Segno n.11-12/2010

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Poste Italiane S.p.A - Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 2, CNS/AC Roma Segno nel mondo â‚Ź 1,70 - Supplemento al numero 11/12 2010

Supplemento Supplemento

g

nel mondo

numero speciale

L’incontro nazionale del 30 ottobre

In centomila con il Papa



&

Fatti

parole di Franco Miano*

SegnoeSegnoPer unnumeroonline daleggereinsieme

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Carissimi lettori di Segno, carissimi amici dell’Azione cattolica, come a suo tempo avevamo comunicato attraverso la stampa associativa, a causa dell’abolizione delle tariffe postali agevolate l’Ac ha dovuto modificare, per il 2010, il numero di uscite delle nostre riviste. Questo provvedimento ha messo in difficoltà tutte le realtà associative no-profit, che nella stampa rivolta ai soci e ai simpatizzanti vedono un prezioso strumento di informazione e di autoformazione, nonché un veicolo culturale e partecipativo che va a vantaggio di tutto il Paese. Il danno economico subito dall’Ac è stato, per il solo 2010, di circa 500mila euro. Ciò nonostante, la Presidenza nazionale ha ritenuto doveroso continuare a investire sulle riviste, riducendo in minima parte le pubblicazioni. In questo senso, si è deciso che l’ultimo numero annuale di Segno e di SegnoPer non sarebbero arrivati via posta, ma sarebbero stati disponibili on line e resi facilmente scaricabili per una lettura in famiglia o comunitaria.

Il numero che state dunque virtualmente sfogliando grazie al web mantiene la consueta ricchezza di notizie e commenti, e presenta una serie di interessanti articoli, a partire da quelli dedicati al grande evento del 30 ottobre, intitolato C’è di più, che ha portato a Roma, dal Papa, oltre 100mila ragazzi, giovanissimi, giovani, educatori, genitori e responsabili di Ac. Sarebbe particolarmente bello e significativo se questo numero “speciale” di Segno, così come quello di SegnoPer che trovate sempre nel sito www.azionecattolica.it, potessero avere una circolazione del tutto straordinaria, magari grazie a una mobilitazione specifica dei soci giovani e adulti, dei responsabili parrocchiali, degli educatori, dei sacerdoti assistenti. Non priviamo nessuno della nostra stampa. Rendiamo noto il grande sforzo che l’associazione sta compiendo perché tutti abbiano degli strumenti di comunicazione in grado di collegare ciascuno alla grande famiglia dell’Ac. Sin dal primo numero del 2011, Segno e SegnoPer, e tutte le riviste degli archi d’età (Graffiti, Ragazzi, Foglie) riprenderanno invece l’ordinaria distribuzione postale. Eventuali modifiche alle uscite dell’anno prossimo saranno tempestivag mente comunicate. ■ * presidente nazionale Azione cattolica italiana

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la copertina

sommario

In un’atmosfera serena e gioiosa si è svolto in piazza San Pietro il 30 ottobre scorso l’incontro nazionale dei ragazzi e giovanissimi. Più di centomila persone, riunite per dire al Papa, ancora una volta, che l’Azione cattolica è felice di impegnarsi per il bene della Chiesa e del paese

fatti e parole

sotto i riflettori

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Segno e SegnoPer un numero on line da leggere insieme

L’allegria e la semplicità

di Franco Miano

di Ada Serra

16 Saper dare nuovi frutti

sotto i riflettori

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È qui la festa

Il volto bello della Chiesa e del paese

di Paola De Lena

tempi moderni

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di Maurizio Semiglia

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di Paolo Reineri

Il video senza realtà

L’emozione di stare insieme di Ada Serra

di Marco Deriu

famiglia oggi

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Sotto il segno di Elio

Un nuovo welfare

di Gianni Di Santo

quale Chiesa

cittadini e palazzo

24 Per la buona politica

30 L’università al bivio

nel mondo

n.11/12-2010supplemento

Mensile dell’Azione Cattolica Italiana Direttore Franco Miano Direttore Responsabile Giovanni Borsa g.borsa@azionecattolica.it In Redazione Gianni Di Santo g.disanto@azionecattolica.it

36 Hanno collaborato a questo numero: Paola De Lena, Marco Deriu, Ernesto Diaco, Marco Iasevoli, Antonio Mastantuono, Silvio Mengotto, Paolo Mira, Paolo Reineri, Chiara Santomiero, Maurizio Semiglia, Ada Serra, Eugenio Vite

e-mail Redazione segno@azionecattolica.it Tel. 06.661321 (centr.) Fax 06.66132360

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Direzione e Amministrazione Via Aurelia, 481 - 00165 Roma

Per aprirsi all’infinito

40 La via per la pace di Ernesto Diaco

di Eugenio Vite

Grafica e impaginazione: Giuliano D’Orsi, Veronica Fusco Stampa Mediagraf S.p.a. Viale della Navigazione Interna, 89 - 35027 Noventa Padovana - PD Reg. al Trib. di Roma n. 13146/1970 del 02/01/1970 Per le immagini si è fatto ricorso alle agenzie Olycom, SIR e Romano Siciliani

Editrice Fondazione Apostolicam Actuositatem Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma

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Chiuso in redazione il 19 novembre 2010 Pubblicazione associata all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana)

Abb.to annuale (12 num.) senza supplemento € 20 Abb.to annuale (12 num.) con supplemento € 25 Per versamenti: ccp n.78136116 intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem Riviste - Via Aurelia, 481 – 00165 Roma Fax 06.6620207 (causale “Abbonamento a SegnoPer”) Banca: Credito Artigiano - sede di Roma IBAN: IT88R0351203200000000011967 cod. Bic Swift Arti itM2 intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem Via Aurelia, 481 - 00165 Roma Tiratura 500 copie (per archivio, senza invio postale)


