari di toponomastica locale, è stato indagato il centro storico ed alcune strade in particolare, note all’epoca come “via della seta” reggiana. Oltre allo studio in classe e in biblioteca, i gruppi di lavoro hanno effettuato due uscite sul territorio, per osservare e verificare i dati e le informazioni raccolte, redigendo poi un documento finale condiviso.

Fasi operative Prima fase: Presentazione del significato della parola “toponomastica”, attraverso la lettura insieme di alcuni nomi di strade del nostro centro storico e la spiegazione della loro origine. Consegna ad ogni alunno di una mappa del centro storico di Reggio Emilia ed analisi sommaria dei luoghi principali, dei punti di snodo, degli edifici principali. Suddivisione in piccolo gruppo (3-4 alunni, secondo la decisione del docente) e consegna della sezione di territorio stradale da analizzare, insieme ad una bibliografia di testi presenti nella biblioteca centrale di Reggio. Seconda fase: individuale e/o in gruppo al pomeriggio, durante la vacanze natalizie: Ogni gruppo si è ritrovato autonomamente in biblioteca per una prima selezione dei testi utili alla ricerca, seguendo la bibliografia consegnata dal docente. Terza fase: Ogni gruppo in aula ha proseguito il lavoro di ricerca, utilizzando i testi della bibliografia e altri a discrezione delle scelte del gruppo stesso. Durante questo periodo centrale è stata effettuata una uscita in centro storico, durante la quale gli alunni, sempre suddivisi in gruppi, hanno osservato e ripercorso i punti principali della proprio zona di indagine. Quarta fase: Il docente ha presentato la storia dell’Arte della Seta a Reggio e mostrato l’antico percorso di canali e mulini in centro storico (con mappe e slide). Poi, ha 43


organizzato una seconda uscita in centro, durante la quale ogni gruppo, ripercorrendo a piedi tutte le strade individuate sulla mappa antica, doveva confrontare nomi e luoghi del passato con lo stato attuale delle strade, individuando permanenze e mutamenti. Quinta fase: Guidati dal docente, gli alunni hanno sistemato i dati raccolti e steso un testo descrittivo di sintesi. Per accedere ai contenuti multimediali relativi a questo progetto: Link:

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Strade nuove. Ricerca sui cambiamenti dell’onomastica stradale di Castelnovo Sotto Stefania Debbi e Lorenza Zinani

Istituto

I.C. Marconi, Castelnovo Sotto (RE)

Anno scolastico

2017-2018

Classi coinvolte

III A - III D

Responsabile del progetto

Prof.sse Stefania Debbi e Lorenza Zinani

Discipline coinvolte

Italiano-Storia e Geografia

Docenti coinvolti

Prof.sse Stefania Debbi e Lorenza Zinani

Presentazione del progetto Attraverso l’analisi storica di alcune delibere comunali che presentano elementi significativi, gli studenti delle classi terza A e terza D dell’Istituto comprensivo G. Marconi hanno compiuto una riflessione sui cambiamenti della onomastica stradale del loro comune in relazione ai mutamenti sociali e storici.

Descrizione delle attività di progetto 1. Analisi di alcune delibere comunali relative alla classificazione e nuova denominazione delle strade di Castelnovo di sotto dal 1951 ad oggi. 2. Individuazione sulla carta di alcune delle strade nominate nelle delibere evidenziando sia i toponimi inalterati dal 1815 e di probabile origine medioevale sia le nuove denominazioni del centro storico e della nuova urbanizzazione del secolo scorso. 3. Partendo dalle osservazioni dei ragazzi, riflessione sui cambiamenti osservati in ragione della posizione e dei personaggi coinvolti nei nuovi toponimi. 4. Proposta nuova intitolazione con relativa motivazione.

Strategie metodologiche Attraverso una lezione dialogata gli studenti hanno elaborato una riflessione sui principali eventi del secondo dopoguerra sul concetto di memoria collettiva, sulla Costituzione e sul ruolo della donna. Creati gruppi eterogenei per competenze, i ragazzi hanno analizzato le fonti alla luce dei contenuti precedentemente elaborati, formulando ulteriori e personali considerazioni. Confrontandosi all’interno del gruppo, gli studenti sono giunti all’elaborazione di una proposta di una nuova titolazione da condividere all’interno della classe.

