Il Khidr e l'acqua di vita

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I gioielli

testi esoterici del SuďŹ smo collana diretta da Paolo Urizzi 7



Al-Qayṣarī

Khidr e l’Acqua di Vita

(Taḥqīq

Mā’ al-Ḥayāt fī Kašf Asrār al-Ẓulumāt)

La Conquista dell’Acqua di Vita nello svelamento dei segreti delle tenebre a cura di Giovanni Maria Martini prefazione di Paolo Urizzi

Il leone verde


In copertina: Piatto in ceramica invetriata (Nishapur, X secolo).

ISBN: 978-88-87139-85-3 Š Copyright 2012 Edizioni Il leone verde Via della Consolata 7, Torino Tel/fax 011 52.11.790 leoneverde@leoneverde.it www.leoneverde.it


Indice

Prefazione, di Paolo Urizzi

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Il Maestro degli Afrād Introduzione La vita

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Le opere

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Analisi dell’opera

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I rapporti con Ibn ‘Arabī e la Scuola della Waḥdat al-Wuğūd 32 Il Khidr

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Struttura dell’opera

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Il Khidr e l’Acqua di Vita

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Prima Premessa: Profezia e Santità

70

Seconda Premessa: la Descrizione dell’Acqua di Vita

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Terza Premessa: la Descrizione delle Tenebre

80

Il Fine, ovvero gli stati spirituali del Khidr

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Quarta premessa sulle modalità del viaggio nelle Tenebre 86


Commento Commento alla prima premessa: Profezia e Santità Commento alla seconda premessa: l’Acqua della Vita

97 97

105

Commento alla terza premessa: la descrizione delle Tenebre 118 Commento alla quarta premessa sulle modalità del viaggio nelle Tenebre Commento al capitolo conclusivo sugli

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stati spirituali del Khidr

138

Glossario dei termini arabi

152

Indice dei nomi e dei luoghi

159

Indice dei versetti coranici citati

163

Bibliografia essenziale

164

Giovanni Maria Martini, nato a Lucca nel 1985, si è laureato con il massimo dei voti presso la Facoltà di Studi Islamici dell’Università “L’Orientale” di Napoli nel 2010 e dall’anno successivo frequenta il dottorato di ricerca intitolato “Turchia, Iran e Asia centrale” presso lo stesso ateneo. Conoscitore della lingua araba e di quella persiana, ha compiuto soggiorni di studio in diversi paesi mediorientali fra cui lo Yemen, l’Egitto, la Siria e l’Iran. I sui interessi abbracciano i campi del Sufismo, della filosofia e della letteratura religiosa islamica.


Prefazione

Il Maestro degli Afrād Il testo di Qayṣarī qui tradotto e presentato è, a nostra conoscenza, la sola opera di scuola akbariana che, se pur breve, sia interamente dedicata alla questione del Khidr e della ricerca dell’Acqua di Vita (mā’ al-ḥayāt)1. Il tema è uno dei più misteriosi e il racconto coranico su cui si fonda è in effetti pieno di elementi enigmatici, come un affresco del paradosso. Eppure lo spazio che gli è dedicato nel testo sacro è del tutto speciale, poiché si situa proprio nella Sura centrale del Corano2, dove si narra appunto della ricerca da parte di Mosè della Fons Vitœ e del suo incontro con un personaggio di cui non viene detto il nome, ma che tutti i commentatori identificano con Khidr. Tuttavia, sorprende constatare come tutto il testo sia impostato essenzialmente in una prospettiva di realizzazione metafisica, quella di «una mente iniziata ai Grandi Misteri (nous ta megala 1  Nella letteratura islamica esistono nondimeno diverse opere che si occupano del Khidr; una lista esaustiva è data da Muḥammad Ḫayr Yūsuf nel libro: al-Ḫaḍir bayna al-wāqi‘ wa-l-tahwīl, Damasco 1984, pp. 32-34, e nella sua introduzione al libro di ‘Alī al-Qārī, Al-Ḥaḏar fī amr al-Ḫaḍir, Damasco 1991, pp. 45-49. Cfr. anche Haim Schwarzbaum’s Biblical and Extra-Biblical Legends in Islamic FolkLiterature, Waldorf-Hessen Verlag fur Orientkunde (1982), pp.17-18. 2  Il centro del Corano cade nella lettera fā’ della parola wa-lyatalaṭṭaf della Sura al-Kahf (Cor. 18:19).

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mystēria myētheis) che ottiene la sua conoscenza direttamente dalla Causa Prima», come direbbe Filone3 parlando proprio del caso di Mosè, senza mettere in risalto gli aspetti iniziatici legati ai “piccoli misteri” (mikra mystēria), quando invece il riferimento all’Acqua di Vita che si trova al “Punto d’incontro dei Due Mari” farebbe pensare prima di tutto a una realizzazione spirituale ancora in relazione con l’aspetto purgativo della Via. Inoltre, sembra che Qayṣarī non risponda, o non voglia rispondere, ad alcuni degli interrogativi più ricorrenti che si sono posti tutti coloro che hanno avuto a che fare con tale questione: chi sia il Khidr, e quale il suo ruolo iniziatico. L’accurata presentazione di Martini, attenendosi principalmente al testo di Qayṣarī, tocca il problema in modo marginale e possiamo facilmente comprenderne le ragioni: una trattazione adeguata richiederebbe un intero volume. Ne è la dimostrazione l’opera in tedesco, ormai decennale, di Patrick Franke, Begegnung mit Khidr: Quellenstudien zum Imaginaren im traditionellen Islam4; un ponderoso lavoro di oltre 600 pagine che affronta tutte le tematiche e i testi relativi a un personaggio entrato a far parte dell’immaginario collettivo della civiltà islamica. Tuttavia, la profusione di elementi agiografici, leggendari, dottrinali e storiografici di questa figura così misteriosa e trasversale della storia sacra, spesso legata o identificata con Elia, rischia alle volte di farci perdere di vista l’essenziale5. Quell’essenziale che neppure la penetrante e ormai lontana trattazione di A.K. Coomaraswamy, «Khwâjâ Khadir and 3  Leg. All., III, xxxiii.100, che si riferisce però all’episodio del Sinai: Es. 33:13 (cfr. Cor. 7:143). 4  Il titolo completo del lavoro di P. Franke (ed. Steiner, Stuttgart 2000) è stato condensato in una recensione da Max Giraud, “Rencontre avec Khidr”, La Règle d’Abraham n. 24 (dic. 2007). 5  In italiano si può vedere il più recente lavoro Elia e al-Khidr. L’archetipo del maestro invisibile, a cura di Alessandro Grossato, che inaugura la collana “Viridarium” della Fondazione Giorgio Cini, Medusa, Milano 2004.

