Babel#020

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gennaio 2010 www

.PARLiAMODiViDEOGiOCHi.iT

c o n t e n t s PROGETTO EDiTORiALE federico res COPERTiNA tommaso de benetti GRAFiCA E iMPAGiNAZiONE federico res gianluca girelli EDiTiNG DEi TESTi alessandro franchini federico res giovanni donda michele siface SiTO wEB http://www.parliamodivideogiochi.it GESTiONE AREA wEB matteo ferrara paolo franchini BABEL è OSPiTATO DA www.issuu.com REDAZiONE alvise salice cristiano ghigi ferruccio cinquemani federico res giovanni donda gianluca belvisi gianluca girelli marco barbero michele zanetti simone tagliaferri tommaso de benetti vincenzo aversa HA COLLABORATO guido scarabello

020 2 0 1 0 COVER STORY Devoid 003

014 T H E iL

VUOTO

V O i D

E’SPOGLiO

018 NEw SUPER MARiO BROS wii

COPYLEFT 2007/2008/2009/2010 Babel Edizioni

REViEw The Void 014 infinite Space 016 New Super Mario Bros wii 018 The Legend of Zelda: Spirit Tracks 020 Dj Hero 022 The Saboteur 023 Little Big Planet PSP 024 Assassin’s Creed 2 025 Dragonball Z: Attack of the Saiyans 026 Nostalgia 027

ARENA Con quale gioco combattereste... 032 DAL VANGELO SECONDO TOMMASO Play.com VS Stalin 004 ESCO Di RADO Sesso e videogiochi. Senza correlazione 005 ARS LUDiCA Dittature invisibili 006 QUANTO PUOi TANTO OSA La scappatoia 007 GiOCHi Di MERDA McFarlane’s Evil Prophecy / Knight Rider 2/ Little Britain 029

023 THE SABOTEUR

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FRAME Drive me to the moon 3a parte 010

1943 L’arte di essere onesti 028

FOR iS MEGL CHE UAN

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METEORE A chi però il destino disse NO? 008

TANTE TETTE AL VENTO

TiME wAiTS FOR NOBODY The wizard of Oz/ A witch’s Tale / Fighting Fantasy: The warlock of Firetop Mountain / Adventures to Go! 030 NERO LUDiCO 034


020 O V E R C O

O R Y STO DEVOiD

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e a natale siamo tutti meno stronzi e a capodanno tutti più ubriachi del solito, oggi che non è più né l'uno né l'altro, cosa siamo? Beh, oggi siamo tutti più vuoti. Di cibo e di alcool, volendo, ma sopratutto di tutto. che è una frase un po' fatta, vero, ma non cambiare mai. Di tutto cosa, di preciso? Beh, calmini, Babel non è una rivista taglia-unica-calzatutti, ma una raccolta di firme. Firme in bella mostra, tra l'altro, anche se “la gente” (un'entità misteriosa che, se gridi abbastanza forte, risponde al nome di “voi”) il dito si ostina a puntarlo contro qualcuno che non esiste. La gente è orba forte. e come per il nulla di infinita memoria, il Vuoto dilaga inesorabile. È vuoto simone con il suo non-colossale sette che ricorda non poco un altro non-colossale sette. È vuoto Vincenzo che adesso incolla buie descrizioni dove prima c'erano metafore illuminanti. e sono vuoto anche io, ovvio, perché sono anni che correggo le bozze di una rivista che non esiste, se non nelle menti altrui. Babel non sono io, non è il

suo fondatore Federico, non è “qualcuno”. come la coop, Babel siamo noi. che è una frase un po' fatta, vero, ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Babel non dà voti, Babel ospita voti. soprattutto ospita opinioni, ma che ve lo ricordo a fare? Forse la coop non è abbastanza "ggiovane", in effetti. Riproviamo, allora: Babel è come la vostra homepage di Facebook, ma senza l'ultimo aggiornamento sgrammaticato. ci sarà chi piange un primo ministro troppo ferito e chi piange un primo ministro troppo poco ferito, ma sempre sulla stessa pagina sono. a ognuno di noi il suo vuoto, quindi. a voi tutti, invece, l'ultimo numero di una rivista che, dopo venti uscite, nessuno sa bene dove sia stata di preciso, dove sia in questi giorni di posttrasloco e se avrà mai bisogno di accanimento terapeutico. eppure tutti sanno come dovrebbe essere. Beh, continuate pure ad alimentare il nostro vuoto, prima o poi l'otterrete. Giovanni Donda

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Tommaso De Benetti Uno che i Vg preferisce discuterli

Tommaso De Benetti è stato membro fondatore e colonna portante di Ring, la rivista più amata dai videogiocatori meno rincoglioniti. Qualche tempo fa, esasperato dall’ignavia invincibile degli ormai depressi ringhici, ha lanciato da solo il progetto RingCast (reperibile su iTunes), primo podcast italiano a tema

videoludico, a cui comunque la vecchia guardia partecipa a corrente alternata. Gatsu, secondo il nick con cui è solito firmarsi su Internet, attualmente vive e tromba ad Helsinki, tra frotte di bionde ninfomani e sferzate di gelo più o meno devastanti.

DAL VANGELO SECONDO TOMMASO Play.com Vs stalin

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L'allegria del kolchoz sprizza da ogni pixel di questa immagine

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mici da casa, facciamo un gioco per rompere il ghiaccio e aiutare i diversamente scaltri: mettiamo che tu, caro lettore, sia un contadino del 1929 nel tuo bel kolchoz perso nella steppa russa. il sette Brumaio ti arriva questo ufficiale dell'armata Rossa che ti fa: «compagno contadino, se vuoi la tua razione di grano ci devi dare le tue patate.» tu che fai? gli dici: «Vaffanculo, io le patate le baratto al banco di Piotr, gliene do la metà di quelle che vuoi tu, e in cambio ricevo la stessa quantità di grano»? no, stai zitto e muto e gli dai le patate. in cambio ricevi un pugno di chicchi e così sarà per tutti i contadini russi che vogliono vedere l'alba del giorno dopo. con tanti saluti a Piotr e al suo banco. Fast forward con un riassunto degli eventi più importanti degli ultimi anni: finisce la seconda guerra mondiale, stalin muore, l'italia diventa campione del mondo contro la Francia, apre Parliamo di Videogiochi. siamo al giorno d'oggi, con i gamestop e tutto, e inizio a spiegarvi dove voglio andare a parare. non so voi, ma negli ultimi anni credo di aver comprato in negozio solo due giochi: call of Duty 4: Modern Warfare a un anno dall'uscita (prezzo: 29€) e Valkyria chronicles il mese scorso (18€, il prezzo appiccicato con disperazione da un commesso che non riusciva a liberarsene, peraltro il gioco è veramente ottimo e quasi introvabile, che botta di culo). altri acquisti in negozio - che ovviamente ci sono stati -

hanno sempre avuto a che fare con hardware con spedizione problematica: Lips (per i microfoni), l'arcade stick tournament edition per street Fighter 4 (grande un ventesimo del mio appartamento, pesante circa 3kg senza scatola) e, ovviamente, console, cavi, accessori vari, cazzi e mazzi. tutto il resto, inclusi i controller che per misteriosi motivi non figurano come hardware, l'ho acquistato senza alzare il didietro dalla sedia. tendenzialmente mi affido a tre siti particolari, sia per i videogiochi che per altro: Play.com (87 ordini totali dal 2004 ad oggi), the Hut (9 ordini, tutti 2009) e shopto.net (3 ordini, tutti 2009). i motivi sono abbastanza evidenti: prezzi dal 20% al 60% più bassi che in negozio, comodità, efficenza del servizio. se proprio devo trovare un motivo di lamentela a volte i pacchi tardano ad arrivare, e per ben due volte Play.com mi ha mandato l'ordine sbagliato: una volta hanno osato recapitarmi un cofanetto di eR al posto di quello di X-Files, un'altra volta - situazione ben più grave - mi sono dovuto cuccare infinite Undiscovery al posto di assassin's creed. Ma sono problemi risolvibili con un'email e qualche spicciolo, e onestamente parlando di 87 spedizioni non mi sembra una percentuale di misunderstanding molto significativa. ora pensavo: i videogiocatori, me compreso, invocano spesso e volentieri il digital delivery come soluzione del futuro, rimedio di tutti i mali, punizione per commercianti

sanguisughe e panacea di camere straripanti di scatolame vario. Ma date un occhio ai giochi on demand sul Live: Microsoft ha messo online adesso il primo gears of War a 29,99€. io l'ho comprato l'estate dell'anno scorso a 14,99€. La domanda nasce da sola: se per il mercato Pc un minimo di concorrenza è garantita da servizi rivali come steam e Direct 2 Drive, cosa succederà per il mercato console dove l'unica alternativa possibile sono network proprietari come Live, Psn e un ipotetico network nintendo migliore dell'attuale? Quando tutto o quasi sarà in digital delivery, come potremo difenderci da prezzi francamente senza vergogna? La soluzione ovvia sarebbe: non comprando. Ma lo sapete meglio di me che se non esistono alternative uno abbassa la testa e apre il portafoglio. Possiamo ripeterci che quando non ci saranno più negozianti da accontentare, i prezzi del digital delivery andranno a sgonfiarsi automaticamente... ma il punto è: e perchè mai dovrebbero farlo? guardate la musica su itunes: potrebbero vendere un album a 3,99€ e siamo fermi da anni ad un nécarne-né-pesce 9,99€; anche quando l'inferiorità estetica e di valore della versione digitale dovrebbe essere palese e riconosciuta. Mi sento un po' strambo a difendere la globalizzazione dei mercati, ma più ci penso e meno il digital delivery mi sembra un'opportunità vantaggiosa per i ghediniani utilizzatori finali.


Vincenzo Aversa Professore nerd

Ritenendosi da sempre uno dei cinque migliori giocatori al mondo di Tetris, il Dr. Vitoiuvara ha deciso di condividere con il mondo le sue conoscenze e abilità portando avanti su youtube quel “Corso per Videogiocatori Professionisti” che oltre a renderlo famoso, lo ha definitivamente consacrato al ruolo di pagliaccio. Vive

solo e abbandonato in compagnia del suo fidato quaranta pollici ma, come ama ripetere, risparmia un sacco sui preservativi. Nonostante attualmente passi tutto il suo tempo libero a videogiocare, è fermamente convinto che, nell’arco di massimo cinque anni, sarà fuori da questo ambiente di sfigati.

ESCO DI RADO (ma gioco pure TROPPO) sesso e videogiochi. senza correlazione.

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hi mi conosce e mi legge da tempo lo sa, sono uno stallone, un donnaiolo, un fisicato e un inguaribile guascone. oltre a quello, però, chi mi legge sa come la penso a proposito dell’online nelle recensioni. Di questo volevo parlare in realtà, ma su sky danno un reality con due gemelle (notevoli pure) che si fanno conquistare da un manipolo di uomini e donne e, per scegliere tra questi, infilano la lingua in bocca a tutti, indistintamente dal sesso. e quando capisci che nella vita ci sono cose più importanti che spiegare perché sia il tempo a decretare il successo di una modalità multigiocatore, non puoi più tornare indietro. cioè, capitemi, queste adesso sono a testa in giù attaccate a un palo, in minigonna e bevono qualcosa da un bicchierino, roba che Hot club ti chiede il supplemento. giuro, non so ancora di cosa parlare in questo editoriale. sono le 3:25 del 24 dicembre, pure Babbo natale non avrebbe voglia di scrivere un cazzo, almeno non lamentatevi. improvviso e chiudiamo l’anno con ironia e tanta simpatia. Pigio google news alla parola “videogiochi”. Primo risultato: “Madre americana chiama la polizia per staccare il figlio dai videogiochi!”. sobbalzo, quasi svengo, di sicuro non rido. Primo perché a mia madre, per farmi smettere anche di respirare ai tempi, bastava grugnire. secondo perché mi immagino il centralino della polizia: “a tutte le unità, a tutte le unità, abbandonare l’inseguimento del pluriomicida e la rapina in banca e convergere a casa del ragaz-

zino che non riesce a smettere di giocare a gta. Ha un pad in mano, se necessario staccare la corrente. “ Perché, eccolo il dramma, la polizia c’è andata davvero. io spero proprio che nel nostro paese ti mandino affanculo per molto meno. secondo risultato: “tokyo: amore al primo byte. sal sposa un avatar.” nell’articolo de ilmessaggero.it, a cura di stefania Viti, si parla di questo ragazzo di tokyo (cito: “la metropoli giapponese simbolo di tutto ciò che è video-robottechnologico”) che ha sposato un personaggio di un videogioco. Più della notizia, nel pezzo è interessante scoprire di una nuova razza di giapponesi vegetariani che non vogliono più fare sesso. Dopo l’anticristo, i videogiochi sono pure l’antivagina. salto qualche risultato, che di psicologi e coordinazione occhio-mano non ne ho voglia. intanto devo dire che le due gemelle hanno delle tette allucinanti eh, davvero complimenti (Rikki e Vikki si chiamano, cercatele che averle davanti vi aiuterà a comprendere meglio questo esco di Rado). Mi colpisce invece una news che farà felici i sostenitori di nintendo: “arrivano videogiochi e console in casa di riposo a Padova” battuta nientepopodimenoche dall’ansa. in pratica, invece delle bocce e delle carte, ai vecchi danno i Ds. Purtroppo loro li tirano il più vicino possibile al pallino, ma è comunque una bella rivoluzione. nooooo, son finite le gemelle, adesso c’è “Porno, un affare di Famiglia”, un reality su della gente che fa film porno. si imparano tante cose

interessanti, tipo che un sacco di uomini muscolosi si impallano come nemmeno il 360 con oblivion davanti a delle fighe vertiginose e due telecamere. altro giro: “Videogiochi: un modello virtuoso nell’industria della creatività.” Un po’ mi puzzava. in pratica l’aesVi si spompina da sola e con la camera di commercio sugli ottimi risultati ottenuti nonostante la crisi. Bravi, avete fatto spiccioli, ora rimettetevi seduti e chiedetevi perché la Polonia è una realtà più significativa della vostra. Più interessante la questione sollevata da stevie Wonder che, in occasione del Vga 2009 (manifestazione meno importante del DVi 2009 ovviamente), ha chiesto che si rendano accessibili anche per i non ved… o signore quanto è grande quel fallo di gomma! ... che si rendano accessibili anche per i non vedenti giochi musicali come Rock Band. Proprio non mi viene in mente nulla di intelligente, ma c’è chi è pagato per trovare soluzioni migliori della mia. chiudo in bellezza con la notizia più inutile dell’anno, ma di quelle che il tg5 potrebbe inserire per ridere tra i consigli per i regali. stuart Hughes, un altro poveretto stufo di aspettare buoni giochi per Wii, ha deciso di impreziosire la console con 2,5 Kg d’oro a 22 carati per la scocca e 78 diamanti da 0,25 carati (che pezzente). i telecomandi niente, che tanto la console te la devi mettere al collo. il Wii supreme così conciato costa 340.000 €, solo 339.900 se porti il vecchio Wii + due giochi al gamestop.

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Simone Tagliaferri si perde troppo spesso per mondi virtuali

Simone Tagliaferri nacque e sta ancora cercando di recuperare da quella faticaccia immane. Nel frattempo ha scritto articoli per molte testate, tra le quali Gameoff, Xoff, PSW, PC Games World e altre di cui non ricorda molto (sapete... la senilità). Attualmente scrive articoli su multiplayer.it, cura la sezione videogiochi

ARS LUDICA

del Mediaworld Magazine e scrive assiduamente su Ars Ludica, progetto nato nel lontano 2005 che si occupa di spammare un po' di cultura videoludica in giro per il web. Tra le sue altre attività, oltre allo spaccio internazionale di pannolini usati, traduzione di guide ufficiali e di videogiochi.

www.arsludica.org

Dittature invisibili

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La morte del voto è la rivoluzione che cerchiamo? Oppure è solo uno dei tanti argomenti buoni per fare polemica sui forum?