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senza confini

orizzonti di Ac chiesa e carità

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i titoloni

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Con uno sguardo sul mondo

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Le nuove sfide che incalzano la Chiesa

di Gianni Di Santo

La fede, i volti e le parole

di Marco Iasevoli

di Silvio Mengotto

faccia a faccia

46 Storie di giovani e di fede

sulle strade della fede

intervista con

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Chiara Finocchietti

Gli elefanti di Farneta

di Gianni Borsa

di Paolo Mira

58 Natale, tempo di offerte

spazio aperto

56 I preti di Ac alla Domus Mariae

60 Le lettere

ieri e domani

perché credere

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Plasmare la storia

Gesù, viaggiatore in terra straniera

di Chiara Santomiero

di Antonio Mastantuono

la foto

64 Perché la storia insegni

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sotto i riflettori

Ăˆ qui la festa

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sotto i riflettori

Un’atmosfera bellissima il 30 ottobre a piazza San Pietro. Bambini, ragazzi e giovanissimi sono arrivati da tutta Italia, accompagnati dai propri genitori, dagli educatori e dai sacerdoti: più di centomila persone, riunite per vivere insieme un grande momento di gioia e di festa. Per dire al Papa, ancora una volta, che l’Azione cattolica è felice di impegnarsi per il bene della Chiesa e del paese di Paola De Lena l 30 ottobre Roma inizia a popolarsi fin dalle prime luci dell’alba. Il popolo di Dio lo vedi scendere dagli autobus, dai treni e dalla metropolitana con gli occhi ancora “appiccicati” dal sonno e il viso stretto nella giacca per ripararsi dall’aria pungente del mattino. É un popolo di Dio moderno, dotato di fotocamere digitali e telecamere per immortalare tutti i momenti e le emozioni di una giornata che si preannuncia eccezionale. Per molti il viaggio è stato lungo, qualcuno è partito nel cuore della notte, qualcun altro già dalla sera precedente, ma i postumi di una notte in bianco, sebbene siano presenti, non smorzano l’entusiasmo che cresce a poco a poco con il sorgere del sole. Inizia così, con una fiumana di gente che affolla le

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strade di Roma, la grande festa dell’Azione cattolica italiana. C’è di più. Diventiamo grandi insieme è nato come slogan, come tema della festa e il 30 ottobre si è fatto esperienza viva e concreta di un’associazione stretta intorno al Santo Padre e alla Chiesa tutta, per ridire la propria passione per la cura educativa delle giovani generazioni. Bambini, ragazzi e giovanissimi sono arrivati da tutta Italia, accompagnati dai propri genitori, dagli educatori e dai sacerdoti: più di centomila persone, circa millecinquecento pullman, riunite per vivere insieme un grande momento di gioia e di festa. Piazza san Pietro, dove nella mattinata ci sarà l’incontro con Benedetto XVI, si riempie in fretta: i cartelli colorati delle diocesi fanno da sfondo, pronti per salutare il

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sotto i riflettori

Le foto “C’è di più” sono state scattate da: Davide Colladel, Fabiano D’Andrea, Guglielmo di Perna, Micol di Perna, Francesco Farina, Giuseppe Panzarini, Giuseppe Zupa, Irene Romani e Romano Siciliani

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Papa al suo arrivo. Con il passare delle ore si riempiranno anche il loggione e buona parte di via della Conciliazione, segno di una piazza che non ce la fa a contenere i tanti presenti. Basta poco per entrare nel vivo della festa: il saluto caloroso di mons. Domenico Sigalini, l’affetto delle parole del presidente Franco Miano, la premura e l’apprezzamento del cardinale Angelo Bagnasco in rappresentanza dei Vescovi italiani, presenti numerosi anche in piazza per accompagnare e sostenere l’associazione; quindi il momento di preghiera iniziale, che vede questo popolo di Dio festoso e colorato raccogliersi in un silenzio quasi surreale, ma carico di intensità. In attesa dell’arrivo del Papa tocca a Manolo Martini, giovane conduttore della Tv dei ragazzi, scaldare e animare la piazza con giochi e saluti alle diocesi presenti, aiutato dal valido sostegno dei centosettanta portafesta chiamati, appunto, a “portare la festa”, con i loro abiti gialli e le grandi mani di gommapiuma blu, tra i tanti presenti. Ai momenti di animazione si alternano momenti di incontro con i numerosi ospiti presenti: la delegazione dell’Ac rumena prima e gli amici della Russia poi, a cui è dedicata l’iniziativa di pace promossa dall’Acr e sostenuta dall’associazione tutta in occa-

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sotto i riflettori sione della Giornata mondiale della Pace 2011. Suor Teresa, Padre Stefano, Jana e Blad si occupano, in località diverse della Russia, di un orfanotrofio e di un centro di crisi per bambini di strada. A loro andrà, nel 2011, la solidarietà dei bambini e dei ragazzi dell’Acr. Pochi minuti prima delle undici il clima inizia a surriscaldarsi e non solo perché il sole ha finalmente deciso di fare capolino tra le nuvole: sta arrivando il Santo Padre che viene accolto da un entusiasmo travolgente e da un affetto caloroso e sincero. Tutta la piazza canta l’inno dell’incontro e, allo stesso tempo, si fanno sentire i primi cori che inneggiano a

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sotto i riflettori Il saluto ai ragazzi e giovanissimi del presidente della Cei, card. Bagnasco

«OVUNQUE GESÙ È CON VOI» oco prima dell’incontro con il Santo Padre, a portare il saluto di tutti i vescovi italiani a una piazza San Pietro festante e colorata è intervenuto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei. Il cardinale, rivolgendosi in particolare alle generazioni future dell’Ac, ha detto: «Noi vescovi contiamo sull’Azione cattolica con il suo radicamento nelle parrocchie; contiamo sui di voi che di questa amata associazione siete il futuro promettente e allegro. Gli Orientamenti pastorali per il nuovo decennio affrontano la sfida educativa, quel bisogno diffuso di educazione completa della persona a qualunque età. Nel nostro cuore di pastori ci siete innanzitutto voi, carissimi giovani. Sappiamo che il mondo degli adulti è chiamato in causa seriamente, perché ha il dovere di esservi di esempio e di dirvi parole vere e alte, ma voi aiutateci a essere educatori credibili ed efficaci: incalzateci con le vostre domande, siate pronti e generosi nel giocare voi stessi. Si tratta della vostra vita!». «Cari ragazzi e giovani dell’Azione cattolica – ha continuato Bagnasco – siate amici di Gesù, amate la Chiesa, dite al Santo Padre il vostro affetto, servite le vostre parrocchie con la vostra presenza fedele e gioiosa. Se pregherete tutti i giorni, se sarete fedeli alla santa messa e alla confessione, allora i vostri gruppi associativi diventeranno dei cenacoli di bontà intelligente e contagiosa, l’amicizia tra voi sarà più vera perché ognuno aiuterà l’altro a scoprire Cristo, il grande Amico, e ad amarlo nell’obbedienza della vita. Allora non avrete paura, non sarete timidi nel testimoniare il Signore, nell’amare la Chiesa e il Papa, nei vostri ambienti: dalla famiglia alla scuola, allo sport, al tempo libero. Ovunque Gesù è con voi».