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the Fountain of Life, in the Tradition of Persian and Mughal Art»6, è riuscita a mettere perfettamente in luce, nonostante sia stata poi ripubblicata in una versione francese col solo titolo: «Khwâjâ Khadir et la Source de Vie»7, che teneva conto di tutte le correzioni e modifiche suggerite all’autore, in una corrispondenza privata, da René Guénon perché, come scrive, non vi fosse «désaccord avec l’orthodoxie islamique». Sempre Guénon, in un’altra lettera a Coomaraswamy (5 novembre 1936), scriveva: «J’aurais beaucoup de choses à dire là-dessus, mais il est douteux que je les écrive jamais, car, en fait, ce sujet est de ceux qui me touchent un peu trop directement…». Egli, infatti, non l’ha mai fatto e, qualche tempo dopo, in occasione della pubblicazione del testo di Coomaraswamy sugli Études Traditionnelles tornava a ribadire che «si cela était possible, j’en serais d’autant plus heureux que, de divers côtés, on réclame depuis longtemps déjà quelque chose sur ce sujet, mais que, pour bien des raisons, je préférerais qu’il soit traité par quelqu’un d’autre que moi…» (lettera del 6 febbraio 1938). Un’occasione persa, ma qualcosa al riguardo, partendo dalla sua stessa opera e nei limiti di una prefazione, può essere delineato. Innanzitutto una considerazione sul “Punto d’incontro dei Due Mari” (maǧma‘ al-baḥrayn), il luogo in cui, nel racconto coranico, Mosè incontra il Khidr8; luogo dell’Acqua di Vita o di quella “Bevanda d’immortalità” che, in forme diverse, ritroviamo un po’ in ogni tradizione. Trattandosi di un archetipo mitologico – che non significa beninteso “storia fantastica”, quanto piuttosto “storia 6  Ars Islamica I (1934), pp. 173-182, consultabile alla pagina web http://www. khidr.org/khwaja-khadir.htm. 7  In Études Traditionnelles, n. 224-225 (1938), pp. 304-318, di cui esiste una versione italiana dal titolo “Khwâjâ Khadir e la fontana della vita”, Rivista di Studi Tradizionali, n. 20-21 (1966), pp. 133-148, anch’essa in rete sul sito www. tradizioneiniziatica.org. 8  Cor. 18:60-82.

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simbolica” – non deve sorprendere che gli elementi del racconto siano se non altro analoghi, per non dire identici, a quelli che possiamo riscontrare nelle narrazioni più antiche, e ciò senza che tale convergenza debba essere vista come un tratto che mina la natura rivelata del dato coranico9. L’Acqua di Vita non può trovarsi che in un luogo: il “Centro del Mondo”, ovvero nel punto in cui il nostro stato d’esistenza comunica con gli stati superiori dell’essere. A tale proposito, considerando il rapporto che spesso unisce la funzione del Khidr con quella di Elia, al punto che spesso risulta difficile distinguerli nettamente, non si può fare a meno di riportare quel che Guénon dice a proposito della tradizione rosicruciana su Elias Artista10, colui che è preposto alla “Grande Opera” ermetica. Costui «risiede nella “Cittadella solare”, che è per l’appunto il soggiorno degli “Immortali” (nel senso dei Chirajîvîs della tradizione indù, vale a dire degli esseri “dotati di longevità”, o la cui vita si perpetua per l’intera durata del ciclo)11, e che rappresenta uno degli aspetti del “Centro del Mondo”. Tutto ciò è sicuramente ben degno di ri9  La supposta dipendenza del racconto coranico del viaggio di Mosè al “Punto d’incontro dei Due Mari” e del suo incontro col “servo di Dio” (Khidr) da fonti giudaiche e cristiane sostenuta da A.J. Wensinck, (v. «al-Khadir», in EI2, IV, pp. 935a-938b), è stata confutata da Brannon M. Wheeler, «The Jewish Origins of Qur’ân 18:65-82? Reexamining Arent Jan Wensinck’s Theory», in JAOS 118 (1998), pp. 153-171 e da J. D’Urso, M.S.M. Saifullah e E. Karim, «Is the Source of Qur’an 18:60-65 the Epic of Gilgamesh?», in: www.islamic-awareness.org/ Quran/Sources/BBgilg.html. 10  O Elias redivivus che deve giocare un ruolo escatologico, legato in particolare con l’alchimia o Ars regia, alla fine dei tempi. Su l’Elias artista e i Rosacroce vedere Roland Hedighoffer, Les Rose-Croix et la Crise de la Conscience européenne au XVII siecle, Dervy, Parigi 1998, pp. 211-247. 11  Cfr. L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, cap. I. Ricordiamo anche, dal punto di vista alchemico, la corrispondenza del Sole con l’oro, designato dalla tradizione indù come la “luce minerale”. L’“oro potabile” degli ermetisti è d’altronde la medesima cosa della “bevanda dell’immortalità”, chiamata anche “liquore d’oro” nel Taoismo.