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oti voti voti. Possibile che dopo decenni di storia dei videogiochi dobbiamo ancora parlare di voti? a scuola li odiamo, ma quando parliamo di videogiochi non possiamo farne a meno. a cosa ci servono i voti? Dopo attente meditazioni e qualche birra di troppo ne ho dedotto che abbiano come unico fine quello di misurare la nostra appartenenza al genere umano. il nostro io smisurato, sottosviluppato e malaticcio non riesce a concepire che nel mondo emerso qualcuno esperisca e riesca a giustificare un voto diverso da quello che abbiamo nella nostra testa, spesso prima di aver provato il gioco (quante splendide discussioni ho letto sui forum in cui si parlava di che voto dare a giochi ancora non usciti? il bello è che l’atmosfera era di acceso dibattito sul nulla). come diceva carmelo Bene le parole sono cazzate, figurarsi quindi i numeri. i voti sono la feccia del mondo dei videogiochi e trasformano in feccia ogni discorso intorno ad essi. sono la molla principale dei tentativi di corruzione, delle strategie di distribuzione del materiale per la stampa, degli accordi per le copertine e via di questo passo, ma sono anche un’inutile sovrastruttura e non hanno alcun valore, siano essi un dieci o un uno. eppure tutto gli ruota intorno perché sono la semplificazione estrema, l’unico dato che spesso il lettore capisce e cerca... anzi, che brama come il marinaio brama la luce di un faro. Di edge vengono riportati i voti, di Famitsu vengono riportati i voti, Metacritic è diventato il più autorevole sito di critica

videoludica e gli utenti si tirano addosso le medie voto come fossero mutande sporche. Mai nessuno che si preoccupi di leggere. Mai nessuno che si preoccupi di capire che due critiche che sembrano in netto dissenso reciproco possono convivere e, paradossalmente, possono essere entrambe valide. non tirerei in ballo i punti di vista perché spesso quelli che parlano non hanno alcun punto di vista, altrimenti non si spiegherebbe il fatto che molte delle polemiche sui voti nascono da lettori che i giochi non li hanno ancora provati. il problema è che fa piacere sentirsi parte di una massa, a prescindere. il videogioco spesso non viene vissuto come un fatto privato, ma come un evento collettivo individualizzato, in cui il singolo tende a cercare di far corrispondere la sua esperienza a quella degli altri o, di contrasto, a dissentire completamente dall’opinione generale. in entrambi i casi non viene messa in campo nessuna capacità critica, ma si reagisce in senso umorale al fatto sociale costruito dal fluire dei testi che nei mesi hanno preparato la pubblicazione. L’importante non è il gioco, ma l’evento. ovviamente i partiti in campo percepiscono le dissonanze come degli attacchi personali, non riuscendo a concepirle come presenze naturali nel tessuto di quella sottocategoria della società che chiamiamo videogiocatori. L’utente che partecipa all’evento entra in una logica rituale che non ammette che la preghiera. È la cessazione di ogni dialogo. il voto è l’osanna che non riassume più il bello e il brutto, ma diventa il simbolo del grado di

appartenenza di chi lo esprime e della compattezza che viene ricercata in chi legge. i discorsi estetici decadono. al massimo si tira in ballo il divertimento che, essendo un dato effimero, non è smentibile. L’ottusità diventa sistema e gli unici pensieri che si riescono a esprimere ruotano intorno a quel dannato numeretto e alla sua vicinanza al pensare medio. È difficile che un lettore accetti un giudizio critico, perché nel momento in cui si applica l’intelligenza analitica lo si costringe a un confronto su termini che non hanno nulla a che vedere con il gusto e il voto stesso. L’uscita dalla comoda sfera del soggettivo imbarbarito crea la crisi e l’ottuso risponde alla crisi con la violenza. Verbale in questo caso, ma spesso altrettanto accesa di quella fisica. il primo tentativo di interazione non è la richiesta di chiarimenti o l’esposizione di una posizione alternativa, ma la delegittimazione del giudizio altrui ricorrendo ad alcuni artifici retorici di largo consumo come: “lo hanno comprato in milioni” (in molti dimenticano che secondo il nuovo testamento cristo venne crocifisso a larga maggioranza di votanti) o “il recensore non capisce nulla di videogiochi”. il fine non è quello di esprimere un’opinione o di parlare del gioco. si mira invece alla distruzione di chi scrive additandolo in modo negativo alla ricerca dell’abiura. insomma, si cerca di scatenargli addosso un vero e proprio pestaggio che lo riporti alla retta via o lo elimini definitivamente.


Gianluca Girelli Fenomeno parastatale incontrollato

Un giorno di pioggia, l’Innominato nazionale, incontra un cabinato di 1943 per caso. Qualche anno dopo incontra e si scontra contro un albero alla prima doppia curva di Outrun. La dolce bionda pixellosa e il fantastico e coloratissimo mondo dei Videogiochi nei suoi pensieri erano già. Alla soglia dei 30 anni decide

di mettersi a scrivere di videogiochi, incurante di aver perso il treno della fama videoludica oramai parecchio tempo fa. E’ fermamente convinto che Samsung farà uscire una sua console tra meno di 10 anni. La seguente didascalia è stata scritta dall’autore parlando di se in terza persona. È grave dottore?

quanto puoi tanto osa La scappatoia

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ome già saprete, Babel ospita da diverso tempo italia top games, una sorta di gamerankings italiano con le medie delle votazioni affibbiate da diversi siti nostrani ai giochi usciti sul mercato. se Babel fa parte di questo gruppo, è perché abbiamo scelto fin dall’inizio di affidarci anche noi alle classiche votazioni numeriche. nonostante questo, non abbiamo smesso di chiederci se non sia il caso di rivedere l’attuale metodo di valutazione, vista la sempre più frequente impossibilità del voto numerico di definire l’opinione espressa nella recensione. Di metodi alternativi, più o meno funzionali, ne sono stati proposti a bizzeffe. se il vecchio Ring si affidava alla scala “s,a,B,c,D,e” di derivazione Mikami-ana, c’è chi preferisce fare la lista dei pro/contro, chi invece propone cose più originali come “Buy”, “Do not Buy”, “Rent”. in quest’ultimo caso, però, tradiremmo gli insegnamenti del buon vecchio Fabio Rossi che eoni fa, rispondendo a un distributore parecchio incacchiato, dovette far notare che “le riviste di videogiochi non devono essere considerate delle guide all’acquisto!“. nel frattempo, l’intero settore sembra rimanere ancorato al modello “grafica, sonoro, giocabilità, Longevità” con annesso voto finale: fino a 10, fino a 100, in decimi, in mezzi voti, o in vena di revival, in centesimi sul modello Kappa. e non si dica che altri medium con una maggiore tradizione, come cinema e letteratura, non utilizzano valutazioni numeriche, poiché basta

sfogliare una qualunque rivista o giornale per trovare anche lì stelline, pallini, cuoricini and so on, quasi come se il recensore, in tacito accordo con il lettore, ponesse le mani avanti dichiarando che quello è l’unico metro di paragone di cui si debba tenere conto per valutare il prodotto. Un retaggio, quello del voto globale, che ci si porta appresso da fin troppo tempo. La stessa categoria dei recensori dovrebbe in qualche modo sentirsi svilita nel dovere pesare il proprio giudizio e doverlo poi confrontare con quello del pubblico attraverso un numero che spesso non significa nulla. Perché se “il voto non è una media”, come si usava dire una volta, il cosa sia non l’ha capito ancora nessuno. Personalmente sono contrario a qualunque tipo di valutazione, dovesse anche essere la più efficace che mente umana possa elaborare. Ho l’impressione che il voto a fine articolo sia per il recensore una sorta di scappatoia, che trova nel voto l’ultima ancora di salvezza quando la recensione non è in grado di espletare la propria funzione come dovrebbe. il lettore, che fatica a capire le ragioni del recensore, finisce per trovare nel voto un ultimo appiglio al quale aggrapparsi per valutare la bontà di un prodotto. Una recensione non necessariamente didascalica, che chiarisca al lettore i criteri adottati per arrivare a una determinata conclusione, renderebbe inutile qualsiasi tipo di ulteriore valutazione al di fuori del corpo della recensione. intanto però i voti sono ancora la norma e prestano il fianco al classico lettore svo-

gliato che non è d’accordo con le scala di valori attribuita (quando magari una linea editoriale non esiste nemmeno), che si fionda direttamente verso il voto senza leggere la recensione, che linka i voti sui forum estrapolandoli dal loro contesto, che si lamenta con il recensore di turno perché la sua valutazione non corrisponde alla massa della critica. tutto questo, come fa notare il nostro Vincenzo aversa nel blog single Player coop (www.singleplayercoop.com) con un “je accuse” diretto al mondo dell’editoria, sta portando a una pericolosa standardizzazione delle opinioni, laddove la valutazione migliore sembra dover essere anche quella comune perché altrimenti, in barba a tutti gli sforzi per argomentare la propria tesi, si finisce per fare la figura del povero imbecille che non sa fare il proprio mestiere. a questo punto non è più solo una questione di voti da attribuire, bisognerebbe piuttosto iniziare a pensare di istruire il lettore a leggere le recensioni in maniera più approfondita, lasciandosi alle spalle trent’anni di editoria scriteriata. Recensioni scritte come si conviene, lettori abituati a leggere e capire le recensioni. Un’utopia che servirebbe a mandare in pensione qualunque altro metodo valutativo. con buona pace di molti publisher, che non saranno più costretti a mandarti la letterina chiedendo spiegazioni sul numerino a fondo pagina.

All’interno di una vecchia rivista, un insospettabile lettore scrive lamentandosi dei voti. Chi sarà mai? Scoprivatelo sul numero 21 di Babel!

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ncora una volta Meteore torna a parlarvi di annunciate rivoluzioni videoludiche che per vari motivi non hanno sfondato, lasciando spesso solo un vago ricordo del loro passaggio. a differenza dei precedenti numeri però, questa volta le rivoluzioni mancate non vanno ricercate in software/hardware immesso sul mercato con scarso successo, ma piuttosto in quelle che sul mercato non ci sono (quasi) nemmeno arrivate. Le cosiddette “console nate morte”, sistemi che nelle intenzioni degli sviluppatori avrebbero dovuto spaccare il mondo ma che non sono mai giunte sugli scaffali dei negozi, o quelle che sullo scaffale ci sono arrivate, ma il loro destino era bello che segnato ancor prima del lancio. ciclicamente, c’è sempre stato qualcuno pronto a svelare hardware dalle prestazioni mirabolanti, salvo poi tirarsi indietro e far finire il tutto in una nuvola di fumo. non soltanto misconosciute società, ma anche importanti nomi del settore come sega e nintendo arrivarono a fare proclami sensazionalistici per poi rimangiarsi tutto inventando scuse poco credibili. che ci fosse una vera volontà di lanciare il prodotto (vedi il neptune di sega), che i proclami fossero poco probabili (Konix Multisystem), o che il tutto fosse un modo per iniziare una guerra di nervi contro i competitori (supernes cD RoM) poco importa: rivoluzioni mancate o meno, negli ultimi 20 anni non possiamo dire di non avere avuto parecchi argomenti di cui parlare. Possiamo solo immaginare quanti hardware hanno avuto uno sviluppo senza vedere mai la luce. se di molti di questi non sapremo mai nulla, alcuni furono talmente chiacchierati da avere parecchia risonanza nelle riviste dell’epoca. agli albori del mercato era molto più facile che il fenomeno si verificasse: produrre hardware videoludico era infatti molto meno dispendioso e richiedeva meno conoscenze tecniche rispetto ad oggi. chiunque avesse una buona idea in mente e un certo gruzzolo da investire, avrebbe potuto immettere sul mercato un hardware competitivo. se alla fine degli anni ’70 semplici inventori come clive sinclair investivano con profitto nel mercato, progettando sistemi con componenti standard di facile reperibilità e dal costo irrisorio, oggi il solo pensare di avviare progetti simili è da ritenersi impraticabile, se non si dispone di un budget a sette zeri. Fu questo

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di gianluca girelli

METEORE: A CHI PE

IL DESTINO DISS il motivo per cui, nel periodo precrash, il mercato fu affollato da moltissimi sistemi videoludici, sviluppati da società nel campo dell’elettronica di consumo (Philips, Matsushita, Magnavox, ecc,), dei giocattoli e dell’intrattenimento (Mattel, Bally) o da ditte provenienti da settori totalmente diversi pronte a buttarsi a pesce nel nuovo e proficuo mercato dei videogiochi (coleco). Per ogni sistema lanciato sul mercato, e ce ne furono davvero tanti, altrettanti rimasero in fase prototipale o non videro mai luce per scelte di marketing o condizioni economiche avverse. il crash del 1983 fece piazza pulita di molti competitori, motivo per cui molte delle console nate-morte si concentrarono soprattutto in quel periodo. sarebbe impossibile citare tutti i prototipi realizzati e mai distribuiti, piuttosto ci soffermeremo su quei progetti annunciati con tanto clamore, ma che all’atto pratico hanno concluso poco o nulla, o addirittura si sono rivelati solo un grande bluff. tra i sistemi nati-morti, il più famoso è senza dubbio il Multisystem della Konix, società di sviluppo periferiche che un bel

giorno si mise in testa di poter contrastare le grandi società sviluppando una console “multiperiferica”. a questa si sarebbe dovuto aggiungere una sorta di sedile semovibile sul modello dei grandi cabinati da sala. Ma c’è anche il supernes cD-RoM, lettore cd per supernes, sviluppato da nintendo prima con Philips, poi con sony, poi ancora con Philips, e la cui diatriba tra le tre case porterà qualche anno dopo alla nascita della Playstation. e ancora, come non ricordare l’atari Mirai, il tentativo del colosso di sunnyvale di portare sul suolo americano un neogeo a basso costo? sempre di atari non possiamo dimenticarci il Panther, console a 32bit basata su architettura Flare i, la stessa del (presunto) hardware del Konix e che ironicamente fece la stessa fine, essendo messa da parte in favore del Jaguar, basato su architettura Flare ii. La 3Do company, fautrice del mezzo flop 3Do (appunto), ci riprovò con il progetto M2, sistema a 64 bit che avrebbe dovuto spezzare le ossa al nintendo 64 ma che finì con le ossa rotte in rari arcade e, in compenso, in moltissimi ufo-catcher.

Tra tutte le vicende relative a progetti annunciati e che non hanno mai visto la luce, quella del Phantom è sicuramente la più curiosa. Annunciata da Infinium Labs nel 2002, la “console” sarebbe dovuta essere in realtà una sorta di set-top box in grado di leggere l’intera softeca per PC, inoltre non avrebbe integrato nessun supporto ottico in quanto tutti i giochi sarebbero stati disponibili online e scaricabili direttamente dal provider. Dopo anni di vaporware, venne prima ufficializzata l’uscita nel 2004, poi mostrato un prototipo funzionante all’E3 2005. Nonostante questo, servizi online e accordi per la softeca parevano essere ancora avvolti dalla nebbia più fitta. Dopo aver sperperato quasi 63 milioni di dollari senza mostrare nulla di concreto, nel 2006 il presidente della compagnia Timothy Roberts venne indagato per la non proprio lecita abitudine di raccogliere milioni di dollari dagli investitori senza mai portare a compimento i progetti preventivati.


Dvd-recorder su piattaforma NUON. Nonostante la presenza dell’hardware, mancano le prese per i joypad, per cui è necessario una modifica hardware per usarlo come console

ERO’

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NO?

Nell’articolo vengono citati i poco noti SuperCharger e DECO, ma che diavolo erano? Se non avete la minima voglia di cercarveli da soli su Google, sappiate che il primo era una costosissima espansione su nastro per i pochissimi giochi che lo supportavano, mentre il secondo era una poco fortunata piattaforma hardware arcade e in seguito (pare) una console basata sullo stesso hardware, prodotta da Data East. Come “Chi è Data East”?

