I Nomi divini e i Profeta alla luce del sufismo

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Questo libro è stampato su carta FSC® In copertina: Il miraj del Profeta (Sultan Muhammad, 1539-43), particolare. ISBN: 978-88-6580-080-5 © Copyright 2015 Edizioni Il leone verde Via della Consolata 7, Torino Tel/fax 011 52.11.790 www.leoneverde.it leoneverde@leoneverde.it


Introduzione

Di ‘Abd al-Karīm al-Ğīlī (1365/767-1409/811), personalità di rilievo nel sufismo, pochi testi sono stati tradotti in lingue occidentali; forse al lettore informato verranno in mente soltanto De l’Homme universel, antologia di brani tratti dalla sua opera principale, curata da Titus Burckhardt – risalente agli anni ’50 del Novecento, in seguito tradotta in italiano – e il recente scritto di Jâbir Clément-François, Un commentaire ésotérique de la formule inaugurale du Qoran. In effetti poco è stato fatto, oltre a questo e a un paio di lavori in tedesco. I Nomi divini e il Profeta alla luce del sufismo – Al-Kamālāt al-ilāhiyya fī al-ṣifāt al-muḥammadiyya, titolo arabo che andrebbe reso più precisamente con Gli aspetti della Perfezione divina nei caratteri di Muḥammad – è di sicuro tra gli scritti più significativi dell’Autore finora inediti in Occidente. Va detto, innanzitutto, che il testo non è certo stato concepito come un’opera introduttiva al sufismo; al contrario, presuppone che il lettore, affinché possa apprezzarne al meglio il valore, abbia una certa familiarità con la trattatistica sufi, con i commentari teologici sui nomi divini e con la biografia profetica; per questo motivo si è cercato di facilitarne la lettura con una corposa introduzione. I Nomi divini e il Profeta alla luce del sufismo rientra, apparentemente, nel filone dei commentari sui nomi divini i quali, è bene ricordarlo, rivestono un ruolo davvero fondamentale nell’Islām e nel sufismo in particolare; sia per la teologia e l’etica, sia per la realizzazione spirituale. Tuttavia l’opera non si limita a questo soltanto. Per il lettore “non specialista”, e per chi fosse interessato a un serio confronto con altre tradizioni e religioni, il testo può essere di grande aiuto alla comprensione della funzione profetica nell’Islām da una prospettiva puramente intellettuale e spirituale. Essa, infatti, appare molto più complessa in confronto a ciò che abitualmente affermano sia alcuni studiosi occidentali sia autori musulmani contemporanei, modernisti e tradizionalisti. Pur partendo da presupposti molto differenti, e il più delle volte inconciliabili, essi tuttavia concordano nel dare importanza quasi esclusiva al carattere pratico, morale e normativo della tradizione islamica, ignorandone o addirittura negandone, da un lato, l’aspetto


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contemplativo e di pura conoscenza e, dall’altro, ammettendo l’esistenza di un “misticismo” islamico, vago e maldefinito, non di rado presentato in termini negativi. Il lettore esperto, invece, potrebbe avere l’impressione che I Nomi divini e il Profeta alla luce del sufismo non aggiunga nulla di nuovo ai concetti che si ricavano da altri trattati già ampiamente noti e studiati, come alcuni scritti di Ibn ‘Arabī e dei suoi diretti seguaci. In realtà non è così. Il testo, a differenza di altri commentari, riassume gli elementi essenziali della teoria sufi; e cioè, in primo luogo, la conoscenza dei nomi divini, da una prospettiva metafisica oltre che teologica; ma soprattutto la riflessione sulla funzione profetica, che rende possibile la realizzazione spirituale dei nomi divini da parte dell’uomo e, infine, l’ottenimento della libertà da ogni restrizione e condizionamento attraverso l’identificazione suprema con il Principio di ogni cosa.

Biografia di ‘Abd al-Karīm bin Ibrāhīm al-Ğīlī Fino a non molti anni fa, per una biografia dell’autore de L’Uomo universale, celebre trattato di sufismo1, sarebbe stata sufficiente qualche riga; le scarne informazioni che circolavano erano spesso congetturali e, in alcuni casi, del tutto erronee. I primi lavori che offrono una biografia più articolata risalgono agli anni ’80 e ’90 del Novecento, e sono il frutto delle ricerche di due studiosi egiziani, Nağāḥ Maḥmūd alĠunaymī2 e Yūsuf Zaydān3. Sebbene il secondo autore appaia più attento del primo nell’uso delle fonti, è soltanto con la tesi di dottorato di Ridha Atlagh, nel 2000, che si ha il primo studio scientifico dei testi4. Più di recente, in un articolo sulla sequela prophetae, Claude Addas ha dedicato alcune pagine alla vita di ‘Abd al-Karīm al-Ğīlī, a mo’ di resoconto del lavoro di Atlagh5; tuttavia, le ha arricchite d’informazioni relative al quadro storico e sociale, servendosi anche di uno studio di Alexander D. Knysh6. 1  In arabo: al-Insān al-kāmil; potrebbe tradursi anche come L’Uomo perfetto. 2  Nağāḥ Maḥmūd al-Ġunaymī, Al-Manāẓir al-ilāhiyya li-šayḫ ‘Abd al-Karīm bin Ibrāhīm al-Ğīlī, dirāsa wa-taḥqīq, Dār al-manār li-l-našr wa-t-tawzī‘, Heliopolis (‘Ayn al-šams) 1987 3  Yūsuf Zaydān, ‘Abd al-karīm al-Ğīlī faylasūf al-ṣūfiyya, Dār al-naḥḍa al-‘arabiyya, Bayrūt 1988; idem, Al-Fikr al-ṣūfī bayna ‘Abd al-Karīm al-Ğīlī wa-kibār al-ṣūfiyya, Dār al-Amīn, al-Haram 1998. 4  Ridha Atlagh, Contribution à l’étude de la pensée mystique d’Ibn ‘Arabī et son école à travers l’œuvre de ‘Abd al-Karīm al-Ğīlī, EPHE, 2000 5  Claude Addas, “A la distance de deux arcs ou plus près, la figure du Prophète chez ‘Abd al-Karīm al-Ğīlī”, 2008. Non terremo conto della più recente tesi di dottorato su Ğīlī di N. Lo Polito (University of Birmingham, 2010) poiché non fornisce dati rilevanti per la biografia; anzi, fatto piuttosto grave, lo studioso pare che abbia totalmente ignorato il lavoro di R. Atlagh risalente a dieci anni prima. 6  Alexander D. Knysh, Ibn ‘Arabi in the Later Islamic Tradition. The Making of a Polemical Image in Medieval Islām, State University of New York, 1999.


7 Poiché la biografia di Ğīlī è stata pressocché interamente riscritta negli ultimi anni, ci è parso opportuno riservarle un capitolo. Abbiamo preferito “far parlare i testi” dando, forse per la prima volta, ampio spazio alla traduzione di stralci autobiografici, con l’intento di tracciare, per quanto possibile, anche una “biografia spirituale”; non mancheranno poi accenni alla storia dei luoghi e all’ambiente culturale in cui l’Autore trascorse gran parte della sua esistenza. Sulla nascita Karīm al-Dīn7 ‘Abd al-Karīm bin Ibrāhīm al-Ğīlī – ovvero al-Kaylānī – nacque il I di Muḥarram 767 dell’Egira, corrispondente al 18 settembre 1365 dell’era cristiana8. Se per la data nessuno ha avanzato dubbi, non è così per il luogo di nascita. Riflettendo l’opinione di Goldziher e Massignon9, Y. Zaydān10 sostiene che Ğīlī nacque a Baġdād. Nel colophon di alcuni manoscritti del Qāba qawsayn, opera di Ğīlī,11 v’è scritto: “[…] l’autore della minuta di quest’epistola è ‘Abd al-Karīm bin Ibrāhīm […] al-Kilānī di nisba12, e al-Baġdādī di origine [aṣl] […]”. Quest’affermazione tuttavia non dimostra che l’Autore fosse nato a Baġdād, in quanto il termine aṣl indica genericamente “origine”, mentre ci si aspetterebbe un’espressione più precisa per indicare il luogo di nascita. Sebbene al-Kīlānī, – al-Kaylānī, ovvero al-Ğīlī – richiami indubbiamente la regione persiana del Ğilān, sulla sponda sudovest del mar Caspio, non ci sono elementi documentari che dimostrino che il nostro autore fosse nato lì; e né – come vorrebbe Y. Zaydān – in un sobborgo di Baġdād chiamato al-Ğīl, dove anticamente si sarebbero insediate genti provenienti dal Ğilān, poiché altrimenti non si spiegherebbero le varianti al-Kīlānī e al-Kaylānī13.

7  È attestato anche l’appellativo Quṭb al-Dīn, lett. “Polo (spirituale) della Religione”, ma è più tardo. 8  Ad esempio: Ḥağğī Ḫalīfa Kašf al-ẓunūn, 1/158; Yūsuf Zaydān (1988 e 1998); H. Ritter, ‘Abd al-Karīm al-Djīlī, EI2; Ridha Atlagh, Contribution…, pg. 10; Claude Addas (2008). Questa data si ricava dai versi 329-330 della qaṣīdat al-nādirāt al-‘ayniyya di Ğīlī stesso, a pg. 99 dell’edizione curata da Y. Zaydān. 9  Goldziher, articolo su Ğīlī in E.I1; Massignon (: 1929). 10  Y. Zaydān, Al-Fikr al-ṣūfī, pg. 29. 11  Come ad esempio in uno conservato presso la biblioteca nazionale del Cairo. In realtà l’informazione che segue è presente anche in altri colophon di altre opere dell’Autore (Atlagh 2000: 11). 12  In arabo, il termine nisba significa “nome di relazione”, cioè un aggettivo derivato da un sostantivo; in particolare, è un elemento dell’onomastica araba, e indica la relazione (a vario titolo) tra l’individuo in questione e un luogo, l’appartenza a una tribù oppure a un popolo, etc. 13  Y. Zaydān, ‘Abd al-Karīm al-Ğīlī faylasūf al-ṣūfiyya, pg. 15.


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La nisba del nostro Autore è stata spesso messa in relazione con quella del celebre maestro del taṣawwuf – cioè il sufismo – ‘Abd al-Qādir al-Ğilānī, morto nel 560/1164. Ridha Atlagh fa notare che in alcuni esemplari manoscritti dell’opera di Ğīlī Al-Kahf wa-l-Raqīm, l’autore viene chiamato “‘Abd al-Karīm ibn sibṭ al-šayḫ ‘Abd al-Qādir al-Ğilānī”14. Sibṭ significa nipote, figlio del figlio (o della figlia): tuttavia non è possibile che ‘Abd al-Qādir fosse il nonno di ‘Abd al-Karīm, dal momento che intercorrono due secoli dalla morte del primo e la nascita del secondo; ma non si può escludere in assoluto che ‘Abd al-Qādir fosse un lontano antenato. Tuttavia sempre R. Atlagh osserva che ‘Abd al-Karīm, quando nei suoi scritti parla di ‘Abd al-Qādir, lo chiama soltanto šayḫunā e non allude mai a legami di sangue: potrebbe darsi che il richiamo allo šayḫ indicasse soltanto il ricollegamento iniziatico alla Qādiriyya15. Certo è che ‘Abd al-Karīm discendeva da una famiglia persiana, sapeva scrivere in persiano, poiché in questa lingua scrisse un’epistola intitolata Il giardino delle conoscenze e la meta dell’iniziato e dello gnostico, non pervenutaci, prima dell’805/1402-316. Più di recente, Ridha Atlagh17 ha rinvenuto nel colophon di un manoscritto dell’opera di Ğīlī Ġunyat arbāb as-samā‘ – ricopiato nel 1066/1655 e attualmente conservato presso la biblioteca dell’India Office a Londra – un componimento poetico attribuito allo stesso autore, il quale afferma di essere nato a Calicut, città sulla costa del Malabar, in India, il primo di Muḥarram 767, equivalente al 18 settembre 1365 dell’era cristiana. Ad oggi, questa è l’unica testimonianza che indica con chiarezza il luogo di nascita dell’Autore. Dall’India allo Yemen. Il noviziato spirituale Nello stesso colophon v’è poi scritto che Ibrāhīm, padre di ‘Abd al-Karīm, si trasferì con il figlio ad Aden quando questi era ragazzo e ivi morì quando era ancora adolescente. Non sappiamo se i due, una volta stabilitisi in Yemen, fossero ancora in contatto con l’India, per ragioni eventualmente legate al commercio, poiché – come si vedrà – ‘Abd al-Karīm continuò a svolgere tale l’attività, almeno fino a un certo periodo della sua vita. A sostegno di questa ipotesi c’è un passo de Al-Insān

14  R. Atlagh, Contribution…, pg. 10. 15  È assodato che ‘Abd al-Karīm fosse ricollegato a quest’ordine sufi, essendo il suo diretto maestro Ğabartī un qādirī, come vedremo più avanti. 16  Perché a questa data risale la compilazione delle Kamālāt, opera in cui l’Autore cita questo trattato scritto in persiano; il titolo originale è Ğannat al-ma‘ārif wa-ġāyat al-murīd wa-l-‘ārif. 17  Contribution…, pp. 20-21.