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flessione e, se si considerano anche le tradizioni che, un po’ dovunque, assimilano simbolicamente il Sole stesso al frutto dell’“Albero della Vita”, si comprenderà forse lo speciale rapporto esistente fra l’influenza solare e l’ermetismo, in quanto quest’ultimo, come i “piccoli misteri” dell’antichità, ha per scopo essenziale la restaurazione dello “stato primordiale” umano»12. Lo stato primordiale si situa infatti nel punto in cui l’essere che vi perviene entra in comunicazione con gli stati sopra-individuali, poiché è il punto in cui le possibilità di ordine formale e sensibile s’incontrano con quelle di ordine sovraformale, i “Due Mari” di cui parla appunto il racconto coranico, secondo l’interpretazione che ne dà Ibn ‘Arabī quando parla del barzaḫ, lo stato intermedio: «Il barzaḫ è la più ampia delle presenze e il Punto d’incontro dei Due Mari (majma‘ al-baḥrayn), il Mare dei significati intelliggibili (baḥr al-ma‘ānī) e il Mare delle cose sensibili (baḥr al-maḥsūsāt). Le cose sensibili non possono essere dei significati intelliggibili, allo stesso modo che i significati non possono essere delle cose sensibili. La Presenza dell’Immaginazione [ossia il Mundus Imaginalis], tuttavia, che abbiamo chiamato il Punto d’incontro dei Due Mari, permette che i significati assumano una forma e che le cose sensibili divengano sottili. Essa trasforma l’entità di ciascun oggetto di conoscenza agli occhi dell’osservatore»13. Troviamo la stessa interpretazione in tutti gli autori akbariani; Qāšānī, ad esempio, interpreta il “Punto d’incontro dei Due Mari” come «il luogo dove s’incontrano i due mondi, quello dello spirito e quello del corpo, che sono il mare dolce e salato della forma umana e della Stazione del cuore»14, ossia quel grado di realizzazione spirituale che cor12  R. Guénon, Forme tradizionali e cicli cosmici, Mediterranee, Roma 1974, p. 114. 13  Futūḥāt, III, p. 361; cfr. anche W. Chittick, The Sufi Path of Knowledge, SUNY, Albany 1980, p. 123. 14  Ta’wīlāt, I, p. 766. Un’interpretazione a partire dal commento di Qāšānī

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risponde, nei suoi scritti, al ritorno allo “stato primordiale” di cui parla Guénon. È sempre di una geografia “visionaria”, quella del Mundus Imaginalis o ‘ālam al-ḫayāl, che stiamo parlando15. Nel viaggio coranico di Mosè verso l’Acqua di Vita è dunque sintetizzata la continua ricerca del Paradiso perduto, del ritorno al Centro del nostro stato verso la “Terra dei Viventi”, che è il “Soggiorno d’immortalità”, la “Terra pura”, quella terra di cui ogni “Terra santa” nel nostro mondo non è che un’immagine simbolica, essendo una proiezione terrestre del vero Centro del Mondo16. In ogni tradizione la perdita del Centro, l’allontanamento da questa condizione originale dell’uomo dopo la sua caduta, è simboleggiata dalla scomparsa di qualcosa che sta a indicare la necessità di questo “ritorno” alla condizione originale. I simboli che vi si connettono sono tutti in rapporto con il Paradiso terrestre, oppure con ciò che conferisce la vita immortale, o meglio quella “longevità” inerente alla condizione antecedente alla corruzione corporea, come è il caso della Fontana di Vita che sgorga ai piedi dell’Albero di Vita. È la Fonte di quella Mā’ al-ḥayāt (ebr. mayim hayyiym, gr. udor zoês), l’“Acqua di Vita”, che dà il titolo al nostro testo, quella stessa “bevanda d’immortalità” (ambrosia) che ha il suo equivalente nel compare in M. Lings, «The Qoranic Symbolism of Water», in Studies in Comparative Religion, 2/3 (1968), pp. 124-128, e nel web: http://www.studiesincomparativereligion.com/Public/articles/The_Qoranic_Symbolism _of_Waterby_Martin_Lings.aspx. 15  Vedere H. Corbin, Temple et contemplation, Flammarion, Paris 1981, pp. 285-292, ed anche C. Addas, «The Ship of Stone», in Journal of the Muhyiddin Ibn ‘Arabi Society, XIX (1996), nel numero speciale dedicato a «The Journey of The Heart», e nel web: http://www.ibnarabisociety.org/ articles/ shipofstone.html. 16  Temi ricorrenti negli scritti di R. Guénon; vedere in particolare: Il Re del Mondo, Adelphi, Milano 1977, pp. 51, 66-67, 97, 109, e Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano 1975, pp. 93, 287-289.

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Soma vedico e nell’Haoma della tradizione mazdea17. Dunque, il fine del processo iniziatico che riguarda i “piccoli misteri” è proprio quello del ritorno allo stato primordiale, col recupero per l’essere umano di tutte le prerogative che egli possedeva all’origine del ciclo, tra cui quella “longevità” che tutte le tradizioni attribuiscono agli esseri dei primordi. Tale condizione viene talvolta indicata come la “dimora d’immortalità”18, ma va inteso che si tratta ancora di un’immortalità virtuale, che diventerà effettiva solo col passaggio dallo stato umano a quello incondizionato che costituisce il Fine ultimo di ogni iniziazione. Questo passaggio è la vera “trasformazione” dell’essere; ciò a cui conduce invece il processo ermetico di “trasmutazione” o i suoi equivalenti in altre tradizioni19 è il “senso dell’eternità” e quella durata di vita che può arrivare fino alla “perpetutità” o indefinità ciclica20. La “trasmutazione”, infatti, non è altro che un cambiamento di modalità all’interno della stessa condizione individuale umana e, come tutto ciò che rientra nei “piccoli misteri”, corrisponde a quelle possibilità di ordine extracorporeo la cui realizzazione può essere compresa nel termine “longevità”21.