Lo stesso nintendo 64 si ritrovò ad avere una delle espansioni dal minor successo dai tempi del supercharger, quel 64DD che il mercato, e forse la stessa nintendo, ha fatto fatica a capire. in tempi recenti si possono citare il nuon, piattaforma in licenza che vedrà forma solo in un numero irrisorio di videoregistratori, mentre il Phantom avrebbe fatto onore al suo nome, a causa dei 100 milioni di dollari che la cordata di investitori ha visto sparire nel tentativo di supportare una console fantasma.

tra tutti fu però sega quella più attiva, con la sua masochistica insistenza nel voler immettere nel mercato add-on e periferiche di dubbia vendibilità. come con il sega VR, sistema di realtà virtuale già trattato nello speciale scorso e che non ha mai visto la luce, il progetto neptune di un Megadrive + 32X integrato, e infine il Blackbelt, add-on per saturn che avrebbe dovuto espandere le capacità della console, idea in seguito ripresa anche sul Dreamcast dove fece, giustamente, la stessa fine. Ma non dobbiamo dimenticare tutti quegli hardware mandati al macello per essere massacrati dal pubblico, come il molto costoso MegacD, il cD-X (o MultiMega), lo stesso 32X e il teraDrive, anello di congiunzione tra MD e Pc, poi rivisto in europa sotto forma di MegaPc. cercando di analizzare quali furono i motivi comuni alle disgrazie di tutti i sistemi nati-morti, possiamo definire almeno tre aspetti: - l’incapacità di riconoscere le reali esigenze del pubblico. alcune console, come Virtual Boy o

Un concept-design del Super NES cd-rom

64DD furono palesemente criticate dall’utenza e dalla stampa ancor prima della loro uscita. tecnologie non ancora mature (M2, Phanter, Pippin, Deco) o hardware di cui nessuno sentiva la necessità (cD-X, snes cD) sarebbero stati la causa di molti flop commerciali. alcuni produttori cercarono di anticipare i gusti dell’utenza o di creare nuovi bisogni (64DD) fallendo però miseramente. -la volontà di smuovere le acque nel mercato facendo fretta ai competitori. e’ il caso di nintendo, che annunciò con perfino troppi anni di anticipo il nintendo 64, tant’è che all’epoca molti sviluppatori, tra cui Dave Perry (earthworm Jim, MDK, Messiah) pensarono si trattasse di vaporware. Ma anche di Konix, che utilizzò le (poche) risorse disponibili più per pubblicizzare il suo nuovo sistema che per immetterlo sul mercato. -l’arrivo sul mercato oltre i tempi previsti o in concomitanza di condizioni economiche sfavorevoli: sistemi come l’amstrad gX4000 o l’atari 7800 uscirono talmente in

L’evanescente Phantom

ritardo da essere penalizzati sotto il profilo delle prestazioni, vanificando tutti gli sforzi economici fatti per realizzarli. altri, come il Jaguar Duo di atari, non uscirono proprio a causa di problemi economici che da li a poco avrebbero portato alla chiusura della società produttrice. se in molti casi la fine di questi sfortunati sistemi pareva già segnata ancora prima della nascita, in altri casi viene l’amaro in bocca pensando a come sarebbe stato il mercato se le cose fossero andate diversamente. o se i produttori avessero avuto un po’ più di senno.

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di Gianluca Girelli

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Drive me to the Moon opo aver trattato in maniera adeguata il Sistema di Controllo nei precedenti numeri, è ora di passare al secondo degli elementi che definisce un gioco di guida: il Track Design (TD). Sistemi

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Drive me to the Moon - Speciale sui giochi di guida

di controllo pregevoli, concorrenti agguerriti, modalità di gioco interessanti possono nulla se il tutto viene vanificato da un Track Design non all’altezza. Nelle prossime due pagine scopriremo il perchè.


Il Track Design (TD) con il termine track Design (tD) si definisce non solo il susseguirsi di curve, rettilinei e saliscendi di cui il tracciato si compone, ma anche l’insieme di tutti gli elementi dentro e a bordo pista che devono stare insieme tra loro nella maniera più armoniosa possibile. come per il Level Design, il tD deve massimizzare l'esperienza di gioco, o in questo caso l’esperienza di guida, in modo che la competizione risulti impegnativa ma allo stesso tempo divertente. Di che cosa si compone un buon tD? Dal rapporto curve/rettilinei? Dalla dimensione del tracciato? Dal numero di saliscendi? Dal design degli elementi di contorno? La risposta non è semplice poiché correlata a molti altri elementi, primo fra tutti il sistema di controllo (sdc). sebbene il sdc sia l'elemento discriminante in un gioco di guida, il connubio tra sdc e tD rimane di fondamentale importanza. come vedremo, un titolo con un buon tD ma con un sdc fallato risulterà più appetibile rispetto a un altro con un sdc buono ma con un tD appena discreto. generalmente si dà poca importanza al tD all’interno di un gioco di guida, eppure il tD è un elemento importante per la riuscita di un buon racing game. Di fondamentale importanza nei giochi arcade, dove può essere utilizzato maggiormente come elemento di ostacolo, il tD ha la stessa valenza nei giochi simulativi

dove, nonostante le ambientazioni dei circuiti siano spesso prive di elementi di contorno che possano rallentare o bloccare l’auto (alberi, muri delle case, massi, guardrail, ecc), non può esimersi dal tenere conto delle caratteristiche del sdc, evitando l’inserimento a casaccio di curve e rettilinei di varia lunghezza. Per questo motivo, molti circuiti reali vengono realizzati con la collaborazione di piloti di diverse classi motoristiche poiché, ad esempio, un circuito di F1 deve adattarsi sia alle classi minori sia a quelle turismo, mentre un tracciato per gokart non andrebbe assolutamente bene per una gara su due ruote, a meno che non si parli di mini-moto. Possono esserci differenze sostanziali anche nella stessa classe di vetture, laddove uno spaFrancorchamps è considerato un tracciato molto divertente rispetto al vecchio e più monotono Hockenheimring pre2002 con i suoi mega-rettilinei. in entrambi i casi sempre di successione di curve e rettilinei si tratta. tD e sdc devono viaggiare di pari passo ma anche essere equilibrati: potrebbe accadere, infatti, che il primo non riesca a valorizzare sufficientemente il secondo, o addirittura il valore dei due elementi potrebbe finire per sottrarsi anziché sommarsi. nel caso di un gioco di guida con un sdc funzionale ma con un tD fallato, si può arrivare all'annullamento di quanto di buono

fatto dal primo. ad esempio se il tracciato è troppo largo, il sdc viene penalizzato in quanto il giocatore è portato ad accelerare a manetta sapendo di poter contare sempre su abbastanza spazio in ogni curva. in questo caso sparisce tutto il mordente della sfida e il giocatore si limita a schiacciare il bottone dell'acceleratore per interminabili minuti, fino ad arrivare al traguardo quasi sicuramente vincitore (vedi test Drive 5, san Francisco Rush). il caso di un sdc fallato con un tD ottimo si spiega da solo: al primo impatto con un sdc claudicante il giocatore molla la presa senza stare a perdere troppo tempo nel tentativo di controllare, inutilmente, la vettura. tra i due casi è forse comunque preferibile il secondo: esistono, infatti, esempi di giochi di guida con sdc non perfetto ma con un tD che invoglia comunque a portare a termine le gare (V-Rally). nel primo caso invece, un tD penoso non sarebbe salvato nemmeno dal migliore dei sdc in quanto verrebbe meno un elemento essenziale come il fattore sfida. Quali sono i criteri per realizzare un buon tD? e’ importante sottolineare come la componente fantasiosa sia di aiuto ai designer, motivo per cui negli arcade il tD assume un’importanza maggiore rispetto ai titoli simulativi: liberi da restrizioni legate alla riproposizione fedele della realtà, i

designer possono sbizzarrirsi, creando tracciati che si adattano alle caratteristiche del sdc, indipendentemente dal fatto che il percorso risulti plausibile o meno. Potendo contare su sdc più permissivi e fantasiosi, il designer può inventarsi tracciati con zigzag, scorciatoie e salti in rapida successione in modo da tenere sempre impegnato il giocatore, che in base alle proprie abilità può scegliere di affrontare la pista come vuole. Un gioco simulativo ha dei vincoli maggiori: una successione di curve troppo strette limiterebbe molto la vettura, mentre saliscendi troppo ripidi la rallenterebbero eccessivamente. nulla di male, ma al giocatore piace il senso di velocità e questo potrebbe risultare attenuato dall’inserimento di elementi troppo drastici nel tracciato, con un impatto ancora più marcato in un simulativo rispetto a un arcade. Dando libertà ai designer di realizzare tracciati da zero, questi potranno lavorare partendo da un sdc già esistente attorno al quale realizzare un tD ad hoc, o al limite potranno sviluppare i due elementi a stretto contatto in modo che siano i più affini possibili. Un tracciato basato su strade o circuiti reali pone invece i coder nella condizione di dover adattare il sdc alla conformazione del tracciato. Un sdc preciso, incentrato sull’alta manovrabilità, non si può affidare a un tD con ret-

Un caso particolare. Nel 2006 Sega commercializza OutRun 2 su piattaforma Xbox inserendo come bonus i circuiti di Scud Race e Daytona 2, due giochi di guida arcade usciti nella seconda metà degli anni ’90. Sebbene OutRun2 e gli altri due giochi abbiano alcune similarità, il loro SdC è fondamentalmente diverso; tuttavia i tracciati inseriti nella versione Xbox paiono identici alle versioni arcade tranne che per qualche orpello grafico, qualche texture in più e ovviamente la risoluzione più elevata. Sumo Digital, la software house che si occupò delle conversioni, non diede molto peso alla differenza di SdC tra Outrun2 e gli altri due giochi, facendo solo un controllo sommario sul funzionamento effettivo dei tracciati e sulla stabilità delle vetture di Outrun2 in essi. Di fatto le auto di OR2 non hanno particolari problemi ad andare sui circuiti di Daytona2 o Scud Race ma il giocatore attento scopre che il feeling è totalmente diverso. E' non è solo colpa del SdC di OR2 ma anche dei tracciati, che non si incastrano perfettamente al nuovo SdC come succedeva nell’originale. Le curve vengono prese in maniera troppo facile, mentre una curva presa in libertà in OR2 avrebbe causato i disastri in Daytona2. La perfetta sinergia tra TD e SdC viene a mancare e il gioco ne perde di appetibilità. Fortunatamente OR2 non fa (solo) affidamento sui circuiti addizionali ma anche su quelli standard, quindi il giocatore non si fa troppi problemi per qualche circuito leggermente fallato.

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di Gianluca Girelli

Quattro esempi di problemi correlati al Track Design. 1) Pur con un SdC discreto, San Franscisco Rush vanifica tutto a causa dei numerosi problemi nel TD. Le corsie sono troppo grandi, pochissimi i punti che richiedono concentrazione, mentre i ristringimenti di carreggiata si verificano, in gran parte, in presenza dei rettilinei. Ma soprattutto, gli oggetti a fondo pista sono di una pochezza imbarazzante! 2) Stessi problemi di carreggiata per Test Drive 6, che però risolve in parte grazie all’elemento traffico. Ma i rettilinei sono decisamente troppi, mentre si rallenta decisamente poco per un titolo dalle meccaniche tutt’altro che arcade. Spesso infatti è meglio rimbalzare contro le barriere piuttosto che frenare. 3) Carmageddon aveva un SdC pesantemente fallato ma, paradossalmente, un Track Design globalmente buono per essere un gioco di guida free roaming. 4) Monaco GP Racing Simulation 2 per PSX soffre di seri problemi di controllo che si aggiungono ad un TD reintepretato male, che si aggiungono ad una realizzazione tecnica orripilante, che si agg...ok, aspettatevi di vederlo comparire prima o poi nella rubrica Giochi di Merda!

tilinei troppo lunghi e curve troppo larghe, poiché il giocatore, avendo un eccessivo controllo della vettura in ogni situazione, sarebbe portato a non vedere il tracciato come ostacolo da superare. Una curva presa a velocità troppo elevata non sarebbe più un grosso problema se poi, come accade in alcuni arcade, nemmeno i fuori pista rappresentano un rallentamento. al contrario una vettura spedita in curva a folle velocità e con una manovrabilità medio bassa, avrebbe dei seri problemi a evitare barriere o a superare zigzag troppo stretti. nel primo caso, il sdc dovrà essere abbinato a un tD con curve a gomito, chicane e strade strette. nel caso opposto, un sdc basato sulla velocità risulterà limitato da circuiti troppo arzigogolati mentre funzionerà benissimo in circuiti molto lunghi poiché l'alta velocità renderebbe difficoltosa anche la più innocua delle curve. nei titoli rallystici, dove anche i dossi rappresentano una variabile da considerare, è bene tenere a mente che il giocatore non vede di

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buon occhio i periodi troppo prolungati in cui le ruote non poggiano per terra, in quanto di norma vuole avere sempre il controllo sulla vettura e poco si fida di routine di salto che potrebbero fare cilecca sul più bello. i game designer spesso dimenticano che il videogiocatore è una specie pigra, che cerca sempre il modo migliore per semplifi-

Drive me to the Moon - Speciale sui giochi di guida

carsi la vita. Deve essere il gioco stesso a mettere il bastone tra le ruote al giocatore che altrimenti si godrebbe scampagnate ad alta velocità. in questo caso, l’unica sfida rimarrebbe quella del superamento degli avversari, ma ne parleremo meglio nei prossimi numeri quando tratteremo della stupidità artificiale (sa). stabilite di quante curve, rettilinei, salti e altri elementi deve essere realizzato un circuito, non rimane altro che riempire tutto ciò che non è manto stradale, come case, ponti, lampioni, transenne, guardrail, tribune ecc. Valore aggiunto è il "design nel design": un buon tD deve non solo essere ludicamente valido ma, possibilmente, esteticamente bello da vedere. Un tD complesso ma con ambientazione desertica difficilmente colpisce il giocatore come uno ambientato in una coloratissima metropoli. il motivo è semplice: non solo l’occhio vuole la sua parte, ma il design deve anche saper offrire un certo grado di meraviglia costante, tale da immergere ancora di più il giocatore nel mondo virtuale. se in un gioco con ambientazione “realistica” bisogna saper dosare gli elementi, facendosi anche aiutare da paesaggi esistenti, nella tipologia di gioco “fantasioso” gli elementi di contorno dovrebbero fare pensare a un qualcosa che abbia coerenza piuttosto che a tanti oggetti poligonali messi a caso. Uno studio attento del design architettonico delle strutture oltre la pista (Racing evoluzione) oppure la ricerca di elementi atti a

creare ambientazioni non vere ma verosimili (V-Rally2) potrebbero finire per essere preferibili a giochi le cui strutture rispecchiano quelle reali (Project gotham Racing) o presentano riferimenti naturalistici fin troppo precisi (WRc). L'importante, in ogni caso, è che il giocatore non abbia l'impressione di stare a girovagare in mezzo al nulla. il designer può quindi percorrere due strade: focalizzarsi su un'idea di design semplice e/o che funzioni stilisticamente, oppure può cercare di riempire lo schermo con tanti input da dare in pasto agli occhi del giocatore, che non sembrino tanti oggetti messi alla rinfusa ma che aiutino a dare corpo alla scena per "riempirla" nel modo migliore possibile. con una giusta miscela di questi elementi, il giocatore inizierà inconsciamente a pensare agli oggetti di sfondo come parte integrante del tracciato, rimanendo colpito da dettagli sostanzialmente inutili. che cosa sarebbe stato Virtua Racing se fosse mancato l’effetto dell'erbetta a bordo pista che volava al contatto con le ruote o senza le scintille sul fondo della vettura che toccava l'asfalto? Ludicamente lo stesso gioco, emozionalmente qualcosa di meno.

Astro waterfall Speedway (Daytona USA 2: Battle on the Edge), forse il miglior esempio di track design di sempre.



