LoboZero

Page 1


LOBODILATTICE ZERO 2. prefazione a LOBODILATTICE ZERO 3. Alessandro Ansuini - Ogni fine di ogni ponte a_poesia

www.lobodilattice.com DIRETTORE RESPONSABILE Luca Saverio Beolchi REDAZIONE Luca S. Beolchi Marco Lamanna Emanuela De Giorgio Ilaria Ruggiero Jacopo Beolchi Andrea Bovo PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Marco Lamanna Luca Saverio Beolchi Logo realizzato da Andrea Bovo APPARATI CRITICI

5. Luca Saverio Beolchi - Groove dipinto 6. Paola Silvia Dolci - Trittico a_poesia 9. Marco Lamanna - Miseria essenziale dipinto 10. CDF - Nomads a_poesia 13. Stefania Castoldi - Senza titolo dipinto 14. Andrea Bovo - II. Guscio, battaglia racconto

Ilaria Ruggiero mail: info@lobodilattice.com redazione@lobodilattice.com tel. 335 61 54 212

18. Pacina - Untitled fotografia 19. Oriana Valesi - From the red 4 hands dipinto 20. Yossarian - Supershooter racconto 22. Violator3 - The swettest condition fotografia 23. Stefano Lorefice - Inutili sbattimenti racconto 24. Max Oddone - Tondo Doni dipinto 25. Garbo - Arsenico e vecchi merletti a_poesia 23. Chrysallis - Run from yourself

15. Andrea Bovo - Impasse Satan fotografia 16. Stefano Boccato - Automobile teatro

Lobodilattice Zero, pubblicazione Aperiodica. Distribuzione indipendente. Tutto il materiale presente in questo volume è depositato con diritto copyleft e rimane di proprietà esclusiva dei rispettivi autori. Tutti gli artisti sono presenti sul sito www.lobodilattice.com e possono essere contattati attraverso la redazione o le rispettive pagine personali. Ogni autore è direttamente responsabile del materiale pubblicato.

1


LOBODILATTICE ZERO Con certa emozione presento lobodilattice zero, il secondo progetto editoriale del laboratorio a_poetico artistico lobodilattice. Siamo arrivati qui mossi da entusiasmo e passione, superando tensioni e imprevisti che costantemente ci mettono alla prova. Oggi abbiamo una community con più di duecento iscritti, un’art factory con una decina di eventi compiuti sul territorio. Un magazine work in progress. Tutto questo interamente indipendente ed autoprodotto, fondato sull’impegno e la determinazione degli elementi (umani). La sfida più grande è quella di mantenere questa identità. Come segno di integrità, per noi, e come possibilità per altri gruppi e giovani artisti di trovare in lobodialttice un punto di riferimento. Lobodilattice zero è il frutto di una selezione di autori operata dalla Redazione sul portale da marzo ad agosto duemilaesei. Sintesi dell’esperienza finora svolta e punto di partenza per una serie di nuovi progetti di contaminazione a-poetico artistica che vedranno impegnato lobodilattice fino a quest’estate. A-poesia, Teatro, Racconti, Pittura, Fotografia. Uno sguardo panoramico su coloro che sono la vera anima e motore del progetto, gli artisti e gli scrittori. Coloro che “credono” nell’esperienza creativa come unica vita possibile, al di là delle circostanze spazio temporali, permettendosi il “vezzo” di idealizzare un vivere poetico possibile, anche nel duemilaesei. Lobodilattice zero è una pubblicazione aperiodica e indipendente. Il volume è scaricabile gratuitamente dal sito e disponibile nella versione cartacea arricchita di contenuti, distribuita agli eventi di lobodilattice art factory o su richiesta. Tutti possono contribuire alle future edizioni con recensioni, a-poesie, racconti, dipinti, fotografie. Basta iscriversi al portale e contattare la redazione.

(Luca Saverio Beolchi)

2


a_poesia

OGNI FINE DI OGNI PONTE Alessandro Ansuini E come si divideva la pioggia così lei Dimostrava che tutte le cose Venivano semplicemente giù Dissimili nella sostanza simili Nella forma semplici cose che vengono Giù Senza poter esser portate a compimento Senza di lei. Così in certi pomeriggi mi fermavo a pensare Come ogni immagine ogni voce che in giro, nell’aria Vorticosamente afferravo non aveva significato Se non finiva versata dalla mia bocca Nelle tue orecchie Erano cose divise Oggetti a metà Inadempienti bisogni. Rovistavo nei cassetti della tua fragilità Con rami al posto delle mani Come una muta Lavinia col sangue Dalla bocca rovistavo con mani mozze E rigidi rami lì dove Avrei dovuto essere Un chirurgo. Delle sensazioni tenevo il profilo serio Negli angoli aprivo sorrisi come ventagli E di questa terra potevo dirmi ostaggio Come chiunque di noi. Cercavo i picchetti e la tenda che compongono la parola Amore Con mani come rami (Ho lasciato graffi al tuo interno)

Per questo adesso Quindici anni dopo adesso Quando ti chiedo fra quanto Sarai pronta Al tuo rispondere semplicemente: “Immediatamente” chiedo “Nella tua lingua cosa significa immediatamente? Perchè per alcuni significa fra un pò Per altri Un ovvio ritardo di dieci minuti Per altri ancora Significa davvero Immediatamente E allora tradurti singolarmente In ogni espressione Può essere un tentativo per cercare di capirti” La parola capire ti sfuma di lato a te Sono sicuro Lo vedo da come sposti i capelli Poi hai la bocca con le labbra Che terminano verso il basso Una curva rosa pallido che pare poter fare a meno Della parola cercare sembra poter dubitare Di qualsiasi inclinazione pare che debba Esistere per il semplice fatto Di esser osservata. “Su un libro una volta ho letto una frase che diceva qualcosa come nella lingua degli angeli comprendere significa dimenticare” Mi pare si tratti del cielo sopra berlino sono quasi sicuro dissi accavallando una gamba mentre tu finivi di truccarti ed io

3


a_poesia dovetti ritenere il tuo “immediatamente” dunque personale. “Ma se tu non hai mai visto un film di Wenders me l’hai detto ieri sera” Eccoci dunque Ti conosco da quindici anni E mi sembra di non averti visto mai. Dove ho portato tutte le cose In questi quindici anni dove le ho portate Mozze e senza senso Senza poterle lasciare in te? Ho scritto libri. Di te non ho parlato mai. Ho sognato tutto questo tempo Di indossare un unico sesso indipendente. Ora il suo occhio è lama Il tuo corpo si apre La giusta metà Ogni fine di ogni ponte.