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Strumenti • • • • • •

Carta storica del Comune Stradario comunale Delibere comunali Libri di testo Siti web di ricerca Materiale didattico fornito dal docente

Conclusioni Attraverso l’analisi della delibera n° 16/22del 1951 gli studenti hanno appreso che all’indomani del secondo conflitto mondiale l’Amministrazione Comunale ha sentito l’esigenza di modificare alcune denominazioni delle aree pubbliche del centro abitato, in previsione del Primo Censimento Generale della popolazione considerando che, durante il movimento di liberazione, parecchie targhe di denominazione strade ed aree pubbliche erano state asportate poiché “non più rispondenti ai tempi nuovi” e necessitavano di una nuova denominazione per l’aggiornamento del materiale anagrafico. Via Italo Balbo divenne via XX Settembre; Via Principe Umberto divenne via A. Gramsci; Piazza Vittorio Emanuele divenne Piazza C. Prampolini; Largo Francesco Crispi divenne Largo Garibaldi; Via Rocca divenne via G.Matteotti. Mediante la localizzazione di tali vie sulla mappa del territorio comunale i ragazzi hanno potuto constatare che le modifiche riguardavano strada e piazze del centro storico del paese, luoghi ad altissima frequentazione, per cui hanno notato la volontà dell’Amministrazione Comunale di voler mantenere la memoria di personaggi importanti per la storia della formazione dello Stato italiano o perché appartenenti ad una certa ideologia antifascista. D’altro canto, risultava evidente l’intenzione di voler dimenticare un recente passato che aveva portato l’Italia alla partecipazione al conflitto mondiale causando molte sofferenze alla popolazione. L’analisi delle delibere 112 e 113 del 1965 ha portato all’attenzione degli studenti la presenza sul territorio comunale di diverse titolazioni a città che ricordavano il passato coloniale dello Stato italiano: via Neghelli, via Adua, Via Massaua, Via Asmara, via Tripoli; via Bengasi. L’Amministrazione comunale di allora, adducendo come motivazione il fatto che tali titolazioni erano state attribuite senza delibera comunale (infatti erano state così chiamate nel 1939, in piena epoca fascista) propose una nuova denominazione di queste strade più rispondente ai nuovi valori della neonata repubblica italiana. Via Tripoli divenne via XX Aprile; Via Bengasi divenne Strada Benvenuto Cellini; Via Asmara divenne Strada dei Partigiani; Via Asmara divenne via Angelo Alberici; Via Adua divenne Viale Sant’Andrea; Via Neghelli divenne via Andrea Costa 46


Bibliografia Bertolotti A., Castelnovo di Sotto, notizie storico urbanistiche, Amministrazione Comunale di Castelnovo di Sotto. Zambonelli A., Castelnovo di sotto 1921-1946, Un paese tra due dopoguerra, Amministrazione Comunale di Castelnovo di Sotto. Delibere comunali dal 1950 al 2011. Materiale scolastico. Per accedere ai contenuti multimediali relativi a questo progetto: Link:

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Conoscere il paesaggio e le sue trasformazioni Daniela Mologni

Istituto

Scuola Primaria, Praticello di Gattatico (RE)

Anno scolastico

2017-2018

Classi coinvolte

V

Responsabile del progetto

Daniela Mologni

Discipline coinvolte

Italiano-Storia e Geografia

Docenti coinvolti

Daniela Mologni

Presentazione del progetto Il progetto è stato realizzato per una classe quinta della Scuola Primaria A. Sabin di Praticello di Gattatico, che fa parte dell’I.C. Gattatico Campegine, in provincia di Reggio Emilia. È stato messo in pratica dalla studentessa Daniela Mologni con la collaborazione dell’insegnante di classe che ha svolto la funzione di tutor, del tutor universitario, del personale dell’Istituto Cervi e di un esperto della Bonifica, durante il percorso di tirocinio professionalizzante previsto dal corso Laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il progetto ha affrontato il problema della scarsa conoscenza del territorio e ha proposto un approccio didattico alternativo a quello tradizionale; ha permesso numerosi collegamenti interdisciplinari, in particolare con le discipline storicoartistiche e linguistiche, ma anche scientifiche come la geometria. Ha posto particolare attenzione all’uso della cartografia per la conoscenza del territorio e dell’evoluzione del paesaggio naturale e antropico. Gli argomenti affrontati sono stati l’osservazione e l’analisi del paesaggio quotidiano degli alunni, utilizzando diversi strumenti e punti di vista; l’esperienza diretta; l’approfondimento su un elemento importante del paesaggio del territorio del comune, i canali: origini, storia e funzioni; la lettura, l’analisi e la modifica delle carte geografiche.