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THE VOID Se è vuoto come fa ad essere in bianco e nero? console pc sviluppatore ice-pick lodge produttore nd games versione pal provenienza russia

a cura di Simone Tagliaferri

he Void non è un capolavoro. Di capolavori ce ne sono troppi. Molto meglio essere altro. La genialità di the Void risiede nella sua indivisibilità, ovvero nell’inscindibilità delle meccaniche di gioco dalla narrazione. Prendete un god of War qualsiasi e iniziate a cambiare il preservativo che riveste la polpa. ad esempio mettete una mignotta con un vestitino di latex al posto di Kratos, toglietele la mazza e fatele scannare i nemici a colpi di tacchi a spillo. notate differente a parte il manifestarsi di un’erezione adolescenziale dovuta ai continui ammiccamenti sessuali? su, mandate in cantina quelle facce da ebeti, lo sapete bene che cambia solo l’epidermide. ora prendete il titolo di ice-Pick Lodge e provate a modificarne un singolo elemento se ci riuscite. Lo distruggereste. the Void può essere solo the Void. La sua complessità è possibile solo perché è inserita in un certo contesto che le dà una logica ludica che è tutta narrativa. il giocatore viene proiettato in un mondo straniante di cui deve per prima cosa dominare la diversità. Qualche indicazione arriva dalla sister (insieme ai Keeper fanno parte della popolazione umanoide del Void) che ha ridato vita al protagonista senza nome donadogli il suo cuore, ma in realtà finché non si è fatta un po’ di pratica e non si è capito il ritmo del gioco è molto difficile riuscire a penetrarne i meccanismi. tutto ruota intorno ai colori. Per prima cosa bisogna raccoglierli dalle piante o dagli animali (erba, alberi e lucciole), quindi bisogna farli filtrare da uno dei cuori (se ne possono

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portare fino a 21) trovati nelle diverse camere. con i colori è possibile: parlare con le sister e cercare di ottenere la loro fiducia; ridare vita agli alberi morti facendogli produrre altro colore; combattere contro i nemici; disegnare dei glifi per produrre diversi effetti; creare sfere per attirare le lucciole; spostarsi per le zone del Void tracciando il percorso da seguire e svariate altre azioni che non perdo tempo a elencare. Di base ogni interazione consuma parte della riserva dei colori che va rimpinguata continuamente. È per questo motivo che inizialmente ci si trova in

grosse difficoltà. non basta infatti crearsi un giardino e attingere la preziosa linfa vitale alla bisogna, occorre anche dosare bene la quantità di materia prima in nostro possesso per fare in modo di non rimanere a secco mentre si aspetta lo scorrere di un ciclo vitale, necessario per far produrre colore alle piante. Purtroppo il tempo dei cicli vitali scorre solo quando ci si trova nel Void, dove si consuma anche parte del colore accumulato, oltretutto a una velocità decisamente vorticosa. esauritosi il colore, arriva inesorabile la fine. Da questo punto di vista the Void è impie-

toso (un po’ com’era Pathologic, altro capolavoro misconosciuto di ice-Pick Lodge) e si cura poco di indorare la pillola. in effetti dopo un paio di tentativi andati a vuoto, ho iniziato a concepire il gioco come una specie di strategico in cui ogni mossa va pianificata con cura per minimizzare gli sprechi. Ho anche iniziato a procedere con più lentezza, cercando di essere ben rifornito prima di affrontare le nuove zone. così sono riuscito ad andare avanti, affascinato dalla splendida ambientazione e dalla ricchezza del gameplay volutamente filosofico. Poi,


The Void non appare in nessuna classifica dei migliori giochi dell'anno, ma non vi fidate

Inizialmente l'interfaccia può dare qualche difficoltà

quando tutto sembrava chiaro e procedevo abbastanza spedito, è arrivata la disgregazione di ogni certezza e la chiave di lettura usata fino a quel momento ne è risultata alterata. the Void ha iniziato a pormi domande e a non dare più risposte facili, proprio come solitamente fanno le migliori opere d’arte. il legame tra il giocato e il narrato è diventato ancora più forte. È difficile che un videogioco riesca a (o meglio, voglia) produrre un effetto simile. non sto parlando di un qualche colpo di scena stile shaymalan che ha la funzione di una bomba gettata sull’ordito della trama, ma di

un’erosione graduale delle certezze acquisite che si traduce in una riflessione sul gameplay e sull’ottusità dell’accettazione implicita ma inevitabile di un sistema di regole, qualsiasi esso sia. in realtà per spiegarmi meglio dovrei parlare approfonditamente della trama, ma evito accuratamente di farlo perché non sono arrivato alla conclusione del gioco e sarei molto parziale nell’esposizione. the Void rischia. Rischia di essere sommerso nella boria di una critica che parla solo dei titoli più pubblicizzati abdicando continuamente al suo ruolo. Rischia di perdere il confronto

contro il centesimo Zelda o il millesimo picchiaduro in cu premendo tasti a caso si eseguono evoluzioni miracolose. Rischia di finire nei denti di ferro di quelli che si lamenteranno per la troppa difficoltà. Rischia di venire snobbato rispetto a titoli come Uncharted 2 perché ha il coraggio di narrare presentandosi come un videogioco, senza nascondersi dietro lo spauracchio del film interattivo (ma non erano il nemico da abbattere?). anzi, meglio, perché ha il coraggio di poter essere soltanto un videogioco e di dimostrare che la mancanza di certe tematiche nei titoli maggiori non è dovuta

alla natura del medium, come molti vorrebbero dare a intendere, ma alla pigrizia o alla cattiva volontà (o all’incapacità, perché no) degli sviluppatori e dell’industria tutta. Rischia anche di essere la prova definitiva dell’ipocrisia di quelli che dicono che la trama nei videogiochi è importante e poi ignorano senza sensi di colpa i titoli più riusciti e compiuti dal punto di vista strettamente narrativo. 9

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MUGEN KOURO / INFINITE SPACE Dove si invola la mia bella gioventù console ds sviluppatore platinum games produttore sega versione giappone provenienza giappone

a cura di Guido Scarabello

nfinite space è un gioco così grosso che neanche un nintendo Ds primo modello basterebbe a contenerlo. e lungo. Le oltre 70 ore segnate dal contatore di gioco sembrano reclamare un respiro più ampio, un respiro tipo la ventola di un Xbox 360 o di una Playstation 3. ecco, direi che lì, in una console da casa intendo, l'ottimo impianto di gioco pensato da Platinum games avrebbe avuto modo di esprimersi pienamente. e magari beneficiare anche di una realizzazione grafica ricca, che lasci meno spazio alla fantasia. Ma non crediate che stia qui a lamentarmi perché sono un essere meschino e incontentabile. a me il gioco piacque, e piacque assai. Ma chissà come sarebbe stato con valori produttivi da paura... ma in fondo chissene. Meglio godersi le idee e al diavolo i valori produttivi. Ma che idee? intanto, un'affascinante ambientazione fantascientifica (affascinante in quanto fantascientifica, s'intende), che fa da scenario alle gesta del protagonista, Yuri, aspirante avventuriero spaziale, deciso a solcare i sette mari galattici per soddisfare la sua innata vocazione all'infinito. La trama, per una volta, è meno insulsa, banale, infantile e noiosa di quanto il genere d'appartenenza lasci supporre e, tutto sommato, non è fastidiosa… il che non è poco per un JRPg. La storia è lunga e articolata: racconta di ragazzini che diventano uomini, di avventure (e che avventure!), di guerre intergalattiche e intrighi politici, ma di quelli che anche un ragazzino può comprendere, e poi di amori e passioni e tutte quelle altre fregnacce che noi aspiranti otaku abbiamo impa-

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rato ad apprezzare. c'è da dire che lo fa con una certa maestria e ironia, tanto che non è possibile rimanere insensibili. ah sì, poi c'è anche il colpo di scena che... minchia, chi se lo aspettava? tutto inizia con un breve anime introduttivo (di discreta fattura), dopo di che potremo subito iniziare a scorrazzare per l'universo al comando del nostro vascello spaziale. nel corso delle nostre instancabili scorribande galattiche, avremo modo di raccattare gente, la classica sfilza di casi umani da repertorio anime/manga da arruolare nella nostra ciurma. ora, i vari personaggi che si racimolano qua e là per l'universo potranno essere assegnati a un particolare ruolo (sala macchine, cambusa, infermeria, etc.), migliorando così le statistiche del reparto della nave corrispondente. Una soluzione interessante per introdurre numerosi personaggi secondari senza avere l'effetto collaterale di non poterli effettivamente utilizzare. La sindrome da “gotta catch'em all” è assicurata, ma attenzione: non potrete averli tutti, perché diversi bivi vi aspettano al varco e le scelte che farete influenzeranno non solo la storia, ma anche l'equipaggio e potenziamenti disponibili per le navi. Ma parliamo di gameplay. infinite space è strutturato fondamentalmente in due sezioni distinte: da una parte le sortite nei vari pianeti, i momenti in cui far progredire la storia, dedicarsi alla manutenzione delle proprie navi e accettare le immancabili quest secondarie (robe di una semplicità disarmante, a essere onesti); dall'altra i viaggi nello spazio, i momenti votati all'esplorazione e al combattimento.

Preciso che non è consentita la libera deambulazione per l'area di gioco: infinite space, infatti, adotta una struttura dell'ambiente tipica degli sRPg. il giocatore si sposta di meta in meta muovendosi lungo una serie di percorsi prestabiliti segnati sulla mappa tridimensionale. arrivato al pianeta di destinazione, può accedere a una limitatissima varietà di locazioni (di solito un bar, un negozio e una o due altre locazioni visitabili per necessità di trama) dove le uniche azioni consentite sono quelle di parlare con i nPc o fare acquisti. Durante le trasvolate interplanetarie può capitare di imbattersi in scontri casuali, ma

sono poco frequenti. il che è un bene, perché il sistema di combattimento è di sicuro la parte meno riuscita del gioco. i combattimenti sono a turni: il giocatore, dopo aver aspettato il caricamento di un'apposita barra, ha la facoltà di utilizzare sei azioni diverse, più eventuali abilità speciali delle navi, che vanno, con più o meno fortuna, a combinarsi con le scelte del nemico (tipo che c'è un attacco standard che va a colpo sicuro, mentre l'attacco super può essere evitato con una manovra evasiva). inoltre è necessario tenere conto di altre variabili, quali la configurazione della formazione nemica e la sua prossimità alle nostre navi, e di


Se penso alla grafica di Infinite Space mi vengono in mente due cose: schermate statiche e 3D spartano. Che poi, il gioco in sé è molto statico, e quindi non si capisce la necessità di sviluppare un motore 3D per mostrare un'inquadratura di una nave che spara o che viene colpita, o per fare delle cutscene di dubbio interesse

conseguenza scegliere il bersaglio appropriato e aggiustare la distanza. teoricamente questo sistema dovrebbe garantire una possibilità di manovra relativamente ampia e una discreta varietà strategica durante gli scontri. in pratica risulta fastidioso nei combattimenti più facili (dato che costringe a prestare attenzione a una serie di variabili che richiedono frequenti aggiustamenti), ma non sufficientemente profondo e versatile in quelli più difficili. a conti fatti, insomma, si rivela inutilmente macchinoso: meglio andare a cercare il divertimento da un'altra parte. Un'altra parte come il sistema

Nei vari pianeti si trovano saltuariamente anche dei covi di pirati spaziali. Tranquilli: è possibile razziarli. Per assaltare il covo, il gioco passa in un’orribile modalità in prima persona realizzata in uno spoglio 3D, in cui il massimo dell'interazione consiste in un elementare minigioco (basato sulla classica combinazione sasso-carta-forbice), necessario per vincere i combattimenti. A parte questo, l'interazione è ridotta al minimo, e quando dico minimo intendo tipo confermare che “Sì, voglio avanzare” lungo il corridoio. Nient'altro. Probabilmente pensate per variare un po' il gameplay, queste sezioni si rivelano un'aggiunta trascurabilissima

di creazione e potenziamento delle navi, per esempio, che è articolato e flessibile. Praticamente tutto, dalla scelta del modello di nave fino al posizionamento dei vari moduli funzionali (sala comandi, sala motore, radar, etc.), è lasciato nelle mani del giocatore. La sistemazione dei vari reparti all'interno della nave, a sua volta, costituisce quasi un gioco a parte (tipo un puzzle): i vari moduli, infatti, sono caratterizzati da una determinata forma e grandezza e per farcene stare quanti più possibile si dovrà prestare attenzione a come disporli nello spazio interno della nave. i modelli di nave sono numerosissimi e così anche i moduli e

la libertà di personalizzazione è veramente sconfinata (attenzione: iperbole a uso recensorio). Peccato per lo schermo microscopico del Ds e il controllo via touch screen, che non facilitano la navigazione tra i menu. Ma questa è l'unica pecca di un sistema che, nel complesso, funziona alla grande e invoglia il giocatore a perdere ore su ore per ottimizzare la propria flotta (altra iperbole: le navi controllate sono al massimo cinque). Decisamente la parte meglio riuscita del gioco, che, per profondità e libertà di intervento, si avvicina molto ai complessi sistemi degli sRPg. infinite space all'inizio lascia un po' perplessi, un po' per l'a-

buso di schermate statiche, un po' per l'impostazione atipica, un po' per la mole di testo, ma dopo alcune ore di gioco – non si sa come, non si sa perché – ingrana e inizia a prendere di brutto. L'ambientazione è affascinante, la storia funziona sufficientemente bene per intrattenere e incuriosire il giocatore, il sistema di gestione e personalizzazione delle navi è ottimo: in definitiva, se si è disposti a chiudere un occhio di fronte a un sistema di combattimento originale ma, sventuratamente noiosetto, si potrà godere in abbondanza di questo lunghissimo JRPg. 8

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NEW SUPER MARIO BROS WII

Nuovamente ancora un’altro nuovo Mario console wii sviluppatore nintendo produttore nintendo versione pal provenienza giappone

a cura di Ferruccio Cinquemani

giochi della serie super Mario sono come i film Pixar: se non vi piacciono probabilmente non avete un’anima e al posto del cuore vi trovate in petto un triste pezzo di legno bruciacchiato. tutto in un gioco di Mario è divertente. tutto. Muoversi, saltare, ammazzare tartarughe, raccogliere monete, scoprire segreti. non c’è una sola cosa che sia noiosa. a parte tetris, sono pochissimi i videogiochi così semplicemente divertenti. se esiste qualcosa come la perfezione formale, i platform dell’idraulico sono da vent’anni fra i pochi videogiochi capaci di avvicinarcisi. new super Mario Bros Wii (peggior titolo di un gioco del 2009?) tenta di fare l’impossibile: proporre la stessa qualità esagerata dei predecessori, accontentare i fan nintendo invecchiati e inaciditi, affascinare le donne trentacinquenni che si ricordano Mario da quando erano bambine e adesso hanno il Wii grazie a Wii Fit, svecchiare la formula di Mario in 2D. infine, tentare di vendere una trilionata di copie come l’episodio su Ds. il fatto che questa pressione enorme sia sulle spalle di un titolo in 2D, nel 2009, fa impressione. ed è una prova del cambiamento portato da nintendo negli ultimi anni. giochi come Mario Kart Ds o new super Mario sono oggi i pochi veri blockbuster del videogioco. ora, nsMBW funziona, e funziona bene. il gioco si può affrontare da soli o assieme ad un massimo di altri tre giocatori. offline, naturalmente, che nintendo non può certo sbattersi per fare una modalità on-

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Stilisticamente il gioco è colorato e ben fatto. La scelta di avere personaggi in 3D, però, rimane incomprensibile, visto lo splendore in 2D che il Wii dovrebbe poter produrre.

line, ci mancherebbe. nsMBW si basa sullo stesso sistema di new super Mario per Ds, ovvero si tratta più di un’evoluzione di super Mario Bros 3 che una ripresa dello stile degli episodi successivi. c’è qualche piccola innovazione rispetto al passato, come la presenza di superfici curve e qualche power-up che permette di rimpicciolirsi, volare o scivolare sul ghiaccio. al centro del gioco, però, c’è lo stesso meccanismo visto su nes: si saltano ostacoli e si esplorano livelli incredibilmente creativi e profondi. non ci sono stravolgimenti, ma di sicuro nsMBW

diverte. il problema è che la recensione non finisce qui. il multiplayer a quattro giocatori non è una cosa che si possa infilare a forza sulla struttura di un gioco single player. e per quanto i designer di nintendo siano stati abilissimi nell’adattare un Mario iper-tradizionale alle esigenze di quattro giocatori in contemporanea, a volte si vedono le cuciture. i livelli sono generalmente più ampi del solito, i giocatori hanno quindi spazio a sufficienza (quasi sempre) per non pestarsi i piedi a vicenda. D’altra parte, però, questo significa che i livelli di nsMBW

sono leggermente meno compatti che in passato. si tratta di sensazioni, ma nonostante il costante flusso di idee e trovate non si ha mai l’impressione di trovarsi in livelli perfettamente congegnati come avveniva negli episodi migliori della serie. giocare in tre o in quattro è caciarone e divertente. con così tanti giocatori su schermo, però, completare i livelli richiede una dedizione e una pazienza che difficilmente quattro persone vorranno mantenere. in altre parole: è più probabile che tutto scada nel cazzeggio, nei propri amici


