Bergamo Salute - 2021 - 60 - maggio/giugno

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numero

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Anno 11 Maggio | Giugno 2021

www.bgsalute.it Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in legge 27/02/2004 N.46) Art. 1 comma 1 LO/BG

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Chirurgia Vascolare TROMBOSI, COVID, VACCINI: CHE LEGAME C’È?

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Oculistica MIOPIA, LA NUOVA PANDEMIA

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Alimentazione ECCO COME MANGIARE SAPORITO CON MENO SALE E ZUCCHERO

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Bellezza UNA PELLE NUOVA E PIÙ GIOVANE CON IL PEELING

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Silvio Garattini

Per invecchiare bene bisogna cominciare dall’asilo

Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 1


IMPLANTOLOGIA A CARICO IMMEDIATO: UNA SOLUZIONE PER RIPRISTINARE LA FUNZIONALITÀ DELLA BOCCA Le tecniche per l’implantologia dentale dei centri Caredent

È

possibile ripristinare le funzionalità della bocca attraverso le tecniche di implantologia dentale? È possibile! Le tecniche di implantologia dentale possono consentire di riabilitare entrambe le arcate con procedimenti personalizzati e, in funzione delle singole specificità, in modo celere. Le tecniche di implantologia a carico immediato, infatti, permettono di recuperare estetica della bocca e funzionalità masticatoria nel giro di pochi giorni (previa valutazione della fattibilità eseguita dall’odontoiatra). Si tratta di una procedura che consente di inserire gli impianti dentali e, nella stessa seduta, fissare una protesi temporanea. Il paziente, così, non dovrà più rimanere senza denti in attesa della guarigione dei tessuti o del posizionamento della protesi definitiva fissa. La tecnica di implantologia a carico immediato può essere applicata su uno o più impianti, sull’intera arcata ma anche in circostanze più gravi, come nel caso di pazienti che hanno una notevole riduzione di osso o di soggetti completamente edentuli (senza denti). In questi casi, ci vengono incontro specifici trattamenti grazie ai quali è possibile posizionare, quattro o sei impianti dentali con specifiche inclinazioni che permettono di dare sostegno ad una protesi fissa di una arcata dentale completa. Rappresentano una soluzione che consente di ancorare la protesi in modo saldo e resistente, permettendo anche il corretto ripristino dell’estetica della bocca.

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Anno 11 Maggio | Giugno 2021

www.bgsalute.it

) EDITORIALE 7 Ripartenza? Sì, ma consapevole ) ATTUALITÀ 8 Anticorpi monoclonali e Covid 19. Facciamo il punto ) SPECIALITÀ A-Z 10 Chirurgia Plastica Ricostruzione del seno dopo il tumore: una tappa fondamentale della cura. 12 Chirurgia Vascolare Trombosi, Covid, vaccini. Che legame c’è? 16 Oculistica Miopia. La nuova pandemia ) PERSONAGGIO 18 Silvio Garattini Per invecchiare bene bisogna cominciare dall’asilo ) IN SALUTE 24 Stili di vita Così mantieni in salute il microbiota intestinale… e previeni molte malattie 28 Alimentazione Ecco come mangiare saporito con meno sale e zucchero 30 Le nespole. Il frutto primaverile dimenticato ) IN ARMONIA 32 Psicologia Ottimisti o pessimisti. Ci si nasce o si diventa? 34 Coppia Come il Covid ha messo alla prova le famiglie italiane

) IN FAMIGLIA 36 Dolce attesa Mamme Peer. Sostegno da mamma a mamma 38 Bambini Acetone. Come riconoscerlo e cosa fare 40 Ragazzi Giovani e alcool. Un aiuto da Atena ) IN FORMA 42 Fitness Tai chi chuan. Benessere per corpo e mente 44 Bellezza Una pelle nuova e più giovane con il peeling ) RICETTA 46 Scaloppine di tofu al limone ) RUBRICHE 52 Altre terapie Ossigeno-ozono terapia: una cura innovativa per la fibromialgia 54 Guida esami La mappatura dei nei nella prevenzione del melanoma 56 Animali Problemi di prostata. Quali sono i più diffusi e cosa fare

) DAL TERRITORIO 58 News 60 Onlus La “Casa del fenicottero” per sfuggire alla violenza 63 Malattie rare Displasia spondilo-epifisaria congenita 64 Testimonianza Il mio sogno è tornare a camminare 66 Dopo quasi vent’anni ricomincio a vivere ) STRUTTURE 70 Cooperativa In Cammino 72 Centro Italiano Pavimento Pelvico ) REALTÀ SALUTE 74 Viktor Physio Lab 77 Farmacia San Nicolò 79 Centro di Radiologia e Fisioterapia 81 Ottica Gazzera Allegato centrale: Amici di Bergamo Salute

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EDITORIALE

Ripartenza? Sì, ma consapevole Giugno 2021. Finalmente si potrà ritornare in palestra e in piscina, andare al ristorante anche al chiuso, organizzare matrimoni, feste e concerti. Un graduale ritorno a quella normalità che ormai da quasi un anno e mezzo la pandemia da Covid 19 ci ha negato. Con gli ospedali che si svuotano dopo mesi, i contagi che calano giorno dopo giorno, la percentuale di italiani (e bergamaschi) vaccinati che cresce, la parola d’ordine è ripartenza, nell’economia, nelle relazioni sociali, nella voglia di viaggiare e divertirsi. Una vera boccata di ossigeno, tanto attesa da tutti, che però dobbiamo fare in modo di “meritarci”. Ma come, direte voi, i sacrifici fatti finora non sono bastati? Certo che sì, nella

lotta contro il Covid gli italiani e ancor di più i bergamaschi sono stati responsabili e ligi alle regole. Ed è così che dobbiamo continuare a essere, non abbandonando le regole che ci sono ormai diventate famigliari, come lavare o igienizzare le mani, distanziarsi, usare la mascherina. Regole che ci accompagneranno anche nei prossimi mesi. Il rischio, infatti, è - come già successo l’estate scorsa - di allentare troppo l’attenzione con le conseguenze che abbiamo visto. Certo ora grazie alla vaccinazione di massa la situazione è ben diversa, ma questo virus ci ha già sorpreso (negativamente) più volte, tra varianti e recrudescenze. Quindi ora più che mai la prudenza è d’obbligo, anche perché, come dicono

gli esperti, dovremo conviverci almeno fino al 2022 inoltrato. Questo non significa non tornare a vivere e a divertirsi, anzi, ma farlo con una consapevolezza nuova. Una consapevolezza che, nonostante la sofferenza e la fatica, ci ha fatto riscoprire il valore di tante piccole cose che abbiamo dato sempre per scontate, come gli abbracci, un aperitivo con gli amici o un concerto live.

Adriano Merigo Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 7


ATTUALITÀ

Anticorpi monoclonali e Covid 19 Facciamo il punto ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

«In quest’ultimo anno della Pandemia da Covid 19 sono state progressivamente messe a punto una serie di misure terapeutiche in grado di ostacolare sia l’attecchimento sia la progressione patologica svolta dal virus contro il nostro organismo. Trovandosi dinnanzi a una malattia di fatto sconosciuta è stato naturale che le misure terapeutiche nei suoi confronti si siano evolute parallelamente alle conoscenze scientifiche che man mano sono state acquisite con l’esperienza. In questo senso le ricerche si sono indirizzate su quattro linee generali, ovvero quella dei farmaci antivirali, quella dei farmaci idonei a limitare i danni collaterali riscontrati nei 8 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

pazienti infettati (ad esempio gli anticoagulanti come le eparine a basso peso molecolare), quella dei vaccini e quella degli anticorpi monoclonali». Chi parla è il professor Massimo Valverde, endocrinologo, tossicologo e farmacologo. Gli anticorpi monoclonali, in particolare, al momento sono i farmaci (escluso il vaccino) su cui maggiormente si stanno concentrando le ricerche scientifiche, anche italiane, perché considerati ad oggi i più promettenti per ridurre gli effetti collaterali e quindi anche la mortalità dei pazienti già colpiti dal Covid. «In termini grossolanamente semplici possiamo dire che quest’ultima “nidiata” di anticorpi

monoclonali destinati ad agire contro il Covid (e, nello specifico, il Bamlanivimab e l’Etesevimab, ovvero l’associazione Bamlanivimab-Etesevimab e il Casirivimab ed l’Imdevimab, ovvero l’associazione Casirivimab-Imdevimab, ove tutti e quattro questi anticorpi monoclonali di tipo IgG1 di derivazione completamente umana sono attualmente autorizzati per l’uso in Italia da AIFA) discendono idealmente da altri farmaci da tempo noti come le immunoglobuline (gammaglobuline) impiegate ad esempio nella profilassi del tetano. In effetti tutti questi farmaci apportano “truppe fresche” all’organismo infettato, ovvero immunoglobuline già “pronte all’uso” in grado di con-


trastare l’infezione in attesa che il sistema immunitario del paziente riesca a sua volta di produrne di simili» spiega il professor Valverde. Ma perché si chiamano monoclonali? «Il termine “monoclonale” deriva dal fatto che questi anticorpi vengono estratti come prodotto della coltura di una singola cellula immunitaria umana che, dopo essere entrata in contatto con il virus, ha “imparato” a produrre uno e un solo anticorpo specifico. Per questo, con apposite procedure, prima di laboratorio e in seguito industriali, questa cellula iniziale viene spinta a riprodursi all’infinito, clonandosi per l’appunto sempre uguale a se stessa e quindi producendo sempre lo stesso tipo di singolo anti-

corpo specifico. Apparentemente questo processo potrebbe sembrare abbastanza semplice, ma in effetti la procedura per giungere a questo risultato è stata assolutamente lunga e complessa, sin dal suo avvio che vide il noto “plasma iperimmune”, estratto dal sangue dei pazienti che erano stati infettati dal Covid e poi guariti e per i quali era stato facile immaginare che il loro sistema immunitario, spinto dalla necessità, avesse prodotto una miscela di anticorpi specifici per il Covid. Questo “plasma iperimmune” è stato il primo rimedio immunologico impiegato clinicamente seppur con alterne fortune».

PROF. MASSIMO VALVERDE Specialista in Patologia della Riproduzione Umana, Endocrinologia, Farmacologia e Tossicologia

Il lavoro che ne è seguito ha portato innanzitutto al riconoscimento di tutti gli anticorpi contenuti nel “plasma iperimmune” e in seguito alla loro selezione fino a arrivare ad isolare quello (o quelli) che hanno mostrato la massima efficacia nei confronti del virus. «A quel punto è stato relativamente semplice, utilizzando le oramai affermate tecniche di ingegneria genetica, inserire nel DNA di una miriade di cellule immunitarie umane la sequenza proteica dell’anticorpo prescelto e indurre queste cellule così ingegnerizzate a produrre sempre e solo questo anticorpo all’infinito e in quantità clinicamente utili» continua lo specialista.

Direttore Sanitario Centro Medico MR Bergamo

Il vantaggio degli anticorpi mono-

clonali è che si tratta di una terapia molto specifica, costruita ad hoc attorno al virus SARS-CoV-2, con buone percentuali di successo. Di contro, va detto che per essere efficace l’infezione da Covid 19 deve essere di recente insorgenza. «In base alle ultime indicazioni del Ministero della Salute e dell’AIFA, Bamlanivimab e Etesevimab in associazione, per solo ed esclusivo uso in ambiente ospedaliero secondo protocolli ben precisi e comunque in continuo aggiornamento, sono indicati per il trattamento della malattia da Covid 19 lieve o moderata negli adulti e adolescenti di età pari o superiore a 12 anni che non necessitano di ossigenoterapia supplementare per Covid 19 e che sono ad alto rischio di progressione a Covid 19 severa. Si considerano ad alto rischio pazienti affetti da: obesità, insufficienza renale che richiede dialisi, diabete non controllato, immunodeficienze, malattia cardio-cerebrovascolare (inclusa ipertensione con concomitante danno d’organo) associata ad età superiore a 55 anni, broncopneumopatia cronica ostruttiva e/o altra malattia respiratoria cronica, malattie cardiache congenite o acquisite, anemia. Nessun beneficio clinico è stato invece osservato con l’associazione Bamlanivimab ed Etesevimab nei pazienti ospedalizzati da diversi giorni per Covid 19» conclude il professor Valverde. Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 9


SPECIALITÀ A-Z

CHIRURGIA PLASTICA

Ricostruzione del seno dopo il tumore: una tappa fondamentale della cura

∞  A CURA DI MARCELLO CARMINATI

È ormai acclarato che la ricostruzione della mammella, quando possibile, costituisca parte fondamentale nel percorso di cura del tumore al seno. La mastectomia (asportazione chirurgica della mammella), infatti, è vissuta dalla donna non come una operazione, ma come una mutilazione. Nella stragrande maggioranza dei casi, il riacquisto della corretta immagine corporea assume un significato fondamentale affinché la donna si senta veramente guarita. La mancata ricostruzio-

ne porterebbe, inoltre, in moltissimi casi, non solo a problemi psicologici a volte gravi, ma anche a uno squilibrio fisico tra l’emitorace sano, cioè con il seno integro, e l’emitorace mutilato (senza mammella), con conseguenti problemi posturali statici e dinamici. Viene quindi proposta a tutte le donne candidate alla mastectomia, fatta eccezione per le pazienti con malattia oncologica troppo avanzata oppure con altre patologie importanti che costituiscano controindicazione a un intervento complesso.

UN INTERVENTO SU MISURA

DOTT. MARCELLO CARMINATI Direttore della Chirurgia Plastica ASST Papa Giovanni XXIII Bergamo

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Ricostruire una mammella significa ricreare un cono mammario con le caratteristiche morfologiche esterne del seno di partenza, antecedente alla malattia. Ovviamente non vuol dire “ricreare” la ghiandola, con la funzionalità di una mammella naturale, ma crearne l’aspetto esterno con caratteristiche il più possibile simili a quelle della mammella originale o, in alcuni casi selezionati, con aspetti esteriori addirittura miglio-

ASPORTAZIONE E RICOSTRUZIONE IN UN UNICO INTERVENTO Oggi il trend internazionale è rivolto alla ricostruzione immediata della mammella, ovvero ricostruzione che inizia contestualmente all’intervento di mastectomia. La ricostruzione differita (ritardata) viene fatta solo per controindicazioni assolute di carattere locale o generale, oppure per espresso desiderio della paziente. Fondamentale appare una perfetta sinergia tra chirurgo senologo e chirurgo ricostruttore che discutano tutti gli aspetti tecnici prima dell’intervento e agiscano in modo integrato e coordinato sia durante l’intervento sia nel postoperatorio.


rativi. Il seno può essere ricostruito con tessuto autologo, ovvero con gli stessi tessuti della paziente, trasferendo porzioni di tessuto da altri distretti corporei, oppure con materiale protesico (le classiche protesi mammarie). Esistono anche forme di ricostruzione miste. La scelta della tecnica dipende soprattutto dalle caratteristiche della paziente, con la quale viene discusso tutto l’iter ricostruttivo con dovizia di informazioni.

RICOSTRUZIONE AUTOLOGA E PROTESICA A CONFRONTO La ricostruzione autologa con tessuti della paziente ha l’indubbio vantaggio di evitare il ricorso a materiali protesici. Per contro ha lo svantaggio di richiedere un’area chirurgica aggiuntiva sul corpo (la zona donatrice) e di richiedere interventi tecnicamente complessi che necessitano di soluzioni microchirurgiche avanzate e presentano una percentuale significativa di complicanze. Implica quindi, in sintesi, un intervento molto più invasivo per la paziente, applicabile peraltro solo ad una certa percentuale di malate: non tutte le pazienti, in altre parole, sono candidabili per questo tipo di ricostruzione. Per quanto riguarda invece la ricostruzione protesica, ormai il trend mondiale la vede come l’indicazione principe per la stragrande maggioranza delle pazienti. Le nuove tecniche di mastectomia, (che spesso prevedono il salvataggio della cute mammaria e in moltissimi casi anche del complesso areola capezzolo), unitamente alle nuove tecniche di ricostruzione (che permettono molto spesso la ricostruzione immediata in tempo unico, cioè contemporaneamente alla demolizione e senza necessità di ulteriori interventi chirurgici), hanno reso molto popolare questo

approccio sia per la sua minore invasività, sia per l’altissima qualità dei risultati ottenibili. Altro grande vantaggio di questa modalità ricostruttiva riposa sul fatto che non sia necessario ricorrere a un distretto donatore extramammario. È tuttavia importante che la paziente si affidi a un centro con un know how tecnico consolidato anche per la ricostruzione con tessuti autologhi, che spesso costituisce l’unica possibilità di continuare l’iter ricostruttivo dopo una complicanza nella ricostruzione protesica.

LE PROTESI: MOLTI VANTAGGI E QUASI NESSUN RISCHIO Attualmente le protesi sono state oggetto di una notevole evoluzione tecnologica e risultano altamente sicure. Negli ultimi anni tuttavia è stato sottolineato dalla letteratura di settore l’associazione tra protesi di un certo tipo (protesi testurizzate, ovvero “rugose”) e una rarissima forma di linfoma anaplastico di natura comunque benigna. Tuttavia, considerata l’esiguità dei

casi descritti a livello mondiale, i legami di questa malattia con le protesi vanno ancora chiariti. Di conseguenza tutte le associazioni mediche dei maggiori Paesi mondiali continuano a considerare le protesi sufficientemente sicure da ritenerne i vantaggi di gran lunga superiori al rischio, quasi aneddotico, di contrarre questa forma di linfoma. Per quanto riguarda invece la durata di una protesi bisogna dire che questa, seppure appaia tendenzialmente molto elevata, sia di fatto però imprevedibile. La protesi non va sostituita periodicamente, ovvero non ha una scadenza precisa, tuttavia non può dirsi eterna e può andare incontro a rottura, episodio peraltro spessissimo silente la cui diagnosi viene fatta incidentalmente durante un controllo di screening postoncologico. La paziente deve quindi considerare l’ipotesi di doverla cambiare almeno una volta nel corso della vita. Mediamente, comunque, la durata di una protesi di ultima generazione si aggira tra i 12 e i 20 anni.

Lipofilling: una tecnica complementare per migliorare i risultati Il lipofilling costituisce una metodica di complemento fondamentale negli step ricostruttivi che trova ormai impiego routinario durante la chirurgia mammaria. Consiste nell’utilizzare il grasso della paziente, (che si preleva contestualmente con un intervento di liposcultura e si processa con metodiche particolari), per migliorare le caratteristiche dei tessuti mammari risparmiati dalla mastectomia. In altre parole, il grasso processato viene reiniettato nelle aree scelte durante la pianificazione dell’intervento con un duplice intento: da una parte per aumentare lo spessore dei lembi di mastectomia (a volte veramente sottili a causa della chirurgia demolitiva); dall’altra, grazie al suo alto contenuto di cellule staminali adipose, per migliorare la qualità dei tessuti in cui viene infiltrato, in quanto ne stimolerebbe una vera e propria rigenerazione. La cosa è particolarmente importante quando si ha a che fare con tessuti distrofici e danneggiati, come per esempio nel caso di mammelle sottoposte a radioterapia.

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SPECIALITÀ A-Z

CHIRURGIA VASCOLARE

Trombosi, Covid, vaccini Che legame c’è? ∞  A CURA DI LEONINO LEONE

Ne abbiamo sentito parlare moltissimo nell’ultimo anno e mezzo di pandemia, prima come una delle conseguenze del Covid19 nei pazienti ricoverati, poi negli ultimi mesi come uno dei rischi più temuti (erroneamente, considerato il numero infinitesimale di casi) legati alle vaccinazioni anti-Covid. È la trombosi venosa, patologia più frequente di quanto si pensi. Chiamata anche “sindrome del viaggiatore”, è maggiormente caratteristica dell’età senile ma non risparmia nemmeno i soggetti giovani e vede tra i principali fattori di rischio l’immobilità.

SE UN COAGULO DI SANGUE IMPEDISCE LA NORMALE CIRCOLAZIONE La trombosi venosa si verifica quando un coagulo di sangue, detto trombo, occlude totalmente o parzialmente un vaso venoso, rendendo più difficoltoso o interrompendo il normale deflusso del sangue dai vari organi verso il cuore. In condizioni normali, un meccanismo complesso e delicato permette di tenere sotto 12 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

controllo l’equilibrio tra la tendenza del sangue a coagularsi e la necessità di restare fluido. In alcuni casi, però, questo equilibrio si rompe e si attiva la cosiddetta cascata della coagulazione con conseguente formazione di trombi, ovvero aggregati di elementi corpuscolati del sangue quali globuli bianchi, globuli rossi e piastrine che vanno a ostruire la normale circolazione sanguigna. Il trombo, oltre a provocare sofferenza agli organi dai quali non viene più correttamente drenato il sangue, può frammentarsi dando luogo a emboli che entrano in circolo lungo i vasi sanguigni e possono arrivare ad organi vitali con conseguenze gravi, anche fatali (ne è un esempio tipico l’embolia polmonare). L’anomala attivazione della cascata della coagulazione può essere conseguenza di un danno a carico della parete della vena, di un’alterazione nel processo della coagulazione dovuto a malattie infiammatorie (come nel caso del Covid), oppure, ancora, causata dal rallentamento del ritorno venoso (detto flebostasi). Nella trombosi venosa, quindi,

ALIMENTAZIONE SANA E MOVIMENTO REGOLARE PER RIDURRE IL RISCHIO Un regime alimentare controllato, un regolare esercizio fisico, l’astensione dal fumo e dal consumo di alcolici e, in genere, una buona conoscenza del nostro corpo sono gli strumenti per prevenire il rischio di trombosi. Infatti, riconoscere e non sottovalutare alterazioni e mutamenti del proprio equilibrio fisico possono rappresentare il primo passo per la diagnosi tempestiva di varie patologie, compresa la trombosi e le sue conseguenze.


si assiste ad un ridotto ritorno del sangue verso il cuore con conseguente edema periferico: la parte liquida del sangue fuoriesce dai vasi venosi andando ad invadere e gonfiare i tessuti circostanti; questo si accompagna spesso all’infiammazione dei tessuti stessi coinvolti. La trombosi può essere: > profonda (TVP), quando colpisce le vene profonde; > superficiale, quando colpisce le vene superficiali provocando spesso una manifestazione infiammatoria detta tromboflebite.

