Bergamo Salute - 2021 - 62 - settembre/ottobre

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numero

62

Anno 11 Settembre | Ottobre 2021

www.bgsalute.it

Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 comma 1 LO/BG

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Allergie NON SOLO IN PRIMAVERA

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Attacchi di fame? ATTENZIONE ALL’INDICE GLICEMICO

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Psicologia E TU SAI CHIEDERE AIUTO?

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Arrampicata sportiva PER CORPO E MENTE

Bergamo Salute è sempre con te: leggila integralmente dal tuo computer, tablet o smartphone www.bgsalute.it

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Paralimpiadi

I nostri campioni di coraggio e determinazione Settembre/Ottobre 2021 | Bergamo Salute | 1


PREVENIRE È MEGLIO CHE CURARE

LE BUONE PRATICHE PER TENERE MONITORATO IL PROPRIO STATO DI SALUTE ORALE Per salute orale non si vuole intendere solamente assenza di malattia, ma molto di più: si tratstato di salute e di benessere della persona; esistono, ad esempio, correlazioni tra malocclusione dentale e alterazioni della postura corporea e tra parodontopatie e patologie dell’apparato cardiovascolare e diabete. Le malattie del cavo orale sono strettamente legate agli stili di vita (igienici e alimentari) e sono provocate in larga misura da batteri contenuti nella placca dentaria.

che visite specialistiche permettono il precoce intercettamento di eventuali processi patologici. Una buona igiene orale prevede innanzitutto il corretto spazzolamento dei denti, che deve avvenire almeno tre volte al giorno (dopo i interdentale. Tali manovre hanno lo scopo di eliminare meccanicamente la placca batterica dalle

residui di cibo. Per quanto riguarda invece le abitudini alimentari, un abbondante apporto di zuccheri con la dieta può determinare, da parte dei batteri cariogeni, la formazione di sostanze acide La mancanza di adeguati interventi di prevenzione può portare responsabili della demineralizzazione della componente inorgaad alti valori di prevalenza di carie e di parodontopatie, con per- nica dello smalto e della dentina. dita precoce di elementi dentari causa di edentulismo (parziale o Per questi motivi, le visite a cadenza periodica, oltre a creare una totale) e di conseguenti disagi funzionali ed estetici. La prevenzione delle malattie dei denti e delle gengive si fonda consapevolezza del proprio stato di salute, servono a far conosull’adozione e la pratica quotidiana di precise norme di com- scere i mezzi oggi a disposizione per una buona prevenzione e a portamento legate a pratiche di igiene orale. Inoltre, periodi- intercettare precocemente eventuali patologie.

LA PRIMA VISITA E LE VISITE PERIODICHE: IL RUOLO DELLO SPECIALISTA NELLA PREVENZIONE La prima visita odontoiatrica andrebbe fatta in età infantile, entro i tre anni di età. In questo modo, il professionista può verificare lo sviluppo dei denti, dell’ossatura della bocca e del palato e, in caso di piccoli problemi, può subito intervenire. È preferibile poi, sottoporsi regolarmente – almeno ogni 6 mesi - a visite periodiche dal dentista per identificare e poter curare, sin dalle prime fasi, eventuali processi patologici a carico dei denti e delle gengive.

LA DIAGNOSI PRECOCE In odontoiatria, le patologie dentali più comuni – la carie e la piorrea – sono patologie croniche e asintomatiche per molti anni. In certi casi, quando il paziente si rende conto del problema però, il rischio di danneggiare i denti potrebbe acutizzarsi.

INFORMARSI È IL PRIMO PASSO PER PREVENIRE


numero

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) EDITORIALE 7 Da domani... ) ATTUALITÀ 8 DAE: avanti tutta con il DDL1441 ) SPECIALITÀ A-Z 10 Allergologia Allergia autunnale 12 Chirurgia Cisti sebacea. Perché viene e come si cura 14 Dermatologia Le zecche: un possibile serbatoio di vari agenti infettivi ) PERSONAGGIO 18 Paralimpiadi I nostri campioni di coraggio e determinazione ) IN SALUTE 24 Stili di vita Cibi in scatola. Istruzioni per l’uso 28 Alimentazione Attacchi di fame? Attenzione all’indice glicemico ) IN ARMONIA 30 Psicologia E tu sai chiedere aiuto? 32 Coppia Matrimonio o convivenza? I consigli per una scelta consapevole

Anno 11 Settembre | Ottobre 2021

) IN FAMIGLIA 34 Dolce attesa Gravidanza e allattamento. Perché si offusca la vista? 36 Bambini I primi mille giorni di vita: una fase cruciale per lo sviluppo dei piccoli 38 Ragazzi Prevenzione andrologica in adolescenza ) IN FORMA 40 Fitness Arrampicata sportiva 42 Bellezza Tricodermopigmetazione ) ATS INFORMA 44 I caseifici d’alpeggio della Bergamasca ) RICETTA 46 Straccetti di seitan all’aceto balsamico ) RUBRICHE 54 Altre terapie Kinesio tape, un utile alleato senza farmaci 56 Guida esami Metabolismo lento o veloce? Te lo dice la calorimetria indiretta 58 Animali Calcoli nel cane. Come riconoscerli e cosa fare

) DAL TERRITORIO 60 News 62 Onlus Il Parkinson non è un morbo È un’inguaribile voglia di vivere 66 Farmacie L’evoluzione della farmacia dagli “spezieri” a oggi, passando attraverso la pandemia 70 BergamoScienza Scopriamo le sfide al mondo che cambia 73 Malattie rare Displasia fronto-facio-nasale ) STRUTTURE 74 Casamia Verdello ) REALTÀ SALUTE 77 Centro per l’Età Evolutiva 79 Associazione InsiemeAte Onlus 81 Centro Medico Boccaleone Allegato centrale: Amici di Bergamo Salute

PARTECIPANTI ALLA FONDAZIONE ITALIANA PER L’EDUCAZIONE ALIMENTARE

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EDITORIALE

Da domani... L’inizio del nuovo anno scolastico o lavorativo rappresenta per molti di noi un momento carico di buoni propositi, promesse, aspettative. È un po’ come se fosse davvero un “nuovo inizio” da cui ripartire abbandonando vecchie abitudini che ci stanno strette o sappiamo non farci bene. C’è chi decide che sarà la volta buona e che riuscirà a mettersi a dieta, chi giura a se stesso che comincerà a fare sport, chi si imporrà di dedicare meno tempo al lavoro e più a se stesso e alle cose che ama, troppo spesso sacrificate. Piccoli o grandi cambiamenti che però, spesso, nonostante l’impegno finiscono per restare lì, incompiuti, travolti

dalla routine, dallo stress quotidiano e dalle solite dinamiche del passato. Con la conseguenza che ci si sente in qualche modo sconfitti, frustrati, delusi da se stessi, fino al momento in cui si intravede di nuovo un altro spiraglio, l’opportunità di un nuovo inizio: che sia il lunedì (il prossimo o quelli seguenti) o Capodanno e così via. La verità è che cambiare non è facile. E soprattutto non basta un “colpo di spugna”. Il cambiamento è un’attitudine che deve essere coltivata consapevolmente, giorno dopo giorno, istante dopo istante, a cominciare da oggi, non da domani o lunedì. Solo così non si cade vittime dei propri auto-inganni.

Ovviamente serve motivazione (vera e profonda), determinazione ma anche uno sguardo più indulgente verso noi stessi, che accetti anche le nostre debolezze o i nostri errori e che ci stimoli a non arrenderci davanti alle “crisi” o agli “sgarri”, ma a trasformarli in momenti di passaggio che possono renderci più forti e consapevoli. E questo è anche il nostro augurio a tutti voi per la nuova fase appena cominciata!

Adriano Merigo Settembre/Ottobre 2021 | Bergamo Salute | 7


ATTUALITÀ

DAE: avanti tutta con il DDL1441 ∞  A CURA DI LELLA FONSECA

Ogni anno in Italia muoiono circa 70.000 persone per arresto cardiaco, 400.000 in tutta Europa. In generale non si tratta di persone malate, ma effettivamente o apparentemente sane (vedi box). Si valuta che più della metà di queste persone potrebbero essere salvate se soccorse in tempo in modo opportuno. Ma come e da chi? Sarebbero moltissimi i potenziali soccorritori in questo frangente, ma la maggior parte delle persone non sa come comportarsi e non interviene perché nessuno gli ha mai insegnato che cosa fare. Purtroppo non intervenire correttamente significa che quasi certamente la vittima dell’ar-

I dati forniti da Areu ad aprile 2021 riportano 1.871 defibrillatori sparsi sul territorio orobico, cioè uno ogni 588 abitanti. In Lombardia sono 13.447, uno ogni 741 abitanti” resto cardiaco morirà o riporterà danni cerebrali permanenti. Si deve agire entro circa 4 minuti, ecco perché non ci si può limitare ad aspettare un’ambulanza, anche se va sempre e comunque chiamata

attraverso il numero unico 112. La soluzione può essere ognuno di noi, con le nostre mani e, se è disponibile, con un Defibrillatore Semiautomatico Esterno (DAE). Il DAE è uno strumento complementare che può far ripartire il cuore, uno strumento semplice che tutti sono in grado di usare e che decide in modo automatico come intervenire sul cuore dell’infortunato. Il soccorritore si limita a eseguire i comandi dello strumento, probabilmente più facile da usare di un qualsiasi elettrodomestico (vedi box). In caso di arresto cardiaco è vitale che qualcuno chiami immediatamente i soccorsi, inizi subito la rianimazione (massaggio cardiaco,

Come si usa un DAE Il soccorritore procede all’applicazione degli elettrodi autoadesivi del DAE sulla pelle della vittima. Un elettrodo va posto sotto la clavicola destra mentre l’altro al di sotto dell’area mammaria sinistra lungo la linea ascellare anteriore (se la pelle è bagnata va pulita e asciugata e se il torace è particolarmente villoso sarebbe opportuno raderlo). Il DAE esegue automaticamente l’analisi del ritmo cardiaco, per evitare interferenze il soccorritore e tutti i presenti sono invitati dalla voce del DAE ad allontanarsi dal paziente. Se il DAE riconosce un ritmo cardiaco defibrillabile lo annuncia, si carica in pochi secondi e, emettendo un suono di allarme, invita a erogare lo shock. Il soccorritore si accerta che nessuno, lui compreso, tocchi il paziente, dopodiché eroga la scarica.

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ventilazioni) e che sia disponibile un DAE, in questo modo si possono aumentare di molto le possibilità di sopravvivenza. Quando non si dispone del DAE il soccorritore può solo seguire le manovre preliminari previste dalle Linee Guida per la Rianimazione Cardiopolmonare, ma in questo caso le possibilità di sopravvivenza calano drasticamente. Per imparare a usare il DAE servono solo cinque ore di corso BLSD, erogate da un centro di formazione accreditato dall’AREU (Agenzia Regionale Emergenza Urgenza Lombardia). Ma come si può trovare un DAE vicino a noi? Su www.areu.lombardia.it è disponibile una mappa che riporta i defibrillatori ufficialmente segnalati ad AREU e permette di localizzare quelli vicini alla nostra posizione, sono nate App dedicate e i DAE sono presenti anche sulle mappe Google, ma in modo ufficioso. La buona notizia è che i defibrillatori sul territorio aumenteranno nei prossimi anni perché a luglio 2021, dopo oltre due anni di attesa, è entrato in vigore il DDL1441 che cambia il panorama del primo soccorso con il DAE in Italia. La legge prevede la diffusione dei defibrillatori nei luoghi pubblici (come aeroporti, stazioni ferroviarie, porti e su mezzi di trasporto come aerei, treni, navi), nei luoghi di lavoro e nelle scuole e università. Oltre all’obbligo di dotare le strutture di defibrillatori è prescritto di formare il personale scolastico al primo soccorso, disostruzione e rianimazione. Viene inoltre abolita in modo chiaro la responsabilità

PERCHÈ IL CUORE SI FERMA? In caso di arresto cardiaco il cuore smette di pompare il sangue in circolo. Le cause possono essere molte, ma si dividono fondamentalmente in due categorie: > arresto “meccanico”, come un motore che si rompe; > arresto “elettrico”, cioè il sistema elettrico che ne dirige il funzionamento impazzisce. L’arresto meccanico di solito è l’evento finale di una malattia cardiaca, l’arresto elettrico invece si verifica frequentemente in persone apparentemente sane. Il cuore è dotato di un raffinato sistema elettrico che gli permette di contrarsi in maniera coordinata mantenendo un ritmo adeguato al suo funzionamento. Quando questo sistema non funziona correttamente si possono manifestare aritmie. Le aritmie sono molto comuni (la maggior parte di noi ha le cosiddette “extrasistoli” o “battiti mancanti”), di solito benigne e non causano nessun problema serio alla funzione di pompa del cuore. Esiste però un’aritmia particolarmente grave, la cosiddetta ”fibrillazione ventricolare” in cui l’attività elettrica del cuore è talmente scoordinata che lo stesso non è in grado di fare circolare il sangue nell’organismo. La fibrillazione ventricolare causa il 50-80% degli arresti cardiaci e ha una caratteristica: nei primi minuti può essere interrotta dal defibrillatore, che azzera l’attività elettrica anomala e fa ripartire il cuore con il suo ritmo normale. Quando il sangue smette di circolare per effetto della fibrillazione ventricolare il cuore e il cervello resistono solo per pochi minuti quindi se non si agisce in fretta purtroppo le possibilità di sopravvivenza diventano molto poche.

penale, come già previsto dall’articolo 54 del Codice Penale: chiunque potrà utilizzare un defibrillatore per salvare vite in caso di estrema necessità senza rischi giudiziari, anche senza aver frequentato un corso BLSD (comunque altamente raccomandabile). La nuova normativa colloca l’Italia all’avanguardia per quanto riguarda la riforma del

primo soccorso. Molte delle innovazioni introdotte nel nostro Paese sono presenti anche nelle nuove linee guida europee sul primo soccorso recentemente aggiornate e pubblicate dal European Resuscitation Council (ERC) sulla base delle raccomandazioni di International Liaison Committee on Resuscitation (ILCOR).

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SPECIALITÀ A-Z

ALLERGOLOGIA

Allergia autunnale Chi l’ha detto che allergia fa per forza rima con primavera?

∞  A CURA DI STEFANIA MILANI

Esistono allergie che si manifestano durante tutto l’anno. Tra le più diffuse nei Paesi Occidentali c’è quella agli acari della polvere, microscopici insetti, invisibili a occhio nudo, che vivono nella polvere e si depositano su materassi, cuscini, coperte, tende, peluche etc., che colpisce circa il 20% della popolazione. In questo periodo dell’anno, in particolare, senza rendercene conto viviamo ancor a più stretto contatto con loro. Con l’arrivo del freddo infatti tendiamo a passare molto più tempo in ambienti chiusi, poco arieggiati, nei quali si deposita una maggior quantità di polvere, condizioni che ne favoriscono la proliferazione.

UNA REAZIONE ANOMALA DEL SISTEMA IMMUNITARIO Per allergia s’intende una risposta anomala del sistema immunitario scatenata dal contatto con sostanze estranee all’organismo che comunemente sono innocue. Nelle persone ereditariamente predisposte le allergie causano sintomi, infiammazioni e patologie a carico di differenti organi e apparati (polmone, pelle, occhi e naso). Chi è predisposto, quando viene a contatto con sostanze estranee normalmente innocue (gli allergeni), produce con molta facilità e in grande quantità un tipo di anticorpi, le immunoglobuline E (IgE), che

scatenano le reazioni allergiche. L’allergia è quindi una condizione in cui il sistema immunitario riconosce una sostanza estranea normalmente innocua (allergene) come se fosse un agente aggressivo da cui difendersi, scatenando una violenta reazione infiammatoria.

DAL NASO CHE COLA AL PRURITO CUTANEO Alcuni sintomi dell’allergia sono piuttosto simili a quelli di un comune raffreddore: attacchi di starnuti, congestione nasale, tosse e difficoltà respiratorie con respiro sibilante. A questi, poi, se ne possono aggiungere altri sintomi, tra cui gonfiore e arrossamento agli occhi, fastidio alla luce, arrossamento e prurito cutaneo, soprattutto a viso e cuoio capelluto.

COME DIAGNOSTICARLA In genere i sintomi di un’allergia agli acari non sono legati alla stagionalità e peggiorano in certe situazioni (ad esempio sotto sforzo o se si en-

Come in tutte le forme di allergia, anche per l’allergia agli acari esiste una predisposizione genetica, ma si può sviluppare anche nel corso degli anni”

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tra in un ambiente poco areato). La certezza però può essere ottenuta solo con un’adeguata visita dallo specialista che indicherà quali test cutanei (prick o patch test) ed esami del sangue siano necessari. I test allergometrici, che vengono prescritti ed effettuati dallo specialista allergologo, costituiscono valido e consolidato mezzo diagnostico. Inoltre sono di facile, veloce e sicura esecuzione. Minimamente invasivi sono ben tollerati anche dai bambini di età scolare.

DAI COLLIRI AL VACCINO, TRATTAMENTI DIVERSI A SECONDA DELLA GRAVITÀ DEI SINTOMI La terapia più efficace viene valutata dallo specialista, dopo aver considerato la gravità dei sintomi. In generale, il primo provvedimento per limitare il rischio d’insorgenza delle reazioni allergiche è limitare il più possibile l’esposizione all’allergene con anche alcuni accorgimenti quotidiani che possono aiutare a ridurre il contatto con gli acari. Per attenuare i sintomi nella fase acuta dell’allergia, lo specialista potrà valutare se prescrivere una terapia farmacologica a somministrazione topica, ovvero locale, come colliri, spray nasali, devices per la cura dell’asma. Una classe di farmaci usata sono anche gli antistaminici che riducono il rilascio di istamina nel sangue e alleviano la maggior


parte dei sintomi, in particolare prurito, starnuti o lacrimazione ma che purtroppo non hanno alcun potere antinfiammatorio e quindi non sono curativi a differenza della terapia topica. L’effetto collaterale tipico degli antistaminici per via orale di vecchia generazione, cioè la sonnolenza, oggi è molto limitato. Nel caso in cui questa terapia

non dia i risultati sperati e per una copertura più duratura dalle reazioni allergiche, un’alternativa può essere il ricorso all’immunoterapia specifica, il cosiddetto vaccino. L’immunoterapia specifica ha il vantaggio di agire oltre che alleviando i sintomi, combattendo anche le cause dell’allergia. L’Organizzazione Mondiale della Sani-

IL VADEMECUM PER RIDURRE L’ESPOSIZIONE AGLI ACARI > Mantenere l’umidità relativa nell’ambiente inferiore a 50% e la

temperatura inferiore a 22°C. > Limitare la diffusione e la riproduzione degli acari mediante

periodico lavaggio della biancheria del letto con acqua calda a temperatura superiore ai 60° C, nonché rivestendo materassi e cuscini con federe antiacaro. > Evitare di abbandonare, dopo l’uso, stracci ancora bagnati e sporchi. > Asportare quotidianamente la polvere dalle superfici con panni umidi. > Aspirare regolarmente ogni settimana tappeti e imbottiti con aspirapolvere dotati di filtri HEPA (High Efficiency Particulate Air Filters). > Arieggiare continuamente e quotidianamente l’ambiente Evitare la presenza di tappeti, tende, giocattoli, peluche, libri, giornali. > Esporre la biancheria da letto (lenzuola, federe, coperte, cuscini ecc.) alla luce del sole. > Privilegiare arredi che non trattengono polvere e che siano facili da pulire con un panno umido. > Ricoprire poltrone e divani con materiale impermeabile e lavabile.

DOTT.SSA STEFANIA MILANI Specialista in Allergologia e Immunologia Clinica Responsabile del Servizio Ambulatoriale di Allergologia respiratoria, alimentare e farmacologica del Policlinico San Marco, Smart Clinic Le due Torri e Oriocenter

tà la riconosce infatti come unico trattamento che può “portare alla guarigione dell’allergia e cambiare la qualità di vita del paziente”. Si basa sulla somministrazione alla persona allergica di piccole quantità degli estratti allergeni che provocano la reazione allergica, così da indurre il sistema immunitario a tollerare l’allergene stesso. La somministrazione può avvenire con due modalità: sublinguale o sottocutanea. Nel primo caso l’allergene viene lasciato per pochi minuti sotto la lingua. Questa forma è generalmente ben tollerata e può essere gestita dal paziente stesso al domicilio. In alternativa l’allergene può essere iniettato sottocute dall’allergologo in ambito ospedaliero a dosi crescenti, fino a raggiungere la dose massima terapeutica. Per entrambi i tipi di somministrazione la durata del ciclo terapeutico varia dai 3 ai 5 anni a seconda dell’allergene in causa. Questa terapia provoca raramente effetti collaterali e si tratta di lievi reazioni locali (prurito o gonfiore nel sito di iniezione o occasionali formicolii in bocca e gonfiore in sede sublinguale in caso di assunzione sublinguale).