Il motivo della somiglianza con New Super Mario DS diventa chiarissimo quando si apprende che il gioco per DS ha venduto quasi sei milioni di copie e che in quanto a vendite è secondo solo all’originale Super Mario Bros

gettati volontariamente in pozzi di lava e in gusci di tartarughe lanciati alla cieca. tutto molto divertente, almeno per dieci o quindici minuti. È invece più realistico e appagante affrontare il gioco in due. in questo modo non ci si ostacola troppo e si possono comunque utilizzare le strategie e le mosse cooperative. a segare l’entusiasmo ci pensa il livello di difficoltà. Per essere il primo gioco nintendo che propone un sistema per superare interi livelli automaticamente, nsMBW è un gioco durissimo. si muore spesso e a volte ripetutamente. È uno di quei giochi da affron-

tare con le maniche tirate su, gli occhi fissi sullo schermo e una goccia di sudore su una tempia. anche se gli integralisti della vecchia guardia nintendo si sfregheranno le mani, la difficoltà di nsMBW è oggi tristemente fuori luogo. siamo lontani dall’accessibilità solita dei giochi nintendo, e perdere tutte le vite vuol dire a volte dover ripetere tre livelli. tutte le teorie sui videogiochi odierni che sono troppo facili crollano quando si perde una delle ultime vite perché si salta inavvertitamente contro un altro giocatore o perché qualcun

altro ha preso un fungo e il gioco è andato in pausa per quel mezzo secondo sufficiente a distrarti da un salto. La più grande particolarità di nsMBW è il multiplayer, quindi, ma per cooperare in maniera soddisfacente tutti i giocatori devono avere una prontezza e un livello di abilità che purtroppo non molti troveranno senza poter cercare altri giocatori online. se il vostro partner o i vostri coinquilini hanno passato l’infanzia completando al 100% Yoshi’s island, quindi, nsMBW vi svelerà una profondità quasi sconosciuta al genere platform. Più

realisticamente, e per la maggior parte dei giocatori, nsMBW va giocato oscillando fra estasi videoludica di fronte a certe idee dei level designer, e lunghe catene di offese alla – probabilmente molto anziana mamma Miyamoto. Dopo Mario galaxy, new super Mario Bros Wii è un passo indietro. Piccolo, ma pur sempre un passo indietro. Ma, rispetto a tutto il resto, soprattutto su Wii, rimane fra i migliori giochi del 2009. ce lo facciamo bastare? 8

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THE LEGEND OF ZELDA: SPIRIT TRACKS Nintendo irride i pendolari console ds sviluppatore nintendo produttore nintendo versione pal provenienza giappone

a cura di Simone Tagliaferri

opo aver infilato e avviato the Legend of Zelda: spirit tracks nel nintendo Ds (ancora quello senza telecamera, sorry, non posso mandarvi le foto di quando mi tolgo le caccole e le lancio contro il poster di Kojima) sono rimasto qualche secondo a guardare lo schermo cercando di far defluire un pensiero che mi ha attanagliato per qualche minuto: ma è un data disk? con qualche secondo di concentrazione zen e un bel po' di respirazione yoga studiata con Wii Fit Plus il pensiero fisso è diventato un monolite nero e pesante che ancora mi sbilancia la testa. È identico a Phantom Hourglass, è identico a Phantom Hourglass, è identico a Phantom Hourglass. Beh, ma Phantom Hourglass era un capolavoro, pensi impettito con te stesso iniziando a litigare con la tua coscienza malata. Questa volta mi sbaglio sicuramente. Metacritic, aiutami tu a tornare sulla retta via. Vado e vedo la solita sfilza di voti verdi affiancati al nome tanto amato. Devo fare uno sforzo di normalizzazione, altrimenti mi accusano di essere snob. ci devo riuscire per il bene del mondo dei funghi allucinogeni. nessun fanboy potrebbe tollerare delle critiche a Zelda. Diventerei il mandante morale di chi sarebbe costretto, leggendo una recensione negativa, a lanciare la statua di Link, presa spendendo 15000 stelle sullo store nintendo, contro un poster di aonuma. torno al gioco. sembra ancora un data disk. che posso fare? Devo giocare. arrivato a

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guidare il primo treno mi ricredo: è un data disk... non pensarci su, mi dico. Magari migliora. Vado avanti, incontro Zelda, riprendo il treno, entro nella torre, prendo il treno magico, arrivo nella foresta, entro nel primo dungeon, risolvo i primi enigmi. soffio dentro lo strumento che fa molto Zelda Friends 2, alleva la tua principessa. combatto contro il primo boss che mi ricorda terribilmente un boss di Phantom Hourglass (no, no, no). Riprendo il treno e... non ci posso fare nulla, le fasi di spostamento a bordo del treno, l'unica vera novità, sono una mostruosità, un accanimento terapeutico contro

le gonadi, infinitamente peggiori di qualsiasi barca il Link di turno abbia mai guidato per affrontare i vasti mari. Per il resto è un data disk, una riedizione nemmeno troppo economica di quanto visto in Phantom Hourglass. ora dovrei descriverlo più analiticamente. Link si muove spostando il pennino sullo schermo. Premendo sui nemici li colpisce con la spada. Ruotando il pennino intorno al personaggio porta un attacco rotante. Per parlare con gli abitanti basta toccarli. ci sono i vasi da rompere. c'è l'erba da tagliare. i nemici... sono... identici. Quello che mi dà noia è che potrei descrivere la

maggior parte di spirit tracks pensando a Phantom Hourglass. Fortuna che c'è il treno. scelto il percorso e obliterato il biglietto, è tempo di partire. Le funzioni per guidarlo sono basilari e si limitano al controllo della velocità e al clacson (lo so che sul treno non si chiama così, ma da quando ho scoperto la differenza tra high fantasy e low fantasy ho capito che l'essere umano può raggiungere vette di stupidità che non sospettavo minimamente… e voglio che arrivi qualcuno a scrivere il nome giusto del coso così che si possa sentire particolarmente intelligente) che serve per far


Sinceramente l'espolarazione su rotaia lascia molto a desiderare

La torre è il centro motore di tutti gli eventi del gioco... letteralmente

andare via gli animali che bivaccano sulle rotaie. c'è una mucca? suona. Un ragno della foresta attacca minaccioso? suona e il gioco è fatto. sulle rotaie, oltre agli animali, si dovranno affrontare dei treni malvagi pieni di pendolari che stanno andando a lavoro. inizialmente saranno inavvicinabili, ma proseguendo nell'avventura si otterranno armi di distruzione di massa atte alla rottamazione di cotanti avversari. il problema è che si tratta di una fase insopportabile e sterile, molto peggiore della tanto vituperata barca di Wind Waker. gli spostamenti sono spesso fin troppo lunghi e i paesaggi del gioco, anche se belli, non giustificano l'impossi-

bilità di saltare da una locazione all'altra senza dover per forza percorrere tutta la strada. come in Phantom Hourglass, anche qui c'è un dungeon hub che va percorso più volte dopo aver ottenuto diversi poteri e bla bla bla. Lo sforzo di fantasia è stato minimo, nonostante il ruolo più attivo della principessa Zelda rispetto alla media. Fortuna vuole che spirit tracks sia la copia di un capolavoro e che, nonostante le critiche fattibili, ne mantenga l'equilibrio e la perfezione delle meccaniche di gioco (almeno nelle fasi a piedi). Questo lo rende desiderabile e sinceramente superiore alla moltitudine di fetecchie uscite su

nintendo Ds ultimamente. La storia è sempre la stessa, le armi sono sempre le stesse, la progressione è simile a quella di tutti gli episodi e gli manca la magia della novità che permeava Phantom Hourglass, ma per quanto criticabile è sicuro che difficilmente sarà possibile trovare qualcosa di meglio tra le uscite natalizie per la console portatile di nintendo... e forse è proprio questo il problema di fondo del Ds e del Wii (ma sì, tiriamolo dentro), ovvero che i brand che vanno avanti da decine di anni sono diventati ‘alternativi’ alla massa dei prodotti che le popolano, nonostante le promesse e le possibilità inespresse dei relativi sistemi di controllo. in-

somma, ciò che è vecchio è l'unica novità degna di attenzione. Veramente triste. 7

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DJ HERO Astronauta per un giorno piattaforma 360 sviluppatore freestyle games produttore activision versione pal provenienza uk

a cura di Vincenzo Aversa

uando i giapponesi non ci credevano abbastanza deficienti per le periferiche da imbecilli, noi occidentali eravamo così rincoglioniti da passare il tempo a sognare un futuro con più plastica nei videogiochi da cretini. oggi, presa coscienza della nostra limitata saggezza, siamo fieri di aver raccolto dall’immondizia quel business e di averlo trasformato in vera e propria cultura pop. Parlo dell’occidente americano, quello con le chitarre cik ciak nei karaoke bar, e non di quello europeo, ancora troppo impegnato a convincersi che i nerd non sono peggio di satana… o di corona. e Dj Hero, più che guitar Hero e Rock Band (e quella schifezza di Konami di cui ancora si stanno vergognando), è un prodotto destinato al pubblico stelle e strisce. Per il tipo di musica, probabilmente, ma ancor di più per quella subcultura Dj che noi abbiamo visto più sulle magliette divertenti che non in carne e ossa. andiamo, alle feste private a cui ho partecipato io c’era al massimo una musicassetta preregistrata, chi li ha mai visti due piatti veri? tutto questo per dire che, nonostante la buona volontà, dubito che il gioco venderà più di un pene e un quarto dalle nostre parti. ed è male, perché Dj Hero, ancora una volta, è un prodotto estremamente divertente senza necessariamente essere la controparte ludica dell’azione che sembra imitare. Perché io quella roba non la ascolto, in discoteca ci sono andato troppo poco e ho orecchio musicale quanto talento con le donne, eppure posso animare le folle in cinque minuti, senza alcun talento, senza indossare un crocefisso da cinque milioni di dollari e vestirmi di tre taglie più grandi. il segreto del successo della musica preconfezionata, checchenedicano i musi-

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Sitar Hero, lo strumento più desiderato da ogni videogiocatore pazzo del mondo

cisti della mia minchia, è che sanno dare senza volere nulla in cambio. Meglio delle troie, delle ragazze in genere, pure delle ciccione e delle ciccione bruttissime. così come la chitarra di plastica non voleva accordi e musicalità, non esigeva letture di spartiti, non supplicava le basi del rumore acustico, Dj Hero non mi chiede di saper mettere insieme due canzoni. È lui a fare il lavoro eroico, è lui a scegliere i pezzi e a remixare come solo i migliori sanno fare e probabilmente è sempre lui a scopare a fine serata. il giocatore è un giocatore che gioca al gioco stando alle regole del gioco, nulla di più musicale di questo. ecco perché un solo piatto, meglio se impreziosito dalle rifiniture tamarre della Renegade edition e dalla qualità migliore dei suoi materiali, è più che sufficiente per fare il suo mestiere. spiegare Dj Hero è impresa troppo difficile per me che non conosco gergo tecnico diverso da alza/abbassa il volume, quindi vi basterà sapere che, di nuovo, è la manualità a essere riprodotta con successo, mai lo strumento. se all’inizio tutto sembra pratico e immediato, però, con l’aumentare della difficoltà si perdono di vista anche naturalezza e facilità di utilizzo. Ma come ci ha insegnato Ultimo tango a Parigi, sono sempre le cose più difficili quelle più belle. e da perfetto incompetente di musica non posso che lasciarmi sfuggire due parole anche sulla splendida colonna sonora. non sempre splendida, a dire il vero, ma quasi. si parte a bomba con un paio di selezioni azzeccatissime capaci di intortare gli amanti di ogni genere musicale (decente) con amarcord e commerciale. Poi si perde la strada maestra fino a ritrovarla di nuovo, ma in generale era davvero alto il rischio di frantumarmi i maroni, e tale rischio si

può dire del tutto scongiurato. se non mi credete, e fate bene, cercate su Wikipedia, malfidati. archiviata la sete di piatti, ora, non ci resta che sognare trombette e pianole. 8


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THE SABOTEUR Vive le discodance! piattaforma 360 sviluppatore pandemic studios produttore ea versione pal provenienza usa

a cura di Vincenzo Aversa

l nazismo di the saboteur ha la stessa forma incolore dello spielberghiano Schindler’s List. il bianco e nero non è solo espressione ludica di un mondo da riconquistare, ma anche il ritratto fedele di una Parigi inginocchiatasi alla presenza tedesca. nell’oscurità i soldati deportano e uccidono civili, agiscono indisturbati sotto i riflettori dell’indifferenza e della paura. solo il coraggio della resistenza, l’eco delle sue imprese e il clamore dei suoi successi può allentare il cappio che stringe il collo dei francesi. così il colore esplode in mille direzioni e si guadagna la fiducia e la speranza di un altro pezzo di città. sulla carta è pura poesia, peccato che il videogame sia stato affidato alla sensibilità di un calderoli qualsiasi. il primo corto circuito è nella trama. sean Devlin, versione riveduta e corretta di un vero eroe di guerra, è un promettente pilota di grand Prix. neanche il tempo di salire in macchina, però, che un biondino tutto pepe e arianità gli spara alle gomme e gli fischia un rigore contro al novantunesimo. sean, che è un povero meccanico, non un cattivone, decide di vendicarsi con una simpatica e innocua burletta che, permaloso di un tedesco, lo lascia senza un amico e quasi senza pellaccia. allora sean, che è distrutto dai rimorsi, si dedica a mignotte e bibite gassate finché qualcuno non gli offre un lavoro da terrorista. e lì sean vacilla, per tre secondi, ma poi sticazzi e diventa uno spietato serial killer che ruba le auto prendendo a pugni i civili. eh, è la poesia di calderoli. il secondo corto circuito lo provoca un gioco che ce la mette tutta per rovinare più ge-

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neri possibili in un colpo solo. abbiamo un po’ di assassin’s creed, ma senza le belle città e con controlli esilaranti. abbiamo uno stealth in costume primordiale alla Hitman, senza possibilità di preparare missioni o di gestire gli imprevisti. infine abbiamo un clonazzo di gta, con una trama decente pure, ma con grattugiato via gran parte del progresso compiuto negli ultimi due anni dalla serie Rockstar. È solo quando capisci che il nulla cosmico può trasformarsi in un vantaggio che the saboteur la smette di essere pura imitazione spicciola al 100%. La missione cominciata in punta di piedi si trasforma in un massacro appena vieni avvistato, perché sei certo che capiterà e proprio non vale la pena di tentare il perfect dell’imboscata. La fuga sui tetti va assaggiata solo in prossimità dei punti di ristoro (buche, baracche, zoccolai e telefoni pubblici), altrimenti è una sagra del movimento imperfetto, dell’animazione ridicola e dell’arrampicata casual. Meglio un giro in auto, due sterzate di qua, due sterzate di là e si è di nuovo liberi come il vento. Meglio ancora in campagna, dove un secondo di fuoristrada può mettere fine all’inseguimento del secolo. Perché the saboteur è il fessacchiotto di quartiere e ci vuole poco a sbeffeggiare la sua dignità con qualche trucco, troppi bug e piccoli fuori programma. il beta testing, inutile dirlo, è stato affidato proprio a calderoli. il terzo circuito è quello che non va in corto. tutta questa pagliacciata di banalità e carta carbone, infatti, finisce con il sembrare un gioco vero, dopo tutto. sparare è quasi divertente, la trama si segue senza patire, la colonna sonora merita

applausi ed ovazioni, le missioni principali sono ben evidenziate e la noia facilmente scongiurata (le missioni secondarie, le armi extra e i perk possono essere ignorate, per arrivare a vedere il finale senza grossi spargimenti di palle). Magari non è vero per tutti i livelli di difficoltà, ma ascoltate un cretino e fermatevi alla normalità. Poca sfida, poco patire, poco ringhiare. the saboteur, senza calderoli, sarebbe probabilmente un gioco con la voce per dire qualcosa. così come si mostra, si riempie la bocca di una classe che non sa vestire e resta soffocato dalla presunzione pseudo artistica di un regista alle prime armi.