17  Alle volte al posto di una bevanda troviamo un “nutrimento” e altrove ancora, come nella massoneria, è questione di ritrovare la Parola perduta. Nel cristianesimo medievale il ritorno allo “stato primordiale” è stato simboleggiato dalla Cerca del Graal. 18  O “soggiorno d’immortalità”; cfr. R. Guénon, Il Re del Mondo, cap. VII e Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, cap. XXIII. 19  Come il rāja-yoga hindu o le techniche di alchimia taoista (neidan) per “Nutrire la Vita” (yangsheng). 20  Come nel caso, già accennato, dei Cirajīvīs, degli esseri dotati appunto di “longevità”. 21  Cfr. R. Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, Luni, Milano 1996, p. 322.

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Introduzione

Il nome completo dell’autore dell’opera che presentiamo è Šaraf al-Dīn Dāwūd b. Maḥmūd b. Muḥammad, detto al-Qayṣarī1 il quale visse a cavallo fra il XIII e il XIV secolo e morì nella città di Iznik, in Turchia, nell’anno 1350 (751 h.). Nonostante si tratti di una figura poco nota in Occidente anche nell’ambito degli studi specialistici, Dāwūd al-Qayṣarī rappresenta in realtà una delle personalità di maggior rilievo all’interno della storia del Sufismo, in particolare per quanto concerne la questione della diffusione e rielaborazione dell’opera del grande maestro andaluso Muḥī al-Dīn Ibn ‘Arabī e per il ruolo svolto all’interno della “Scuola Akbariana” nata attorno agli insegnamenti di questa grande personalità e di cui il nostro autore fu uno degli esponenti più importanti. Sarebbe infatti impossibile dare reale conto della storia del Sufismo e dell’evoluzione delle sue forme nei secoli che seguirono la comparsa del “Più Grande dei Maestri”, epiteto attribuito a Ibn ‘Arabī, senza che questa analisi prendesse piede innanzitutto dallo studio della ricezione della sua vastissima produzione letteraria e della reazione che ad essa ebbe seguito2. Dāwūd al-Qayṣarī dunque svolge un ruolo centrale proprio nel momento in cui egli si situa in quella “catena” di mae1  Dove quest’ultimo epiteto talvolta può variare nelle forme di Kayṣerī o Kayṣerilī; altri suoi appellativi sono quelli di al-Rūmī, al-Qaramanī e al-Sāwī. 2  Su questo ultimo punto si veda ad es. D. Knysh, Ibn ‘Arabi in the Later Islamic tradition: The Making a Polemical image in Medieval Islam, Albany, 1999.

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stri che contribuirono in maniera sensibile, attraverso la loro opera, alla sistematizzazione, diffusione e apologia di alcune concezioni espresse da Ibn ‘Arabī, le quali spesso suscitarono clamore e sovente furono osteggiate dalle autorità religiose. L’importanza rivestita dalla personalità di al-Qayṣarī si concretizza, dal punto di vista storico, nel fatto che egli fu il primo maestro a trasmettere e insegnare le dottrine comunemente riunite sotto il nome di Waḥdat al-Wuğūd (Unicità dell’Esistenza) agli albori dell’Impero Ottomano, nonché primo direttore e insegnante di scienze islamiche nell’università appena costituita da Orḫān, figlio di ‘Oṯmān I, ruolo attraverso il quale egli contribuì attivamente alla diffusione delle nuove idee nella penisola anatolica, così come nelle regioni orientali della Dar al-Islam. La vita Della vita di Qayṣarī, come ci ricorda Mehmet Beyrakdar, autore dell’unico lavoro critico sulla biografia e sulle opere dell’autore3, si conosce ben poco. In particolare il primo periodo della sua giovinezza è avvolto nel mistero, in totale assenza di fonti che riferiscano l’anno della sua nascita o il nome della sua famiglia. Per quanto riguarda invece il suo luogo natale, nella maggior parte dei casi viene riportato che egli sarebbe originario di Kayseri4, laddove per 3  Mehmet Beyrakdar è l’autore dell’edizione critica delle opere minori di alQayṣarī: Davud el-Kayseri, er-Resail, Kayseri 1997 (che da ora in poi verrà citata come Resail) e del saggio: La Philosophie Mystique chez Dawud de Kayseri, Ankara, 1990 (in seguito Philosophie). 4  Si tratta di una delle molte città dell’antichità di nome Cesarea; situata in Cappadocia il suo nome è mutato più volte divenendo Qayseriye in Osmanili e poi Kayseri in Turco moderno. Si veda la voce QAYSARIYYA in: EI2, vol. IV, pp. 842-846.

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altri egli proverrebbe piuttosto dalla regione del Qarmān5, o ancora dalla città di al-Sāwa6. Nell’introduzione all’edizione delle Resail7, Beyrakdar propone come possibile soluzione della questione l’ipotesi che la famiglia di Qayṣarī fosse in realtà originaria di al-Sāwa e che fosse stato il nonno di questi ad essere emigrato a Cesarea dove sarebbe quindi successivamente nato il nostro autore. A proposito del suo primo ciclo di studi sembra fuor d’ogni dubbio che esso si sia svolto nella città di Kayseri sotto l’egida del noto sapiente e giurista Sirāǧ al-Dīn al-Armawī (594-682/1198-1283)8. Ed è ancora tramite la relazione sicura di Qayṣarī con questa figura, seguendo la cronologia degli spostamenti di questo istitutore da una madrasa all’altra9, che Beyrakdar tenta di stabilire con una certa precisione la sua data di nascita ponendola tra il 1258 e il 1261 (656/660 h.). Dopo aver concluso questa prima fase di studi Qayṣarī si sposta in Egitto, probabilmente al Cairo, dove rimarrà all’incirca per tre o quattro anni. Di questo periodo “egiziano” della sua vita, in cui egli completa i suoi studi in scienze religiose, ancora 5  Qarmān o Karman è il nuovo nome dato dagli Ottomani all’antica città greca di Laranda, situata nella Turchia centromeridionale, 7 chilometri a sud di Konya, e poi da essa passato a indicare tutto il vasto territorio limitrofo di cui questa città fu per un certo periodo il centro amministrativo. Il nome deriva dall’importante dinastia turca dei Karamanidi che per lungo tempo esercitò il suo controllo su questi territori. Si vedano in proposito la voci KARAMĀNLĪ e KARĀMĀNOGHULLARI in: The Encycopaedia of Islam, Second Edition, Brill Academic Publishers, Leiden 2003, vol. IV, pp. 617-9. e pp. 619-25; da ora in poi abbreviata come: EI2. 6  Questo almeno secondo quanto riferito nella Risāla Nihāyat al-Bayān fī Dirāyat al-Zamān o piuttosto dall’anonimo copista di quest’ultima. Al-Sāwa (antica Sāwaǧ) è il nome d’una città e di un distretto della Persia settentrionale a circa 125 chilometri a Sud-Ovest di Tehran e citata anche da Marco Polo con il nome di “Saba”. Si veda la voce SÂWA in: EI2, vol. IX, pp. 85-87. 7  Resail, p. 7. 8  Ibid., pp. 7-8. 9  Ibid., p. 7.