Alessandro Ansuini, romano, classe 1974 vive e lavora a Bazzano. Ideatore della editrice clandestina Smith & Laforgue Indipendent Press (smithandlaforgue.splinder.com), membro fondatore del gruppo Karpòs (www.karpos.org), è parte integrante del progetto Camera Mix, ensemble di sonorizzazione d’ambiente, col quale ha fatto numerosi interventi in italia e all’estero. Ha pubblicato: “Ronde de la nuit” (2002) Ed. Liberodiscrivere “Zero” (2005) Marcovalerio Ed. “Indagine di uno stalker a proposito della muraglia cinese” (2006) Ed. Liberodiscrivere

4


dipinto

LUCA SAVERIO BEOLCHI

Luca Saverio Beolchi è un artista che si muove e produce rapidamente; estremamente plastico e flessibile. Crea, da sempre e in ogni direzione. Poeta, scrittore, musicista, pittore. La videoarte, l’installazione e l’animazione sono oggetto delle sue ultime ricerche e sperimentazioni, in un continuo sconfinamento e influenzamento reciproco. Il suo stile, in continua ridefinizione, ed inestinguibile modificazione, è in questo periodo rivolto alla contemporaneità, e alla ricerca di un linguaggio personale intersoggettivo, in grado di comunicare con il suo tempo. Nella sua produzione rientrano stimoli di tanta arte del secolo concluso, da Sironi a Kirchner, da Van Gogh alla pop art, dai fauves al cartoon, dalla street art al fumetto. La pittura è il mezzo con cui esprime la propria visione postromantica del presente. Costruisce ed inventa spazi animati da campiture di colore dalle tonalità acide e nervose, abitati da esseri sospesi nella loro alterità ed estraneità, stilizzati e trasfigurati. Sublimazione di situazioni, sentimenti e stati mentali. Luca S. Beolchi ha creato l’eroe romantico del presente, fluttuante e metropolitano. I suoi personaggi sono deietti, abbandonati a se stessi nella solitudine cittadina, in un luogo cinico ed ostile, nichilista e scomodo, un nonluogo esistenzialmente inteso. Vige reciproca influenza fra il soggetto e il contesto, in un dialogo fatto di psichedeliche coincidenze. La deformazione, l’astrazione e la stilizzazione in chiave grottesca e sarcastica esibiscono la maturazione di uno stile che è riconfigurazione e rielaborazione del pop. Del cuore del fumetto e del graffitismo conserva l’immediatezza e la frontalità, la capacità di sintesi e la grafia elementare, ma elaborate e filtrate attraverso un senso costruttivo dell’immagine, un sistema d’ordine formale capace di recintare dentro il perimetro dell’opera le diverse forze che l’attraversano. Dal digitale alla spatola per stendere il colore, rimane il gesto spontaneo della mano che crea in presa diretta. Ilaria Ruggiero

5

groove


a_poesia

TRITTICO Paola Silvia Dolci

CROCIFISSIONE _i piedi tra le strade possibili che mi erano destinate non è detto che quella che percorro non sia la più dolorosa “Diabulus in Musica” Inscatolata_Viva Sotto Vuoto_Morto eva in abito di turchesi cuce in circolo quattro scampoli d’ombra delle due iridi foglie di vinile incise a piastra dei possibili grovigli percorribili suonano il grammofono a sfregi a graffi salta la musica

music(inquietudine nel cuore al mosto nido in filigrana di rami rossi in_tessuto labirinto cuore all’olio d’oliva eva piega con affanno sporge su talloni alzati verso un cielo con appesi grandi sacchi grigi colmi di gufi sinistri cielo senza respiro silenziomusica conservato in liquido amniotico dove tutto fa male ghigliottina fra palpiti e petali pas de chance Distante perdute le parole ed il numero quattro scioglie un pianto lento un pianto mutilato il Vento se la porta CROCIFISSIONE _il costato preludio: mettimi un sacchetto di plastica in testa e stringi ti prego

6


a_poesia TIEPIDO DESIDERIO SUICIDA

le cinque dita aggrappate agli occhi della Solitudine

Nel Cimitero delle Mosche le meringhe bianche dell’estate luminosa

Condanna a morte di Galatea

scoppiano dal ridere_ Corazza come petali di camelie al cuore Galatea ha l’anima dei Ragni Iridescenti Notturni sui trampoli divora le carcasse su vetri di Tabacco: è la Condanna

per tutta la vita finché morte non ci separi nel gemito insonne riflesso da tutti gli specchi. CROCIFISSIONE _le mani “Diana è dura, ma a volte ha i seni annuvolati”

S)batte le mani di legno con tonfi umidi contro le quattro pareti frigorifere

Diana_Veleno in gocce nelle palle sudate del Vescovo

Soffoca nella sua pelle calcificata di serpenti attorcigliati al collo crocifisso

il quattro di novembre Suonarono le campane dodici rintocchi delle meraviglie _ Chopin un cacciavite nel timpano:

Galatea congelata nei gangli ha le gambe spezzate verso ogni direzione

non dormì il ciliegio nell’orto fu il suo cuore neonato

il capo mozzo rotola rotola rotola defunto sotterrato non vedo non parlo non sento

un autunno di foglie contratte

sulle spalle un carico d’Inutile

Epifania

7


a_poesia Diana una BelladiNotte BelladiNotte melanconica nessun sole fa sbocciare strappa sguardi allo specchio odore di legno in occhi di resina rossi nell’incavo _chi ascolta vede il mare e la cenere tremano nelle sue mani i corvi del gelso imbalsamati in bende di nebbia Camer(ardente BelladiNotte melanconica succhia in un lamento perle di rosario patetico succhia in un lamento anni solubili in quattro rughe sulla fronte comprendono linee metaďŹ siche di lunghezza inďŹ nita anni solubili in prospettive dilatate mascherate Cupio Dissolvi Camer(ardente Paola Silvia Dolci, scrittrice

8


dipinto

MARCO LAMANNA marc Artista complesso e completo, approfondisce la propria ricerca passando dalla regia alla videoarte, dall’installazione alla fotografia, dalla grafica alla pittura. Non solo ricerca tecnica ed artistica, ma profonda riflessione ed analisi sul concetto dell’esistenza, soprattutto sulla sua essenza ontologicamente intesa. In questo lavoro, ‘Miseria Essenziale’, propone un corpo di uomo vivo e pulsante, ripreso secondo uno stile fotografico e un tratto realistico, su sfondo rosso sangue. Ritorna il tema del nudo maschile, dipinto con incredibile energia gestuale e violenza cromatica ma, al tempo stesso, in presa diretta con la dimensione esistenziale della realtà. Un semplice gesto, la messa a fuoco del soggetto, di lato, un fianco, un pugno chiuso. Rabbia. Un braccio piegato e la mano sul volto. Disperazione. In poche ombre gettate, l’artista emette il suo muto grido di dolore. Emergono la passione per un certo cromatismo, acceso e vibrante, e la concezione dinamica delle figure, riprese singolarmente, nella loro spirituale esistenza e corposa presenza. E’ l’attimo a predominare nella sua accecante istantaneità, ed è proprio nel valore dell’istantanea che si ritrova l’influenza del mezzo fotografico. Il suo dipingere è un immortalare, tentativo di rendere eterno uno stato essenziale, un dolore universale (universalmente condiviso?) e spirituale. L’artista sperimenta un percorso di astrazione partendo dal figurativo e approdando all’essenzialità della forma, diluita in macchie d’ombra che si prolungano in linee stilizzate. Forte il contrasto tra il soggetto e lo sfondo: sviluppato in profondità il primo; piatto, violento e diluito il secondo. Qui emerge il suo intento più puro, l’intimità e l’umanità ripresa in un luogo di silenzio, di purificazione e di dolorosa attesa. Ilaria Ruggiero