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SPECIALITÀ A-Z

CHIRURGIA

Cisti sebacea Perché viene e come si cura ∞  A CURA DI MAURO MONTUORI

Una piccola “pallina” sotto la pelle in particolare del cuoio capelluto, del dorso e del collo. Inizialmente di pochi millimetri, non dolorosa, può progressivamente ingrandirsi fino a raggiungere i 4-5 centimetri e dare fastidio. È la cisti sebacea, disturbo molto frequente, che può interessare uomini e donne di qualsiasi età.

UN ACCUMULO DI SEBO E CELLULE MORTE La cisti sebacea è una neoformazione benigna del sottocute causata dall’occlusione di una ghiandola sebacea o del suo condotto. Nonostante le ghiandole sebacee siano presenti ovunque le sedi più frequenti in cui si formano le cisti sebacee sono il cuoio capelluto, il dorso e il collo. Le ghiandole sebacee ricoprono praticamente tutto il nostro corpo, a parte le piante dei piedi e i palmi delle mani e, come dice il nome, sono deputate alla produzione del sebo. Quando, in seguito a un piccolo trauma locale come un graffio o per una malattia della pelle la ghiandola si chiude, non riesce più a smaltire la secrezione di sebo e le cellule morte. Il risultato è che questi materiali si accumulano dando origine alla cisti.

COME RICONOSCERLA La cisti sebacea appare come un

piccolo rigonfiamento rotondeggiante sottocutaneo con crescita molto lenta, dalle dimensioni di pochi millimetri ai 4-5 centimetri. Normalmente la cisti non provoca dolore, ma solo fastidio locale e può rappresentare un inestetismo. In alcuni casi, però, conseguentemente allo sfregamento dei tessuti o dell’utilizzo di alcuni deodoranti o creme, si può infiammare, causando dolore, gonfiore e rossore. Per la diagnosi è sufficiente un accurato esame obiettivo con ispezione e palpazione della lesione. Molto raramente potrebbe essere necessaria una conferma ecografica, essenzialmente per porre diagnosi differenziale con un’altra frequente patologia del sottocute, il lipoma, che tuttavia ha una consistenza più morbida e una mobilità maggiore rispetto alla cisti sebacea.

VIETATO IL “FAI DA TE” La prima tentazione di fronte a una cisti sebacea è “spremerla”. Questa operazione determina la fuoriuscita del sebo, un materiale biancastro-giallastro, spesso maleodorante, e può in effetti dare un miglioramento della sintomatologia contribuendo a svuotare in parte la cisti. Attenzione però: il beneficio è apparente e solo iniziale. La “spremitura” infatti apre un canale di ingresso per i batteri,

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che possono quindi penetrare all’interno della cisti e trovare terreno fertile per proliferare e causare infiammazione locale, accompagnata da importante dolore e da arrossamento, e a volte anche da febbre. Inoltre “spremere” la cisti non risolve il problema in quanto

IL SEBO È composto da una miscela di diversi lipidi (grassi) secreta dalle ghiandole sebacee della pelle di quasi tutti i mammiferi. Il sebo ha tre funzioni principali: 1. contribuisce, con il sudore, alla formazione del film idro-lipidico di superficie che protegge la superficie cutanea dalle aggressioni chimiche e batteriche e controlla la perdita di acqua dall’epidermide; 2. lubrifica la superficie esterna della pelle; 3. determina l’odore della pelle, proprietà che spesso si desidera sopprimere nella sociatà attuale.


la capsula resta in sede e continua a produrre sebo.

LA CHIRURGIA PER RISOLVERE IL PROBLEMA ALLA RADICE Sebbene in caso di dimensioni modeste la cisti sebacea possa essere trattata con soluzioni topiche come creme cortisoniche o antibiotiche, l’unica cura radicale è l’asportazione chirurgica. Si tratta di un intervento di chirurgia ambulatoriale, che si esegue in anestesia locale, con un’incisione delle dimensioni approssimative della cisti stessa, che asporta la cisti nella sua interezza. L’asporta-

zione completa della capsula della cisti permette di evitare la recidiva. L’intervento è sconsigliato, però, se la cisti è infiammata. In quel caso sarà necessaria una terapia mirata prima dell’intervento chirurgico, per risolvere il processo infettivo. Questa si avvale di antibioticoterapia per via orale ed eventualmente locale, associata in alcuni casi all’incisione della cisti per permettere la fuoriuscita del pus. Dopo l’incisione sarà poi necessario un ciclo di medicazioni sino alla guarigione dal processo infiammatorio acuto.

DOTT. MAURO MONTUORI Specialista in Chirurgia Generale UO Chirurgia Generale e Oncologica Policlinico San Pietro di Ponte San Pietro

RIGONFIAMENTO

SECREZIONE DI SEBO E CELLULE MORTE

CAPSULA

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SPECIALITÀ A-Z

DERMATOLOGIA

Le zecche: un possibile serbatoio di vari agenti infettivi ∞  A CURA DI LUIGI NALDI

Trasferiamoci, per cominciare, a Lyme, cittadina statunitense nello Stato del Connecticut, lo stato più meridionale del New England. Nel 1975, a Lyme si iniziò a osservare un inspiegabile aumento di artriti, soprattutto in persone giovani. L’artrite era spesso preceduta da lesioni cutanee. Si trattava di anelli di eritema che andavano allargandosi progressivamente fino a raggiungere un diametro di svariati centimetri. Si deve al batteriologo svizzero, naturalizzato statunitense, Willy Burgdorfer, la scoperta, nel 1981, che la strana malattia osservata nel Connecticut, e poi in molte altre zone del globo, era dovuta a un batterio trasmesso dalla puntura di zecca. Il batterio in causa prese, dal suo scopritore, il nome di Borrelia burgdorferi e la strana malattia prese il nome, dalla cittadina dove

era stata per la prima volta osservata, di malattia di Lyme. Questa la storia. Ma vediamo ora di capire qualcosa di più sulle zecche e sui problemi che possono derivare all’uomo dalla loro puntura.

UNA “MINACCIA” NON SOLO ESTIVA Le zecche sono artropodi della classe degli aracnidi, la stessa classe cui appartengono ragni, acari e scorpioni. Si tratta di parassiti con dimensioni che variano da qualche millimetro a circa un centimetro di diametro massimo, secondo la specie e lo stadio di sviluppo. Il corpo è tondeggiante e il capo è munito di un apparato boccale definito come rostro in grado di penetrare la cute e succhiare il sangue degli ospiti. Le zecche sono presenti in tutto il mondo. Se ne conoscono circa 900 specie; le specie più dif-

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fuse e rilevanti da un punto di vista sanitario, sia in Italia sia in Europa, sono Ixodes ricinus (la zecca dei boschi), Rhipicephalus sanguineus (la zecca del cane), Hyalomma marginatum e, a diffusione più recente, Dermacentor reticulatus. Il ciclo biologico delle zecche, che può compiersi su uno stesso ospite oppure su due o tre ospiti diversi, avviene attraverso quattro stadi: uovo, larva, ninfa e adulto. Dopo la schiusa delle uova, il passaggio da uno stadio a quello successivo richiede un pasto di sangue. Inoltre, le femmine adulte necessitano del pasto di sangue per la maturazione delle uova. Le zecche non sono molto selettive nella scelta della specie da parassitare, potendo passare, indifferentemente, dai cani ai cervi, dagli scoiattoli al toporagno o all’uomo. Il pasto di sangue, durante il quale la zecca


rimane costantemente attaccata all’ospite, si compie nell’arco di ore, giorni o anche settimane. L’attività delle zecche è strettamente legata ai valori di temperatura e umidità ambientale e la loro attività si concentra generalmente nei mesi caldi. Tuttavia, i cambiamenti climatici in atto possono far variare il periodo di attività delle zecche. Durante la stagione invernale si rifugiano nelle fessure delle rocce o nelle crepe dei muri o s’interrano in profondità. L’habitat preferito delle zecche è rappresentato da luoghi ricchi di vegetazione erbosa e arbustiva. Le zecche non saltano e non volano, ma si portano sull’estremità delle piante erbacee o dei cespugli aspettando il passaggio di un animale al quale aggrapparsi, incluso l’uomo, che riconoscono grazie all’anidride carbonica emessa e al calore del corpo. La puntura è generalmente indolore perché le zecche inoculano nell’ospite, con la puntura, una certa quantità di saliva che ha proprietà anestetiche. Generalmente rimangono attaccate all’ospite per un periodo che varia tra i due e i sette giorni e poi si lasciano cadere spontaneamente.

LE ZECCHE E L’UOMO La puntura di zecca non è di per sé pericolosa per l’uomo. I rischi sanitari dipendono dalla possibilità di contrarre infezioni trasmesse dalle zecche in qualità di vettori, cioè portatrici di agenti infettivi (protozoi, batteri e virus). Tra le

malattie, rilevanti in Italia, oltre alla malattia di Lyme, la febbre bottonosa del Mediterraneo, la tularemia, la febbre Q (vedi tabella). Esistono alcune precauzioni per ridurre significativamente la possibilità di venire a contatto con le zecche o per individuarle rapidamente. In generale, è consigliato: > Indossare durante le attività in aree ricche di vegetazione pantaloni lunghi e camicie con maniche lunghe e utilizzare preferibilmente un cappello e abiti di colore chiaro che facilitano l’individuazione del parassita; > non addentrarsi nelle zone in cui l’erba è alta; > al termine di un’escursione, effettuare un attento esame della propria pelle, dei propri indumenti e rimuovere le zecche eventualmente presenti. Le zecche sulla pelle sono individuabili come puntini neri, fissi che crescono progressivamente di diametro nell’arco di svariate ore; > trattare gli animali domestici con appositi prodotti contro le zecche; > utilizzare repellenti in commercio che scoraggiano l’attacco delle zecche (a base, ad esempio, di DEET).

COSA FARE SE SI È PUNTI Quando individuate sulla pelle, le zecche debbono essere pronta-

DOTT. LUIGI NALDI Specialista in Dematologia UOC Dermatologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza e Presidente Centro Studi GISED, Bergamo

mente rimosse. La probabilità di contrarre un’infezione è direttamente proporzionale alla durata della permanenza del parassita sull’ospite. Infatti, solo dopo un certo periodo di ore, la zecca può rigurgitare parte del pasto, inoculando nel sangue dell’ospite eventuali patogeni. Ai fini della rimozione, la zecca deve essere afferrata con una pinzetta a punte sottili, il più possibile vicino alla superficie della pelle, tirando dolcemente e imprimendo un leggero movimento di rotazione. Bisogna evitare di schiacciare il corpo della zecca, per ridurre il rischio di rigurgito che aumenta la possibilità di trasmissione di agenti patogeni. In commercio esistono anche appositi estrattori di zecche. Se il rostro rimane infisso nella cute può essere estratto con un ago sterile o con pinzette

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SPECIALITÀ A-Z

DERMATOLOGIA

a punte sottili adeguatamente sterilizzate. Teoricamente, può essere utile conservare la zecca in una boccetta con alcol al 70% per una successiva identificazione morfologica e ricerca degli agenti patogeni in caso di comparsa di sintomi. Se non si è coperti, va considerata la profilassi antitetanica. È bene tenere controllata la zona della puntura per 30-40 giorni. È importante ri-

volgersi al medico curante nel caso si noti un alone rossastro che tende ad allargarsi, a partire dalla sede di puntura (eritema migrante), oppure per comparsa di febbre, mal di testa, debolezza, dolori alle articolazioni, ingrossamento dei linfonodi. La somministrazione di antibiotici nel periodo di osservazione non è, in genere, consigliata, perché può mascherare eventuali segni di

malattia e rendere più complicata la diagnosi. In presenza di segni o sintomi sospetti, specie in persone che hanno soggiornato in aree boschive o rurali, sono possibili test sierologici come la ricerca degli anticorpi anti-Borrelia che confermano l’infezione. Per lesioni cutanee sospette, ad esempio nella febbre bottonosa, può anche essere considerata una biopsia cutanea.

Malattia

Agente patogeno

Manifestazioni cliniche

Diffusione in Italia

Malattia di Lyme o Borelliosi di Lyme

Borrelia Burgdorferi

Precocemente: Eritema migrante Febbre Più tardivamente: Sintomi neurologici Artrite Sintomi oculari Alterazioni cutanee atrofizzanti

Regioni dell’arco alpino, Liguria, Toscana, Emilia-Romagna

Febbre bottonosa del Mediterraneo

Rickettsia conorii

Precocemente: sintomi simili a quelli dell’influenza lesioni cutanee maculo-papulose anche palmo-plantari Più tardivamente (rare): complicanze cardiovascolari, renali e neurologiche

Regioni del Sud e Isole

Tularemia

Francisella tularensis

Tumefazione dolorosa dei linfonodi accompagnata da ulcerazione cutanea in corrispondenza del punto di ingresso del microrganismo Febbre e malessere generale

Aree rurali

Febbre Q

Coxiella burnetii

Precocemente: sintomi simili a quelli dell’influenza polmonite, epatite Più tardivamente (rara): endocardite

Aree rurali

16 | Bergamo Salute | Settembre/Ottobre 2021



PERSONAGGIO

PARALIMPIADI

I nostri campioni di coraggio e determinazione In pista o in vasca, gli atleti disabili italiani hanno dimostrato la loro classe. Tra loro anche cinque bergamaschi

∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Per tanti anni sono stati definiti minorati, storpi, menomati, poi tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso handicappati che, spesso, i genitori preferivano nascondere tra le pareti domestiche per vergogna o per evitare commenti crudeli. Ora si chiamano persone con disabilità e non sono più reclusi. Anzi come hanno dimostrato le recenti Paralimpiadi di Tokyo questi ragazzi e ragazze con una gamba in meno o ciechi o in carrozzina hanno dimostrato di non essere assolutamente inferiori ai cosiddetti normodotati. Se il bresciano Jacobs ha vinto i 100 metri e la staffetta alle Olimpiadi di Tokyo, Ambra Sabatini, Martina Caironi, Monica Contraffatto, ognuna di loro senza una gamba, hanno battuto tutti i record classificandosi prima, seconda e terza alle Paralimpiadi sulla stessa distanza e sulla stessa pista di Jacobs. E allora? Possiamo ancora dire che si tratta di handicappati o, peggio, menomati come li chiamavano una volta? No! Sono atleti che si allenano per ore con tanti sacrifici e vanno nelle scuole a raccontare la loro storia e la loro disavventura e a convincere i ragazzi con pro-

blemi fisici e mentali a non abbattersi, a scoprire lo sport. “Le attività rivolte al mondo della scuola, universo nel quale quotidianamente i giovani formano la loro personalità e costruiscono il sistema dei valori, occupano un posto di primo piano nella definizione delle politiche del CIP, volte a promuovere, su tutto il territorio nazionale, la massima diffusione della cultura paralimpica e l’avvicinamento alla pratica sportiva di un numero sempre più elevato di giovani con disabilità” scrive sul suo sito il Comitato Italiano Paralimpici. “Per compiere la sua mission, il Comitato Italiano Paralimpico ha avviato, già a partire dal quadriennio 2013-2016, una stretta collaborazione con il MIUR, rafforzata a seguito del riconoscimento del CIP quale ente autonomo con personalità giuridica di diritto pubblico, che ha contribuito a far crescere la partecipazione dei ragazzi con disabilità su progetti e iniziative a livello territoriale e nazionale indirizzati alle Istituzioni Scolastiche, in piena condivisione con il mondo sportivo olimpico. Si avvale, inoltre, del contributo della Commissione Nazionale Scuola, istituita dalla Giunta Nazionale e

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composta da esperti del mondo sportivo e scolastico. Suo il compito di supportare la pianificazione e lo sviluppo delle attività del CIP rivolte alla Scuola ed alle Università. Per attuare e promuovere sempre più concretamente la cultura dell’inclusione nel segno dello sport, il CIP incentiva lo svolgimento di attività di divulgazione della cultura paralimpica e di orientamento ed avviamento allo sport paralimpico di alunni e studenti frequentanti gli istituti di istruzione primaria e secondaria, attraverso percorsi condivisi con i singoli istituti scolastici che, nel quadro delle autonomie scolastiche e tenendo conto dello specifico contesto di riferimento, siano interessati a collaborare per arricchire la crescita culturale e la formazione dei propri iscritti attraverso progetti che favoriscano la piena inclusione e l’ampliamento delle opportunità di apprendimento e sviluppo della personalità tramite l’attività paralimpica”. E i cinque atleti che rappresentavano l’Italia e Bergamo alle Paralimpiadi di Tokyo sono stati all’altezza dei loro competitor. Ma vediamo chi sono i nostri eroi orobici…


BISOGNA SEMPRE REAGIRE COME HO FATTO IO È l’atleta paralimpica più famosa e veloce nei 100 metri: medaglia d’oro a Londra e a Rio, mondiali e record sulla distanza e nel salto in lungo. Ma a Tokio si è dovuta accontentare di due argenti battuta dalla sua allieva. Martina Caironi, 32 anni, di Borgo Palazzo, ha reagito alla sua maniera: ha mimato in diretta televisiva mondiale l’incoronazione della sua compagna di stanza Ambra Sabatini anche lei senza una gamba perduta in un incidente stradale. A Tokyo lei, MARTINA CAIRONI Ambra e Monica Contraffatto hanno fatto il vuoto classificandosi ai primi tre posti, un risultato eccezionale nella storia dell’atletica. Ambra, che ha perduto una gamba in un incidente stradale, e Monica, caporal maggiore, ferita in Afghanistan mentre era militare, hanno deciso di dedicarsi alla corsa veloce vedendo in tv dal loro letto d‘ospedale proprio Martina vincere gli ori ai mondiali e alle Paralimpiadi. Tra loro è nata una forte amicizia senza gelosie tanto che la campionessa bergamasca ha così commentato la vittoria della Sabatini: «Ambra a 19 anni ha fatto quel che io ho fatto in una carriera, ma non mi brucia, è il riconoscimento di tante battaglie portate avanti. Adesso c’è attenzione al nostro mondo, anche mediatica. Sono stati introdotti i premi in denaro, abbiamo medici, fisioterapisti, infermieri, alcuni di noi sono aiutati anche dagli sponsor. E sono solo esempi. Conta più del fatto che qualcuno mi possa battere. Lo sport in fondo è competitività e permette di migliorarti ogni giorno». E già pensa ai prossimi Giochi che si terranno a Parigi nel 2024 e all’impegno nel Comitato Paralimpico Internazionale dove è stata eletta con un suffragio quasi universale dagli altri atleti di scena a Tokyo. «Ma sono anche portavoce dei diritti femminili», ha scritto sul Vatican News. «Alle donne voglio mandare un messaggio, a loro voglio dire di non chiudersi e di uscire perché fuori ci possono essere tanti aiuti. Io sono una donna con disabilità e guardatemi bene, vi sembro debole? No, non lo sono! Io sono il segno che bisogna sempre reagire». Esattamente come ha fatto lei, che, dopo l’incidente sulla Vespa guidata dal fratello e l’amputazione della gamba sinistra, reagisce e scopre l’atletica. E diventa la campionessa che conosciamo non soltanto nello sport, ma nella vita quotidiana. Guida l’auto, va a ballare, va nelle scuole a raccontare la sua storia e si interessa dei più sfortunati. Intanto è apparsa anche al Festival del Cinema di Venezia: ha dato il suo volto al cortometraggio “Ripartenza: l’Italia unita contro il Covid 19”. «Durante il lockdown, dopo essere stati chiusi in casa» commenta «ci siamo accorti di quanto sia importante lo sport come valvola di sfogo».


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PARALIMPIADI

CON L’IMPEGNO TUTTO È POSSIBILE «Nella vita tutto è possibile, se ci si mette l’impegno i risultati arrivano». Così Oney Tapia, bergamasco di origine cubana, ha commentato le sue due medaglie di bronzo nel peso e nel disco alle Paralimpiadi di Tokyo. Lo chiamano il guerriero, un soprannome che gli calza a pennello visto le difficoltà della sua vita che ha dovuto affrontare e superare. Arriva in Italia vent’anni fa per giocare come lanciatore nella squadra di baseball di Lodi. È bravo, alto quasi un metro e 90 per 100 chili di peso. Si mette ONEY TAPIA subito in luce e passa nel Montorio Veronese, successivamente inizia a giocare a rugby e per mantenersi fa il giardiniere. Non si lamenta mai. È un tipo riservato tanto che tiene segreto anche i nomi della moglie e delle tre figlie. Ma il destino è in agguato, mentre lavora un grosso tronco lo colpisce in volto, la sentenza dei medici è terribile: cecità. Ma da buon guerriero non si arrende e lui che è uno sportivo nato inizia un nuovo percorso con l’atletica leggera paralitica con l’Omero Runners Bergamo. Va ad abitare a Sotto il Monte, il paese natio di Papa Giovanni. «Un giorno mi chiesero di andare a fare una gara a Siracusa» ha raccontato il guerriero «presi il disco in mano, lo lanciai e feci il record italiano. Uno dopo l’altro superavo tutti i record. La vita mi si è stravolta, stravolta nel senso positivo del termine». Un primato che durava da 14 anni. Nel 2016 vince la medaglia d’oro agli Europei, un argento alle Paralimpiadi di Rio, poi ancora oro nel peso e nel disco agli Europei di Berlino e un argento ai Mondiali di Dubai e ora questi due bronzi a Tokyo. Ma il guerriero trova anche il tempo tra un lancio del disco e un getto del peso, di partecipare nel 2017 a “Ballando con le stelle” in coppia con Veera Kinnunen e anche lì è un trionfo. E “Più forte del buio” . “Niente può fermare i miei sogni” che è il titolo della sua autobiografia. Diventa anche ambasciatore dello Sport Paralimpico. «Io questo ruolo di Ambasciatore» confida il guerriero «lo vivo con serenità e consapevolezza. Poter condividere la mia esperienza con tutte le persone è una bella cosa perché quando hai un incidente ti puoi buttare giù oppure trasformarlo in un’opportunità per te stesso e diventare uno stimolo per altri. Cerco così di sensibilizzare le persone. Ma girando per l’Italia ho capito che ai nostri ragazzi bisogna dare un’istruzione precisa, corretta. Hanno bisogno di punti di riferimento perché spesso sono fragili e questo mi costringe a dare il massimo impegno per portare un messaggio positivo». Un impegno premiato anche con la nomina a “Ufficiale Ordine al merito della Repubblica Italiana”.