9 al-kāmil18 in cui l’Autore afferma di trovarsi nel 790/1388 a Kochi [Kūšī], – importante città portuale già nel medioevo, che attualmente fa parte dello stato del Kerala, nell’India sudoccidentale – quando aveva poco più di vent’anni. Lì, un giorno, incontrò un uomo che aveva ucciso tre notabili del luogo, uno dopo l’altro, pur essendo consapevole della pena che gli sarebbe stata inflitta. L’uomo, ormai prossimo al patibolo, attirò l’attenzione di Ğīlī, il quale lo interrogò sul motivo delle sue azioni apparentemente sconsiderate; questi gli rispose che avrebbe tratto il più grande piacere della sua esistenza nel subire la pena a cui sarebbe andato incontro di lì a poco. L’Autore ricorda quest’episodio quando illustra i vari gradi dell’inferno, e il godimento che alcune anime infere traggono dalle sofferenze causate dal fuoco, per dimostrare che, in una prospettiva universale, tutte le anime, anche quelle dannate, partecipano della Misericordia divina, la quale è superiore alla Collera, perché anch’esse non possono altro che far ritorno a Dio; la differenza con le anime beate è che quest’ultime sono più vicine al Principio, laddove quelle infere sono più distanti, e tale lontananza è il motivo del patimento delle pene infernali. Fin dalla prima giovinezza, Ğīlī fu attratto dalle realtà spirituali e dimostrò di avere la giusta propensione per quest’ordine di cose, realizzando gradi contemplativi e frequentando l’ambiente del taṣawwuf. Nei suoi testi si fa menzione in modo piuttosto generico degli ayyām al-bidāya, “gli inizi”, ovvero “il periodo del noviziato spirituale”, quando vengono descritti accadimenti autobiografici che vanno dall’adolescenza fino ai trent’anni. Nel trattato Al-Manāẓir al-ilāhiyya, raccolta di centouno visioni teofaniche che possono manifestarsi a coloro che percorrono la via spirituale, Ğīlī afferma che nel 783/1381, quando aveva appena sedici anni, realizzò: «Il grado contemplativo del versetto “e non v’è cosa che non n’abbiamo tesori presso di Noi” (Cor. 15: 21)»; in questo “orizzonte”, o visione spirituale «Dio – sia esaltato! – si manifesta al servo svelandogli le Chiavi dell’Arcano [mafātīḥ al-ġayb], che ha riposto nell’Uomo perfetto. Con quelle Chiavi (il servo) accede all’arcano della sua essenza, insinuandosi nei forzieri del Regno celeste, e ivi osserva i segreti dei nomi divini, e del mondo informale, conosciuti da Dio soltanto. Allora (il servo) apprende la realtà essenziale delle parole dell’Altissimo “e non v’è cosa che non n’abbiamo tesori presso di Noi”. Colui al quale Iddio si manifesta, in questo orizzonte spirituale, partecipa con la sua essenza (alle realtà che sottendono ai) simboli del mondo; ogni minima parte del mondo del suo ricettacolo formale, con tutto quel che v’è in esso, corrisponde alla realtà spirituale di uno dei possibili mondi della manifestazione. Se egli intende governare questo mondo o esser causa del suo moto, agisce da sé sul simbolo, che rappresenta lo spirito di questo mondo; si muovono le parti che costituiscono tale mondo, il mondo

18  I riferimenti che diamo sono tratti, per questioni di praticità, dalla seguente edizione: al-Ğīlī, Al-Insān al-kāmil fī ma‘rifat al-awāḫir wa-l-awā’il, Dar al-kotob al-ilmiyyah, Beirut 1997, capitolo 58, pg 189.


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dell’Attestazione, del Regno e il mondo angelico, mediante il movimento esercitato su quel simbolo, poiché il corpo segue lo spirito. […] Realizzai questo grado contemplativo nell’anno 783. Il limite di tale grado è il suo legame indissolubile con la realtà dei simboli: in tale orizzonte contemplativo, infatti, si agisce sul creato attraverso il creato19, laddove l’unico reale vanto risiede nel muovere il mondo in Dio – sia esaltato! Questo è il velo di chi appartiene a tal grado, se costui si limita all’esteriore. Ma Iddio ne sa di più»20. Altrove, sempre in Al-Manāẓir al-ilāhiyya, Ğīlī scrive – riferendosi genericamente agli ayyām al-bidāya, il noviziato spirituale – di aver realizzato: «Il grado contemplativo del “piacere che pervade [al-laḏḏa al-sāriya]”», nel quale «il Vero – sia esaltato! – s’irradia mediante una teofania in cui vengono svelate al servo le realtà divine. Al servo si manifesta di Dio ciò che (in precedenza) non era stato preso in considerazione, e gli vien donato ciò che non v’è nel cuore dell’uomo (considerato come individuo, “Io“): egli dunque prova – poiché svela i mondi di quelle realtà divine da sé stesso [min nafsih] – un piacere che permea e s’impossessa delle membra e di tutte le sue parti, al punto che il servo cade in deliquio a causa della veemenza di questo piacere; un piacere percepibile ed esistente, sebbene non ve ne sia altro che gli assomigli, o che soltanto gli si avvicini, tra i piaceri conosciuti. In questa visione spirituale, mi celai al mondo dell’esistenza, e mi furono svelati i mondi dei nomi e degli attributi e della loro modalità nel mondo dell’Essenza. Trovai che ogni atomo della mia esistenza possedeva conoscenze della (divina) Perfezione la quale non è possibile spiegare a parole. Ottenni dai mondi corrispondenti a ciascun nome, attributo, idea trascendente e grado (conoscenze) che non hanno fine. Quando trovai quel che trovai, m’immersi in un piacere divino, finché assaporai una realtà sensibile, per la quale lo spirito quasi venne meno. Quando feci ritorno al mondo degli esseri esistenziati, (quella realtà sensibile) si realizzò in una realtà contingente [ḥadaṯa fī ḥādiṯ] e – non essendo all’epoca che un novizio sulla Via, ero obbligato a informare di quel che mi capitava un uomo che conoscevo tra gli iniziati [ahl Allāh] – quando narrai l’evento, mi disse “il sopraggiungere della realtà contingente (costituita dall’evento) è causato dal permanere della condizione umana individuale. Tuttavia, esso è indice dell’autenticità (dell’ottenimento) di questo grado contemplativo”. Quanto al limite di questo grado: il servo prova questo piacere21 necessariamente, e il suo caratterizzarsi con esso, in quanto necessità (intesa come costrizione), è un difetto, poiché colui che è costretto non partecipa alla Potenza divina, che invece è attributo dello gnostico. Questo velo non può essere sollevato, poiché è effetto della permanenza dell’umanità (individuale) […]»22.

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Poiché anche la realtà simbolica appartiene alla creazione. Al-Manāẓir al-ilāhiyya, manẓar 99, pp. 261-262. Descritto sopra dall’autore. Al-Manāẓir al-ilāhiyya, manẓar 63, pp. 200-201.


11 Sempre in questi anni gli venne rivelato di essere il “beneamato da Dio”, quando si trovò nel «Grado contemplativo del divino Colloquio [al-mukālama], (dove) il servo ode le parole del Vero – sia esaltato! – con l’udito di Iddio l’Altissimo. Il colloquio avviene con tutto il suo corpo e il suo cuore; il servo, nella sua interezza, prende parte all’ascolto. In questo orizzonte divino, il servo s’appropinqua (al suo Signore), e vien portato alle presenze dell’Elezione divina23; […] in questo grado mi celai, a me stesso, prestando udito con tutto il mio essere – anzi, mediante (l’udito di) Iddio l’Altissimo – quando ero ancora un novizio [mubtadi’] sulla Via. Dunque udii: “ehi tu, uomo! Tu sei il Nostro beneamato, prediletto [maḥbūbunā]; quelli (che sono sulla Via) sono essi ad amarCi e ricercaCi, Noi, invece, ti amiamo e ti ricerchiamo!”. Quando feci ritorno al mondo dei sensi, avvertii l’arsura di chi è molto assetato, a causa del permanere in me delle tracce del godimento (spirituale) che avevo esperito in quello stato24, così che – secondo il volere di Dio – sedetti e presi a mangiare e bere. […] Il limite di questo grado è che il divino Colloquio, come qualsiasi genere di contemplazione ad esso riconducibile, non avverrà che attraverso un velo [ḥiğāb]; non è possibile ottenere la visione contemplativa e il Colloquio in un unico stato. La ragione sta nel fatto che la visione implica l’estinzione e l’annullamento, laddove il Colloquio implica l’esistenza e la permanenza; dell’essere in questione [al-šaḫṣ] permane ciò che rende possibile l’ascolto. Il Colloquio non avverrà dunque che dietro un velo; l’Altissimo ha detto: “a nessun uomo Iddio può parlare altro che per rivelazione, o dietro un velame […]” (Cor. 42: 51)»25. In Al-Kamālāt al-ilāhiyya26, il giovane mutaṣawwif, cioè iniziato al sufismo, ottiene la consapevolezza dell’incapacità di comprendere la divina Essenza, la quale non può essere in alcun modo definita o limitata, essendo la definizione e la limitazione necessarie affinché “un qualcosa” possa essere effettivamente “compreso”. ‘Adam al-idrāk idrāk – e cioè “l’impossibilità di comprendere è già comprensione” – diceva Abū Bakr: questa attestazione d’impotenza, rovesciata in positivo, non è altro che l’attestazione della Perfezione e dell’infinità divine. Essere consapevole di ciò ingenera uno stato di stupore e di perplessità caratteristico [ḥayra], come Ğīlī ben descrive: «Vidi in un sogno, agl’inizi del cammino iniziatico, me stesso tirar frecce a una gazzella. Lanciai la prima, fallii; lanciai la seconda, ma lo stesso non vi riuscii; lanciai una terza freccia, e mancai nuovamente la preda. Quando mi svegliai ottenni un insegnamento spirituale immenso. Raccontai la visione ad alcuni santi, i quali mi 23  Al-ḥaḍārāt al-iṣṭifā’. Tuttavia al-Ġunaymī, che ha curato l’edizione del testo, riporta nota (3, pg. 122), che è altresì possibile leggere al-ḥaḍārāt al-iṣṭilām, ovvero “le presenze conseguenti dal rapimento (estatico)”. Si è preferita la prima lettura. 24  Il termine arabo haymān,utilizzato in questo passo, designa infatti sia l’esser arso dalla sete che perduto d’amore. 25  Al-Manāẓir al-ilāhiyya, pp. 122-124. 26  Al-Ğīlī, Al-Kamālāt al-ilāhiyya, ff. 58a-58b dell’edizione eseguita da R. Atlagh sulla base del manoscritto autografo custodito presso la biblioteca nazionale del Cairo (n° 18454).