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gran voce Benedetto XVI. È il momento clou di una mattinata che di certo rimarrà nel cuore di molti. Il Papa è felice di incontrare l’Azione cattolica e risponde con piacere alle domande di un acierrino, di una giovanissima e di un’educatrice: ricorda agli acierrini che diventare grandi vuol dire prima di tutto diventare amici di Gesù, esorta i giovanissimi ad aspirare a mete grandi e invita gli educatori alla corresponsabilità per educare i più piccoli alla fede. Per tutti cita, quali esempio di un amore genuino, bello e vero, Piergiorgio Frassati, Alberto Marvelli, Pierina Morosini e Antonia Mesina, i giovani beati cari all’Ac che ci dicono di una santità possibile nel quotidiano. Benedetto XVI attraversa piazza San Pietro (tutta la mattinata è ripresa in diretta da RaiUno, con la trasmissione A sua immagine, di Rosario Carello), si avvicina ai presenti, fino al saluto tra le ovazioni di una folla che lo ha ascoltato in silenzio e che l’ha stretto nel caldo abbraccio dell’Ac. Termina così la mattinata in Vaticano, ma la festa continua per l’Acr a piazza di Siena e per i giovanissimi a piazza del Popolo. Una carovana allegra ed entusiasta inizia a percorrere le vie della città per raggiungere i luoghi che ospiteranno le feste del pomeriggio. Lungo il percorso i volontari, circa trecentocinquanta, dislocati in vari punti, e i portafesta guideranno e animeranno la lunga passeggiata dei tanti presenti. La stanchezza inizia a farsi sentire, ci sono lunghe file per i servizi igienici e per molti raggiungere le piazze non sarà proprio una passeggiata. E poi la gran folla rende qualche operazione, compreso il deflusso finale, un po’ ardua... Inconvenienti che mettono alla prova soprattutto i più piccoli. Ma con l’entusiasmo della festa si torna a sorridere. Per l’Acr il percorso che dall’inizio di Villa Borghese porta alla piazza cuore dell’incontro è un susseguirsi di gemellaggi tra diocesi, di giochi e di festa. Due i momenti: il primo, “Più amici”, in cui si è chiamati a presentarsi attraverso un canto tipico o la realizzazione di un’ambientazione caratteristica della propria città da far visitare al gruppo con cui ci si gemella; il secondo, “Più gioco”, in cui i vari gruppi devono cimentarsi nel gioco del fazzoletto, in quello delle anfore o ancora nel calcio balilla da seduti.


sotto i riflettori Tutti giochi legati al mondo della matematica che quest’anno accompagna il cammino dei ragazzi dell’associazione. All’arrivo a piazza di Siena ad accogliere i bambini e i ragazzi su un grande palco allestito per l’occasione ci sono Manolo Martini e Alessia Mazzaro, della diocesi di Vicenza, che presentano la grande festa finale. Gli inni dell’Acr degli ultimi anni si susseguono a ripetizione sul palco grazie alla presenza dell’Acr Band delle diocesi di Molfetta e Fiesole, mentre i ragazzi, più di cinquantamila, cantano ed eseguono i gesti in un crescendo di partecipazione. Tra un inno e un bans salgono

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sul palco gli ex responsabili e assistenti nazionali dell’Acr per portare un saluto alla piazza e ricordare gli altri incontri nazionali: 1988, 1991, 1997, 2004 per poi arrivare insieme a C’è di più, 30 ottobre 2010. Poco distante da piazza di Siena cinquantamila giovanissimi e giovani gremiscono piazza del Popolo. Attendono il countdown che segnerà l’inizio della festa ascoltando il coro gospel della diocesi di Lecce, ballando al ritmo dei bans proposti dai ragazzi del Msac, salutando tutte le regioni presenti a suon di “Gioca jouer” e dando vita a una fantastica ola di palloncini scoppiati nello stesso momento. Alle 14.59 inizia il conto alla rovescia e alle 15.00 i Suoni fuori le mura, band della diocesi di Gaeta, danno inizio alla festa mentre i giovanissimi della diocesi di Bari-Bitonto li seguono ballando la coreografia dell’inno. L’intero pomeriggio vede alternarsi sul palco, presentati da Gennaro Ferrara, giornalista di Tv2000, e anch’egli proveniente dalle fila dell’Ac, ospiti del mondo dello spettacolo e non solo, chiamati, con la loro testimonianza, a raccontare l’amore per la vita, per gli altri e per il mondo. Simona Atzori, ballerina e pittrice, Cesare Prandelli, commissario tecnico della nazionale di calcio, Pietro Napolano, cantante dei Piquadro e già educatore Acr, Roberto Vecchioni, Luca Zingaretti, don Luigi Ciotti, don Niccolò Anselmi, i giovani dell’Ac di Romania (e quelli di Argentina, Burundi e Spagna attraverso un videomessaggio) si sono alternati sul palco in una festa che ha saputo ridire ai giovanissimi il “di più” di una vita che guardi verso l’alto. Inutile dire che i gadget vanno a ruba: le felpe e le magliette, le spillette... Anche questo è un modo per dire: io ci sono. E per raccontare, domani: io c’ero. Intorno alle 18.00 le piazze hanno iniziato a svuotarsi mentre la metro, con non poche difficoltà logistiche, riportava il popolo di Dio verso casa. È un popolo stanco, con gli occhi di nuovo “appiccicati” dal sonno e il naso nascosto nel bavero della giacca per il freddo della sera. Ma è anche un popolo in festa che continua a cantare C’è di più con la voce un po’ roca di chi ha urlato a squarciagola per tutto il giorno e con il cuore colmo di gioia di chi sa di g aver vissuto una giornata indimenticabile. ■