I CAMPANELLI D’ALLARME I sintomi e i segnali sentinella del processo trombotico o tromboflebitico possono essere: > dolore palpatorio lungo il decorso della vena interessata; > edema e tumefazione dell’arto interessato; > infiammazione locale con arrossamento cutaneo (eritema). Questi sintomi non sono sempre evidenti, rendendo più difficile una diagnosi precisa. Soprattutto quando una trombosi è poco sintomatica solo un’ecografia

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CHIRURGIA VASCOLARE

specifica, l’ecocolordoppler, è in grado di fornire una diagnosi rapida e puntuale. I dati anamnestici sono comunque importanti; esistono infatti alcuni fattori di rischio per l’insorgenza della trombosi che, anche in caso di sintomi sfumati, possono aiutare a orientare la diagnosi.

CHI È PIÙ A RISCHIO Le persone a maggior rischio di trombosi e tromboflebite sono coloro che soffrono di: > ipertensione arteriosa; > diabete mellito; > ipercolesterolemia; > sovrappeso e obesità; > dipendenza da fumo e alcol.

La tendenza allo sviluppo di trombosi e tromboflebiti può, inoltre, essere correlata a: > predisposizione genetica (alterazioni genetiche della coagulazione dette trombofilie); > alimentazione scorretta; > stile di vita sedentario; > immobilità prolungata e forzata come nel caso di pazienti ospedalizzati, nel post-operatorio, nelle donne in gravidanza, nelle patologie croniche invalidanti. Nelle donne, soprattutto se in sovrappeso, fumatrici e trombofiliche, le trombosi possono essere inoltre favorite anche dalla pillola

anticoncezionale o dalla terapia ormonale sostitutiva.

LA CURA Una diagnosi tempestiva è fondamentale per impostare una terapia corretta e immediata. La terapia è in genere farmacologica, a base di anticoagulanti, farmaci in grado di fluidificare il sangue. Se non trattata, la trombosi può degenerare nella cosiddetta sindrome post-trombotica (o post-flebitica), condizione caratterizzata da un complesso di disturbi quali edema, dolore, alterazioni dei tessuti (discromie cutanee, ulcere, etc.), dilatazione delle vene superficiali.

Trombosi, tromboflebite e Covid-19 Sin dall’inizio della pandemia da diffusione di SARS-CoV-2, sono state raccolte prove di un significativo aumento di episodi trombotici venosi nei pazienti affetti da Covid19. Una percentuale considerevole dei pazienti ospedalizzati hanno sviluppato infatti trombosi venosa profonda o tromboflebite, nonostante avessero ricevuto la normale profilassi farmacologica anti-trombotica del paziente allettato. Il virus SARSCoV-2 crea evidentemente un disequilibrio nei meccanismi di controllo della coagulazione, secondo dinamiche ancora tutte da stabilire con precisione. In generale, tutte le malattie di tipo infiammatorio sono spesso correlate con i fenomeni trombotici e richiedono una profilassi farmacologica con anticoagulanti quali in primis l’eparina. Poiché il virus che sostiene il Covid19 causa fenomeni infiammatori, soprattutto a carico dei polmoni, i protocolli comuni oramai prevedono la somministrazione di eparina a basso peso molecolare a dosaggio terapeutico nei pazienti ospedalizzati proprio al fine di prevenire le trombosi venose. È doveroso inoltre fare chiarezza, per quanto possibile, sulla presunta correlazione tra trombosi e vaccinazione anti-Covid19. Ema, l’ente europeo che regola l’immissione dei farmaci in commercio, ha ribadito a più riprese che il numero di eventi tromboembolici complessivi nelle persone vaccinate non sembra essere superiore a quello osservato nella popolazione generale. La sospensione temporanea e precauzionale di alcuni vaccini ha infatti trovato la propria giustificazione proprio nell’approfondire tale problematica con il raccoglimento di ulteriori dati. Tanto che addirittura è oramai chiaro che risulti maggiormente indicata la vaccinazione proprio in quei soggetti a maggior rischio trombotico per la concomitanza, ad esempio, di patologie dell’apparato vascolare o per difetti della coagulazione.

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SPECIALITÀ A-Z

OCULISTICA

Miopia La nuova pandemia ∞  A CURA DI FABIO MAZZOLANI

Cinque miliardi entro il 2050. Tante saranno, nel mondo, le persone miopi tra meno di 30 anni secondo le stime di recenti studi. In particolare, in Europa la popolazione miope aumenterà dal 22% al 56% entro i prossimi 50 anni. Queste cifre che apparentemente spaventano vanno di pari passo, però, con lo sviluppo di nuovi e innovativi sistemi che possono rallentare la progressione della miopia, ovvero l’anomalia visiva per cui le informazioni visive non cadono sul corretto piano della retina e vengono percepite come sfuocate con la conseguenza che la persona vede bene da vicino e male da lontano. 16 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

LO STILE DI VITA: LA PRIMA ARMA PER TENERLA SOTTO CONTROLLO Se storicamente l’ortocheratologia e l’utilizzo di atropina collirio a bassa concentrazione, rappresentavano il gold standard per il controllo della progressione della miopia, allo stato attuale abbiamo molte altre “armi” per combatterla. La prima è sicuramente di natura comportamentale. La miopia è una condizione rifrattiva multifattoriale in cui molti elementi concorrono alla sua comparsa e progressione quindi la base su cui costruire un progetto di controllo deve sempre considerare un sano stile di vita e un’attenta relazione ai mezzi

informatici come PC, tablet e smartphone che sempre più sono diventati elementi imprescindibili della nostra vita personale e professionale. Lo smart work e la didattica a distanza dovute alla recente emergenza sanitaria hanno chiaramente accelerato questo fattore di rischio creando una “dipendenza” sempre più forte e la necessità di rivedere le proprie abitudini. I più recenti studi hanno dimostrato una correlazione significativa tra le attività svolte all’aperto e l’insorgenza della miopia così come tra le mansioni che presuppongono una visione nell’intermedio-vicino e la progressione della miopia in particolar modo nei giovani pazienti.


UN AUMENTO PERICOLOSO ANCHE PER RETINA, NERVO OTTICO E CRISTALLINO

OTTICO-OPTOMETRISTA E ORTOTTISTA, ALLEATI PER IL BENESSERE OCULARE

Il futuro scenario di un aumento significativo del numero di soggetti miopi, dipendentemente dal grado di severità della miopia, significa l’incremento di tutte le malattie dell’occhio legate alla miopia. La retina, il nervo ottico e il cristallino sono le componenti del nostro occhio maggiormente e precocemente colpite dalla miopia proporzionalmente alla gravità del difetto. In quest’ottica, il controllo precoce dell’insorgenza della miopia e della progressione della stessa ha un valore non solo personale, ma sociale: nel prossimo futuro assisteremo a un incremento della richiesta di cure sia mediche sia chirurgiche per le malattie dell’occhio correlate alla miopia e siamo, quindi, tutti chiamati a rispondere a questa futura necessità anticipando il problema grazie a nuove abitudini di vita, alla precoce individuazione della miopia e al suo contenimento. Pertanto, il controllo della progressione miopica presuppone non solo il ruolo del medico oculista specialista nella prescrizione dei presidi correttivi, ma anche un ruolo primario da parte dei giovani pazienti e dei familiari nel creare un corretto stile di vita.

Le altre figure fondamentali nella gestione del controllo della progressione miopica sono l’ottico-optometrista e l’ortottista. L’ottico-optometrista ha il ruolo chiave di gestire la scelta e la corretta gestione dei presidi correttivi soprattutto se a contatto. L’ortottista inquadra e corregge eventuali alterazioni neurosensoriali e muscolari che possono ulteriormente avvantaggiare la progressione della miopia. L’approccio congiunto tra l’ottico-optometrista e l’oculista è la vera chiave di successo del controllo della progressione miopica.

LENTI A CONTATTO E OCCHIALI PER IL CONTROLLO DELLA PROGRESSIONE MIOPICA Fondamentalmente, gli strumenti in mano all’oculista e all’ottico-optometrista sono raggruppabili in due grandi famiglie: lenti a contatto e occhiali (lenti a tempiale). Le lenti a contatto possono essere utilizzate sia durante il giorno sia durante la notte. Gli occhiali vengono, invece, utilizzati come un normale occhiale durante le attività quotidiane. Questa semplificazione si sta arricchendo ultimamente di tecnologie innovative che permettono un’ampia scelta di presidi correttivi. Per questo motivo la selezione della strategia da applicare al giovane

DOTT. FABIO MAZZOLANI Specialista in Oculistica Direttore Sanitario Centro Oculistico Bergamasco

paziente, la sua gestione e il controllo dell’efficacia devono essere gestiti in centri medici che abbiano una comprovata esperienza nel controllo della progressione miopica, che siano equipaggiati della corretta strumentazione e che si coordinino fattivamente con l’ottico-optometrista di fiducia del paziente per gestire il presidio visivo nel caso che sia una lente a contatto oppure un occhiale. In particolar modo, l’utilizzo della lente a contatto non è scevra di possibili complicanze che devono essere subito individuate e curate per garantire non solo il ripristino della corretta funzione dell’occhio, ma la continuità dell’utilizzo della stessa lente per garantire il controllo della progressione della miopia. Il nuovo panorama del controllo della miopia si sta sempre più arricchendo di opportunità, ma ribadisco che deve essere gestito insieme all’ottico-optometrista, all’ortottista e presso centri medici specializzati, visto che riguarda il nostro futuro: i nostri figli. Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 17


PERSONAGGIO

SILVIO GARATTINI

Per invecchiare bene bisogna cominciare dall’asilo Il fondatore dell’Istituto Mario Negri ci spiega quali sono gli stili di vita per vivere meglio. E sogna una riforma del Servizio Sanitario ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

«Per invecchiare bene bisogna cominciare dall’asilo. Bisogna educare i bambini su quali sono i corretti stili di vita coinvolgendo anche mamme e papà: l’importanza dell’attività fisica, l’alimentazione, l’esercizio intellettuale, le relazioni sociali e il buon sonno che hanno ripercussioni dirette sulle capacità cognitive. E la prevenzione». Nel suo ultimo libro che s’intitola “Invecchiare bene, la guida pratica per vivere a lungo felici e in salute”, il professore bergamasco Silvio Garattini, 92 anni, Presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, che ha fondato nel 1961 e che per tanto tempo ha avuto la sua sede al Conventino in via Gavazzeni, non lesina consigli. L’ha scritto in collaborazione con il dottor Ugo Lucca responsabile del Laboratorio di neuropsichiatria geriatrica del Mario Negri e pubblicato da Edizioni Lswr. «Noi siamo tra i popoli più longevi, ma quando misuriamo la durata di vita sana scendiamo al quindicesimo posto nella classifica mondiale» ci dice. «La popolazione italiana continua a invecchiare. Questo potrebbe essere un dato positivo perché in Italia si è innalzata notevolmente l’attesa di vita: 85 anni per la donna e 81 per l’uomo, ma 18 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021


purtroppo non sempre s’invecchia in maniera sana. È proprio la qualità della vita degli anziani il punto in cui si potrebbe intervenire migliorando considerevolmente la loro situazione. Come? Ricordandosi della prevenzione, ma oggi più che alla prevenzione si punta solamente a curare le malattie che potrebbero essere evitate. Il 50 per cento delle malattie infatti non piove dal cielo, ma siamo noi che ce le procuriamo con le nostre cattive abitudini. Il 70 per cento dei tumori è evitabile eppure muoiono ancora 160 mila persone all’anno. Noi siamo una popolazione che ha un’aspettativa alta, ma se guardiamo attentamente osserviamo che ci sono 7/8 anni di cattiva vita per via delle malattie, per insufficienza cardiaca, insufficienza respiratoria, per il diabete, l’obesità». E allora cosa bisogna fare per avere una vita sana? «Educazione e formazione» spiega il professor Garattini. «Nelle scuole si dovrebbe parlare di educazione alla salute a partire dall’asilo e andando avanti a tutti i livelli. Ma non possiamo pensare alla prevenzione se poi lo Stato non fa nulla perché la gente non fumi più, e intanto incassa 13 miliardi di tasse all’anno sulle sigarette. E così pure per le tasse sull’alcol o i giochi d’azzardo che poi provocano la ludopatia, altra malattia da curare a spese del Servizio Sanitario. La prevenzione è un campo che deve essere primario per tutti: vogliamo evitare le malattie e dobbiamo considerare una sconfitta della medicina tutte le volte che c’è una malattia».

Un centro di ricerca di fama mondiale L’Istituto di ricerca farmacologica prende il nome da Mario Negri, imprenditore e filantropo milanese. Nel suo testamento lasciò un’importante parte del suo patrimonio per la fondazione di un Istituto di ricerca, indicandone precise caratteristiche e scopi e chiedendo che Silvio Garattini, allora aiuto all’Istituto di farmacologia dell’Università di Milano, ne fosse il direttore e la guida carismatica. Da allora sono trascorsi 60 anni e il Mario Negri è diventato un’eccellenza nella ricerca scientifica mondiale con quasi 16 mila pubblicazioni scientifiche sulle ricerche dei dieci dipartimenti, (6 a Milano, 4 a Bergamo e Ranica, dedicato alle malattie rare) su cui si articola. Diretti dal Prof. Giuseppe Remuzzi studiano i farmaci in tutte le loro componenti, individuano i meccanismi dell’organismo e le ragioni dell’insorgere delle malattie e i processi che si sviluppano nell’organismo in risposta agli stessi farmaci. Accanto all’attività di ricerca sperimentale i ricercatori svolgono un’intensa attività di ricerca clinica. Ed ecco i temi trattati dai dieci dipartimenti: ambiente e salute, biochimica e farmacologia, bioingegneria, malattie rare, medicina cardiovascolare, medicina molecolare, renale, neuroscienze, oncologia, salute pubblica. In questo momento è in corso uno studio che vuole indagare le cause genetiche del Covid-19 condotto su 1200 persone di cui almeno 400 hanno contratto il virus, ma non si sono ammalate o hanno avuto lievi sintomi. I dati raccolti saranno analizzati al Centro Malattie Rare “Aldo e Cele Daccò” di Ranica. «I risultati di questo studio, aiuteranno i ricercatori a comprendere i meccanismi attraverso cui l’infezione da SARS-CoV-2 danneggia i polmoni e molti altri organi, incluso il cuore e il rene» afferma Ariela Benigni, Segretario Scientifico e Coordinatore delle Ricerche. «Potremo sapere chi rischia di più di sviluppare una malattia grave e chi invece è portatore di geni protettivi. Questo potrebbe avere ricadute importanti per capire i meccanismi attraverso cui il virus agisce e per la prevenzione e la cura delle forme più gravi».

Vediamo nei particolari allora come invecchiare bene. Cominciando Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 19


PERSONAGGIO

SILVIO GARATTINI

dall’attività fisica. Cosa dobbiamo fare per arrivare a una veneranda età come quella del professore. «È consigliabile fare un po’ di sport, come il nuoto e la ginnastica, lo sci lo eviterei per il rischio di rompersi una gamba» spiega Garattini. «Ma basta camminare, facendo una minima fatica e sentendo una minima stanchezza. Io per esempio faccio a piedi cinque chilometri al giorno di media per tenere i riflessi in forma. Poi lavoro e dialogo con tutti per mantenere attivo il cervello. Spesso mi fermano per strada, mi scrivono e io rispondo volentieri perché fa parte del lavoro di un ricercatore. Noi facciamo ricerca per gli altri e per questo dobbiamo essere vicini e spiegare quello che facciamo, perché usiamo soldi pubblici e abbiamo una responsabilità verso tutte le persone. Per questo è importante imparare a comunicare. Lo scopo del Mario Negri è proprio questo, ricercare per curare e migliorare la vita delle persone. E mantenere le relazioni sociali. Non bisogna chiudersi nella propria casa, si devono curare i propri interessi sociali, applicarsi a qualcosa che aiuti la capacità intellettuale. È importante rivolgersi agli altri, dialogare con gli altri». Silvio Garattini ne è la prova vivente di come invecchiare bene. A 92 anni ha una mente fertile tanto da scrivere ben due libri in pochi mesi (l’altro è sul Servizio Sanitario), una lucidità da giovanotto, al punto da avere appena rinnovato la patente, e una dialettica che ti mette in imbarazzo. E poi tanti interessi tra i quali la sua Atalanta di cui non si perde 20 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

una partita. «Per quanto riguarda l’alimentazione deve essere varia e moderata» continua. «Bisogna alzarsi da tavola con un po’ di appetito. Uova, pesce, carne variandoli ogni giorno. Accompagnandoli anche da un buon bicchiere di vino se piace. La mia dieta invece consiste in una brioche e caffè alla mattina, una spremuta d’arancia a mezzogiorno e un pasto leggero alla sera. Un’abitudine presa durante la guerra quando i generi alimentari scarseggiavano e c’era la carta annonaria per poter avere un po’ di pane o un po’ di carne. Se mangio di più mi dà fastidio. Importante è anche il sonno, un buon sonno ha una funzione molto importante. Durante il giorno il nostro cervello produce molte scorie di cellule che però non riesce completamente a smaltire. Il sonno invece è importante per ripulire il nostro cervello». Un altro argomento trattato nel libro riguarda i farmaci anti-aging. «Io li abolirei» dice il Presidente del Mario Negri. «In realtà non ci sono ed è utile saperlo. Ma il vero punto su cui intervenire, per fare della prevenzione una regola è la cultura del Paese. La scarsa formazione scolastica e la povertà non aiutano ad avere buoni stili di vita. La loro realizzazione non è solo un problema medico, è un obiettivo che deve coinvolgere tutta la società e, in primis, la scuola che deve operare con le famiglie per disseminare questo tipo di cultura. Ogni persona, proclamando il diritto alla salute non deve dimenticare il dovere di mantenerla nell’interesse di se stesso e della collettività». E

occorre anche un servizio sanitario diverso. Il professor Garattini lo ha scritto senza mezzi termini in un altro suo recente libro “Il futuro della nostra salute. Il Servizio Sanitario Nazionale che dobbiamo sognare” (edizioni San Paolo). «Anche se è stato fondamentale per la lotta alla pandemia, guai se non ci fosse stato, la tragedia del Covid-19 ha rappresentato una scossa che ha evidenziato molte carenze e ha suggerito la necessità di un futuro diverso. Il SSN, che ha 40 anni e ha sostituito il vecchio servizio in cui chi aveva i soldi si poteva curare, ha bisogno di una revisione completa che rappresenta il sogno di tutti i cittadini. Innanzitutto dobbiamo lasciare fuori lo Stato. Le regole dell’amministrazione pubblica e la burocrazia uccidono il servizio sanitario. Quindi per la gestione io immagino una fondazione senza scopo di lucro, un organismo flessibile e dinamico capace di controlli a posteriori delle scelte prese. A gestirlo non devono esserci dirigenti decisi dalla politica, ma soggetti formati a una scuola superiore di sanità che si basi anche e soprattutto sulla prevenzione. Una riforma che potrebbe essere realizzata in cinque anni e che coinvolga la ricerca, che sia indipendente, che non sia legata al mondo dell’industria farmaceutica o che non abbia fini di lucro e che guardi con attenzione alle medicina del territorio. C’è un rapporto da ricostruire tra la medicina del territorio e quella ospedaliera. Non è più pensabile che un medico di famiglia abbia 1.500 pazienti. È necessario creare ambulatori con 6-7 medici, una se-


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PERSONAGGIO

SILVIO GARATTINI

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22 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

la telemedicina. Solo così ci sarebbe un grande filtro per diminuire l’affollamento ai pronto soccorso. Tutti questi medici devono però di-

ventare dipendenti del SSN come quelli degli ospedali, con stipendi adeguati alle altre Nazioni. Lo so, non è facile, ma io sogno che prima o poi sarà possibile anche la cancellazione delle visite intramoenia fatte a pagamento dai medici ospedalieri e che non bisognerà più aspettare mesi per avere un esame o un ricovero». E per ridurre i ricoveri anche nella fase più acuta della pandemia da Covid l’Istituto Mario Negri ha messo a punto un protocollo per i medici di famiglia per curare gli ammalati di Covid a casa propria (grazie al professor Fredy Suter, al direttore dell’Istituto il professor Giuseppe Remuzzi e ai ricercatori Norberto Perico e Monica Cortinovis) con farmaci di uso comune come l’Aspirina e altri antinfiammatori. I risultati sono andati oltre ogni aspettativa. Nella prima fase del decorso quando il paziente ha sintomi influenzali come febbre, dolori ossei-muscolari, tosse, cefalea le terapie antivirali o gli anticorpi specifici (monoclonali o da plasma) sono in grado di neutralizzare il virus. In una seconda fase, se si sviluppa un’infiammazione esasperata e incontrollata, il farmaco adatto è il cortisone e, per ridurre il rischio di trombosi, l’eparina. «Ma il Covid si può sconfiggere con i vaccini» spiega il professor Garattini. «Un beneficio enorme per evitare danni. Dobbiamo vaccinarci tutti. È importante però che le vaccinazioni si facciano in tutto il mondo, altrimenti dovremo combattere con le varianti del virus per anni».