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dissero: “Hai visto la questione nella sua realtà. L’Inviato di Dio ha, infatti, detto: ‘delle Tue lodi non ho contezza’; se è così per la realtà di Muḥammad – e cioè che la realtà della lode non consiste nel cogliere (l’Essenza divina) – come vorresti tu colpire quella gazzella?”. Mi raccontarono di aver avuto una visione analoga ma sotto sembianze differenti; me la descrissero, poi mi dissero: “In fine, regnano lo stupore e l’impedimento: questa è la realtà della perfezione, per coloro che sanno”». Dopo l’India e Aden, Ğīlī si trasferì a Zabīd, importante città della Tihāma, la piana costiera yemenita che si affaccia sul mar Rosso. Tra il 790/1388 e il 798/1395 si recò in visita a uno maestro locale, Ibn al-Mukdiš, che morì proprio nel 798/1395. Le Manāẓir al-ilāhiyya ci forniscono una descrizione del grado in cui si trovava questo maestro: «(nella) visione dello stupore [al-baht], (quando) Iddio l’Altissimo si svela al servo, il suo cuore svanisce, il suo intelletto vien meno, le sue conoscenze s’annientano; il servo trasecola, rapito, (alla visione) delle luci della presenza del Vero – sia esaltato! […] Ai migliori (degli appartenenti a questo grado) Iddio preserva l’intelletto dallo svanire, ma li lascia attoniti: se porrai loro domande, non potranno risponderti, se gli parlerai non saranno in grado d’interloquire. Tuttavia l’impedimento riguarda soltanto la capacità d’agire, non è effetto dello svanire dell’intelletto. […] In questo grado contemplativo, riconobbi uno degli šayḫ del paese chiamato al-Anafa, l’illustre dottore della Legge e gnostico Ğamāl al-dīn Muḥammad bin Ismā‘īl bin al-Mukdiš, che morì nell’anno 798 in quello stesso paese. Vidi molte delle benedizioni (che Dio concesse a) quest’uomo, quando, agli inizi (del cammino spirituale), gli facevo visita […]»27. Se appare evidente che Ğīlī, fino a questo punto, fu in contatto con maestri del sufismo e santi non ben identificabili, realizzando dei gradi contemplativi, tuttavia fu a Zabīd che incontrò il suo vero maestro, Šaraf al-dīn Ismā‘īl b. Ibrāhīm al-Ğabartī – presumibilmente tra il 790/1388 e il 796 (1393-94) – il quale segnò profondamente la sua biografia; attraverso questi, immagine riflessa del Profeta, Ğīlī ebbe accesso alla pienezza della realizzazione spirituale. T. Burckhardt traduce, da Al-Insān alkāmil, le parole di Ğīlī sul suo maestro: «[…] l’Uomo universale è il polo attorno al quale si volgono le sfere dell’esistenza, dalla prima all’ultima; egli è l’unico finché continua l’esistenza […] tuttavia, assume differenti forme e si rivela con culti diversi, in guisa da ricevere molteplici nomi […] in ogni epoca, ha il nome corrispondente all’abito del momento. In cotal modo l’ho incontrato nella forma del mio maestro Šaraf al-dīn Ismā‘īl al-Ğabartī; non sapevo che fosse il Profeta; lo vedevo come il maestro […] simile a un sogno quando si vede qualcuno nella forma d’un altro […] salvo che vi è nondimeno molta diversità tra gli stati di sogno e di veglia […] ma non credere che nelle mie parole vi sia allusione alla metempsicosi […]»28. Tuttavia nella traduzione di questo passo, Burckhardt omette un’affermazione rilevante, per

27  Al-Manāẓir al-ilāhiyya, manẓar 98, pp. 259-260. 28  Titus Burckhardt, L’Uomo universale, traduzione dal francese di G. Jannaccone, Edizioni mediterranee, seconda edizione 2004, pg. 36. Per il testo arabo: Al-Insān al-kāmil, II, pg. 210.


13 il nostro discorso, quando Ğīlī dice: «[…] questo fa parte dell’insieme dei gradi contemplativi che ottenni a Zabīd nell’anno 796 (1393-94)[…]». Da questa data almeno, disponiamo di diverse testimonianze autobiografiche le quali documentano che Ğīlī frequentò la confraternita guidata dal carismatico maestro Ğabartī e prese parte abitualmente alle sue audizioni spirituali collettive (samā‘). Sempre nel 796-797 (1393-95)29, dunque, partecipò a un samā‘ tenutosi di notte presso il cimitero della moschea di Ğabartī a Zabīd. Quando un discepolo lì presente recitò il versetto «Sette Ripetuti ti demmo e la sublime Lettura»30, Ğīlī ne intuì il significato esoterico. I “sette Ripetuti” alludevano alla caratterizzazione del Profeta con i sette attributi della Persona divina, e cioè la Vita, la Scienza, la Volontà, la Potenza, l’Udito, la Vista e la Parola. Inoltre, egli vide che Muḥammad era «l’Essenza stessa celata nell’ipseità delle realtà non-manifestate [ġaybiyyāt]. A questo allude il versetto con le parole “la sublime Lettura”31. In verità, la “Lettura” non ha limiti; ogniqualvolta gli “eredi” – gente della “lettura della realtà (suprema)” – la compiono dall’Essenza di Dio l’Altissimo, essa equivale all’essenza stessa di Muḥammad. A ciò allude il detto: “La gente del Corano è la gente di Dio e i Suoi eletti”; rifletti! Egli è il mistero dell’ipseità dell’Unità; gl’inviati, i profeti e gli eredi recitano il mistero del sé di Muḥammad in Dio. Tale è il senso ultimo della funzione mediatrice tra il mondo e 32 Dio; e a ciò alludono le sue parole: “Io provengo da Dio e i credenti da me”» . Da notare che la radice di maṯānī “ripetuti”, è la stessa di ṯanā’, elogio o lode; questo secondo termine richiama, per affinità semantica, i nomi del Profeta: Muḥammad, Aḥmad, Maḥmūd, al-Ḥāmid i quali tutti derivano da al-ḥamd, la lode; egli è anche al-Ḥamīd, il Degno di lode33. Sono in numero di cinque; va aggiunto che – secondo alcune tradizioni – l’Inviato di Dio ha il vessillo della lode, e che Dio l’ha fatta discendere su di lui. Se si riflette, poi, sul termine maṯnā, singolare di maṯānī, si può meglio comprendere la portata simbolica dell’affermazione dell’Autore. Questa parola, infatti, si accosta all’ebraico mišnā “ripetizione”, testo sacro ripetuto34: in accordo a questa interpretazione, Bausani rende il versetto a cui si è fatto accenno sopra con: «E sette Sacri Testi ti demmo e la sublime Lettura». 29  Secondo quanto afferma R. Atlagh (2000: 41); tuttavia, sia nell’edizione della Dar al-kotob al-ilmiyyah (2003: 27)) che nella traduzione di Jâbir Clément-François (2002: pp. 237-238), è riportata come data il 799 (1396-97). Riteniamo più corretta la prima. 30  Corano 15:87. 31  In arabo, “Corano” equivale a “lettura”, in tal caso l’espressione “la sublime Lettura” può tradursi – ed anzi, è proprio questo il senso più comune – con “il sublime Corano”. Abbiamo preferito la prima traduzione perché permette di capire meglio il discorso dell’Autore. 32  Al-Kahf wa-l-Raqīm, pg. 27 dell’edizione della Dar al-kotob al-ilmiyyah. 33  Questo è un nome divino che il Profeta ha realizzato e attualizzato, come si avrà modo di vedere nel terzo capitolo di quest’opera di Ğīlī. 34  Riprendiamo queste parole dal commento al Corano di Bausani (nota XV, 87).


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Introduzione

I “sette Sacri Testi” rappresentano gli attributi della Persona divina e la “sublime Lettura” l’Essenza divina. Il simbolismo che lega i testi sacri alle realtà divine dà luogo a considerazioni interessanti; ne ricorderemo soltanto alcuni: la sublime Lettura, ovverosia il Corano, è la sintesi dei testi sacri precedenti, così come l’Essenza divina assomma in Sé gli attributi della Persona; il Corano poi – secondo una tradizione tramandata da ‘Ā’iša – è l’indole stessa del Profeta35; per questo l’Inviato di Dio sintetizza tutte le Perfezioni divine, laddove gli altri profeti hanno manifestato soltanto alcune di esse. Quest’ultima affermazione è resa in modo simbolico dall’ascesa di Muḥammad ai sette Cieli, i quali rappresentano le stazioni degli altri profeti. In un passo de Al-Insān al-kāmil36, illustrando la via [al-ṣirāṭ] per ascendere agli stati spirituali [al-‘urūğ] – opera del Misericordioso, che ha come supporto la riflessione sulle forme tratte dal mondo dei sensi – Ğīlī mette in guardia i lettori dall’esistenza di un’altra possibile “ascesa”, in apparenza simile alla prima, ma che in realtà è sulla via di Satana la quale, invece di condurre alla Verità, è causa delle più nefaste delle illusioni per lo sventurato che la percorre; nel fare ciò, riporta un evento drammatico: «[…] ero naufrago in quel vasto mare, e l’onda nefasta che muoveva dall’abisso fu sul punto di uccidermi quando, quel giorno, nel mentre d’un samā‘ a Zabīd, nell’anno 79737, a casa di nostro fratello lo šayḫ al-‘ārif Šihāb al-Dīn Aḥmad alRaddād, alla presenza del nostro šayḫ, Maestro del mondo38, Polo perfetto, l’Illustre che realizza il Vero, Abū al-ma‘rūf Šaraf al-dīn Ismā‘īl bin Ibrāhīm al-Ğabartī, urlai con tutta la mia voce “Mio Dio, in Te cerco rifugio dalla scienza che fa perire [al-‘ilm al-muhlik]! Afferrami o mio signore, afferra (e salvami)!”. In quel samā‘ lo šayḫ mi sorvegliava con la consapevolezza di chi ha il pugno della situazione; Iddio mi portò, con l’influsso spirituale che gli aveva accordato, sulla scala dell’ascensione autentica [al-mi‘rāğ al-qawīm] che è sulla Via retta [al-ṣirāṭ al-mustaqīm] “il Sentiero di Dio, al quale appartiene quel che è nei cieli e quel che è sulla terra; non è a Dio che tutte ritornan le cose?” (Cor. 42: 53)». La stesura del suo primo trattato39, di cui abbiamo notizia certa, fu eseguita a 35  Tale affermazione allude alla realizzazione e all’attualizzazione del Verbo divino nel Profeta; ne farà accenno Ğīlī nel terzo capitolo di questo libro. 36  Cap. LVI, pp. 174-176. 37  Corrispondente al 1394-95 d.C. 38  Si noti, a puro titolo di curiosità – ma il fatto forse potrebbe dar luogo ad approfondimenti di un certo interesse, essendo tra l’altro probabile che Ğabartī avesse una lontana origine abissina – che l’appellativo “Maestro del mondo”, ustāḏ al-duniyā, richiama quello dato ai santi della tradizione cristiana d’Abissinia: memhəre ‘ālem, in lingua ge’ez, significa appunto “il Maestro del mondo” (anche se non va sottaciuta, almeno per l’arabo, la sostanziale differenza tra la parola dunya, “questo mondo”, e ‘ālam, “mondo” in generale); un esempio è san Tekla Haymanot del XIII secolo, riconosciuto anche dalla Chiesa cattolica. Con questo, però, non intendiamo alludere ad alcun tipo di “prestito”, alquanto inversimile. 39  La cronologia degli scritti è stata ricostruita secondo due parametri: le date del completamento di alcune opere, fornite dallo stesso Autore, e la concatenazione logica delle citazioni


15 Zabīd nel 798/1395 ed è Al-Kahf wa-l-Raqīm fī šarḥ bi-smi-Llāh al-Raḥmānī alRaḥīm, tradotto alcuni anni fa da Jâbir Clément-François col titolo Un commentaire ésotérique de la formule inaugurale du Qoran; come suggerisce la traduzione francese, è un commento alla basmala (= bi-smi Llāh)40, formula che apre il Corano, secondo la scienza tradizionale delle lettere. Premessa l’esattezza dell’analogia tra macrocosmo e microcosmo, l’espressione “nel nome di Dio” racchiude in sé virtualmente tutte le realtà della creazione, che procedono dal fiat divino. Nell’opera sono inoltre presenti in nuce i temi principali esposti in opere successive come Al-Insān al-kāmil e Al-Kamālāt al-ilāhiyya, come ad esempio la dottrina dell’intermediazione profetica tra il creato e le realtà divine. È noto che Ğīlī compì il pellegrinaggio a Mecca almeno due volte. All’epoca del primo, egli non aveva ancora raggiunto la piena realizzazione spirituale. Quanto agli aspetti particolari della sua vita privata e quotidiana, si conosce davvero molto poco: ci è noto soltanto che svolse l’attività di mercante per sostenersi fino a quel momento41 e che ebbe, in un momento imprecisato della sua esistenza, un figlio che chiamò ‘Umar, come vedremo più avanti; null’altro sappiamo sulla sua vita familiare. Il primo pellegrinaggio, dunque, risale al 799/1397: durante il tragitto per mare – che evidentemente trattasi del mar Rosso – gli capitò un evento singolare. Il capitano dell’imbarcazione aveva in odio i sufi; venuto a sapere della presenza di alcuni di essi a bordo, tentò in ogni modo di abbandonarli su di un’isola per impedire loro di giunger in tempo a Mecca per compiere il pellegrinaggio. A causa dell’increscioso contrattempo, Ğīlī era agitato e spazientito; ma ad un tratto, una voce soprannaturale gli suggerì un’invocazione rivolta al nome divino al-Kāfī, Colui che basta al Suo servo, spronandolo così a confidare nella Provvidenza, la quale, in seguito a quest’invocazione, fece mutare in positivo l’atteggiamento del capitano verso i sufi e Ğīlī in special modo. Giunto a Mecca in tempo per il pellegrinaggio, entrò in contatto con alcuni maestri lì presenti, i quali lo interrogarono sul nome divino supremo, come è riportato in un passo de Al-Insān al-kāmil42. Ricevette la ḫirqa, il mantello simbolo dell’investitura iniziatica, da un rappresentante della Šištiyya; infine, sulla via del ritorno, quando si trovava sulla costa di Yanbū‘, a ovest di Medina, vide due angeli i quali gli comunicarono che la sua vera méta non era la ricerca dei nomi, bensì l’Essenza divina43.

delle opere di Ğīlī in ogni suo scritto. Menzioneremo soltanto le opere a noi pervenute, che sono undici, secondo R. Atlagh (2000: 28). 40 Letteralmente: “Nel nome di Allāh”. 41  Questi dati li ricaviamo da Atlagh (2000: 22-23), in quanto non ci è stato possibile controllare direttamente il manoscritto arabo di al-Ğīlī Ḥaqīqat al-Ḥaqā’iq (fol. 34b). 42  Al-Insān al-Kāmil, pg. 101. 43  Ḥaqīqat al-ḥaqā’iq, folio 37a -38b. Anche questo dato lo abbiamo ricavato da Atlagh (2000: 23).