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sotto i riflettori

L’emozione di stare insieme di Ada Serra

micizia, pace, gioia: sono parole che fanno rima con C’è di più per gli acierrini e i giovanissimi che Segno incontra in piazza San Pietro il 30 ottobre. «Sono qui per vedere il Papa, perché è bello stare con gli amici e perché mi avevano detto che sarebbe stata una bella esperienza» ci dice Elena, 11 anni, della diocesi di Forlì. «Siamo partiti da casa a mezzanotte ma ne è valsa la pena, nonostante la fatica» aggiunge. Si inserisce Marco, Piazza San Pietro. Ma anche Villa giovanissimo di Chieti-Vasto: «È stato Borghese e piazza emozionante vedere il Papa. Ci ha fatto del Popolo. I ragazzi sentire che ci è vicino e ha detto lui e i giovanissimi stesso che “c’è di più” in una giornata di Ac si raccontano così». Alessandra ha 10 anni ed è para Segno tita da Reggio Calabria «per incontrare papa Benedetto. L’ho visto, anche se ero lontana per via della tanta gente». Villa Borghese, ore 14.30. Piazza di Siena si riempie di bambini e ragazzi che, nonostante la stanchezza, hanno voglia di divertirsi. Diego, 8 anni da Verona, è convinto: «La cosa più bella per me è stata la camminata: lunga, faticosa, ma bella!». Per loro, C’è di più è anche occasione di incontro con altri acierrini da tutta Italia. È il caso di Alessandra: «Ho scambiato un biglietto con Valentina, anche lei di 10 anni e pure lei calabrese». Francesco, 9 anni, di Formia, ammette: «Non ho ancora conosciuto nuovi bambini ma prometto di impegnarmi di più durante la giornata». Sono migliaia gli educatori che accompagnano gli acierrini, anch’essi convinti del valore dell’esperienza: «In un tempo in cui ci si incontra solo su Facebook, occasioni come questa sono eccezionaAltri momenti della festa: li». A parlare è Mel chi orre dalla diocesi di Reggio i centomila di piazza San Calabria. «Il contatto umano con una parrocchia Pietro e i giovanissimi a vicina è importante. Lo vedo nella faccia della più piazza del Popolo

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sotto i riflettori Le parole di mons. Domenico Sigalini

«I RAGAZZI VOGLIONO SOGNI E VOLI ALTI» antità, alcuni anni fa ci ha chiamati a rispondere a una urgenza educativa che, dalla sua posizione di responsabilità di Sommo Pastore della Chiesa, ha visto essere un compito assolutamente da assumere da tutti nella Chiesa. Oggi, all’inizio del decennio che la Chiesa italiana dedica all’educazione, in questa sua piazza abbiamo accompagnato tutti questi ragazzi e questi giovanissimi, che popolano le nostre parrocchie e le nostre associazioni di Azione cattolica, che da sempre si impegna per educare le giovani generazioni». Così mons. Domenico Sigalini, assistente generale dell’Ac, ha esordito con viva soddisfazione nel suo saluto al Santo Padre, per la bella giornata di sole e di volti sorridenti che andava a prepararsi. «Non è vero che le nostre chiese – ha continuato mons. Sigalini – sono abbandonate dai giovani, anzi, quando percepiscono che c’è gente che vuole il loro vero bene e che nell’incontro con Gesù c’è una risposta alla loro esigenza di volere di più, ne siamo assediati. Questi ragazzi non vogliono mediocrità o adattamenti, ma sogni e voli alti. La misura che proponiamo è la santità, niente di meno. Hanno possibilità di incontrarla nella storia dell’Azione cattolica e di vederla in tanti giovani e ragazzi che li hanno preceduti, e nei preti e negli adulti e giovani che si dedicano a loro. Oggi sono qui per ringraziarla di quanto ha fatto e sta facendo per loro, mettendosi in prima persona a difenderli, e per ascoltare la sua parola che indica a loro il di più che cercano».

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piccola che ha quattro anni o negli occhi di un vecchio assistente che ci tiene a essere qui». Per un educatore è dura essere qui oggi? – incalziamo. «È dura restare a casa (e c’è chi è stato costretto a rimanervi...)», conclude convinto. Della stessa idea è Giacomo, educatore Acr di Jesi: «L’organizzazione a livello parrocchiale e diocesano è stata faticosa però ora vedere i volti dei ragazzi ripaga di tutto. La capacità di confrontarsi con altre persone e di uscire dalle nostre piccole parrocchie per aprirsi a una realtà più grande è il dono più bello che stanno ricevendo». Per far sì che la festa funzioni, anche numerosissimi volontari si sono messi a lavoro nei modi più diversi. Tra di loro, i Portafesta animano il percorso da San Pietro a Villa Borghese. «Sono qui per portare la festa alle persone. Vedo che tu stai sorridendo e quindi significa che sto riuscendo nel mio compito», scherza Sandro. Affianco a lui c’è Katia, viene da Giovinazzo, in provincia di Bari. Perché hai detto sì a questo servizio? – le chiediamo. «Per quello


presidente Miano salutano il popolo di Ac in piazza San Pietro

Il saluto del presidente Miano

«VOGLIAMO DIVENTARE GRANDI INSIEME» on la nostra presenza qui, oggi, diciamo che vogliamo ancora rispondere a questo invito e che è possibile iniziare un cammino di santità fin da bambini, fin da adolescenti, impegnandoci a crescere nella fede e in umanità, insieme con Gesù e con ogni uomo, impegnandoci a vivere in pienezza la nostra esistenza, a vivere la vita buona e bella del Vangelo». Così il presidente nazionale di Ac, Franco Miano, rivolgendosi a Benedetto XVI, ha salutato i centomila ragazzi e giovanissimi presenti in piazza San Pietro il 30 ottobre. «Vogliamo diventare grandi – ha proseguito Miano – ma mai da soli. La ricchezza di ogni persona, testimoniata dai vostri volti, dai volti di ognuno di voi, si accresce nell’unità, quell’unità che l’Azione cattolica ci fa toccare con mano, ci fa sperimentare aiutandoci a vivere la più grande unità della Chiesa e a camminare verso l’unità di tutti gli uomini, chiamati a essere fratelli in quanto figli dell’unico Padre. Vogliamo diventare grandi ma insieme. E questo vale anche per gli adulti, per gli educatori e per i genitori che anche grazie alla spinta dei piccoli, dei più giovani vogliono continuare a crescere sempre, a sentirsi in cammino insieme. Carissimi, l’Azione cattolica tutta è oggi felice per la straordinarietà di questo momento che stiamo vivendo e in questa piazza, alla presenza del Santo Padre, dei nostri vescovi, alla presenza di tutti, e vuole ribadire, all’inizio di questo decennio che la Chiesa italiana dedica all’educazione, il suo impegno per il futuro, per il futuro del nostro paese, per il futuro delle generazioni più giovani, per il futuro delle nostre comunità».