Fasi operative 1) Valutazione diagnostica - periodo novembre/dicembre 2) Scheda sui canali - dicembre/gennaio 3) Uscita didattica - febbraio 4) Cartografia - febbraio/marzo 5) Intervista ad esperto - marzo 6) Valutazione formativa - aprile 7) Documentazione - in itinere e mostra conclusiva - aprile/maggio

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Descrizione delle attività di progetto La prima fase di valutazione è stata dedicata all’osservazione del contesto classe, tramite griglie e resoconti narrativi. L’osservazione era centrata sull’approccio degli insegnanti, sul metodo e sugli stili di insegnamento oltre che sulle interazioni in classe. Inoltre, per una migliore valutazione del livello degli studenti nell’utilizzo del linguaggio della geografia, nel ricordare informazioni e nel ricavarle, è stata realizzata un’intervista partecipata a tre coppie di studenti, omogenei per livello. La progettazione del percorso è stata adattata alle caratteristiche osservate. La scheda sui canali è stata proposta ai bambini come compito delle vacanze, per verificare quanto ed in che modo erano state assimilate esperienze ed informazioni raccolte durante l’anno scolastico precedente, in particolare durante un percorso di storia e geografia locale che aveva trattato anche l’argomento dei canali. L’uscita, prevista all’interno del percorso di geografia e storia locale dell’anno in corso, ha permesso agli studenti di vedere e osservare direttamente il territorio nei suoi diversi aspetti. La quarta fase è consistita in una lezione frontale a grande gruppo in cui sono stati introdotti o ripassati alcuni elementi teorici su carte geografiche, scale, simboli e punti cardinali. Si sono svolte in seguito due attività, la prima individuale, la seconda a gruppi di tre. I materiali utilizzati sono stati carte CTR in bianco e nero e in varia scala 1:25.000 e 1: 5.000 del territorio comunale. La consegna era di trovare e colorare con colori diversi oggetti geografici significativi (studiati nel percorso di storia locale, osservati direttamente durante le uscite, vissuti quotidianamente): la scuola, le strade principali, la ferrovia e l’autostrada, gli edifici storici, i mulini, i corsi d’acqua naturali e artificiali. L’intervista all’esperto, il tecnico della Bonifica Mauro Saccani, è stata preceduta da un brainstorming a grande gruppo. Per favorire la condivisione delle informazioni raccolte durante le attività precedenti. Le informazioni sono poi state rielaborate per decidere quali domande fare all’esperto. Durante l’incontro con l’esperto alcuni rappresentanti scelti dal gruppo hanno rivolto le domande, mentre gli altri alunni prendevano appunti sul quaderno e la tirocinante utilizzava la LIM e la lavagna tradizionale per annotare gli aspetti significativi. La valutazione finale è consistita in due verifiche individuali sui canali e sulla cartografia. Le verifiche sono state progettate per valutare i progressi nell’apprendimento rispetto alla situazione iniziale. Sono state pensate per essere accessibili a tutti gli alunni, con domande di diversa tipologia e difficoltà: domande a scelta multipla, domande a risposta aperta, attività su carte geografiche di un territorio non conosciuto. La valutazione formativa si poneva le seguenti domande: l’attività di tipo laboratoriale di lettura e analisi di carte geografiche sviluppa l’abilità di interpretare carte geografiche su varia scala? Permette e in che misura di orientarsi su carte di altri territori non conosciuti? Sviluppa l’abilità nel riconoscere i principali oggetti geografici fisici? Permette di individuare i caratteri che connotano i paesaggi della pianura padana? L’attività sulla storia dei canali e della bonifica permette di riconoscere elementi del passato nel proprio ambiente di vita? Sviluppa la capacità di rielaborare le informazioni ricevute da diverse fonti in una sintesi complessiva? Facilita l’elaborazione di ipotesi su un assetto futuro del territorio dovuto ai cambiamenti climatici? Infine, il materiale di documentazione è stato raccolto in numerosi cartelloni con fotografie, disegni, carte realizzate dai bambini, e poi esposto in una mostra aperta al pubblico presso la sala polivalente del comune insieme al materiale relativo al progetto triennale di storia e geografia locale. 50