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Introduzione Gli anni della maturità

Con queste “aperture spirituali”, Ğīlī, ormai trentaduenne, fece ritorno a Zabīd. Nel sessantaduesimo capitolo de Al-Insān al-kāmil44, nell’illustrare le realtà spirituali dei sette cieli, l’Autore mostra di aver compiuto quel che può definirsi “un’ascensione celeste”, in arabo mi‘rāğ, come testimonia il suo incontro con profeti ed esseri angelici; abbiamo la data che segna la sua ascensione al cielo più basso, che separa la Terra dalla Luna, il grado contemplativo della realtà spirituale del dunyā, quando dice: «[…] mi trovavo a Zabīd – era il mese di rabī‘ al-awwal dell’anno 800 dell’Egira del Profeta (novembre-dicembre 1397 d.C.) – quando vidi tutti gli inviati e i profeti – le preghiere di Dio e la Sua pace su di loro tutti! – assieme ai santi, gli angeli elevati e ravvicinati, e gli angeli preposti al governo (del mondo inferiore) [al-tasḫīr], e vidi la realtà spirituale [ruḥāniyya] di tutti gli esseri esistenziati, scoprii le realtà essenziali delle cose come sono in loro stesse dal principio e per sempre, realizzai alcune delle scienze divine, ma il mondo è troppo limitato perché ne possiamo far menzione; in questo grado contemplativo fu quello che fu»45. Non oltre l’802/1400-1, terminò la redazione del suo trattato principale e di gran lunga più celebre: Al-Insān al-kāmil, compendio della teoria metafisica dell’Uomo perfetto (o universale), dottrina a cui faremo più ampio rifermento nel secondo capitolo introduttivo. L’opera consta di sessantatré capitoli. Per meglio riassumerne il contenuto, possiamo considerare il testo in quattro sezioni distinte. Nei primi capitoli vengono forniti i principali concetti del fondamento metafisico della dottrina sufi, ovverosia l’Essenza, i nomi e gli attributi divini, lo svelamento degli atti divini; modalità e potenzialità della conoscenza umana. Nella seconda parte l’Autore affronta l’aspetto della manifestazione del Verbo divino: vengono illustrate le modalità di rivelazione e le forme che, storicamente, ha assunto. L’Autore, dunque, si sofferma a descrivere le peculiarità delle cosiddette “religioni del Libro”, e cioè Ebraismo, Cristianesimo e Islām. Nell’ottica dell’Autore, sono tutte in essenza tradizioni regolari, sebbene le prime due abbiano dato luogo a “deviazioni”, complementari e speculari: la “forma” che l’Ebraismo ha storicamente assunto ha prodotto, attraverso la distinzione ontologica tra il Divino e l’uomo, un dualismo inconciliabile con la dottrina dell’unità metafisica dell’Essere, laddove il Cristianesimo storico, razionalizzando teologicamente il concetto di manifestazione del Divino nel Cristo, ha di fatto limitato l’Essenza divina alla forma umana, o meglio, ha fatto sì che i comuni fedeli adorassero Dio limitatamente a tale forma. Per l’Autore, dunque, l’Islām rappresenta una sintesi tra queste due opposte tendenze; beninteso, per “Islām” s’intende la tradizione islamica nel suo complesso, in cui l’es44  Pp. 228-252. 45  Al-Insān al-Kāmil, pg. 232.


17 soterismo religioso è in armonico equilibrio con l’aspetto più propriamente spirituale ed esoterico. La terza parte è dedicata alla cosmologia; essa non è considerata come un complesso di nozioni, ovvero un sistema autosufficiente, separato dalla realtà universale, ma come il terreno simbolico delle realtà divine, poiché tutto è manifestazione divina, sia pur in modo limitato e diretto. Viene illustrata la gerarchia dei gradi di manifestazione, da quelli informali, come il Trono divino e le realtà angeliche, a quelli che invece assumono una forma definita, ovverosia gli esseri che appartengono al cosmo. Ogni grado svolge un ruolo “agente” rispetto a quello immediatamente inferiore, considerato passivo; il primo è principiale, almeno in modo relativo, in rapporto al secondo. La trattazione abbraccia sia il macrocosmo che la realtà microcosmica dell’uomo, il primo non essendo che una “traduzione” esteriore di realtà che si ritrovano virtualmente in quest’ultimo. L’ultima sezione consta di un capitolo che, affrontando direttamente il tema dell’Uomo Universale, riassume tutti gli altri precedenti, e di un’appendice finale, di tre capitoli, in cui vengono analizzati i segni dell’Ora e alcuni aspetti dell’Aldilà, il simbolismo astronomico e, infine, alcune considerazioni sui simboli di alcuni riti religiosi, islamici e non, e considerazioni sulle religioni in generale. Tale scritto è successivo ad Al-Bawādir al-ġaybiyya fī al-nawādir al-‘ayniyya, lungo componimento poetico di oltre cinquecento distici46. L’Autore compì il pellegrinaggio una seconda volta. Nelle Kamālāt al-ilāhiyya47 è infatti riportato che il 24 del mese del pellegrinaggio 802/1400 Ğīlī era presso la tomba del Profeta a Medina, quando ebbe la visione contemplatva in cui gli appariva chiaro che Muḥammad realizza la qualità della Divinità in modo perfetto. Dopo poco più di un mese (ṣafar 803/settembre-ottobre 1400), a Damasco, ottenne la stazione della servitù perfetta [maqām al-‘ubūda]48. A Ġazza, il I di rabī‘ al-awwal/20 ottobre dello stesso anno, ricevette l’ordine divino di compilare l’opera Al-Kamālāt al-ilāhiyya49, l’opera che abbiamo tradotto in questo libro. Dalla Palestina si spostò in Egitto, al Cairo, dove, nel mese di rağab 803/ febbraio-marzo 1401, scrisse la Ġuniyat arbāb as-samā‘50, un testo poco conosciuto, il cui studio, però, potrebbe in futuro rivelarsi molto utile, poiché esso fu concepito come opera didattica per la comprensione del linguaggio simbolico e tecnico adope46  Noto anche come Al-Nādirāt al-‘ayniyya e Al-Qaṣīda al-‘ayniyya. 47  Al-Kamālāt al-ilāhiyya, f. 50b. 48  Ġunya, fol. 181b. Non abbiamo controllato direttamente lo scritto; ci siamo basati su Atlagh (2000: 23). 49  Al-Kamālāt al-Ilāhiyya, ff. 3b-4a. 50  Ġunya, fol. 182a. Altlagh (2000: 23). Ġunyat arbāb al-samā‘ fī kašf al-qinā‘ ‘an wuğūh al-istimā‘, potrebbe essere parafrasato in italiano con La ricchezza che ottiene la gente del samā‘ scoprendo i segreti dell’ascolto della poesia, ma che abbiamo reso, in modo più conciso, con Quel che si cela nell’ascolto della poesia.


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Introduzione

rato, soprattutto in versi, dall’Autore stesso. Precede la stesura di quest’opera un altro trattato: Al-Manāẓir al-ilāhiyya – di cui abbiamo tradotto alcuni passi nel paragrafo che precede – raccolta di centouno capitoletti, in cui vengono descritte differenti teofanie, mediante le quali la realtà divina si manifesta al servo; sebbene in realtà siano innumerevoli, perché la possanza divina è illimitata, quelli elencati da Ğīlī sembrano costituire dei tipi ricorrenti presso coloro che percorrono la Via. In alcuni egli riconosce anche alcune determinate figure, maestri più o meno noti, tra cui Ğabartī; Ğīlī afferma di aver ottenuto egli stesso alcune di queste teofanie. Al termine d’ogni capitoletto, viene illustrato il limite inerente al grado contemplativo considerato, essendo ogni forma teofanica, per certi versi, un velo che cela il Vero. Fece poi ritorno a Zabīd per la prima volta, a quanto pare, dall’ultimo pellegrinaggio. Verso la fine di rabī‘ II 805/fine novembre 1402, durante la preghiera dell’alba, nella moschea di Ğabartī, ricevette l’ordine divino d’intraprendere la stesura di Ḥaqīqat al-ḥaqā’iq51, prima del completamento di Al-Kamālāt al-ilāhiyya, che avvenne la mattina di lunedì 28 del mese di šawwāl 805/21 maggio 1403 a Zabīd52. Nel periodo che va dal completamento della Ġunya alla redazione di Al-Kamālāt alilāhiyya, l’Autore completò il suo unico scritto in persiano a noi conosciuto (ma non pervenutoci), il già citato Ğannat al-ma‘ārif wa-ġāyat al-murīd wa-l-‘ārif, reso nel testo che abbiamo tradotto con Il giardino delle conoscenze e la meta dell’iniziato e dello gnostico. Successiva ad Al-Kamālāt è la redazione della sua opera più ambiziosa, Al-Nāmūs al-a‘ẓam wa-l-qāmūs al-aqdam fī qadr al-Nabī, in quaranta libri, di cui oggi restano soltanto sette53, sulle peculiarità del Profeta. Seguì Al-Marātib al-wuğūd wa-ḥaqīqat kull mawğūd, un breve ma denso trattato sui molteplici stati dell’Essere, il cui principio è al di là dell’Essere stesso, ed è la Nube oscura dell’Essenza divina. Quest’ultima si determina progressivamente, nel senso che Essa viene considerata non più in Sé stessa, ma da punti di vista che via via ne colgono aspetti sempre più determinati e relativi: dapprima l’Essenza divina in quanto Essere puro, da qui alla Sua unicità, alla Persona divina; seguono i nomi e gli attributi, gli atti divini, descrivendo così “la discesa dell’Essenza nell’esistenza”, sino alla creazione propriamente detta con le sfere celesti e i pianeti, e infine, la descrizione del mondo sublunare. I gradi dell’esistenza sono quaranta, di cui l’ultimo è l’uomo: questi viene in ordine dopo i minerali, le piante e gli animali, ma sintetizza in sé, in essenza, tutti gli altri gradi, poiché egli è vicario di Dio (= delle realtà principiali) sulla terra. Lo Šarḥ muškilāt al-futūḥāt al-makkiyya è successivo all’805/1403, poiché in essa 51  Fol. 4b-5a. Atlagh (2000: 24). Il titolo può essere resi in italiano con “La realtà delle realtà” o “La realtà ultima”. 52  R. Atlagh, invece, nell’edizione riporta “lunedì 22 di šawwāl” (Al-Kamālāt al-ilāhiyya, f. 72b); questa lettura non è accettabile per il calendario, poiché allora sarebbe stato un martedì, non un lunedì. Tuttavia, Atlagh legge “lunedì 28 di šawwāl”, quando riporta il colophon di questo testo nella descrizione presente in Contribution … (pg. 108). 53  Tra cui il tra cui il Qāba qawsayn wa-multaqā al-nāmūsayn e Nasīm al-saḥar.