Qualche tetta la si vede comunque, ma per lo spettacolino privato è necessario, almeno su console, un codice monouso presente nella confezione del gioco. Chi compra usato potrà recuperare a pagamento, chi gioca si PC avrà tutto a costo zero. Anche agli adolescenti bolliti, però, consiglio il più sano porno di internet

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LITTLE BIG PLANET Piccoli pupazzi di pezza piattaforma psp sviluppatore studio cambridge produttore scee versione pal provenienza uk

a cura di Ferruccio Cinquemani

e mi conoscete, un po’ vi aspetterete il mio giudizio finale su Little Big Planet PsP. no, non sbirciate il voto. continuate a leggere. Dunque, innanzitutto spieghiamo Little Big Planet per Ps3 a chi era assente: si tratta di un platform basato su fisica e meccanismi dallo stile grafico unico fornito di qualche decina di livelli creati dagli sviluppatori e un editor che permette ai giocatori di crearne di ulteriori. con una certa classe, l’episodio per PsP mantiene più o meno le stesse caratteristiche fondamentali del cugino disponibile su Ps3. e già questo dovrebbe spingere all’acquisto impulsivo. nonostante l’esperienza sia la stessa, Little Big Planet PsP non è una conversione. Livelli, ambientazioni, musiche e la maggior parte degli oggetti sono totalmente originali. ancora una volta c’è una sorta di tema geografico/storico, con ambientazioni ispirate a paesi o periodi specifici e qui e lì si intravede anche la volontà di studio cambridge di dare un’atmosfera lievemente di-

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versa rispetto a Media Molecule. Dove Little Big Planet viene semplificato è nei punti in cui una console portatile avrebbe avuto problemi. comprensibile, quindi, che in un gioco interamente in 3D con simulazione della fisica su una console portatile manchi il multiplayer che si trova nella versione da casa. e comprensibile anche che i piani di profondità in cui si può muovere il sackboy si siano ridotti a due. Per alcuni giocatori quest’ultimo sarà addirittura un passo in avanti rispetto alla versione Ps3, visto che (al costo di una minore complessità) il sistema a due piani elimina del tutto i problemi di prospettiva del primo gioco. i livelli creati dagli sviluppatori sono una continua successione di esempi di game design intelligente. oltre a fasi platform ben congegnate, vengono sfruttati al massimo i tratti specifici del gioco, come la possibilità di aggrapparsi ad alcuni materiali e l’uso di leve, pistoni e corde. il level design tiene inoltre in considerazione spunti e idee visti nei migliori

livelli creati dagli utenti su Ps3. in un certo senso studio cambridge ha costruito su un anno di continue sperimentazione della community di creatori di livelli su Ps3. alla fine, la varietà di situazioni è anche maggiore dell’originale. come gioco in sé, Little Big Planet è di gran lunga il miglior platform su PsP e fra i migliori usciti negli ultimi tempi. il problema principale, però, sta proprio nella sua caratteristica più innovativa, l’editor. oltre a essere un po’ più rozzo rispetto a quello su Ps3, le dimensioni dello schermo scoraggiano la creazione di livelli troppo dettagliati. oltre alla difficoltà insita nel creare un livello interessante, il fatto di dover combattere con uno schermo da qualche pollice potrebbe essere un ostacolo troppo grande per la maggioranza dei giocatori. e poi perché spendere ore per creare un livello per la versione PsP? Una spiacevole conseguenza di tutto ciò è che fra i livelli creati dagli utenti è più difficile trovare le perle che si trovano nella versione Ps3. Ma oltre a questo problema,

Little Big Planet PsP, senza averne colpa, soffre di un altro difetto. il fatto che esista una versione Ps3 in qualche modo limita l’impatto di questo gioco. Little Big Planet è un tipo di prodotto che non convive molto bene con sequel o spinoff e funziona meglio con un’evoluzione graduale sulla piattaforma per cui è stato creato. se non ci fosse un precedente, ci troveremmo di fronte a un gioco superlativo, migliore di qualsiasi altro titolo per portatile uscito nel 2009. Per ciò che è Little Big Planet rimane comunque iL gioco da avere se si ha una PsP, tuttavia il voto di questa recensione è per forza un compromesso fra la qualità del gioco in sé e l’impatto che un prodotto simile può avere per chi ha accesso a una Ps3. 8 La colonna sonora ha lo stesso stile a metà fra world ed indie del predecessore. La quantità e qualità dei brani è enorme e la sintonia coi livelli riesce a dare al gioco un tono del tutto peculiare


360 ps3 pc

ASSASSIN’S CREED 2 ...se ne fa un’altro! piattaforma 360 ps3 pc sviluppatore ubisoft montreal produttore ubisoft versione pal provenienza canada

a cura di Vincenzo Aversa

me saltellare con altaïr era piaciuto. con il gPs, con le guardie educate nei combattimenti e atletiche negli inseguimenti, con i monaci ferrotranvieri alle entrate delle città e con le missioni secondarie tutte uguali. il piacere era tutto nell’agire da assassino, nel mescolarsi tra la folla, nel fuggire con le mani insanguinate dal luogo di un delitto fino al distretto opposto della città, passando per i tetti, poi per le strade, e poi di nuovo per i tetti. ad assassin’s creed si perdonavano gli imperdonabili difetti perché era una perla rara in un tubetto di Pringles. Due anni dopo è il turno di ezio auditore, ragazzetto con meno carisma, meno abilità, ma con un pene più lungo e che si impegna un sacco. L’evoluzione di ezio fa impallidire la stella della senna: da giovane scavezzacollo a feroce assassino in un tiro di schioppo. certo, l’animus permette tali balzelli narrativi, ma il passaggio appare comunque frettoloso. animus che non fa mancare la sua presenza e che illumina lo schermo come solo l’albero di natale di Malgioglio potrebbe. Luci, lucette, scie e controscie ci ricordano costantemente che noi non siamo davvero ezio, ma che viviamo i suoi ricordi attraverso una macchina e un parente nel futuro. così come scrigni, collezionabili e ricompense in denaro ci sbattono in faccia la dura realtà del videogioco. e peccato, aggiungo, perché siffatta e maestosa ambientazione meriterebbe forse un maggior rispetto formale. Firenze prima e Venezia poi sono grandi e storici esempi di architettura da videogioco, ma sembrano anche vittime della sciocca leggerezza di Ubisoft, presissima nell’accontentare le richieste dei fan e poco attenta nell’evitare quelle situazioni al limite del ridicolo tipiche del primo assassino.

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alla faccia della crisi, è il denaro a fare da padrone in questo seguito. il denaro che si guadagna nelle missioni principali, nelle secondarie e cercando giusto quegli ottocento milioni di scrigni sparsi per la mappa, si può reinvestire nel miglioramento della villa del proprio casato. non mi intendo di economia, e non ero nato ai tempi delle vicende narrate, ma la consecutio temporum tra un pozzo migliore e un conto in banca in ascesa non mi è del tutto chiara. Facezie, comunque, tanto il denaro serve a comprare quadri per il gusto del bello, armature per il gusto di cambiare e armi per il gusto di farlo. Perché non si muore in assassin’s creed 2, kit medici a profusione sono lì a scongiurare la sconfitta anche al più incauto dei combattenti. Pareva impossibile peggiorare un sistema di combattimento alla Paperissima, pareva… Molto di quello che non è avventura principale, però, è esattamente quello che si chiedeva al miglior assassin’s creed 2 possibile: missioni a tempo tra inseguimenti e consegne, buone sessioni platform al chiuso e vasta gamma di collezionabili da recuperare esplorando e vivendo le magnifiche città messe a disposizione. il tutto per guadagnare denaro, che ha scopi futili e poco nobili, ma a divertimento donato non si guarda in bocca. L’avventura principale, invece, è una sequenza non sempre riuscita di filmati (tanti), giri turistici (parecchi), missioni buone e meno buone e insignificanti omicidi. ecco, il peggior difetto di assassin’s creed 2 è l’aver rinunciato a quella morale di comportamento del primo episodio in favore di un approccio meno intrigante e scenografico. intendiamoci, nemmeno il primo capitolo riusciva nell’intento, spesso la buona preparazione

Nel gioco sono presenti alcune zone non visitabili che probabilmente saranno sbloccate con futuri downloadable content. Forlì, che nell’avventura sembra capitarci per caso, è probabilmente l’esempio più lampante della discutibile politica Ubisoft

delle missioni finiva spesso con l’essere vanificata, ma l’escludere da questo episodio le fughe post omicidio mi è parso quantomeno opinabile. e dire che si era lavorato su un nuovo sistema di ‘mischiume’ tra la folla, perlopiù inutilizzato per tutta la durata del gioco. assassin’s creed 2, passata una soporifera fase iniziale di turistico tutorial, è un gioco che riesce a divertire quanto e più del precedente capitolo. come due anni fa, però, servono bende sugli occhi e mani sulla coscienza per sopportare tutto lo spreco di una serie con i mezzi e le premesse per distruggere il mondo. e se tutto sembra più bello e

sfarzoso nel Rinascimento, continuo a rimpiangere le galoppate in terra santa e quell’atmosfera meno gioviale e più drammatica che sembra mancare a questo titolo. Due anni son lunghi, non sei più la reginetta della scuola, io non ce la faccio a fare finta di niente anche stavolta. 7

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DRAGONBALL Z: ATTACK OF THE SAIYANS Furioso! piattaforma ds sviluppatore monolith soft. produttore bandai-namco games versione europea provenienza giappone

a cura di Michele Zanetti

un po' di tempo che escono giochi dedicati a Dragonball di fattura decente e, dopo questo titolo, probabilmente Monolith soft passerà al lato oscuro degli sviluppatori di titoli su licenza. avranno visto quanto si guadagna, invece che buttare milioni di yen dalla finestra in una fallimentare saga fantascientifica lasciata in sospeso. attack of the saiyans vede la storia partire dalla sconfitta del grande Mago Piccolo e svilupparsi fino alla fuga di un Vegeta ridotto allo stremo durante la disperata battaglia finale. La storia la conoscono anche i sassi, ma Monolith ha aggiunto parecchio materiale così da avere effettivamente un gioco di ruolo sufficientemente lungo e non una visual novel con tre dungeon in croce. Visto che non si fa mai abbastanza per risparmiare, Monolith riprende qualche pezzo dal suo ultimo super Robot taisen e lo aggiusta verso il basso per venire incontro a chi non vuole sentirsi frustrato ogni pochi combattimenti. il sistema di battaglia è molto semplice: nemici sulla sinistra e buoni (massimo tre) sulla destra. gli eroi possono usare delle combo normali, oppure tecniche speciali che fanno uso del Ki, oppure ancora colpi super speciali imparati nel corso della storia o sbloccati con altri metodi. Questi ultimi, però, possono essere lanciati solo se la barra della rabbia è al massimo (per riempirla basta colpire e venire colpiti). con la rabbia al massimo è inoltre possibile inanellare sequenze di combo devastanti con due o più personaggi, ammesso che i colpi speciali selezionati siano concatenabili. Vi è un'apposita lista consultabile dal menu di gioco, ma non richiamabile in battaglia. Peccato. i combattimenti sono molto veloci e sem-

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plici (e meno male, visto l'elevato encounter rate). alla fine degli scontri, eXP, soldi e punti abilità vengono assegnati come ricompensa. i punti abilità possono essere investiti nel rafforzare varie skill di base o per potenziare i propri attacchi. Meglio pianificare attentamente lo sviluppo di certi personaggi. nei combattimenti mi ha molto stupito la qualità degli effetti speciali e la perfetta riproduzione dei colpi visti nella serie originale, partendo dalla forma degli attacchi energetici fino ai singoli calci e pugni normali, che sembrano essere stati ricalcati direttamente dall'anime o dal manga. Fedeli pure molte parti della storia, con sequenze ed illustrazioni che sembrano essere state prese di peso dall'originale. tutto è rappresentato in ottimo 2D dove l'unico neo sono gli sprite dei personaggi durante l'esplorazione (inframmezzata da vari ostacoli naturali da spazzare via con il proprio Ki o da superare facendo ricorso alle famose capsule dagli effetti più svariati), davvero microscopici. Molto buone le musiche, gli effetti speciali e il poco doppiaggio (tutto nipponico). Due cose, però, affossano a mia parere l'esperienza di gioco. Una riguarda la lentezza di molte cut scene, a cui non si accompagnano bene i pochi ritratti dei personaggi a disposizione: mai sufficienti per coprire un vasto range di emozioni e dove spessissimo i balloon contenti "!", "?", "..." e altro, sembrano essere stati piazzati a caso. L'altra è dovuta alla storia stessa, che vede in continuazione i singoli membri del party agire da soli o in coppia: è piuttosto raro avere tutti i sei personaggi insieme. Presto il dislivello tra l'uno e l'altro combattente si farà piuttosto evidente. come nell'opera originale, direte, ma a me non è parso un buon modo per farvi ‘grindare’ di

tanto in tanto: per portarli in pari, alla fine l'esperienza di gioco ne esce fuori molto frammentata. in definitiva, un buon titolo per gli amanti della saga e un buon gioco in generale, accessibile a tutti e con una buona realizzazione tecnica. sotto con Freezer. 7

Visto che il gioco è un multi 5, ho deciso di giocarmelo in italiano. Ciò mi ha fatto ricordare perché aborro giocare videogiochi nella nostra lingua. La traduzione è molto fedele all'opera originale, ma a un'analisi più attenta presenta non pochi refusi (di ogni tipo). La ciliegina sulla torta svetta nella tonnellata di dialoghi che accompagnano le varie ultime cut scene del gioco in cui mancano gli accenti su TUTTE le vocali che lo richiederebbero. Ma si puo?


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NOSTALGIA Yaaaawn piattaforma ds sviluppatore matrix software produttore ignition ent. versione usa provenienza giappone

a cura di Michele Zanetti

ra i molti titoli che hanno affollato il periodo autunnale, anche nostalgia è finito tra le mie zampe. sviluppato dai responsabili dei remake di Final Fantasy iii e iV per nintendo Ds e di avalon code, le mie speranze e attese erano piuttosto grandi. sono state disilluse. storia, personaggi, difficoltà, bilanciamento, colonna sonora... nostalgia si impegna a raggiungere la sufficienza, sfruttando un comparto tecnico di tutto rispetto e basta. il feeling iniziale d'avventura alla indiana Jones viene subito meno nel momento in cui prenderemo il controllo del bimbetto protagonista, ovviamente, biondo. Presto i clichè inizieranno ad accumularsi, come la composizione del party, i loro ruoli, parte della trama, i colpi di scena e altro. il gioco ripropone la classica struttura cittàdungeon-città-dungeon con piccole varianti. nostalgia è ambientato in una sorta di mondo reale parallelo di fine '800, dove la tecnologia delle navi volanti e dei dirigibili si è sviluppata prepotentemente. ogni città (rivisitazione di luoghi realmente esistenti) è dotata di negozi per armarsi di tutto punto e quelle più grandi hanno anche un ramo dell'associazione degli avventurieri, dove accettare varie side quest in cambio di ricompense. il gioco mette sul piatto un bel po' di dungeon opzionali, sbloccabili a determinate condizioni. nostalgia compie una scelta controtendenza, proponendo ben tre mappe del mondo, esplorabili esclusivamente via aeronave; a bassa quota, a media quota e ad alta quota. Le prime due si completano macinando strada su strada, mentre la terza è una cartina geogra-

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fica su cui viaggiare molto più velocemente, così da superare le catene montuose più impervie o raggiungere le locazioni desiderate in breve tempo. su tutte le mappe impazzano gli scontri casuali, pianificati da un incompetente. invece di avere nemici con una forza che va ad incrementare gradualmente (ed avere sempre la possibilità di fuga), in caso si sfori di due centimetri due da dove il gioco vuole che ci si diriga, si finisce per incappare in avversari fin troppo al di sopra delle proprie capacità, ed essere costretti a sorbirci un bel game over. Le fasi iniziali sono traumatiche, e va sempre peggio, nonostante si guadagnino potenziamenti per la propria nave (equipaggiabili solo nelle città più grandi); anche a fine gioco, con i potenziamenti migliori, con la nave migliore, e ai livelli più alti, si deve sempre viaggiare con un occhio aperto. Fortuna che si può salvare ovunque. La parte d'esplorazione aerea, peculiarità di questo nostalgia, sarebbe potuta essere snellita e resa un piacere, invece è una martellata nei ‘tenerini’; in particolare, se ci si dedica a scovare tutti i World treasure nascosti, è meglio mettere in conto dosi monumentali di pazienza. al contrario, i dungeon disponibili per l'esplorazione a piedi non presentano difficoltà particolari (nemmeno i boss) per essere risolti, almeno fino alla parte opzionale del gioco dopo il finale, dove sembra che la parola d'ordine sia sterminarvi ad ogni scontro, ma almeno a questo punto si possono sfruttare degli oggetti particolari che assicurano sempre e comunque la fuga. oltre un bilanciamento del gioco in gran parte da rivedere, nostalgia ha anche altri problemi

come gli scontri a turni che sembrano una fotocopia di quanto fatto da altri in passato, solo che qui sono più lenti e ci tocca sorbirci sempre l'animazione finale di vittoria. Quelli aerei sono molto spettacolari, ma tutte le animazioni non possono essere tagliate e quindi per tirare giù anche la più stupida delle navi nemiche ci si mette una vita, visto che ognuna si porta dietro un'esa-

gerazione di punti ferita. Musiche ed effetti sonori senza infamia e senza lode, modellazione poligonale di mostri e personaggi così così e alcuni typo sopravvissuti. sufficiente sì, ma che spreco di risorse. 6