Strategie metodologiche, mezzi, strumenti Le strategie utilizzate sono legate all’approccio multidisciplinare adottato, all’interno di un curricolo verticale. L’attenzione è stata posta sulla partecipazione attiva degli studenti nell’osservazione e lettura del territorio. L’analisi puntava alla profondità piuttosto che all’estensione degli argomenti, affrontati da diversi punti di vista e con diversi strumenti: le interviste, lettura e intervento sulle carte geografiche, osservazioni dirette. Oltre al formato tradizionale a grande gruppo (22 alunni) è stata adottata anche la modalità di lavoro a piccolo gruppo, per stimolare l’apprendimento tra pari. La progettazione era volta a favorire l’apprendimento significativo e la memorizzazione con l’uso di metodologie come il brainstorming. La valutazione continua, effettuata all’inizio, durante ed alla fine del percorso è stata utilizzata a sostegno della didattica, cercando di adattare le attività alle caratteristiche del contesto e del gruppo di bambini in apprendimento. Un’attenzione particolare è stata rivolta alla dimensione emotiva e affettiva, molto importante in questa fascia di età, e propria dell’operare su un territorio conosciuto e vissuto quotidianamente dai bambini.

Bibliografia Calandra L.M., Progetto geografia: percorsi di didattica e riflessione. Trento, Erickson, 2007. Ghelfi D., Il laboratorio di Geografia., Bergamo, Junior, 2000. Giorda C., La geografia nella scuola Primaria, Contenuti, strumenti, didattica. Roma, Carocci, 2006. Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione., Roma, 2012. Per accedere ai contenuti multimediali relativi a questo progetto: Link:

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I nomi della Storia nelle vie di Gussola (CR) Giuseppina Bacchi

Istituto

I.C. “Dedalo 2000”, Scuola secondaria di II grado, Gussola (Cremona)

Anno scolastico

2017-2018

Classi coinvolte

III B

Responsabile del progetto

Giuseppina Bacchi

Discipline coinvolte

Storia, Cittadinanza, Italiano

Docenti coinvolti

Giuseppina Bacchi

Il progetto didattico di studio della toponomastica cittadina di Gussola nasce dalla necessità di guardare con un occhio più attento i luoghi quotidianamente vissuti dai ragazzi, nella consapevolezza che i nomi dati alle vie, in particolare quelle di recente urbanizzazione, non sono più originati da forme naturali o artificiali del territorio, presenze vegetali, attività umane ecc., ma dalla volontà politica, nel senso più ampio del termine, dei cittadini e delle amministrazioni che li rappresentano e li governano; sono cioè frutto della necessità di ricordare fatti, persone e luoghi dal forte carattere simbolico e a volte identitario della comunità. Altro elemento sottolineato, il fatto che i nomi delle vie non sono dati una volta per tutte, ma cambiano con l’evolvere degli eventi storici o in occasione di particolari ricorrenze e anniversari.

Presentazione del progetto L’esperienza, dopo una prima fase motivazionale in classe, è partita con l’osservazione diretta e indiretta del centro cittadino per mezzo di stradari cartacei e sistemi informatici, è proseguita con l’utilizzo di fonti visive e documenti, la produzione di foto, la realizzazione e registrazione di interviste. Vi sono stati, in classe, vari momenti di riflessione e discussione sui materiali reperiti e prodotti, anche non correttamente, in un continuo farsi dell’elaborato finale che consiste in un cortometraggio.

Fasi operative 1. 2. 3. 4. 5.

Analisi dello stradario cittadino e selezione dei toponimi da indagare; Ricerca di informazioni e stesura di brevi testi relativi alle singole dedicazioni; Realizzazione di foto delle vie selezionate; Ricerca di immagini d’epoca (cartoline) degli edifici principali e delle vie; Realizzazione di un’intervista per raccogliere informazioni relativamente ad alcuni fatti della Resistenza a Gussola; 6. Stesura di un testo riassuntivo, con le conclusioni alle quali ha portato il lavoro e che viene registrato come audio del filmato; 7. Assemblaggio dei materiali prodotti. 53


Presupposto metodologico sono state l’osservazione della topografia urbana e la selezione degli elementi da indagare collegati alla storia generale e alla storia locale, in particolare all’antifascismo e alla Resistenza alla quale Gussola ha contribuito con un cospicuo numero di Martiri. Obiettivo del progetto, infatti, è stato anche rendere consapevoli gli alunni di questo elemento fortemente caratterizzante dell’identità cittadina, promuovere il loro senso civico anche attraverso la partecipazione alle manifestazioni del 25 aprile e ad altre attività organizzate, nel corso dell’anno, da associazioni locali.