LO SPORT TI CAMBIA LA VITA Lei, Giulia Terzi di Arzago d’Adda, e il suo fidanzato Stefano Raimondi, veronese di Soave, hanno sbancato le Paralimpiadi di nuoto a Tokyo portandosi a casa dodici medaglie. Lei cinque (due d’oro nei 100 stile libero e nella staffetta 4x100 femminile, due d’argento nei 400 stile e nella staffetta mista, una di bronzo nei 50 farfalla), lui ben sette (una d’oro, quattro d’argento e due di bronzo). Due ragazzi che con la forza di volontà e l’affetto della GIULIA TERZI famiglia sono riusciti a superare ogni ostacolo diventando la regina e il re del nuoto. Giulia Terzi ha scoperto la piscina e il nuoto grazie alla mamma Stefania ex nuotatrice. Classe 1995, la campionessa, tesserata con la PolHa Varese e il Gruppo Sportivo Fiamme azzurre, è cresciuta con una scoliosi congenita, rara, con coinvolgimento midollare e deficit di forza alle gambe, soprattutto, e alle braccia, che però non ha impedito a Giulia di affrontare una carriera agonistica nel nuoto. In vasca entra all’età di 5 mesi, ma la sua passione è la ginnastica artistica. Nel 2018 su consiglio del medico e dopo l’ultimo di 3 interventi chirurgici, torna in acqua definitivamente perché non può più alzare pesi. Ed è costretta su una carrozzina. Il suo impegno viene ripagato con 3 medaglie ai Mondiali di Londra 2019 nei quali esordisce nella nazionale di nuoto paralimpica. Ama la lettura, specialmente i gialli, la musica e gli animali, in particolare i suoi cagnoloni, come li definisce, (Maya, Astrid e Giusi) e il coniglietto Gomez arrivato ai tempi della Papu Dance. Dopo i mondiali di Londra agli assoluti italiani di Palermo conquista due ori, due argenti e un bronzo. Poi, ai recenti campionati europei del 2021 che si sono svolti a Funchal, in Portogallo, ha vinto cinque medaglie d’oro e un bronzo, registrando anche il record europeo nei 200 metri misti SM7, con il tempo di 3’08”82: ben 4 secondi e 7 decimi più veloce del precedente primato. E a Tokio, alla sua prima Paralimpiade, ha strabiliato tutti sempre serena, sorridente, disponibile, come nella vita. Al ritorno dal Giappone ha discusso, dopo quella in Scienze politiche, la seconda laurea, in Giurisprudenza, sulle tutele legali in Italia e negli Stati Uniti per gli atleti paralimpici . Ma il suo pensiero va ai ragazzi. «Spero che la mia storia insegni ai bambini a uscire dalle paure e provare a fare sport perché ti può cambiare la vita». E lei va nelle scuole a raccontare la sua storia e la volontà di non abbattersi. Come il fidanzato che ha perduto una gamba in un incidente con lo scooter e va nelle scolaresche a parlare della sua esperienza nel nuoto e sulla sua disabilità. E della forza di volontà che può portare alle medaglie d’oro e comunque a vivere senza sentirsi diverso.


PERSONAGGIO

PARALIMPIADI

I ROBIN HOOD IN SEDIA A ROTELLE La speranza di una medaglia era tanta, ma purtroppo si è infranta ai sedicesimi della finale di tiro con l’arco. Matteo Bonacina e Giampaolo Cancelli, i Robin Hood bergamaschi sulla sedia a rotelle non ce l’hanno fatta: sono stati eliminati alle Paralimpiadi, ma loro non se la sono presa più di tanto. È stata infatti un’altra esperienza emozionante dopo quella di Rio per entrambi e quella di Londra per Cancelli. Ci proveranno ancora a Parigi nel 2024. Due storie che hanno in comune la sedia a rotelle. Matteo, originario di Valbrembo, racconta: «Lavoravo come giardiniere. Stavamo scaricando le piante da un camion, ognuna con la sua zolla di terra. Bisognava sollevarle con la gru e poi appoggiarle al suolo. A volte capita che durante questa operazione si spostino, si sbilancino. Quella volta, però il tronco si è proprio spezzato e così una parte mi è caduta addosso, con le radici e la terra. Mi sono ritrovato con un polmone schiacciato, la tibia e alcune vertebre fratturate». In ospedale subisce una serie di operazioni, Va al centro di riabilitazione di Mozzo, ma è destinato alla carrozzina. «I medici mi hanno incoraggiato a provare diverse discipline, sottolineando i vantaggi per la salute: aumentano la muscolatura e l’equilibrio e permettono di recuperare anche abilità motorie che altrimenti resterebbero “addormentate”. Ci tenevo a recuperare il più possibile perciò ho provato un po’ di tutto, dal basket in sedia a rotelle al tennis, dalla scherma al ciclismo, dallo sci al nuoto e al ping pong. Niente però mi ha affascinato come il tiro con l’arco, che prima non avevo mai provato. Un’esperienza bellissima. E scopri che per ottenere i risultati migliori bisogna essere capaci di staccarsi da tutto e mettere a fuoco il bersaglio. È semplice ma anche complesso, a volte ripetendo esattamente gli stessi gesti si ottengono risultati molto diversi. Conta molto l’attenzione, ed è proprio questo che mi attrae. Questo sport spinge a lavorare su se stessi, non solo sul piano fisico, ma anche mentale». Anche Giampaolo, per tutti Paolo, di Stezzano ha scoperto il tiro con l’arco al centro di riabilitazione di Mozzo dopo un terribile incidente stradale a 300 metri da casa. E anche lui si è appassionato. «Dopo un mese e mezzo di allenamento sono stato selezionato per le Paralimpiadi di Londra poi per i mondiali per tante altre gare internazionali e per Rio e poi per Tokio”. Tre Paralimpiadi ma tante amicizie. Con tanti atleti con disabilità che non si sentono rivali, ma siamo come una grande famiglia».

MATTEO BONACINA

GIAMPAOLO CANCELLI


Assistenza Domiciliare Integrata e Cure Palliative Domiciliari La Cooperativa In Cammino, titolare dell’accreditamento con la Regione Lombardia, eroga il servizio di Assistenza Domiciliare Integrata (A.D.I.) e Cure Palliative Domiciliari (UCP-DOM). Tutte le prestazioni sono erogate direttamente a casa del paziente e sono gratuite. Ne hanno diritto tutti i cittadini, di ogni età, su richiesta del medico di base o ospedaliero.

Sede via De’ Medici 11, San Pellegrino Terme (Bg) Apertura sede da lunedì a venerdì dalle 9,30 alle 17,30 Orari assistenza - da lunedì a venerdì dalle 7,30 alle 16,30 - sabato dalle 8,30 alle 12,30 Contatti e attivazioni 334.3216008

InCammino COOPERATIVA SOCIALE


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STILI DI VITA

Cibi in scatola Istruzioni per l’uso ∞  A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Legumi e cereali precotti, tonno in scatola, carne in scatola, zuppe pronte, passate di pomodoro. Tra gli scaffali dei supermercati possiamo trovare una quantità infinita di prodotti confezionati in scatola, da sempre considerati croce e delizia: da un lato sono estremamente pratici perché già pronti e comodi da servire, dall’altro additati come poco sani a causa di conservanti e ingredienti aggiuntivi contenuti al loro interno. Ma qual è la realtà? «Come sempre, la virtù sta nel mezzo. Se è vero infatti che i cibi in scatola sono spesso ricchi di zucchero e sodio, molto più di quello richiesto dal nostro organismo, è altrettanto vero che, almeno

in Italia, la possibilità di scegliere cibi conservati di buona qualità esiste. Averne una scorta in dispensa previene ogni piccola crisi alimentare domestica ad esempio per chi si è scordato o non ha avuto tempo di fare la spesa. In molti casi, però, il cibo in scatola non viene usato solo come ultima spiaggia, ma come parte integrante della dieta quotidiana» osserva la dottoressa Emanuela Mosca, dietista. Dottoressa Mosca, innanzitutto cosa si intende per alimenti confezionati? Secondo il regolamento UE 1169/2011 gli alimenti confezionati

24 | Bergamo Salute | Settembre/Ottobre 2021

sono definiti come l’unità di vendita destinata a essere presentata come tale al consumatore finale e alle collettività, costituita da un alimento e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza aprire o cambiare l’imballaggio. Quali sono i vantaggi e i limiti di quelli più comunemente usati? > Legumi. Sicuramente sono i prodotti in scatola maggiormente consumati. La scelta dei legumi precotti in scatola è favorita dal


fatto che i legumi secchi richiedono un tempo di preparazione molto lungo, molto spesso non conciliabile con i ritmi lavorativi. Essendo pronti sono una buona opportunità per consumare questi alimenti (fagioli, ceci, piselli etc.) più spesso. In scatola mantengono inoltre più o meno le stesse proprietà nutrizionali di quelli freschi ed essiccati, con ferro, carboidrati, fibra e vitamine. A cosa dobbiamo prestare attenzione? I legumi confezionati sono da risciacquare sotto acqua corrente perché il liquido di conservazione è molto ricco di sale. I ceci in scatola sono una buona fonte di proteine vegetali e si rivelano utilissimi grazie alla versatilità in cucina per cous cous, insalate e hummus. I fagioli, invece, che non solo arricchiscono insalate e minestroni di verdure, sono un’ottima base per fare in casa polpette vegetariane. Senza dimenticare una semplice pasta e fagioli, che si prepara in soli 20 minuti. E le lenticchie? Si dice che portino fortuna a Capodanno, ma sono un secondo gustoso e sano, da mangiare tutto l’anno, e un ingrediente fondamentale per le vellutate. > Tonno. Il tonno in scatola è forse uno dei prodotti conservati più dif-

fusi al mondo. Che sia al naturale oppure sott’olio, è meglio preferire le versioni a ridotto contenuto di sale e con tonno derivante da pesca sostenibile e dalla provenienza specificata in etichetta. Per quanto riguarda il tonno sott’olio si consiglia di sgocciolarlo e ricondirlo con olio extravergine di oliva. Attenzione anche al contenuto di mercurio che dev’essere il più basso possibile (soprattutto durante la gravidanza). Chi consuma tonno potrebbe scegliere in alternativa il tonno conservato in barattoli di vetro oppure il tonno fresco. > Mais. Non è solo pratico, ma anche salutare perché fornisce calcio e abbassa i livelli di colesterolo LDL (quello “cattivo”). È però un alimento molto energetico ed è bene tenere presente che il mais in scatola potrebbe essere conservato in una soluzione di acqua e glucosio. Per questo, prima di acquistarlo, è bene leggere con attenzione le etichette. > Carne in scatola. Chi consuma la carne e ne ama il gusto perché dovrebbe optare per un sottoprodotto ricco di conservanti e composto da ingredienti di origine non sempre certa? Senza nessun dubbio è preferibile scegliere la carne fresca. > Frutta conservata. L’ananas può contenere circa 20 mg di vitami-

DOTT.SSA EMANUELA MOSCA Biologo Nutrizionista con Laurea in Alimentazione e Nutrizione Umana Brignano Gera d’Adda (BG)

na C per 100 grammi di alimento quando è fresco e crudo, ma quando viene conservato in scatola il contenuto di vitamina C scende a circa 5 mg ogni 100 grammi. Se volete gustare un ananas, meglio sceglierlo fresco, anche perché di solito l’ananas in scatola presenta zuccheri aggiunti e conservanti indesiderati. > Zuppe. Sicuramente sono molto pratiche per delle cene veloci, un comfort food per le serate d’inverno. Attenzione però perché potrebbero contenere sodio in eccesso e conservanti indesiderati. Meglio preparare un buon minestrone di verdure fresche o, al

MARCO GHEZZI

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STILI DI VITA

limite, un prodotto surgelato senza ingredienti aggiuntivi. > Pomodori pelati. Spaghetti, lasagne, pappa al pomodoro, parmigiana di melanzane: tutte queste ricette si possono realizzare con i pelati in scatola. Attenzione, però: le conserve a base di pomodoro contenute in scatola potrebbero causare rilascio di BPA nel cibo a causa del loro grado di acidità che entra a contatto con il materiale di cui i contenitori sono composti. Il BPA è stato correlato a effetti neurologici, problemi nella riproduzione, obesità infantile e altre malattie. Meglio scegliere pomodori freschi e passata di pomodoro conservata in bottiglie di vetro.

Come possiamo orientarci nella scelta del prodotto migliore tra gli scaffali? Imparando a leggere le etichette! L’etichettatura è uno dei metodi principali per informare i consumatori sulla composizione degli alimenti e aiutarli ad adottare decisioni consapevoli. L’ordine con cui gli ingredienti appaiono in etichetta non è casuale, ma è regolato per legge. In particolare i vari componenti devono comparire in ordine decrescente di quantità. Significa che il primo ingrediente dell’elenco è più abbondante del secondo, che a sua volta è più abbondante del terzo e così via. Pertanto, controllando l’ordine

degli ingredienti di due prodotti simili possiamo farci un’idea su quale dei due sia qualitativamente migliore, ricordandoci di limitare l’acquisto di prodotti che riportano tra i primi ingredienti zuccheri, grassi, sale o farine non integrali. Gli ingredienti riportati con un carattere diverso rispetto agli altri indicano potenziali allergeni. Sui prodotti confezionati, inoltre, deve essere riportata in un unico campo visivo la tabella nutrizionale. Questi sono i sette elementi che devono essere indicati. > valore energetico (Kcal) > grassi (g) > acidi grassi saturi (g) > carboidrati (g)

Attenzione al BPA Spesso le lattine hanno un rivestimento realizzato con resine di Bisfenolo A, una sostanza che tende ad accumularsi nell’organismo. Diversi studi hanno dimostrato che le persone che consumano quotidianamente cibo in scatola presentano una quantità anomala di Bisfenolo A nelle urine. Si tratta di una sostanza tossica che contamina gli alimenti per contatto. Il Canada è stato il primo paese al mondo a dichiararla come tossica, seguito anche dall’UE, che l’ha messo al bando nella produzione di biberon, ma nelle lattine ad uso alimentare la sua presenza è ammessa. Non se ne conoscono ancora appieno gli effetti nocivi sulla salute: lo si è collegato talvolta al diabete, all’obesità e alle malattie cardiovascolari. Nonostante questo l’EFSA, (l’autorità europea in fatto di sicurezza alimentare) ha affermato che il Bisfenolo A “non rappresenta un rischio per la salute della popolazione di alcuna fascia di età”, ne ha però abbassato il livello di sicurezza da 50 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno a 4 microgrammi. Questa modifica suggerisce che esista un margine di pericolo, seppur lieve. Meglio, quindi, scegliere cibi in vetro o in carta. 26 | Bergamo Salute | Settembre/Ottobre 2021


> zuccheri (g) > proteine (g) > sale (g) I valori devono essere riferiti a 100 g o 100 ml di prodotto o possono essere indicati valori riferiti a singole porzioni. Confrontando le tabelle nutrizionali dei prodotti si può riuscire a scegliere il prodotto con meno sale o meno zuccheri aggiunti. Concludendo, il mondo va pazzo per il cibo confezionato, non solo in scatola, e nei Paesi più sviluppati gli acquisti hanno superato di gran lunga quelli dei prodotti freschi. Questa tendenza, di per sé, non sarebbe necessariamente negati-

va visto che il processo industriale permette un controllo della conservazione e, in generale, verifica le condizioni di trattamento del cibo che le pratiche artigianali non possono assicurare. Il problema riguarda l’aggiunta frequente negli alimenti confezionati di zuccheri, sale e acidi grassi trans che ne modificano il profilo nutritivo. Durante questi anni è cresciuta l’attenzione delle grandi multinazionali che si stanno orientando verso formulazioni più sane, con meno sale, acidi grassi trans e zuccheri, e porzioni più piccole. Va altresì aggiunto che le vendite di bibite dolci sono in calo ovunque e, mentre cresce la consapevo-

DISFUNZIONI DEL PAVIMENTO PELVICO

Risolvi facilmente i disturbi che compromettono la qualità della tua vita.

lezza dei danni provocati dall’obesità, c’è più attenzione per gli alimenti meno farciti di additivi inutili. I cibi in scatola ci aiutano a risparmiare tempo in cucina. Ma come abbiamo analizzato contengono conservanti, sale e talvolta anche zucchero come ingredienti aggiuntivi. Il processo di realizzazione dei cibi in scatola riduce il loro valore nutrizionale e può aumentare il rischio di esposizione al BPA e al nichel (a seconda della composizione dei contenitori) e il loro gusto non è sempre eccellente, per questo consiglio consumare cibi in scatola di tanto in tanto senza farne un’abitudine.

Incontinenza urinaria

Disfunzioni sessuali

Vescica iperattiva

Dolore pelvico cronico

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ALIMENTAZIONE

Attacchi di fame? Attenzione all’indice glicemico ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

L’inizio del nuovo anno - lavorativo o scolastico - è sempre momento di buoni propositi. Tra questi uno dei più gettonati è mettersi a dieta e il primo cambiamento che molti apportano alla loro alimentazione, nella speranza di perdere peso, è tagliare o eliminare del tutto i carboidrati. Ma sarà la strategia vincente? Serve davvero demonizzare i carboidra-

DOTT.SSA FEDERICA GRANDI Dietista Centro per i Disturbi Alimentari Policlinico San Pietro di Ponte San Pietro

ti? E come è possibile prevenire gli attacchi di fame e la voglia di dolce che così spesso, quando si sta a dieta, si fanno sentire rischiando di compromettere tutto? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Federica Grandi, dietista. Dottoressa Grandi, partiamo dall’inizio. Cosa sono i carboidrati?