9

miseria essenziale


a_poesia

NOMADS CDF Non so dirvi chi mi ha portato qui. E non so dirvi perché. Ma è già successo altre volte, come in un sogno. Mi addormentavo e mi svegliavo in altri posti (mondi) di cui ignoravo (avevo solo dimenticato) l’esistenza. Fino ad arrivare qui. Dove ho aperto gli occhi. Senza una meta precisa, (per la prima volta) col tempo ho acquistato una certa dimestichezza e, oserei dire, una padronanza del mio vagabondare

è arrotondato, di forma quasi circolare, ed ogni angolo sembra che sia stato smussato, per precauzione. Come un bicchiere. Non so chi mi ha portato qui (perché?) ma tutto per me è ripetizione, e insieme scoperta. Ho aperto gli occhi per la seconda volta, ed ho trovato un bicchiere per terra, (ma sono ancora qui) per terra, e non sul tavolo. L’ho raccolto, (non c’è mai stato un tavolo) l’ho poggiato contro la parete, (l’unica parete)

perché io, a differenza di altri, non ho mai conosciuto la noia, né l’incertezza, né la frustrazione che domina il quotidiano. Ma non so chi e perché mi ha portato qui. Dove oggi sono rinato. Come dentro un polmone d’acciaio. Freddo, grigio

e ci ho spinto sopra il mio orecchio. Ho sentito il mare. Il mare, dappertutto. Forse lui mi ha portato su un’isola. Forse anch’io, per un momento, ho finto di non sapere, di non avere un limite. Ho scelto le strade che si aprivano al mio cammino e le ho percorse fino in fondo. Sì, era proprio il rumore del mare. Ho ascoltato il frangersi delle onde sovrapporsi al mio respiro, l’ho ascoltato per un tempo che potrei chiamare eternità. Ed ho pianto per quel suono,

(sferico)

(il primo)

levigato, uniforme

perché è stato il primo suono che ho udito da quando sono qui. Ho percorso tutte le strade, fino a stancarmi,

(oggi sono rinato qui)

(come un bicchiere) è lo spazio della mia cella. L’ho misurata tutta. Il perimetro della stanza (l’unica stanza)

(tutto per me è indagine ed accettazione) e la voce del mare è stata la mia prima conferma. La conferma della mia nascita e dell’influenza che avrà la mia stirpe nel corso degli eventi.

10


a_poesia Mia madre, non la ricordo bene. Forse perché, adesso, il peso della giornata (mi schiaccia)

(sferico) il sole? Perché sui tetti non volavano

mi scorre nelle ossa e nel sangue. Mia madre ha dichiarato che non ho emesso nemmeno un vagito, quando sono venuto al mondo. Quel giorno, mia madre ha udito solo il dolce eco del mare. Il mare, dicevo. Anche io l’ho riconosciuto. L’ho ascoltato. Ho ascoltato sempre e solo il mare. Ormai è l’unico rumore che avverto da quando lui mi ha portato qui. Né un gabbiano, né una nave. Nessuna voce a coprire la mia. Solo

(i gabbiani) gli uccelli? Perché tutti i palazzi avevano quelle grandi finestre? Chi ci abitava? Chi si affacciava dai loro balconi? Com’erano le persone che vivevano lì dentro? Erano felici? E chi li aveva convinti ad essere felici? Ho avvicinato gli occhi ad una delle finestre ed ho sbirciato lì dentro. Era chiusa, perché

(il silenzio)

tutte le finestre sono sempre state chiuse, e l’ombra che ho visto

il mare. Ho rotto il bicchiere. Mi sono addormentato e ho sognato una finestra per guardare fuori,

(prima di chiudere gli occhi)

(ma non ne sono sicuro)

(da qualche parte)

era solo un riflesso. Perciò ho cancellato la finestra. Nella mano destra

oltre il mare,

(potrebbe non essere la mia mano)

(il vuoto)

ho trovato una spugna, e nella sinistra

oltre l’orizzonte, e raggiungere in questo modo la mia gente, che vigila sul buon ritiro. Finché non torna la quiete. Così è accaduto di sognare una finestra, e al risveglio

(non è la mia mano)

(la terza volta) lui ne aveva disegnata una. Era tracciata con i gessetti, e aveva i contorni molto, ma molto marcati. All’interno, riuscivo a stento a distinguere le sagome dei palazzi, tutti colorati. Io non capivo i colori, non capivo perché c’erano solo il blu e il verde, e mai il giallo, o il rosa. Perché non c’era

un secchio d’acqua. Ho strofinato con forza la parete (l’unica) fino a farmi dolere le braccia, e finalmente stanco, ho riposato. Ho dormito, e non ho più sognato. Di nuovo, ho aperto gli occhi, e ho visto quattro porte (chiuse)

11


a_poesia chiuse. Ho aperto le prime tre. Dietro ognuna di esse c’era un muro di mattoni. Ho aperto la quarta porta. Ho visto un uomo che si rifletteva in uno specchio. Sempre lo stesso uomo, all’infinito. Da allora ho smesso di cercare. Ho abbandonato ogni resistenza. Non ho più dormito. Talvolta provo a (chiudere gli occhi) ricordare com’era, quando il sonno mi forzava ad abbassare il capo, quando la scelta mi restituiva ad altri luoghi. Ed una alternativa banale mi spingeva ad (andare via) un altro risveglio

C.D. Formetta, nata a Salerno nel 1972. Negli Stati Uniti ha pubblicato per la Cleis Press e per Pretty Things. In Italia, ha pubblicato per Addictions e per l’Editrice Clinamen. Nel 2005 con la Coniglio Editore, è uscito il romanzo “La vita sessuale dei camaleonti”, poi incluso nella prestigiosa antologia “International Erotica” della Robinson, London.