Descrizione delle attività di Progetto • • • • • •

Intervento di un esperto in classe; Uscite sul territorio (in autonomia da parte degli alunni); Compilazione di brevi ricerche/schede per mezzo di materiali cartacei e informatici (in gruppo); Ricerca e produzione di materiali iconografici (in gruppo); Elaborazione del testo conclusivo per l’audio (in gruppo); Elaborazione del cortometraggio (in gruppo).

Strategie metodologiche, mezzi, strumenti Partendo dalle competenze e sensibilità dei singoli alunni, è stato intrapreso un percorso metodologico trasversale teso a valorizzare le abilità dei singoli e del gruppo, sia scolastiche sia extrascolastiche. L’osservazione intelligente della toponomastica cittadina, la ricerca, la realizzazione di un’intervista per raccogliere informazioni, la raccolta di dati forniti da fonti di vario tipo (iconografiche, documentarie, bibliografiche, orali ecc.) ha guidato e coinvolto gli studenti in un percorso formativo che tiene insieme il passato e il presente, la storia generale e la storia locale. Gli strumenti multimediali sono stati necessari per la realizzazione del lavoro e hanno dato l’opportunità, anche a chi è meno portato nelle discipline scolastiche, di esprimersi e di mettere in luce le proprie abilità tecnologiche in un percorso di inclusione nel prodotto del gruppo classe.

Attività svolte • • • • •

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Intervista al sig. Gaetano Quarenghi sui Tredici Martiri di Gussola e l’antifascista Carlo Comaschi Ricerche su vari siti e pubblicazioni a stampa per la realizzazione delle schede Reperimento immagini d’epoca Uscite sul territorio per osservare le vie e gli edifici e monumenti principali e scattare le foto Registrazione testo audio e assemblaggio del filmato


Testo audio del filmato Spesso guardiamo i luoghi nei quali viviamo in modo poco attento, senza renderci conto che i nomi dati alle vie spesso rispecchiano il desiderio dei cittadini di ricordare fatti, persone e luoghi importanti per la storia italiana oppure per la storia del nostro piccolo paese. La decisione del nome da dare ad una nuova via, o di cambiare quello di una che già esiste, viene presa dal Consiglio Comunale con una delibera che riporta anche la motivazione della proposta. Purtroppo, l’archivio del Comune di Gussola non è ordinato, così non è stato possibile svolgere lì le nostre ricerche per capire i motivi che hanno spinto i nostri genitori o i nonni a scegliere certi nomi invece di altri. Perciò, abbiamo cercato almeno di capire a quali periodi storici si riferiscono. Leggendo lo stradario, abbiamo visto personaggi famosi, date e luoghi legati al Risorgimento, come Cavour, Garibaldi, Mazzini e anche il musicista Giuseppe Verdi; il 20 settembre, data della breccia di Porta Pia; Mentana, luogo della famosa battaglia del 1867, poi Roma, la capitale d’Italia, Trento e Trieste, le città irredente, ma anche Fiume. Leggendo la Cronaca di don Lupi, parroco di Gussola nella prima metà del Novecento, abbiamo scoperto una cosa interessante: i nomi delle vie non sono dati una volta per tutte, ma cambiano quando succedono fatti importanti o in occasione di anniversari. Infatti, don Lupi scrive che, nel 1895, in occasione del 25° anniversario della presa di Roma, il Consiglio Comunale decise di cambiare nome ad alcune vie e piazze. Piazza Grande diventò piazza Roma, via Lungo le corti diventò via XX settembre e Piazza Piccola diventò piazza Mentana. Ecco spiegati almeno questi nomi. Ad un periodo storico vicino a questo è legata invece la via che porta il nome di Pietro Toselli, ufficiale dell’esercito italiano che morì ad Amba Alagi nel 1895, dopo aver combattuto valorosamente durante la guerra tra Italia ed Etiopia. Alla Resistenza e alla Liberazione fanno riferimento la via 13 martiri, tanti sono i gussolesi antifascisti morti nei giorni attorno alla Liberazione, alla quale è dedicata anche la via 25 aprile, così come la piazza Carlo Comaschi e, infine, via Repubblica. Al secondo dopoguerra possiamo associare invece nomi di politici come Antonio Gramsci, Enrico Berlinguer, Aldo Moro, Pietro Nenni e del sindacalista Giuseppe di Vittorio. Ancora più vicino ad oggi ci portano le vie dedicate a personaggi locali come Angelo Bergamonti, il motociclista gussolese morto nel 1971, e Tazio Magni, giocatore di Basket morto giovanissimo, e infine la Piazza 11 settembre che ricorda gli attacchi terroristici alle Torri Gemelle di New York nel 2001 con la morte di quasi 3.000 persone. Abbiamo scattato foto, girato filmati, cercato materiali e notizie su quei nomi che prima guardavamo in modo distratto…e ci è venuta un’idea: proporre al nostro Sindato un nome da dare alla prossima strada che sarà costruita. La scelta è caduta sui due giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i coraggiosi magistrati uccisi dalla Mafia nel 1992 che, secondo noi, non sono mai davvero morti perché le loro idee continuano a camminare sulle nostre gambe.