19 Ğīlī richiama Al-Kamālāt al-ilāhiyya54; è un commento al 559° capitolo dell’opera maggiore di Ibn ‘Arabī, capitolo che rappresenta una sintesi dell’opera stessa55. Dallo Šarḥ muškilāt al-futūḥāt al-makkiyya ricaviamo ulteriori dati biografici: sul finire dell’805 (a metà anno circa del 1403), Ğīlī era a Ṣan‘ā’, dove gli apparve in sogno la sua balia, morta molto tempo addietro, che soffriva il tormento infernale; mossosi a compassione, la salvò facendo tramutare le sue pene infernali in godimento paradisiaco56. Ḥaqīqat al-yaqīn wa zulfat al-tamkīn57, infine, appare come uno scritto isolato rispetto agli altri; è un breve trattato, il cui tema dominate è il tawḥīd, l’attestazione dell’unicità e unità del Principio; non è citato né vi sono rimandi ad altre opere dell’Autore. Tuttavia, in uno dei manoscritti esistenti, Bayezit 8013, nella biblioteca nazionale “Bayezit” a Istanbul, si è conservato il colophon autografo, nel quale Ğīlī afferma che tale opera fu completata nell’807/1404. Si tratterebbe dunque dell’ultimo scritto di Ğīlī a noi pervenuto58. Epilogo Quanto alla data e al luogo di morte, sono state avanzate ipotesi più o meno plausibili: Ḥağğī Ḫalīfa, nel Kašf al-ẓunūn, pone come termine post quem l’805/1403, e dunque dopo la stesura delle Kamālāt al-ilāhiyya, terminata in quell’anno,; per Nicholson il punto di riferimento più plausibile è l’820/141759; per Brockelmann Ğīlī morì nell’832/142860; in una tesi del 1978, discussa all’Università del Cairo ma non pubblicata, Suhayla ‘Abd al-Bā‘iṯ sostiene che Ğīlī morì nell’832/1428 a Baġdād, in quanto in questa città v’è una tomba a lui attribuita61. Stando a quanto dice Zaydān, nell’805-806/1403 circa Ğīlī avrebbe fatto ritorno da San‘ā’ a Zabīd, dove sarebbe morto nell’826/1423, come affermerebbe lo storico al-Ahdal62. Lo studioso egiziano, però, non ci fornisce altre notizie biografiche nell’intervallo di tempo tra l’805/1403 54  Atlagh (2000: 152). 55  Y. Zaydān, Al-Fikr al-ṣūfī, pg. 75. 56  Atlagh (2000: 24 e 153). 57 Letteralmente: “La realtà della certezza e la prossimità”. 58  Atlagh (2000: 162). 59  Al-Insān al-Kāmil, EI2. 60  Brockelmann Giesheichte der arabischen litteratur, II, pg 205. 61  Quest’informazione è tratta da Y. Zaydān, Al-Fikr al-ṣūfī, pg. 28. Concordiamo con Zaydān nel dubitare che la presenza di una tomba a Baġdād sia una prova sufficiente a stabilire il luogo di morte. La storia del sufismo registra molti casi in cui, a un santo importante, è stata attribuita più di una tomba in regioni anche molto distanti tra loro: un caso per tutti, quello di Abū Yazīd al-Bisṭāmī. 62  Citato in Zaydān, Al-Fikr al-ṣūfī, pg. 28 -29.


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Preambolo Questo è il libro intitolato: Gli aspetti della Perfezione divina nei caratteri di Muḥammad1 Dal dettato del servo, povero in Dio l’Altissimo, ‘Abd al-Karīm al-Kaylānī, il ṣūfī - che Iddio sia con lui mite! Nel nome di Dio, Misericordioso e Clemente

Sia lode a Dio, che ha reso Muḥammad, nel segreto2, luogo di manifestazione della Perfezione, e lo ha ornato di tutti i Suoi attributi di Beltà e Gloria coi quali Si è rivelato a noi; lo ha distinto (da ogn’altro essere, accordandogli) la “Mediazione” [al-Wasīla] nella stazione “O più prossimo”3; dopo averlo avvicinato a Sé, lo ha calato nell’esistenza per manifestare nel mondo i Suoi nomi più belli [al-asmā’ al-ḥusnā’]; gli ha accordato la Prossimità Santa [al-Qurb al-Muqaddas] nel Rango più elevato [al-Makāna al-‘uliyā] e, dall’Intima Vicinanza [al-Ğiwār al-Mu’nis], lo ha liberato nel Grado più fiorente [fī al-Mustawā al-azhā]; ha fatto di lui nel mondo esempio [unmūḏağ] della Presenza delle Presenze, specchio delle realtà dei nomi e degli attributi, ha fatto discendere su di lui i Suoi nobili segni nell’esteriore quanto nell’intimo, gli ha fatto conoscere le realtà delle cose nelle forme e in essenza. Sia lode a Lui, poiché ha reso Muḥammad l’Immagine Sublime [al-Nusḫa al-‘Uẓmā] della totalità del non-essere e dell’essere, e gli ha aperto i forzieri della Generosità e della Munificenza. Canto le Sue lodi, com’Egli loda Sé stesso, nelle Perfezioni della Sua Santità. Alto s’innalza i mio renderGli grazie, per i favori che ricevo, sino all’estremo limite del Luogo della Vicinanza [al-Makāna al-zulfā]; quest’atto racchiude ogni lode ed elogio, ed esprime le realtà della Sua Essenza, dei Suoi nomi e attributi i quali, tutti, sono bontà ed eccellenza. 1  Come è già stato detto nell’introduzione, questa è la traduzione fedele del titolo. 2 Fī al-sirr. Non abbiamo seguito la lezione di Atlagh, fī al-nāḏr “nella predicazione della religione vera”, perché nell’esame del manoscritto al Cairo abbiamo notato l’errore. 3  In arabo: Aw adnā. Nel dizionario Laṭā’if al-i‘lām, al-Qāšānī afferma che essa è la realtà intima della stazione della “Distanza di due archi” (Qāb qausayn), essendo una distanza minore di questa; è la determinazione nella preeternità (al-ta‘ayyun al-azalī), poiché essa non conserva traccia di distinzione né pluralità nel cerchio sintetico dell’Unità e dell’Unicità divine. Quanto alla stazione della “distanza dei due archi”: il primo arco è quello della Necessità, e il secondo quello della Possibilità, ovverosia l’agentualità e la capacità recettiva riunite sinteticamente. Questa terminologia ha come fondamento i versetti coranici (53: 8-9): «Poi s’avvicinò e, lì sospeso, fu alla distanza di due archi o meno ancora [fa-kāna qāba qawsayni aw adnā]».


75 Esalto Dio con la lingua e con il mio essere, come colui che ha dinanzi a sé la stazione spirituale della Povertà spirituale e dell’Impotenza [al-Iftiqār wa-l-‘Ağz] e che, incaricato di esaltarLo, alla Presenza della Tua santità [fī Ḥaḍrat qudsiKa] pronuncia – in accordo alle buone norme dell’educazione spirituale – queste parole: «delle Tue lodi non ho contezza, Tu sei come Te stesso hai lodato!»4. Testimonio che non v’è altro dio che Iddio [Allāh], Signore [Rabb] di Muḥammad e realtà essenziale di questi [ḥaqīqatuh], Colui che possiede l’Essere assoluto, e testimonio che in Muḥammad s’avvera la Sua manifestazione più perfetta, e che Muḥammad è il Suo profeta veritiero. La preghiera e la pace divine discendano su di lui, sulla sua gente, sui suoi compagni: essi sono i più nobili del creato! Che Dio li elevi e li magnifichi! Li glorifichi e li esalti! La Perfezione non cessa di richiamare gli esseri con più chiara voce: «Orsù, correte alle vostre realtà divine attraverso la Beltà e la Gloria!». Beato è colui che presta ascolto all’invito, risponde al richiamo e s’avvicina, percorrendo la via degli attributi e dei nomi; disgraziato è invece colui che percorre l’oscurità e risponde al richiamo allontanandosi, nei sentieri della dispersione dell’esistenza. Sebbene la Misericordia abbracci ogni cosa – poiché tutto, infine, a Dio fa ritorno – la divina Vendetta piomba sugli smarriti e su coloro che sono incorsi nella Sua ira: per i primi la Vendetta si realizza interiormente, per gli ultimi si manifesta (anche) esteriormente. Quanto a coloro che hanno la più alta aspirazione spirituale e gli intelletti sani e integri, a questi s’addice percorrere le vie degli uomini che anelano alla Beatitudine Suprema [al-Sa‘āda al-kubrā], ottenendo ampia fortuna dalla vicinanza al Maestoso. In verità Iddio ha creato la costituzione umana [al-naš’a alinsāniyya] nella migliore delle forme5: può recepire ogni attributo sublime; far sintesi d’ogni nobile Perfezione, Maestà e Beltà; racchiudere le realtà intellegibili [ma‘ānī] dei nomi e degli attributi, e manifestarsi nell’esistenza attraverso le forme epifaniche dell’Essenza divina [maẓāhir al-Ḏāt]. Se così non fosse, certo non si addirebbe alla forma umana rappresentare Dio, al di sopra d’ogni altra creatura; non meriterebbe la prosternazione degli angeli dall’alto dei corpi celesti; non sarebbe stata istruita con tutti i nomi nella loro pienezza d’essere e sotto ogni aspetto; non sarebbe stato cacciato via colui che fu prossimo (a Dio) nelle epoche antiche, per (essersi discosto dalla) forma umana6. Quale uomo eccellente è colui che conosce se stesso per conoscere il suo Signore! Colui che persiste nello sforzo, e ottiene la vicinanza a Dio! E rifugge da chi baratta i suoi giorni con la vanità, e ha in odio chi indugia nella viltà dell’ignoranza. 4  È un frammento di un detto profetico ritenuto veritiero (ṣaḥīḥ), presente in varie raccolte, tra cui ḥ 571 del Kašf al-ḫafā’ di al-‘Ağlūnī (ed. Dar al-kotob Al-ilmiyah); verrà ripreso in seguito dall’Autore. 5  Cfr. Corano 95:4. 6  Cfr. Corano 2:30-40.


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Preambolo Anche il Poeta disprezza tali individui, quando recita7:

Qual essere vile s’augura miseria, come l’asino della tribù e il piolo della tenda? A uno l’umiliazione del giogo, all’altro il capo fracassato… e chi è in pena per loro?

Quale anima stupenda è quell’anima fiera, di buon temperamento, cavalcatura di colui che eccelle nel rigore e nello sforzo8, e che è giunto a cospetto di Dio percorrendo la via dei grandi Abdāl9! Colui che ha seguito il cammino tracciato dalla Luce sublime, Specchio (delle realtà divine) perfetto e magnifico, la più eloquente e sincera delle lingue, sintesi d’ogni altra, l’Amato ravvicinato (a Dio), nobile e illustre, luce delle luci, miniera dei segreti, stoffa della veste del Vanto, corona del regno della Saldezza10 e della Maestria, perla della Profezia, mare profondo che trabocca di Nobiltà e Virtù, perla della conchiglia dell’esistenza [durr ṣadafat al-wuğūd], sorgente di Grazie e Generosità divine, colui che sussume le realtà complementari e i contenuti intellegibili [ma‘ānī] della Maestà e della Gloria, oggetto dello sguardo della Provvidenza che origina dall’Essenza dell’Altissimo, oggetto dello sguardo dalla preesistenza nella pienezza della perfezione, mare delle realtà della Misericordia divina, riva delle sottigliezze delle possibilità [al-raqā’iq al-imkāniyya], essenza della parola umana, re del regno degli esseri esistenziati che nomina i suoi successori nella funzione di Polo del grado dell’Autorità, signore, al grado più elevato, di quel che viene chiamato “mondo esistenziato”, colui che, quando Adamo era tra l’acqua e l’argilla, portava l’insegna della Lode11: questi è Muḥammad, il Suo profeta più sapiente, il Suo più nobile servo! La preghiera e la pace divine discendano su di lui e gli altri profeti e inviati – che, come suoi fratelli, sono stati mandati, in sua vece, per porre le 7  Seguono due distici attribuiti al poeta arabo pre-islamico al-Mutalammis al-Ḍubay‘ (m. 580 d.C.), liberamente resi in traduzione. 8  Lett. Nağīb al-ğidd wa-l-iğtihād. I “Nobili” o gli “Eccellenti” (nuğabā’/anğāb) costituiscono un grado elevato nella gerarchia dei santi (cfr. Perego 1998:186 alla voce nujabā’, e al-Ğurğānī Kitāb al-ta‘rīfāt, alla voce al-nuğabā’). 9  Lett. “i Sostituti”: si tratta di una delle più alte gerarchie di santi; secondo le indicazioni di al-Ğurğānī (Kitāb al-ta‘rīfāt, voce al-budalā’), sono sette, e sono santi “sostituti” poiché essi, quando abbandonano un luogo, lasciano un corpo vivo a loro immagine, al punto che nessuno, dall’esterno, può rendersi conto della loro assenza; per una trattazione specifica: Ibn al-‘Arabī, Ḥilyat al-abdāl wa-mā yaẓharu ‘an-hā min al-ma‘ārif wa-l-aḥwāl, Rasā’il, Dār al-Ṣādir, Beirut, 1997 (trad. in francese di M. Vālsan: La Parure des Abdāl, Les Editions de l’Oeuvre, Paris, 1992). Ğīlī ne parlerà nel secondo capitolo, nel commento al sedicesimo nome divino. 10  In arabo: al-tamkīn; secondo Ğurğānī (k. al-ta‘rīfāt, voce al-tamkīn): «È la stazione spirituale della fermezza e della stabilità nella rettitudine; il servo, fino a quando permane nel cammino iniziatico, è soggetto alla mutevolezza degli stati [talwīn], poiché s’eleva di stato in stato e si muove di qualificazione in qualificazione. Soltanto quando raggiunge lo scopo, e si ricongiunge a Dio, ottiene la Saldezza». 11  L’Autore allude al detto profetico: «Ero profeta quando Adamo era tra l’acqua e l’argilla» (cfr. Kašf al-ḫafā’, ḥ 2017).