IN SALUTE

STILI DI VITA

∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Così mantieni in salute il microbiota intestinale… e previeni molte malattie Capita sempre più spesso di sentir parlare di “microbiota intestinale”, un “super organismo” formato da un’incredibile varietà di batteri, funghi, virus e parassiti che vivono in simbiosi con l’essere umano, in particolare nell’intestino. Ad averlo reso così “famoso” sono i numerosi benefici che questo insieme di microrganismi, quando è in equilibrio, sembrerebbe in grado di offrire all’organismo, dal buon funzionamento del sistema immunitario alla difesa dell’intestino dall’attacco dei batteri “cattivi”. Per questo 24 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

La flora batterica dell’intestino inizia a svilupparsi immediatamente dopo la nascita, intorno ai 3-5 anni di vita ed è influenzata da alcuni fattori: la modalità del parto (naturale o cesareo), il tipo di nutrizione iniziale (allattamento al seno o artificiale) e la costituzione genetica”

è fondamentale mantenerlo ogni giorno sano e “forte”. Come? Con la giusta alimentazione e un corretto stile di vita. Come ci spiegano il dottor Francesco Negrini, gastroenterologo, e Antonella Crotti, naturopata consulente in terapia alimentare. Che cos’è il microbiota intestinale? E quali sono le sue funzioni? Con il termine microbiota intestinale generalmente ci si riferisce all’insieme di comunità microbiche (batteri, virus, miceti o funghi, tal-


volta anche protozoi, cioè parassiti) che vivono all’interno dell’apparato digerente. In realtà questo termine ha un’accezione più ampia perché riguarda microrganismi presenti in molte altre parti del nostro corpo, in particolare sulla pelle, nell’apparato respiratorio e in quello genito-urinario, che sfruttano il contatto con il nostro organismo per trarre nutrimento ed energia. Tuttavia è all’interno del colon e dell’intestino tenue che questa comunità microbica è più numerosa. Qui infatti vivono migliaia di diverse specie di batteri, corrispondenti a circa 1 chilo di peso, con approssimativamente 100 trilioni di microrganismi, che sono circa 10 volte di più delle cellule umane e contengono oltre 3 milioni di geni. Il microbiota intestinale può essere quindi considerato un “meta-organo”. Quando, in condizioni normali, questo insieme di esseri vive in uno stato di equilibrio, detto eubiosi, è in grado di svolgere numerose e importanti funzioni: contribuisce a mantenere forte il sistema immunitario, regola l’assorbimento dell’energia, permette di sintetizzare sostanze utili all’organismo, come le vitamine, e protegge la barriera intestinale. Cosa succede, invece, se non è in equilibrio? Se lo stato di eubiosi viene alterato per diversi fattori, ad esempio

modifiche della dieta e tossicità (fumo, alcol, farmaci antibiotici e antinfiammatori), si parla di disbiosi intestinale: l’insieme di questi batteri, miceti, virus, ormai fuori controllo, può entrare nella mucosa e sottomucosa dell’intestino, scatenando un importante processo infiammatorio o, addirittura, entrare in circolo nel sangue. Questo può comportare un alto rischio d’insorgenza delle principali patologie dell’apparato digerente e del metabolismo. È fondamentale quindi fare il possibile per mantenere il microbiota in equilibrio, così da preservare anche la propria salute. Come si fa a difendere l’equilibrio del microbiota? È necessario seguire alcune semplici regole a tavola: > garantire ogni giorno la giusta quantità di fibre vegetali (le linee guida suggeriscono di assumere almeno 3 grammi di fibre al giorno e quindi molta frutta e verdure); > fare 2 o 3 pasti al giorno, perché il microbiota va nutrito; > evitare una dieta sbilanciata (ad esempio, troppo ricca di grassi o con troppe proteine animali); > consumare cibi fermentati; > assumere probiotici e prebiotici, su indicazione medica, così da identificare la tipologia più efficace da utilizzare e stabilire i tempi di assunzione e quantità.

Che cosa s’intende per cibi fermentati? In macrobiotica chiamati anche “insalatini”, sono alimenti conte-

DOTT. FRANCESCO NEGRINI Responsabile U.O. Gastroenterologia Policlinico S. Marco Zingonia Gastroenterologo Smart Clinic Oriocenter e Le due Torri

ANTONELLA CROTTI Naturopata consulente in terapia alimentare

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IN SALUTE

STILI DI VITA

nenti lactobacilli, i cosiddetti batteri amici della salute, naturalmente presenti nell’organismo umano che hanno la capacità di aiutare la digestione e l’assorbimento dei nutrienti. La fermentazione è un processo naturale che avviene in modo spontaneo proprio grazie ai lattobacilli, che trasformano gli zuccheri contenuti nell’alimento in acido lattico. L’acidità così creata funge da conservante naturale e permette di allungare i tempi di consumo. Tra i cibi fermentati più noti ci sono lo yogurt, il formaggio di latte crudo, i crauti, i sottaceti, le olive, il cioccolato (fave di cacao fermentato), il kefir, pane a lievitazione naturale e tra quelli orientali vanno ricordati il miso, il nuoc-mam (pesce fermentato in salamoia) ed il kimchi. Il consumo dei cibi fermentati ha numerosi benefici per l’organismo: > ripopolano l’intestino di batteri buoni, i cosiddetti probiotici; > scoraggiano l’invasione dei batteri negativi; > rinforzano il sistema immunitario; 26 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

> disintossicano il corpo da metalli pesanti e tossine; > forniscono vitamine e minerali in abbondanza, come la vitamina K2 che è in grado di ridurre il rischio d’insorgenza di malattie coronariche, ictus, calcificazione delle arterie, osteoporosi e carie; > migliorano la digestione e l’assimilazione dei nutrienti; > prevengono disturbi intestinali o ginecologici (candida) e l’insorgenza d’intolleranze alimentari, obesità e diabete. Cosa sono invece i probiotici? I probiotici, o batteri buoni, più comuni sono il lactobacillus acidophilus, il bifidobacterium bifidum e il lactobacillus bulgaricus. Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che il calo della flora batterica probiotica, soprattutto nella sua componente bifida, favorisce l’instaurarsi di patologie infiammatorie e autoimmuni. Una volta assunti (ne è ricco in particolare lo yogurt), però, questi batteri buoni per funzionare al meglio devono essere alimentati. Il nutrimento dei probiotici: sono i cosiddetti prebiotici. si tratta in particolare delle fibre dei cereali e delle verdure, che contengono insulina o pectina, due sostanze che permettono la crescita e moltiplicazione dei batteri buoni a livello intestinale. La loro assunzione migliora la funzione intestinale, rende più efficiente il sistema immunitario, riduce lo stato infiammatorio cronico, mantiene più bassi i valori della glicemia e riduce il rischio di obesità. I

IL LEGAME CON IL SISTEMA IMMUNITARIO Lo sviluppo del microbiota intestinale va di pari passo con il sistema immunitario. nell’intestino tenue, infatti, sono localizzate circa il 70% delle cellule immunitarie. nei primi anni di vita la comunità microbiota cresce fino a raggiunge delle caratteristiche tali da permettere al sistema immunitario di tollerarla per tutto il resto della vita. si crea dunque un legame molto stretto in cui il sistema immunitario viene “educato” e stimolato dal microbiota e nel quale ogni alterazione della flora comporta dirette conseguenze sullo stato di salute della persona.

principali alimenti prebiotici sono: asparagi, cipolle, porri, cicoria, aglio, topinambur, legumi, quinoa, orzo, segale, patate, patate dolci americane, banane, mela, agrumi, ciliegie, kiwi, semi di chia, semi di lino, mela con la buccia, alghe, noci, mandorle, anacardi. Ci sono altre buone abitudini da seguire per mantenerlo sano? In molti casi, oltre a modificare


l’alimentazione, è bene correggere anche lo stile di vita, seguendo alcune regole basilari: > evitare farmaci non strettamente necessari. Ad esempio limitare, laddove possibile, l’utilizzo degli inibitori della pompa protonica (per il trattamento del reflusso gastrico) che, bloccando l’acidità gastrica, comportano una sovra crescita dei batteri intestinali; > non trascurare la pulizia intestinale. Si consumano spesso cibi di qualità scadente e in quantità più abbondanti nel necessario. Questo significa che, anche se si va di corpo regolarmente, si rischia comunque di accumulare nel nostro intestino batteri nocivi. Per questo è importante rivalutare la pratica del lavaggio intestinale

con enteroclisma o clistere, da eseguire sempre su indicazione dello specialista. In quali casi possono essere utili in particolare test di valutazione delle condizioni del microbiota? Le situazioni che possono richiedere questi test sono: > insorgenza e/o persistenza di sintomi intestinali o urogenitali di lieve o moderata entità (coliti, diarree ricorrenti, stipsi, cistiti, uretriti etc.); > sovrappeso e obesità; > infanzia e vecchiaia; > gravidanza e allattamento; > menopausa. In caso di necessità nutrizionali specifiche, ad esempio per pratica attività sportiva particolarmente

intensa per migliorare le performance con un regime alimentare personalizzato.

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IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

Ecco come mangiare saporito con meno sale e zucchero ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Si stima che in Italia il consumo medio di sale pro-capite sia pari a circa 10 grammi al giorno, il doppio rispetto alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. E le cose non sembrano andare molto meglio con lo zucchero. Il risultato? Un aumento del rischio per patologie che vanno dall’ipertensione alle malattie cardiovascolari e renali per l’eccesso di sale, dal diabete all’obesità per quello di zucchero. Eppure mangiare con meno sale e zuccheri senza necessariamente rinunciare al gusto e al piacere è meno difficile di quanto si pensi. Capiamo come con la dottoressa Federica Belotti, dietista. Dottoressa Belotti, cominciamo dal sale. Per ridurre i rischi è sufficiente stare attenti a quello che si aggiunge nelle pietanze? No. La maggior parte del sale che assumiamo è il cosiddetto “sale nascosto” contenuto nei prodotti alimentari presenti sul mercato (soprattutto pane, prodotti da forno, formaggi, salumi, alimenti conservati, cibi pronti, snack salati). È quindi fondamentale ridurre il consumo di questi alimenti e leggere attentamente l’etichetta 28 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

Ridurre sale e zucchero non è facile quando il palato è abituato a sapori “decisi”, ma è sufficiente avere un po’ di pazienza, diminuendoli gradualmente, e il palato si abituerà” nutrizionale per scegliere i prodotti a minore contenuto di sale. Sono considerati prodotti a basso contenuto di sale quelli che hanno un contenuto inferiore a 0,3 g per 100 g. Ovviamente è importantissimo anche limitare anche il sale aggiunto in cucina e a tavola. Sembra facile, ma quali accorgimenti si possono adottare? Preferendo, ove necessario, piccole quantità di sale iodato; non portando il sale in tavola, in modo che non si acquisisca l’abitudine di aggiungerlo sui cibi; limitando altri condimenti contenenti sodio, quali dado e salse; utilizzando in alternativa erbe aromatiche, spezie, succo di limone e aceto per insaporire ed esaltare il sapore dei cibi.

Passiamo allo zucchero, negli ultimi anni al centro di numerosi dibattiti. Qual è il limite da non superare? L’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce un consumo al di sotto del 10% dell’apporto energetico quotidiano. Questo significa che in una dieta da 2.000 kcal giornaliere gli zuccheri devono essere all’incirca 50 grammi (pari a 10 cucchiaini). In realtà l’obiettivo ottimale sarebbe un consumo di zucchero giornaliero inferiore al 5%, che equivale a circa 25 grammi di zucchero (5 cucchiaini). Il limite può sembrare alto, ma non lo è. Infatti bisogna considerare il contenuto di zucchero dei prodotti industriali, tutt’altro che trascurabile. Basta fare solo qualche esempio: una lattina di bibita gassata contiene circa 35 grammi di zucchero, pari a 7 cucchiaini; un succo di frutta contiene circa 25 grammi di zucchero, pari a cinque cucchiaini; due cucchiai di crema di cacao e nocciole (circa 40 g) contengono 22,5 grammi di zucchero, pari a quattro cucchiaini e mezzo. A questo si aggiunge poi lo zucchero da tavola (saccarosio) che aggiungiamo alle bevande, quali caffè e tè.


Quindi è meglio sostituire lo zucchero bianco con altre sostanze dolcificanti? Il miele, essendo un alimento ad elevato contenuto di zuccheri, va moderato al pari del saccarosio, dunque non può essere considerato un’alternativa da utilizzare senza limitazioni. Il fruttosio ha un potere dolcificante superiore rispetto allo zucchero da tavola, per cui sono necessarie quantità inferiori per ottenere lo stesso grado di dolcezza. Ecco perché in passato è stato considerato un valido sostituto dello zucchero da tavola. Tuttavia oggi non viene più consigliato perché si è visto che, se in eccesso, viene convertito in trigliceridi, cioè in grasso che si deposita prevalentemente a livello addominale e nel fegato. Per quanto riguarda, invece, lo zucchero di canna, spesso

DOTT.SSA FEDERICA BELOTTI Dietista Presso Humanitas Gavazzeni e Castelli, Centri Sportpiù e Area Donna di Bergamo e Provincia e Studio medico a Trescore Balneario

considerato una scelta più salutare, dal punto di vista chimico non ha differenze con lo zucchero bianco, poiché sono entrambi formati dalla stessa molecola (il saccarosio). Anche dal punto di vista calorico e nutrizionale non ci sono grandi differenze: nello zucchero di canna sono presenti diversi minerali (potassio, magnesio, fosforo), ma si trovano in quantità così ridotte da risultare irrilevanti. E i dolcificanti, possono essere utili? Laddove necessario è possibile utilizzare dolcificanti senza calorie come la stevia, un dolcificante naturale estratto dalle foglie di una pianta originaria del Sud America, che ha un potere dolcificante 200300 volte superiore al saccarosio, ma un apporto calorico e nutrizionale quasi nullo. Anche saccarina, aspartame e acesulfame K non contengono calorie e non provocano danni alla salute, se consumati secondo le dosi indicate. Attenzione però: i dolcificanti possono avere un effetto diseducativo dato che abituano il palato a preferire alimenti dolci. La scelta realmente corretta sarebbe quella di abituarsi a ridurre la quantità di zucchero o dolcificante utilizzato. Cosa possiamo fare allora per ridurre l’assunzione di zuccheri? Riducendo o eliminando lo zucchero aggiunto alle bevande, utilizzandone non più di 1-2 cuc-

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chiaini al giorno; consumando solo occasionalmente dolci e bevande zuccherate; facendo attenzione agli alimenti che si consumano a colazione e negli spuntini, leggendo sempre l’etichetta nutrizionale. Secondo la normativa un prodotto può essere definito a basso contenuto di zuccheri se non ha più 5 grammi di zuccheri per 100 g per i solidi o 2,5 grammi di zuccheri per 100 millilitri per i liquidi.

I RISCHI Un consumo eccessivo di sale determina un incremento della pressione arteriosa, con conseguente aumento del rischio d’insorgenza di gravi patologie cardiocerebrovascolari correlate all’ipertensione arteriosa, quali infarto del miocardio e ictus cerebrale. L’uso di sale è stato associato anche ad altre malattie, come tumori dello stomaco, osteoporosi, malattie neurodegenerative e malattie renali. Un eccesso di zucchero, invece, favorisce sovrappeso e obesità, soprattutto tra i più piccoli, e patologie come diabete, malattie cardiovascolari e diversi tipi di tumori.


IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

Le nespole Il frutto primaverile dimenticato ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Distratti dai tipici frutti della stagione primaverile spesso ci dimentichiamo delle nespole. Le nespole fanno parte della frutta di stagione di maggio e giugno, anche se la loro maturazione può cominciare già in primavera. Meno note delle albicocche, hanno colore e forma simile: sono più aspre ma anche più succose. Esistono due differenti varietà di questi frutti appartenenti alla famiglia delle Rosaceae: il nespolo europeo, che si raccoglie a ottobre e il nespolo giapponese, quello estivo, più comune in commercio. Qui ci soffermeremo sulle nespole giapponesi, con l’aiuto della dottoressa Emanuela Mosca, biologo nutrizionista. Dottoressa Mosca, quali sono i valori nutrizionali delle nespole che si trovano in questa stagione? 30 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

In salsa o confettura: la bontà è servita In salsa. Le nespole sono perfette ridotte in purea ed emulsionate con yogurt greco, un pizzico di sale e pepe macinato. Questa salsa semplicissima da preparare è l’ideale per accompagnare gamberi crudi, carpacci di pesce. Caramellate. Per caramellarle basta eliminare la buccia e i semi, cospargere i filetti di polpa con zucchero di canna e scaldarli in un pentolino con un po’ d’acqua. La preparazione ottenuta è perfetta per insaporire il gelato. In insalata. Per chi è alla ricerca di una ricetta estiva e leggera, ecco l’insalata di nespole e gamberetti oppure nespole abbinate a formaggi freschi (ad esempio il primo sale). Confettura. Per realizzarla servono 1 chilo di nespole, 350 grammi di zucchero e 1 limone. Lavate le nespole con acqua corrente, pelatele e togliete il nocciolo. Una volta messe in una capiente ciotola con il succo del limone, frullate il tutto e versate la frutta in un tegame con lo zucchero. Cuocete 20 minuti a fiamma bassa, mescolando spesso. Cuocete poi altri 20 minuti, continuando a mescolare e poi versatela nei vasetti, precedentemente sterilizzati in acqua bollente, chiudeteli e capovolgeteli per farli raffreddare.


Tabella nutrizionale per 100 g di alimento: . Energia 30 kcal . Proteine 0,4 g . Carboidrati 6,1 g . Acqua 85,3 g . Fibra 2,1 g . Lipidi 0,4 g

Le nespole sono ricche di vitamina A, vitamine del gruppo B e vitamina C e per questo possono essere considerate un prezioso multivitaminico. Sono presenti inoltre carotenoidi, tannini, flavonoidi, acidi organici, sostante antiossidanti fondamentali per le nostre cellule perché in grado di contrastare gli effetti dannosi dei radicali liberi, ovvero i principali responsabili del processo di invecchiamento dell’organismo. Infine sono ricche di fibre. Ma quali sono i benefici delle nespole? I benefici delle nespole, in parte, variano a seconda che si consumino mature, e quindi più dolci, o acerbe e più aspre.

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La nespola matura regolarizza la funzionalità intestinale, grazie al buon contenuto di fibra, che promuove la peristalsi (il transito intestinale) e l’eliminazione delle

feci. Il frutto acerbo, grazie al suo contenuto di tannini o invece è di aiuto in caso di diarrea.

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Grazie alla presenza di pectina riducono il riassorbimento di colesterolo nel colon e ne facilitano l’espulsione.

I flavonoidi le rendono utili per il benessere dei vasi sanguigni e dell’intero apparato circolatorio. Hanno un’azione diuretica e remineralizzante. Ricche soprattutto di potassio sono usate come rimedio in caso di carenze da minerali o come recupero dopo un’attività sportiva.

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Sono alleate di bellezza: la vitamina A e le altre sostanze antiossidanti aiutano a mantenere la pelle sana e luminosa.

L’unica cosa a cui bisogna fare attenzione è non ingerire i semi perché contengono dei composti chiamati glucosidi cianogeni (in particolare l’amigdalina), che liberano acido cianidrico, una sostanza tossica. Come scegliere le nespole migliori? È opportuno scegliere frutti sodi, di colore giallo/arancio vivo, evitando frutti molli, con chiazze più scure o ammaccati.

Il contenuto di vitamina A, o retinolo, contribuisce a mantenere sana la vista poiché fa parte dei componenti della rodopsina, la sostanza presente sulla retina che dà all’occhio la sensibilità alla luce.

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Molto ricche di acqua e fibra e piuttosto povere di calorie (30 kcal per 100 grammi), aiutano a indurre il senso di sazietà, per cui sono consigliate alle persone che devono seguire un regime alimentare ipocalorico.

DOTT.SSA EMANUELA MOSCA Biologo Nutrizionista con Laurea in Alimentazione e Nutrizione Umana Brignano Gera d’Adda (BG)

Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 31


IN ARMONIA

PSICOLOGIA “Il pessimismo è una scusa per non tentare e una garanzia per assicurarsi di fallire” ∞∞ BILL CLINTON

Ottimisti o pessimisti Ci si nasce o si diventa? ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Il modo di affrontare gli eventi della vita è soggettivo. C’è chi tende a vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto e a vivere le situazioni con ansia e paura, focalizzandosi sui problemi invece che sulle opportunità. Chi, al contrario, vede in ogni caso il bicchiere mezzo pieno, vive con serenità ed entusiasmo, affronta i rischi con spirito avventuroso, pensando di avere le capacità di superare gli ostacoli e riuscire a raggiungere i propri obiettivi. «Nel linguaggio comune s’intende per ottimismo la disposizione psicologica che induce a scegliere e considerare prevalentemente i lati migliori della realtà, oppure ad attendersi uno sviluppo favorevole del corso degli eventi . Lo psicologo Daiel Goleman definisce l’ottimismo come l’aspettativa che nella vita le cose andranno per il meglio nonostante le sconfitte e le frustrazioni. Il pessimismo, invece, è l’affrontare 32 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

con sfiducia la realtà e l’esistenza» osserva la dottoressa Enrica Des Dorides, psicologa e psicoterapeuta. Dottoressa Des Dorides, ma ottimisti si nasce o si diventa? Secondo alcune scuole di pensiero l’ottimismo e il pessimismo sono insiti nell’individuo sin dalla nascita. Secondo Seligman, psicologo statunitense fondatore della psicologia positiva, questi due stili di pensiero e di comportamento sono assimilati dalle figure di riferimento e cominciano a manifestarsi nel corso dell’infanzia, facendosi più radicati man mano che passa il tempo. Ciò significa che sono potenzialmente modificabili. L’ottimismo potrebbe dunque essere appreso imparando una serie di abilità per interpretare gli eventi. Serve l’esercizio e la flessibilità di pensiero.