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Bibliografia Lupi D. A., Note di Cronaca di Gussola dal 1892 al 1922, a cura di M. Cappa e A. Assandri, s.l., s.d Tentolini R., Storia di Gussola, Parma, 1961 Cavatorti D. , Gussola e la sua gente, Reggio Emilia,1987 Cappa M. , La chiesa di S. Maria Annunciata in Gussola, Cremona, 2002 Storci C. e Quarenghi G., Caduti a Gussola per la libertà , Cremona, 2005 Cappelli M., Comune di Gussola. Censimento territoriale, s.l., s.d. (dattiloscritto) Siti Internet Cartoline d’epoca fornite da collezionisti privati Per accedere ai contenuti multimediali relativi a questo progetto: I nomi della Storia nelle vie di Gussola (video)

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ALLEGATI



L’importanza fondamentale del dare un nome alle cose, secondo Franco Farinelli e Zygmunt Bauman

I luoghi conservano la memoria dell’archetipica irriducibilità tra lo spazio e la sfera, sono ambiti che non si possono scambiare l’uno con l’altro, cui cioè si assegnano qualità uniche e specifiche. Per il controllo di queste qualità, nel mondo oggi si lotta. Per averne coscienza. (F. Farinelli)

Il nome è importante, non solo per i significati che include, ma perché l’atto di denominare non è un dato tecnico, ma descrive un processo culturale e intellettuale di primaria importanza. È nel nome che la lingua manifesta il suo carattere ontologico: nel nome il mondo viene alla presenza, nel nome l’uomo si apre alla verità del mondo. In esso la parola dell’uomo si apre, prima ancora che alla conoscenza del mondo, all’incontro con il mondo e la sua lingua si svela tutt’altro che semplice strumento per afferrare e impadronirsi di ciò che non ha lingua. Le cose esistono, ma non basta indicarle. Per comprenderle, perché acquistino per noi un significato, siano discutibili, entrino a pieno titolo nella riflessione pubblica e dunque siano oggetto di confronto, e di crescita, occorre che abbiano un nome. La facoltà di nominare come aveva intuito molto tempo fa Walter Benjamin nel suo Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo (1916), è quella condizione e quella possibilità che consente poi di dare un volto e, nel tempo, contenuto alle cose. Non consente solo di riconoscerle, ma di parlarne. Link:

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Dal piede al triangolo Cartografia & dintorni Monica Manicardi Provincia di Modena - Servizio Pianificazione Urbanistica, Territoriale e Cartografia

Il contibuto ripercorre le tappe fondamentali della produzione cartografica, dai primi strumenti di misurazione alle unitĂ di misura tradizionali. Si approfondisce poi quelle che sono le diverse tipologie di carte, sia attuali che storiche, e infine gli odierni metodi di rappresentazioni mediante proiezioni e sistemi di riferimento.