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sotto i riflettori

Nell’altra pagina: l’assistente generale mons. Sigalini e il

che ricevo dall’Azione cattolica». L’entusiasmo è incontenibile anche fra i Giovanissimi in piazza del Popolo. «Questa giornata mi sta dando una grande gioia. È un’esperienza innovativa e straordinaria», esordisce Agostino, 18 anni di San Felice a Cancello, diocesi di Acerra. L’emozione più bella che hai provato finora? «Guarda tu stessa – risponde –: è uno spettacolo vedere tutte queste persone. E poi, mi è piaciuta molto la danza di Simona Atzori: mi ha trasmesso voglia di vivere». Francesco, 15 anni di Giovinazzo, è incerto quando gli poniamo la stessa domanda: «Prandelli!». Poi ci ripensa: «Il Papa, anche se non sono riuscito a incrociare da vicino il suo sguardo». Domanda di rito: cosa “c’è di più” per voi oggi? «L’Acr!», risponde senza esitazione Alessandra di Reggio Calabria. «C’è più gente, più possibilità di ascoltare le testimonianze di come si vive l’Azione cattolica», fa eco E l en a, 13 anni dalla diocesi di Rovigo. «Il mio di più è stato vedere il Papa per la prima volta», afferma la sua amica Anna. Francesco da Formia aggiunge: «Per me ci sono gli amici e anche i miei educatori». L’altro Francesco, giovanissimo di Bari, parte con l’elenco: «Più festa, più simpatia, più unione tra noi ragazzi. Anche se di solito litighiamo, almeno per oggi, meno per meno g fa più, come spiega l’inno!». ■

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sotto i riflettori

L’allegria e la semplicità è un clima «meraviglioso, un’energia contagiosa qui oggi»: a parlare è Cesare Prandelli, commissario tecdi Ada Serra nico della Nazionale italiana di calcio, ospite dei giovanissimi di Azione cattolica alla festa di C’è di più in piazza del Popolo. Uno dei luoghi simbolo di Roma, teatro tante volte delle manifestazioni più diverse, il pomeriggio del 30 ottobre si riempie dei colori, delle voci e dei volti dei giovanissimi di tutta Italia. Se i ragazzi sono i protagonisti dell’evento, il palco di tanti concerti ospita personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, che raccontano cosa c’è di più nella propria vita. Nella foto: Esperienze diverse, mondi spesso molto distanti. l’attore Luca Zingaretti a Tutti rapiti, però, dall’entusiasmo della piazza. Piazza del Popolo Il “mister” Prandelli viene accolto da cori da stadio, risponde alla domande dei giovanissimi e anche ai loro tiri di rigore con il pallone. «Secondo me – prosegue – questi ragazzi sono un esempio di come si dovrebbe andare a vedere le partite di calcio: con animo sereno, tranquillo, coinvolgente». Gli fa eco la ballerina e pittrice Simona Atzori, che si esibisce davanti alle decine di migliaia di adolescenti: «Quando ballo, l’emozione per me è sempre grande e sempre diversa – racconta a Segno –. Oggi è stata speciale perché i ragazzi avevano un entusiasmo contagioso. Posso dire di avere ballato non solo “per” loro ma anche e soprattutto “con” loro. Cesare Prandelli, Non lo dimenticherò mai!». Simona Atzori, Luca Zingaretti e don Luigi Oltre che dalla partecipazione, gli ospiti di C’è di più restano colpiti dalle ragioni che Ciotti ospiti spingono tanti adolescenti a condividere dei “giovanissimi” un appuntamento come quello del 30 spiegano i “perché” ottobre. «È una giornata così particolare di un impegno che tutto lo spazio deve essere dato a più grande

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questi ragazzi. Mi colpisce molto l’impegno degli loro educatori e dei volontari: l’idea di dedicare del tempo per gli altri è davvero ammirevole» ci spiega ancora il ct Prandelli. Cosa c’è di più, secondo te, nei ragazzi che hanno riempito oggi piazza del Popolo? – chiediamo a Simona Atzori. «La voglia di vivere, l’allegria e il desiderio di condividere con gli altri quello che io chiamo il dono della vita» risponde. Fra i tanti artisti che si alternano sul palco di piazza del Popolo, qualcuno chi si sente “a casa” tra i ragazzi di Ac: Pi etr o Napol ano, cantante del duo Pquadro, è stato educatore Acr nella sua parrocchia a Napoli. Ai giovanissimi spiega l’importanza del valore del rispetto: «È fondamentale e dovete mantenerlo sempre, sia nei rapporti con gli altri sia nei confronti di voi stessi». Nel lungo pomeriggio di C’è di più, c‘è anche chi presta la propria voce ad alcuni testimoni del nostro tempo. È il caso dell’attore Luca Zingaretti. Il grande pubblico lo conosce soprattutto per il suo commissario Montalbano. In piazza del Popolo legge alcuni brani dagli scritti di don Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio di Palermo, assassinato dalla mafia nel 1993, e del magistrato Rosario Livatino, anche lui siciliano, assassinato, a soli 38 anni, per il suo impegno per la legalità. Sale sul palco e filma con la videocamera la piazza, per immortalare emozioni, entusiasmo e volti dei giovanissimi. «Sono onorato di essere stato scelto per leggere questi brani» ci spiega. «Padre Puglisi e il giudice Livatino, pur essendo due uomini dalla fede profondissima, erano grandi persone in ogni ambito della loro vita. Sono contento d’introdurre, attraverso le loro parole, un altro grande personaggio: don Ciotti». È proprio il fondatore di Libera a chiudere la kermesse di piazza del Popolo. Incontriamo don Luigi Ciotti prima del suo intervento. Sui gradini di una fontana, ci anticipa parte del messaggio che porterà ai giovanissimi. «Noi non dobbiamo fare l’errore di preoccuparci dei giovani ma dobbiamo occu-


sotto i riflettori «Partendo dal testamento spirituale di Paolo VI, dirò a questi ragazzi che devono studiare il mondo per svegliare le coscienze e amarlo, accorgendosi che è proprio questo mondo, con le sue contraddizioni, lo spazio dentro il quale realizzare la nostra vita»

In alto: l’allenatore della nazionale italiana di calcio Cesare Prandelli insieme allo staff dei giovanissimi (a destra l’assistente nazionale don Vito Piccinonna)

parcene di più. Dobbiamo essere testimoni: non dire loro di fare delle cose ma farle insieme. Dobbiamo aiutarli a saldare la terra con il cielo». Don Ciotti è un fiume in piena. Dalla foga delle sue parole traspare una grande passione e ci si rende conto che tutto ciò che dice, per lui si fa carne, vita. «I ragazzi hanno voglia di mettersi in gioco ma hanno

bisogno di riferimenti coerenti e credibili», prosegue. Mentre parliamo, alcuni giovanissimi riconoscono don Ciotti e lo salutano dalla terrazza del Pincio. «Tieni duro!» gridano. Lui risponde al saluto e a sua volta invita i ragazzi a fare scelte coraggiose. Poi, riprende il discorso con Segno. «Partendo dal testamento spirituale di Paolo VI, dirò a questi ragazzi – ma lo dico anche a me stesso – che devono studiare il mondo per svegliare le coscienze; servirlo, cioè impegnarsi; amarlo, accorgendosi che è proprio questo mondo, con le sue contraddizioni, lo spazio dentro il quale realizzare la nostra vita, le g nostre scelte, il nostro impegno». ■