12


dipinto

STEFANIA CASTOLDI Un’artista in continua evoluzione, costantemente rapita dalla riflessione sulla sua opera. Ha lavorato con il pittore Nando Falchi e studiato con Anders Pedersen ed ora è attiva nel suo atelier di ricerca. Vive la pittura come esigenza ed ossessione, facendo dei suoi quadri uno specchio da interrogare, un doppio con cui instaurare un metafisico dialogo, un silente confronto, finalizzato alla scoperta del sé in un inconscio rimando di sguardi. Nel corso della sua attività e produzione ha maturato un peculiare e unico stile che si concretizza nell’incisività e caratterizzazione del segno rispetto al colore, nell’intensa drammaticità, nella tensione verso uno stato primigenio e nella manifestazione dei suoi stati interiori. Deformante, tale da sradicare qualsiasi pretesa di vacua bellezza e di equilibrio. Il suo elegante linearismo si incontra con una forte carica espressiva data dall’uso delle macchie di colore in chiave espressiva ed emotiva, e con le pose, intensamente drammatiche e statiche, che animano i suoi corpi e i suoi volti. Una grande riflessione sul corpo è prevalente e il suo linguaggio riflette la sua messa in scena: un corpo svuotato, isolato, occluso nel suo straniamento fisico-esistenziale, ma aperto e proiettato verso l’altro, verso l’esterno del quadro, da un latente appetito di vita, necessità implacabile del dolore, della vita che divora la vita, la materia. Centrale nei suoi corpi è anche il carattere assolutamente ibrido. Il volto bianco, l’ambiguità dell’androginia e gli sguardi, perturbanti, sono fortemente significativi. Artista completa e poliedrica, si forgia di varie tecniche e materiali (olio, acrilico, smalti, carboncino). Uno dei suoi ultimi progetti, BorderLine, è esemplare rispetto all’uso simbolico della linea: luogo di confine e di smercio, tra il sé e il mondo, di frustrante concostituzione. Anche la sua messa in posa riflette questo disagio e inquietudine, artificiosa ed innaturale, dall’alto, a volte scorcio dal basso o di lato, o primi piani, di tre quarti. La privazione del contorno della figura accentua il piano di attenzione verso i tratti del volto e la figura si ritorce su se stessa in mancanza di un referente spaziale. Vertigine esistenziale e sottile erotismo in queste pose, memoria che si fissa in un sensuale autovoyeurismo. Ilaria Ruggiero

senza titolo 13


racconto

II. GUSCIO, BATTAGLIA Andrea Bovo “dura notte, le mascelle fumano in viso e il fiato si fa acqua che facciamo del vostro dolore: in testa stipiamo il cibo fresco, i fuochi gracchiano nei buchi del sonno.” Lo Scassinatore d’anime s’imbottiva di merda simile, alla mattina - una semplice pasta sensoriale, deglutita in velocità, camminava Sarto sordido di momenti e scampoli, risuonava in testa armonie impossibili: non ne sapeva nulla, fermandosi s’incantava sulle mattonelle gialle e ferri dei binario. Scendendo scale notava vernici sintetizzate fargli saluti dai muri come nevicate schiaccianti, chimiche diurne di caffè e sigarette preludevano a una cieca rivoluzione di momenti. Percosse queste idee e volò dietro l’angolo a luci spente: aveva le chiavi di casa, pressate l’una sulla tasca destra, l’altrove nella sinistra, come bocconi di pane fresco, palpeggiandosi di passo in passo alternava: “le ho ancora”, “dove stanno”, “non le sento, più Niente” - più Nulla Dove Niente niente Ancora - Poi, eccole abbattergli un sorriso in bocca - Tanto distratto - Gioco facile spaccare gli occhi per lavarsi le mani. Come un giocoliere cretino sull’orlo del crepaccio, che medita di buttarsi, meravigliava di non smarrirle mai: tolta l’aria al cervello - Semplice- non contava più sui muscoli, e si fermava - Devastare dolcezza per darne valore. Assistere con tutto il corpo, appassionarsi come a una vita altrui. Bearsi d’essere limitati, indulgere. Dov’è un sogno, uccidere la libertà. Dormire, e poi a casa: volare ben svegli, per addormentarsi poi. Decidere se val la pena, e se dipende, tradire. Comunque decidere. O semplicemente, dimenticare. Come raccolti chissà quando, forse ganci d’acciaio o lingue di piombo, dov’erano quei binari nell’unico punto di fuga che poteva concedersi: tutti i culi parevano avere un culo a raccontarselo. Come lo guardavano: lui s’accampava presso il Ministero delle Occasioni perdute, sfrecciando sbarazzino in tutte le patine di involucro. Non più da uomo - Immaginava meteore in ogni giardino.

Era già conosciuto, ma con un’abile rotazione di facce riusciva a farla franca, lasciando dietro a se’ scie d’ammoniaca e odore di carne a giornata. Indossava l’ambivalenza di predatore nel paese dove le donne non san piangere, con ruderia imberbe da bambino che, del suo giocattolo più prezioso, conoscesse l’inelegante natura disarmandosene completamente. Dipingeva poi tele bellissime, per ignobili spettanze d’accatto, dando di bocca aperta l’oscena cerniera di un sibilo acutissimo: cogliere in silenzio trentadue piccoli oggetti d’osso falso era impossibile, tant’era fluida, inconsistente la sua firma: manco un istante, raccolto da indigeni, dove abitava la sua battaglia e treno ancora tardava.In quel cavo nerastro, giaceva però una musica spinale, troppo centrata per il corpo, ascoltata da poche qualità sensibili d’inviduo; quel cavo, arreso all’evidenza bassa che pure i culi son divisi in due. Ridestandolo, la mattinata sapeva scalciare con piacere lento, splendidamente trascurata come un tizzone acceso: lui, nei meandri muschiati delle sottogonne sociali, sapevi starci un tantino comodo.

Andrea Bovo, non ho un corpo, sono un corpo. Non suono che vento dove son nato, 30 anni fa. Qualsiasi biografia potrebbe resecarsi da sola, immaginaria, parte d’un discorso mai completo. Non si è, se non detti: altrove. Le parole sono morte da ogni cretto: al momento sono impegnato a farmi fuori.Nudo a 6 minuti oltre l’angolo cieco delle cose, ammicco solo qualche combinazione da sciogliere le ossa:discrivo ciò che sono, in un buco per finirci cavo rivoltato dall’orlo, e viverci d’intenti.Risvegliato dall’aroma volatile del cielo, accarezzo l’erba del vivere sottile, masticando pixels e bytes;non è il mio lavoro, così è accaduto,d’avere gli strumenti per farmi, di ciò che voglio poco rimane,queste polveri sopravvivono, sempre mancate, mai raggiunte da pienezza e definizione sufficiente:in tal senso sono parlato e non dico niente. Svuotandomi: non resta che disinviduarmi, quest’alambicco di carne depensato, nelle infinite possibilità d’ogni positura e colore. Ben presto, un nervo elettrico, vero fuoco e fosforo a cceso; l’ispirazione che era il fondo, diverrò caso, accidente, scarsità, a fronte d’una tale mole di facce, da non avere nessuna parola per immagine e mai immagine per parola