Con il termine carboidrati si intende tutta quella grande famiglia di composti di acqua e atomi di carbonio, che possiamo suddividere in carboidrati semplici e complessi in base alla loro struttura chimica. Tra i carboidrati semplici troviamo gli zuccheri monosaccaridi e i disaccaridi (formati dal legame di due monosaccaridi). I monosaccaridi più comuni sono il fruttosio (abbondante nel miele e nella frutta), il glucosio e il galattosio (che legato al glucosio forma il lattosio, lo zucchero del latte). Tra i carboidrati complessi troviamo invece l’amido, le fibre (solubili e insolubili) e il glicogeno. Ma a cosa servono? Il nostro corpo utilizza il carboidrato per sintetizzare glucosio (cioè zucchero) a scopo energetico, che viene subito utilizzato o si deposita nei muscoli e nel fegato come riserva. Perché il nostro organismo possa funzionare al meglio, l’energia derivante dal consumo di carboidrati deve essere all’incirca il 55% della quota giornaliera. Attenzione però,


quando diciamo carboidrati dobbiamo ricordare la distinzione che abbiamo fatto prima. È importante infatti che vengano privilegiati quelli complessi, come pane integrale, cereali come pasta, riso, orzo, farro, quinoa meglio se non raffinati, polenta o patate, che devono essere presenti ad ogni pasto. Sono invece da limitare tutti quegli alimenti ricchi di carboidrati semplici come dolciumi, cereali raffinati, bevande zuccherate, caramelle, prodotti da forno e alimenti addizionati di zucchero (yogurt dolci, budini). Questi ultimi, infatti, rispetto a quelli complessi, hanno un indice glicemico più alto. Ma che cosa è l’indice glicemico? In parole semplici è la capacità di un carboidrato di innalzare la glicemia, ovvero la concentrazione di glucosio nel sangue. Più è alta, più velocemente si alza la glicemia, dando origine ai cosiddetti picchi glicemici. Questo innalzamento della glicemia determina un innalzamento della curva insulinica (il pancreas viene stimolato a produrre più insulina per contrastare il glucosio) che, successivamente scendendo, manda all’organismo segnali di fame e ricerca di zuccheri. Si innesca così un circolo vizioso che può diventare dannoso non solo per la linea ma per la salute. Al contrario un indice glicemico basso mantiene la sazietà più a lungo e un’energia costante, grazie al lento

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rilascio del glucosio nel sangue. Va detto, però, che non è solo il singolo alimento a determinare un maggiore o minore innalzamento della glicemia. Certo incide, ma è bene ricordare che va preso in considerazione l’intero pasto; esistono infatti alcuni accorgimenti grazie ai quali è possibile abbassare questo indice. In particolare, alcune tipologie di alimenti sono in grado di modulare l’assorbimento dello zucchero: fibre (verdura, alimenti integrali, legumi), grassi (ad esempio l’olio extravergine) e proteine. Questo è uno dei motivi per cui è fondamentale consumare pasti ben bilanciati: paradossalmente un pasto più abbondante con primo o pane e secondo e contorno di verdura garantisce un miglior assorbimento degli zuccheri. E per quanto riguarda gli spuntini, quali si dovrebbe prediligere per mantenere a lungo la sazietà? Valgono le stesse regole dei pasti: è bene saper comporre spuntini bilanciati per evitare l’eccesso di carboidrati semplici (quindi zuccheri), ad esempio abbinando frutta a frutta secca, ricca in grassi buoni o a yogurt intero o a carboidrati complessi come del pane tostato integrale o a cracker integrali. Come per il pasto, la fibra e i grassi modulano e prolungano nel tempo l’assorbimento dello zucchero. Le stesse attenzioni si

possono applicare alla colazione: una colazione composta da una fonte di carboidrati complessi, una fonte di carboidrati semplici, grassi buoni e proteine è fondamentale per affrontare al meglio le prime ore della giornata senza rischiare di avere fame dopo poco tempo. Uno yogurt bianco intero arricchito con frutta fresca e cereali integrali o un bicchiere di latte intero accompagnato da pane integrale e marmellata sono due delle molteplici combinazioni consigliate. Al contrario, spuntini e colazioni composte solo da merendine, torte, biscotti, yogurt dolci o dessert (oltre a non essere sazianti né nutrizionalmente bilanciate) provocano innalzamento rapido della glicemia, seguito da calo e richiesta di nuovi zuccheri. Ma quindi bisogna bandire completamente gli zuccheri semplici? No, non sono comunque da demonizzare i carboidrati semplici: una quota pari all’8-10% dell’energia totale giornaliera è indicata da Linee Guida e si raggiunge solitamente con le porzioni di frutta giornaliere. È importante poi ricordare che i fabbisogni si modificano anche in base all’attività fisica individuale: negli sportivi, ad esempio, è utile stabilire spuntini che comprendano una quota di glucidi semplici come il fruttosio, ad esempio, che rappresentano energia di pronto utilizzo.

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IN ARMONIA

PSICOLOGIA

∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Al lavoro, nei rapporti di amicizia, nelle relazioni familiari. Perché, nonostante si sia in difficoltà e si abbia la percezione di non farcela da soli in autonomia, spesso risulta così difficile chiedere aiuto e supporto agli altri? È solo una questione di orgoglio? Ne parliamo con la dottoressa Michela Corti, psicologa e psicoterapeuta. Perché facciamo così fatica, in molti casi, a chiedere aiuto? Chiedere aiuto non è un’operazione che viene fatta in modo automatico e semplice, a meno che non si sia bambini. Questa capacità che appartiene al genere umano, infatti, subisce dei cambiamenti nel corso degli anni. Quando si è piccoli si è più predisposti a chiedere aiuto all’adulto o a un coetaneo. Più si cresce, più si perde questa tendenza. Un ruolo importante è giocato dalla società in cui viviamo; essa ci impone tacitamente degli stereotipi che a volte creano in noi dei vincoli: cosa c’è di più valorizzato di una persona che riesce a fare tutto da sola? Ma dipende innanzitutto dall’educazione impartita nel contesto familiare e dalle esperienze vissute. Si cresce con l’idea che diventare grandi significa trasformarsi in una persona autonoma che se la cava da sola. Tuttavia ci sono dei bisogni affettivi, sociali, emotivi, relazionali che ci costringono ad avere un’interconnessione con il mondo che ci circonda. Ciò significa anche chiedere o dare aiuto. Oltre all’educazione, a volte subentra anche il senso di vergogna, perché non si vuole che l’altro sappia che siamo in difficoltà. Questo accade per svariati motivi: perché farsi aiutare implica mostrare all’altro le proprie fragilità e i propri limiti, perché si-

E tu sai chiedere aiuto?

gnificherebbe mandare un segnale di resa, perché l’altro potrebbe colpirci nell’orgoglio quando meno ce lo aspettiamo... Insomma, chiedere aiuto rende vulnerabili, l’altro può venire a conoscenza dei nostri punti deboli e questo porta alla luce i nostri più intimi segreti. Non sempre si è disposti a svelarci all’altro perché tendiamo a proteg-

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gere il nostro io, la nostra identità, le nostre paure. Infine, può esserci anche un’altra componente che frena nel chiedere aiuto, ovvero la tendenza a tenere tutto sotto controllo ed essere multitasking. In che senso? Sul lavoro o nella vita di tutti i giorni ci viene richiesto di avere tutto sem-


pre sotto controllo, quasi fossimo dei super eroi. E così, a volte, finiamo per accollarci responsabilità, svolgere non solo il nostro lavoro

DOTT.SSA MICHELA CORTI Psicologa e psicoterapeuta. Consulente Tecnico di Parte e d’Ufficio del Tribunale di Bergamo Presidente dell’Associazione Famiglie InForma Treviglio

ma anche quello degli altri, fare tutto da soli perché questo ci fa sentire competenti, bravi, efficaci, orgogliosi di noi. Non chiedere aiuto significa anche pensare che gli altri possano svolgere alcune attività peggio di noi. Per questa ragione tendiamo a non delegare. Fare tutto da soli ci restituisce un’immagine di noi stessi eroica, grandiosa, coraggiosa; anche se talvolta poi si rimane senza energie, affaticati e sfiancati.

> si ottiene un punto di vista diverso dal proprio nella risoluzione dei problemi; > si superano i propri limiti; > aumenta il grado di condivisione; > si ha più tempo a disposizione da investire in altre cose, passatempi e passioni; > si manda un messaggio importante a chi ci sta vicino, valorizzandolo e facendolo sentire importante.

Quali sono, invece, i benefici quando si decide di non fare tutto da soli? Sono molti, sia pragmatici sia emotivi. > Ci si sente più leggeri; > si rafforza il legame con l’altro che ci dà il suo aiuto;

Insomma, farsi aiutare non significa solamente sentirsi in dovere di dire grazie o ricambiare il favore, significa condividere le fatiche e ammettere che da soli non si può arrivare dappertutto, anche se è questo quello che, in molti casi, ci è stato insegnato.

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IN ARMONIA

COPPIA

Matrimonio o convivenza? I consigli per una scelta consapevole ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Matrimonio o convivenza? Molte coppie, nella società attuale, si interrogano se portare avanti il proprio progetto di vita comune sposandosi o convivendo. Nel passato il matrimonio era l’unico modo per garantire i diritti del compagno/a di vita e dei figli. Oggi le cose non stanno più così: ci sono stati cambiamenti che riconoscono più diritti ai conviventi e ai loro figli. E sposarsi, invece, di convivere è una scelta non più “obbligata”. Non a caso, il trend, anche nel nostro Paese, è quello di un costante calo di matrimoni a favore di unioni di fatto. Ma perché tante persone scelgono di convivere e di non sposarsi? Quali sono i motivi che più frequentemente le spingono a questa decisione? «Alcune coppie decidono di non sposarsi perché si sentono già famiglia e non ritengono il matrimonio un valore aggiunto alla loro unione. Ma è tutto così semplice come appare? Certamente ci sono casi in cui i partner che convivono credono fermamente nella loro unione, nel loro progetto di vita insieme, prendono sul serio il loro amore che coltivano giorno per giorno. In altri casi i partner sono condizionati

nella loro scelta da preconcetti che è opportuno riconoscere per potere affrontare» sottolinea la dottoressa Monica Viscardi, psicologa e psicoterapeuta. Dottoressa Viscardi, quali sono i preconcetti più diffusi e radicati sul matrimonio? > Che il matrimonio è la tomba dell’amore. Diverse persone non vogliono sposarsi perché ritengono che il matrimonio crei una gabbia che tolga la libertà ai partner oppure ritengono che una volta che ci si sposa “ci si sieda” e si dia tutto per scontato. In realtà il matrimonio, se vissuto consapevolmente, è l’inizio di un progetto di vita insieme, non è un punto di arrivo o tanto meno una fine. Sicuramente è una conquista, può essere il segnale che si prende sul serio il proprio amore per il partner e il desiderio di condividere la vita con lui/lei. > Che nella convivenza si è più liberi, se non ci si trova più, ci si può separare con più facilità. In realtà anche la convivenza è un grande investimento amoroso e anche in questo caso la separazione comporta inevitabilmente dolore e sofferenza. Sia nella convivenza

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sia nel matrimonio la separazione può essere pacifica o conflittuale e in entrambi i casi il dolore o le complicazioni possono protrarsi più del dovuto. La convivenza non è un’unione di serie B, per funzionare, come nel matrimonio, i partner devono investire. L’investimento richiede di fare i conti con i propri limiti e quelli del partner. In alcuni momenti è faticoso, ma è l’unica strada per fare evolvere l’amore giorno per giorno. Quali sono, invece, le motivazioni che oggi possono incidere nella scelta di sposarsi? Molte persone scelgono di sposarsi perché credono nella sacralità del matrimonio, sia civile sia religioso. Il matrimonio rappresenta un rito di passaggio in cui la relazione amorosa della coppia viene resa sacra davanti ai genitori, alla famiglia e alla comunità, sancisce il nuovo nucleo familiare, vincola i partner a separarsi dalle rispettive famiglie di origine per unirsi e vivere assieme. Altre persone scelgono di sposarsi anche perché ritengono che sia la maggiore forma di tutela per il proprio compagno/a di vita e per i figli. La scelta del matrimonio, presa con


questi presupposti, esprime il prendere sul serio il proprio amore per il partner e il desiderio di passare tutta la vita insieme. Ma perché, con questi buoni presupposti, molti matrimoni naufragano nella società di oggi? Spesso dietro la concezione di coppia o matrimonio ci sono dei pensieri impliciti, di cui la persona non è consapevole, che remano contro la crescita dell’amore. Vediamone alcuni: > il matrimonio è garanzia dell’amore; > se mi sposi dimostri che mi ami

DOTT.SSA MONICA VISCARDI Psicologa e Psicoterapeuta Consultorio Zelinda di Trescore Balneario e Studio Professionale a Mozzo

e che mi metti al centro della tua vita; > se mi sposi mi renderai felice; > da sposati supereremo tutti gli ostacoli con più facilità. Queste concezioni presuppongono una visione idealizzata del matrimonio e un’idea di amore autocentrata, che vede il matrimonio o il coniuge come lo strumento per soddisfare bisogni e desideri personali e per realizzare la propria felicità. Molti matrimoni finiscono perché questi pensieri impliciti non vengono riconosciuti e lavorano subdolamente verso la rottura del rapporto. Cosa può aiutare allora a fare una scelta consapevole? È fondamentale che i partner si confrontino apertamente sulla loro idea di convivenza e di matrimonio, spiegando in primis a se stessi e al partner le motivazioni che li porterebbero a fare una scelta, piuttosto che un’altra. Se il dialogo avviene con cura è possibile riconoscere e a affrontare eventuali concezioni di coppia non funzionali alla crescita del rapporto sentimentale e porre le basi per una scelta consapevo-

MIKI

le e soddisfacente per entrambi i partner. Un dialogo costruttivo in cui ognuno esprime le proprie convinzioni e sentimenti, ascolta e rispetta quelli del partner, aiuta a compiere una scelta con serenità e con la consapevolezza di ciò che è importante per realizzare un progetto di vita assieme. Sia la decisione di convivere sia quella di sposarsi può essere sostenuta dall’intenzione di costruire insieme, di far crescere il progetto di famiglia e di prendere sul serio il proprio legame e sentimento. Se il matrimonio viene considerato come impegno e obbligo è chiaro che non verrà scelto; se viene vissuto come investimento che porta a una evoluzione reciproca assumerà tutto un altro aspetto. Il vincolo del matrimonio, però, non può dare sicurezza rispetto alla forza del legame. Aprirsi al partner e sostenersi reciprocamente nel processo di realizzazione del proprio essere è la strada verso il consolidamento dell’unione. Certamente non è un percorso privo di impervie, attraversa la paura di perdere il partner e la paura della solitudine, ma porta al superamento del possesso e alla crescita dell’amore.

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IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

Gravidanza e allattamento Perché si offusca la vista? ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Esiste una relazione tra gravidanza e vista? La risposta è sì, come ormai dimostrato da numerose evidenze scientifiche. L’organismo della donna, durante i nove mesi, subisce molti e profondi cambiamenti che riguardano tutto il corpo e gli occhi non fanno eccezione. «Durante la gravidanza e l’allattamento si verificano frequenti cambiamenti a livello oculare» conferma il dottor Fabio Mazzolani, oculista. «Si tratta comunque di fenomeni generalmente transitori e reversibili». Dottor Mazzolani, quali sono i sintomi visivi più frequenti? I sintomi più frequenti sono fenomeni di calo visivo con transitoria percezione di annebbiamento e secchezza oculare associata a secondaria intolleranza alle lenti a contatto. Nel caso di intolleranza alle lenti a contatto è importante rivolgersi al proprio ottico-optometrista che, insieme all’oculista di riferimento, aiuterà a valutare le possibili soluzioni alternative alla lente a contatto per la correzione del difetto visivo. Da cosa dipendono queste alterazioni della vista? Alla base di queste variazioni c’è l’azione degli ormoni (estrogeni e

progesterone) che causano una riduzione d e l l a sensibilità corneale con relativo aumento di spessore e instabilità del film lacrimale, ovvero la sottile pellicola liquida che riveste la superficie anteriore dell’occhio. La cornea è un elemento fondamentale per la corretta visione così come una corretta produzione di lacrime lo è per il benessere oculare generale. Se infatti il film lacrimale si altera, i fenomeni ambientali o atmosferici (smog, fumo, vento, aria etc.) diventano più fastidiosi per il nostro occhio e l’uso di lenti a contatto più difficoltoso e meno confortevole. Sia durante la gravidanza sia l’allattamento è stata osservata anche una più lenta risposta del muscolo ciliare (accomodazione) per cui spesso la messa a fuoco delle immagini da vicino (lettura di un libro, smartphone o tablet) risulta più rallentata e meno brillante.

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Questo aspetto è particolarmente attuale in quanto l’età media delle donne che decidono di avere figli è aumentata costantemente negli ultimi decenni e molto spesso le future mamme devono anche affrontare gli iniziali segni dell’invecchiamento dell’occhio come la presbiopia. Nelle donne che già avevano malattie oculari prima delle gravidanza, quali variazioni ulteriori possono manifestarsi? La diminuzione dei valori della pressione intraoculare che si verifica durante la gravidanza può essere un vantaggio per chi soffre di iperten-


sione oculare o glaucoma, anche considerato che i colliri utilizzati per tenere la pressione dell’occhio nella norma sono sconsigliati in gravidanza. Durante l’allattamento, in particolar modo, può essere poi presente un maggior stato di disidratazione che può accentuare la percezione di miodesopsie, ossia la visione di corpi mobili vitreali (moschine, filamenti, ragnatele). Nelle donne con miopia elevata, poi, è bene ricordare che è più alto il rischio di lesioni retiniche periferiche, potenzialmente pericolose; per questo è importante individuarle tempestivamente così da ricorrere eventualmente a un trattamento laser di protezione. Infine, anche alcune patologie sistemiche quali ipertensione, malattie reumatiche e diabete possono causare alterazioni retiniche e per questo richiedono un monitoraggio periodico e particolare attenzione durante il periodo della gestazione e dell’allattamento.

Quando fare una visita oculistica? In assenza di sintomi una prima visita oculistica è consigliata all’inizio della gravidanza con lo scopo di valutare lo stato di salute dell’occhio e stabilire un parametro di riferimento per eventuali successive visite. In caso di disturbi visivi, una visita oculistica può essere effettuata in qualsiasi momento della gravidanza, soprattutto, in caso di pregressi problemi oculari o malattie sistemiche che possono avere una manifestazione patologica a livello dell’occhio. Durante la gravidanza è preferibile optare per gli occhiali e sospendere temporaneamente l’utilizzo di lenti a contatto così come evitare interventi laser per la correzione dei difetti visivi (miopia, ipermetropia e astigmatismo) e interventi chirurgici oculari se non strettamente necessari. Un’ulteriore visita può essere utile a circa un mese dal parto, soprattutto nelle elevate miopie per escludere al-

DOTT. FABIO MAZZOLANI Specialista in Oculistica Direttore Sanitario Centro Oculistico Bergamasco

terazioni retiniche (degenerazioni, fori e rotture), mentre una visita completa è consigliabile a distanza di 3-4 mesi dal termine dell’allattamento. Per tutto il periodo della gravidanza e dell’allattamento, infine, è molto importante avere il parere del proprio ginecologo, anche durante la vista oculistica, per la scelta dei farmaci che possono essere utilizzati, al fine di rasserenare le future mamme.


IN FAMIGLIA BAMBINI

I primi mille giorni di vita: una fase cruciale per lo sviluppo dei piccoli I “segnali” da tenere sotto controllo ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

I primi mille giorni di vita: sono l’intervallo di tempo tra il concepimento e i due anni di vita del bambino, un periodo estremamente importante nello sviluppo neuro e psicomotorio. Una fase di scoperte, grandi conquiste, cambiamenti veloci che, a volte, però può diventare fonte di preoccupazione per i neogenitori. “Ma è normale che ancora non abbia cominciato a camminare”? . “Quando inizierà a parlare? I suoi amichetti lo fanno già?”. “Starà crescendo con i tempi giusti?”. «Per rispondere a queste e altre domande è necessario che gli specialisti osservino un bambino a 360° e lo valutino in maniera complessa alla luce delle tappe attese e dei percentili di sviluppo. Può essere utile invece per i genitori conoscere alcuni semplici punti da osservare assolutamente a un anno e a due anni di età, ricordando sempre che nei primi mille giorni lo sviluppo del bambino segue traiettorie in parte già programmate poiché trasmesse ereditariamente, in parte determinate dall’ambiente in cui il bambino viene immerso, dalle relazioni che intraprende e dalle esperienze che vive» osserva la

dottoressa Silvia Conti, terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva.

A 1 ANNO DI VITA L’interesse per gli spostamenti. Molti bambini, ma non tutti, a un anno già camminano e sono interessati soprattutto a questa nuova conquista. Altri bambini staranno molto tempo in piedi, bordeggiando o spostandosi costieri al divano. «Per la maggior parte di loro, comunque, gli spostamenti prevalenti potrebbero essere ancora quelli orizzontali, a gatto o strisciando sul sedere, poiché garantiscono velocità e autonomia nel raggiungimento di oggetti e persone di interesse. Ecco perché l’interesse per gli spostamenti, almeno orizzontali, deve essere presente e osservabile nella quotidianità del bambino» spiega la dottoressa Conti. La manipolazione degli oggetti e la presa a pinza. La manipolazione volontaria inizia molto presto, è apprezzabile già dai tre mesi di vita, compie una svolta ai sei mesi con la postura seduta e si affina di giorno in giorno. «A un anno di

L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2018 ha inserito la nurturing care (ndr. insieme di condizioni che assicurano ai bambini salute, nutrizione, sicurezza e opportunità per un apprendimento precoce) tra i passi fondamentali per il suo programma di promozione della salute. 36 | Bergamo Salute | Settembre/Ottobre 2021

DOTT.SSA SILVIA CONTI Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva Centro per l’Età Evolutiva di Bergamo

vita è importante monitorare che i bambini siano ogni giorno più interessati agli oggetti e alla loro esplorazione tramite le mani con movimenti vari, adeguati al peso e alla dimensione dell’oggetto e in particolare scegliendo per gli oggetti molto piccoli la presa a pinza, quella che oppone in maniera precisa il pollice all’indice» continua l’esperta. L’interesse per l’imitazione, la comunicazione e lo scambio. A un anno potrebbero essere comparse le prime parole, comprensibili, ma più importante è a quest’età la comunicazione in generale. «I bambini dovrebbero essere responsivi al linguaggio degli adulti e rispondere con le loro sillabe e onomatopee; dovrebbero imitare mimica, gesti


e suoni degli adulti; dovrebbero scambiare sguardi, oggetti, carezze con i caregiver, che riconoscono e differenziano molto bene dagli altri adulti estranei» sottolinea ancora.