Presentazione dell’intervento

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APPENDICE



I relatori Fabrizio Anceschi Laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bologna. Docente di Materie Letterarie per le scuole secondarie di primo grado, ora in pensione. Socio effettivo della Deputazione di Storia Patria, Sezione di Reggio Emilia. Membro del comitato di redazione della rivista «Reggio Storia» in cui sono presenti suoi contributi relativi in particolare alla storia delle strade di Reggio e della Società Reggiana di Studi Storici. Ha collaborato, come coautore, a diverse pubblicazioni tra cui: Canossa prima di Matilde (Milano 1990), Carpineti oltre Matilde (Carpineti 2005), Medioevo Reggiano (Milano 2007), Storia della Diocesi di Reggio Emilia (Guastalla) con un contributo relativo alla storia dell’ordine benedettino. Giorgio Baruffini Laurea in Lettere con tesi in Storia Medievale presso l’Università di Bologna nell’anno accademico 1958-59. Dal 1959 insegnante nelle scuole superiori; dal 1984 al 2002 Dirigente scolastico nel Liceo “G. Ulivi” di Parma. Pubblicazioni: varie voci nell’Enciclopedia dantesca dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1970; Storia e antologia della letteraura italiana per le scuole superiori (in collaborazione), Milano 1971; Dizionario di toponomastica parmense, Parma 2005. Gabriella Bonini Responsabile scientifico della Biblioteca-Archivio Emilio Sereni di cui segue anche la programmazione editoriale. Già direttore del Museo del Po (Boretto) e responsabile del Museo della Terramara di Santa Rosa, è PhD in Scienze, tecnologie e biotecnologie agroalimentari presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. Tra le curatele: i Quaderni dal 2009 relativi alle varie edizioni della Summer School Emilio Sereni Storia del paesaggio agrario italiano. Inoltre, per l’attinenza alla formazione al paesaggio: Geografie, Storie, Paesaggi per un’Italia da cambiare (Aracne, 2013) e Paesaggi in trasformazione. Teorie e pratiche della ricerca a cinquant’anni dalla storia del paesaggio agrario italiano di Emilio Sereni (Editrice Compositori, 2014), Italia contadina (Aracne, 2018). Mario Calidoni Insegnante e ispettore tecnico per la Scuola Secondaria di primo grado, settore linguistico espressivo, ha svolto attività istituzionale sino al 2000 per poi proseguire con incarichi di docenza e coordinamento di progetti formativi. Esperto di Educazione al Patrimonio fa parte della Commissione nazionale Educazione e mediazione di ICOM ITALIA. Sin dalla prima edizione ha partecipato alla Summer School dell’Istituto Cervi e scritto contributi che compaiono nei Quaderni degli Atti dal 2012 al 2018, con continuità. Per lo specifico argomento dell’educazione al Paesaggio si segnala l’ultima pubblicazione con il saggio Paesaggio, spazio della formazione nel volume Paesaggi culturali, nuove forme di valorizzazione del patrimonio, Università Bicocca Milano e Regione Lombardia, 2016. Ilaria Di Cocco Laurea in Lettere classiche, con tesi in Topografia Antica e specializzazione in Archeologia, dottorato in Topografia antica e archeologia del territorio, attualmente responsabile dell’Ufficio Paesaggio del Segretariato Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo per l’Emilia Romagna dove coordina anche la costruzione del GIS, con interfaccia 65


web, nato per censire i danni del Sisma del 2012 sul patrimonio architettonico e ora volto alla georeferenziazione dell’intero patrimonio culturale emiliano-romagnolo. Valerio Ferrari Studioso di storia naturale e antropica del territorio padano e del suo paesaggio, con particolare attenzione per gli aspetti linguistici legati a queste tematiche. Si occupa da oltre trent’anni di toponomastica locale. Nel 1994 fonda l’Atlante toponomastico della provincia di Cremona, rivolto allo studio e all’interpretazione etimologica dei toponimi del territorio cremonese. È autore di innumerevoli lavori di carattere naturalistico, ambientale, territoriale e linguistico, tra cui il Lessico zoologico popolare della provincia di Cremona, dialettale etimologico. Ha ideato e allestito il Museo del Paesaggio padano come punto focale dell’ecomuseo della provincia di Cremona ed è direttore responsabile di riviste di argomento naturalistico e storico-territoriale a distribuzione nazionale e internazionale. Carlo Alberto Geminiani Ricercatore e docente di geografia all’Università degli studi di Parma, ha inoltre ricoperto incarichi di ricerca e didattica presso le Università di Genova, Torino e Trento. Si occupa di gestione e valorizzazione delle aree protette, del patrimonio rurale e dei paesaggi culturali, di aspetti metodologici legati al trattamento delle fonti cartografiche e fotografico-storiche, di storia della geografia e del pensiero geografico. Ha aperto varie linee di ricerca tra le quali si segnala per l’attinenza con il corso di formazione, la storia del territorio, della cartografia e della topografia. Stefano Piastra Professore Associato di geografia presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Dipartimento di Scienze dell’Educazione. Già Associate Professor presso la Fudan University, Institute of Historical Geography, Shanghai (2011-2014), si occupa di temi legati ai rapporti uomo-ambiente, al paesaggio, alla geografia culturale, al viaggio, con speciale riferimento all’Emilia-Romagna e alla Cina orientale. Luciano Sassi Diplomato all’Istituto Superiore di Roma in Conservazione di Beni archivistici e librari dal 1980 si occupa di ricerca storica e conservazione documentale. Dal 1990 concentra la propria ricerca storica sul rapporto fra alimentazione, gastronomia ed agricoltura. Dal 1994 si occupa di Disaster management nell’ambito dei beni culturali. Libero professionista dal 2010, è presidente di Ecomuseoisola, associazione che si occupa della valorizzazione storica del paesaggio agrario della bassa cremonese/ mantovana. È collaboratore della Biblioteca Archivio Emilio Sereni.