Le risposte di Benedetto XVI

«VIVERE UN AMORE AUTENTICO» n dialogo, fitto, intenso, gioioso, ha caratterizzato l’incontro di ragazzi e giovanissimi con Benedetto XVI. Un undicenne dell’Acr di Nuoro, Francesco Poddo, una sedicenne di Carpi, Anna Bulgarelli, e un’educatrice dell’arcidiocesi di Gaeta, Milena Marrocco, hanno posto al Pontefice alcune domande a nome dei presenti su tre questioni centrali: «Cosa significa diventare grandi?», «Cosa significa amare fino in fondo?» e «Cosa vuol dire oggi essere educatori?». «Essere “grandi” vuol dire amare tanto Gesù, ascoltarlo e parlare con Lui nella preghiera, incontrarlo nei sacramenti, nella santa messa, nella confessione; vuole dire conoscerlo sempre di più e anche farlo conoscere agli altri, vuol dire stare con gli amici, anche i più poveri, gli ammalati, per crescere insieme», ha risposto Benedetto XVI. Ai più grandi, il Papa ha indicato che non possono e non devono adattarsi «a un amore ridotto a merce di scambio, da consumare senza rispetto per sé e per gli altri, incapace di castità e di purezza. Questa non è libertà». «Molto “amore” proposto dai media, in internet, non è amore, ma è egoismo, chiusura, vi dà l’illusione di un momento, ma non vi rende felici, non vi fa grandi, vi lega come una catena che soffoca i pensieri e i sentimenti più belli, gli slanci veri del cuore. Certo costa anche sacrificio vivere in modo vero l’amore ma sono sicuro che voi non avete paura della fatica di un amore impegnativo e autentico». Infine, rivolgendo il suo pensiero agli educatori, papa Ratzinger ha ricordato: «voi siete dei buoni educatori se sapete coinvolgere tutti per il bene dei più giovani. Non potete essere autosufficienti, ma dovete far sentire l’urgenza dell’educazione delle giovani generazioni a tutti i livelli. Senza la presenza della famiglia, ad esempio, rischiate di costruire sulla sabbia; senza una collaborazione con la scuola non si forma un’intelligenza profonda della fede; senza un coinvolgimento dei vari operatori del tempo libero e della comunicazione la vostra opera paziente rischia di non essere efficace, di non incidere sulla vita quotidiana».

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GUARDANDO AVANTI/ACR

Saper dare nuovi frutti di Paolo Reineri

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giorni passano e a poco a poco il ricordo delle emozioni, della festa, della gioia, dell’impegno vissuti in occasione dell’Incontro nazionale del 30 ottobre potrebbe anche correre il rischio di sbiadire. Ma sappiamo bene che se un evento è davvero importante non può che lasciare un segno profondo in chi lo ha vissuto. Ognuno saprà custodire quanto ha sperimentato a Roma solo se saprà dare nuovi frutti, trafficare quanto ricevuto, mettere in circolo idee, pensieri, progetti. Ora è il momento di guardare avanti con l’energia di un’esperienza davvero unica, ma che non può e non deve esaurirsi in una sola giornata: perché dire C’è di + oggi vuol dire aprire nuovi orizzonti, nuove sfide,

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nuovi traguardi per i ragazzi e non solo. Proviamo allora a capire che cosa ci è stato consegnato e che cosa può diventare nelle nostre mani e nei nostri cuori. Papa Benedetto XVI ci ha ricordato come Gesù ha svelato il segreto per accogliere il Regno di Dio: essere grandi come i piccoli. Ci ha messo di fronte agli occhi la necessità di permettere ai ragazzi di incontrare e stare con Gesù: «Voi sapete quanto Gesù voleva bene ai bambini e ai ragazzi! Un giorno tanti bambini come voi si avvicinarono a Gesù, perché si era stabilita una bella intesa, e nel suo sguardo coglievano il riflesso dell’amore di Dio; ma c’erano anche degli adulti che invece si sentivano distur-


sotto i riflettori Spetta ora alle nostre associazioni diocesane accompagnarli e aiutarli affinché questo servizio educativo sia luce che illumina il cammino dei ragazzi e che risplende non per farsi notare, ma per consumarsi a favore del mondo

A lato: l’Acr in festa a piazza di Siena

bati da quei bambini. Capita anche a voi che qualche volta, mentre giocate, vi divertite con gli amici, i grandi vi dicono di non disturbare... Ebbene, Gesù rimprovera proprio quegli adulti e dice loro: Lasciate qui tutti questi ragazzi, perché hanno nel cuore il segreto del Regno di Dio. Così Gesù ha insegnato agli adulti che anche voi siete “grandi” e che gli adulti devono custodire questa grandezza, che è quella di avere un cuore che vuole bene a Gesù». Questo ci deve spingere, con ancora maggior forza e convinzione, a impegnarci affinché ci sia spazio nelle nostre comunità per i più piccoli. Non solo uno spazio fisico, ma uno spazio nel cuore della comunità. Tocca a noi fare in modo che l’Acr sia un’esperienza di vita buona secondo il Vangelo. Saranno poi i ragazzi a essere l’Acr, a sperimentare la bellezza dell’essere parte viva e vera della Chiesa, a rispon-

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dere non da soli all’amore di Dio. Il 30 ottobre però, i ragazzi hanno già fatto tanto per il futuro dell’Azione cattolica, perché hanno permesso a molti giovani e adulti di essere protagonisti della festa con loro. Gli educatori, i genitori e gli assistenti presenti in piazza San Pietro e a Villa Borghese erano lì solo per stare al fianco dei più piccoli e proprio in questa giornata hanno ricevuto nuovamente l’incarico dalla Chiesa di non essere «padroni dei ragazzi, ma servitori della loro gioia a nome di Gesù, guide verso di Lui». Spetta ora alle nostre associazioni diocesane accompagnarli e aiutarli affinché questo servizio educativo sia luce che illumina il cammino dei ragazzi e che risplende non per farsi notare, ma per consumarsi a favore del mondo. Il futuro ci chiama a sostenere la sfida educativa e a farlo con coraggio, proprio come ci ha chiesto Benedetto XVI: «abbiate l’audacia di non lasciare nessun ambiente privo di Gesù, della sua tenerezza che fate sperimentare a tutti, anche ai più bisognosi e abbandonati, con la g vostra missione di educatori». ■