77 fondamenta della Certezza – e discendan pure sui suoi vicari ben guidati, santi perfetti, maestri ardenti d’amore per Dio, che hanno realizzato la Verità e secondo Verità hanno agito: Abū al-‘Atīq Abū Bakr al-Ṣiddīq, Comandante dei credenti, il più perfetto – dopo i profeti – della gente della perfezione, maestro supremo della Realizzazione, che si fregia del Favore divino prima di ogni altro, e ha ricevuto la perfezione di ogni nobile carattere; il Polo supremo, Zolfo rosso, Vessillo verde, che ha abbattuto i pilastri della menzogna e ha eretto quelli della Verità, Abū Ḥafṣ, comandante dei credenti, ‘Umar; colui che ha raccolto il Corano, primo tra i pari, martire oppresso, Ḏū al-Nūrayn12 ‘Uṯmān bin ‘Affān; il più elevato nella gerarchia dei santi, genero e cugino del Profeta, Polo della realizzazione, sfera celeste della Prossimità divina e della conferma della Verità, colui che si riveste degli attributi dalla Tradizione, e s’ammanta delle qualità sublimi, maestro dei maestri dei ṣūfī, guida d’ogni cercatore, il Comandante dei credenti Abū al-Ḥasan ‘Alī bin Abī Ṭalib. Preghiera e pace divine discendano, ancora, sugli altri tra i dieci pii e virtuosi, ai quali fu rivelato il successo nell’Oltre13; su tutti i Familiari e i Compagni14; su coloro – fra gli Amici di Dio [Awliyā’], i Poli spirituali, i Solitari [Afrād]15 e gli Eccellenti [Anğāb] – che sono al grado di quelli, e sono diretti al cuore di tale Eccellenza16, e coloro che ne seguono l’esempio, nella forma o nella realtà spirituale, sino al Dì del Giudizio. Di tutti questi Iddio S’è compiaciuto; li elevi e li magnifichi! Li glorifichi e li esalti! O tu, fratello, che procedi sul cammino della perfezione spirituale, desideroso di percorrere la via di Muḥammad che conduce al Glorioso, sappi che devi avere cognizione dello stato in cui sei e della tua realtà essenziale, ciò che sei veramente; devi 12  Lett. “Colui che possiede le due Luci”; questo appellativo deriva dal fatto che il terzo califfo aveva sposato, in momenti diversi della sua vita, due figlie del Profeta, Ruqayya e Umm Kulṯūm. 13  Si tramanda da ‘Abd al-Raḥmān bin ‘Awf che il Profeta disse: «Abū Bakr, ‘Umar, ‘Uṯmān, ‘Alī, Ṭalḥa, al-Zubayr, ‘Abd al-Raḥmān bin ‘Awf, Sa‘d bin Abī Waqqāṣ, Sa‘īd bin Zayd e Abū ‘Ubayda bin al-Ğarrāḥ saranno in Paradiso». 14  Del Profeta. 15  Secondo Ibn ‘Arabī (cfr. Chodkiewicz, Un Océan sans Rivage, pp. 70-71), gli afrād, i santi solitari, sono per gli uomini come i cherubini rispetto agli angeli; appartengono a una stazione, chiamata Profezia generale (al-Nubuwwa al-‘āmma), intermedia tra la Profezia legiferante (al-Nubuwwa al-šar‘iyya) e la stazione della Conferma della Verità (al-Ṣiddiqiyya); sono, dunque, al grado supremo della santità ma, a differenza del Polo, non svolgono una funzione spirituale specifica; Muḥammad, prima della sua missione, apparteneva a questo grado. Si può intendere con afrād, in modo più specifico, gli appartenenti alla malāmiyya “la gente del biasimo”, coloro che celano il loro grado e gli stati spirituali dinnazi al volgo, e solo Iddio li conosce; sono legati in modo diretto al nome divino al-Fard, che può rendersi con “l’Ineguagliabile”, poiché Iddio ha dato loro una scienza che gli altri uomini non possono comprendere (cfr. Perego, Le Parole del Sufismo, v. Afrād). Maestro e guida di questi santi è il Ḫiḍr (Cfr. Martini, Il Khidr e l’Acqua di Vita, pg. 58). 16  È un riferimento al Profeta, in quanto egli è al centro dell’esempio dei suoi compagni e familiari.


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Preambolo

conoscere chi è Colui che racchiude in Sé il tesoro del tuo essere, e cosa chiede a te donandoti esistenza; chi è Colui che si cela nel tuo intimo o che la tua realtà esteriore riveste; e in virtù di quale legame esistente tra “te” e “Dio”, a un (essere) come te, si addice la Luogotenenza universale [al-Ḫilāfa al-kubrā] e la Santità suprema [alWalāya al-‘uẓmā]. Già mi fui occupato profondamente in altri scritti, prima della stesura di questo libro, dello stato umano e della sua realtà spirituale, di quel che l’esteriore e l’intimo suoi racchiudono, e di come l’uomo ascende per gli stati dell’Essere e infine giunge, attraverso la conoscenza di se stesso, a conoscere il suo Signore. Di tali scritti teniamo a mente: L’Uomo perfetto nella conoscenza delle realtà ultime e prime; L’Asse dei mondi meravigliosi e la sfera dei corpi prodigiosi; Del Sovrano e del Suo regno che è riposto nell’umano17. Questi tre libri, rispetto agli altri miei scritti, racchiudono cose meravigliose, poiché in essi si schiudono i forzieri che Iddio l’Altissimo ha riposto nell’uomo; furono redatti con gran cura, sotto la guida dell’Intelletto e della Tradizione, e col sostegno del Corano e della Sunna. Tuttavia, Dio non volle che, in quegli scritti, ci spingessimo così lontano da dover descrivere la relazione che v’è tra il servo e il suo Signore, e chiarire perché la Luogotenenza universale [al-Ḫilāfa al-kubrā] appartiene all’uomo soltanto, e a nessun altro essere esistenziato o creatura. Il timore m’impediva di affrontare tale aspetto della dottrina. Ritenevo opera assai ardua svelarne i segreti. Ma un giorno, il primo di rabī‘ al-awwal dell’anno 803 dell’Egira18, quand’ero a Gaza, mi apparve chiaro l’invito divino a scrivere Gli aspetti della perfezione divina nei caratteri di Muḥammad; risposi allora con zelo, e presi a scrivere sotto l’influsso diretto della Madre del Libro19. E riposi la mia speranza in Dio, Garante d’ogni successo.

17  In arabo, in ordine: Al-Insān al-kāmil fī ma‘rifat al-awāḫir wa-l-awā’il; Quṭb al-‘ağā’ib wa-falak al-ġarā’ib; Al-Mamlaka al-rabbāniyya al-mūda‘a fī al-naša’a al-insāniyya. 18  Corrispondente al 20 ottobre del 1400 del calendario gregoriano. 19  Prototipo eterno della Rivelazione.


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Sappi che Muḥammad – su di lui la preghiera e la pace divine! – è il tramite tra il servo e il Signore; Adamo è a lui inferiore, e si riveste degli attributi divini soltanto in quanto immagine riflessa di Muḥammad, su di lui la preghiera e la pace divine! Bisogna dunque, fratello, che tu comprenda innanzitutto perché al Profeta si addice la funzione di mediatore tra Dio e te. Devi poi conoscere quali sono gli attributi divini di perfezione; quindi apprendere come Muḥammad – su di lui la preghiera e la pace divine! – si riveste dei nomi e degli attributi divini, affinché tu possa percorrere la sua via spirituale della rettitudine, il suo dritto sentiero. Il Vero, l’Altissimo, ha detto: “Voi avete, nel messaggero di Dio, un esempio buono”20. Infine, caro fratello che percorri la sua via, devi conoscere te stesso; e questa conoscenza, assieme alle altre tre, la devi realizzare in modo effettivo. All’uopo, ho diviso la trattazione in quattro capitoli: I II III IV

Muḥammad è il tramite tra Dio e il servo I nomi e gli attributi di Dio Muḥammad si riveste degli attributi divini Gli aspetti della perfezione presenti nell’uomo e come ricongiungersi ad essi

20  Cor. 33:21.


I Muḥammad è il tramite tra Dio e il servo

Iddio – sia esaltato! – ha detto: «Non ti abbiamo inviato se non come misericordia per i mondi»1. Sappi che questa misericordia è comune a tutti gli esseri esistenziati, ad essa alludono le parole dell’Altissimo: «La Mia misericordia abbraccia ogni cosa»2. La realtà metafisica di Muḥammad abbraccia, delle realtà increate e create, tutto quel che ha il nome di “cosa”; a cagione, Iddio, al termine del versetto, afferma «Io l’ascriverò a coloro che Mi temono, pagano la Decima, e a coloro che nei Nostri Segni credono», e in quel che segue «Coloro che seguono il Messaggero, Profeta dei Gentili», annunciando che, chi si conforma a Muḥammad, forse si approssimerà al suo grado3, che lo distingue dal resto degli uomini; infatti ha detto: «Io l’ascriverò a coloro che mi temono», che significa “diverranno misericordia”. Sappi che la Misericordia [al-Raḥma] è di due generi: v’è la misericordia speciale, con la quale Dio raggiunge i Suoi servi in particolari momenti, e la misericordia comune, che è la realtà metafisica di Muḥammad, attraverso cui agisce la misericordia divina sulle realtà di tutte le cose, di modo che ogni cosa si manifesti nel suo grado d’esistenza. Per suo tramite, s’apprestano i ricettacoli degli esseri ad accogliere l’effusione di grazia e la generosità divina.

1  Cor. 21: 107. 2  Cor. 7: 156. 3  Il verbo utilizzato è ittaba‘a il quale, comunemente, vuol dire “seguire”. Tuttavia, il senso dato nel testo è precisamente “seguire il Profeta per assumerne la forma”, dove per “forma” [ṣūra] non s’intende, soltanto, un’immagine o un qualcosa di definito e limitato nella sua costituzione, ma “la forma essenziale”, sintesi delle qualità divine. Secondo l’Autore, dunque, si approssimerà realmente al grado del Profeta non chi, in modo puro e semplice, s’appresta a seguirne l’esempio nell’azione esteriore, bensì chi conforma il proprio essere al suo attraverso gli atti, i quali sono “esteriori” soltanto in riferimento al supporto corporeo – poiché tale è l’ambito in cui gli atti si concretano – ma non dal punto di vista della realtà essenziale che esprimono.