14


fotografia

ANDREA BOVO spleen Artista maledetto, provocatore e scandaloso. La sua opera appare ricca di sfumature. Esprime la rabbia nella dicotomia dell’immagine, perfetta nella sua costruzione e provocatoria nei suoi soggetti, rifiutando le finzioni dell’estetica contemporanea e illustrando, attraverso l’utilizzo della carne, del volto e del corpo, i turbamenti interiori e le manie. Nichilista artaudiano, conduce una ricerca estetico-filosofica sul corpo proprio. Lo studio della luce e della composizione geometrica dell’immagine hanno primaria importanza. Propone autoritratti in cui indaga il tema dell’identità e dell’esistenza, seguendo una cifra stilistica decadente e intimista. Scenografico, teatrale, soggetto e oggetto delle proprie autocreazioni, interpreta e produce messe in scena dalla caravaggesca illuminazione e dal sapore serraniano. Minimalista ed essenziale, lavora sulla texture della carne, sul suo corpo mutilato dall’obiettivo, ripreso in primissimi piani da cui sembra voler evacuare per raggiungere lo spettatore, per creare un contatto. La sua figura mima, rimanda ed evoca. Parzialità di forma che acquista esistenza propria e autonomia, posa statica vivificata da una elegante e lineare tensione drammatica, da un dinamico equilibrio fra gli spazi e le ombre. Correndo sulla sottile linea dei contrasti, tra sacro e profano, morale e immorale, il suo linguaggio è proteso verso una tragica concezione della bellezza. In questo lavoro ritornano le mani ad essere centrali, e l’opera, il suo corpo, è ancora una volta un palcoscenico da cui inscenare un mondo: è guerriero medievale-esistenziale, pronto a scendere in battaglia, munito di elmo. Suggestionante e onirico, violento e meraviglioso insieme. Ilaria Ruggiero

impasse satan II 15


teatro

AUTOMOBILE Stefano Boccato Auto ferma. Portiera del guidatore aperta. Portiera posteriore lato guidatore chiusa: una cornice argentata in legno scolpito molto barocca ne segue il contorno. B guidatore e A passeggero. C – fuori dall’auto, accarezza il poggiatesta del guidatore. B – a C A proposito… A – Forse vorrei sentirti solo come suono - non che vi diciate chissà che cose private ma…- vorrei sentirti come percepisco la sua, sì, con quegli armonici tutti suoi… Una voce solo voce, sottovoce indistinte le parole ma caratteristica. E invece sento tutto, le tue le capisco benissimo. B – Ne parliamo meglio dopo. a C …non te l’ho chiesto prima, ma era così bello vederti all’improvviso. Scusa… sorridendo ma perché non accarezzi la mia testa? C – Non voglio metterlo indica A in imbarazzo. B – Non ti preoccupare. A – Davvero. C – Il rivestimento comunque è molto piacevole…. B – Ah sì? C – se velluto La lunghezza dei “capelli” come piace a me. se pelle Mi piace sentire il cuoio capelluto liscio, appena rasato. se tessuto Si lascia fruàre1 senza lamentarsi della quantità delle carezze. B – Touchè. Ma non toccato purtroppo. C+A si prendono per mano, dx del secondo con sx della prima. C – A presto allora si allontana in bici. B – Un bacio! B – Eccomi di nuovo a te. A – Le tue frasi non se ne sono mai andate via. B – Scusa! A – Non potevo fare niente, visto che siamo seduti uno in fianco all’altro! B – abbassa un po’ lo schienale del sedile, lentamente Molto meglio!

A – In effetti essendo in una macchina… Non mi è proprio venuto in mente. B – Solo una finta di corpo. Che ti ha spiazzato! …che ore sono? oggi non mi rendo conto del tempo che passa. A – Specie adesso, anch’io. Tranquillo cenerentola, mezzanotte non dovrebbe essere ancora scoccata. B – Le undici e quaranta, però! Si sta proprio bene a parlare così… A – Le mie gambe, la leva del cambio, le tue… in effetti solo le ginocchia, le mani. Un’immagine/ricordo perfetta di quest’atmosfera. B - Semisilenziosa. A – Null’altro di te. Cioè solo la voce, un po’ lontana. La testa cancellata in certo senso. Non so se mi manchino però le espressioni… I gesti delle tue mani ci sono comunque, un telefono arricchito si potrebbe dire. Sempre muscoli che si contraggono, non in faccia però. Ma… B – ride Uno dei motivi per cui andiamo d’accordo è che non gesticolo! A - Mai pensato che delle mani potessero essere stolide… brutto suono la parola. Come sono cattivo, oggi. Squillo di telefonino. A – Il mio. CIAO! Audio spento per un po’, esce dall’auto per gli altri. B – Dai, ancora un passo… bravo… no! …Ecco, inquadrato tutto dal finestrino: fermo lì adesso. Sarebbe da farti una foto. Verrebbe una stampa a contatto grandissima, stupenda: sembri quasi sperso in pochi cm2. Non è sensibilizzata però, questa lastra di vetro … solo sporca. Incidere il vetro potrei… ma io son single! L’anello di fidanzamento col diamante, che “è per sempre”, non l’ho ricevuto, ancora. Meglio che la tentazione sia abbassa il finestrino

16


teatro ricacciata nell’abisso comunque. Con la bocca che si muove… sembri proprio farlo tu, ‘sto cigolio dentellato delle suole sull’erba. Chissà come fanno con il labiale… A – rientra in auto dallo stesso lato, portiera posteriore però. B – scherzando E’ bello rivederti. A – Nello specchietto retrovisore! Anche per me... non sono stato via tanto! Vero?… Stando dietro, è questo lo strano l’hai mai notato?, si vede di più chi sta davanti che davanti standoci. B – All’improvviso ci si incontra, e girando lo specchietto poi si cerca di rimanere sintonizzati con l’antenna ottica. senza muovere gli occhi con la mano indica Lì di fronte a noi, non solo in viaggio, c’è troppo da guardare. A – Specie per il passeggero…altro che sentire solo le voci. B – Ma tu non hai appena telefonato…? A – Non c’entra. Se parliamo, anzi, mi viene spontaneo pure avvicinarmi con la testa, spostarmi sul bordo del sedile o aggrapparmi al poggiatesta davanti. B – E vien voglia di… si volta verso A voltarsi indietro. A – Fortuna che siamo fermi. B – abbraccia di slancio lo schienale del passeggero Sei disarmante! Quando guido non faccio così.. A – ridendo Meglio esser in tre quando partiremo. B – Siamo in due ma tu hai la patente, no? prova a chiudere la portiera ma che c’è a bloccare? La cornice che deborda, giusto riapre la portiera. NB: Il sesso degli attori è indifferente: la mia è solo una proposta dettata dalla non-neutralità della grammatica italiana. 1

Nei dialetti veneti: consumare, logorare.

“verum ipsum factum” G.B. Vico / Carlo Scarpa Stefano Boccato. Sono un Pesce che non sa nuotare dal 1980. Vivo a Treviso cercando di scrivere teatro. Una passione che vorrei diventasse mestiere. Mi hanno pubblicato tre saggi sul rapporto - in età moderna nell´ambito veneto - tra istituzioni e lo spazio, reale e simbolico, in cui operano: sempre teatro sotto mentite spoglie. Ho tradotto per piacere ed uso personale alcuni brevi testi di Heiner Mueller. Su Niederngasse 18 è stata pubblicata “Canne palustri”.