Come fare? Facendo leva sul desiderio naturale di migliorare si può ritrovare il meglio di se stessi dal punto di vista emotivo. Si potrebbe prendere in esame le proprie predisposizioni negative per trasformarle in un atteggiamento aperto e costruttivo che permetta di assaporare di più le esperienze piacevoli. Nel momento in cui prevale una visione

DOTT. SSA ENRICA DES DORIDES Psicologa e Psicoterapeuta A Bergamo, Seriate, Gorlago e Trescore


negativa della vita è possibile liberarsi di tali pensieri cercando prima di tutto di individuarli ed accettarli. Risulta fondamentale concentrarsi sul “qui e ora” per vivere il momento presente che è il nostro punto di forza. Per questo è necessario fare riferimento sempre alla realtà che si vive per godere dei momenti che si susseguono, cercando di coglierne gli aspetti positivi. Ci sono poi due altri aspetti sui quali, una volta presa consapevolezza di essi, si può lavorare e che sono alla base del pessimismo e dell’ottimismo: la sensazione di poter esercitare o meno un controllo sugli eventi e il modo con cui ci spieghiamo ciò che ci succede. Chi è più ottimista crede di poter modificare eventi e circostanze a suo favore. La percezione di sentirsi potenti o impotenti deriva da come si’interpretano le situazioni. Ognuno ha un suo stile esplicativo per spiegarsi ciò che succede, legato anche alla visione di se stesso nel mondo; l’ottimista tende a percepirsi come persona degna di valore e meritevole. Il pessimista tende a considerarsi come un essere incapace o inadeguato. Ma da cosa dipende lo stile esplicativo? Lo stile esplicativo è caratterizzato da tre dimensioni. > Permanenza. Quest’aspetto riguarda il tempo e il modo con il quale le persone si spiegano gli eventi. I pessimisti ritengono che le cause dei propri successi o falli-

menti si protraggano nel tempo e non siano modificabili. Gli ottimisti il contrario. > Pervasività. Si riferisce allo spazio. C’è chi riesce ad andare avanti anche quando sta affrontando esperienze dolorose e pervasive. C’è chi invece non riesce a mettere da parte le difficoltà che vive in un settore dell’esistenza con il rischio di mandare all’aria tutto il resto. > Personalizzazione. È legata all’attribuzione causale degli eventi a noi stessi o a fattori esterni. Le persone ottimiste considerano i successi dovuti alle loro qualità e delimitano gli insuccessi come eventi occasionali. Le persone pessimiste tendono a non valorizzare il proprio contributo nella riuscita e a ingigantire gli insuccessi. Chi ha un atteggiamento positivo in genere è oggetto di invidia da parte di chi tende a vedere sempre tutto nero. Ma può capitare di peccare di ottimismo? L’ottimismo ha un impatto positivo sulla nostra salute. Ci aiuta a vivere meglio e più a lungo. Il sistema immunitario è più efficiente, ci si

“L’ottimista vede opportunità in ogni pericolo, il pessimista vede pericolo in ogni opportunità” ∞∞ WINSTON CHURCHILL

ammala meno e s’invecchia meglio. La sua funzione psicologica è quella di impedirci di cadere nell’apatia o nella disperazione di fronte a situazioni gravi e negative favorendo quindi la possibilità di poter valutare e trovare nuove soluzioni possibili. In questo caso si parla di resilienza. Questo termine indica la capacità di un materiale di resistere a un urto senza rompersi. È una competenza fondamentale per riuscire a resistere e riprendersi da un’esperienza traumatica. Invece quando il pensiero positivo diventa fine a se stesso creando un atteggiamento ingenuo e irrealistico, può rivelarsi un fattore negativo in quanto porta a distorcere la realtà o comunque a non vederla con la dovuta lucidità e obiettività. Reprimere la negatività può essere controproducente e dannoso perché bisogna considerare che le esperienze difficili, le prove e gli ostacoli esistono e prima o poi bisogna imparare ad affrontarli. Inoltre il rischio di sottovalutare la possibilità di correre pericoli potrebbe esporci al rischio di malattie, perdite o incidenti. Soprattutto nel momento storico di pandemia che stiamo vivendo ognuno di noi deve mantenere alto il proprio senso di responsabilità per il bene comune. Senza cadere in un eccessivo stato d’impotenza appresa o all’opposto nel costruirsi una visione edulcorata dell’esistenza, l’invito per tutti è di mantenere alto un sano senso di realismo.


IN ARMONIA

COPPIA

Come il Covid ha messo alla prova le famiglie italiane ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Tra moglie e marito non mettere il dito”, il proverbio, famosissimo, invita a non immischiarsi se marito e moglie discutono, se litigano, se bisticciano. E invece il Covid si è messo di mezzo, mettendo a dura prova la tenuta delle coppie e delle famiglie con risultati sconvolgenti. Tanti coniugi hanno preferito separarsi. L’anno scorso le separazioni sono addirittura aumentate del 60 per cento rispetto al 2019. Nella Bergamasca quasi duemila. La causa principale? «La convivenza forzata» spiega l’avvocato Matteo Santini, presidente dell’Associazione Nazionale Avvocati Divorzisti e direttore del Centro studi ricerche diritto alla famiglia e minori. «Un conto è condividere i week end e le sere con il partner, un altro è vivere insieme l’intera giornata con tutti i problemi relativi all’emergenza sanitaria, stress per la malattia, mancanza di lavoro, convivenza con i figli con le difficoltà connesse alla didattica a distanza. Tutto ciò comporta un’esplosione emotiva che porta al desiderio di allontanamento e alla richiesta di separazione». Ma non è solo questa la causa dei divorzi. Molte coppie, almeno il 40 per 34 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

cento, si sono sfaldate perché con il lockdown è stato più difficile nascondere le doppie vite che i coniugi infedeli conducevano prima della chiusura per covid. Altre per violenze all’interno della famiglia che hanno visto un aumento del 70 per cento. Numeri che parlano da soli come l’aumento del 20 per cento dei femminicidi. La pandemia e le restrizioni che, qualcuno ha paragonato agli arresti domiciliari, hanno inciso anche sulla prospettiva di avere figli e costruirsi una famiglia. Dal Rapporto “L’impatto della pandemia di Covid-19 su natalità e condizione delle nuove generazioni”, promosso dal Dipartimento per le politiche della famiglia in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti emerge che la demografia è uno dei principali ambiti colpiti dalla pandemia, sia per l’effetto diretto sull’aumento della mortalità, sia per le conseguenze indirette sui progetti di vita delle persone. La situazione del nostro Paese risultava su questo fronte già da molto tempo particolarmente fragile e problematica. Il maggior invecchiamento della popolazione ci ha resi maggiormente esposti alla letalità del virus. I fragili percor-

si formativi e professionali dei giovani in Italia (soprattutto se provenienti da famiglie con medio-basso status sociale), i limiti della conciliazione tra vita e lavoro (soprattutto sul lato femminile), l’alta incidenza della povertà per le famiglie con figli (soprattutto oltre il secondo), con il contraccolpo della crisi sanitaria rischiano di indebolire ancor di più la scelta di formare una propria famiglia o di avere un (altro) figlio, e anche l’aumentato del senso di incertezza va in tale direzione. Il rapporto evidenzia in particolare la rilevanza, per le ricadute sulla scelta di avere un (altro) figlio, dei dati sull’occupazione, sulle prospettive di stabilità dei percorsi professionali e sulle possibilità di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. «Nel secondo trimestre 2020 il tasso di occupazione femminile risulta infatti sceso al 48,4%, consolidando la distanza rispetto alla media europea ma anche accentuando il divario di genere nel nostro Paese (la distanza rispetto all’occupazione maschile è salita da 17,6 punti percentuali dello stesso trimestre del 2019 a 18,2)» si legge nel Rapporto. «Si allarga anche il divario tra le generazioni.


Sempre prendendo a confronto il secondo trimestre 2020 rispetto all’anno precedente, si osserva una riduzione del tasso di occupazione pari a -0,8 punti percentuali in età 50-64 anni, di -1,6 nella fascia 3549, di -3,5 in quella 25-34 anni (-3,2 in quella più ampia 15-34). A essere più colpita risulta quindi essere la classe che già risultava con più ampio divario rispetto alla media europea, ma anche quella più delicata per la costruzione dei progetti di vita». La pandemia e le restrizioni per combattere Covid-19 hanno rivoluzionato anche il ruolo dei padri, coinvolgendoli nella cura della casa e dei figli e trasformandoli a volte in “mammi”. Ma nello stesso tempo sono cresciute anche preoccupazioni, ansia e irritabilità. Come sostiene un sondaggio promosso dall’EURODAP (Associazione Europea per il Disturbo da Attacchi di Panico): per il 76 per

cento degli intervistati l’immersione nella quotidianità familiare e il cambiamento radicale delle abitudini ha causato una pressione psicologica non trascurabile. Il 59 per cento, infatti, dichiara di essere molto preoccupato per la situazione economica attuale e il 68 per l’impossibilità di progettazione legata all’andamento della pandemia. Il lockdown e la mancanza di contatti sociali in alcuni casi hanno portato a uno stato di agitazione e depressione, difficoltà di concentrazione e maggiore irritabilità: il 57 per cento prova un senso di frustrazione per l’impossibilità di ritagliarsi uno spazio personale se non in casa o di mantenersi il lavoro. «È passato un anno da quando il mondo è stato travolto dalla pandemia, costringendoci ad abbandonare la nostra routine per rintanarci nella sicurezza delle nostre case» afferma Eleonora Iacobelli, psicotera-

peuta e presidente EURODAP. «È stato un periodo d’incertezze, di precarietà mentale e lavorativa, ma anche di riscoperta dei valori familiari. La convivenza forzata ha costretto le famiglie a cercare nuovi equilibri e i papà in smart-working si sono ritrovati alle prese con nuove dinamiche lavorative e familiari, più presenti e coinvolti nella cura della casa e dei figli e nella loro istruzione. Il prolungarsi di questa situazione, però accresce ansia, stanchezza e paura». E separazioni e divorzi. E così dopo qualche mese di quieto vivere dove la casa era diventata l’unico luogo sicuro contro la pandemia, con gli uomini che cucinavano, facevano il pane, ritinteggiavano le pareti e inventavano giochi per figli e le donne avevano riscoperto antichi lavori come l’uncinetto e il lavoro a maglia, sono però cominciate le incomprensioni, i litigi e a volte le minacce.


IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

Mamme Peer Sostegno da mamma a mamma ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

«Le Mamme Peer Counsellor per l’allattamento materno sono mamme che hanno allattato i propri piccoli e che, dopo aver seguito un percorso formativo sull’allattamento materno e sul counselling, sono in grado di dare un sostegno competente alle mamme che stanno allattando. La Mamma Peer Counsellor, nel rispetto delle scelte di ogni singola madre, condivide con lei informazioni aggiornate sull’allattamento, mettendola in contatto, qualora fosse necessario, con professionisti esperti in allattamento. La sua opera è del tutto volontaria e gratuita. Promuove anche la partecipazione agli spazi allattamento e alle iniziative dei consultori, essendo il consultorio il luogo protetto in cui la mamma può trovare, oltre alla rete di sostegno alla pari formata da 36 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

altre mamme, personale competente (ostetriche ed educatori) appositamente formato per dare supporto alle donne in questa delicata fase della loro vita». Chi parla è la dottoressa Laura Ferla, psicologa e mamma Peer Counsellor. Ci siamo rivolte a lei per conoscere più da vicino la figura della mamma peer, o alla pari, riconosciuta dall’Oms-Unicef come persona preparata a supportare altre mamme nell’allattare, nutrire, accudire il loro bimbo e nel prevenire eventuali semplici problemi, attraverso l’ascolto e l’aiuto “tra pari”. In cosa consiste la formazione per diventare Mamma Peer? Il corso di formazione, della durata di 25 ore, è gratuito e prevede la partecipazione di 15 mamme. La parte teorica prevede 15 ore

suddivise in 5 incontri della durata di tre ore ciascuno. Il tirocinio osservativo ha una durata di 10 ore e deve essere svolto presso i Consultori Familiari ASST del territorio bergamasco, nell’ambito di incontri con donne in gravidanza ed attività di sostegno all’allattamento di gruppo ed individuale. Alla fine del corso l’aspirante Mamma Peer deve superare un questionario di valutazione delle competenze acquisite e così otterrà un attestato della validità di due anni. Alle Mamme Peer viene proposto di diventare volontarie Unicef. Da settembre 2016 a oggi sono stati organizzati sette corsi (l’ottavo è attualmente in corso) che hanno formato più di cento Mamme Peer residenti in tutta la provincia bergamasca. Le informazioni relative alla programmazione dei corsi e


alle modalità di contatto con una Mamma Peer Counsellor si possono trovare sul portale istituzionale di ATS Bergamo. Come si contatta una Mamma Peer? È possibile scrivere alla mail dedicata mammepeer@ats-bg.it gestita dalla dottoressa Enrica Breda, ostetrica e referente dei corsi. Oppure si può contattare le Mamme Peer tramite il profilo Instagram “Mamme Peer Allattamento BG” o la pagina Facebook “Mamme Peer Milano e Bergamo”. Come mai una pagina condivisa tra Bergamo e Milano? Nel 2017 ATS Bergamo è stata riconosciuta come “Comunità Amica dei Bambini per l’Allattamento Materno” e ha iniziato una sinergia con la realtà di Milano (la prima Comunità Amica dei Bambini in Italia), unendo le proprie forze e condividendo l’obiettivo di promozione di una cultura dell’allattamento, attraverso la creazione sul territorio di una rete di sostegno e di aiuto per le mamme che allattano. La sinergia con la realtà di Milano è stata importante e significativa in particolar modo durante la pandemia. Le mamme non potevano uscire e andare agli spazi allattamento nei consultori, non avevano occasioni di confronto e rete tra altre

mamme, alcune di loro non sono riuscite nemmeno a frequentare i corsi preparto. Rimanevano però i dubbi, le paure o semplicemente le domande che ogni mamma aveva sperimentato dopo il parto in merito all’avvio e al mantenimento dell’allattamento. Allora le Mamme Peer Counsellor di Bergamo e Milano hanno continuato a offrire, in collaborazione con i Consultori familiari, il proprio sostegno all’allattamento, da mamma a mamma: tramite il contatto telefonico, le videochiamate, ma anche con la nascita di una pagina Facebook a cui tutte le mamme possono iscriversi e mandare un messaggio per essere poi contattare da una Mamma Peer. Siamo tante, con competenze ed esperienze diverse e possiamo garantire il nostro sostegno anche in più lingue. Quante mamme chiedono l’aiuto di una Mamma Peer? A oggi contiamo circa 400 interventi su più di 30 comuni di provenienza, ma il dato è sottostimato poiché la registrazione delle attività si è fatta più intensiva soltanto negli ultimi mesi e molte prestazioni non vengono registrate. Le attività principali sono: il sostegno individuale diretto (telefonico o in presenza), l’invio ad operatori dedicati, la messa in rete con i servizi, la presenza attiva negli spazi allattamento, gli

MIKI

incontri presso i Baby Pit Stop (Spazi Unicef in cui è possibile fermarsi ad allattare e cambiare il proprio bambino, spesso promossi proprio dalle Mamme Peer), la partecipazione alle iniziative della SAM (Settimana Mondiale dell’Allattamento Materno). I riscontri ricevuti dalle mamme che ci hanno chiesto supporto sono sempre molto positivi: talvolta è essenziale “fare rete” o far sentire alla mamma che non è sola attraverso la nostra vicinanza; altre volte l’osservazione e la correzione dell’attacco del bambino al seno può essere importante; altre ancora fornire informazioni corrette e scientificamente fondate o accompagnare a personale sanitario competente può sbloccare situazioni difficili.

DOTT.SSA LAURA FERLA Mamma Peer Counsellor Coordinatrice de Le Mamme de La Terza Piuma e Psicologa presso Centro per l’Età Evolutiva a Bergamo

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IN FAMIGLIA

BAMBINI

Acetone Come riconoscerlo e cosa fare ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

“Dottore, il bambino sta male, dice di avere mal di testa, è stanco, sono due giorni che non mangia nulla, vomita qualsiasi cosa metta in bocca e poi ha un alito terribile: sa di frutta troppo matura”. «Capita spesso che un genitore porti dal pediatra il bambino riferendo questi sintomi, all’apparenza allarmanti. Nella maggior parte dei casi, però, dopo una visita accurata per escludere eventuali patologie, qualche domanda sulle abitudini alimentari del piccolo e un semplice stick sulle urine si rivelano non particolarmente preoccupanti e legati a chetosi, meglio nota con il nome di acetone» osserva il dottor Sergio Clarizia, pediatra. Dottor Clarizia, che cosa è l’acetone? L’acetone è una risposta metabolica che interviene quando l’organismo, per far fronte alle proprie necessità energetiche, dopo aver bruciato tutti gli zuccheri a disposizione, comincia a bruciare anche i grassi. Si tratta di una condizione passeggera, quasi sempre responsabile di un disturbo lieve che si 38 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

risolve rapidamente, senza procurare particolari fastidi al piccolo. Quali sono le cause? L’acetone può svilupparsi durante un episodio febbrile, in un momento di particolare stress, o dopo un digiuno prolungato. Queste condizioni comportano un dispendio di energia e inducono l’organismo ad aumentare la richiesta di glucosio, fonte energetica di organi come cervello e cuore. Quando il metabolismo, per produrre energia, esaurisce le riserve fornite dagli zuccheri, ecco che intervengono i lipidi (o grassi): durante questo processo si formano delle sostanze chiamate corpi chetonici, che emanano il loro inconfondibile odore di acetone, simile a quello della frutta matura, nelle vie aeree e nelle urine. Quali sono i sintomi? Individuare questo disturbo è piuttosto semplice, perché la caratteristica principale è il classico e inconfondibile odore di mele mature emesso dall’alito del bambino. In genere, infatti, l’acetone viene eliminato con la respirazione: in

questo caso sprigiona a contatto con l’aria il caratteristico odore. Altre volte, invece questa sostanza viene eliminata attraverso l’urina: in questo caso la pipì del piccolo ha lo stesso odore dell’alito. L’acetone si manifesta spesso in seguito a episodi di vomito ed è, in genere, accompagnato da nausea, mal di pancia, pallore, sonnolenza, mal di testa, occhiaie e da una evidente “patinatura” che si forma sulla superficie della lingua, che appare asciutta e di colore bianco-giallastro. Questi sintomi possono durare alcune ore o anche per tutta la giornata. Il vomito acetonemico compare il più delle volte in seguito a febbre alta (oltre i 38.5 gradi misurati nel sederino) ma può sussistere anche in modo isolato senza una causa evidente. È detto anche “vomito ricorrente” o “ciclico”, in quanto dura alcune ore per circa 3-4 giorni per poi scomparire e quindi ripresentarsi. Se il vomito ricorrente perdura per diversi giorni, il piccolo può correre il rischio di disidratarsi, perché perde troppi liquidi. Cosa si può fare allora? In caso di neonati, bisogna offri-


re al bebè un biberon di acqua e zucchero per ripristinare le riserve dell’organismo. Questo rimedio serve anche a evitare episodi di vomito. La disponibilità di zucchero fa diminuire l’eccesso di acetone nell’organismo. Anche la camomilla o tè deteinato zuccherati o dolcificati con il miele e i succhi di frutta possono essere utili perché svolgono un’azione benefica sulle mucose gastriche. I succhi di frutta, in particolare, oltre allo zucchero, contengono sali minerali, molto importanti per ripristinare l’equilibrio idro-salino dell’organismo. Se il piccolo ha già iniziato lo svezzamento è consigliabile dare da mangiare al piccolo della pastina o crema di riso o una patata schiacciata: i carboidrati rappresentano un’ottima fonte di zuccheri e aiutano a ridurre il vomito. Occorre poi eliminare il latte e i suoi

derivati per qualche giorno. Dopo l’anno di età si possono offrire al bambino anche i grissini all’acqua (perché assorbono bene l’acetone) o i biscotti per l’infanzia. Sono poi da preferire alimenti come il pesce e le carni bianche anche sotto forma di omogeneizzati o liofilizzati. Superata la crisi, che di solito non dura più di 2-3 giorni, il piccolo può tornare all’alimentazione abituale. Quando bisogna rivolgersi al pediatra? È bene far visitare il piccolo dal pediatra se l’acetone persiste per più di 2-3 giorni, specie se accompagnato da vomito, mal di pancia o febbre. Lo specialista può prescrivere un’analisi delle urine e del sangue per verificare l’eventuale presenza di corpi chetonici. Si tratta di semplici test eseguibili anche a casa. Basta immergere le apposite

strisce reattive o gli stick (in vendita in farmacia) direttamente nell’urina: se cambiano colore, vuol dire che sono presenti i corpi chetonici. In questo caso il pediatra indicherà l’alimentazione da seguire. La presenza di acetone, infatti, non è una malattia, per cui di solito si risolve senza bisogno di farmaci.

DOTT. SERGIO CLARIZIA Specialista in Pediatria Pediatra di famiglia a Bergamo e presso Politerapica Seriate

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IN FAMIGLIA

RAGAZZI

Giovani e alcool Un aiuto da Atena

∞  A CURA DI FILIPPO GROSSI

Disagio psicologico, rabbia, depressione, aumento delle dipendenze, non solo da smartphone e tablet ma anche da sostanze come alcool e farmaci. La pandemia da Covid 19 ha lasciato strascichi importanti, e spesso sottovalutati sulla salute psicofisica dei nostri ragazzi. Una situazione che sta emergendo con sempre più forza negli ultimi mesi. A Bergamo esiste un servizio dedicato proprio ai ragazzi che provano una forte sensazione di disagio. In questo periodo così delicato, ha rappresentato un punto di riferimento per molte famiglie bergamasche. «Si chiama “Atena Ascolta” ed è uno sportello di aiuto e di ascolto psicologico rivolto ai più giovani e alle loro famiglie, per non sentirsi soli in un momento tanto difficile come quello che stiamo affrontando. Il servizio, ideato da Associazione Atena di Bergamo, quest’anno compie cinque anni ed è stato pubblicizzato con un video-promo realizzato dal film-maker bergamasco Umberto Da Re in occasione di “Alcohol Prevention Day 2021”, giornata mondiale 40 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

Fotogramma del video-promo realizzato dal film-maker bergamasco Umberto Da Re

della prevenzione alcologica» racconta Ambra Finazzi, presidente dell’Associazione Atena. Cos’è “Atena Ascolta” e quali sono gli ambiti di intervento? “Atena Ascolta” offre a ragazzi e genitori la possibilità d’incontrare una psicoterapeuta professionista disponibile a fornire aiuto o approfondimenti su tematiche connesse con l’uso di sostanze alcoliche e altre dipendenze. Le psicoterapeute di Atena, in particolare, ascoltano e consigliano genitori, figli e persone con problemi di uso di alcol, droghe, gioco d’azzardo, anoressia, bulimia, bullismo, crisi di ansia, attacchi di panico e abuso nell’uso di web e social network. L’aiuto che una psicologa professionista può offrire può costituire una base importante per riacquistare fiducia in se stessi e maggior consapevolezza di sé. Sicuramente, un’occasione per leggere i propri vissuti, anche i più dolorosi, alla ricerca di un rinnovato equilibrio psichico. L’associazione svolge anche un’intensa attività di prevenzione rivolta al mondo dei giovani. Grazie alle

nostre psicoterapeute e ai diversi progetti creati negli anni con le scuole di Bergamo e provincia, cerchiamo di promuovere corretti stili di vita che, se appresi da giovani, possono condurre a una vita più sana, equilibrata e serena. Per il compleanno di Atena Ascolta è stato creato un video-promo… di cosa si tratta? La nostra associazione ha voluto lanciare un video dal forte impatto,

SPORTELLO “ATENA ASCOLTA” Per ricevere aiuto, chiama il numero: 347.9607132 a cui risponderà la psicoterapeuta, che riceve a Bergamo in via Tasso, oppure scrivi all’indirizzo email: atenassociazione@ gmail.com e o visita il sito web: www.associazioneatena.it


realizzato da Umberto Da Re, che si rivolge ai più giovani in difficoltà e alle loro famiglie. Al centro del messaggio sono i rischi causati

AMBRA FINAZZI Presidente di Associazione Atena

dall’abuso di alcol, spesso sottovalutato che, invece, può creare gravi forme di dipendenza: è importante che la famiglia intervenga subito chiedendo aiuto prima che il comportamento a rischio diventi vera e propria dipendenza. Nel video appaiono un uomo e una donna intrappolati dietro un telo bianco che simboleggia la dipendenza e il pericolo. Quello che dapprima ci sembra una coltre attraente e confortante si trasforma ben presto in dipendenza da cui è difficile liberarsi. Qui, però, interviene Atena Ascolta per aiutare a superare il disagio: “Non lottare da solo, hai un alleato accanto a te… Chiama, Atena Ascolta!”