Alla fine di ogni scontro guadagnerete dei punti particolari da investire nel potenziamento e sbloccaggio di numerose tecniche speciali. Inutili per il 90% quelle fisiche, visto che ne sfrutterete una manciata e basta, mentre quelle per la nave volante sono fin troppo poche e verranno abusate di continuo per ‘velocizzare’ il pestaggio aereo

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a cura di Simone Tagliaferri

alla scoperta delle ‘indie’

L’arte di essere onesti

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in a Dungeon ricorda quei giochetti a schermate fisse che affollavano le cassette del commodore 64. il titolo, volutamente generico, dice già tutto: il nostro eroe dalla pettinatura paludata deve superare un labirinto fatto da porte chiuse, piattaforme semoventi e baratri R: 0 g: 0 B: 0. il suo scopo in ogni schermata è quello di raggiungere una caccola gialla che apre le porte che lo dividono dalla schermata successiva. seguendo una tradizione molto diffusa nella scena indie, in a Dungeon propone una grafica minimale in perfetto stile 8 bit e una difficoltà folle che si impenna nelle ultime schermate diventando quasi impossibile. i controlli sono semplicissimi, così come i percorsi da seguire. È l’esecuzione il problema visto che è facile commettere errori. Da questo punto di vista in a Dungeon è quasi sadico e sembra irridere il giocatore medio, incapace di superare anche le mappe più semplici. Manca solo la scritta: “tornatene a giocare a Bayonetta, pippa”.

edmund

in a Dungeon

Certo che noi videogiocatori siamo strani. Stiamo sempre qui a parlare di come i videogiochi migliori siano quelli fruibili da tutti gli utenti, ovvero quelli che si giocano da soli e in cui è impossibile morire, e poi tra i classici annoveriamo titoli difficilissimi come Super Mario Bros. o Thief: The Dark Project. Ma ci avete giocato veramente a Super Mario Bros.? è difficilissimo e non perdona un errore, soprattutto nei livelli avanzati. Eppure come non considerarlo uno dei giochi più importanti di sempre? Ma giocateci, per favore, e ditemi se non lo annettereste nella categoria dei titoli che, solitamente, vengono apostrofati come ‘frustranti’ dalla stampa specializzata e non. Dai, ammettiamolo, siamo una categoria di schizofrenici che vede in alcuni titoli del passato dei fari immortali, ma non li rigiocheremmo mai fino in fondo, perché se uscissero oggi e fossero ugualmente difficili, li stroncheremmo senza pietà tornando immediatamente alle nostre esperienze virtuali di una facilità rassicurante. Non per niente la domanda che più di tutte ha tormentato le notti di chi ha dovuto recensire Super Mario Bros. wii ha riguardato proprio la sua difficoltà, considerata eccessiva per il pubblico moderno... pubblico che non ha mancato di acquistarne milioni di copie. Magari sono gli stessi che giocavano con piacere al primo Super Mario Bros. e non riescono a dimenticare la loro infanzia. Alla fine però, alcuni ricordi sovvengono anche a me. Ricordo che prima non esisteva l’ossessione per arrivare alla fine dei videogiochi e che, anzi, spesso alcune scelte bastarde erano considerate dei virtuosismi atti a mettere alla prova l’utente (a cui veniva riconosciuto il diritto di tentare, non di riuscire). Mettere alla prova non era una bestemmia. No, proprio non lo era. Forse è per questo che Super Mario Bros. divenne un capolavoro giocatissimo soprattutto dai ragazzini a cui nessuno aveva ancora detto che i videogiochi devono essere facili per forza.

sinossi: edmund sale su un taxi guidato da un certo Michael. scende a una fermata del bus in una zona degradata di Detroit. incontra una ragazza. sono soli. ci parla un po’, poi la picchia e, quando la ragazza è a terra, la violenta. tocca a Michael. È armato. non sappiamo molto di lui se non che è una specie di reduce. Parte all’inseguimento di edmund. cosa succederà da qui in poi non ve lo raccontiamo. sappiate soltanto che i finali possibili sono diversi e che connotano fortemente il senso del gioco. Ma di questo parlerò più avanti. altro che la scena dell’aeroporto di Modern Warfare 2. in edmund il giocatore è costretto a stuprare se vuole giocare. Picchiare una donna e violentarla, precisamente. L’unica alternativa è uscire dal gioco, rifiutarlo completamente. Poi arriva il riscatto, certo, ovvero la violenza contro lo stupratore. Ma è tardi e sembra più un palliativo, un inserto che tenta di riequilibrare una rappresentazione scivolata oltre il consentito dal sentire comune. eppure per curiosità molti lo hanno scaricato e finito. alcuni si sono detti inorriditi, altri gli hanno riconosciuto coraggio, altri hanno tacciato l’autore di aver semplicemente cercato di creare un’opera a effetto per scatenare la polemica. Quello che edmund è riuscito a fare è interrogare l’utente sull’atto stesso di giocare e sulla neutralità di quello che vede sullo schermo. a differenza della famigerata sequenza di Modern Warfare 2 in cui tutto accade a prescindere dal giocatore e in cui l’intento espressivo rimane comunque fortemente retorico e ideologizzato, edmund impone una riflessione sulla coercizione alle regole propria di ogni videogioco. nella testa dell’utente un’affermazione diventa una domanda, da “posso scegliere!” muta in “posso scegliere?” traslitterandosi in “voglio scegliere?”. La curiosità in questo caso è voyeurismo e oscilla tra il rifiuto culturale e la voglia di vedere un atto spregevole compiersi sullo schermo. È il personaggio che stupra o è l’utente che stupra? il personaggio stuprerebbe se l’utente non lo facesse stuprare? oppure se ne starebbe immobile, impossibilitato a fare qualsiasi cosa? edmund può solo picchiare e stuprare la donna, ma è veramente necessario che lo faccia? il fatto che lo stupratore venga ammazzato per vendicare la vittima è un atto di giustizia? oppure è il super-ego che lo chiede per consentire l’uscita indolore dal sogno e tornare sui binari dell’accettabile? cosa sarebbe successo se all’interno della rappresentazione lo stupro fosse rimasto impunito? cioè non fosse stato rielaborato attraverso i diversi finali possibili? come si sarebbero sentiti quei giocatori che, dopo aver stuprato, non avessero potuto riequilibrare quel gesto? se il loro es-edmund fosse sfuggito alla punizione? Ma andiamo avanti: cosa accadrebbe se una coercizione del genere venisse implementata in un prodotto commerciale? Perché l’autore, Paul greasley, ha scelto uno stile grafico che ricorda un platform a 8 bit, creando ancora più disagio nel giocatore abituato a ben altre esperienze di gioco in una scenario simile? edmund è un piccolissimo titolo capace di generare molte domande, domande che arrivano a mettere in crisi molte delle certezze del videogiocatore medio, il quale nel corso degli anni si è bevuto una pressante retorica fatta di un ottimismo sfrenato e dissennato. nella sua semplicità riesce a svelare la potenziale crudeltà del medium videoludico e come le sue potenzialità espressive ruotino intorno alla natura e al contesto delle interazioni, più che alla trama o alla tecnica fine a se stessa. oltre a tutto quanto detto sopra, edmund è anche la dimostrazione lampante che i videogiochi possono affrontare efficacemente certi temi senza doversi sentire i cugini minorati di altri mezzi espressivi e che spesso quelli che lamentano l’impossibilità di farlo semplicemente non vogliono farlo per evitare problemi e discussioni, o per semplice incapacità o pigrizia.


GI0CHI DI M E R D A ! LA TRIST0L0GIA DI NAVARR0SH PRESENTA

di gianluca girelli

terzo appuntamento con la tristologia, che con Ps2 chiude la cerchia relativa alle console di scorsa generazione. e’ stata più dura del previsto, sia perché abbiamo dovuto scartare alcuni giochi già trattati, sia perché Ps2, dall’alto della sua maggiore popolarità, ha visto pubblicare molta più roba oscena rispetto alla concorrenza. tipo tie-in da quattro soldi, trasposizioni di serie tV che era meglio lasciare dov’erano, e storie di brutti pupazzi di cui non abbiamo molta voglia di parlare.

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Giochi Di Merda presenta La Tristologia Di Navarrosh, ovvero il meglio del peggio per ogni piattaforma in uscita nell’ultima decade. Tre capolavori del trash scelti a caso tra i primi 10 titoli che hanno scavato le classifiche di Gamerankings, Metacritics e italiaTopGames.

MC’FARLANE’S EVIL PR0PHECY

KNIGHT RIDER 2: THE GAME

LITTLE BRITAIN: THE VIDE0GAME

Konami - 2004

Davilex Games - 2004

Revolution Studios - Blast Entertainment inc. - 2004

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odd McFarlane è un grande autore di fumetti. e non finiremo mai di ringraziarlo per le fenomenali action figures da lui prodotte. Però di videogiochi non ne capisce una fava, basta dare un’occhiata alle terribili trasposizioni videoludiche dei suoi prodotti (spawn su tutti). come gli sia venuto in mente di dare per l’ennesima volta in licenza i principali protagonisti della McFarlane toys, rimane un mistero. Beh, in realtà no, ma ci piace pensarla diversamente. Quattro personaggi, fondamentalmente tutti uguali, combattono contro orde di mostri nel più banale e lineare hack’n slash che sia mai stato prodotto. non ci sarebbe nient’altro da aggiungere, senza dover per forza snocciolare le solite problematiche audio-visive-ludiche che ogni titolo della tristologia deve possedere di default, ma purtroppo rimangono ancora altri 800 caratteri da battere! tra le chicche, una palette di colori virante all’acido, un effetto profondità che stona pesantemente con la pochezza con cui è realizzato tutto il resto, e 10 livelli di noia che (s)fortunatamente finiranno molto presto. il multiplayer in genere da una mano a situazioni ludiche disperate, ma non in questo caso (nonostante la co-op in quattro) a causa di un impianto di gioco che riesce nell’incredibile intento di risultare ancora più sempliciotto rispetto alla controparte single. Una leggenda tutta da verificare narra che M:eP abbia venduto la bellezza di 300 copie in tutto il nord america!

ella colonna di Vice city del numero scorso, avevamo parlato di supecar (Knight Rider) come franchise da lasciare riposare nella naftalina piuttosto che vederlo riutilizzato per qualche tie-in o remake televisivo di dubbia qualità. a distanza di anni dal poco esaltante titolo nes, qualcuno ha deciso di riprovarci. Ben due volte, nel 2002 e nel 2004. come dire, sempre peggio ad ogni episodio. KR2 è una sorta di interstate ‘76 più noioso, con un’ia dei nemici farlocca e con un sistema di guida che dimostra che i coder non hanno letto lo speciale sui giochi di guida di Babel. alla guida della vostra auto dovrete pattugliare zone e dirigervi verso obbiettivi, cercando di tanto in tanto di speronare o colpire con armi di varia natura i cattivoni di turno, poco sorprendentemente anche loro a bordo di altre auto. tutto il gioco si svolge all’interno della vettura, anche quando dovrete aprire cancelli o porte. Ma d'altronde, per un’auto che è in grado di truccare la posizione dei dadi dalla distanza, scardinare lucchetti mi pare il minimo. non vedendo Micheal Knight, e non sentendolo nemmeno visto che la voce non è nemmeno la sua, inizierete a domandarvi se il tie-in sia quello di supercar o de La Macchina nera. senza neanche farlo apposta scopro che una clip di quest’ultimo film è stata inserita in uno degli episodi della serie (durante la sfida con KaRR, la Kitt cattiva). Pessimi designer, ma con una cultura cinematografica non indifferente! non ci rimane che pregare che a nessun’altro venga in mente di rovinare altri giovanili ricordi d’infanzia, tipo automan, streethawk, a-team e supercopter.

iochi di Merda solitamente non tratta prodotti di questo tipo, poiché nella sempiterna ricerca di capolavori involontari del trash, riteniamo che titoli del genere vengano palesemente realizzati in fretta e furia solo per cavalcare l’onda del successo del prodotto a cui sono legati. stavolta però faremo un’eccezione per due ragioni: la prima è che, come già successo in precedenza, analizzeremo un titolo ai margini di ogni possibile classifica; la seconda è che LB non è solo un pessimo titolo per Ps2, ma anche probabilmente uno dei 10 giochi più brutti di sempre. il gioco si compone da sette mini-giochi, ma non aspettatevi difficoltà e frenesia di un ikaruga, in LB è tutto un “one button smashing”. anche Peter Molyneux è concorde nel semplificare le interfacce di gioco riducendo i tasti. i Revolution però non sono mica i Lionhead, di sicuro c’è solo che sono entrambi cazzari. si va dal clone di Paperboy, al clone di Pac-Man, al clone di Frogger, al clone di “colpisci la talpa”, al clone di colums, al clone di Paperboy nuovamente. insomma, gameplay sempre nuovi e originali. si ridesse almeno, ma purtroppo nemmeno quello in quanto i commenti dei due protagonisti si riducono a qualche battuta piuttosto incomprensibile se non masticate alla perfezione l’ostico accento british delle gag. Banale per l’utenza esperta, indigeribile per un pubblico casual che avrebbe potuto trovare interesse nelle meccaniche semplici, LB finisce per non essere né carne né pesce. con quel che costa, molto meglio comprarsi i DVD della serie. sottotitolati, mi raccomando.

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#1o #4 a cura di michele zanetti

The wizard of oz: BeYond The Yellow Brick road

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(con casa e cane) per chissà quali oscuri motivi. La trama non segue i film o i numerosissimi libri della serie, ma imbastisce qualcosa di nuovo e prevedibile, mera scusa per esplorare le terre delle streghe confinanti, a cui poi sottrarre delle uova magiche per conto di OZ stesso. Tra voi e loro una decina di on ci sperava più nessuno, dungeon su binari e dozzine di ma varie coincidenze han nemici da abbattere con l'aiuto fatto sì che RiZ-ZOAwD dei vostri amici (Strawman, Lion giungesse sul suolo occidentale e Tin Man). Gli scenari sono e pure senza anagrammi nel timozzafiato, come tutta la parte tolo. in The wizard of OZ: tecnica. Un lavoro certosino e Beyond The Yellow Brick Road fatto col cuore, accompagnato (DS, ntsc/uc, Media Vision, dalle musiche di Sakimoto: una Xseed Games) seguiremo le av- fiaba in movimento. il level deventure di Dorothy trasportata sign è, invece, ultra semplice: o nel regno di OZ da un tornado si va a destra o si va a sinistra,

isto che Babel lo stampate in ufficio e a star dietro a tutti i titoli da me giocati, in termini di numero di pagine, farebbe girare troppe teste, è nato Time waits for Nobody. Una serie di uscite colme di ogni ben di dio Made in Japan, in un’orgia cromatica pensata per rovinarvi la vista prima ancora di iniziare a giocare!