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una volta non abbiamo nessuna notizia precisa; non sappiamo la data in cui egli vi sarebbe arrivato, né quella del suo ritorno nella città natale, né si hanno notizie su quello che accadde durante il viaggio di ritorno. A questo punto, ritornato in patria ed esaurito per lui con successo il ciclo degli studi “classici”, per Qayṣarī inizia un nuovo percorso, questa volta di tipo spirituale che coincide con la sua entrata nel Taṣawwuf. Il suo maestro fu il famoso ‘Abd al-Razzāq al-Qāšānī (m. 730/1329)10, sebbene sia stata discussa la possibilità, intravista da alcuni, di un suo discepolato anche nei confronti di Ṣadr al-Dīn al-Qūnawī (m. 673/1274)11 il quale era stato a sua volta maestro di Qāšānī. Questo evento, inizialmente ritenuto plausibile anche da Beyrakdar12, è stato successivamente rigettato dallo stesso13 poiché storicamente irrealizzabile in quanto al momento della morte di quest’ultimo Qayṣarī avrebbe avuto solamente 13 anni, oltre al fatto che egli non fa mai menzione in nessuna delle sue opere dell’incontro con Qūnawī, mentre negli stessi testi riserva l’appellativo di “maestro” proprio a Qāšānī14. L’incontro tra Qayṣarī e Qāšānī sarebbe avvenuto a Sāwa probabilmente sulla via del ritorno dall’Egitto, città dove Qayṣarī avrebbe anche soggiornato per un certo periodo prima di ritornare in Anatolia dove, una volta ristabilitosi, egli 10  Per informazioni sulla biografia di al-Qāšānī si veda in questa stessa collana “La domanda essenziale”, parte introduttiva, a cura di A. Grigio, Torino 2001. 11  Sulla vita di al-Qūnawī l’unico lavoro consultabile è l’articolo di W. C. Chittick, “The last Will and Testament of Ibn ‘Arabi’s foremost disciple and some notes on its author”, in Sophia Perennis, N. 4, Spring 1978. 12  Philosophie, p. 14. 13  Resail, p. 8. 14  I rapporti con Qāšānī sono descritti da Qayṣarī nelle righe iniziali del Maṭla‘ dove egli racconta anche come le prime aperture spirituali, ricevute per grazia divina, avvennero prima dell’incontro con il maestro, e che anzi furono proprio queste a spingerlo verso il “servizio” (ḫidma) nei confronti di quest’ultimo.

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avrebbe iniziato a svolgere la sua attività sia come insegnante di scienze islamiche, sia quale maestro spirituale raccogliendo intorno a sé discepoli e acquistando una notorietà al cui apice lo stesso Orḫān Ġāzī, il figlio primogenito dell’emiro ‘Oṯmān, fondatore della dinastia Ottomana, lo avrebbe nominato insegnante e direttore della madrasa di Iznik15, la prima istituzione culturale fondata nel novello impero. Svolgendo questa carica di prestigio egli trascorse gli ultimi quindici anni della sua vita, all’incirca dal 736-7/1336-7 fino alla data della sua morte, che per la maggior parte delle fonti è da situare nell’anno 751/1350 nella stessa città di Iznik, in cui egli fu anche sepolto e dove la tomba si troverebbe ancora oggi situata proprio davanti alla moschea di Çandari Gāzī Ḫayraddīn Paša16. Le opere All’interno della produzione letteraria di Dāwūd al-Qayṣarī l’opera più importante, e quella che certamente ha conosciuto la più vasta notorietà, è l’ampio commentario dei Fuṣūṣ al-Ḥikam (I Castoni delle Saggezze) di Ibn ‘Arabī intitolato Maṭla‘ ḫuṣūṣ alkalim fī ma‘ānī Fuṣūṣ al-Ḥikam17. Questo testo, che nell’edizione 15  Iznik è l’antica Nicea dei Bizantini agognata invano dagli arabi per diversi secoli. Costoro tentarono di conquistarla nelle loro prime campagne contro l’Impero Romano d’Oriente tra 717 e il 725 ma essa cadde in mano musulmana solo molto tempo dopo ad opera di Sulaiman il Selgiukide nel 1081, per poi essere nuovamente riconquistata da una federazione crociato-bizantina nel 1097. Benché alcune fonti riportino la notizia che ‘Oṯmān I avrebbe riconquistato la città, fu probabilmente solo sotto il regno del figlio che essa fu riassoggettata, dopo un aspro e prolungato assedio, nell’anno 1331. La città fu anche scelta da Orḫān per un certo periodo come luogo di residenza. 16  Resail, p. 15. 17  Stampato per la prima volta da due diversi editori a solo un anno di distanza l’uno dall’altro nel 1881 a Bombay da Mīrzā Muḥammad Šīrazī e nel 1882 a