17


fotografia

Pacina Federica Pace, artista, fotografa, ha frequentato Fotografia con Guido Guidi presso il corso di Laurea in Arti Visive e dello Spettacolo dello IUAV di Venezia, dove si è laureata nell’aprile del 2006. Attende ora di frequentare corsi di specializzazione professionali di Fotografia. Principale linea di ricerca è l’autoritratto, attraverso il quale l’artista cerca di catturare le sue peculiari condizioni psicologiche, inscenando se stessa, recitando con il suo corpo la struttura delle sue paure, del suo nascondersi, del suo mancarsi. Fotografia come terapia, ma soprattutto come ossessione e indagine del sè.

untitled - dalla serie “pacina, ossessioni” Vuoti a rendere. Aveva cominciato a sentirsi leggera, quasi da non sentire più d’avere un corpo. Eppure permaneva quel solido fastidio che la prendeva a chiazze irregolari dietro la schiena, tra le scapole, lungo le braccia. il fastidio di quando si tolgono le fedi dalle dita. D. : “Dimmi poi di quando ti sei svegliata” R. : “Nulla, avevo sempre quel vuoto a sbranarmi dal basso.” D. : “Godi di quel vuoto e lascia che si faccia spazio. Sciocca bimba dal corpo insufficiente, non sta forse nella mancanza, nella sottrazione il segreto della leggerezza?”

18


dipinto

ORIANA VALESI Figlia d’arte, eccentrica ed eclettica, da sempre si dedica alla creazione sotto diverse forme e sperimentando diverse tecniche: acrilico su tavola, per l’ultimo periodo, ma anche incisione, fotografia, fotoemulsione, lavori in digitale, vetrofusione, scultura e installazioni. Ha frequentato l’Accademia di belle Arti di Brera ed è tutt’ora impegnata nella promozione della realtà artistica giovanile. Nel corso delle sue diverse e molteplici esperienze ha maturato una superba padronanza della tecnica e della materia, sviluppando e sperimentando in diverse direzioni il suo personale approccio all’arte. Un gesto fluido e pulito, definito e senza sbavature, una mano sicura e precisa, definiscono i suoi tratti, semplici ed immediati. Nell’ultima fase del suo lavoro si dedica a questa originale produzione frutto di astrazione e stilizzazione delle forme, limpida armonia tra colore, grafia e idea. Simbolica e sintetica, rende l’espressione empatica. La perfetta costruzione della scena, l’attenzione all’equilibrio cromatico e formale, lo sviluppo ritmico armonico, svelano tutto il suo studio, la sua passione e la sua professionalità. Onirica, espressionista, simbolica ed essenzialista mette a fuoco emozioni servendosi di un alfabeto unico e originale, elaborato e configurato nella creazione di una serie di soffici parvenze, ominidi fluttuanti fra il reale e l’irreale, fra il terreno e l’extra-terreno, fra l’umano e il dis-umano. Rappresentano il suo multiverso, il suo universo, sognante e deformato, grottesco e dolcemente ironico, intimo e spassionato. Le sue forme e la sua linea sono morbide e delicate, sottili anime perse nell’incisività del colore, e rompono dinamicamente e ritmicamente la scena. Una riflessione sulla condizione di solitudine esistenziale cui è condannato l’uomo, essere replicante della sua identica diversità, minuscola creatura che lancia messaggi dal sottosuolo, dalla periferia della città e dal buio delle sue stanze.

from the red 4 hands

19


racconto

SUPERSHOOTER Yossarian Erika sorrise all’immagine riflessa nello specchio. Si sistemò il colletto della divisa e si ammirò compiaciuta per l’ennesima volta, soddisfatta come sempre dell’autorità che sprigionava la sua figura. La camicia blu con le mostrine e l’abbagliante cappello bianco con l’aletta nera esaltavano il suo viso aguzzo dalla pelle ben abbronzata, e la gonna d’ordinanza (altezza ginocchio) si sporgeva su un paio di gambe atletiche ma armoniose, slanciate dalle scarpe coi tacchi di 5cm nere e anonime. Hmmm, pensò, sono proprio in forma stasera. Le era sempre piaciuto indossare la divisa anche fuori dagli orari di lavoro e lo faceva spesso. Si girò analizzando il suo appartamento da single irreprensibile, spoglio e ben pulito. L’orologio Ikea appeso sul muro di fronte allo specchio segnava le 9.52, giusto in tempo per farsi una striscia prima dell’arrivo di Umberto. Lui da bravo carabiniere non avrebbe tollerato l’uso di droga da parte della sua amante, e quindi non ne avrebbe saputo niente. A Erika piaceva, invece. Specialmente col sesso. A dir la verità Umberto in quel campo si era sempre rivelato colmo di eccitazione anche senza l’uso di cocaina, forse per questo era già da un po’ che si incontravano per delle sane sessioni di sesso. Anche se i loro incontri stavano per terminare, Erika lo sapeva, le ultime volte a metà scopata aveva interrotto per correre in bagno e farsi un richiamino. “Dovrei trovarmi un poliziotto” pensò, “quelli si che sanno divertirsi”. Entrò in camera da letto e prese dal comodino un piccolo beauty, tirò fuori lo specchietto e la piccola busta piena di cocaina bianca, la stese rapidamente e tirò dal naso con una piccola cannuccia tagliata. Un poliziotto non avrebbe fatto tante storie per un po’ di bamba, anzi si sarebbe accomodato volentieri. Ma nel paesino in cui svolgeva il suo servizio di vigilessa urbana non c’era una questura e non conosceva nessun poliziotto della zona, mentre di carabinieri ne conosceva pure troppi. La caserma era poco lontana dalla sede dei vigili, e l’unico bar che c’era sulla strada era frequentato da entrambe le categorie, Umberto l’aveva incontrato lì. Il campanello trillò con decisione, Erika corse ad aprire dopo essersi assicurata di avere il naso pulito. Umberto era un brigadiere 25enne alto e ben piazzato con folti capelli neri e un grosso naso schiacciato alla base, che gli dava un’espressione un po’ taurina. Soffriva dei tipici difetti del carabiniere di provincia, con quell’espressione un po’ animalesca che tanto spaventava i ragazzini di 14 anni fermati mentre giravano senza casco o i 16enni alle prese