A 2 ANNI DI VITA L’esplosione del vocabolario. Gli studi scientifici ormai da anni confermano che la maggior parte dei bambini a due anni sa pronunciare almeno 50 parole e ne comprende molte di più. «Molti bambini avranno un vocabolario molto più ampio e che si espande di settimana in settimana in una vera e propria esplosione, arrivando a combinare le prime parole. Coloro che non notano nei loro bambini la soglia di 50 non devono allarmarsi, ma possono attivarsi e chiedere una consulenza per comprendere come monitorare e accompagnare al meglio il linguaggio fino ai 3 anni» consiglia la dottoressa Conti. Il cammino autonomo e le coordinazioni. All’età di due anni, ci aspettiamo che i bambini abbiano raggiunto e acquisito il cammino totalmente autonomo e inizino a sperimentare alcune coordinazioni, come salire e scendere le scale con aiuti, tentare di saltare o correre, testare gli equilibri. «I genitori che a due anni non vedessero ancora il cammino sappiano che i bambini senza fatiche motorie raggiungono senza aiuti particolari il cammino autonomo entro i 18 mesi, dopodiché si considera

superato il “cancello”: nessuna paura, non significa che non si possa più imparare, ma vuol dire che è molto difficile che il bambino possa imparare da solo. È dunque bene attivarsi per aiutare il proprio bambino, con una stimolazione o una terapia specifica» suggerisce ancora. Il gioco presimbolico. Il gioco del “far finta” può comparire proprio a questa età, grazie alle competenze motorie e linguistiche e alle modificazioni cognitive conseguenti

e concomitanti. «Si può iniziare a osservare i bambini che imitano semplici azioni quotidiane come l’imboccare le bambole, il guidare con un volante immaginario, l’imitare gli animali domestici. Fondamentale, tuttavia, anche se ancora non fanno finta, è l’interesse per gli oggetti, per i materiali e per il gioco detto “presimbolico” che porta i bambini a fare continui travasi, ad esplorare le funzioni dei materiali, a svuotare scatole e, talvolta, anche a riempirle e iniziare a riordinare» conclude la dottoressa Conti.

QUANDO E A CHI RIVOLGERSI IN CASO DI DUBBI Da sempre gli specialisti si chiedono quale sia l’approccio migliore da mantenere con i neogenitori, durante il primo sviluppo dei loro bambini: se un tempo in pediatria si optava per il “wait and see”, ossia “aspettiamo e vediamo” posticipando l’allarme a quando certamente si è manifestato un disturbo, ora con le nuove conoscenze scientifiche sui primi mille giorni sappiamo che aspettare la strutturazione di un disturbo renderebbe molto difficile il recupero. È da preferire dunque l’approccio “watch and wait”, ovvero un monitoraggio attivo, che non intende creare allarmismo bensì generare conoscenza e informazione nei genitori. Se un genitore non osserva nel proprio bambino le competenze o i comportamenti che per la sua età dovrebbe avere, può affidarsi, insieme al proprio pediatra di famiglia, a un team di specialisti dell’età evolutiva. Il medico specialista di riferimento per lo sviluppo del bambino è il neuropsichiatra infantile e gli operatori sanitari dello sviluppo che vi lavorano in team e supportano il genitore nel processo di “watch and wait” possono essere psicologi, logopedisti, fisioterapisti e terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva.

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IN FAMIGLIA

RAGAZZI

Prevenzione andrologica in adolescenza ∞  A CURA DI LELLA FONSECA

«Meno del 5% dei giovani maschi italiani si sottopone a una visita andrologica prima dei vent’anni, una percentuale molto piccola se pensiamo che durante alcune campagne locali nel 2010 si è rilevato che almeno nel 25% circa dei ragazzi era presente una situazione che meritava approfondimento» esordisce il dottor Oreste Risi, andrologo, chirurgo pediatrico e urologo. «Dal 2005 i ragazzi non vengono più sottoposti in massa alla visita di leva, dopo che la legge 226 del 23 agosto 2004 ha eliminato l’obbligatorietà del servizio militare. La scomparsa di questo screening ha lasciato un vuoto nella prevenzione andrologica che non si è ancora riusciti a colmare, nonostante si stia cercando di rag-

giungere i giovani attraverso campagne di informazione, soprattutto a livello scolastico» auspica lo specialista. Dottor Risi, perché sono così pochi i ragazzi che si fanno visitare nell’adolescenza? I fattori sono vari, sicuramente alla base c’è un grande divario culturale rispetto alle ragazze, che si rivolgono al ginecologo con molta più facilità. A ben vedere questa differenza rispecchia l’atteggiamento di uomini e donne adulti in relazione alla prevenzione andrologica e ginecologica, sarebbe importante educare anche le famiglie stesse. Le patologie che si intercettano nella prevenzione adolescenziale spesso sono asintomatiche, ma

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RAPPORTI NON COSÌ PRECOCI Anche se si assiste a una precocizzazione di alcuni comportamenti sessuali sui social i dati più recenti indicano che l’età media del primo rapporto sessuale è oggi intorno ai 17 anni. Alcuni studi scientifici segnalano che oggi i giovani appaiono meno interessati alla sessualità rispetto ai loro genitori.


lizzazione in andrologia non è più prevista dall’attuale ordinamento.

DOTT. ORESTE RISI Specialista in Andrologia, Chirurgia pediatrica e Urologia Consulente libero professionista Cliniche Gavazzeni Humanitas di Bergamo e Politerapica Seriate

anche di fronte a problemi evidenti molte volte il ragazzo non ha piacere di parlarne con il medico di medicina generale o con la famiglia, per pudore o vergogna. Bastano pochi minuti di visita per riscontrare eventuali forme di alterazione dei genitali o patologie asintomatiche. A chi rivolgersi per la prevenzione andrologica? Anche al di fuori di campagne mirate, il giovane stesso può fare richiesta al medico di medicina generale che prescriverà la visita specialistica. Lo specialista di competenza è l’andrologo o, secondo l’attuale percorso di formazione, l’urologo esperto in andrologia, visto che la vera e propria specia-

Quali sono le principali patologie che si possono individuare? Iniziamo con i difetti di discesa e posizionamento del testicolo: i testicoli fisiologicamente sono posizionati nello scroto dalla nascita e non dovrebbero risalire, ma non è sempre così. A dire il vero la maggioranza di questi difetti congeniti o successivi alla nascita vengono già intercettati nelle visite pediatriche, ma capita comunque di diagnosticarli per la prima volta in età adolescenziale con una semplice palpazione. La visita andrologica dovrebbe anche essere occasione per insegnare al ragazzo a fare la autopalpazione del testicolo, molto più semplice di quella del seno che si insegna alle ragazze, che può fare tranquillamente sotto la doccia e aiuterà a prevenire anche in età adulta varie anomalie, come ad esempio la comparsa di una cisti. Analogamente ai difetti di posizionamento del testicolo anche le malformazioni congenite del pene e la fimosi si evidenziano già in età pediatrica, ma non sempre vengono seguite a dovere. Spesso prima dell’adolescenza il ragazzino comincia a lavarsi da solo e tende ad evitare di parlarne con i genitori. In età adolescenziale questi difetti vengono corretti chirurgicamente,

spesso anche a livello ambulatoriale in modo abbastanza semplice. Ci sono poi il varicocele, l’idrocele e le tumefazioni scrotali: il varicocele è la dilatazione delle vene che più frequentemente riguarda l’emiscroto sinistro (78-93% dei casi); l’idrocele è una raccolta di liquido sieroso mentre la tumefazione scrotale va sempre approfondita perché può avere varie cause di diversa gravità. L’ipogonadismo maschile si manifesta con una ridotta funzione testicolare rispetto a quanto atteso per l’età, può avere cause congenite o endocrine e merita sempre attenzione anche perché potrà influire sulla fertilità. E le malattie sessualmente trasmissibili (MST)? Questo è un capitolo molto importante su cui la prevenzione nelle scuole deve essere capillare. I ragazzi vanno informati correttamente sui rischi dei rapporti non protetti da preservativo, soprattutto se tendono ad avere partner occasionali. Assistiamo ad esempio negli ultimi anni ad un aumento della sifilide e di altre MST e a una minore coscienza rispetto all’HIV. Se il ragazzo al controllo andrologico rivela di avere avuto rapporti a rischio il medico potrebbe suggerire degli esami anche in assenza di sintomi.


IN FORMA

FITNESS

Arrampicata sportiva Uno sport completo che stimola corpo e mente ∞  A CURA DI LELLA FONSECA

Dopo anni di attesa l’Arrampicata Sportiva è entrata a far parte degli sport olimpici alle XXXII Olimpiadi di Tokyo, insieme a quattro altre nuove discipline: karate, skateboarding, surfing, baseball/softball. «L’arrampicata sportiva è uno sport che rappresenta una forte e coesa comunità, soprattutto di giovani, in grado di utilizzare e maneggiare le nuove forme di comunicazione» ha commentato Franco Carraro, relatore del Comitato Olimpico Internazionale. Elisabetta Salvioni e Davide Ghezzi, istruttori della Scuola CAI Valle Seriana, ci spiegano come ci si può avvicinare a questa attività sportiva.

gaglio di conoscenze della natura e della meteorologia connessi a questo ambiente. L’arrampicata sportiva invece si pratica in palestra su pareti artificiali o all’aperto su falesie preparate e attrezzate e blocchi (boulder). L’arrampicatore, sia in allenamento sia in gara, è assicurato con una corda che non serve a issarsi ma solo per la sicurezza, generalmente gestita da un compagno che rimane alla base della parete. Le pareti artificiali sono dotate di “prese” di vario colore mentre le falesie naturali vengono attrezzate all’apertura con chiodi etc. quindi l’arrampicata sportiva non prevede che l’atleta usi il martello o installi dispositivi di fissaggio.

Che cosa è l’arrampicata sportiva? Potremmo definirla come l’altra faccia dell’alpinismo classico: il primo consiste in ascensioni su vette dove ci si trova soli con la montagna, con tutti i rischi e il ba-

Chi può praticare questa disciplina? Esistono corsi riservati ai più piccoli a partire dai sei anni. Come per quasi tutte le attività sportive serve un certificato di buona salute, inoltre è consigliato avvicinarsi

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ELISABETTA SALVIONI

DAVIDE GHEZZI Istruttori di Arrampicata Sportiva Scuola CAI Valle Seriana


all’arrampicata con un peso non troppo sopra il peso forma perché dovendo “portare su” per la parete la massa corporea l’attività diventa molto faticosa. Difficilmente chi sa di avere paura del vuoto e dell’altezza si avvicina a questa disciplina. Chi scopre di soffrirne durante i primi approcci spesso si abitua con gradualità e supera i timori, mentre una minoranza decide di non continuare. Essendo sempre assicurati con la corda anche in una situazione di panico si può scendere a terra senza rischi. Quali consigli dareste a un neofita? Di non provare da solo, soprattutto per questioni di sicurezza, ma anche per non acquisire posizioni e movimenti magari intuitivi ma sbagliati che poi è difficile correggere

anche frequentando un corso. Dopo quanto tempo si raggiunge una certa autonomia? Dopo un primo corso della durata di qualche mese si possono acquisire le nozioni di base, teoriche e pratiche, come quelle sui materiali, nodi, catena di assicurazione, primo soccorso, movimenti, equilibrio etc.. A questo punto la coppia di arrampicatori, che si alternano nella scalata e nella gestione della corda, è pronta ad esercitarsi in autonomia su pareti indoor o su falesie di grado facile. Il grado di difficoltà dipende dalla natura della falesia e in palestra dal colore delle prese che individuano percorsi diversi su una stessa parete. Quali sono i benefici per chi pratica l’arrampicata sportiva?

Sono molti, a partire dal contatto con la natura e la montagna nella pratica outdoor, limitando moltissimo i rischi non indifferenti dell’alpinismo classico. Dal punto di vista fisico è un esercizio completo perché utilizza praticamente tutte le parti del corpo, a livello di muscoli e di tendini. Per praticare l’arrampicata con successo è utile una preparazione atletica di base in palestra, includendo le mani e le dita che sono spesso trascurate. Scalare è un’attività che favorisce la concentrazione ma è anche divertente e socializzante: la pratica in coppia favorisce la coesione e allena la fiducia nell’altro. La progressione, pressoché infinita, nella difficoltà dell’ascensione è uno stimolo continuo a sfidare i propri limiti e rende questo sport educativo, divertente ed eccitante.

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Tricodermopigmetazione Per nascondere calvizie e alopecia in modo duraturo e con effetto naturale ∞  A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Un trattamento estetico rapido, non traumatico e reversibile, che permette di mascherare la perdita di capelli in uomini e donne di ogni età. È la tricopigmentazione, tecnica sempre più diffusa in caso di calvizie, alopecia e come completamento all’autotrapianto dei capelli. Ma in cosa consiste? E quanto dura l’effetto? Lo abbiamo chiesto ad Angela Cammarota, esperta in dermopigmentazione estetica e medicale e in tricopigmentazione.

Come funziona la tricodermopigmentazione? La tricopigmentazione è un trattamento eseguito da un operatore qualificato con strumenti specifici, che modifica la percezione visiva del diradamento attraverso la pigmentazione del cuoio capelluto. Un ago, studiato per la cute e inserito nel cuoio capelluto, introduce nello strato superficiale del derma un pigmento anallergico, certificato e bioriassorbibile che, attraverso diverse tecniche (vedi box), ri-

crea l’effetto dei peli rasati o di una chioma più folta. La durata del trattamento e il numero di sedute sono variabili - in genere ne servono tre, di due ore ciascuna, per ottenere un risultato completo. L’effetto è naturale, non teme l’acqua, il vento o l’azione dello shampoo. Ci sono precauzioni particolari da seguire dopo il trattamento? Dopo il trattamento occorre fare attenzione a non esporsi al sole,

Tre diverse tecniche per effetti diversi Esistono tre diverse tecniche di tricopigmentazione: la differenza dipende dal tipo di tratto che l’operatore adotta, in funzione della copertura, del taglio di capelli, delle aspettative del cliente.

Effetto rasato. È un microdeposito puntiforme di pigmento che simula il bulbo pilifero e ricostruisce l’effetto dei peli rasati. Viene disegnata per prima cosa la riga frontale. Successivamente, si esegue il trattamento di base: sono depositati puntini di pigmento, equidistanti, nella zona interessata. Infine, si aumenta la densità dei puntini, per un risultato del tutto naturale.

Effetto densità. È la tecnica utilizzata su chi ama un taglio più lungo: si aumenta la densità e la quantità del pigmento in modo da non lasciare più intravedere la cute tra i capelli. Da qui l’illusione di una chioma più folta. Si parte dall’esecuzione di una rete di puntini, simile a quelli dell’effetto rasato. Successivamente, si disegnano trattini sottilissimi che simulano i capelli circostanti, identici nel colore e nel senso della crescita.

Copertura cicatrici. Consiste nel coprire le aree cicatriziali causate da traumi o post interventi chirurgici. È un trattamento molto delicato poiché deve ottenere un buon risultato in breve tempo. La tricopigmentazione in questo caso viene utilizzata come azione complementare a quella del chirurgo per coprire zone che normalmente rimarrebbero prive di bulbi piliferi.


evitare mare, piscina e lampade solari per una settimana circa. Quanto dura l’effetto? La durata della tricopigmentazione varia in funzione della tecnica adottata, del tipo di pelle, dello stile di vita, della zona trattata. In genere, il risultato si mantiene inalterato dai sei ai 12 mesi. Essendo i pigmenti bioassorbibili, (cioè si riassorbono nel tempo) normalmente è necessaria una seduta di ritocco dopo circa uno o due anni.

È dannosa per i capelli o per la cute del cuoio capelluto? L’azione dell’ago usato nella tricopigmentazione richiama il sangue verso la superficie del cuoio capelluto: si tratta di una stimolazione che si può persino rivelare utile nei casi di alopecia, che può portare anche alla crescita di lanugine nella zona interessata. Inoltre, il trattamento è superficiale e reversibile e il pigmento biocompatibile (quindi ben tollerato da tutti).

ANGELA CAMMAROTA Esperta in dermopigmentazione estetica e medicale e in tricopigmentazione A Bergamo

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I caseifici d’alpeggio della Bergamasca ∞  A CURA DI ATS BERGAMO

L’alpeggio è definito come l’attività zootecnica che si svolge in montagna nei mesi estivi. Allo stesso tempo, con il termine “malga” si definisce l’insieme dei fattori produttivi, fissi e mobili, in cui avviene l’attività di monticazione (fase della transumanza): terreni, fabbricati, attrezzature, animali, lavorazione del latte prodotto. Nella maggior parte dei casi la proprietà degli alpeggi siti sul territorio di Regione Lombardia è comunale o consortile, con una esigua parte di alpeggi di proprietà privata. Al giorno d’oggi l’alpeggio conserva ancora una ruolo economico, sociale e culturale piuttosto rilevante. Nel territorio dell’ATS Bergamo è presente un numero significativo di caseifici d’alpeggio registrati e riconosciuti: sono 68 in totale, suddivisi nei territori delle Valli Imagna, Brembana, Seriana, Serina, e della Val di Scalve. Presso i siti d’alpeggio presenti sul territorio provinciale vengono monticati ogni anno oltre 6.000 bovini e più di 33.000 ovini e caprini. Sono numeri che danno l’idea di un mondo per lo più sconosciuto, nonostante rappresenti la radice delle nostre ancestrali tradizioni agricole, tuttora quanto mai presenti e vitali. È importante che la Sanità pubblica sappia accompagnare l’utente amante della

montagna, dal semplice cittadino che intende ammirare paesaggi montani in un week-end estivo, al vero escursionista, aiutandolo a distinguere il grado di affidabilità e salubrità dei prodotti lattiero-caseari che incontrerà lungo il proprio percorso. Dietro a ogni formaggio, burro e ricotta d’alpeggio prodotti nel pieno rispetto delle vigenti normative igieniche, c’è un complesso lavoro del Sistema Sanitario Nazionale, a garanzia del benessere degli animali allevati e della qualità e sicurezza degli alimenti che, tutti i giorni, consumiamo. Regione Lombardia è ormai ufficialmente indenne dalla tubercolosi bovina e dalla brucellosi ovina, caprina e bovina dal lontano 2005, con riconoscimento ufficiale di tale qualifica sanitaria da parte della Comunità Europea. Due malattie, quelle sopra indicate che, fino alla fine degli anni Ottanta, erano estremamente diffuse negli allevamenti di bestiame, con un elevato numero di casi di contagio e trasmissione della malattia dagli animali all’uomo (cosiddetta. “zoonosi”). Tutti gli animali che alpeggiano sono oggetto di specifici controlli. Il personale della Struttura di Sanità Animale svolge un’attività continuativa in tal senso su tutto il patrimonio zootecnico: possono

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monticare solo animali sani non affetti da patologie infettive. È molto importante che il cittadino che decide di gustare un prodotto “di montagna” sia reso più consapevole del fatto che, se consumo un prodotto sicuro, oltre che buono, È per merito, oltre che della serietà e professionalità dei produttori, dell’attività svolta dai Dipartimenti Veterinari delle ATS. Forse la maggior parte dei cittadini non conosce l’azione fondamentale dei servizi della prevenzione, in particolare di quelli del Dipartimento Veterinario, rivolti alla sicurezza alimentare. Se oggi in Regione Lombardia si possono consumare prodotti d’alpeggio sicuri da un punto di vista igienico-sanitario, oltre che di ottima qualità organolettica, lo si deve ai medici veterinari e ai tecnici della prevenzione dei servizi pubblici, che operano nell’interesse della comunità, della salute del cittadino, non utilizzando esclusivamente un rigido approccio repressivo o sanzionatorio, ma sostenendo e aumentando il livello di consapevolezza di un sistema produttivo quale quello montano, in un processo di crescita culturale e di qualità. Basti pensare che, grazie a ciò, è possibile commercializzare su tutto il territorio della nostra


penisola, nonché nel territorio della Comunità Europea, prodotti lattiero-caseari a “Denominazione di Origine Protetta” (“D.O.P.”), di elevatissima qualità, quali il “Formai de Mut dell’Alta Val Brembana” e il “Bitto”, prodotti quasi esclusivamente in caseifici d’alpeggio o comunque siti in territorio montano.

degli allevatori (compravendita di capi, animali morti, predazioni, ecc.), effettuano sopralluoghi presso i caseifici d’alpeggio, per verificarne il mantenimento dei requisiti strutturali ed igienico-sanitari e per eseguire campionamenti di prodotti lattiero-caseari, per verificarne la salubrità.