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Nel corso degli anni, come Atena avete organizzato anche altre iniziative rivolte ai ragazzi per “Alcohol prevention day”? Da quando è nata il 16 maggio 2012, Associazione Atena ogni anno organizza attività con i ragazzi delle scuole di Bergamo tra cui molti eventi culturali (come la mostra fotografica “Oltre l’alcol in uno scatto” del 2015 ndr): l’obiettivo è proprio quello di sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza della prevenzione contro un nemico infido come l’alcol il cui abuso si è accentuato moltissimo durante questo lockdown e negli ultimi anni anche tra i giovanissimi, fatto molto preoccupante.

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FITNESS

Tai chi chuan Benessere per corpo e mente ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Spesso descritto come “meditazione in movimento”, il Tàijí quān o Tai chi chuan è una disciplina dalle origini antichissime, sempre più “attuale” e praticata in tutto il modo che coinvolge sia la mente sia il corpo. «Il Tàijí quān, che in cinese significa pugno del limite supremo o boxe del supremo, è una disciplina strettamente legata alla filosofia classica cinese, la cui essenza è l’unità dei contrari Yin (quiete) e Yang (movimento). Si tratta di un’arte marziale, anche sportiva e praticabile all’aperto, in cui la lentezza è alla base dell’allenamento, variabile in base ai diversi stili. Alla portata di tutti, bambini, giovani, adulti e anziani, aiuta a migliorare l’autocontrollo, la coordinazione e la forza esplosiva» sottolinea l’istruttore Fabrizio Archetti. Come si pratica concretamente? Il praticante mette in collegamento mente e corpo per perseguire l’equilibrio interiore dello Yin e Yang attraverso la ripetizione di una sequenza di movimenti, detti forma o taolu, per allenare la resistenza 42 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

e la cedevolezza. Tutt’oggi in Italia esistono quattro stili, senza distinguere tra tradizionale e moderno: > stile Chén, caratterizzato dall’alternanza di movimenti morbidi e rapidi includendo scatti di forza energici con movimenti spiraliformi; > stile Yáng, chiamato anche“boxe del broccato o morbida”, caratterizzato da elementi semplici accessibili a tutti con predominanza di cerchi verticali; > stile Wú (del Nord e del Sud), rivisitazione dello stile Yáng caratterizzato da movimenti ad arco ampi, molto lenti e morbidi con predominanza di cerchi orizzontali; > stile Wŭ (Hao) denominato anche “boxe del fiore di susino”, caratterizzato da una netta distinzione di passi vuoti e pieni sempre con piccoli movimenti morbidi; > stile Sūn, caratterizzato da movimenti naturali in cui si avanza e indietreggia con cambi di direzione; grande destrezza nei movimenti con gioco di piedi.

Quando è arrivata in Italia questa arte marziale? Il Taijiquan fa la sua comparsa per la prima volta in Italia con Grant Muradoff, ballerino trasferitosi a Roma da New York negli anni Sessanta. Poi, a Milano, arrivò Ermanno Cozzi che, appreso il Tàijí quán a Los Angeles nel 1969, si perfezionò ad Hong Kong nel 1973 da Yang Shaouzhong, figlio di Yang Chengfu della famiglia Chen (a cui diversi storici attribuiscono l’orgine di questa disciplina). Infine, il primo cinese in Italia a insegnare il Taiji, fu Chang Dsuyao nel 1975 che adattò

FABRIZIO ARCHETTI Istruttore Giocowushu®, Qigong e Taijiquan CSEN Ref. Arti Marziali Cinesi SSD ANANDA


lo stile agli occidentali. Per avere però il Tàijí quán moderno, ovvero quello uniformato dall’Istituto di ricerca e sviluppo del Wushu cinese si deve aspettare gli anni 80 con svariati maestri che studiarono in Cina grazie all’apertura politica e culturale dell’Oriente.

“Quando lo yin non si separerà dallo yang e lo yang non si separerà dallo yin, ma yin e yang si completeranno l’un l’altro allora si comprenderà la forza”

∞∞ WANG ZONGYUE

dal trattato sul Taijiquanr Con che frequenza andrebbe praticato? Si può praticare anche da soli dopo che si sono apprese le posizioni? Il Tàijí quán è un metodo per la coltivazione delle abilità affinato da secoli di studi con esercizio, per questo andrebbe praticato con il proprio maestro una o meglio due volte a settimana, ma anche individualmente a casa come ripasso di quel che si è imparato a lezione.

Quali sono i benefici praticandolo regolarmente? Il Tàijí quán è conosciuto e praticato anche come disciplina olistica per il benessere psicofisico della persona. Oltre a rendere il corpo agile e armonioso, infatti, favorisce la concentrazione e agisce come anti-stress. Ma non solo, ricerche scientifiche condotte in diversi

ospedali della Cina e in prestigiose università come Harvard negli Stati Uniti hanno dimostrato che la pratica di questa disciplina offre numerosi benefici per la salute: migliora il funzionamento dell’apparato cardiovascolare, riducendo la pressione alta e i livelli di colesterolo, aiuta a ridurre gli infortuni dell’apparato locomotore e a mantenere le articolazioni sane, contribuisce ad attenuare gli effetti dovuti a disturbi cronici come la sclerosi multipla, il Parkinson, l’Alzheimer e la fibromialgia. Oggi, a causa della vita frenetica moderna, sempre più persone praticano volentieri il Qi Gong, una parte del Tàijí che lavora sull’energia con esercizi statici o simmetricamente dinamici che risultano quindi più semplici da eseguire.

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Una pelle nuova e più giovane con il peeling

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Cicatrici, pelle del viso spenta e rilassata, macchie. Se creme e sieri non bastano la soluzione si chiama peeling chimico, un trattamento che, favorendo il ricambio della pelle, la rende più uniforme, luminosa e giovane. Un alleato prezioso, soprattutto in questo periodo dell’anno in cui si tende ad usare meno il fondotinta e le imperfezioni della pelle risultano più evidenti. Ma in cosa consiste? E in quali casi è efficace? Lo abbiamo chiesto al professor Antonino Di Pietro, dermatologo. Professor Di Pietro, che tipo di trattamento è il peeling e come agisce nel dettaglio? Il peeling chimico (dall’inglese “to peel”, “sbucciare”) è un trattamento dermo-estetico che consiste nell’applicazione di sostanze chimiche e acide che generano un’esfoliazione accelerata e una stimolazione del derma, in modo da favorire il rinnovamento cellulare. Gli acidi utilizzati durante il peeling, oltre ad agire superficialmente, possono penetrare in profondità nel derma, cioè lo strato della cute posto sotto l’epidermide, spingendo i fibroblasti (cellule che hanno il compito di sintetizzare tutti i componenti della matrice 44 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

L’origine del peeling risale a tempi molto antichi: soprattutto in Egitto, Grecia, Babilonia, India e Turchia, venivano utilizzate sostanze come zolfo, polveri di minerali, piante e fiori” extracellulare) a produrre collagene e glicosaminoglicani, molecole indispensabili per mantenere l’idratazione cutanea. Grazie all’utilizzo di diverse sostanze (acido glicolico, acido salicilico e acido tricloro-acetico), il peeling può rispondere a diverse esigenze dermatologiche. In quali casi, in particolare, può essere utile? Il peeling è utile per migliorare molti e diversi inestetismi della pelle: per attenuare cicatrici e acne, rendere meno visibili ipercheratosi (alterazione della pelle con ispessimento dello strato più esterno dell’epidermide) e macchie della pelle, contrastare gli effetti dell’invecchiamento, come le rughe e la perdita di elasticità della pelle, ma anche “solamente” per rendere la pelle più luminosa e levigata e meno opaca.

In base ai risultati che si vogliono ottenere e al tipo di pelle, lo specialista può consigliare tre diverse tipologie di questo trattamento: > peeling superficiale, utile per eliminare e rinnovare lo strato corneo, la parte più esterna dell’epidermide composta di cellule devitalizzate, dare nuova lucentezza alla pelle opaca e attenuare le macchie cutanee superficiali, riducendo la dilatazione dei pori; > peeling medio, che ha un’azione esfoliante fino allo strato più interno dell’epidermide (quello basale che genera nuove cellule), utile per eliminare le rughe superficiali; > peeling profondo, che agisce ancora più in profondità ed è utile per il trattamento di cicatrici da acne, varicella e rughe profonde. Come si svolge una seduta? Dopo avere deterso e preparato la pelle, viene disteso con un pennello e molta attenzione il gel contenente la sostanza scelta dallo specialista. Trascorso il tempo di posa (in genere la pelle reagisce manifestando una sorta di eritema), che può variare da persona


a persona in base al tipo di pelle, il gel viene rimosso con un batuffolo di cotone e viene applicata una maschera decongestionate per 15 minuti circa, così da ridurre l’arrossamento cutaneo e ripristinare il film idrolipidico, ovvero la sottile pellicola di acqua e grasso che ricopre la pelle difendendola dagli agenti esterni. Infine, viene applicata una crema ricca di principi attivi, dotata di un filtro solare. Il numero di sedute viene studiato insieme allo specialista a seconda del tipo di problema che si vuole correggere.

E dopo il trattamento si può tornare subito alle normali attività? Le sedute di peeling non sono interventi invasivi che impediscono la ripresa delle normali attività. In seguito al trattamento però è normale che si verifichi un arrossamento della pelle. Una volta scomparso l’arrossamento la pelle tende a desquamarsi, dando un senso di prurito. Questi disturbi scompaiono nel giro di quattro-sette giorni. Per questo è importante mantenere la pelle idratata e proteggerla dalla luce del sole per circa 10 giorni.

PROF. ANTONINO DI PIETRO Specialista in Dermatologia Direttore scientifico dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis

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Tempo di preparazione 15 minuti (marinare 1 h)

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INGREDIENTI per 4 persone 8............ Fette di tofu al naturale spesse mezzo cm. 1............ Limone, buccia gratuggiata e succo 2............ Cucchiai di farina 4............ Cucchiai di olio EVO 1............ Cucchiai di salsa di soia (shoyu o tamari) 1/2........ Bicchiere d’acqua PREPARAZIONE

FABRIZIO MARTINELLI Cuoco Presso il Ristoro de Il Sole e la Terra di Bergamo

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Mischiare acqua e salsa di soia, buccia di limone e far marinare il tofu per almeno 1 ora. Scolare le fettine, passarle nella farina e cuocerle in padella con l’olio, 2 minuti x parte e poi versarvi dentro il succo di limone. Cuocere un minuto e servire. L’utilizzo di amido e tamari consentirà di avere un piatto senza glutine.



GLI AMICI DI BERGAMO SALUTE DOVE PUOI TROVARE LA RIVISTA IN DISTRIBUZIONE GRATUITA

ALBINO Caredent Albino Viale Stazione, 4 Centro Prelievi Bianalisi Albino Via Volta, 2/4 ALMENNO SAN SALVATORE Fondazione Giovanni Carlo Rota Onlus Via Repubblica, 1 ALMÈ Farmacia Visini Via Italia, 2 ALZANO LOMBARDO Ospedale Pesenti Fenaroli / Asst Bergamo Est Via Mazzini, 88 AZZANO SAN PAOLO Fortimed Italia Via Cremasca, 24 Iro Medical Center Via del donatore Avis-Aido, 13 Studio Odontoiatrico Dott. Campana Marco Via Castello, 20 BAGNATICA Centro Prelievi Bianalisi Bagnatica Piazza Gavazzeni Ottica di Moda Via Papa Giovanni XXIII, 63/e BERGAMO ASST Papa Giovanni XXIII Piazzale OMS, 1 ATS Bergamo Via Borgo Palazzo, 130 ATS Bergamo Via Galliccioli, 4 Asilo Nido Trilingue Puffiland Via Pietro Ruggeri da Stabello, 12 Ass. Socio Culturale Ricreativa Terza Eta’ / Boccaleone Via Rovelli, 27 Ass. Socio Culturale Ricreativa Terza Eta’ / Borgo Palazzo Via Vivaldi, 5 Ass. Socio Culturale Ricreativa Terza Eta’ / Colognola Via dei Caravana, 7 Ass. Socio Culturale Ricreativa Terza Eta’ / Loreto Via Pasteur, 1/a Ass. Socio Culturale Ricreativa Terza Eta’ / Monterosso Via Leonardo Da Vinci, 9 Ass. Socio Culturale Ricreativa Terza Eta’ / Redona Via Leone XIII, 27 Ass. Socio Culturale Ricreativa Terza Eta’ / San Colombano Via Quintino Basso, 2 Ass. Socio Culturale Ricreativa Terza Eta’ / Villaggio degli Sposi Via Cantù, 2 Associazione Mosaico Via Scuri, 1/c Athaena Via Ronzoni, 3

Avis Monterosso Via Leonardo da Vinci, 4 Blu Fit / Nuoto Bergamo Alta Via Gusmini, 3 Cartolombarda Via Grumello, 32 Centro Acustico Italiano Via San Bernardino, 33/c Centro Sportivo Piscine Italcementi Via Statuto, 41 Centro per l’Età Evolutiva Via dei Partigiani, 5 Domitys Quarto Verde Via Pinamonte da Brembate, 5 Dott. Barcella Antonio c/o Centro Don Orione Via Don Orione, 6 Dott. Ghezzi Marco Via Zambonate, 58 Dott. Paganelli Paolo Via Angelo Maj, 26/d Fisioforma Via Pitentino, 14/a Forneria Rota Via Silvio Spaventa, 56 Happy Friends Via Meucci, 2 La Terza Piuma Via Divisione Tridentina, 6/b Medical Farma Via Borgo Palazzo, 112 Methodo Medical Center Via San Giorgio, 6/n Monica Vitali - Centro Italiano Pavimento Pelvico Via Betty Ambiveri, 11 OPI Via Rovelli, 45 Ordine Medici Bergamo Via Manzù, 25 Ottica Gazzera Via Gasparini, 4/e Palamonti/CAI Via Pizzo della Presolana, 15 Perform Sport Medical Center Via Furietti, 10 Physis Istituto Int. Kinesiologia Via Tintoretto, 6 Prenatal Via Camozzi, 95 Primomodo Viale Giulio Cesare, 29 Residenza Anni Azzurri Via Colognola ai Colli, 8 Selene Centro Medico Via Puccini, 51 Still Osteopathic Clinics Via Calzecchi Onesti, 6 Studio di Podologia Via Suardi, 51 BONATE SOPRA Farmacia Quattro Strade Piazza Vittorio Emanuele II, 17 Ortopedia Tecnica Gasparini Via Milano, 57

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ALTRE TERAPIE

Ossigeno-ozono terapia: una cura innovativa per la fibromialgia

∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

È una delle cure innovative per la fibromialgia, patologia che colpisce circa 2 milioni di italiani, soprattutto le donne in età lavorativa con un’età media di circa 40 anni e si manifesta con forti dolori diffusi in tutto il corpo e facile affaticamento anche nel compiere semplici azioni. Parliamo dell’ossigeno-ozono terapia, trattamento che aiuta a diminuire i sintomi dolorosi in modo “naturale” e senza effetti collaterali. Come ci spiega la dottoressa Alessandra Caputo, medico chirurgo esperta in questa tecnica. Dottoressa Caputo, come agisce l’ossigeno-ozono contro la fibromialgia? La terapia con ossigeno-ozono porta a una diminuzione della sintomatologia dolorosa e della componente infiammatoria apportando il “carburante” naturale per l’organismo cioè l’ossigeno. La miscela di ossigeno e ozono 52 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

Secondo recenti dati, solo un italiano su tre sa che cosa è la fibromialgia e solamente in un caso su due la malattia riceve una diagnosi” è dotata di un’azione antidolorifica grazie alla capacità d’indurre il nostro organismo a produrre endorfine (dette anche ormoni del benessere). Inoltre ha proprietà immunomodulanti, antinfettive e antinfiammatorie. Anche se, ad oggi, non esiste una cura definitiva, l’approccio multifattoriale, che può comprendere anche questo tipo di terapia, aiuta a ottenere i migliori risultati contro la fibromialgia. In cosa consiste un trattamento con ossigeno-ozono? Il trattamento può avvenire in diversi modi a seconda del tipo di sinto-

mi, se locali o più generalizzati. La prima forma di somministrazione è attraverso iniezioni sottocutanea o intramuscolo: con una siringa dotata di un piccolo ago s’inietta la miscela di ossigeno-ozono direttamente nella zona da curare. Un’altra modalità è l’insufflazione

DOTT.SSA ALESSANDRA CAPUTO Medico chirurgo, specialista in Odontostomatologia, formazione in Medicina Biologica e Ossigeno-ozono terapia Ponteranica (BG)


rettale: si immette la miscela di ossigeno-ozono con un piccolo catetere direttamente nel retto, si attendono 10-15 minuti fino che il gas introdotto venga assorbito mentre il paziente rimane disteso. C’è poi la piccola auto-emo infusione, che prevede dapprima un prelievo di sangue venoso (dal braccio) che viene poi “mescolato” con la miscela di ossigeno-ozono e reintrodotto nel paziente tramite iniezione intramuscolare. E infine la grande auto-emo infusione (G.A.E.T.), nella quale attraverso un prelievo venoso dal braccio viene raccolta una quantità di sangue a seconda delle esigenze (generalmente 150 millilitri); il sangue del paziente viene così miscelato con una quantità di ossigeno- ozono e successivamente restituito al paziente tramite la stessa infusione endovenosa. Esistono controindicazioni per il trattamento con l’ossigeno-ozono? L’ossigeno-ozono terapia è una metodica curativa largamente diffusa per i suoi numerosi effetti benefici; viene applicata da molti anni in tutto il mondo ed è supportata e confermata da una vasta quantità di lavori scientifici e da an-

ni di ricerca ed esperienza clinica. È una terapia di medicina naturale e, in quanto tale, ha scarse controindicazioni e pochissimi effetti collaterali. Non viene praticata solo in caso di gravidanza; ipertiroidismo

(aumento della funzione della tiroide), gravi patologie a carico del sistema cardiovascolare, gravi malattie respiratorie, emopatie (malattie del sangue) e difetti della coagulazione del sangue.

UN APPROCCIO INTEGRATO La fibromialgia o meglio sindrome fibromialgica è una condizione caratterizzata generalmente da dolori muscolari diffusi uniti ad affaticamento, rigidità o dolori articolari, problemi di insonnia, di memoria, alterazioni dell’umore ed altri sintomi variabili da persona a persona. È maggiormente presente nel sesso femminile (rapporto uomo/donna =1/8) più spesso le donne in età adulta. I disturbi che la caratterizzano possono comparire gradatamente per poi aggravarsi con il passare del tempo, oppure possono presentarsi dopo un fatto scatenante come un trauma fisico, una malattia acuta o uno stress psicologico. Oltre al trattamento classico e tradizionale (analgesici, antidepressivi, farmaci per favorire il sonno…) per tenere sotto controllo la fibromialgia, è fondamentale il cambiamento dello stile di vita come l’alimentazione, il movimento all’aria aperta, la respirazione consapevole, ascolto psico-emozionale, ecc., e soprattutto un approccio personalizzato. Oltre ad una scelta alimentare consapevole finalizzata all’assunzione di alimenti adatti e possibilmente “non infiammatori”, si possono aggiungere cure dell’apparato digerente per raggiungere il giusto equilibrio della flora intestinale; ma anche cure disintossicanti finalizzate a far “lavorare meglio” i vari organi come fegato, reni, sistema linfatico, membrane mucose, etc. la cui integrità condiziona notevolmente il nostro stato di salute.

COLLOQUI di sostegno

PERCORSI di psicoterapia

per crisi legate a fasi della vita o a situazioni traumatiche quali separazioni, difficoltà lavorative, perdite.

per affrontare difficoltà relazionali, e forme di malessere quali ansia, angoscia, fobie, panico, stati depressivi, disturbi del carattere, problemi di identità, dipendenze alimentari e affettive.