81 Lo spirito di Muḥammad è dunque la prima cosa che Dio ha creato – affermazione riportata in un detto profetico trasmesso da Ğābir4 – affinché Egli provasse compassione per gli esseri, e li creasse a sua5 immagine, e li traesse dalla sua costituzione. Dallo spirito di Muḥammad Iddio ha tratto il Trono, lo Sgabello6 e le restanti realtà superiori e inferiori; affinché ricevano la Sua misericordia, esse procedono dalla sua nobile costituzione, e sono state tratte dalla sua forma sublime. La Misericordia divina precede la Sua collera, perché il mondo intero è plasmato sulla forma dell’Amato7, sul quale agisce la Misericordia. Il suo dominio, nell’esistenza universale, è imprescindibile, laddove la collera è accidentale. La Misericordia fa parte degli attributi dell’Essenza divina, mentre la Collera fa parte degli attributi della Giustizia, e la Giustizia è un atto. In questo senso, chiami Iddio “il Misericordioso e il Compassionevole”8: non v’è “irascibile” né “furioso” in senso assoluto. La verità è che la Misericordia supera la Collera, affinché l’esistenza sia per l’Amato come lo specchio per il volto, o come l’attributo per l’essenza, come la parte in relazione al tutto; la Misericordia dunque, in virtù del Profeta, è comune a tutti gli esseri. Da te riceviamo ogni favore, o Vanto del creato! Come rami di un albero, un solo tronco ci nutre Tu sei l’Amato, e le creature tutte sono amate Ché la tua immagine è impressa sui nostri volti9

Sappi che Dio – sia esaltato! – quando volle apparire dal Tesoro nascosto, desiderò creare questo mondo per essere conosciuto, come recita il detto divino: «Ero un tesoro nascosto; desiderai esser conosciuto: così creai il mondo»10. Gli esseri, nell’essenza della teofania pre-temporale, si trovano nella Sua scienza, come essenze immutabili che non sono in grado di conoscere l’assenza di relazione che vi è tra la manifestazione nella temporalità e l’Eternità pre-temporale. L’Amore [al-Maḥabba] è necessario affinché Dio si manifesti e Lo conoscano; da quest’amore Iddio ha cre-

4  Kašf al-ḫafā’, ḥadiṯ 827. 5  Dello spirito muḥammadiano. 6  In arabo, rispettivamente, al-‘arš e al-kursī. 7  Al-Ḥabīb, uno dei nomi di Muḥammad. 8  In arabo al-Raḥmān al-Raḥīm. 9  Se avessimo tradotto alla lettera il secondo distico, sarebbe stato: “Tu sei l’Amato, il resto non è altro che una copia [nusḫa] / E dell’Amato ogni cosa è amata”. 10  Al-Qārī, citato da al-‘Ağlūnī nel Kašf al-ḫafā’ (ḥ 2016), afferma che, sebbene questo detto sia spurio, il suo significato è veritiero, ed è corroborato dal versetto coranico (51: 56): «Non ho creato i ğinn e gli uomini altro che perché M’adorassero», che appunto vuol dire “affinché Mi conoscessero” secondo un’interpretazione di Ibn ‘Abbās.


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Cap I Muḥammad è il tramite tra Dio e il servo

ato l’Amato, che è il Profeta, e lo ha favorito concedendogli le teofanie della Sua Essenza. Ha creato il mondo da questo Amato affinché Lo conoscessero per suo tramite. Il mondo è il luogo teofanico delle divine qualità, laddove l’Amato è il supporto delle teofanie dell’Essenza divina. Come gli attributi traggono origine dall’Essenza, così il mondo procede dall’Amato: egli è, dunque, il termine medio tra Dio e il mondo. Una prova di quanto affermiamo è nelle parole del Profeta: «Io provengo da Dio e i credenti da me»11; un’altra è in quel che il Profeta disse a Ğābir: «In verità, Iddio ha creato il mio spirito, e da esso ha creato il Trono, lo Sgabello, le realtà superiori e inferiori tutte». La creazione di tali cose, in questo detto profetico, segue un chiaro ordine che procede dal suo spirito; non v’è ombra di dubbio che esse sono per la realtà del Profeta delle diramazioni, laddove egli ne è l’origine, o la radice; come suggeriscono le sue parole: «Ero profeta quando Adamo era tra l’acqua e l’argilla»12. Muḥammad già sapeva allora di essere il mediatore tra Dio e Adamo; ciò rese possibile che quest’ultimo si manifestasse e si compisse la sua esistenza. Alla profezia muḥammadiana spetta il potere legislativo, che è espressione della funzione di mediazione tra Dio e il servo. La particolarità, nel detto appena riportato, è la menzione di Adamo: indicazione evidente che il Messaggero divino era l’intermediario tra Dio e Adamo, affinché questi fosse chiamato alla missione profetica. Se così fu per Adamo, a fortiori lo sarà per la sua discendenza, che è l’umanità intera. Iddio strinse il Patto con i profeti, affinché credessero in Muḥammad e lo sostenessero. Dio – sia glorificato! – ha detto: «E quando Dio strinse un patto con i profeti, dicendo: “Ecco un libro e una sapienza che vi ho dati: un messaggero vi sarà, poi, inviato a conferma della rivelazione che voi già avete. Credetegli e sostenetelo. E disse ancora: “Confermate e accettate il Mio patto a questa condizione?”. Risposero: “Confermiamo!”. Ed Egli disse: “Testimoniate e Io testimonierò con voi”»13. La non specificazione del nome del messaggero, in questo versetto, secondo gl’interpreti, è per riverenza nei riguardi di Muḥammad, non perché egli fosse sconosciuto ai profeti; Iddio, infatti, dice: «Credetegli!». In realtà, questo mostra che i profeti non sono in grado di cogliere, con lo svelamento intuitivo, le perfezioni di Muḥammad [Al-Kamālāt al-muḥammadiyya], per poter contemplarle; i rami, infatti, non contengono la radice. Iddio strinse con loro il Patto: che credessero nei molteplici aspetti di perfezione posseduti da Muḥammad, sebbene questi fossero a loro celati; prestar fede all’immanifesto fu, per i profeti, come far provviste prima d’inoltrarsi nelle lande desertiche della divina Essenza, dove essi ottennero i gradi della perfezione, congiungendosi a Muḥammad. Iddio ben sa che i profeti non colgono la perfezione, se non per il tramite di Muḥammad.

11  Kašf al-Ḫafā’, ḥ 619; per i filologi musulmani, il detto è da considerarsi spurio. Tuttavia ve ne sono altri, accettati dalla tradizione, che possono essere accostati per significato ad esso. 12  Kašf al-Ḫafā’, ḥ 2017. 13  Corano 3: 81.


83 Il segreto di tali realtà è che Muḥammad è il luogo di manifestazione della divina Essenza, laddove gli altri profeti manifestano i nomi e gli attributi; il resto del mondo, superiore e inferiore, è il supporto di manifestazione dei nomi degli atti divini, fatta eccezione per i santi della comunità di Muḥammad che, come i profeti, sono manifestazioni dei nomi e degli attributi divini. Ha detto infatti il Profeta: «I sapienti della mia comunità sono come i profeti delle tribù d’Israele»14. Se comprendi dunque che egli è il tramite fra Dio e i Suoi profeti, a maggior ragione comprenderai anche che egli è il tramite fra i Dio e gli angeli, e che gli eletti tra i figli d’Adamo sono migliori di quelli delle schiere angeliche. Se dunque è vero che Muḥammad fa da tramite tra Dio e gli eletti tra gli uomini e gli angeli, a fortiori rappresenta il tramite tra Dio e le comunità umana e angelica, assieme a tutti gli esseri esistenziati annessi a questi due generi d’esistenza. Da quel che siamo andati esponendo si comprende che, se Muḥammad non esistesse, nessuna cosa al mondo potrebbe conoscere il suo Signore, anzi, l’intero mondo non esisterebbe affatto, poiché Dio ha creato il mondo per essere conosciuto, e il mondo, per conoscere Dio, ha bisogno della mediazione di Muḥammad. Se non ci fosse il suo tramite gli esseri non sarebbero: Iddio, dunque, ha donato l’esistenza a Muḥammad e, da questi, a tutti gli esseri affinché Lo conoscano per suo tramite. A questo alludono le parole di Dio rivolte al Profeta, nel detto: «Se non fosse per te, non avrei creato le sfere celesti»15. Egli è la causa dell’esistenza del mondo, il tramite della Misericordia divina che è diretta agli esseri, l’intermediario tra loro e Iddio, perché possiede il grado dell’intercessione [al-wasīla] nell’altra vita. Le creature si giovano della sua mediazione nella conoscenza di Dio e per la loro stessa esistenza – poiché Dio le trae dalla realtà spirituale di Muḥammad – e, inoltre, beneficiano della sua mediazione in ogni bene, manifesto o celato che sia: Muḥammad è dunque il depositario dell’intercessione [ṣāḥib al-wasīla]. Già dicemmo del significato della mediazione profetica nel nostro libro Al-Kahf wa-l-Raqīm. Basta quanto abbiamo detto sull’argomento. Iddio dice il vero, e a Lui faremo ritorno!

14  Kašf al-ḫafā’, 1744. 15  Kašf al-ḫafā’ (ḥ 2123); per al-‘Ağlūnī non si tratta di un detto profetico, benché il senso sia veritiero.


II I nomi e gli attributi di Dio: cosa è lecito attribuirGli e cosa bisogna astenersi dal darGli

Iddio ha dei nomi, riferiti alla Sua Essenza, che non possono essere conosciuti dal mondo; li serba gelosamente nel Suo mistero, non riservando nulla di essi ai Suoi servi: ciò accade perché i ricettacoli delle creature non consentono la conoscenza del mistero. I nomi riservati all’Essenza divina sono quelli che si riferiscono alla Sua unità. La conoscenza di altri nomi divini, poi, è preclusa a parte delle creature, mentre è consentita ad altre; tale possibilità appartiene agli eletti. Ma soltanto alcuni di questi possono considerare propri tali nomi divini: ciò è dipeso dalla nobiltà del loro lignaggio1, dalla preparazione raggiunta, e dalla purezza dei loro ricettacoli, poiché tali eletti s’identificano con Lui. Da questo punto di vista, Iddio serba tali nomi esclusivamente per Sé, anche se gli eletti li hanno conosciuti, in quanto essi stessi s’identificano con il Sé divino. I nomi che si riferiscono alla divina Essenza, dunque, da un lato soltanto Dio li custodisce e, dall’altro, sono conoscibili dagli eletti. Vi sono poi dei nomi divini per mezzo dei quali Dio si fa conoscere al resto del creato, e questi sono innumerevoli; nel Corano soltanto, se ne contano 137. Di questo gruppo, 99 sono “i Suoi nomi più belli” [asmā’uhu al-ḥusnā]: quest’ultimi, comprendenti “il Misericordioso”[al-Raḥmān], raggiungono il numero di 100, se sommati al nome “Iddio” [Allāh]. I restanti si dividono in due categorie: nomi che nel loro significato negano qualcosa, e nomi che invece per significato aggiungono qualcosa. I nomi “di negazione” sono tutti riferiti all’Essenza divina; i nomi “di affermazione”, invece, si suddividono in quattro gruppi: I nomi dell’Essenza divina; II nomi riferiti alla persona divina; III nomi degli attributi divini; IV nomi che si riferiscono ad atti divini. 1  La parola araba maḥtid significa sia “natura” quanto “lignaggio, stirpe”; la seconda accezione pare più appropriata al contesto, e va intesa come “discendenza spirituale”.


85 Quanto ai nomi dell’Essenza, vi sono alcuni che si riferiscono totalmente all’Essenza, altri che vi si riferiscono ma non in modo assoluto; questi ultimi sono in parte da considerarsi nomi dell’Essenza, e in parte nomi di attributi. I nomi che si riferiscono esclusivamente all’Essenza sono di due generi: i nomi “espliciti” e quelli “impliciti”. I nomi “espliciti” sono tre: Iddio [Allāh], l’Uno [al-Aḥad], il Vero [al-Ḥaqq]; laddove quelli “impliciti” sono sette, e sono costituiti dai pronomi personali e dalle persone della coniugazione dei verbi (che il Corano adopera quando Iddio parla o fa parlare di Sé)2. I nomi che si riferiscono esclusivamente all’Essenza divina, dunque, sono dieci in totale. Quelli che invece si riferiscono solo in parte all’Essenza – poiché contengono una descrizione pur rimanendo comunque nomi dell’Essenza – sono sette: il Misericordioso [ar-Raḥmān], l’Unico [al-Wāḥid], l’Ineguagliabile [al-Fard], il Dispari [al-Witr], il Sostentatore a Cui tutti gli esseri si volgono [al-Ṣamad], il Santissimo [al-Quddūs] e la Luce [al-Nūr]. Quanto ai nomi della Persona divina, essi pure sono sette: il Vivente [al-Ḥayy], il Sapiente [al-‘Alīm], il Volente [al-Murīd], l’Onnipotente [al-Qādir], Colui che ode [as-Samī‘], Colui che vede [al-Baṣīr], Colui che parla [al-Mutakallim]. I nomi che indicano attributi divini si suddividono in quattro categorie: 1) i nomi della Perfezione divina; sono 14: il Misericordioso [al-Raḥmān] – in questo caso il nome è considerato dal punto di vista del grado divino della misericordia – il Re [al-Malik], il Signore [al-Rabb], il Custode [al-Muhaymin], il Savio [alḤakīm], l’Arbitro [al-Ḥakam], il Patrono [al-Walī], il Vivente di per Sé [al-Qayyūm], Colui che governa [al-Wāli], Colui che Si eleva al di sopra di ogni cosa [al-Muta‘ālī], il Giusto/l’Equo [al-Muqsit]3, l’Universale [al-Ğāmi‘]4, Colui che basta a se stesso [al-Ġanī], il Perfetto [al-Kāmil]; 2) i nome della Maestà divina; sono 18: il Grande [al-Kabīr], il Possente Inattingibile [al-‘Azīz], l’Immenso [al-‘Aẓīm], il Maestoso [al-Ğalīl], l’Irresistibile [alQahhār], il Glorioso [al-Māğid], il Soggiogatore [al-Ğabbār], il Fiero [al-Mutakabbir], l’Ampio [al-Wāsi‘], il Forte [al-Qawī], il Saldo Risoluto [al-Matīn], Colui che ha la Maestà [Ḏū al-ğalāl], Colui che tutto abbraccia [al-Muḥīṭ], Colui che dà credito

2  Per l’Autore sono: huwa, anā, -ka, -tu, -ta (ta/tu-), -nā (na/nu-), -ī. In quest’elenco non sono compresi tutti i pronomi personali e i prefissi e suffissi del verbo riferibili a Dio nel discorso coranico. Tuttavia si può notare che in huwa è compreso anche il suffisso di terza persona -hu; in -ta il pronome personale anta; -nā (na/nu-) oltre al verbo alla prima persona plurale, anche i corrispondenti pronomi personali naḥnu e -nā; -ī, infine, è graficamente la lettera yā’ e rappresenta, quindi, sia il pronome suffisso di prima persona singolare quanto il prefisso di terza persona maschile singolare dell’imperfetto. 3  Vedi Perego (1998: 172). 4  Se viene considerato nome di un atto divino è preferibile la traduzione “Colui che mette assieme le cose”.