La monticazione può avvenire solo dopo il rispetto di procedure che certificano la sanità degli animali che si recano in alpeggio, sia a tutela della salute delle altre mandrie e greggi, sia a tutela della salute pubblica. La maggior parte dei controlli sanitari sugli animali (prova della tubercolina per il controllo della tubercolosi e prelievi di sangue per diagnosticare le altre malattie, quali brucellosi e leucosi enzootica bovina) viene svolta presso le sedi invernali degli allevamenti, ma anche quando gli allevamenti si trovano in alpeggio vengono effettuati numerosi interventi veterinari. La Struttura di Sanità Animale e la Struttura di Igiene degli allevamenti e produzioni zootecniche organizzano e svolgono le attività di controllo per verificare, rispettivamente, il buono stato di salute degli animali in alpeggio e degli animali selvatici, che nel periodo estivo vivono in stretto contatto, e il rispetto della normativa in materia di sicurezza alimentare. I veterinari rilasciano i certificati sanitari per gli animali e aggiornano le banche dati informatizzate per la tracciabilità, eseguono verifiche a campione sull’identità degli animali in alpeggio, effettuano esami diagnostici e indagini su richiesta

Il Dipartimento Veterinario ha quindi un ruolo centrale nella sorveglianza sugli alpeggi, che sovente viene svolta in collaborazione con altri organi di vigilanza, in particolar modo con i Carabinieri Forestali. Per poter produrre il latte in alpeggio, trasformarlo in prodotti a base di latte e commercializzarli, sia al consumatore finale sia ad ulteriori rivenditori, i titolari o i conduttori degli alpeggi devono essere in possesso di una specifica “autorizzazione”, a garanzia della sicurezza e qualità igienico-sanitaria dei prodotti. L’attuale normativa comunitaria e nazionale in tema di sicurezza alimentare e relativi controlli, denominata “pacchetto igiene”, prevede due tipi di atti autorizzativi, che non sono più denominati come in passato “autorizzazione sanitaria”, ma secondo la nuova normativa “Riconoscimento” dell’impianto o “Registrazione” dell’impianto. Nel primo caso, dopo un sopralluogo di verifica da parte del Veterinario Ufficiale competente per territorio, viene rilasciato un apposito “numero di riconoscimento” da parte di Regione Lombardia, in seguito a parere favorevole della stessa ATS (cosiddetto ex “bollino CEE”). Tale livello di autorizzazione consente la commercializzazione dei prodotti

lattiero-caseari ottenuti in alpeggio su tutto il territorio nazionale ed europeo, sia a dettaglianti che a grossisti, senza limitazioni, nel rispetto delle norme di conservazione e mantenimento delle temperature, di tracciabilità delle produzioni etc. Nel secondo caso, su istanza del produttore è assegnato un “numero di registrazione” a livello locale, con successivo inserimento in appositi elenchi regionali. Tale livello autorizzativo consente la commercializzazione del prodotto sia sul posto al consumatore finale sia ad altri dettaglianti (o punti di ristorazione collettiva) solo nell’ambito della provincia e delle province confinanti a dove viene esercitata l’attività. Senza essere in possesso di uno dei due livelli autorizzativi sopra descritti, la produzione e la commercializzazione di prodotti a base di latte in alpeggio non è consentita ed è soggetta a provvedimenti amministrativi e sanzionatori.

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GIUSI PESENTI Cuoca Presso il Ristoro de Il Sole e la Terra di Bergamo

Tagliare il seitan a fettine sottili e farlo rosolare in padella antiaderente per qualche minuto con l’olio e aglio tritato. In un pentolino mescolare bene acqua, aceto, sale e amido, portare a ebollizione mischiando con una frusta e dopo due minuti spegnere. Versare la glassa ottenuta sul seitan e servire decorando con pinoli e prezzemolo.

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Kinesio tape un utile alleato senza farmaci ∞  A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Nato poco più di quarant’anni fa in ambito sportivo per favorire il recupero in seguito a contratture muscolari o traumi, oggi il kinesio taping viene sempre più spesso utilizzato anche per i non sportivi come terapia contro il dolore, per contrastare gonfiori di diversa origine, nella riabilitazione di patologie muscolo-scheletriche. Capiamo meglio di cosa si tratta e in quali casi può essere indicato insieme al dottor Paolo Valli, fisioterapista-osteopata. Dottor Valli, in cosa consiste il taping? Il kinesio tape, chiamato anche in altri modi (taping neuromuscolare, taping kinesiologico) è un nastro elastico adesivo sviluppato nel 1979 dal dottor Kenzo Kase. Non contiene principi attivi farmacologici e possiede caratteristiche peculiari in termini di elasticità, tensione, ritorno elastico, peso e trama. Si tratta di una vera e propria metodologia di utilizzo che può supportare - non si sostituisce - a un lavoro mirato e specifico di riabilitazione. In che modo agisce? L’applicazione sulla pelle del kinesio taping si basa su un principio per cui, offrendo opportuni stimoli e perturbazioni all’epidermide, si produrrebbe un’informazione verso il sistema nervoso locale e centrale in grado di determinare una

risposta di inibizione degli impulsi nocicettivi (dolorosi) e l’attivazione o modulazione della tensione muscolare. Sull’epidermide, infatti, sono presenti recettori nervosi, in grado di comunicare con le strutture sottostanti e con i muscoli in seguito a stimoli esterni.

ricercare il movimento muscolare e articolare prima di posizionarlo. Il sollevamento delle pliche cutanee dovrebbe a livello teorico decomprimere le strutture sottostanti e migliorare la circolazione a causa di un aumento dello spazio sottocutaneo.

Come si applica? Il nastro viene applicato in modo da determinare micromovimenti locali e provocare la sua azione grazie alla formazione delle tipiche pieghe durante il movimento, motivo per cui è fondamentale

Quanto deve essere tenuto per avere risultati? La durata della sua applicazione va dai tre ai cinque giorni (anche in base al tipo di utilizzo o di pratica sportiva) e il numero di applicazioni varia in base all’andamento clinico-terapeutico.

Favorendo il drenaggio linfatico, il taping si può rivelare un alleato anche contro pesantezza e gonfiore alle gambe e cellulite”

In quali casi può essere utile? > In caso di edema (gonfiore) per agevolare il drenaggio linfatico: viene applicato sulla cute, tagliato a forma di ventaglio. In questo modo il cerotto determina una serie di convoluzioni della pelle, simili

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a piccole onde, che vanno ad agire sul flusso linfatico come pompe di drenaggio, favorendo così il riassorbimento dell’edema. > Nel recupero sportivo: è un utile supporto per la cura delle problematiche muscolari (contratture, stiramenti etc.), per le patologie tendinee (tendiniti, fasciti), per gli esiti traumatici (distorsioni, contusioni etc.). > Per il dolore: si usa spesso per problemi di mal di schiena acuti o cronici, mal di collo o colpi di frusta, dolori locali, ect.. Si può utilizzare su qualsiasi articolazione o parte del corpo senza particolari controindicazioni e con effetti anche molto rapidi. > In ambito riabilitativo: la

letteratura scientifica è spesso controversa rispetto ai risultati. Quello che è certo è che, da solo, non può essere considerato una cura efficace ma deve essere sempre abbinato a un adeguato percorso di cura che preveda, oltre alla valutazione, esercizi specifici e terapie associate. Ogni trattamento di un disordine muscolo - scheletrico deve soppesare l’utilizzo del taping in base alla patologia di cui la persona soffre, in base alle sue caratteristiche, alle sue aspettative e alla reale efficacia che questo strumento ha sulla condizione clinica. È poi fondamentale la competenza dell’operatore che applica il taping: qualora, infatti, l’applicazione non sia corretta non solo è possibile che non si ottenga

l’effetto desiderato, ma c’è la possibilità che l’effetto sia addirittura dannoso.

DOTT. PAOLO VALLI Fisioterapista-Osteopata Docente di Clinica dell’Apparato Osteoarticolare - Università degli Studi di Milano-Bicocca Corso di Laurea in Fisioterapia Direttore Generale IRO Medical Center


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GUIDA ESAMI

Metabolismo lento o veloce? Te lo dice la calorimetria indiretta ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

LA FORMULA DI HARRIS-BENEDICT “Il mio metabolismo deve essersi bloccato!”, “Il mio è fermo da un pezzo!”, “Io ho un metabolismo lento, al contrario di mio marito che brucia tutto ciò che mangia!”. Quante volte ci è capitato di sentire frasi come queste. Ma quanti possono dire con certezza di conoscere i valori del proprio metabolismo e soprattutto di quello basale? «Innanzitutto iniziamo con il definire cosa sia il metabolismo basale, ovvero “il dispendio energetico a riposo, a digiuno, comprendente l’energia necessaria per le funzioni vitali, quali ad esempio la respirazione, la circolazione sanguigna e le attività del sistema nervoso”» osserva Massimo De Nardi. «Il metabolismo basale normalmente rappresenta oltre la metà del dispendio energetico totale di una giornata tipo. Saper stimare in modo empirico i valori del metabolismo basale risulta quindi di cruciale importanza se si vuole conoscere l’introito calorico necessario per raggiungere il proprio obiettivo, soprattutto in un’ottica di gestione del peso. Introdurre, con l’alimen-

tazione, un quantitativo di calorie indicativamente pari a quante ne bruciamo ci consente di mantenere il nostro peso, mentre creare un deficit calorico ci permette di favorire la perdita del peso e infine creare un surplus calorico ci può portare a un aumento dello stesso». Quali sono i metodi o gli esami per calcolare il proprio metabolismo basale? Solitamente siamo abituati a registrare i parametri di peso, altezza e del conseguente indice di massa corporea. In alcune situazioni, affidandoci a professionisti, si riesce a indagare in modo un po’ più approfondito attraverso la misurazione della composizione corporea, ovvero il rapporto tra massa grassa, massa magra e acqua corporea. Una stima più accurata la si può ricavare con la formula di Harris - Benedict (vedi box), ma rimane comunque un dato che non tiene conto delle caratteristiche soggettive, delle abitudini alimentari e dell’attività di un soggetto. Il gold standard per la misurazione del dispendio energetico a riposo, ov-

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È una formula matematica utilizzata in campo medicoscientifico da quasi un secolo che calcola il metabolismo prendendo in considerazione sesso, altezza, peso, età ed eventuali fattori stressogeni (infezioni, traumi, malattie etc.).

vero l’REE (Resting Energy Expenditure), è la calorimetria, che a sua volta può essere diretta o indiretta. Tra le due la calorimetria indiretta è sicuramente il più diffuso e accessibile. In cosa consiste? Il test consiste di calcolare il consumo di ossigeno di un soggetto in posizione supina analizzando la diminuzione della concentrazione di ossigeno nell’aria espirata dal soggetto rispetto ai valori di ossigeno presenti nell’aria ambiente. Ciò rileva la capacità dell’individuo di ricavare energia ossidando i substrati energetici contenuti negli


alimenti: viene consumato ossigeno e prodotta anidride carbonica. Il test dura circa un quarto d’ora e viene svolto in condizioni di riposo e di digiuno da almeno cinque ore, sdraiati su un lettino con indosso una speciale maschera collegata al dispositivo che analizza i gas respiratori e valuta il dispendio calorico giornaliero. Il report ottenuto dalla calorimetria indiretta permette di conoscere con precisione il rapporto tra le fonti energetiche che il nostro corpo utilizza per sostenere le attività quotidiane (carboidrati/ grassi), lo stato di salute del nostro metabolismo, ovvero se è in linea con quanto predetto oppure se è lento rispetto a quanto dovrebbe essere, e infine il preciso introito calorico basato sul nostro metabolismo basale e sull’obiettivo che

ci siamo prefissati in virtù di perdere, mantenere o aumentare il proprio peso corporeo. Come in tutti gli ambiti, testare ci consente di misurare, fare delle valutazioni e infine analizzare la situazione per poter poi predisporre un programma ad hoc per le singole esigenze. Conoscere con esattezza il metabolismo basale di una persona consente ad esempio al dietista o al nutrizionista di stilare un piano alimentare personalizzato al 100%. Sapere in concreto quale è l’apporto calorico da introdurre quotidianamente inoltre rende la persona che effettua il test ancor più consapevole della coerenza del proprio stile di vita in merito agli obiettivi che si è prefissato. Ripetere nel tempo il test, magari a distanza di un paio di mesi, permette alla persona e ai

professionisti che lavorano insieme a lui, ad esempio il nutrizionista e il personal trainer, di valutare i progressi ottenuti e attuare gli adattamenti necessari per raggiungere e mantenere il risultato desiderato.

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ANIMALI

Calcoli nel cane Come riconoscerli e cosa fare ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Lo sapevate che anche i nostri amici a quattro zampe possono soffrire di calcoli urinari? Proprio così e si tratta di una patologia molto comune, soprattutto cani di taglia piccola come Bichon frisè, Yorkshire, Shi-Tzu, Schnautzer nani, Cocker spaniel, e nei Dalmata e Terranova. «I calcoli, o in termini scientifici urolitiasi, riguardano circa il 20 % dei cani che si presentano in visita per problemi urinari, soprattutto maschi» conferma la dottoressa Francesca Bosio, medico veterinario. «Oltre alla predisposizione genetica legata alla razza, anche una dieta scorretta o concomitanti patologie metaboliche possono favorire lo sviluppo di calcoli, così come l’assunzione di alcune classi di farmaci che portano a ipercalcemia (alcuni diuretici, cortisonici etc.) e in ultimo, infezioni del tratto urinario complicate da batteri produttori di ureasi e problemi metabolici». Dottoressa Bosio, cosa si intende per calcolo? E come si forma? I calcoli sono aggregati di cristalli che si formano e si depositano nell’apparato urinario a livello del rene (nefroliti), degli ureteri (ureteroliti), della vescica (urocistoliti) o dell’uretra (uretroliti). Normalmente l’urina contiene una certa quantità di sali minerali che, in alcune condizioni particolari (ad esempio in caso di urina molto concentrata, variazione del pH, difetti di riassorbimento nel rene etc…) tendono a

cristallizzarsi. Questi cristalli, a loro volta, possono aggregarsi attorno a un nucleo centrale di detriti dando origine al calcolo. I cristalli, e così anche i calcoli, non sono tutti uguali: dipende da quali sali minerali sono formati. Conoscere il tipo di calcoli è molto importante per poter scegliere la terapia più indicata. Quali sono i principali tipi di calcoli? > Struvite. Sono composti da magnesio, ammonio e fosfato e sono il tipo più riscontrato nei cani. Si formano spesso come esito di un’infezione batterica urinaria, in presenza di Ph urinario elevato. Anche i fattori nutrizionali giocano

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un ruolo importante, poiché avranno un effetto sul pH urinario, la quantità di magnesio e fosforo, la quantità di acqua assunta. Sono calcoli che ben rispondono a una terapia dietetica. > Ossalato di calcio. Si formano nelle urine acide spesso come conseguenza di iperassorbimento intestinale di calcio, pertanto la dieta può avere un ruolo significativo nel loro sviluppo, ma anche da malattie che aumentano il riassorbimento del calcio da parte delle ossa (iperparatiroidismo, acidosi metabolica...) o da problemi renali che aumentano la

LA DIETA PER CONTRASTARLI

La gestione nutrizionale dipende dal tipo di calcolo, tuttavia esistono alcuni accorgimenti che possono favorire la guarigione prevenirli. 1. Diluire il più possibile l’urina, stimolando l’assunzione di acqua. Lo si può fare utilizzando cibo umido, aggiungendo acqua alle abituali crocchette, utilizzando fontanelle o più ciotole sparse per casa. 2. Controllare il pH urinario, attraverso l’alimentazione o con integratori specifici. 3. Adattare l’assunzione dei precursori dei calcoli attraverso mangimi medicati appositi.


quantità di calcio nelle urine. > Urati di ammonio. Frequenti nel dalmata, mentre nelle altre razze si presentano come conseguenza di disfunzione epatica o shunt portosistemico. > Cistina. Frequenti invece nei bulldog inglesi e nei terranova per un difetto congenito che porta al un alterato trasporto degli amminoacidi nei tubuli renali. > Altri uroliti meno frequenti sono quelli di xantina (soprattutto in animali trattati con farmaci come l’allopurinolo per lunghi periodi), di silice (associati a diete vegetariane). Come si fa ad accorgersi che c’è qualcosa che non va? Ci sono diversi campanelli d’allarme che possiamo cogliere nel nostro cane, dal meno evidente al

più palese: > urina frequentemente e in piccole quantità; > mantiene a lungo la posizione di minzione; > urina in luoghi inappropriati produce urina di colore anomalo o di odore molto forte; > ha dolore durante la minzione o addirittura non riesce a urinare. In qualsiasi caso è consigliabile rivolgersi immediatamente al veterinario di fiducia che, dopo una visita accurata, si potrà avvalere di alcuni mezzi diagnostici come la radiologia digitale abbinata eventualmente all’ecografia, l’esame delle urine con visualizzazione diretta del sedimento al microscopio e esame colturale e antibiogramma per determinare se è presente un’infezione del tratto urinario. Se si dovesse confermare la presenza di

uroliti, a seconda della loro natura, dimensione, numero e soprattutto della sede si potrà optare per un trattamento medico, nel caso di calcoli che possano essere “sciolti” da farmaci appositi, o un trattamento chirurgico.

DOTT.SSA FRANCESCA BOSIO Medico Veterinario Clinica Veterinaria Villa Francesca Seriate

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DAL TERRITORIO

NEWS

NEWS Una targa per ricordare la Fiera come luogo simbolo della lotta al Covid-19 Una targa commemorativa per non dimenticare la lotta contro il Covid – 19 combattuta nella nostra città e il ruolo che la Fiera, fin dalla prima ondata della primavera del 2020, ha avuto nella lotta alla pandemia. L’ha donata l’ASST Papa Giovanni XXIII alla Fiera di Bergamo, che per 16 mesi è stato un ospedale e presidio sanitario di riferimento per tutto il territorio bergamasco e non solo. La targa ospita l’opera di Franco Rivolli, “Angels”, la stessa riprodotta sulla Torre 5 del Papa Giovanni e sulla facciata della Fiera e che ha fatto il giro del mondo, e un testo che recita “Questo luogo per 16 lunghi mesi, dal 6 aprile 2020 all’1 agosto 2021, è stato un presidio dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Centinaia di sanitari e tecnici si sono presi cura di migliaia di cittadini, coltivando la speranza nella lotta comune contro il Covid-19. Questa targa è dedicata a tutti i protagonisti che hanno reso possibile l’Ospedale della Fiera di Bergamo e lavorato con orgoglio e competenza per la cura dei pazienti, perché nulla di ciò che qui è accaduto venga dimenticato”.

AIDO: il sì alla donazione diventa digitale Addio tesserino cartaceo. Da oggi è possibile iscriversi all’AIDO e contestualmente manifestare il proprio consenso alla donazione di organi e tessuti, utilizzando la propria identità digitale SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) o un certificato di Firma Digitale in possesso dell’utente, ai sensi dell’art. 65 D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, come modificato e integrato con il D.Lgs. 22 agosto 2016 n. 179 e con il D.Lgs. 13 dicembre 2017 n. 217 (Codice dell’Amministrazione Digitale CAD) e in virtù dell’accreditamento di AIDO all’iPA (Indice della Pubblica Amministrazione) come gestore di pubblico servizio. Di prossima implementazione anche l’utilizzo della firma CIE (Carta d’Identità Elettronica). Questa nuova modalità d’espressione del consenso - che va ad aggiungersi a quella tradizionale dell’atto olografo - è disponibile attraverso i nuovi strumenti informatici di AIDO: un sito internet www.aido.it completamente rinnovato e la neonata App AIDO, disponibile su App Store e Google Play.


“Bg città vicina - fare e welfare”: un numero per aiutare i cittadini, dai pasti all’idraulico Da alcuni mesi è attivo un nuovo numero di telefono utile per tutti i cittadini bergamaschi, grazie alla collaborazione tra Comune di Bergamo e “Consorzio Sol. Co Città aperta”. Chiamando il “Bergamo città vicina” si potranno avere risposte su numerosi servizi a domicilio, a pagamento o gratuiti: si può chiedere un aiuto per trovare un infermiere, ma anche il contatto di un idraulico che sistemi l’impianto senza spendere una fortuna o un aiuto nel compilare la domanda per ottenere un contributo pubblico. Risponderà un operatore in grado di ascoltare le difficoltà ed eventualmente di orientare anche le persone verso i servizi presenti nel proprio quartiere o in città. Bg città vicina si sviluppa su quattro aree di

intervento: servizi per la casa (dalle riparazioni idrauliche e di muratura ai servizi di ritiro e sgombero, pulizia e sanificazione Covid-19, cura del verde), servizi di cura alla persona (prestazioni infermieristiche, colf e badanti, consegna pasti), aiuti alla famiglia e ascolto dei bisogni grazie a operatori qualificati e competenti. Per informazioni si può contattare il 345.2397560 (lunedì-venerdì dalle 9 alle 12.30 e dalle 15 alle 18.30, il sabato dalle 9 alle 12.30. Il sito internet www.bgcittavicina.it presenta una panoramica dettagliata dei servizi e, nella pagina “Agenda cittadina”, raccoglie in modo sintetico e aggiornato il panorama dei contributi sociali e dei servizi di riferimento per minori, famiglie, disabili e anziani. Il progetto nasce

grazie al finanziamento del Bando Artemisia, si avvale della partecipazione delle cooperative socie Ruah, Alchimia e Pugno Aperto e del supporto di un’ampia rete di partner del territorio bergamasco: Fondazione Diakonia Onlus; UILDM Bergamo; CGIL, CISL e UIL Bergamo; Associazione Aiuto per l’Autonomia; Comitato Bergamasco per l’Abolizione delle Barriere Architettoniche; Welfare Lynx; Bergamo AAA - Accessibile, Accogliente, Attrattiva. La dimensione altamente professionale degli interventi domiciliari si accompagna ad un ascolto attento ai bisogni della persona e all’accoglienza delle eventuali fatiche economiche e sociali.