Albo degli psicologi della Lombardia n.4433 Albo degli Psicoterapeuti ex art.3 legge 56/89

Dott.ssa Francesca Calioni Bembo Via XXIV Maggio 17 - Bergamo (BG) f.calioni.bembo@gmail.com Tel. 035 256024

MEMBRO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI PSICOTERAPIA PSICOANALITICA


RUBRICHE

GUIDA ESAMI

La mappatura dei nei nella prevenzione del melanoma ∞  A CURA DI LELLA FONSECA

«La mappatura dei nei è un esame indolore e non invasivo, utile per la diagnosi precoce del melanoma» dice il dottor Salvatore Noto, dermatologo. «Il melanoma, che riguarda essenzialmente la popolazione adulta sopra i 18-20 anni, è un tipo di tumore che può essere molto aggressivo e poco curabile se diagnosticato tardivamente, ma con buona prognosi se scoperto sul nascere». Dottor Noto, a chi è raccomandato in particolare questo esame? L’indicazione viene generalmente dal medico di medicina generale e tiene conto della presenza di alcuni fattori di rischio: > fototipo molto chiaro (cioè con pelle e occhi chiari, capelli biondi o rossi); > presenza di grande numero di nei, orientativamente più di 50. È importante tenere conto che non si definisce neo qualunque macchia della pelle; i nei (o meglio nevi) sono le lesioni che 54 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

originano dai melanociti, cioè dalle cellule che danno il colore alla pelle; > presenza di numerosi nevi atipici; > storia di melanoma personale o in familiari di primo grado; > scottature solari importanti in età giovanile; > sistema immunitario depresso (ad esempio per trapianti o HIV). Come già detto l’esame è un’arma di prevenzione importante per le persone a rischio, ma è poco utile per la popolazione generale. Per questo non si effettua come screening di massa al pari della mammografia o del Pap test. Come si svolge la mappatura? Il dermatologo ispeziona tutta la pelle del paziente e scatta con una telecamera particolare una prima serie di immagini digitali macroscopiche (fino a circa 20 foto). Poi individua i nei sospetti e procede a scattare delle immagini dermatoscopiche, capaci di mostrare strut-

ture altrimenti non apprezzabili. Le fotografie vengono archiviate su un computer attraverso un programma che permette di mappare le immagini dermatoscopiche correlandole alla loro posizione nel primo set di immagini. C’è una preparazione specifica per eseguire l’esame? No, l’unico accorgimento è evitare il trucco che può coprire i nei. Biso-

DOTT. SALVATORE NOTO Specialista in Dermatologia e Venereologia Libero professionista a Bergamo


Quando anche un singolo neo deve insospettire e va mostrato al medico di famiglia? gna inoltre ricordare che i tatuaggi soprattutto se estesi mascherano i nei e intralciano la mappatura. Utile, poi, è portare l’esame istologico di precedenti asportazioni. Che risultato si trae dalla mappatura? Già alla prima mappatura potrebbe esserci qualche formazione sospetta. Questa è ulteriormente valutata in base alla sua aggressività o malignità e il dermatologo può consigliarne l’asportazione con tempestività, perché come già detto il trattamento precoce è fondamentale nel melanoma,

Il neo (i medici lo chiamano “nevo melanocitico”) e il melanoma sono due lesioni, la prima benigna e l’altra maligna, prodotte entrambe dalla proliferazione dei melanociti. Tutti abbiamo almeno qualche neo, è normale. L’interesse per questi nei “normali” nasce dal fatto che il melanoma maligno può confondersi con essi. Un neo deve insospettire quando presenta i seguenti cambiamenti: crescita, aumento o diminuzione irregolare della pigmentazione, comparsa di più colori, alterazioni di forma o di contorno, si ulcera, sanguina. Se un neo mostra dei cambiamenti, anche se sembrano innocui, è bene non aver timore di rivolgersi al proprio medico.

o il controllo nel tempo. Le mappature successive consentono di studiare cambiamenti morfologici significativi e la comparsa di

eventuali nuove lesioni. L’esame per le persone a rischio si ripete a intervalli variabili in genere dai sei ai 12 mesi.


RUBRICHE

ANIMALI

Problemi di prostata Quali sono i più diffusi e cosa fare

La prostata si posiziona sulla superficie dorsale e laterale dell’uretra, subito dietro il collo della vescica ed è composta da due lobi simmetrici e lisci, palpabili attraverso l’ispezione digitorettale. La sua funzione è secernere il liquido prostatico che nutre, lubrifica e accompagna gli spermatozoi formando il liquido seminale.

∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Proprio come gli uomini, con l’avanzare dell’età anche i cani maschi, adulti e interi (cioè non castrati) possono andare incontro a patologie della prostata, l’unica ghiandola sessuale accessoria presente nel cane maschio. Secondo alcuni studi ben l’80% dei cani sopra i 10 anni soffrirebbero di una malattia prostatica. La buona notizia è che, nella maggior parte dei casi, si risolve completamente. Ma quali sono le più frequenti? E quali i sintomi a cui prestare attenzione? Ne parliamo con la dottoressa Eulàlia Pàmies, medico veterinario. Dottoressa Pàmies, quali sono le patologie della prostata più frequenti nei cani? Le patologie della prostata sono comuni nel cane, e in ordine di frequenza sono: l’iperplasia prostatica benigna, le cisti prostatiche, la prostatite, gli ascessi prostatici e le neoplasie della prostata. > L’iperplasia prostatica benigna. È molto frequente nel cane maschio intero nella età anziana anche se non è raro trovarla nei giovani adulti dai 5 anni in poi. La prostata au56 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

menta gradualmente di volume e nella maggior parte delle volte non si osservano sintomi. Solo in una piccola percentuale di casi, circa il 10%, si possono avere disturbi come tenesmo (sensazione di bisogno costante e fastidioso di defecare) o difficoltà nella defecazione e costipazione. I sintomi legati alla minzione, come l’urina a spruzzo presenti nell’iperplasia nell’uomo, invece sono improbabili nel cane, ma ci può essere presenza di sangue nelle urine. Questa patologia non causa dolore né infertilità. Alla palpazione rettale la prostata appare aumentata di volume anche di tre o quattro volte, tuttavia il migliore metodo per la diagnosi di questa patologia è l’ecografia. Essendo l’origine dell’iperplasia prostatica benigna su base ormonale, la castrazione del cane risulta risolutiva e la prostata torna alle sue dimensioni normali nel giro di quattro mesi dopo l’intervento chirurgico. Nei cani destinati alla riproduzione in cui è importante preservare la fertilità si opta per la terapia conservativa a base di ormoni antianandrogeni: in questo

modo la libido e la qualità dello sperma non sono compromesse ma la componente liquida dello eiaculato è notevolmente ridotta ed è preferibile usare lo sperma fresco non congelato e valutare la fecondazione artificiale. > Le cisti prostatiche. Si tratta di cisti da ritenzione dovute a un mancato deflusso del secreto prostatico, dovute alle alterazioni della prostata in corso di pierplasia benigna e quindi conseguenza di quest’ultima. Possono essere di multipli o singole e di dimensione variabile. I sintomi sono sovrapponibili a quelli dell’iperplasia prostatica benigna. Una volta curata l’iperplasia, anche le cisti gradualmente regrediscono. > La prostatite. Con questo termine s’indicano le infiammazioni della ghiandola prostatica dovute alla risalita di batteri dalle vie urinarie più frequentemente nelle prostate già affette da iperplasia prostatica microcistica. I sintomi nella prostatite acuta possono essere molto diversi: dolore addominale e scolo prepuziale ematico o purulento, febbre, anoressia, letargia. La diagnosi è basata sugli esami clinici e


in particolare sull’esame delle urine con urinocultura. Il trattamento deve essere rapido e aggressivo, anche perché se non curata può avere conseguenze fatali. È importante impostare una terapia antibiotica generica anche prima di avere il risultato dell’esame colturale per evitare la formazione di ascessi prostatici difficili da risolvere. La terapia antibiotica è lunga (anche 4-8 settimane) e deve essere interrotta solo al controllo negativo dell’urinocultura, per evitare che evolva in prostatite cronica molto più difficile da curare e per la quale può rendersi necessaria la castrazione (chirurgica o medica). > I tumori della prostata. Fortunatamente rari nel cane, si riscontrano più frequentemente negli animali sterilizzati. In questo caso, la prostata, alla palpazione rettale risulta lievemente ingrandita, con super-

fice irregolare e dolente. Per la diagnosi definitiva è necessario un prelievo eco guidato di tessuto. Le forme più frequenti sono maligne e il trattamento (chirurgico e medico) viene proposto solo in alcuni casi. È invece sempre necessaria, per tutti i tumori, una terapia antalgica per alleviare la sofferenza dell’amico a quattro zampe. Ma esiste un modo per prevenire queste malattie? Spesso le patologie prostatiche non presentano sintomi nelle fasi iniziali, è dunque importante tenere monitorato il proprio animale, soprattutto in età anziana, attraverso controlli periodici e, qualora il veterinario lo ritenga indicato, ecografie e prelievi del sangue per indagare la CPSE (Canine Prostatic Specific Esterase), un enzima simile al PSA (Prostatic Specific Antigen) utilizza-

to nell’uomo. Per concludere non dobbiamo avere paura dei problemi della prostata del cane, perché nella maggior parte dei casi con una buona gestione si risolvono completamente.

DOTT.SSA EULÀLIA PÀMIES Medico Veterinario Ambulatorio Veterinario Dott. Bonfanti Dott. Pàmies di Alzano Lombardo

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DAL TERRITORIO

NEWS

NEWS

Il Centro Antiveleni di Bergamo taglia il traguardo delle 500mila consulenze Il 20 aprile 2021 alle ore 14.59, il Centro antiveleni e tossicologia del Papa Giovanni XXIII ha tagliato il traguardo del mezzo milione di consulenze fornite. La richiesta che ha fatto scattare sul contatore la cifra a cinque zeri è arrivata via telefono da una paziente che aveva bisogno di informazioni su eventuali rischi derivanti dal vaccino anti Covid-19 durante l’allattamento. Inserito a pieno titolo nel servizio di urgenza-emergenza nazionale, il Centro antiveleni offre un servizio di consulenza, raggiungibile sia dal personale sanitario che direttamente dai cittadini al numero verde 800-883300 sui rischi tossicologi per farmaci, prodotti casalinghi o industriali, pesticidi, cosmetici o per piante, funghi e animali velenosi. In 21 anni le consulenze per casi di intossicazione sono state 121.749 (13.356 i pazienti curati direttamente per un totale di 18.097 visite specialistiche), 357.916 quelle per l’uso di farmaci in gravidanza e allattamento, mentre le

richieste di informazioni generiche (tossicologiche o farmacologiche) sono state 20.335. Il servizio è stato istituito nel giugno 1999 agli allora Ospedali Riuniti di Bergamo e dal 1° gennaio 2000 è stata assicurata l’operatività sulle 24 ore garantita da medici, biologi e farmacisti specialisti in tossicologia medica e farmacologia. Le attività del Centro Antiveleni non si limitano alla cura dei pazienti con intossicazione acuta che giungono all’ASST Papa Giovanni XXIII o alla consulenza telefonica da tutto il territorio nazionale, ma si estendono fino alla preparazione di protocolli per l’emergenza tossicologica nelle industrie chimiche, alla farmacovigilanza per le reazioni avverse da farmaci o per errate somministrazioni, alla raccolta della documentazione sul farmaco estero, alla sorveglianza sui prodotti chimici a uso domestico, industriale, agricolo e sui cosmetici.


Salute e informazione in tempo reale: ATS Bergamo sbarca su Telegram ATS Bergamo apre un nuovo canale informativo su Telegram, di uso semplice e immediato, rivolto a tutti i cittadini, che permette a chi s’iscrive di ricevere informazioni gratuitamente (non è possibile rispondere ai messaggi) nel rispetto dell’anonimato. Sviluppato per ridurre al minimo il peso di ogni messaggio e funzionare anche in condizioni di scarsa ricezione della rete, si può usare su smartphone, tablet e PC per ricevere,

informazioni utili e aggiornate in tempo reale (ad esempio sull’emergenza Coronavirus, campagna vaccinazioni Covid19, iniziative di prevenzione della salute, provvedimenti regionali e nazionali, eventi e progetti etc.). Il modo più comodo per accedere è scaricare l’app su smartphone o tablet, da Google PlayStore (Android) o Apple AppStore (IOS), ma anche su computer. In alternativa, è possibile anche partire dal link

https://t.me/ATSbg: dopo aver aperto il link, usare il box di ricerca per trovare “@ATSbg” selezionare il canale ATS Bergamo (contraddistinto dal logo di ATS Bergamo con lo sfondo verde) una volta entrati, selezionare “Unisciti al canale” (in basso). Ogni volta che viene pubblicato un aggiornamento, il cittadino riceve una notifica, riconoscibile dall’icona azzurra di Telegram.


DAL TERRITORIO

ONLUS

La “Casa del fenicottero” per sfuggire alla violenza

La frazione Santa Croce - San Pellegrino Terme che ospita la “Casa del fenicottero”.

∞  A CURA DI LELLA FONSECA

Si chiama “Casa del fenicottero” ed è nata per garantire un supporto abitativo all’interno di una rete che accoglie e sostiene le donne vittima di violenza nel ricostruire un loro percorso di autonomia economico e sociale. «Il progetto s’inserisce nell’ambito delle azioni che l’Amministrazione Comunale di San Pellegrino Terme in collaborazione con gli Ambiti Valle Brembana e Valle Imagna-Villa d’Almé, intende portare avanti a favore di queste donne. Tra i partner ci sono la Questura, la Procura, ATS Bergamo e ASST Papa Giovanni, Ufficio scolastico Provinciale, la Provincia e la Cooperativa sociale Sirio attraverso la Rete Antiviolenza Penelope: tante realtà diverse per mettere in campo tutte le azioni necessarie a garantire alle vittime un percorso di accompagnamento dal primo contatto con la presenza sul territorio di un Centro antiviolenza, alla presa in carico successiva attraverso l’offerta di case rifugio e soluzioni abitative di secondo livello come la “Casa del fenicotte60 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

ro”» spiega la dottoressa Elena Sonzogni, assistente sociale del Comune di San Pellegrino Terme. Il progetto ha previsto la ristrutturazione di due unità abitative di proprietà dell’Amministrazione Comunale da adibire a “Case di semi-autonomia o autonomia delle donne vittime di violenza per il consolidamento del percorso di autonomia e il reinserimento sociale ed economico”. Gli appartamenti sono situati in un contesto piccolo come quello della frazione S. Croce, che offre il vantaggio di relazioni dirette e accoglienti insieme alla garanzia di tutti i servizi necessari anche per i figli piccoli (vicinanza a parrocchia, scuola per l’infanzia e primaria, negozi, ambulatori medici e fermata dell’autobus). La recente costituzione di un’Associazione rende possibile anche una serie di iniziative trasversali di coordinamento e volontariato. «La violenza domestica è spesso associata a condizioni di fragilità economica, determinata a volte da percorsi professionali deboli,

discontinui e occupazioni a bassa qualificazione. Per tutte le donne la violenza riduce i contatti con la rete amicale e familiare, contribuendo all’isolamento sociale e, per le migranti, diminuendo la possibilità di integrazione. L’ambito abitativo ed economico è fondamentale per uscire dal maltrattamento, permette di rafforzare l’empowerment e la capacità di coping delle donne e l’autonomia, intesa non solo come capacità di accettazione, ma anche di ristrutturazione della propria identità al fine di riformulare un nuovo progetto di vita» sottolinea l’assistente sociale. «Per la rete antiviolenza la “Casa del fenicottero” è una preziosa risorsa aggiuntiva, uno spazio in cui le donne vittime di violenza possono sperimentarsi nella ripresa di un’autonomia sia personale che abitativa, necessarie nella ricostruzione di una vita al di fuori del contesto violento. Il percorso verso l’autonomia è personalizzato e viene costruito dalle donne insieme ai servizi che


vengono opportunamente coinvolti ad hoc, in base alla situazione» aggiunge la dottoressa Francesca Capelli, coordinatrice della Rete antiviolenza Penelope. La gestione della “Casa del fenicottero” è stata affidata dall’Amministrazione comunale alla Cooperativa Sociale S.O.S. Famiglia di Bergamo, operante da molti anni nel settore dell’assistenza domiciliare in tutta la Provincia. «È con grande entusiasmo e impegno che abbiamo accettato di iniziare questa avventura in sinergia con il Comune di San Pellegrino e con tutti gli Enti che in questi anni hanno portato alla creazione in Val Brem-

bana di una rete antiviolenza che si avvale di progettualità, metodologie e obiettivi condivisi a tutti i livelli» spiega la dottoressa Laura Tomasini, coordinatrice del progetto Casa del fenicottero per la Cooperativa S.O.S. Famiglia Onlus. «Il nostro intervento sarà volto a creare le migliori condizioni per il reinserimento nella società delle donne che saranno ospitate nella Casa del fenicottero, attraverso interventi di sostegno e accompagnamento sia in ambito lavorativo sia sociale, con l’obiettivo di ricreare un’autonomia personale, abitativa e lavorativa e con particolare attenzione al sostegno della genitorialità, nei casi in cui saranno presenti anche minori

nella casa. Il nostro team lavorerà in stretta collaborazione con il personale della rete antiviolenza, gestito e coordinato dalla dottoressa Francesca Capelli, e in collaborazione con il Comune di San Pellegrino e con i servizi sociali di riferimento delle donne inserite presso i nostri appartamenti, procedendo alla creazione di un modello che, ci auguriamo, possa essere applicabile in futuro, anche ad altre realtà. L’impegno costante della Coop. Soc. S.O.S. Famiglia Onlus non mancherà di essere rivolto infine anche al “PARLARE E FAR PARLARE” di un problema troppo spesso sottovalutato o addirittura ignorato» conclude la responsabile.


Dott. Paolo Previtali Medico Chirurgo Odontoiatra Dott. Federico Previtali Odontoiatra

I M P L A N TO LO G I A A C A R I C O I M M E D I ATO S E N Z A PAU R A E S E N Z A D O LO R E P R O T E S I F I S S E AV V I TAT E AG L I I M P I A N T I I N G I O R N ATA ORTODONZIA INVISALIGN CON M A S C H E R I N E T R A S PA R E N T I PROTESI CON SC ANNER INTRAORALE S E N Z A FA S T I D I O S E I M P RO N T E E S T E T I C A D E N TA L E E S B I A N C A M E N TO O D O N TO I AT R I A L A S E R A S S I S T I TA CONVENZIONI INDIRETTE DA R I C H I E D E R E I N S E G R E T E R I A PAGA M E N T I P E R S O N A L I Z Z AT I

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DISPLASIA SPONDILO-EPIFISARIA CONGENITA Codice di Esenzione. RN1450 Categoria. Malformazioni congenite. Definizione. Patologia costituzionale dello scheletro caratterizzata da sproporzione tra arti e tronco con brevità del tronco e miopia. Epidemiologia.Rara,s’ipotizzaun’incidenzadi1/100.000. Maschi e femmine sono colpiti in eguale misura. Segni e sintomi. I pazienti affetti mostrano un ritardo di crescita intrauterina che prosegue nella vita post-natale. L’altezza definitiva è variabile tra 90 e 130 centimetri. È peraltro possibile un’insorgenza del quadro più lieve tra i 2 e i 3 anni. È evidente una sproporzione fra arti e tronco, che è più corto, e una marcata lordosi lombare. Il torace presenta una conformità a botte con pectus carenatum. Il viso è appiattito con ipoplasia malare (sviluppo anomalo degli zigomi); può essere presente palatoschisi (malformazione del palato). Frequente la miopia che può portare, nel 50 % dei casi, a distacco retinico, e l’ipoacusia. Possono essere presenti disturbi della deambulazione, facile esauribilità e ridotta mobilità a livello delle articolazioni di gomito, ginocchia e anche. Possibile il riscontro di cifoscoliosi o lordosi lombare. Dal punto di vista radiologico si evidenzia una rallentata mineralizzazione delle epifisi (estremità delle ossa lunghe) che tendono a essere appiattite e frammentate, assenza di ossificazione alla nascita a livello delle ossa del pube. La maturazione ossea è fortemente ritardata. Lo sviluppo psicointellettivo è di regola normale. Eziologia. La malattia riconosce una causa genetica. Diagnosi. La diagnosi viene sospettata sul piano clinico e confermata da indagini radiologiche e test genetici. Terapia. Utile il monitoraggio oculistico per la cura della miopia e la prevenzione del distacco di retina. Da suggerire la consulenza genetica per i soggetti affetti e i loro familiari.. Dottor Angelo Serraglio Vice Presidente ARMR

Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 63


DAL TERRITORIO

TESTIMONIANZA

Il mio sogno è tornare a camminare La drammatica vicenda di Einar Carrara, ex biathleta della Nazionale italiana, che ha perso l’uso delle gambe per un grave incidente sul lavoro ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Mi chiamo Einar Carrara, ho 29 anni ed abito a Serina. Ho sempre praticato sci nordico sin da bambino. In seguito avendo mio padre che dagli anni ’90 agli anni 2000 è stato allenatore di tiro della nazionale Italiana di Biathlon (sci nordico + tiro con la carabina), dopo qualche gara, con mia sorpresa, sono entrato a far parte della Nazionale Italiana di biathlon, anche se nel dicembre del 2012 sono stato escluso per mancanza di risultati. Ma la mia vera storia, piena di ricoveri in ospedale, comincia il 10 dicembre 2014 in un bosco della Val Brembilla. Nel 2013 ho cominciato a lavorare come giardiniere e successivamente come boscaiolo: fin da piccolo, infatti, sono stato amante delle motoseghe. A dicembre 2014, però, mentre stavo tagliando degli alberi

con un mio collega, un pino cadendo è finito su un altro, marcio, che rompendosi mi ha travolto: colpendomi alla nuca ed alla schiena, causandomi un politrauma da schiacciamento. Ma questo l’ho scoperto dopo. Mi sono risvegliato in ospedale, infatti, dopo dieci giorni di coma. I medici sono subito stati chiari: la mia colonna vertebrale era spezzata e l’unica soluzione sarebbe stata l’utilizzo della sedia a rotelle. Lentamente ho ripreso l’uso della parola e delle funzioni cognitive e, quando ho realizzato effettivamente cosa mi aspettava, in realtà non mi sono mai disperato: forse perché non ricordo nulla dell’incidente, o forse perché essendo in giovane età ed avendo un buon fisico da atleta, non ho mai dato troppo peso alle conseguenze dell’incidente. Semplicemente, mi

sono detto, non potevo e non dovevo mollare. Sin dall’inizio non ho pensato a cosa avevo perso ma a cosa potevo fare per migliorare la mia condizione. Ricordo esattamente, dopo telefonate su telefonate e richieste continue, tutte le tappe del mio percorso riabilitativo fino ad oggi: il 15 gennaio 2015, dopo un mese agli Spedali Civili di Brescia dopo l’incidente, sono stato trasferito per la riabilitazione all’ex Casa degli Angeli di Mozzo dove sono restato fino al 20 giugno 2015. Successivamente, dal 31 agosto 2015 al 28 febbraio 2016 sono stato ricoverato presso la Casa di cura Quarenghi a San Pellegrino Terme. Una volta dimesso ho conseguito la patente speciale per guidare l’automobile. Dal 15 luglio 2016 alla Vigilia di Natale, ho continuato la mia riabilitazione presso l’Habilita di