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sotto i riflettori

GUARDANDO AVANTI/GIOVANISSIMI

Il volto bello della Chiesa e del paese di Maurizio Semiglia

oi siete il volto bello della Chiesa e del paese! Con queste parole, risuonate più volte nel corso della giornata, sono stati salutati i 100 mila presenti in piazza San Pietro e gli oltre 50 mila, giovanissimi ed educatori, che hanno gremito piazza del Popolo il pomeriggio del 30 ottobre. Ed è stato davvero così! Negli sguardi, nei sorrisi e nei volti dei partecipanti si univano l’emozione dell’incontro, il desiderio di vivere da protagonisti, la gioia del sentirsi parte della vita associativa, le speranze per la Chiesa e per le nostre città. I giovanissimi di piazza del Popolo sono adole-

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scenti come tanti, che amano la vita, che non si accontentano di ciò che è scontato, che si interrogano – e ci interrogano – sul senso profondo dell’esistenza e della fede, che vogliono provare a guardare oltre ciò che è ordinario e superficiale per vedere davvero quel “di più” che ha fatto da sfondo al nostro incontro; sono giovanissimi, per citare mons. Sigalini, che «non vogliono mediocrità, ma sogni e voli alti». È stato un pomeriggio intenso, quello del 30 ottobre: un pomeriggio fatto di musica e di testimonianze, di incontri e di messaggi forti: oggi, di quel pomeriggio,


sotto i riflettori restano le immagini dell’entusiasmo con cui abbiamo salutato Cesare Prandelli e cantato l’inno nazionale, il silenzio che ha accompagnato l’esibizione di Simona Atzori, il ricordo maturato dalle parole di Luca Zingaretti, il consenso che è seguito al messaggio di don Ciotti; ma anche il coinvolgimento nelle esibizioni di Vecchioni, dei Suoni fuori le mura e di Pietro Napolano e nei momenti di animazione e di festa. Insieme ai ricordi, però, nella mente e nei cuori di chi ha partecipato all’incontro nazionale rimane, senza dubbio, la passione dei giovanissimi e il loro desiderio di essere protagonisti nella società, in Ac e nella Chiesa. I giovanissimi di piazza del Popolo, possiamo dirlo, vogliono davvero cogliere l’invito di Gesù ad essere sale della terra e luce del mondo, consapevoli delle difficoltà che questo comporta, ma anche di non essere soli e di camminare insieme a

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tanti compagni di viaggio con cui condividere le tappe dell’adolescenza. I giovanissimi di piazza del Popolo vogliono imparare l’arte del vero amore (dalle parole di Benedetto XVI) anche quando ciò significa superare i modelli di amore ridotto a consumo che internet e alcuni media talvolta ci propongono. Ma soprattutto, i giovanissimi di piazza del Popolo sono adolescenti che non si accontentano, ma esigono risposte dal paese e dalla Chiesa e chiedono a noi, giovani e adulti, di non sopprimere le loro speranze, ma di aiutarli a crescere alimentando il loro desiderio di futuro. Di qui, allora, comprendiamo l’impegno che il 30 ottobre lascia all’associazione dei prossimi anni: un’associazione che sa prendere per mano ragazzi e giovanissimi, comprendendone le potenzialità e i limiti, fatta anche di educatori che sappiano cogliere in pieno l’invito del Papa a essere servitori della loro gioia. Dobbiamo senza dubbio, se ancora ce ne fosse bisogno, riacquisire la consapevolezza che gli adolescenti non sono un “problema” che la società deve arginare, ma una risorsa che dobbiamo valorizzare e aiutare a crescere. Questo ci lascia il pomeriggio a piazza del Popolo: l’immagine di giovanissimi, del nord come del sud, con alle spalle storie diverse, gioie e sofferenze comuni, che non si arrendono alla disillusione e che chiedono di trovare il loro spazio nella società. Non tarpiamo le ali ai sogni dei giovanissimi, ma aiutiamoli a colorare la propria vita con attese e desideri di bene; non riduciamo le loro speranze all’individualismo; aiutiamoli a conoscere e ad amare innanzi tutto sé stessi affinché la vita di ciascuno diventi un dono per gli altri e per la società; proviamo a mostrare loro un orizzonte più ampio, che si apra al quartiere, alle città e al mondo intero e accompagniamoli nella presa di coscienza che il contributo di ciascuno diviene indispensabile al bene comune; sosteniamoli nei momenti difficili e favoriamo l’incontro personale di ognuno di loro con il Signore risorto. A Lui i giovanissimi di piazza del Popolo hanno gridato il loro sì quando mons. Sigalini li ha raccolti per la benedizione. Il suono potente di quel sì è l’espressione più bella dell’impegno di ciascuno a seguire Gesù sulla strada, a lasciarsi toccare il cuore da Lui, per dare finalmente un nome e un g volto al “di più” della nostra vita. ■

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tempi moderni

Il video senza realtà di Marco Deriu

uò una piattaforma elettronica di gioco essere pericolosa per l’incolumità fisica di chi la usa? Pare proprio di sì, almeno stando ad alcune notizie recentemente riportate dai media. Secondo i quali, addirittura, nel linguaggio medico andrebbero codificate nuove patologie, legate proprio ai possibili danni provocati dalla piat-

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taforma wii-fit. È fenomeno ben noto, soprattutto alla Nintendo e alle altre mega-aziende produttrici, la crescente diffusione delle piattaforme di giochi virtuali. A quanto pare, oltre ai già diffusi dubbi sul rapporto fra videogames e capacità intellettuali, si vanno facendo largo altre questioni legate ai danni materiali che questi giochi possono provocare. Il New England Journal of mediWii-fit, un nome che cine ha recentemente segnalato nasconde una delle ultime che una quattordicenne ha novità relative ai riportato una frattura del quinto videogiochi. Pericoloso, osso metatarsale giocando sulla se si pensa che molti sua “balance board” della wii. bambini passano 5 ore al giorno davanti allo schermo Del 2008 è la notizia di un trauma toracico dovuto a una caducol telecomando in mano