DAL TERRITORIO

ONLUS

Il Parkinson non è un morbo È un’inguaribile voglia di vivere Un libro e una mostra itinerante con le voci di Lella Costa e Claudio Bisio raccontano le storie di malati che hanno superato la malattia con nuovi interessi ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

“Quando il medico mi ha comunicato che avevo il Parkinson aveva un’espressione triste. Per prima cosa gli ho chiesto se mia figlia, che aveva 13 anni, corresse il rischio di contrarre in futuro la stessa patologia: mi ha rassicurato perché non è ereditaria. A quel punto mi sono accorto che era più depresso di me e allora gli ho raccontato una barzelletta su un vecchio parkinsoniano che sfrutta i suoi tremori per far colpo sulle donne. Così quando ci siamo salutati io e il dottore sorridevamo entrambi. Una volta tornato a casa però mi è caduto addosso il mondo”. È l’inizio della storia di Alessandro Culotta, diventato dopo la malattia, un volontario della Croce

Rossa e Doctor clown per aiutare le persone malate a stare meglio. “Il sorriso è la mia arma migliore, è la più efficace.” La sua storia è una delle 17 pubblicate nel libro “Non chiamatemi morbo! Mr. Parkinson si racconta” scritto dalla giornalista Sabrina Penteriani e da Marco Guido Salvi, vicepresidente nazionale dell’Associazione Italiana Parkinsoniani e presidente della sezione di Bergamo con le immagini e i ritratti del fotografo Giovanni Diffidenti, famoso a livello internazionale per la sua capacità narrativa, anche lui bergamasco come gli autori del volume. Storie toccanti e immagini dei parkinsoniani ripresi durante la loro quotidianità.

Ph:Giovanni Diffidenti

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«L’obiettivo di questo libro è aiutare il lettore a capire meglio la malattia, a sgomberare il campo da pregiudizi e luoghi comuni» ci dice il dottor Salvi. «Il Parkinson non è un morbo come qualcuno lo definisce ma è una malattia neurodegenerativa, progressiva ed invalidante, che mette ansia e paura solo a pronunciarne il nome. Una malattia però con la quale si può convivere perché il Parkinson non ferma la vita. Anzi è un’inguaribile voglia di vivere». Come testimoniano i racconti degli intervistati che sono riusciti a superare grosse difficoltà fisiche e mentali scoprendo, grazie all’Associazione (AIP) nuovi modi di socialità e di cura come il ballo, il teatro, il modellismo, la poesia o la scrittura. Queste storie, raccontate dalle voci di Lella Costa e Claudio Bisio con le foto di Giovanni Diffidenti, danno vita a una mostra fotografica itinerante organizzata dalla Confederazione Parkinson Italia il cui presidente è un altro bergamasco, Giangi Milesi, con lo stesso titolo del libro “Non chiamatemi Morbo”. L’esordio al Piccolo Teatro di Milano, poi a Genova, all’Accademia Carrara, a Varese, a Trento, a Cusano Magnago, a Busto Arsizio, a Rho, ora a Gallarate e tra breve a Napoli. Ogni storia comincia con un dialogo, drammaticamente ironico, di


Mr. Parkinson con la sua “vittima”, come Alma Piku, di origine albanese, ma da decenni residente a Bergamo. Eccolo: MR Parkinson: “Quando ci siamo incontrati Alma aveva 37 anni. Ho cercato di spezzarla, ma lei se n’è infischiata. L’impresa di pulizie per cui lavorava è fallita. L’ho piegata, fino a toglierle il controllo del suo corpo. L’ho spinta a isolarsi e a vergognarsi di se stessa”. Ma Alma, che è laureata in matematica In Albania, non è d’accordo e risponde così: “Il Parkinson è un ostacolo come tanti, ce ne sono di peggiori. Ho trovato un nuovo posto di lavoro che mi piace

di più. Ho pubblicato il mio primo libro di poesie: un’emozione. Ho tanti amici e non mi nascondo perché questa malattia non è un tabù”. O il botta e risposta con Fabiola Lampasona. Mr. Parkinson: “Fabiola ha 46 anni, e quando l’ho incontrata, cinque anni fa, aveva un figlio adolescente, lavorava in una farmacia, le piaceva correre ed era un’atleta agonista. Le ho mandato tutto all’aria, costringendola a reinventarsi. Le ho causato stanchezza, squilibrio e dolore”. Ma Fabiola nonostante i problemi ha imparato a giocare a park-rugby un tipo di rugby adattato alle caratteristiche

e alle esigenze dei suoi colleghi malati e controbatte: “Ero ancora giovane, i medici non riuscivano a capire cosa avessi: ci sono voluti due anni per arrivare alla diagnosi corretta. Quando ho scoperto di avere il Parkinson ho accusato un duro colpo. Mi ha aiutato entrare in contatto con altri parkinsoniani e ho iniziato a frequentare le attività dell’AIP”. Come ha fatto l’ex preside del liceo Sarpi, Giovanna Govoni, che ha avuto il sentore di essere ammalata in cucina non riuscendo più a stendere la sfoglia per le tagliatelle, uno dei suoi piatti preferiti, o ad aprire i barattoli. Ha accettato


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ONLUS

scelli e navi, di Giulio Nava che crea oggetti in legno, di Giuseppe Montagna che ha partecipato anche a una Mille Miglia, di Giovanna Cantù che parla dell’aiuto avuto dal marito e dalla nipotina, di Lorenzo Carrara che disegna faggi, rose e pettirossi, di Paolo Rota ex motociclista che ha scoperto un simulatore video, di Riccardo Merisio che sta scrivendo un libro attorniato dalla famiglia e tanti amici, di Rosalba Latella che ha scoperto la recitazione e il tango, di Stefano Guidotti che combatte il Parkinson con lo sport. Ph:Giovanni Diffidenti

la malattia senza provare rabbia. “È inutile ribellarsi a un verdetto del genere: è una malattia, bisogna farsi coraggio e affrontarla. Certo mi dispiace dover rinunciare a tante cose, faccio fatica anche solo a camminare. Mi piaceva andare a raccogliere funghi e lo faccio ancora, ma devo portare con me il deambulatore. Ho trovato un aiuto prezioso nell’AIP Bergamo”. Fa ginnastica, balla il tango e si esibisce come attrice con la compagnia Teatro&Tremore. “È un’attività che

mi appassiona, mi ha fatto incontrare nuovi amici. L’anno scorso il mio ruolo prevedeva che entrassi in scena camminando e accennando un passo di danza e io che normalmente devo usare il deambulatore ci sono riuscita senza aiuti. Una soddisfazione incredibile”. E nel libro e nella mostra itinerante ci sono altre storie toccanti come quella di Andrea Tagliabue che grazie alla meditazione e allo yoga ha trovato la forza di ripartire, quella di Gianmario Vavassori che costruisce va-

Ph:Giovanni Diffidenti

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Ma ci sono anche le esperienze dei caregiver, che si prendono cura di un paziente, come il nostro vescovo Francesco Beschi che ha assistito per anni, con i suoi quattro fratelli, la mamma malata di Parkinson e che dice: “La malattia di mia madre è stata una grande scuola, mi ha fatto sentire più vicino alle persone fragili, ho cominciato a comprenderle meglio. Da allora seguo sempre molto da vicino l’Associazione Parkinsioniani. La loro attività contribuisce a formare una coscienza sociale su questa malattia nei confronti della quale esistono ancora oggi molti pregiudizi. A queste persone cerco sempre di trasmettere come posso parole di speranza. Con la loro testimonianza, con il loro coraggio nell’affrontare la malattia possono aiutare tutti noi a capire che cosa è davvero importante”. Senz’altro, come recita il titolo dell’intervista “Una famiglia unita moltiplica le armi contro la malattia”. L’associazione, oltre la famiglia, è un elemento che aiuta a convivere con il problema. A volte i malati di Parkinson si sentono soli, spesso a disagio nel contatto con le altre


persone. «Nel mio percorso ho capito che la malattia non colpisce solo il paziente ma coinvolge l’intera famiglia» dice Salvi. «I rapporti cambiano e in certi momenti molti malati sentono crescere una certa insofferenza nei confronti dei loro cari. Altre volte i familiari sembrano non credere che alcune difficoltà dipendano proprio dalla malattia e non dalla volontà dell’individuo. Ci vuole una grande forza di volontà da parte del paziente per non chiudersi, per non vergognarsi nel mostrare i segni e la difficoltà della malattia. Ma anche coraggio nel raccogliere nuove sfide e opportunità che possono offrirsi. Ho visto recitare persone che non erano mai entrate in teatro. E ho visto amici

Parkinsoniani Bergamo - sezione AIP Associazione Italiana Parkinsoniani - Onlus Via Monte Gleno, 49 Tel. 035244561 - info@aipbergamo.it www.aipbergamo.it IBAN IT10L0306909606100000006579

che non avevano mai ballato muoversi con i ritmi del tango argentino. Nel mio caso, attraverso la malattia, ho scoperto l’impegno per gli altri. I valori dell’associazionismo e i principi del volontariato. Anche se la domanda ricorrente resta sempre “Cosa sarà di me domani? Del futuro mi spaventa la possibilità di perdere completamente l’autonomia, di dover usare una carrozzina e non poter più aiutare gli altri, anzi

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essere di peso». Ma “L’inguaribile voglia di vivere” e “L’unione fa la forza”, che sono i suoi due motti, fanno progettare al dottor Salvi, ex amministratore delegato di società del gruppo Italcementi, la realizzazione di un altro obiettivo: un Centro Parkinson centralizzato, di alta specializzazione a Bergamo, con strutture e medici esperti nella cura del Parkinson.

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DAL TERRITORIO

FARMACIE

L’evoluzione della farmacia dagli “spezieri” a oggi, passando attraverso la pandemia ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Storicamente il farmacista era una figura centrale e fondamentale della vita quotidiana insieme al medico e al prete del paese. Chiamato lo “speziere”, all’inizio dell’Ottocento, per poter ricoprire questa figura, doveva aver compiuto studi umanistici e non solo scientifici per esempio di chimica farmaceutica e botanica, come intuitivamente si potrebbe pensare. Alle conoscenze strettamente di settore, poi, dovevano affiancarsi anche doti morali, confluite poi nel Codice Deontologico oggi in vigore. Da allora il ruolo del farmacista è molto cambiato (e continua a cambiare come vedremo nel prossimo numero), pur rimanendo sempre - e sempre di più - un punto di riferimento, in molti casi il primo e più accessibile, per la salute e il benessere di grandi e piccoli.

del farmacista che, nell’Ottocento, vennero scoperte e isolate molecole come manganese, cloro, la chinina, l’acido lattico, l’acido fosforico. Sempre grazie al farmacista si passò dalle “teorie degli umori” ippocratico-galeniche alle conoscenze chimiche e alle diverse tecniche di preparazione ed estrazione, come per esempio la distillazione» raccontano le dottoresse Maria Silvia Calvino Ramaccio ed Elena Bottazzi, farmaciste del gruppo Agifar Bergamo (Associazione Giovani Farmacisti). «Essendo il responsabile della preparazione dei medicamenti, il farmacista era chiamato in alcuni casi a confrontare le soluzioni terapeutiche con il medico, aumentando così la considerazione e il rispetto della figura già a quei tempi».

DALLA “MAGIA” ALLA SCIENZA

Con il passare degli anni il farmacista è diventato man mano sempre

«Fu soprattutto grazie alla figura

LA SITUAZIONE PRE PANDEMIA

66 | Bergamo Salute | Settembre/Ottobre 2021

più da un lato commerciale, dall’altro inserito nel contesto del Sistema Sanitario Nazionale, passando dal laboratorio e dalla gestione delle sostanze, alla gestione e dispensazione delle ricette, inserendo con il tempo quel confine sottile ma netto tra la sua figura e il cliente, che è il banco della farmacia. «Dal Novecento fino ai giorni nostri si sono susseguiti numerosi e rapidi cambiamenti che hanno riguardato soprattutto il ruolo del farmacista dietro il banco del punto vendita. I medicinali sono diventati per la maggior parte industriali, acquistabili con ricetta a carico del Sistema Sanitario secondo protocolli di cura e terapia per lo più standardizzati in base alle evidenze e agli studi in continua evoluzione, relegando quindi man mano l’attività di preparazione in farmacia a situazioni di emergenza, a preparati magistrali su richiesta del medico e meno a preparati officinali personalizzati in base alla farmacia». È stata affian-


Dott. Paolo Previtali Medico Chirurgo Odontoiatra Dott. Federico Previtali Odontoiatra

I M P L A N TO LO G I A A C A R I C O I M M E D I ATO S E N Z A PAU R A E S E N Z A D O LO R E P R O T E S I F I S S E AV V I TAT E AG L I I M P I A N T I I N G I O R N ATA ORTODONZIA INVISALIGN CON M A S C H E R I N E T R A S PA R E N T I PROTESI CON SC ANNER INTRAORALE S E N Z A FA S T I D I O S E I M P RO N T E E S T E T I C A D E N TA L E E S B I A N C A M E N TO O D O N TO I AT R I A L A S E R A S S I S T I TA CONVENZIONI INDIRETTE DA R I C H I E D E R E I N S E G R E T E R I A PAGA M E N T I P E R S O N A L I Z Z AT I

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DAL TERRITORIO

FARMACIE

DOTT.SSA ELENA BOTTAZZI

DOTT.SSA MARIA SILVIA CALVINO RAMACCIO

Comunicazione scientifica

Farmacia San Faustino di Nembro

Farmaciste del gruppo Agifar Bergamo (Associazione Giovani Farmacisti)

cata, sempre secondo una regia centrale, l’attività di distribuzione di

ceutical Care, non si è vissuto nel tempo il fisiologico passaggio del farmacista da dispensatore a consulente-counselor riguardo l’informazione sanitaria sull’aderenza alla terapia, la somministrazione ed eventuali effetti collaterali, come già avviene all’estero. E questo vale sia per quanto riguarda la farmacia territoriale sia quella ospedaliera».

LA PANDEMIA DA COVID 19: IL “GIRO DI BOA” presidi e prodotti per alimentazione speciale, oltre alla possibilità di prenotare visite e di vedere attuata la dematerializzazione delle ricette e del fascicolo sanitario elettronico con le dovute differenze regionali. «In tutti questi cambiamenti la risposta del farmacista, laddove interpellato, si è sempre dimostrata positiva e propositiva, venendo incontro alle modifiche che potevano in qualche modo snaturare anche l’unicità del proprio punto vendita, considerando che l’Italia è uno dei Paesi dove la personalizzazione e l’indipendenza delle varie farmacie sono ancora ritenuti punti di forza. Parallelamente però, aldilà di campagne e slogan riguardo la Farmacia dei Servizi e la Pharma-

«La virulenza della pandemia ha intaccato pian piano le fondamenta di un sistema che in apparenza mostrava l’intenzione e la visione di cambiare ed evolversi, ma che era in concreto ancorato a una concezione superata di salute e di operatori sanitari» continuano le farmaciste. «La farmacia che stava cambiando quasi un punto vendita alla volta si è trovata catapultata “al fronte”, in prima linea. Chiarimenti, rassicurazioni, a disposizione giorno e notte, confronto con gli altri operatori sanitari e con tutti coloro che si sono dati da fare, collaborazione, rete, dedizione, atto di coraggio e di amore verso i pazienti. Tutto ciò che stava contribuendo a cambiare e a portare verso il futuro la

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nuova farmacia, ma che adesso avrà un ruolo ancora più di primo piano, è stato sospeso, messo da parte. A un certo punto non è stato più chiesto ai farmacisti se fossero pronti o no a ricoprire un ruolo centrale nel Sistema Sanitario. Ci si sono trovati, l’hanno dimostrato con i fatti, con i sorrisi, con l’attenzione, tenendo per sé la preoccupazione e l’incertezza delle notizie che arrivavano, con la speranza di rivedere tutti in salute e con la certezza, forse l’unica, che la cura migliore è tutto ciò che non si può vendere e quantificare, ma che ha un valore intrinseco, ovvero il “prendersi cura”. I servizi che già erano stati introdotti e che forse non hanno mai avuto il giusto riconoscimento, hanno iniziato ad acquisire maggior valore. Dalla stessa misurazione della pressione agli esami di prima istanza su sangue capillare: sono stati anche il mezzo grazie al quale i farmacisti si sono potuti proporre per eseguire gli screening per il Covid-19. E anche oggi la farmacia rimane un punto di riferimento per coloro che necessitano di tamponi e sierologici. Alla base, quell’ingrediente che nel campo della salute non è facile “comprare”, né con fast-screening nè con una tessera personalizzata: la fiducia, la fidelizzazione. Un valore che non s’improvvisa, si costruisce, con il tempo, l’esperienza e i rapporti umani, e che nessun numero, nessun computer o altro mezzo elettronico può dare. Alla fine, senza proclami, spettacolarizzazioni, sono rimasti i fatti, il coraggio, il silenzioso rumore che deriva dal fare del proprio lavoro una missione, senza eroi, ma con professionisti che si distinguono perché sono e fanno. Proprio per questo voce che continua a essere ascoltata».


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Con BergamoScienza scopriamo le sfide al mondo che cambia ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

«Facciamo conoscenza è stato il motto del festival 2021 di Bergamo Scienza, ma è anche l’ispirazione che da quasi vent’anni ci guida nel seminare conoscenza, promuovendo una nuova cultura della divulgazione scientifica. Conoscenza perché solo conoscendo possiamo essere veramente liberi. Scienza perché nella scienza c’è il nostro futuro», così Raffaella Ravasio, presidente dell’Associazione BergamoScienza. E di futuro, delle novità scientifiche e non solo si è discusso nei vari appuntamenti, in piazzale degli Alpini, al Teatro Sociale, al Centro Congressi, con in sala tanti giovani e appassionati di scienza. Il tema della prima giornata ha riguardato uno degli argomenti principi della XIX edizione del Festival: ”Le sfide che ci attendono”. «Le sfide ambientali e sociali che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni sono in buona parte legate all’utilizzo sostenibile delle sue risorse, a partire dalle fonti di energia per arrivare all’acqua potabile», sostengono gli esperti. «Trovare i giusti compromessi per garantire a tutti l’accesso a queste risorse è compito della politica, ma solo se questa è informata dalla scienza». Alla vigilia della nuova Conferenza della Parti sui cambiamenti climatici (COP26) delle Nazioni Unite, che si terrà a novembre a Glasgow, e in chiusura alla pre-COP26, che si è conclusa a Milano proprio in contemporanea all’inaugurazione di

BergamoScienza, due ospiti d’eccezione hanno raccontato da due punti di vista differenti il problema dell’accesso e della ridistribuzione delle risorse a livello globale: Tom Hart, CEO di ONE Campaign, l’organizzazione internazionale cofondata dal cantante Bono, che ha affrontato il tema dell’accesso alle risorse (tra cui farmaci e vaccini) nei Paesi più poveri del mondo; Marirosa Iannelli, presidente del Water Grabbing Observatory, ha parlato dell’uso dell’acqua come risorsa fondamentale e di cambiamento climatico.

Raffaella Ravasio, presidente dell’Associazione BergamoScienza Ph: Laura Pietra

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BergamoScienza, primo festival scientifico nato in Italia, ogni autunno trasforma Bergamo nel palcoscenico della scienza, chiamando le voci più rappresentative a livello mondiale, tra cui, a oggi, ben 31 Premi Nobel, tra cui Sir Paul Nurse Nobel per la medicina 2001, genetista e biologo che il 17 ottobre conclude il Festival con la lectio “Che cos’è la vita“ ripercorrendo, in collegamento con il filosofo della scienza Telmo Pievani, le grandi scoperte della biologia spiegando anche come la vita complessa riesca ad emergere dalla materia inanimata. Altrettanto importanti gli altri relatori che hanno illustrato temi delicati come i vaccini anti coronavirus e quelli contro i tumori (l’immunologo Alberto Mantovani e l’ematologo Christopher Huber), o delle particelle che potrebbero riscrivere la fisica (Dario Menasce, ricercatore del’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare). Ma si è parlato anche del pianeta Marte raggiunto da tre missioni in pochi giorni con l’astrofisica Teresa Fornaro e il giornalista Giovanni Caprara. Carola Frediani, scrittrice ed esperta di cybersicurezza ha invece spiegato come difendersi nel web e come difendere le nostre società da possibili attacchi. L’antropologa e paleobiologa americana Nina Jablonski, nota per le sue ricerche sull’evoluzione del colore della pelle negli esseri umani, molto impegnata nella divulgazione sull’evoluzione e la


diversità umana e nella lotta contro il razzismo, nell’incontro “Il colore della pelle, dalla biologia alla cultura” ha proposto un viaggio alla scoperta della storia scientifica e umana del colore della pelle per comprendere come, nonostante il colore della pelle sia uno dei fenomeni biologicamente meno rilevanti, abbia profondamente influenzato la nostra cultura e le nostre interazioni sociali, spesso con dolorose conseguenze . Ma si è parlato anche della nostra città con il progetto “In Bergamo, città verde… grazie allo spazio” con Stefano Ferretti e Ilaria Zilioli dell’ESA che hanno presentato “Urban Forest” un progetto che permette a una rete di città, fra cui Bergamo, di utilizzare dati satellitari per

il monitoraggio e la gestione del verde urbano. «Comprendere la complessità del nostro pianeta» sostengono «può contribuire non solo a migliorare la qualità della nostra vita quotidiana, ma anche ad adottare politiche efficaci per un futuro più sostenibile».