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con tanto di cartelli con cui si può interagire marchiandoli con dei simboli così da avere sempre dei punti di riferimento certi. Tutto viene fatto col touch screen, un po' una rottura, soprattutto per il sistema di movimento che richiede di agire col pennino sulla rappresentazione di una trackball. Non è semplicissimo imparare a spostarsi al millimetro, soprattutto correndo a velocità supersonica e schivando i nemici con cui non volete combattere. in caso di battaglia lo scontro viene rappresentato in prima persona (con i nemici realizzati in 3D e ben animati) e il touch screen, almeno qui, si rivela una manna. è possibile con semplici e velocissimi tocchi risolvere gli scontri in maniera indolore. Ogni turno si compone di quattro azioni: a voi decidere che personaggi usare considerando che

Dorothy e Strawman ‘occupano’ un'azione, Lion due e Tin Man tre (ergo, questi ultimi due non potranno mai agire insieme nello stesso turno). i personaggi poi sono più o meno adatti a combattere certi nemici, con l'intelligenza Artificiale che selezionerà automaticamente gli obiettivi più pertinenti. A voi confermare, cambiare al volo, usare magie (senza le quali non si va da nessuna parte, nelle boss fight in particolare) o arrabbiarvi con la stessa iA che tende a sprecare gli oggetti come niente (e i soldi son difficili da guadagnare) se vi affidate troppo alle sue decisioni. Una bella avventura, curatissima sul piano tecnico, ma con un level design povero e una difficoltà idiot proof. Merita comunque.

a wiTch's Tale

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n altro titolo che usa il touch screen praticamente per tutto è A witch's Tale (DS, ntsc/uc, Hit Maker/Nippon ichi Software, NiS America, witch Tale: Minarai majo to 7-jin no Princess in Giappone) con risultati migliori sul piano dello spostamento, ma peggiori su quello dei combattimenti. La storia è piuttosto confusionaria (e neanche col vero finale nel New Game+ si riesce a capire tutto), ma vede una ragazzina di nome Liddell entrare in possesso di un antico libro con cui usare delle magie perdute. il possesso del libro riporta in vita una vecchia strega che inizierà a seminare il panico in vari regni, accessibili da un'apposita stanza e in ordine cronologico. Con l'aiuto del vampiro malvagio (?) Loue, Liddell dovrà salvare le principesse di ogni mondo e sconfiggere la strega cattiva. Le locazioni sono in parte ispirate a favole famose: Hansel e Gretel, Alice nel Paese delle Meraviglie, il Mago di OZ e altri. in AwT

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tutto è realizzato in 2D. in ogni mondo vi sono tre ingredienti da recuperare per forgiare la chiave che porterà all'interno del castello di turno e ai guardiani di rito da abbattere (piuttosto stronzi). Tra voi e loro numerosi puzzle e scontri casuali. All'inizio vi picchieranno tutti, ma basteranno pochi level-up per pareggiare i conti e poi iniziare a darle di santa ragione. Liddell in battaglia è accompagnata da un massimo di due bambole di pezza (le trovate sparse per i livelli) ognuna col suo bel design e i suoi punti di forza. Gli scontri sono in prima persona, con nemici in 2D senza alcuna animazione. Liddell combatte a suon di magie, mentre le bambole fanno un po' di tutto. La magia è in comune, quindi è sempre meglio non sprecarla. La selezione degli obiettivi avviene trascinando le apposite icone negli slot designati. Dopo non molto tempo non ne potrete più. L'encounter rate è super sballato: alle volte non si vede l'ombra di un ne-

mico, altre invece sembra che il mondo intero ce l'abbia con voi. Pure la difficoltà è mal bilanciata: è difficile iniziare, ma poi scorre liscio fino alla fine dove un paio di boss sembrano una presa in giro da parte dei programmatori, per poi crollare del tutto, grazie a una certa bambola, al boss finale. Una cavolata. Nel gioco potreste dedicarvi alla ricerca e successivo pestaggio di un intero mazzo di carte: averle con voi aumenta le statistiche base di Liddell e soprattutto vi permette di accedere al mini game del Blackjack con cui sfidare le principesse e altri personaggi. Barano tutti in maniera palese, ma questo mini gioco, in fin dei conti, è più divertente dell'intera avventura normale, nonostante la protagonista sia un tipino sopra le righe. L'integrità del mini gioco, inoltre, redime un po' NiSA dal non adattamento dei contenuti extra di Rhapsody: A Musical Adventure di cui si era parlato tempo fa. Mediocre, comunque.


fighTing fanTasY: The warlock of fireTop MounTain

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n gioco simpatico uscito da non molto è Fighting Fantasy: The warlock of Firetop Mountain (DS, ntsc/uc, Big Blue Bubble, Aspyr) tratto dall'omonimo libro game del 1982 scritto da Steve Jackson e ian Livingstone. il gioco è un RPG in prima persona e si controlla con un connubio un po' circense di pennino e tasti normali. il pennino può essere usato per ruotare la visuale o guardare in alto e in basso (in alternativa potete usare i tasti sulla destra) mentre la croce direzionale muove il proprio avatar nello spazio tridimensionale. i dorsali vengono impiegati per portare a segno gli attacchi. Sta di fatto che il pennino è obbligatorio per attivare quanto messo negli appositi slot per l'uso immediato di magie o oggetti, ma soprattutto per aprire porte e passaggi. Presoci un attimo la mano sarà la volta di addentrarsi in questa breve avventura. Dalla cittadina ai piedi della montagna passando per caverne, avamposti, cunicoli fino su in cima al monte dove risiede il warlock da abbattere, tutte le locazioni sono interconnesse tra loro e spesso vi troverete a consultare la mappa per capire dove diavolo vi trovate. Combattere inoltre non è sempre la cosa migliore da fare. i nemici sono suddivisi in zone a

seconda della loro forza e spesso solo gli equipaggiamenti migliori possono qualcosa: con strategie mordi e fuggi all'inizio, per poi vendicarsi più tardi (dopo un po' di grinding). Ogni miglioramento è conquistato con lentezza e va oculatamente investito. A ogni level-up ci vengono regalati un punto associabile a una delle quattro statistiche base e un punto per le abilità. è possibile sviluppare il proprio personaggio in varie direzioni come guerriero, ladro, mago, arciere, ninja o vari misti, ma non è possibile tornare indietro. il gioco è abbastanza lineare, la trama ridotta all'osso, gli enigmi molto semplici e i save point sono ben distribuiti. il gioco ha una funzione di auto save ogni volta che entrate in una stanza nuova, quindi parlare di una vera e propria difficoltà è un po' eccessivo. Potreste essere nei guai solo a causa vostra, nel caso abbiate sviluppato il personaggio troppo verso una direzione un po' azzardata. Molto buono il comparto tecnico con solo occasionali rallentamenti nelle situazioni più concitate. Nota di demerito per l'assenza di una qualsivoglia colonna sonora, ma la ‘rumoristica’ azzeccata sopperisce in parte. in conclusione un giochino simpatico.

advenTures To go!

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dventures to Go! (PSP, ntsc/uc, Global A, Natsume, Chūmon shiyōze! Oretachi no sekai dall'altra parte del mondo) è il nuovo lavoro degli sviluppatori di Master of the Monster Lair e My world My way, ora alle prese col più performante hardware di Sony. Ciò non gli ha comunque impedito di riciclare vari modelli poligonali dai precedenti lavori, riadattandoli un pelino. Sarà colpa della crisi. il gioco è stato pensato per un portatile, quindi una struttura a missioni, le numerose side quest, una storia frammentata e l’ultra ripetitività del gameplay ne fanno da padrone. Adventures to Go è il nome di una società che allena nuovi avventurieri. Dall'accettazione potremo scegliere di creare un'avventura su misura, ordinando che tipi di terreno e mostri andremo a visitare e mazzuolare. i primi sono gratis, ma dopo non molto tempo ogni tipo di terreno e famiglia di mostri inizierà a costarvi parecchio. insieme all'aumento esponenziale del prezzo di armi e armature, presto i soldi scarseggeranno. Le side quest servono proprio a questo, a farvi guadagnare soldi a sufficienza in modo da barcamenarvi tra i contenuti che servono a far progredire la storia e quelli opzionali. Con un minimo di gestione riuscirete a cavarvela. AtG sembra un giochino breve, invece vi sbatte in faccia una quarantina d'ore dense, ma da prendere assolutamente a piccole dosi. Durante il vostro vagabondare per

gli scenari in 3D in cerca dell'obiettivo di turno o dell'uscita da raggiungere sarete assaliti spesso e volentieri da simpatici mostrilli. A questo punto, esattamente dove vi trovate, comparirà una bella griglia stile JRPG tattico e lì dovrete combattere. Ogni spostamento costa un punto azione (anche solo voltarvi) mentre gli attacchi fisici ne portano via un paio. Potete mettervi in difesa o in attesa che un mostro vi passi davanti per sventrarlo con un attacco automatico, usare magie e oggetti o far passare il turno così da accumulare punti azione extra per il prossimo turno. Le magie vanno create combinando vari cristalli seguendo le ricette trovate o sperimentando e poi assegnandole tra i quattro personaggi. Tutto qui. Gli scontri sono velocissimi e presentano un minimo di tattica che varia di caso in caso a seconda del terreno, della formazione nemica e delle armi equipaggiate. Tutto comunque idiot proof. Qualche boss è comunque in grado di mettervi in difficoltà, nel caso siate troppo avventati o l'iA a quel giro decida che dovete morire (Rock Golem e il boss finale sono due ottimi esempi di come al primo tentativo mi abbiano asfaltato mentre al secondo parevano due cucciolotti in cerca d'affetto). Menzioni finali per la possibilità di salvare ovunque e l'ottima resa dei dialoghi, con i personaggi che non si prendono sul serio e qualche battuta indovinata. Evitabile? Evitabile.

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ARENA Morbose chiacchiere di redazione: torbidi segreti nascosti fra le pieghe del passato, traumi infantili mai superati, preferenze videoludiche da denuncia o periferiche acquistate a prezzi vergognosi per un solo utilizzo. Ogni puntata di Arena vi proporrà una domanda pruriginosa e molte colpevoli confessioni.

“Con quale gioco combattereste il Nulla che avanza?" Gianluca Girelli Matteo Ferrara autore di: Quanto Puoi tanto osa; Drive site admin Me to the Moon; Meteore; giochi di Merda con Braid senza dubbio. Perché torni indietro nel tempo, salti su brutti esserini Molti i giochi giocati, pochi quelli che mi riccioloni, raccogli chiavi e tessere di hanno ispirato. Ma non li userei per puzzle fluttuanti, e nonostante tutto ti combattere il nulla, non c’è nulla da sembra più vero e intenso di molte procombattere, né qualcosa di brutto che duzioni che puntano al realismo con un avanza. a dire il vero mi avanza un Halo budget milionario. Uno spettacolo per 2 e un cavo RgB per gamecube da una occhi, orecchie e quel tuo istinto fiabesvendita di qualche anno fa. chi li sco un po’ naïf che credevi aver perso vuole? da molto tempo. Giovanni Donda autore di: cover story

Michele Zanetti autore di: nostalgia; Dragon Ball Z: attack of the saiyans; time Waits for noPiazzerei una copia di Dead Rising a mo’ body 10 di crocifisso. Un gioco assolutamente pazzesco nelle sue scelte di design, non Final Fantasy Xiii. ah sì sì. ultima (nonché la migliore) quella di lasciare fare al giocatore più di una cosa alla volta. sembra una quisquilia, ma Paolo Franchini sembra male. Dead Rising offre la possi- Forum admin bilità di poter recuperare i superstiti e, allo stesso tempo, poter affrontare le se il nulla è la totale assenza di videomissioni della storia (persino i boss gioco, allora per respingerlo serve qualfight, con appunto i superstiti che ti se- cosa che ne sia veramente un guono tutto il tempo): due attività che concentrato puro. negli ultimi tempi solo in qualsiasi altro titolo avrebbero seguito street Fighter iV mi ha ricordato, seppur la regola del “o così o Pomì” occupando con i suoi limiti, cosa significhi essere un sezioni di gioco ben distinte. Dead Rigiocatore. Mi ha riportato in un’epoca sing è pura follia. Follia dalle grosse dove solo la coordinazione, il tempo di palle quadrate. e se vuoi combattere il reazione e la perfetta fluidità di esecunulla che avanza, non andrebbero bene zione definivano l’esperienza. il suo “ridi nessun’altra forma né dimensione. torno al futuro” l’ha svecchiato al punto giusto e reso eccezionalmente attuale.

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Simone Tagliaferri autore di: ars Ludica; the Void; the Legend of Zelda: spirit tracks; 1493 il nulla che avanza può essere sconfitto solo a dosi massiccie di schitarrate di plastica. Dobbiamo cercare di creare un vuoto ancora più violento e irreversibile per fermarlo. Tommaso De Benetti autore di: Dal Vangelo secondo tommaso; nero Ludico con Braid, che ha dimostrato alle masse non avvezze alla roba indie che un mondo diverso è possibile, e bastano ‘solo’ 100.000 euro per renderlo realtà. in generale, spero che sia il Playstation network che il Live, nonostante le dimensioni massime dei giochi continuino ad allargarsi, riservino ancora qualche sorpresa. Vincenzo Aversa autore di: esco di Rado; DJ Hero; assassin’s creed 2; the saboteur con l’ultimo Banjo per Xbox 360. Perchè più di scribblenauts, buono più sulla carta che non pennino in mano, mi ha dato carta bianca. così dovrebbero essere i videogiochi: mondi pronti a piegarsi alle mie volontà e non a rigide strutture con troppa voglia di bastonarmi. Federico Res Fondatore con un un nuovo episodio di ecco the Dolphin, grande quanto il Pacifico e totalmente free roaming. e con la grafica di crysis. ci passerei il resto della mia vita.



NERO LUDICO Sottocosto

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lle 7:28 c’erano trentaquattro persone prima di lui. Dieci minuti dopo erano almeno il doppio. Per un attimo gli parve di vedere la saracinesca davanti alle porte del MediaWorld scorrere verso l’alto. In punta di piedi butto’ un’occhiata impaziente, sperando che aprissero in anticipo. Il signore davanti a lui, quarant’anni mal portati, capelli grigi in piccoli ricci, faccia da piccolo imprenditore stage-non-retribuito-ciaoe-grazie, si giro’ di scatto: “Scusa, puoi piantarla?” Roberto si accorse di essersi inavvertitamente aggrappato alla giacca di camoscio del tizio. “Mi scusi,” disse, e quello si rigiro’ in avanti con un “eccheccazzo.”

La folla iniziava a rumoreggiare. I primi arrivati, civilmente in fila uno dietro l’altro, iniziavano ad essere attaccati ai fianchi da piccoli gruppetti di persone appena giunte sul posto. A sette minuti dalle 8:00 c’erano cento PlayStation 3 sottocosto e almeno centoquaranta persone pronte ad accaparrarsele con qualsiasi mezzo. Nessun bigliettino numerato a stabilire un ordine, nessun buttafuori a controllare il flusso di clienti.  Una signora anziana vicino alla porta si mise a discutere ad alta voce: “Scusa eh, io sono qui da mezz’ora almeno, non e’ che puoi entrare cosi’,” sbraitava rivolta a un quindicenne rasato e mingherlino. Gli parve di sentire un “...ma stia zitta che le viene un infarto” uscire dalla bocca del giovane, che fra l’indecisione generale si piazzo’ a due metri dall’entrata senza che nessuno avesse il coraggio di lamentarsi ulteriormente. Altri fecero come lui, alcuni senza particolare opposizione, altri rassegnandosi a tornare in fondo alla fila dopo un’occhiata particolarmente aggressiva.  Alle 7:59 un commesso del MediaWorld, con la faccia pallida di uno che non ha chiuso occhio durante la notte, si paleso’ al di la’ delle vetrate. La folla si fece d’improvviso nervosa, premendo sempre piu’ violentemente sulle porte scorrevoli. Roberto venne sospinto in avanti, quasi galleggiando. Non si sentiva altro che un diffuso “Non spingete, non spingete cazzo!” Due minuti dopo le otto una slavina di corpi ansimanti si riverso’ nelle stanze vuote e silenziose dello store, come ad inseguire pagnotte di pane in tempo di guerra. Un commesso divertito indicava la via come avrebbe fatto un operatore aeroportuale con un velivolo in cerca di parcheggio. Un piccolo gruppo di scalmanati si stacco’ dalla fiumana per percorrere una via alternativa, che avrebbe potuto teoricamente farli arrivare alla meta due o tre secondi prima degli altri. Roberto, un po’ spaventato dalla scena a la 28 Giorni Dopo, si fece trascinare fino al cestone da cui un’altro commesso pescava PlayStation 3 sottoprezzo consegnandole - una a testa - nelle mani fameliche dei clienti.  Per una pura botta di culo, Roberto afferro’ una delle ultime tre console disponibili prima di essere spinto fuori dalla calca dalla furia di chi seguiva.  Si affretto’ alle casse lasciandosi dietro un mugolare montante di gente delusa e incazzata.  Alle 8:13 era in procinto di aprire il bagagliaio della sua Punto per sistemare il nuovo acquisto in posizione protetta e sicura. Non si accorse dell’auto parcheggiata dietro di lui che d’improvviso accelero’ come a volerlo tamponare. Si senti’ uno schiocco secco, come di un legno spezzato, poi Roberto rantolo’ qualcosa e si accascio’ a terra con il bacino in briciole. Un uomo scese dal veicolo che l’aveva colpito. Aveva piccoli ricci grigi ed una giacca di camoscio. Prese la PlayStation 3 dal bagagliaio di Roberto, soppesandola brevemente. “Eccheccazzo”, disse, prima di rimontare in macchina ed andarsene.

Tommaso De Benetti 034



COVER STORY devoid QUANTO PUOI TANTO OSA la scappatoia

ESCO DI RADO sesso e videogiochi.

ventures to go! ARENA con quale gioco combattereste il nulla che avanza? NERO LUDICO sottocosto

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