Sarnico, mentre nel febbraio del 2017 ho trascorso tre settimane al centro protesi di Budrio per l’addestramento con l’esoscheletro Indego. Dal 15 giugno al 31 agosto del 2017, poi, presso la casa di cura Domus di Brescia mi sono addestrato con l’esoscheletro Rewalk 7.0. A inizio 2018, invece, ho passato sei settimane al centro protesi Inail di Budrio per l’addestramento con i tutori Kafo. Strano a dirsi, ma non mi è mai pesato nulla. Ho fatto tanta fisioterapia. E palestra mattina e pomeriggio. Giornate piene, colazione, palestra, pranzo, riposino e ancora palestra, piscina, handbike montata sui rulli. Oggi nella riabilitazione mi aiutano molto i tutori che partono dalla scarpa e vanno fino al gluteo e che hanno bisogno di una buona potenza dei muscoli nelle braccia per poter camminare. Mi hanno chiesto di far parte di una squadra di tiro con la carabina. Ero bravo a sparare, ma ho detto di no. Come alla proposta di partecipare alle gare in handbike. Per il momen-

to ho rifiutato, anche se ogni tanto ci ripenso. Pratico handbike per stare all’aria aperta. La mia storia ha colpito sia la Val Brembana, dove abito, sia la Val Seriana, tanto da scatenare una gara di solidarietà con una sottoscrizione nata per me: il “Progetto Einar” che ha l’obiettivo di aiutare la mia famiglia. In Val Seriana mi conoscono tutti per lo sci di fondo: ho disputato tante gare vincendole o comunque salendo sempre sul podio e dopo l’incidente tutti gli appassionati degli sport invernali della zona hanno voluto aiutarmi. È stato davvero bellissimo ed emozionante sapere di avere tanta gente vicina. E questo mi ha dato un’ulteriore spinta per cercare di tornare quello che ero prima. Oggi sto bene. Potrei anche andare a vivere da solo. Da sei anni e mezzo, passo le mie giornate tra palestra ed handbike per provare a tornare a camminare di nuovo senza aiuti, senza sedie a rotelle, senza tutori, ma come una persona normale. Ora mi alleno in casa, nel mio

box dove ho le parallele e posso camminare con i tutori “Kafo” che sono stati creati su misura per me dal centro protesi Inail di Budrio nel 2018. Altre volte, invece, mi alleno con l’handbike per potenziare braccia, spalle, pettorali e tutta la parte del tronco. Una vita tranquilla insomma: guido l’auto, vado a fare la spesa al supermercato, mi preparo pranzo e cena (non sono amante dei primi, preferisco le uova o la carne, sia bianca che rossa). Il duro lavoro ripaga sempre, la fatica mi piace, gli esercizi non mi pesano assolutamente, anzi più ne faccio e più mi sento meglio. Nella mia mente c’è solo la riabilitazione. Voglio tornare a camminare. Il consiglio che do sempre è proprio questo: siate sempre positivi e, se anche qualche volta la vita colpisce in malo modo, NON MOLLATE MAI! Continuate a vivere con tutte le vostre forze nel raggiungimento dei vostri obiettivi e non lasciatevi scoraggiare da niente e nessuno. Il duro lavoro ripaga sempre!


DAL TERRITORIO

TESTIMONIANZA

Dopo quasi vent’anni ricomincio a vivere Camilla Bernasconi racconta la sua storia di dolori, da una storta a una caviglia da bambina alla cura per la spondiloartrite ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Ha un volto dolcissimo in una cornice di capelli castani, è simpatica, ha la parlantina facile e due occhi cangianti tra il verde e l’azzurro, un sorriso accogliente che le provoca ai lati della bocca due fossette. È laureata in comunicazione media e pubblicità e lavora come marketing specialist nel dipartimento radio di Mediamond. Ora abita a Brembate con il compagno, dopo essere stata fin dalla nascita cittadina di Ponte San Pietro. È membro dell’Anmar Young, Associazione Nazionale Giovani Malati Reumatici, che coglie ragazze e ragazzi tra i 18 e i 35 anni che soffrono di patologie reumatiche. Partecipa, inoltre, attivamente al progetto ASTEROIDI (lo spazio giovani di ALOMAR ODV - Associazione Lombarda Malati Reumatici) che promuove iniziative per sensibilizzare sull’impatto delle malattie reumatologiche sui giovani (dai 18 ai 35 anni). E pensare che fino a pochi anni fa era costretta a usare le stampelle per potersi muovere. E aveva bisogno dei genitori e della sorella maggiore per vestirsi. Oggi Camilla Bernasconi, 29 anni, è una donna felice che riesce a fare tutto da sola anche se la sua malattia non è stata ancora debellata completamente. Il miracolo lo deve ai farmaci biologici che le ha consigliato il dottor Ennio Giulio Favalli all’ASST Gaeta66 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021


no Pini di Milano per combattere la sua spondiloartrite sieronegativa. «Il mio calvario è cominciato nel 2002”, ci racconta. “Avevo poco più di nove anni ed ero una bambina vivace, forse troppo, mi piaceva giocare, arrampicarmi sugli alberi. E un giorno mi sono presa una storta alla caviglia destra. Ho cominciato a mettere ghiaccio, pomate varie, a prendere medicine antinfiammatorie ma il dolore e il gonfiore non passavano. I miei genitori, mamma insegnante alle elementari e papà ingegnere alla IBM, si sono preoccupati e, dopo svariate visite presso luminari in ortopedia, mi hanno portato al Gaetano Pini dove mi hanno sottoposta a due biopsie e tanti altri esami, anche quelli per escludere un’eventuale leucemia. Ma intanto il dolore era sempre più forte. Altri medici, altri ricoveri senza risultati. Di nuovo al Pini dove mi diagnosticano “osteite cronica multifocale ricorrente” e mi danno una terapia a base di cortisone, antidolorifici e antinfiammatori. Ma la mia situazione precipita. Ormai l’infiammazione si espande in tutte le articolazioni, alle ginocchia, alle spalle, alle braccia, ai polsi, alle

mani, ai piedi e ho dolorose fitte intercostali. Devo aiutarmi con le stampelle. Mi sento una ragazzina sfigata che zoppica. Sono timida e non riesco sempre ad aprirmi ai miei coetanei, anzi sono io che quando mi chiedono di uscire, di fare una passeggiata, rifiuto perché per me sarebbe un calvario e conterei ogni singolo passo pur di tener occupata la mente per non sentire troppo dolore. Punto saldo è la mia amica del cuore che mi è ancora vicina oggi. E mi rifugio nella musica, nello scrivere le mie sensazioni sul diario. Se le rileggo oggi ritrovo pagine piene di dolore mentre in quelle delle mie coetanee ci sono tutt’altri racconti. Ero arrabbiata, non riuscivo a fare nulla, neppure a sperare. Mi sarebbe piaciuto ballare, lo facevo per qualche secondo ma subito dopo le mie articolazioni si ribellavano facendomi soffrire. Cercavo allora di fare dei movimenti semplici, ci provavo ma il dolore mi bloccava. Così per anni, soffrendo tanto. I medici mi davano medicinali, i cosiddetti FANS, che lenivano i dolori. Io volevo vivere la mia vita e allora mi imbottivo di farmaci e finalmente potevo fare qualcosa

pur sapendo delle conseguenze che avrei subito il giorno dopo». E di cose ne ha fatte, soprattutto tra il 2015 e il 2018: corsi di fotografia, impegno per due anni con i volontari dell’Archivio e del Gruppo Cultura del Comune di Ponte San Pietro allestendo anche la mostra fotografica “Gaudenzio Bernasconi, quando il calcio è poesia“; assistente educatrice e reporter fotografica alla Gamec di Bergamo durante gli “Art Fellowship” e tanto altro, ma l’esperienza che l’ha aiutata a perdere la sua timidezza è stato il lavoro come bagnina e animatrice in un villaggio turistico a Milano Marittima. «Lì ho reagito alla mia forte timidezza”, ci dice “dovevo essere sempre serena e socievole per lavoro. Ma mi ha aiutato anche il supporto psicologico. La prima volta è stato al liceo Falcone, la mia scuola a Longuelo. Dopo il primo incontro con la psicologa mi sono sentita sollevata, libera. Purtroppo, l’ho scoperto tardi e invece è importantissimo rivolgersi subito a uno psicologo. Mia mamma ha tentato più di una volta, all’inizio della malattia, a convincermi a farmi aiutare da uno psicologo, ma io non volevo».


DAL TERRITORIO

TESTIMONIANZA

Poi la svolta sette anni fa quando Camilla inizia la terapia con i farmaci biologici. «Ho intravisto finalmente la luce in fondo al tunnel dopo anni passati tra ricoveri e visite specialistiche, dopo un’operazione all’anca dove mi hanno impiantato una protesi per una coxartrosi secondaria alla spondiloartrite. Con questa nuova terapia la mia vita è cambiata, non ho più picchi di dolore, non trascorro più lunghi mesi a letto, non uso più le stampelle. Anche se ogni tanto le mie articolazioni si fanno sentire.

È iniziata una nuova fase di vita in compagnia di una nuova me». E ha trovato anche l’amore, Federico. «Lo conoscevo di vista tramite compagnie», dice. «Abbiamo le stesse passioni musicali e andiamo spesso per concerti. E ora viviamo insieme». Ogni otto settimane Camilla deve sottoporsi alla terapia con il farmaco biologico, e quando si sente fragile emotivamente, chiede supporto al compagno, che la sostiene sempre accompagnandola al Gaetano Pini. Dove per lei tutto è iniziato.

In questa rubrica pubblichiamo la storia di una persona che ha superato un incidente, un trauma, una malattia e con il suo racconto può dare speranza agli altri. Vuoi raccontare la tua storia su Bergamo Salute?

Scrivici su facebook o redazione@bgsalute.it!

I FARMACI BIOLOGICI E LA PSICOLOGIA CAMBIANO LA VITA «La spondiloartrite è una malattia di cui non si conosce ancora l’origine. Provoca dolore che interessa o la colonna vertebrale, impedendo al paziente di stare in piedi o muoversi facilmente, oppure, come successo a Camilla, colpisce articolazioni periferiche, come appunto caviglie, ginocchia, polsi e le piccole articolazioni di mani e piedi . È fondamentale quindi che i medici di medicina generale conoscano le patologie reumatologiche per indirizzare correttamente i pazienti al reumatologo». A spiegarlo è il dottor Ennio Giulio Favalli dell’ASST Gaetano Pini-CTO che ha preso in cura Camilla nel 2014 quando la giovane ha iniziato la terapia con i farmaci biologici. «Sono una classe di farmaci capaci d’inattivare in modo mirato e selettivo specifici mediatori della risposta immune che giocano un ruolo chiave nello sviluppo delle malattie reumatiche» spiega il dottor Favalli. «Nonostante siano in commercio da ormai oltre 20 anni, i farmaci biologici a tutt’oggi sono l’ultimo stadio del nostro protocollo di cura, che si rifà alle indicazioni internazionali in ambito reumatologico, che inizia con una prima visita e la prescrizione di tutti gli esami utili a individuare la patologia. La terapia prescritta in partenza è con farmaci che possiamo definire di primo livello, come cortisone, antinfiammatori, sulfasalazina, methotrexate. Si arriva a prescrivere i farmaci biologici quando quelli di primo livello non risultano più efficaci o comportano effetti collaterali che li rendono non più fruibili. I biologici, infatti, per loro natura sono farmaci più complessi, sia in termini di profilo di sicurezza che in termini di gestione pratica (alcuni devono essere somministrati tramite sedute periodiche di infusione endovenosa da fare in ospedale). Per questo sono prescritti solo se la prima terapia non è più adeguata. È indubbio però che i farmaci biologici siano efficaci e i risultati che il paziente ottiene sono ottimi in termini di stato di salute fisica, ma anche mentale. Questi farmaci infatti neutralizzano le citochine, molecole proteiche che causano il processo infiammatorio che caratterizza la malattia, ma intervengono anche sull’umore del paziente che spesso anche a causa dell’effetto diretto di queste sostanze sul sistema nervoso è vittima di depressione. È importante sostiene il dott. Favalli, rivolgersi sin da subito a uno psicologo, meglio se è un professionista specializzato nella cura di pazienti con patologie croniche. Così come è importante che lo psicologo e il reumatologo collaborino nella definizione della terapia perché il trattamento delle patologie reumatologiche è complesso e richiede un approccio multidisciplinare».

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STRUTTURE

COOPERATIVA IN CAMMINO

Consulenze nutrizionali ed educazione alimentare per mantenersi in salute «La salute passa anche dalla tavola. Quante volte abbiamo sentito questa frase? L’importanza dell’alimentazione per mantenersi in salute, prevenire numerosissime patologie (come sindrome metabolica, diabete, ipertensione) e supportare i trattamenti di varie malattie è nota e confermata da una miriade di pubblicazioni scientifiche. Giornali, televisione, siti online e social network parlano ogni giorno di diete, ricette, proprietà di questo e quel cibo. Eppure, le malattie prevenibili proprio grazie a uno stile di vita sano e una corretta alimentazione, continuano ad aumentare. Forse una delle difficoltà risiede nel trasformare la teoria in pratica. A questo proposito, per fare un primo passo verso uno stile alimentare più salutare, ci viene incontro “Il piatto sano” dell’Harvard Medical School. Gli esperti di quest’importante istituzione hanno ideato questo piatto-guida, per indicare in modo semplice come dovrebbe essere strutturato un pasto, affinché sia completo e bilanciato». Chi parla è la dottoressa Emanuela Astori, biologa nutrizionista presso il Luogo di Cura della Cooperativa Sociale In Cammino di San Pellegrino Terme. Abilitata a elaborare profili nutrizionali per singole persone, gruppi o comunità, al fine di pro70 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

porre diete o linee guida sull’alimentazione finalizzate al miglioramento dello stato di salute, si occupa anche di educazione alimentare in diversi momenti della vita e in varie fasce d’età. Dottoressa Astori, in cosa consiste il “piatto sano” e come ci può guidare a scelte alimentari sane ed equilibrate? Idealmente, a ogni pasto dovremmo occupare una metà del piatto con frutta e verdura e l’altra metà con cereali integrali e proteine sane. Per quanto riguarda frutta e verdura, gli accorgimenti da adottare sono quelli di seguire la stagionalità degli alimenti e di variare anche il colore (spesso sinonimo della presenza di particolari sostanze o fitocomposti utili alla salute). La porzione di verdura dovrebbe essere più abbondante rispetto a quella di frutta, data la maggior presenza di zuccheri semplici in quest’ultima. L’altra metà del piatto deve essere occupata per metà (quindi un quarto totale) dai cereali. Anche in questo caso una delle regole più importanti è variare il più possibile. Buona abitudine è quella di alternare al consumo di pasta e riso quello di altri cereali o pseudocereali in chicchi (come farro, orzo, quinoa, avena, grano saraceno etc.), ricchi di fibre, micronutrienti e

dall’alto potere saziante. Un quarto del piatto spetta infine alle proteine. In questo caso, l’Harvard Medical School indica di prediligere pesce, carne bianca (come pollo, tacchino, coniglio etc.), legumi (fagioli, lenticchie, piselli etc.) e semi oleaginosi (come semi di lino, di canapa, di zucca etc.). Il consiglio è quello di limitare carne rossa, carni lavorate e formaggi. Ciò non vuol dire che questi alimenti devono necessariamente scomparire dalla tavola, ma bisognerà imparare a ridurne la frequenza di consumo. Fuori dal piatto, ma non di minore importanza, si trovano poi altre preziose indicazioni. Innanzitutto il condimento del piatto, che dovrebbe essere rappresentato in

DOTT.SSA EMANUELA ASTORI Biologa Nutrizionista Presso Luogo di Cura della Cooperativa Sociale In Cammino di San Pellegrino Terme.


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primis da olii ricchi di acidi grassi polinsaturi, preziosi alleati dell’apparato cardiovascolare, come l’olio extravergine di oliva. Bisogna poi porre particolare attenzione all’idratazione, fondamentale per numerosissime funzioni fisiologiche. Bisognerebbe poi bere principalmente acqua e bevande non zuccherate, limitando latte e succhi di frutta a una porzione al giorno. Infine c’è la scritta “Muoviti!”, che

ricorda quanto sia importante associare a un’alimentazione salutare anche l’attività fisica per potersi mantenere in salute. Ci può fare qualche esempio di “piatto sano”? Una pasta integrale con tonno e pomodorini, condita a crudo con dell’olio extravergine di oliva, e una mela. Del riso basmati con bocconcini di pollo al curry e cimette

di broccoli, e due kiwi. Le combinazioni possibili sono illimitate, a ciascuno la creatività di riempire il proprio “Piatto sano”. Seguire le regole del “Piatto sano” è un valido aiuto per organizzare i pasti in maniera intuitiva, senza dimenticare nessuna categoria di alimenti e... facendo passare la salute anche dalla tavola! www.coopincammino.it oppure 0345.23441 Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 71


STRUTTURE

CENTRO ITALIANO PAVIMENTO PELVICO

A Bergamo nasce un centro dedicato al pavimento pelvico Apre le porte a Bergamo in questi giorni il Centro Italiano Pavimento Pelvico, una struttura unica nel suo genere in tutta la Lombardia, che si occupa esclusivamente delle problematiche del Pavimento Pelvico di donna, uomo e bambino. «Le Disfunzioni Pelviche sono patologie ancora oggi trascurate. Sulla riabilitazione pelvica ci sono poche ricerche ed evidenze scientifiche; in alcuni casi anche la chirurgia e la farmacologia non sono in grado di dare una risposta risolutiva. E così chi soffre di disturbi legati al Pavimento Pelvico, tende a viverli in solitudine, tanto da non trovare la forza di parlarne. Spesso si pensa che con il tempo il problema possa migliorare o risolversi e solo quando si arriva a una condizione di disagio viene manifestato. Questo perché da un lato la società minimizza il problema, dall’altro in Italia si pone poca attenzione alla riabilitazione e alla

prevenzione» osserva la dottoressa Monica Vitali, ostetrica, futura Osteopata, consulente sessuale, fondatrice della struttura. Il poliambulatorio è nuovo nella denominazione e nella sede, a Bergamo in via Betty Ambiveri, ma è in realtà l’evoluzione di un lungo percorso iniziato nel 2015 con lo studio professionale in cui ha preso forma il “Metodo Vitali”, nato dall’esperienza della dottoressa Vitali e dalla pratica quotidiana di uno staff di professionisti dedicati alle problematiche a carico del Pavimento Pelvico. Il metodo negli anni ha dimostrato la sua efficacia nel produrre un reale miglioramento della qualità della vita dei pazienti. All’equipe “storica” della dottoressa Vitali, formata da professionisti in ostetricia, osteopatia, psicologia, naturopatia e nutrizione, si aggiunge nel poliambulatorio

GLI OBIETTIVI Per i prossimi anni il centro intende promuovere sempre di più: > Prevenzione, diagnostica, cura. > Trattamenti delle disfunzioni pelviche per donne, uomini e bambini. > Serate formative, corsi di formazione, ricerca.

un’equipe medica, a supporto della parte diagnostica, che comprende ginecologi (esperti in ecografia, menopausa, dolore Pelvico), fisiatri, terapisti del dolore, agopuntori, urologi, proctologi, neurologi, radiologi ed ecografisti. La passione che ha condotto la dottoressa Vitali a dedicarsi alle

Le problematiche di competenza del centro > Incontinenza urinaria > Vescica iperattiva > Pollachiuria, disuria > Ritenzione urinaria > Cistite ricorrente > Prolassi urologici, ginecologici, colonproctologici > Pre e post interventi per prolassi

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> Atrofia vaginale, secchezza vaginale > Incontinenza ai gas-fecale > Stipsi > Sindrome da defecazione ostruita (ODS) > Ragadi, fistole anali > Dissinergismo evacuativo

> Emorroidi > Prostatectomia pre/post intervento > Post intervento di Ricanalizzazione della stomia > Disfunzioni sessuali > Dolore Pelvico > Addominalgia/epigastralgia


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disfunzioni del Pavimento Pelvico inizia dal suo lavoro di ostetrica ospedaliera in sala parto. Osserva che nel periodo post parto molte donne lamentano disturbi ai quali non viene data la sufficiente attenzione né risposte adeguate. L’incontro approfondito con le patologie legate alle disfunzioni del Pavimento Pelvico avviene presso l’Unità di Urodinamica dell’Azienda Ospedaliera Treviglio, continua con un tirocinio come volontaria con il Professor Mario de Gennaro presso l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, Dipartimento Urodinamica Pediatrica - Laboratorio di Urodinamica e Uroriabilitazione, prosegue in altre strutture ospedaliere e si completa poi con i corsi di Sessuologia Clinica Base e Sessuologia Clinica Avanzata. A breve, a seguito dei sei anni di osteopatia, diventerà anche osteopata, dopo la discussione della tesi dal titolo “Trattamento osteopatico per dismenorrea”.