con le prime canne, ma che ad un osservatore più attento non poteva non rivelare la sua pochezza e spesso anche una buona dose di sadismo. Quando si aprì la porta per un attimo rimase sorpreso dalla divisa che indossava Erika, poi si ricordò della fissa che le era venuta ultimamente e di quanto fosse fuori di testa nel fare sesso, tutti quei giochini e quelle cose strane.... La cinse per la vita e le tolse il cappello, e la baciò con violenza come al solito. Non persero tempo e si lanciarono in camera da letto. Erika gemeva e si scuoteva tutta, le manette di Umberto la tenevano legata al letto con le braccia sopra la testa, e nella sua nudità si divincolava e muoveva furiosamente le cosce strisciandosi contro le lenzuola. - Vieni qui, ancora ti prego, ancora! ANCORA!!Umberto si inginocchiò sul letto davanti a lei, le allargò le gambe alzandole fino ad appoggiarsele sulle spalle e cominciò a sbatterglielo violentemente dentro. – Ne vuoi ancora, eh? PUTTANA! PUTTANA!Mai nessuna donna si era fatta sbattere da lui in quella maniera così selvaggia e con così tante richieste oscene. Erika a letto era una forza cosmica, soprattutto perché non aveva pudore di chiedere quello che voleva. A volte Umberto era spaventato da quello che gli avrebbe potuto chiedere. Le prime volte aveva trovato inconcepibile che lei gli chiedesse di chiamarla puttana o troia o vacca, e che si eccitasse così tanto quando lui lo faceva, ma poi ci si era abituato ed aveva cominciato a lasciarsi andare. Poi erano venute le manette, ed infine questo gioco delle divise. Scopare con la divisa la faceva impazzire, a quanto pareva. - Hmmm, hmmm, hmmmmmm....la....la pistola!La pistola? che stava mugolando quella pazza? Aumentò il ritmo cercando di farla stare zitta. - La...la...pistola. SCOPAMI CON LA PISTOLA! ‘Questa le supera tutte ’ pensò Umberto - Oh vuoi essere fottuta col cannone eh? Va bene pazza maniaca, ora ti do la pistola...Prese la sua Beretta 92FS dalla fondina appesa al letto, e cominciò a passarla sul corpo di Erika. Scese piano dalle spalle fino ai capezzoli turgidi, sfiorando col metallo freddo la pelle sudata e giù dalla pancia fino al suo sesso bagnato e gemente. Umberto sentì un’erezione incredibile salirgli da dentro lo stomaco ed esplodere in una eccitazione incontrollabile, mentre cominciava a spingere con la canna della pistola nella potta di Erika. - Ohhhh... che fai, che fai?- Zitta TROIA! Ora facciamo quello che voleviUn’espressione allucinata sul viso di Umberto fece crollare improvvisamente la botta di Erika che si rese conto di quello che stava succedendo.

20


racconto

- Oddio no che fai, E’ CARICA? FERMATI!- ZITTA! Ora ti sistemo io... – - NO! NO FERMATI! Umberto ormai era incontrollabile mentre con la mano destra spingeva ritmicamente la pistola e con la sinistra si masturbava con violenza, le urla di Erika non lo infastidivano per niente, e neppure gli strattoni che lei cominciò a tirare alle manette, né i calci e i tentativi di divincolarsi. Erika piangeva urlando di smetterla ma lui continuava con sempre più forza fino a che raggiunse un orgasmo devastante che lo lasciò senza fiato, sdraiato di schiena sul fianco con la pistola ancora in mano. - Cosa...hai fatto....BASTARDO!- la sentì piagnucolare, e rimase sbigottito - Ma che dici baby, l’hai voluto tu! - Io? Pazzo maniaco pervertito – le lacrime gli scendevano copiose e parlava tra i singhiozzi- mi hai stuprata con una pistola carica ANIMALE! LIBERAMI! LIBERAMI E VATTENE!- Ehi ma che stai dicendo me l’hai chiesto tu! Che ti prende, calmati...Si mise ad urlare così forte che Umberto non potè far altro che liberarla e scappare di corsa raccattando i vestiti. Scendendo in strada si accorse che quasi tutte le luci del palazzo erano accese, e il suono famigliare della sirena arrivava da dietro il vicolo. - Mi sa che è successo un casino....brutta troia....

Yossarian is Iacopo Zaninelli nato il 31 gennaio 1982, cresciuto a Castelleone (Cremona), residente a Bologna dal 2004. Lavora per leggere,suonare,scrivere, ama il courier new e non ha ancora nessuna pubblicazione all’attivo

21


fotografia

Violator3 MaraB. E’ nata nel 1985 e vive a Brescia. Ora studente di fotografia presso la Libera Accademia di Belle Arti di Brescia e bassista nei Son of Noise.

the sweetest condition 22


racconto

INUTILI SBATTIMENTI Stefano Lorefice Mi stringo il collo del cappotto, c’é vento forte oggi. La gente tiene la testa bassa, si cammina a gruppi di due, tre persone; i più non parlano. L’autunno é un periodo dell’anno che personalmente detesto. Se si mette a piovere puoi star sicuro che tutte le foglie che spazza il vento ti finiscono in faccia...e sono umide ed appiccicose. Ho lasciato a casa la sciarpa, ed a casa una sciarpa non serve a un cazzo; solo a ricordarti che dovresti farti meno seghe mentali e svegliarti di più. Mi stringo nel cappotto. Ho passato gli ultimi tre anni della mia vita a cercare un metodo per laurearmi senza sbattermi troppo. Diciamo pure che ci sono riuscito. Mettiamo le cose in chiaro: non me ne frega poi molto, anzi, meno di zero. Ma adesso sono il dottor “tal dei tali”, ed in questa città dove è pieno di “tal dei tali” non è cambiato proprio niente. Ecco. Stringo il cappotto. La signora che aspetta con me l’autobus ha un’espressione persa, a volte mi chiedo se qui sia la norma. Voglio dire: tutti si lamentano, tutti sono nervosi, tutti hanno questo sguardo incazzato ed arreso allo stesso tempo: perso. Tutti. Eppure nessuno se ne và. Si rimane. Come in una trincea estrema. Da difendere fino alla fine. Da cosa poi? In fondo ci sono infinite possibilità, dice Malo. Qui anche se perdi, puoi perdere con stile, e ti si accetta pure come perdente. C’è posto per tutti. Infatti il signor “Tal dei Tali” ha sostituito il Signor Rossi. Questa fermata è desolante e desolata. Credo che la giunta comunale abbia fatto ristrutturare tutte le zone di arresto degli autobus dei quartieri sud, l’anno passato. In poco tempo le hanno di nuovo distrutte. Sul muro di poliuretano plastificato che fa da copertura a questa c’hanno scritto : “Dio ci vede benissimo, solo che s’è preso una vacanza…e se n’è andato in un’altra galassia con un Last Minute.” Sotto qualcuno ha aggiunto : “Poi c’è stato uno sciopero…ed ha preso la palla al balzo: col cazzo che ritorna a fare un po’ di pulizia….” Sorrido. Ormai la gente s’è abituata a tutto. Non importa. Basta arrivare da “A”(Casa) a “B”(lavoro). E ritorno. Tutto qua. Siamo in tanti qui, c’è chi dice che siamo davvero in troppi, ma nessuno effettivamente si accorge di nessuno. Non serve in fondo. Cosa può fregarmene? È un inutile sbattimento sapere le cifre esatte. Al limite avere un’idea, anche se confusa va bene. Tanto qui si accetta chiunque. Meglio essere un “tal dei tali” che non si scombina più di tanto il sistema indifferente che domina la situazione.