E tanti altri scienziati che hanno coinvolto un pubblico di tutte le età. Insomma nei diciassette giorni di conferenze, laboratori, spettacoli e tour virtuali c’è la scoperta del mondo che cambia. Come al solito le presenze sono state tantissime. Nelle precedenti edizioni di Bergamo Scienza sono state 2.355.921 con l’impegno di 39.849 volontari e 482 scuole protagoniste. Quest’anno, in attesa della manifestazione, l’Associazione ha replicato l’esperienza di successo dello scorso anno: un Pre Festival (dal 3 giugno al 30 settembre), con un fitto calendario di incontri in presenza, 12 date e quattro laboratori di robotica per bambini, e online, con 18 live streaming sui canali social del festival.

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INSIEME CONTRO LE MALATTIE RARE Le Malattie Rare sono un ampio gruppo di patologie (circa 7.000 secondo l’OMS), accomunate dalla bassa prevalenza nella popolazione (inferiore a cinque persone per 10.000 abitanti secondo i criteri adottati dall’Unione Europea). Con base genetica per l’80-90%, possono interessare tutti gli organi e apparati dell’organismo umano.

Incontri con i sostenitori e gli amici di A.R.M.R. /

VENERDÌ 22 SABATO 23, DOMENICA 24 OTTOBRE Manifestazione Forme “Il formaggio alimenta la ricerca” Appuntamenti a Bergamo Alta vedi www.progettoforme.eu

/

GIOVEDÌ 4 NOVEMBRE 2021 ore 19:00 Chiesa di San Leonardo Bergamo S. Messa in ricordo dei sostenitori celebrata da Mons. Giovanni Carzaniga

DISPLASIA FRONTO-FACIO-NASALE Codice di Esenzione. RNG040 Categoria. Malformazioni congenite. Definizione. La displasia fronto-facio-nasale è una patologia caratterizzata da un marcato ipertelorismo (distanza fra gli occhi maggiore del normale), naso bifido (divisione del naso lungo la linea mediana), labiopalatoschisi (o labbro leporino). Epidemiologia. La precisa incidenza non è nota. Maschi e femmine sono colpiti in egual misura.. Segni e sintomi. Sono presenti labiopalatoschisi, marcato ipertelorismo, naso bifido, coloboma palpebrale (difetto di sviluppo della palpebra), fessure palpebrali strette, schisi a S tra palpebra inferiore e superiore, blefarofimosi, ciglia rade o assenti, dermoide (cisti benigna) dell’occhio. Può essere presente cranio bifido occulto o un meningo-encefalocele posteriore (fessura dovuta a mancata saldatura ossea tra fronte e naso). Si osservano frequentemente lipomi, in particolare al lobo frontale e al volto. In genere chi ne soffre manifesta ritardo nello sviluppo psicomotorio. Spesso si associano iperreflessia (eccessiva vivacità dei riflessi) e spasticità Eziologia. La malattia riconosce una causa genetica. Diagnosi. È essenzialmente clinica. Sono indicate l’esecuzione di una visita oculistica e una RMN cerebrale. Si consiglia di effettuare un’audiometria in età prescolare.

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Terapia. Si basa sulla prevenzione delle complicanze. La palatoschisi richiede un intervento chirurgico o l’utilizzo di protesi. In caso di malformazioni cerebrali è indicato l’intervento neurochirurgico.

Dottor Angelo Serraglio Vice Presidente della Fondazione A.R.M.R

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STRUTTURE

CASA MIA VERDELLO

Molto di più di una casa di riposo L’importanza del teamspirit CASA MIA VERDELLO è la prima residenza per anziani aperta in Lombardia a Verdello (BG) nel 2015 dal Gruppo ORPEA, realtà francese leader nel settore con oltre trent’anni d’esperienza e oggi uno dei punti di riferimento cui rivolgersi per chiunque abbia necessità di affidarsi al mondo delle case di riposo, cliniche riabilitative o psichiatriche. Ma cos’è una RSA e di quali servizi si occupa? Lo abbiamo chiesto al Direttore di CASA MIA VERDELLO, Egidio Passera. «Le Residenze Sanitarie Assistenziali non sono semplici case di riposo come siamo abituati a pensare» osserva il Direttore. «Questa particolare tipologia di nuovo ente è stata introdotta in Italia a partire dalla metà degli anni Novanta e, col tempo, si è sempre più strutturata, rispondendo a criteri normativi specifici volti alla tutela della persona e alla complessità dei suoi bisogni. Le RSA oggigiorno sono dunque strutture non ospedaliere ma a impronta sanitaria, nelle quali ogni ospite viene preso in carico da un punto di vista medico, infermieristico e riabilitativo (sia fisico sia cognitivo)». Come si può accedere a una RSA? I percorsi che portano all’assistenza sanitaria residenziale sono vari. La maggior parte prevede la provenienza di utenti in condizioni di cronicità o di stabilizzazione delle condizioni cliniche dagli ospedali,

da strutture post-acuti o dal domicilio. Gli ospiti di tali strutture sono persone non autosufficienti che non possono essere assistite a casa o che necessitano di trattamenti continui e apposite équipe di cura composte da più specialisti. Le formule di soggiorno privato si rivolgono anche a soggetti autosufficienti che, per scelta autonoma,

CASA MIA VERDELLO ha conseguito per il biennio 2021-2022 il riconoscimento di due Bollini Rosa Argento da parte di Fondazione ONDA (www.bollinirosargento.it)”

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preferiscono essere assistiti da personale a loro dedicato, al posto di trascorrere la vita in casa soli. Il soggiorno presso queste residenze può infatti essere variabile: da brevi degenze, finalizzate al ripristino di uno stato di benessere temporaneamente perso, fino a ospitalità lunghe o permanenti. Per accedere è sufficiente fare domanda di ingresso in RSA consegnando presso la struttura l’apposito modulo predisposto da Regione Lombardia, documento utile alle direzioni sanitarie per verificare l’idoneità all’accesso di ciascun ospite attraverso valutazione multidimensionale del quadro clinico in essere. Le difficoltà del periodo appena trascorso hanno fatto capire ancora di più il ruolo che ha la presa in carico delle fragilità e l’importanza dei luoghi che possono tutelarla, come le RSA… La pandemia che ha caratterizzato il 2020 e in parte anche il 2021 ha, con tutta probabilità, significato un momento di svolta per ogni settore, quello della cura in primis. Lo stato d’emergenza dal quale tutti noi stiamo cautamente uscendo ci ha ricordato il valore che può avere una corretta e competente presa in carico, soprattutto quando si tratta di relazionarsi alle persone più fragili e alle loro necessità: in questo senso le RSA sono luoghi di vita confortevoli e tutelati. Ciascuna di queste strutture dispone


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infatti dei servizi sanitario-alberghieri finalizzati al mantenimento o raggiungimento del benessere personale con il plus, attualmente indispensabile, di riuscire a fronteggiare con dimestichezza le esigenze cliniche di sicurezza legate alla pandemia (rispetto delle procedure d’igiene e sanificazione, utilizzo dei dispositivi di protezione – come da indicazioni ATS, Regione e DPCM) anche grazie alla competenza e al senso di responsabilità dimostrato dal personale qualificato che vi lavora. Data la sua esperienza, quanto conta un buon spirito di squadra nel gestire Verdello e coordinare una struttura come questa? CASA MIA VERDELLO offre ai suoi ospiti assistenza medico-infermieristica, riabilitativa, attività di animazione e socializzazione, prestazioni alberghiere, di ristorazione, lavanderia e pulizia ad alto livello, ma senza la valorizzazione del personale che ogni giorno mette a disposizione energie e competenze per dare vita a questo servizio non si andrebbe da nessuna parte… è un concetto importante da capire. Per questo motivo la nostra RSA ha intenzione di promuovere i professionisti che scelgono di lavorare per CASA MIA VERDELLO e il Gruppo ORPEA, iniziando a descrivere una delle aree di attività più in vista della struttura: la riabilitazione fisioterapica (vedi box).

LA FISIOTERAPIA IN RSA La riabilitazione all’interno delle RSA ha un ruolo centrale al fine di favorire il ripristino di una corretta mobilità e il trattamento dei problemi articolari, motori e cognitivi degli ospiti accolti in queste strutture. I programmi riabilitativi pensati per loro sono modulabili e mirati al recupero funzionale. L’obiettivo comune è salvaguardare il più possibile l’autosufficienza e, ove il danno sia stato già prodotto, promuovere il recupero dell’autonomia fisica del paziente. In tale sviluppo è importante che l’équipe infermieristicoausiliaria venga coinvolta nel processo di riabilitazione affiancando il lavoro del fisioterapista. Nursing ed esercizio fisioterapico devono dunque integrarsi fra loro affinché attraverso l’intervento riabilitativo ogni ospite possa imparare nuovamente a usare il corpo per ri-acquistare il maggior grado di indipendenza possibile.

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A fare il genitore non si finisce mai d’imparare Vedere i propri figli felici è la meta più perseguita dalle ultime generazioni di genitori. Non sempre, però, gli atteggiamenti e i modelli educativi adottati dai genitori riescono in questo intento. D’altra parte il mestiere dei genitori può sembrare facile, ma non lo è affatto. Ecco perché in alcuni casi aiuta il confronto con dei professionisti o con genitori che vivono situazioni simili. «Da diversi anni presso il nostro Centro, accanto ai percorsi dedicati ai bambini e ai ragazzi, proponiamo percorsi di consulenza genitoriale individuale o in piccoli gruppi e i risultati sono molto positivi. Abbiamo effettuato percorsi in piccoli gruppi anche attraverso la modalità online che ci ha permesso di verificarne l’efficacia oltre ai vantaggi organizzativi per le famiglie» spiega Silvia Pesenti, psicologa clinica e fondatrice, insieme a Gian Marco Marzocchi, del Centro per l’Età Evolutiva, studio multidisciplinare con sede a Bergamo, nato nel 2004 per fornire alle famiglie e alle scuole servizi di consulenza sugli aspetti psicologici ed educativi di bambini e adolescenti. «Spesso crediamo che dare tutto e subito ai figli sia una manifestazione d’amore e un modo per stimolare positivamente la loro

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crescita. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a numerosi cambiamenti nel modo di fare i genitori: il vecchio modello educativo autoritario (“si fa così perché lo dico io”) ha lasciato spazio a un eccessivo permissivismo (“fai come vuoi, tesoro”), che porta i genitori ad assecondare quasi tutte le richieste per spianare loro la strada e consentire loro di diventare vincenti in un mondo sempre più competitivo. Così abbiamo involontariamente cresciuto figli fragili, poco disposti al sacrificio e poco resilienti di fronte alle difficoltà della vita». Fare i genitori è complesso soprattutto in un momento storico come questo caratterizzato da rapidi cambiamenti sociali e culturali che hanno e reso poco “utilizzabili” i consigli e l’esperienza di chi è diventato genitore prima di noi. «I genitori di oggi devono affrontare la sfida di una nuova genitorialità in cui è necessario conciliare attenzione e vicinanza emotiva ai bisogni dei figli con una maggiore credibilità e autorevolezza. È un lavoro che richiede la capacità di osservare noi stessi come genitori senza giudicarci preventivamente e di riconoscere alcuni nostri schemi automatici che a volte risultano disfunzionali nella relazione con i figli, la consapevolezza dei principi e valori che ci guidano e che vogliamo trasmettere loro e la flessibilità di cambiare noi quando necessario. È inoltre risaputo come il nostro comportamento sia molto più efficace delle parole, quindi se vogliamo che i nostri

Gian Marco Marzocchi figli cambino alcuni loro atteggiamenti, è necessario che prima di tutto mettiamo in discussione noi stessi per dare loro un esempio, seguendo il motto “Comportati oggi come vorresti che tuo figlio diventi tra qualche anno”. Tutti i genitori possono migliorare il loro stile relazionale ed educativo con i figli (anche adolescenti!) e questo porta a un miglioramento del proprio senso di efficacia come genitore, del benessere familiare e anche del comportamento del figlio».

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REALTÀ SALUTE

Al via un nuovo progetto per la sicurezza dei grandi anziani ancora autosufficienti L’Associazione InsiemeAte Onlus di San Paolo D’Argon offre da vent’anni un servizio di assistenza al domicilio strutturato sul Modello Optimus Domi che prevede il rilievo del bisogno specifico della famiglia, l’inserimento del personale dopo un assessment delle competenze, il monitoraggio continuo del servizio da parte di tutor e psicologi, la sostituzione dell’operatore in caso di ferie o incompatibilità con l’anziano, la formazione, l’inserimento di terapie non farmacologiche per la gestione dei disturbi comportamentali e la completa gestione amministrativa. «La pandemia ci ha fatto ripensare ai servizi che possiamo offrire agli anziani al domicilio e abbiamo diversificato la nostra

offerta con servizi diurni, notturni e su misura» racconta il Direttore Paola Brignoli. «Restava fuori però il mondo dei grandi anziani ancora autosufficienti, anziani abituati a stare soli e a non chiedere aiuto, ma che il passare degli anni ha inevitabilmente reso più fragili. Per loro si è pensato a un tutoraggio prevalentemente a distanza che però non trascuri la relazione e monitori con discrezione il benessere globale della persona. Il servizio prevede una visita domiciliare di un nostro operatore per conoscere l’anziano e raccogliere tutte le informazioni necessarie per una tutela a distanza, seguita da una visita di controllo mensile». L’operatore effettua inoltre una telefonata tre volte a settimana secondo un

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protocollo mirato a far emergere eventuali problemi o cogliere segnali di disagio o bisogno oltre a dare un supporto relazionale ed eventualmente avvisare il medico di base, la guardia medica o il familiare di riferimento. E non è tutto. «Un rilevatore di parametri indossato dall’anziano ed eventualmente un rilevatore di posizione invia costantemente a un cruscotto di controllo, i battiti, la qualità del sonno, la quantità di passi e la posizione della persona. Il cruscotto è monitorato costantemente da un nostro operatore 24 ore su 24 che dalla sede rileva eventuali cadute, chiamate di soccorso o alterazione dei parametri e fa una prima verifica telefonica dello stato della persona, in caso di mancata risposta o di necessità, invia un operatore reperibile presso il domicilio». Questo progetto potrebbe essere di grande aiuto a quei caregiver che hanno un anziano che vive solo e non hanno il tempo materiale per seguirlo come vorrebbero. La partenza del servizio è prevista entro la fine dell’anno, ma verrà attivato anche prima al raggiungimento della soglia minima di richieste di attivazione.

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Centro Medico Boccaleone Un nuovo ambulatorio per rispondere alle esigenze di salute e prevenzione del quartiere… e non solo

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Un nuovo e innovativo ambulatorio è nato nel quartiere Boccaleone di Bergamo grazie all’intuizione di alcuni imprenditori locali che hanno saputo cogliere le necessità del territorio. Si chiama Centro Medico Boccaleone e si tratta di uno dei pochi poliambulatori presente nel quartiere Boccaleone, l’unico in questo quartiere di Bergamo a specializzarsi in diverse attività medico chirurgiche attirando sempre più l’attenzione della comunità locale per il suo ruolo fondamentale nella diagnosi precoce e cura di numerose malattie. «L’obiettivo di questo nuovo ambulatorio è diven-

tare un punto di riferimento territoriale nel campo della medicina bergamasca» afferma il direttore sanitario, dottor Alessandro Zavaritt. «Il territorio bergamasco si distingue da sempre per le grandi potenzialità e competenze nell’ambito della medicina e chirurgia e l’avvio dell’attività ambulatoriale è una tappa importante nel rafforzamento del sistema assistenziale nel quartiere Boccaleone. Lo sviluppo del nuovo poliambulatorio offre infatti i presupposti migliori per la creazione di una filiera integrata nel segno della salute e delle cure innovative per i nostri pazienti di Boccaleone e di tutta Bergamo»

continua il dottor Zavaritt. Le specialità presenti sono numerose e in continuo rinnovamento e arricchimento. Specialità sia mediche sia chirurgiche si affiancano ad attività paramediche e di assistenza infermieristica per poter offrire un’ampia gamma di prestazioni. Lo scenario emergenziale attuale impone lo svolgimento delle attività in contesti che possano garantire il massimo della sicurezza in termini di distanziamento sociale e contenimento dei rischi di contagio. «Il nostro ambulatorio può contare su una metratura significativa con una organizzazione degli ambulatori e del flusso dei pazienti che permettono lo svolgimento di tutte le attività nella massima serenità, garantendo gli standard più elevati di protezione e attenzione dei possibili rischi infettivi». Salute, prevenzione e attenzione sono le parole chiave delle attività presso il Centro Medico Boccaleone.

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Bergamo Salute anno 11 | n° 62 Settembre | Ottobre 2021 Direttore Responsabile Elena Buonanno Redazione Rosa Lancia redazione@bgsalute.it Grafica e impaginazione Rosa Lancia rosa.lancia@marketingkm0.it Fotografie e illustrazioni Shutterstock, Adobe Stock, Unsplash, Pixabay, Adriano Merigo, Laura Pietra Stampa Elcograf S.p.A Via Mondadori, 15 - 37131 Verona (VR) Casa Editrice Marketing Km Zero Srls Via G. Garibaldi, 3 - 24030 Mozzo (BG) Tel. 035.0514318 - info@marketingkm0.it Pubblicità Luciano Bericchia Tel. 035.0514601- info@bgsalute.it Hanno collaborato Lucio Buonanno, Maria Castellano, Rita Compostella, Viola Compostella, Lella Fonseca, Giulia Sammarco

COMITATO SCIENTIFICO • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Dott. Diego Bonfanti - Oculista Dott.ssa Maria Viviana Bonfanti Medico Veterinario Dott. Rolando Brembilla - Ginecologo Dott.ssa Alba Maria Isabella Campione Medicina Legale e delle Assicurazioni Dott. Andrea Cazzaniga Idrologo Medico e Termale Dott. Sergio Clarizia - Pediatra Dott. Marcello Cottini - Allergologo Pneumologo Dott. Giovanni Danesi - Otorinolaringoiatra Dott. Adolfo Di Nardo - Chirurgo generale Dott. Nicola Gaffuri - Gastroenterologo Dott.ssa Daniela Gianola - Endocrinologa Dott. Antoine Kheir - Cardiologo Dott.ssa Grazia Manfredi - Dermatologa Dott. Roberto Orlandi Ortopedico Medico dello sport Dott. Paolo Paganelli - Biologo nutrizionista Dott. Antonello Quadri - Oncologo Dott.ssa Veronica Salvi - Ostetrica Dott. Orazio Santonocito - Neurochirurgo Dott.ssa Mara Seiti - Psicologa - Psicoterapeuta Dott. Sergio Stabilini - Odontoiatra Dott. Giovanni Taveggia Medicina Fisica e Riabilitazione Dott. Massimo Tura - Urologo Dott. Paolo Valli - Fisioterapista

COMITATO ETICO • •

Dott. Ernesto de Amici Presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo Gianluca Solitro Presidente OPI Ordine delle Professioni Infermieristiche di Bergamo

Iscr. Tribunale Bergamo N°26/2010 del 22/10/2010 Iscr. ROC N°26993. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche se parziale, di qualsiasi testo o immagine. L’editore si dichiara disponibile per chi dovesse rivendicare eventuali diritti fotografici non dichiarati. I contenuti presenti su Bergamo Salute hanno scopo divulgativo e non possono in alcun modo sostituirsi a diagnosi mediche.

Tiratura 30.000 copie/bimestre. Canali di distribuzione: • Abbonamento. • In omaggio in edicola con Il Giorno (Provincia di BG). • Spedizione a diverse migliaia di realtà bergamasche, dove è possibile leggerla nelle sale d’attesa (medici e pediatri di base, ospedali e cliniche, studi medici e polispecialistici, odontoiatri, ortopedie e sanitarie, farmacie, ottici, centri di apparecchi acustici, centri estetici e benessere, palestre, parrucchieri etc.) • Distribuzione gratuita presso le strutture aderenti alla formula "Amici di Bergamo Salute".

82 | Bergamo Salute | Settembre/Ottobre 2021

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