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a stampa conta ben mille pagine, è dedicato al visir ilḫānide Ġiyāṯ al-Dīn Muḥammad (m. ca. 736/1336), grande patrono di studiosi e artisti, nonché figlio del famoso storico e uomo di stato Rašīd alDīn Faḍl Allāh (m. 738/1338). Altri scritti di una certa grandezza sono i commenti a due importanti componimenti poetici di ‘Umar Ibn al-Fāriḍ (576-632/11811235), considerato il più famoso scrittore di poesia mistica in lingua araba, intitolati rispettivamente Šarḥ al-Qaṣīda al-Tā’iyya, “Commento della Grande poesia in rima Tā’” anch’esso indirizzato a Ġiyāṯ e Šarḥ al-Qaṣīda al-Mīmiyya, “Commento della Grande poesia in rima Mīm”, meglio conosciuta come la Ḫamriyya di Ibn al-Fāriḍ e cioè “l’Ode al vino”, commento che invece è dedicato a un ignoto Amīn al-Dīn ‘Abd al-Kāfī b. ‘Abd Allāh al-Tabrīzī18. L’edizione critica dei testi minori, le Resail curate da Beyrakdar, raccoglie invece otto ulteriori trattati. Fra questi sono compresi anche tre scritti che, a rigor di logica, altro non sarebbero che le rispettive introduzioni dei tre testi principali sopraccitati, le quali tuttavia a causa della loro notorietà si erano venute a separare nel corso del tempo e hanno circolato successivamente sotto nomi differenti. È questo il caso dei Prolegomeni al commentario dei Fuṣūṣ, che hanno visto una diffusione anche maggiore del testo da cui furono tratti e che sono conosciuti semplicemente con il nome di Muqaddimāt o, ancora, della Risāla fī ‘Ilm al-Taṣawwuf19 che in principio non Tehran, esso è stato riedito più volte. 18  Quest’ultimo è stato edito e tradotto in inglese da Th. Emil Homerin all’interno del saggio intitolato: The Wine of Love and Life, Ibn al-Fāriḍ’s alKhamrīyah and al-Qayṣarī’s Quest for Meaning, Chicago 2005. 19  La traduzione di questo importante scritto di Qayṣarī è stata curata nel 2003 per questa stessa collana da Giorgio Giurini con il titolo di La Scienza Iniziatica. Si è trattato della prima opera di Qayṣarī ad essere stata presentata in forma integrale al pubblico occidentale, seguita a distanza di due anni dal summenzionato saggio di Homerin.

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era stata concepita se non come introduzione al commento della Tā’iyya e quindi, per finire, dell’opera intitolata Risāla fī Ma‘rifat al-Maḥabba al-Ḥaqīqiyya, nata per essere la prima parte del commento alla Ḫamriyya. Le cinque opere rimanenti, nel novero di quanto pubblicato nelle Resail, sono testi piuttosto brevi che tuttavia, nonostante tale esiguità dal punto di vista materiale, si rivelano altresì di grandissimo valore sotto l’aspetto contenutistico. In esse infatti il nostro autore si dimostra capace di riassumere e concentrare nel breve spazio di poche pagine alcune fra le più complesse controversie dottrinali e teologiche dell’Islam, senza tuttavia che questa concisione comporti alcuna traccia di superficialità nella trattazione, ma apparendo piuttosto una perfetta sintesi dei temi trattati, ottenuta operando sotto l’egida di una visione rigorosamente metafisica della realtà che sarà la caratteristica ricorrente di tutta la produzione di Qayṣarī. Di seguito sono riportati i titoli di questi scritti assieme a una brevissima descrizione dei contenuti. Kašf al-Ḥiǧāb ‘an Kalām Rabb al-Arbāb20. Si tratta di un breve trattato in cui l’autore si propone di fare chiarezza su uno dei temi centrali della teologia islamica in relazione alla natura degli attributi divini. In questo caso specifico il riferimento è alla questione della “Parola” di Dio, identificata con il Corano, sul fatto se essa sia da considerarsi creata o increata e in che senso ciò debba essere inteso. L’aspetto di maggior interesse che rivela chiaramente l’approccio metafisico di Qayṣarī anche a proposito di argomenti teologici è la sua affermazione esplicita, che appare già nelle prime righe, per cui tutte le definizioni apparentemente contraddittorie che sono state formulate sull’argomento dalle varie scuole teologiche corrisponderebbero in realtà tutte al vero, dal quale si discosterebbero proprio nella misura in cui negano alle tesi dei propri avversari ogni legittimità. 20  Resail, pp. 89-104.

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Nel nome di Dio il Clemente il Misericordioso, non v’è forza né potenza se non per mezzo di Dio Altissimo e Sublime. Lode1 a Dio il Munificente, l’Unico, l’Immutabile per essenza, l’Uno, il Solo, qualificato per mezzo della totalità dei nomi e degli attributi, Colui che si manifesta esteriormente (al-mutaǧallī li-l-ẓāhir) in tutti i gradi ontologici e in tutte le presenze2, Vivificatore dei cuori degli gnostici per mezzo dell’Acqua di Vita che sgorga nella Fonte delle Tenebre, Colui che riconduce gli spiriti amati (maḥbūbīn)3 alla Sorgente della Vita tramite la morte volontaria 1  La traduzione dell’opera è stata effettuata basandosi sull’edizione critica di M. Beyrakdar, Resail, pp. 179-192, il quale si è basato su due manoscritti, uno conservato nella biblioteca Nurosmaniye di Istanbul n. 2/2687 e l’altro proprietà della Princeton University Library, n. 1433 New Series. 2  Il termine utilizzato è ḥaḍarāt (sing. ḥaḍra) che nel vocabolario tecnico del Sufismo indica ogni luogo in cui si manifesti il principio (makān al-taǧallī). Secondo questa definizione le “presenze” sarebbero dunque indefinite, poiché ogni ente esistenziato è un’epifania particolare; ciò nonostante esse sono state raggruppate dalla scuola akbariana in cinque classi principali, nelle quali si possono considerare racchiuse tutte le possibilità di manifestazione. Si veda in proposito l’articolo di William C. Chittick: “The Five Divine Presences: from al-Qūnawī to al-Qayṣarī ”, in The Muslim World, LXXII.2, April 1982, pp. 107-128. 3  Si tratta degli spiriti di quei santi che nella letteratura del Sufismo sono de-