Il problema è semplice: prima che arrivasse il duemila, avevamo un punto di riferimento, un punto di svolta, un giro di boa, ed io pensavo “Ma dove cavolo sarò nel duemila? Avrò ventiquattro anni e che cacchio farò? Ci sarà ancora la patente e le macchine le guideremo ancora noi, saranno automatiche? Saremo sulla luna con una colonia estiva o permanente? La fame nel mondo ci avrà affamati di più o di meno? Chi sarà la mia ragazza quel giorno?, robe di questo genere…e adesso che il duemila è passato siamo senza punto di riferimento, senza giro di boa in vista…e mi sono accorto che non è poi cambiato molto…voglio dire: la notte del duemila ero con Silvia, e la mattina avevo quaranta di febbre, Silvia adesso non so nemmeno dove sia finita, le macchine le guido ora come allora…sulla luna solo le sonde…e della fame del mondo se ne parla poco come sempre…insomma: niente è cambiato…solo che sono senza giro di boa… Poi la signora mi guarda senza guardarmi, con gli occhi che puntano nella mia direzione ma che non mi mettono a fuoco , perché non ce n’è bisogno e dice: “E scusa se è poco…” Così, lascia cadere la frase…ed il pensiero. E si volta verso la strada. “Hai idea, Signor Tal dei Tali, di quanti stanno scopando in questo momento? Anche solo nel raggio di cinquanta chilometri, ne hai anche solo una vaga idea?” di per se non mi interessa molto la cosa, e non credo che interessi nemmeno alla signora. Si fa per parlare e me lo sta dicendo con un tono di voce da cantilena annoiata. Sappiamo benissimo entrambi che il mondo gira da destra verso sinistra, che i punti di riferimento sono quello che sono, e che mentre io e lei giriamo in autobus c’è gente che scopa. Pure mentre tu, lettore di questa storia sbilenca, stai leggendo. E’ pacifico ed umanamente accettato. Così la frase ha lo stesso effetto del pensiero precedente: resta lì appesa a niente che si sbarazza di me e di lei e si fa quattro passi sullla strada…fregandosene dei nostri punti di riferimento inesistenti. In fondo dirvi della mia vita, di cosa faccio adesso per campare, di come ho scoperto che le puttane dell’est rendono di più delle nigeriane, perché hanno più savoir faire nei Club Privè, in fondo è un inutile sbattimento. Quindi, non vi racconto un bel niente. Io e la Signora aspettiamo l’autobus, e basta.

Stefano Lorefice é nato a Morbegno (Sondrio) nel 1977. Vive più o meno sul lago di Como, dopo aver viaggiato per mezza Europa ed essersi perso per quattro anni in Francia. Cura il diario di viaggio “Cosmo Blues Hotel” (www.cbh.splinder.com). Ha pubblicato “Prossima fermata Nostalgiaplatz”, Ed. Clinamen, “Budapest Swing Lovers”, Ed. Clandestine, “Cosmo Blues Hotel”, Ed. Clandestine e “L’esperienza delle pioggia”, Campanotto Editore

23


dipinto

MAX ODDONE Max Oddone è un artista irriverente e sarcastico. Fondatore della F.I.G.A., Federazione Italiana dei Giovani Artisti, definisce provocatoriamente qualsiasi cosa arte, eccetto i suoi quadri. In lui ritorna l’eredità del concettuale. Autoironico e graffiante, sottrae importanza alle qualità formali e stilistiche delle opere, in base a un processo di de-estetizzazione, semplificazione delle procedure di produzione e trasferimento delle energie sulla modalità di trasmissione del suo materiale, il concetto. Nelle sue opere lingua, pensiero e visione interagiscono, lavora sul senso e sul significato, sul rimando e sulla citazione straniante intraprendendo una sperimentale ricerca personale. Si interroga sulla natura stessa dell’arte, quel momento in cui opera, senso e gesto artistico si fondono, divarica la remota coincidenza fra ideazione e realizzazione in una complementare scissione. Nell’opera ‘Tondo…Doni!’ Max Oddone questa volta fa il verso a Michelangelo. Di Michelangelo rimane solo la forma del quadro, il Tondo, il Cerchio, depurato di ogni simbolica e spirituale valenza e riconvertito, in chiave autoreferenziale, a dinamica citazionistica che si identifica nell’enunciato. L’oggetto originale è completamente perduto e ludicamente riconvertito: non figurano né S. Giuseppe, né Gesù e Maria, ma semplicemente, dei pacchi. L’opera è frutto della frantumazione di un’idea, a fronte di un corto circuito semiotico che esplode, sovrapponendo alla consueta memoria storica, un vizioso e virtuoso spaesamento concettuale. Visitare il sito dell’artista è il modo migliore per prendere coscienza dell’indomabile personaggio, donatore di doni e domatore di senso.

Ilaria Ruggiero

tondo doni 24


a_poesia

ARSENICO E VECCHI MERLETTI Garbo Certi accenti hanno manie di grandezza. Tendono ad inorgoglire le vocali. Certi vestiti appesi all’aria aperta quando poi li indossi profumano di sole. Certe acconciature hanno il colore delle ginestre fiorite. Certe screpolature ai bordi dei bicchieri trattengono il succo delle arance appena spremute. Facile abituarsi ad abitudini passeggere in un secondo, sapendo di poterle perdere in qualsiasi istante. Aggrapparsi appena sveglia ad una schiena che si strofina contro il naso, sapendo che non sarà per sempre. Riempire tazze rosa e azzurre di caffè e respirare il profumo di latte mischiato al succo di frutta alla pera e sorridere. Addormentarsi su divani rossi col vino rosso tra le labbra per poi scivolare nel letto e dondolare tutta notte tra respiri-sospiri mentre Effetto notte e Truffaut stanno a guardare. Inciampare sul disordine di bagagli sfatti in mezzo al caos di incenso alla vaniglia e libri rubati. Certe consonanti si inseguono, nella danza tra i denti e il palato e la lingua, ingorde si raddoppiano. Certe scarpine di velluto amano passeggiare sul bagnasciuga illuminate da cielo e mare e gorgheggi di grilli. Anche di giorno. Perchè in certi posti sembra sempre che sia giorno. Anche di notte. Certi posti distano da altri solo due ore. Ma sulle ore non ci si può camminare... < Io sono fatta di acqua salata >

E.B.Garbo.Ventotto anni siciliana, laureata in storia dell’arte vive tra Roma e Milano. E’ una scrittrice convulsiva e una giornalista di arte e moda.

25


fotografia

Chrysallis Chrysallis è Teresa Carnuccio. Laureanda in architettura, vive tra Napoli e Sorrento. Affascinata dalla multimedialità, ogni suo lavoro finito è il fruttodi una reinterpretazione in digitale di uno scatto di base. Ritrae soprattutto se stessa.

run from yourself

26


LOBODILATTICE

la contaminazione continua... 27


LOBODILATTICE

www.lobodilattice.com

28


LOBODILATTICE


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.