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Programma del corso VENERDÌ 3 NOVEMBRE 2017 ore 15 Gabriella Bonini (Biblioteca Archivio Emilio Sereni) Presentazione del Corso PAESAGGIO E PAESAGGI A SCUOLA Terza edizione Carlo Alberto Gemignani (Università degli Studi di Parma) Cartografia e storia dei luoghi Ilaria Di Cocco (Ufficio Paesaggio – MiBACT Segretariato regionale Emilia Romagna) Un esempio applicato - Il contributo della toponomastica alla ricostruzione del paesaggio agrario dell’Appennino piacentino alla luce della Tabula Alimentaria Veleiate Fabrizio Anceschi (Docente di Scuola Secondaria e collaboratore della rivista Reggio Storia) La toponomastica di una città: evoluzione storica e piste di lavoro LUNEDÌ 6 NOVEMBRE 2017 ore 15 Stefano Piastra (Università degli Studi di Bologna) Toponomastica e geografia Valerio Ferrari (Studioso di storia locale) Anche i campi hanno un nome: toponomastica rurale e antichi paesaggi. Luciano Sassi (Presidente Ecomuseo Isola Dovarese) Un esempio applicato - Etimi, confini, orizzonti. Fra storia e immaginazione: il disegno dei luoghi. Gianni Maiola (Sindaco Comune di Gattatico) La nominazione delle vie in un piccolo comune GIOVEDÌ 16 NOVEMBRE 2017 ore 15 Giorgio Baruffini (Studioso di storia locale) Natura e genti nella toponomastica dell’Appennino parmense A seguire: Workshop con gli esperti didatti Gabriella Bonini, Mario Calidoni, Luciana Coltri, Fabrizio Frignani, Luciano Sassi, per aiutare, indirizzare e supportare nella scelta del lavoro da svolgere in classe. MARTEDÌ 15 MAGGIO 2018 ore 15 Restituzione dei lavori didattici svolti in classe

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I partecipanti Luciana Amadasi Silvana Artioli Giuseppina Bacchi Emilia Bennardo Gianluca Bertolini Daria Bondavalli Monica Bottai Giovanni Carbonara Tiziano Catellani Maria Grazia Cavicchi Stefania Debbi Raffaella Di Ciaccia Maria Teresa Manente Antonella Manicardi M. Giulia Messori Daniela Mologni Elisa Montanari Luigi Previati Maria Cristina Riccardi Gian Carlo Roseghini Francesco Venotti Lorenza Zinani

Le scuole Istituto istruzione superiore “B. Russell”, Guastalla (RE) Istituto istruzione superiore “B. Pascal”, Reggio Emilia Istituto comprensivo “Falcone - Borsellino”, San Polo di Torrile (PR) Istituto istruzione superiore “S. D’Arzo”, Montecchio Emilia (RE) Istituto comprensivo “Dedalo 2000”, Gussola (CR) Istituto comprensivo “E. Fermi”, Gattatico (RE) Istituto comprensivo “G. Marconi”, Castelnovo di Sotto (RE) Istituto comprensivo “A. Parizzi”, Viadana (MN)

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euro 7,00

ISTITUTO ALCIDE CERVI Via F.lli Cervi n. 9 Gattatico (RE) Emilia Romagna - Italy www.istitutocervi.it biblioteca-archivio@emiliosereni.it


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