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(al-mawt al-irādī)4, Colui che inviò i Suoi profeti e li contraddistinse sostenendoli e conferendo loro il dono di compiere miracoli (al-mu‘ǧizāt)5, Guida per i Suoi santi attraverso varie forme di passione e di rivivificazione spirituale. Preghi Iddio sul nostro signore Muḥammad e sulla sua famiglia con la più bella delle preghiere e il più perfetto tra i saluti e i favori di Dio siano per i suoi compagni, quei che giungono ai gradini più alti, coloro che hanno avuto la vittoria grazie alla più lampante delle prove e delle evidenze, coloro che hanno percorso la Strada dell’Unicità (tarīq al-waḥda) nella molteplicità (fī ‘ayn al-kaṯra) e hanno guadagnato la più eminente delle stazioni e il più intatto dei giardini. Il debole servo Dāwūd b. Maḥmūd b. Muḥammad al-Qayṣarī, speranzoso nella misericordia del suo gentilissimo Signore e nell’immenso perdono divino per lui e per la sua discendenza afferma: Abbiamo constatato la divergenza tra i sapienti – che Dio sia soddisfatto di loro – riguardo agli stati del Khidr – su di lui la pace – i quali si domandano se egli sia un profeta (nabī) oppure un santo finiti appunto come “Amati da Dio” (maḥbūbūn) o “Attratti” (mağdūbūn). Nella classificazione dei vari tipi di santità una delle suddivisioni classiche è quella che giustappone questo tipo di santi che vengono attirati verso Dio per Sua stessa decisione, i quali non effettuano alcuno sforzo sulla via della realizzazione spirituale e i santi che sono invece “amanti” di Dio (muḥibbūn), il cui percorso spirituale è invece costellato di difficoltà. Lo stesso Qayṣarī accenna a questa dottrina in un passo delle sue Muqaddimāt. Su questo punto in particolare e sulla dottrina della Santità e le sue relazioni con la Profezia in Qayṣarī si veda l’articolo di Akira Matsumoto, “Unity of Ontology end Epistemology in Qayṣarī’s Philosophy”, in Consciusness and reality: Studies in memory of Toshihiko Izutsu, Leida 2000. 4  Ma anche: “morte della volontà (propria)”. 5  Questi sono i “miracoli profetici”, una categoria ben distinta da quella dei miracoli riservati ai santi e chiamati karamāt. Si veda in proposito Ibn ‘Arabī, al-Futūḥāt al-Makkiyya, cap. LXXIII e Michel Chodkiewicz, Il Sigillo dei santi. Profezia e santità nella dottrina di Ibn ‘Arabî, p. 111.

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(walī) e, ancora, se egli sia attualmente manifestato esteriormente (mawǧūd fī-l-ḫāriǧ)6 oppure no. L’opinione dei più è che egli sia sempre manifestato esteriormente con il suo corpo composto dagli elementi (ma‘a badani-hi al-‘unṣurī), giacché egli ha bevuto dell’Acqua di Vita che è situata nelle Tenebre, mentre la minoranza è incline a ritenere che si tratti di un profeta che non è però attualmente manifestato esteriormente in una forma individuale. Sennonché coloro che hanno seguito pedissequamente tali opinioni hanno creduto addirittura che le tenebre ricordate nelle tradizioni e nei racconti tramandati fossero dello stesso genere delle tenebre sensibili (al-ẓulumāt al-maḥsūsa) e che l’acqua di cui si parlava fosse del medesimo tipo di questo “elemento acqua” nella sua esistenza materiale che viene bevuta, salvo avere la particolarità di donare l’immortalità; e ognuno di loro ha ragione, ma solo parzialmente7. 6  Questa terminologia è già utilizzata da Qūnawī il quale la impiega per indicare le “entità” o le “cose” nel momento in cui si mutano dalla condizione di “entità non-esistenti” (al-a‘yān al-ma‘dūma), in cui si trovavano in quanto contenute nella Scienza Divina (al-wuǧūd fī-l-‘ilm), divenendo manifestate nel mondo (fīl-ḫāriǧ). Per la questione si rimanda a: William C. Chittick, “Ṣadr al-Dīn Qūnawī on the Oneness of Being”, in International Philosophical Quarterly, xxi.2, June 1981. 7  Quest’ultima affermazione non è nuova all’autore e la si ritrova anche in altri scritti di Qayṣarī. Essa non deriva tanto dal timore di suscitare il malcontento di una delle tante correnti di pensiero, ma è dettata bensì da una motivazione di ordine metafisico. Qayṣarī infatti, come emerge più chiaramente da un’altra epistola dal titolo Kašf al-Ḥiǧāb ‘an Kalām Rabb al-Arbāb, sostiene l’idea che tutte le “versioni” tradizionali di un dato evento e le spiegazioni dello stesso posseggono effettivamente un loro grado di verità. La divergenza tra le varie vedute deriva quindi dalla “parzialità” della verità contenuta nella singola opinione e la possibilità di ricomposizione di tutti i contrari può essere operata solamente a partire dal punto di vista supremo, quello metafisico appunto, l’unico in grado di gerarchizzare i vari gradi di realtà sintetizzandoli in una visone unica e omnicomprensiva. Quest’ultimo è del resto il punto di vista da cui si pone Qayṣarī