«Il metodo Vitali all’interno del Centro Italiano Pavimento Pelvico si basa sulla correzione della postura e sul riequilibrio dei diaframmi: modificando gli stili di vita e recuperando il tono muscolare e connettivale si ristabiliscono il ruolo e funzione pelvica urinaria, fecale, sessuale, riproduttiva, statica e biomeccanica, garantendo così un miglioramento della qualità della vita. Il tutto tenendo sempre in considerazione il tutt’uno “corpo-mente-spirito” della persona con un approccio di medicina funzionale integrata» spiega la dottoressa Vitali. In particolare il metodo si basa su tre cardini. «Innanzitutto dare risposta alle necessità del paziente nella loro totalità. Spesso sono i medici a inviare il paziente, altre volte vengono grazie al consiglio di amici; in ogni caso, prima di concentrarsi sulla patologia ci concentriamo sull’ascolto della persona, sui suoi bisogni di cura» sottolinea la dot-

toressa Vitali. Il secondo cardine è la continuità nell’assistenza, in un rapporto di vera fiducia. «La qualità della cura nasce da un rapporto di fiducia tra due persone: terapista e paziente. Solo così si riuscirà a creare la relazione adeguata alla risoluzione del caso». Infine, la rapidità ed efficacia nel sollievo e nella cura. «Il miglioramento soggettivo può avvenire nel minor tempo possibile se deriva da un intervento equilibrato tra competenza e professionalità».

> Nevralgia e neuropatia del pudendo > Proctalgia fugax (crampi anali) > Ipertono Pelvico > Vaginismo > Vulvodinia > Pubalgia > Coccigodinia

> Dispareunia > Dismenorrea > Irregolarità mestruale > Ipofertilità/Infertilità di coppia > Sciatalgia > Dolore da endometriosi > Diastasi dei retti dell’addome > Pre e post parto/taglio casareo

> Enuresi notturne (da 6 anni) > Interventi di chirurgia urologia pediatrica > Disfunzioni in gravidanza > Preparazione utero/bacino al parto > Dolore in gravidanza > Presentazioni podaliche

«A seguito della prima valutazione, viene proposto un piano di trattamento con gli specialisti dello staff in base alle necessità. I trattamenti possono essere da tre a un massimo di 10, una volta alla settimana o una volta ogni 15 giorni, con l’accordo che al quinto trattamento deve aver risolto al 50% in modo oggettivo e soggettivo per poter proseguire con i successivi trattamenti» conclude l’ostetrica.

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VIKTOR Physio LAB Dalle lesioni midollari al recupero post Covid-19, un centro d’eccellenza per la riabilitazione neuromotoria Dal 2018, quando ha iniziato la sua attività presso il Point di Dalmine (Polo per l’Innovazione Tecnologica della Provincia di Bergamo), più di 200 pazienti sono stati trattati presso il Centro Fisioterapico “VIKTOR Physio LAB”, centro di eccellenza per il trattamento di emiplegie, paraplegie e tetraplegie, per la riabilitazione e l’allenamento funzionale di sportivi e non, di tutte le età. «Recentemente il centro ha aperto le sue porte anche ai pazienti che a seguito del Covid necessitano di una riabilitazione specifica» spiega il dott Viktor Terekhov, socio fondatore e direttore scientifico. «Nel nostro centro applichiamo attraverso il nostro metodo la tecnologia AFESK™ (acronimo di (Stimolazione Elettrica Funzionale Adattiva Kinesiterapica), efficace per tutte le patologie che colpiscono il sistema neuromuscolare e quelle che comportano una disfunzione, un problema o un deficit del movimento». Il metodo rappresenta un’opportunità terapeutica e di miglioramento 74 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

delle condizioni di vita in diversi ambiti: > per persone in condizioni di para o tetraplegia, emiplegia di qualsiasi derivazione, malattie neurodegenerative e demielinizzanti, come la sclerosi multipla o la SLA; > per il trattamento di “mal di schiena” anche associati a discopatie con o senza coinvolgimento del sistema nervoso periferico; > nei casi in cui sia necessaria una riabilitazione post operatoria dovuta a lesioni di natura ortopedica; > negli anziani per prevenire e affrontare le problematiche geriatriche legate al movimento; > al di fuori dell’ambito terapeutico nella preparazione sportiva di alto livello. In che cosa consiste il Metodo VIKTOR? Si tratta di un metodo di stimolazione elettrica funzionale nato

COME ACCEDERE AL VIKTOR PHYSIO LAB I pazienti accedono al centro con il loro storico o cartella clinica. Il percorso ha inizio con una valutazione fisiatrica e un eventuale approfondimento elettromiografico. VIKTOR Physio LAB tratta tutte le compromissioni del movimento, anche quelle più invalidanti, siano esse di origine traumatica, degenerativa o post virale (ad esempio da Covid-19), la riabilitazione ortopedica (mal di schiena, pre-post interventi chirurgici, vizi posturali…) e neurologica (lesioni midollari, post ictus, emiplegie, radicolopatie…).

Ph. Federico Buscarino

REALTÀ SALUTE


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Cosa significa che la AFESK™ è una terapia ad alta intensità? La fisiokinesiterapia riabilitativa classica non può raggiungere l’intensità con cui opera questo metodo. La quantità di movimenti ciclici eseguiti risulta essere molto superiore rispetto al classico ap-

VIKTOR S.r.l. Dir. San. Dott. D. Malgrati C/o Polo per L’innovazione Tecnologica Via Pasubio 5 - Dalmine (BG) Tel. 035 6224390/035 6224112 info@viktor.physio www.viktor.physio

Ph. Federico Buscarino

dalla grande esperienza in campo medico e scientifico del dottor Viktor Terekhov, già primario presso il Policlinico dell’Accademia dello Sport di Leningrado (culla della famosa squadra olimpica di ginnastica sovietica) e direttore del laboratorio di ricerca presso l’Accademia di San Pietroburgo per gli studi aerospaziali. Le sue ricerche hanno permesso la progettazione e lo sviluppo di VIK16, un’apparecchiatura che non ha analoghi nel mondo riabilitativo. Si basa sulla tecnologia AFESK™ che è un’evoluzione della FES, già largamente utilizzata nella riabilitazione. AFESK™ è una terapia attiva e intensiva basata sul movimento volontario (Kinesiterapia) ciclico e ripetitivo; la differenza sostanziale con la Stimolazione Elettrica Funzionale tradizionale (FES) è che quest’ultima rappresenta una terapia prevalentemente passiva, in cui il paziente subisce lo stimolo senza partecipare volontariamente. Con il VIK16 siamo in grado di affiancare o sostituire il Sistema Nervoso Centrale nella gestione dello schema motorio fisiologico.

VIK16 è un sistema elettromedicale (certificato e brevettato) in grado di affiancare o sostituire il Sistema Nervoso Centrale nella gestione dello schema motorio erogando su 16 gruppi muscolari opportuni stimoli per intensità, tempo di attivazione e frequenza durante il movimento ciclico pianificato. La tecnologia AFESK™, giunta a maturità, oltre che presso il Point di Dalmine è oggi impiegata anche in altre strutture di eccellenza riabilitative italiane ed è oggetto di studi e pubblicazioni scientifiche, anche in collaborazione con il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche).

proccio riabilitativo. Come è possibile intervenire anche sui traumi midollari? La tecnologia AFESK™ è in grado di sfruttare le potenzialità residue del SNC (Sistema Nervoso Centrale). Promuove la riattivazione funzionale dei centri responsabili del movimento attraverso la sollecitazione della neuroplasticità del sistema nervoso centrale. Quali esigenze riabilitative hanno i pazienti post Covid? Le infezioni virali, come quella da Covid-19, possono compromettere il Sistema Nervoso Centrale oltre che interi apparati, creando necessità sempre nuove di terapie riabilitative. I pazienti Covid hanno spesso alle spalle lunghi periodi di allettamento ai quali si sommano le vere e proprie conseguenze vascolari multiorgano che seguono all’infezione virale; in caso di danno neurologico possono indurre ad esempio emiparesi da stroke,

neuroencefalopatie e neuropatie periferiche. La tecnologia AFESK™ stimola il sistema neuromuscolare promuovendo il ritorno ad un movimento funzionale. Che cosa offre il metodo AFESK™ agli atleti? La stimolazione elettrica funzionale adattiva kinesiterapica è efficace sia nell’attivazione appropriata dei gruppi muscolari responsabili di un determinato movimento sia nella correzione di eventuali asimmetrie muscolari diminuendo il rischio di infortuni. Come nella riabilitazione ortopedica anche nell’allenamento sportivo è possibile operare a un’intensità non raggiungibile con altri sistemi. Il gesto è ottimizzato per ogni tipo di disciplina sportiva, con programmi specifici di movimento con un aumento notevole in termini di forza, velocità e resistenza. Sono in atto collaborazioni di ricerca scientifica con centri di valutazione/preparazione sportiva d’interesse internazionale. Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 75



REALTÀ SALUTE

Come usare le discipline bionaturali per riscoprire la propria la vitalità

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«Può la Kinesiologia Specializzata aiutarmi a riprendere il mio ritmo normale? Come posso mantenere un equilibrio mente-corpo in questo periodo? Posso fare Qi Cong o Yoga a casa? Mi aiuta? Queste domande, molto attuali nel periodo di pandemia che stiamo vivendo, ci permettono di dire che chi pratica da poco o tanto tempo le cosiddette discipline bionaturali (DBN) è riuscito meglio a far fronte alle tante difficoltà del momento, come l’isolamento, le limitazioni sociali, gli effetti postumi del Covid come insonnia (disturbi del sonno), dimenticanza (compromissione della memoria), irritabilità, effetti post traumatici della malattia (presenza di ricordi traumatici), ansia e depressione. Praticare le DBN significa accendere, sostenere e mantenere quel fuoco vitale (Shen per la Medicina Tradizionale Cinese, Prana per l’Ayurveda, Animus per i Naturopati etc.) che mantiene vive le persone». Chi parla è il dottor Maurizio Ugo Rodriguez, titolare della Farmacia San Nicolò e Presidente A.I.K.I. - Associazione Istruttori Kinesiologia Italiana. Lo abbiamo incontrato per conoscere meglio queste discipline, sempre più diffuse e apprezzate da chi è alla ricerca di una via naturale per riequilibrare corpo e mente.

FARMACIA SAN NICOLÒ Maurizio Ugo Rodriguez Via Alpini, 35 Cividate al Piano (BG) Tel. 0363 945034 farmacia@drrodriguez.it www.drrodriguez.it

Che cosa s’intende per discipline bionaturali? Il filo che unisce le DBN ha due capi: uno parte dall’antica saggezza dei popoli che con il tempo hanno selezionato attività o movimenti, stili di vita, approcci naturali, alimentazioni particolari, massaggi o pressioni sul corpo in grado di far muovere all’interno del nostro corpo il fuoco vitale; l’altro è l’efficacia degli stessi affermata dal tempo. Cos’è il fuoco vitale? Questo fuoco vitale, descritto in tanti testi antichi e moderni, è quell’energia impalpabile che lega e attiva tutto il corpo, la capacità di creare “resilienza” alle avversità, la voglia di alzarsi motivato e stimolato, la forza che ti fa affrontare le difficoltà che la vita ti offre, l’energia che attiva quella cerebrale che ti fa vedere del positivo dove tutti gli altri vedono negativo. Inoltre è anche il carburante in grado di “mettere in moto” la propria specifica qualità genetica e risorsa che rendono ciascuno la persona unica che è. Si sono scritte tante cose sulla salute e benessere, molto poco sulla vitalità, eppure rappresenta il risultato di un equilibrio di tutte le parti del corpo. Attraverso quali pratiche si può raggiungere questo equilibrio? Per esempio con il Tai Chi, attraverso l’armonia dei movimenti di allungamento e stiramento che stimolano i meridiani di natura Yin e Yang, oppure con il Qi Cong attraverso altri movimenti che si possono fare anche da seduti o da sdraiati (allettati), o ancora attraver-

so il Yiquan-dachengquan o karate Biodinamico, la danza, la Pranopratica, l’uso del Rebirthing (la forza del respiro). Tutte pratiche a distanza usate in questo periodo per mantenersi in forma e praticabili all’aperto. Esistono poi anche metodi come la detossificazione (argomento già trattato in precedenza) o l’uso delle essenze floreale (non solo Bach, Australiane, Californiane, Bush Flower, di pietra, animale, etc.) che in questo periodo hanno aiutato ad esempio i nostri figli e il loro confronto con la didattica a distanza. E il mondo delle discipline bionaturali non finisce qui: ci sono pratiche di intervento diretto sul corpo in modalità dirette, attraverso pressioni, come la Riflessologia, lo Shiatsu, il Tuina, l’Auricolare funzionale, la Metamorfica o movimenti come l’Ayurveda, le Tecniche Olistiche o Osteopatiche; pratiche di intervento sul corpo in modalità indotta come l’Ortho-Bionomy, il Bowen, la Biodinamica Cranio sacrale, il Water Shiatsu o indiretta come il Suono Vibrazionale, la Musica; pratiche che prendono in considerazione l’ambiente e i suoi effetti sul processo vitale come la Radioestesia, il Pranic Healing e il Reiki. Infine c’è la tecnica di eccellenza, la Kinesiologia Specializzata che, basandosi su tutti i principi descritti, li integra e ottimizza.



REALTÀ SALUTE

Centro di Radiologia e Fisioterapia di Gorle: operativa la nuova Tac Somatom go. Top a 128 slices Imaging oncologico e di tutto il corpo, dalla testa ai piedi: la diagnostica si conferma il driver di un’assistenza medica calibrata sempre e solo sul paziente al Centro di Radiologia e Fisioterapia di Gorle. La struttura, operativa dal 1983 e convenzionata con il SSN, ha appena messo in operatività la nuova Tac Somatom go.Top della Siemens a 128 slices progettata per fornire la migliore scansione possibile, indipendentemente dalle esigenze e dalle sfide cliniche. Un investimento di oltre 500 mila euro per il Centro, da sempre in prima linea nella diagnostica oncologica grazie a macchinari e tecnologie all’avanguardia che consentono di effettuare diagnostiche in tempi più rapidi e ad altissima qualità. Il nuovo tomografo, inoltre, ha integrato un sistema di i-Dose volto a un risparmio della dose radiante al paziente e in linea con i nuovi sistemi di radioprotezione.

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«È una macchina estremamente performante e di ultima generazione che ci consente di fare un

grande passo in avanti rispetto all’apparecchiatura a 16 strati di cui eravamo dotati» sottolinea il dottor Stefano Dova, medico chirurgo specialista in Radiologia. «Grazie alla tecnologia a 128 strati si ottiene infatti una notevole velocità di esecuzione con un maggior comfort per il paziente che non è più costretto alle lunghe apnee necessarie per l’acquisizione delle immagini. Apnee che oltre al disagio a volte possono anche inficiare l’esame per la presenza di artefatti dovuti al movimento». Con Somatom go. Top è possibile quindi personalizzare processi e assistenza: la Tac consente ad ogni operatore di adattarsi al paziente con differenti situazioni cliniche e di eseguire manovre e scansioni in modo semplice, veloce e sicuro. «Grazie a uno scanner integrato con un mobile workflow basato su tablet l’esame è più veloce e pratico» aggiunge il dottor Renato Suardi, direttore sanitario del Centro. «Il tablet permette infatti di gestire l’intero esame e la visualizzazione

delle immagini per velocizzare e semplificare il flusso di lavoro in Tac e rimanere la maggior parte del tempo a diretto contatto con il paziente, con tanto di countdown digitale a video». Esame meno stressante, dunque, ma non solo. È possibile infatti personalizzare processi e assistenza perché la Tac consente a ogni operatore di adattarsi al paziente con differenti situazioni cliniche e la praticità di utilizzo consente di eseguire manovre e scansioni in modo semplice e sicuro. «Grazie alla velocità della apparecchiatura la durata di un esame Tc dalla preparazione del paziente all’esecuzione dell’esame è di circa 15 minuti. I sofisticati software di cui dispone l’apparecchiatura consentono inoltre una notevole riduzione della dose di radiazioni: un fattore fondamentale in relazione al sempre crescente numero di indagini diagnostiche se pensiamo agli esami oncologici dove vengono effettuati follow up anche molto ravvicinati. La velocità di acquisizione e i software consentono, in particolare, la possibilità di studiare con cura il sistema vascolare» conclude il dottor Dova.

CENTRO DI RADIOLOGIA E FISIOTERAPIA Dir. San. dott. R. Suardi Via Roma 28 - Gorle (BG) Tel. 035 290636 - 035 4236140

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Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 79


DISFUNZIONI DEL PAVIMENTO PELVICO

Risolvi facilmente i disturbi che compromettono la qualità della tua vita.

Dott.ssa Ost. Monica Vitali Specialista in trattamenti del pavimento pelvico

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Stipsi, Ragadi, Emorroidi

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REALTÀ SALUTE

Lenti solari: l’importanza di una protezione su misura Per il secondo anno la pandemia ci ha costretto a una vita diversa, con poche uscite all’aperto fino a primavera avanzata. Ora finalmente la situazione si sta normalizzando e possiamo muoverci liberamente anche per praticare i nostri sport outdoor preferiti. Attenzione quindi agli occhi perché i raggi ultravioletti possono causare danni: dalla congiuntivite alla cheratite fino alla cataratta (legata all’età ma accelerata dall’irraggiamento solare). «Per proteggere efficacemente gli occhi non basta un qualunque occhiale scuro, ma servono lenti con un buon filtro UV, in grado cioè di fermare i raggi ultravioletti che sono invisibili ma pericolosi per l’occhio. La banda UV-A costituisce circa il 95% della luce UV a cui siamo esposti, la UV-B solo il 5% ma è più dannosa, la UV-C è quasi assente, se non in alta montagna, ma è la più pericolosa» spiegano Massimiliano e Mitia Gazzera, ottici e titolarli di MGM snc che controlla Ottica Gazzera e L’ottica di moda.

dilata e così lascia passare le radiazioni UV, non filtrate, in misura maggiore. È più pericolosa una lente scura senza filtri piuttosto che non usarla del tutto, perché ci priva della naturale protezione dovuta al restringimento della pupilla. I bambini sono i più a rischio perché spesso usano occhiali da sole “giocattolo”. A volte i genitori pensano che il bambino romperà o perderà l’occhiale e che non vale la pena rivolgersi a un negozio specializzato. In realtà esistono ottimi prodotti da bambino con montature colorate e flessibili che danno la massima sicurezza con prezzi contenuti. Gli adulti in genere si orientano più facilmente verso prodotti di qualità. Come si sceglie la lente da sole più adatta? Un ottico esperto individua le reali esigenze chiedendo al cliente in quale ambiente usa le lenti (in auto, in montagna, vicino all’acqua o altre superfici riflettenti) e indica il grado di protezione più adeguato, l’eventuale polarizzazione (che

blocca il riverbero e dona nitidezza) o l’utilità di lenti fotocromatiche (transition) che si adattano alle variazioni di luminosità. Per gli sportivi esistono tipologie di occhiali diversi per i vari sport, sia per chi ha difetti visivi e quindi usa lenti correttive anche durante l’attività fisica sia per sportivi che non hanno difetti ma cercano il massimo della protezione e delle performance. E per quanto riguarda le montature? Per la normale attività all’aperto, senza trascurare il comfort, è soprattutto l’estetica che guida la scelta, perché l’occhiale è diventato un vero e proprio accessorio di moda. Per lo sport invece è importante che gli occhiali siano infrangibili, molto confortevoli e calzino perfettamente per sopportare il movimento. Le attuali montature sportive sono personalizzabili nel nasello e nelle aste, che per sport estremi possono essere rimpiazzate da una banda elastica.

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

Qual è il rischio nell’usare un occhiale scuro senza filtri UV? Le semplici lenti scure filtrano solo la luce visibile. La nostra pupilla, meno esposta alla luce visibile, si

OTTICA GAZZERA Via Gasparini, 4/E Bergamo - Tel. 035 313404 L’OTTICA DI MODA Via Papa Giovanni XXIII, 63/E Bagnatica - Tel. 035 683925 www.otticabergamo.it

Maggio/Giugno 2021 | Bergamo Salute | 81


Bergamo Salute anno 11 | n° 60 Maggio | Giugno 2021 Direttore Responsabile Elena Buonanno Redazione Rosa Lancia redazione@bgsalute.it Grafica e impaginazione Rosa Lancia rosa.lancia@marketingkm0.it Fotografie e illustrazioni Shutterstock, Unsplash, Pixabay, Adriano Merigo, Federico Buscarino Stampa Elcograf S.p.A Via Mondadori, 15 - 37131 Verona (VR) Casa Editrice Marketing Km Zero Srls Via Dalmine, 10/A - 24035 Curno (BG Tel. 035.0514318 - info@marketingkm0.it Pubblicità Luciano Bericchia Tel. 035.0514601- info@bgsalute.it Hanno collaborato Lucio Buonanno, Maria Castellano, Rita Compostella, Viola Compostella, Lella Fonseca, Filippo Grossi, Giulia Sammarco

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Dott. Diego Bonfanti - Oculista Dott.ssa Maria Viviana Bonfanti Medico Veterinario Dott. Rolando Brembilla - Ginecologo Dott.ssa Alba Maria Isabella Campione Medicina Legale e delle Assicurazioni Dott. Andrea Cazzaniga Idrologo Medico e Termale Dott. Sergio Clarizia - Pediatra Dott. Marcello Cottini - Allergologo Pneumologo Dott. Giovanni Danesi - Otorinolaringoiatra Dott. Adolfo Di Nardo - Chirurgo generale Dott. Nicola Gaffuri - Gastroenterologo Dott.ssa Daniela Gianola - Endocrinologa Dott. Antoine Kheir - Cardiologo Dott.ssa Grazia Manfredi - Dermatologa Dott. Roberto Orlandi Ortopedico Medico dello sport Dott. Paolo Paganelli - Biologo nutrizionista Dott. Antonello Quadri - Oncologo Dott.ssa Veronica Salvi - Ostetrica Dott. Orazio Santonocito - Neurochirurgo Dott.ssa Mara Seiti - Psicologa - Psicoterapeuta Dott. Sergio Stabilini - Odontoiatra Dott. Giovanni Taveggia Medicina Fisica e Riabilitazione Dott. Massimo Tura - Urologo Dott. Paolo Valli - Fisioterapista

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82 | Bergamo Salute | Maggio/Giugno 2021

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