86

Cap II I nomi e gli attributi di Dio

ai suoi servi, li ricompensa o li condanna [al-Dayyān]5, il Glorificato [al-Mağīd], il Veemente [al-Šadīd], l’Esaltato nei gradi [Rafī‘ al-darağāt]6, Colui che ha il Trono [Ḏū al-‘Arš]; 3) i nomi della Beltà divina; sono 16: il Misericordioso verso chi lo teme [alRaḥīm], la Pace [al-Salām], il Protettore [al-Mu’min], il Benevolo, la Cui grazia permea ogni cosa, in virtù della Sua realtà sottile [al-Laṭīf], il Ben Informato [al-Ḫabīr], il Nobile [al-Ḥasīb], il Bello [al-Ğamīl], Colui che è lento all’ira [al-Ḥalīm], il Generoso [al-Karīm], il Degno di lode [al-Ḥamīd]7, il Perpetuo [al-Dā’im], il Perenne [al-Bāqī], Colui che detiene l’esistenza degli esseri [al-Wāğid], il Pietoso Provvidente [al-Ra’ūf], Colui che ha il prestigio [Ḏū al-Ṭawl], Colui che non ha generato né è stato generato, né ha pari [Corano 112: 3-4]; 4) vi sono, poi, nomi “di relazione”8; sono 6: il Primo [al-Awwal], l’Ultimo [alĀḫir], il Manifesto [al-Ẓāhir], il Celato [al-Bāṭin], il Prossimo [al-Qarīb], il Remoto [al-Ba‘īd]. Quanto ai nomi degli atti divini, questi si dividono in due categorie: la prima ha a che fare con la Maestà divina, la seconda con la Beltà. Un riferimento a questi due gruppi si ha nel simbolismo dei piedi del Misericordioso che sporgono dallo Sgabello. Vi sono 17 nomi riconducibili alla Maestà, tra gli attributi degli atti: Colui che afferra [al-Qābid], Colui che abbassa [al-Ḫāfid], Colui che umilia [al-Muḏill], Colui che sorveglia [ar-Raqīb], il Testimone [al-Šahīd], Colui che richiama a Sé [alMu‘īd], Colui che fa perire [al-Mumīt], il Vindice [al-Muntaqim], Colui che trattiene [al-Māni‘], Colui che nuoce [al-Ḍarr], l’Erede [al-Wāriṯ], Colui che ghermisce [Ḏū al-baṭš], Colui che violentemente castiga [Šadīd al-‘iqāb], Colui che travia [alMuḍill], Colui che estingue [al-Mufnī], Colui che annienta [al-Mu‘dim] e il Dominatore [al-Qāhir].

5  Nella traduzione di quest’ultimo nome si è voluto esprimere, almeno in parte, la ricchezza semantica della radice dyn. È interessante notare che nei dizionari il sostantivo dīn, religione, vien ricondotto a questa radice che, tra i vari significati, ha quello di credito e debito; attraverso la “religione”, non a caso, Iddio dà credito all’uomo in questa vita fornendogli un certo numero di possibilità per la sua salvezza, così come l’obbedienza e la pietà del credente “fanno credito” presso Iddio, in vista della ricompensa nell’altra vita. 6  Questo nome può essere considerato sia nome di attributo che di atto, se si traduce “Colui che eleva per gradi”; si veda D. Gimaret, Les noms divins en Islām, Éditons du Cerf, Paris 2007, pg. 338. 7  A differenza di altri commentatori, che considerano questo nome tra quelli che esprimono la Perfezione divina, Ğīlī lo elenca in quelli della Beltà, e quando verrà più avanti trattato dall’Autore, verrà considerato nome dell’Essenza divina; v. Gimaret, Les noms divins en Islām, pp. 222-23. 8  Al-asmā’ al-iḍāfiyya: nomi di attributi divini che, per loro essenza, sono complementari ad altri.


Indice

Introduzione

5

Biografia di ‘Abd al-Karīm bin Ibrāhīm al-Ğīlī Sulla nascita Dall’India allo Yemen. Il noviziato spirituale Gli anni della maturità Epilogo Lo Yemen dei Banū Rasūl I seguaci di Ibn ‘Arabī in Yemen. La comunità di Zabīd Al-Ğabartī

6 7 8 16 19 21 23 27

Presentazione dell’opera La luce profetica è ripartita in quattro Un tesoro nascosto Il significato della lettera Mīm La realtà simbolica del nome La classificazione generale dei nomi divini secondo l’approccio teologico La prospettiva metafisica. Le determinazioni dell’Essenza I nomi più belli I primi quattro nomi La Conoscenza divina Colui che di nulla abbisogna Colui che crea Colui che perdona L’Uno ama il molteplice I caratteri profetici come riflesso della Perfezione divina L’Uomo universale Le corrispondenze tra l’essere umano e l’esistenza universale Accenni al lavoro interiore

33 34 36 36 38 39 41 43 46 49 52 54 56 56 60 64 69 69

71

Nota filologica


244

Indice

I Nomi divini e il Profeta alla luce del sufismo Preambolo

74

I

80

Muḥammad è il tramite tra Dio e il servo

II I nomi e gli attributi di Dio: cosa è lecito attribuirGli e cosa bisogna astenersi dal darGli Primo nome: Egli Secondo nome: Dio Terzo nome: il Misericordioso Quarto nome: il Misericordioso verso i suoi servi Quinto nome: il Re Sesto nome: il Santissimo Settimo nome: la Pace Ottavo nome: il Protettore Nono nome: il Custode Decimo nome: il Possente Inattingibile Undicesimo nome: il Soggiogatore Dodicesimo nome: il Fiero Tredicesimo nome: il Creatore Quattordicesimo nome: Colui che crea cose nuove Quindicesimo nome: Colui che dà forma alle cose Sedicesimo nome: Colui che cela i peccati con le buone azioni Diciassettesimo nome: l’Irresistibile Diciottesimo nome: il Munifico Diciannovesimo nome: Colui che a tutto dà sostentamento Ventesimo nome: Colui che apre Ventunesimo nome: il Sapiente Ventiduesimo nome: Colui che afferra Ventitreesimo nome: Colui che allenta la presa Ventiquattresimo nome: Colui che abbassa Venticinquesimo nome: Colui che innalza Ventiseiesimo nome: Colui che esalta Ventisettesimo nome: Colui che umilia Ventottesimo nome: Colui che ode Ventinovesimo nome: Colui che vede Trentesimo nome: l’Arbitro Trentunesimo nome: il Giusto Trentaduesimo nome: il Benevolo Trentatreesimo nome: il Beninformato Trentaquattresimo nome: Colui che è lento all’ira Trentacinquesimo nome: l’Immenso Trentaseiesimo nome: Colui che tutto perdona Trentasettesimo nome: il Riconoscente Trentottesimo nome: il Sublime

84 93 93 95 97 99 99 100 100 102 102 103 103 103 104 104 104 105 105 106 107 107 108 108 108 109 109 110 110 112 112 112 113 114 114 115 115 117 118


245

Trentanovesimo nome: il Grande Quarantesimo nome: Colui che preserva Quarantunesimo nome: il Soccorritore Quarantaduesimo nome: il Nobile Quarantatreesimo nome: il Maestoso Quarantaquattresimo nome: il Generoso Quarantacinquesimo nome: Colui che osserva Quarantaseiesimo nome: Colui che risponde Quarantasettesimo nome: l’Ampio Quarantottesimo nome: il Savio Quarantanovesimo nome: Colui che ama Cinquantesimo nome: il Glorificato Cinquantunesimo nome: Colui che suscita Cinquantaduesimo nome: il Testimone Cinquantatreesimo nome: il Vero Cinquantaquattresimo nome: Colui che ha cura dei servi Cinquantacinquesimo nome: il Forte Cinquantaseiesimo nome: il Saldo Risoluto Cinquantasettesimo nome: il Patrono Cinquantottesimo nome: il Degno di lode Cinquantanovesimo nome: Colui che ha il conto delle cose Sessantesimo nome: Colui che palesa Sessantunesimo nome: Colui che richiama a Sé Sessantaduesimo nome: Colui che dà la vita Sessantatreesimo nome: Colui che fa perire Sessantaquattresimo nome: il Vivente Sessantacinquesimo nome: Colui che di Sé vive Sessantaseiesimo nome: il Glorioso Sessantasettesimo nome: Colui che detiene l’esistenza degli esseri Sessantottesimo nome: il Sostentatore che di nulla abbisogna Sessantanovesimo nome: l’Onnipotente Settantesimo nome: Colui che fa quel che vuole Settantunesimo nome: Colui che prepone Settantaduesimo nome: Colui che pospone Settantatreesimo nome: il Primo Settantaquattresimo nome: l’Ultimo Settantacinquesimo nome: il Manifesto Settantaseiesimo nome: il Celato Settantasettesimo nome: Colui che governa Settantottesimo nome: Colui che Si eleva al di sopra di ogni cosa Settantanovesimo nome: il Caritatevole Ottantesimo nome: Colui che tutto converte Ottantunesimo nome: il Vindice Ottantaduesimo nome: l’Indulgente Ottantatreesimo nome: il Pietoso Provvidente Ottantaquattresimo nome: il Sovrano del regno Ottantacinquesimo nome: Colui che ha la Maestà e l’Onore

118 119 120 120 121 121 123 124 126 128 128 129 129 130 131 131 132 133 134 135 135 136 136 137 137 137 138 138 139 139 139 140 140 140 141 142 142 142 143 143 144 144 145 146 146 147 147


246

Indice Ottantaseiesimo nome: l’Equo Ottantasettesimo nome: Colui che mette insieme le cose Ottantottesimo nome: il Ricco, Colui che di nulla abbisogna Ottantanovesimo nome: Colui che arricchisce Novantesimo nome: Colui che trattiene Novantunesimo nome: Colui che nuoce Novantaduesimo nome: Colui che giova Novantratreesimo nome: la Luce Novantaquattresimo nome: Colui che guida Novantacinquesimo nome: il Novatore Novantaseiesimo nome: Colui che permane Novantasettesimo nome: l’Erede Novantottesimo nome: Colui che guida alla perfezione Novantanovesimo nome: il Paziente

III Muḥammad si riveste dei nomi e degli attributi divini Le prove nel Corano I detti profetici Le prove dell’intelletto Prima sezione: Muḥammad racchiude le perfezioni del creato • 1° unità: la costituzione del Profeta • 2° unità: i caratteri del Profeta Seconda sezione: Muḥammad racchiude le Perfezioni divine IV Gli aspetti della perfezione e gli attributi divini nell’uomo e la via per ricongiungersi ad essi Premessa Prima sezione: L’uomo come epifania del Vero Una perla solitaria nelle profondità del mare Seconda sezione: L’uomo come luogo epifanico del mondo Conclusione Indice dei nomi

149 150 150 152 152 153 154 154 155 156 157 158 159 160 161 165 170 174 176 176 179 181 208 208 210 217 218 224

227

Indice dei versetti coranici

232

Bibliografia

240

Elenco dei 99 nomi divini Indice

237

243



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