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Questo esame è stato compiuto sotto l’egida del più magnifico protettore, il più grande conoscitore della scienza dei pronunciamenti legali e del timor di Dio, colui che guida e indirizza alla rettitudine; il migliore tra i moderni dottori, modello per coloro che ricercano la conoscenza e di coloro che possiedono lo “svelamento intuitivo”; sole nel cielo della verità e quei che illumina i cuori della “Gente della via”; colui che rende gli occhi capaci di guardare attraverso la Luce Divina e colui che osserva le cose per quello che sono realmente; sole della fede, della verità e della religione Muḥammad al-Ṣīrāfī al-Ğīlī8 – che Iddio faccia perdurare la benedizione dei suoi responsi giuridici su coloro che hanno domandato il suo parere e gli doni il successo contro coloro che lo criticano nella vita e nella religione. Ho qui menzionato una parte dei segreti, ai quali ho alluso attraverso queste espressioni senza aver avuto la possibilità di rendere perfettamente, in questo consesso, il significato vero e proprio di tali allusioni. Un tentativo di stabilire i termini di tale questione era indispensabile alla completezza e all’approfondimento dell’analisi e necessario all’integrità del discorso e ciò al fine di recar giovamento ai ricercatori e di compiere l’interesse di coloro che domandano di essere guidati. Mi si è presentata l’occasione di scrivere, a tale proposito, ciò che possiede la facoltà di sollevare i cuori e di svelare tutto ciò che in esso v’era di simbolico e nascosto rendendolo manifesto, sebbestesso ogni qualvolta si accinge alla trattazione di un determinato argomento e depone quale prova lampante della natura e dell’intento che ha ispirato tutta la sua opera. 8  Il curatore dell’edizione critica specifica che nulla si conosce a proposito di questo giudice al quale Qayṣarī dedica l’epistola. Costui è nominato due volte all’interno della trattazione, in questo luogo con il nome di Muḥammad al-Ṣīrāfī al-Ǧīlī e poche righe dopo come Muḥammad b. Maḥmūd b. ‘Abd al-‘Azīz.

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ne questa sia stata, in qualche modo, una mancanza di educazione (sū’ al-adab) nei suoi confronti9. Mi sono accinto a quest’opera di chiarificazione invocando l’aiuto del Vero, Creatore delle creature e Ispiratore di rettitudine e sincerità. Prima di affrontare l’argomento, che è lo scopo vero e proprio della trattazione, ho ricordato delle premesse per mezzo delle quali si manifesta la realizzazione di quest’ultimo e sulle quali si fonda la sua veridicità. La prima di queste premesse riguarda la Profezia e la Santità, la seconda tratta della descrizione dell’Acqua di Vita, la terza analizza le Tenebre e la quarta descrive il modo con cui si procede al loro interno. Chiunque abbia compreso tali significati conosce con certezza la stazione spirituale del Khidr (maqām al-Ḫiḍr) menzionata in precedenza, i suoi segreti gli si svelano, gli si manifestano le sue luci ed egli prende parte alla Vita Vera (al-ḥayāt al-ḥaqīqiyya) e permane immutabile (yabqā) in eterno. Ho intitolato questo scritto “La Conquista dell’Acqua di Vita attraverso lo svelamento dei segreti delle Tenebre” affinché il nome sia conforme a quanto è nominato e la scienza corrisponda al suo significato. Allorquando è stato portato a compimento questo scritto ed è stata sigillata questa esposizione, l’ho nobilitata avvicinandola al petto del più magnifico protettore e il migliore tra i giuristi della terra, colui che riunisce in sé le qualità nobilissime e possiede la totalità dei caratteri più raffinati, assistito da Dio per mezzo del Suo favore e della Sua Guida, sostenuto dal divino aiuto e dalla Sua 9  Questa “mancanza di educazione” si può riferire sia al “segreto” in quanto tale, sia molto più probabilmente al Khidr in quanto soggetto sottointeso della trattazione.

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sollecitudine, colui che nobilita l’assemblea dei giudici con la sua presenza e quella dei suoi incaricati, colui che adorna il consesso della legge islamica (maǧlis al-šar‘) con la sua saggezza e il suo giudizio, vanto della tradizione e verità della religione Maḥmūd, figlio del compianto Qāḍī – ch’egli sia perdonato – fondamento della verità e della religione di nome Muḥammad, figlio del più magnifico protettore e il migliore tra i giuristi del mondo, splendore della religione e della tradizione ‘Abd al-‘Azīz, luce di Dio e mausoleo in cui si raccolgono le eredità delle prime generazioni, colui che moltiplica i buoni caratteri delle generazioni future, assolvendo in questo modo a una parte dei miei debiti nei loro confronti attraverso questo amabile ricordo e ricambiando gli aiuti che da loro mi erano giunti in precedenza con copiosi ringraziamenti. Che Iddio rimeriti loro da parte nostra con la migliore delle ricompense e sia soddisfatto di loro e di noi nel “Giorno dell’Incontro” poiché colui che ha presenziato nel consesso in cui ci si dedica alla ricerca e all’indagine della verità ha potuto osservare che le parole di loro due, padre e figlio, sono sempre le più giuste e atte a essere accettate e confermate. Non v’è forza né potenza se non in Dio, Egli è Colui ch’è invocato in aiuto e a Lui ci abbandoniamo. Prima Premessa: Profezia e Santità Devi sapere che la parola “profezia” (nubuwwa) deriva dal termine “annuncio” (naba’) il quale è una “novella” (ḫabar), oppure dalla parola “fallimento” (nabū) il quale è “rifiuto”, “impossibilità” e “opposizione” (imtinā‘). Entrambi questi significati si ritrovano nel Profeta (Nabī), poiché egli annuncia le novelle di misericordia e i caratteri propri di questa, così come egli si oppone (yamtani‘) alle suggestioni di satana e alle sue tentazioni. 70



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