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ta per un giovane che stava giocando sulla piattaforma wii, mentre nel 2007 era stata riscontrata una “wiite” – in termini tradizionali si può esprimere come “il gomito del tennista” – a un giovane paziente che aveva giocato a tennis virtuale per ore, fino a procurarsi una tendinite effettiva. Se i danni fisici e materiali costituiscono ancora eventi accidentali, non altrettanto si può dire riguardo al rapporto che si instaura fra un gioco elettronico e i suoi utenti dal punto di vista cognitivo. Per molti bambini e ragazzi, il tennis giocato davanti a un video con in mano un telecomando è molto più vero e appassionante di quello che si pratica in un campo apposito con tanto di pallina e racchetta vere, dovendo correre sul serio da una parte all’altra dell’area di gioco per restituire all’avversario di turno il colpo, sperando di fare punto. Il richiamo di questi giochi risiede soprattutto nella fascinazione che le immagini tridimensionali e l’impianto grafico spettacolare sanno regalare agli occhi degli utenti. Certamente anche l’idea di poter scendere in campo senza dover uscire effettivamente di casa ma stando semplicemente in piedi nel proprio soggiorno gioca la sua parte. La pubblicità, inevitabilmente, fa la sua: secondo i produttori, il telecomando wii si può utilizzare «per riprodurre una sensazione di movimento naturale, intuitiva e realistica». Nel tennis, esso sarà afferrato «come una racchetta vera» e i colpi classici (diritto, rovescio, volée, lob, top spin...) saranno riprodotti attraverso il movimento del controller. Nel baseball, il telecomando diventerà una mazza per «colpire la


tempi moderni Correre e faticare all’aria aperta, interagendo anche fisicamente con altri coetanei in carne e ossa, è per bambini e ragazzi un’esperienza insostituibile. Meglio, quindi, far provare loro la pratica degli sport veri invece che regalare una consolle elettronica e riempire la casa di tutti i giochi virtuali possibili e immaginabili

palla lanciandola fuori campo». E così di seguito per il golf, il bowling e persino per il pugilato. Rispetto all’attività concreta, non è la stessa cosa. Correre e faticare all’aria aperta, interagendo anche fisicamente con altri coetanei in carne e ossa, è per bambini e ragazzi un’esperienza insostituibile. Meglio, quindi, far provare loro la pratica degli sport veri invece che regalare una consolle elettronica e riempire la casa di tutti i giochi virtuali possibili e immaginabili, surrogando in questo modo la loro energia e la loro fantasia con un telecomando di fronte a un televisore. Oltre alla

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deriva fisica si rischia anche quella emotiva. Una delle più recenti trovate della Nintendo si chiama È il mio compleanno e propone un video-kit completo per festeggiare i propri figli in stile hi-tech, con tanto di biglietti di invito, addobbi, carta colorata e festoni compresi nella confezione del gioco. Oltre a questo, è disponibile una serie di «giochi virtuali all’aria aperta, che diventano realtà nel proprio salotto di casa, semplicemente con il telecomando wii tra le mani». Che dire, in conclusione? Poveri i bambini che si crederanno campioni di sport perché passano 5 ore al giorno davanti allo schermo col telecomando in mano. Ma poveri anche quelli che sono costretti a festeggiare attraverso quello stesso schermo un giorno unico come quello in cui comg piono gli anni... [SIR] ■

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tempi moderni

Sotto il segno di Elio di Gianni Di Santo

ra che la finalissima di XFactor è stata consegnata alla storia con la lotta all’ultimo sangue tra Nevruz, Nathalie e Davide e nell’attesa di prepararci all’ennesima melassa musicale ultrapopolare di Sanremo affidata quest’anno al duo Gianni Morandi-Gianmarco Mazzi – e quindi, a parte le finte polemiche su Bella Ciao e Giovinezza, si spera qualcosa di gradevole rispetto ad altre edizioni – il nostro sguardo veloce si incrina verso gli orizzonti della vera musica. Come la musica indipendente, che riscopre tradizioni e cultura della nostra terra, e che non va in prima serata tv. Almeno, appunto, che non si chiami Elio (e le storie tese). Il momento della discografia italiana è abbastanza triste, salvo le innegabili eccezioni di artisti che fanno ancora belle canzoni e successo popolare. I grandi cantauXFactor, Sanremo, tori di una volta sono costretti a programmi tv dove i bambini cantano: la musica organizzare insieme i concerti per la fa da padrone. Ma è tutto attrarre più pubblico, vedi Dalla e De Gregori, e si sente la mancanoro ciò che luccica o è il segno di una profonda crisi za di maestri come un Fabrizio De André e un Rino Gaetano. E certo culturale che attraversa non pare possibile, nemmeno a l’arte in generale?

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un pubblico meno smaliziato, che la fruizione della musica in Italia appaia, ancora oggi, solo appannaggio di radio private (che, di solito, sono molte attente alle lusinghe dei discografici) e di programmi tv in cui la funzione “copia-incolla” prende il sopravvento su tutto. Ormai la musica-karaoke sembra essere diventata l’acchiappa-audience per eccellenza: bambini dalle doti canore stile-Claudio Villa vengono usati in tv con programmi di intrattenimento che fanno la felicità (o l’arrabbiatura, dipende dei casi) dei genitori presenti in loco con tifo da stadio o da un pubblico di mezza età che, placidamente, in casa propria, fa zapping col telecomando credendo davvero di ascoltare buona musica. Ti lascio una canzone di Antonella Clerici (Rai) e Io canto di Gerry Scotti (Mediaset) sono l’emblema di un’idea che fa della musica l’arma migliore per l’intrattenimento domestico. Senza troppi pensieri. Diciamolo chiaramente. È l’anno zero della musica italiana. Però una domanda ce la poniamo: perché XFactor, il talent show di Raidue dove si fa musica di un certo livello, ha successo? Perché hanno successo personaggi eccentrici come Morgan ed Elio? E perché Anna Tatangelo, simbolo della musica popolare per eccellenza, non si trova più a suo agio in un contenitore come XFactor dove la musica è davvero musica e non intrattenimento? Succede, a volte, che la musica faccia miracoli. Che l’arte insegua, per vie invisibili ai più, i respiri dell’anima e dell’impegno civile. Un corto circuito che passa per le cantine, i locali underground della periferia di cemento e di asfalto e i pub raffinati delle città “bene”, un passaparola continuo misurato da cd pirata, registrazioni live, mp3, dove il rock riscopre tutto il suo senso originario. La musica come contaminazione, come rottura di schemi prefabbricati, la musica che avvicina le persone. Ricchi e poveri, immigrati e italiani. La storia artistica di Elio e le storie tese insegna. Il gruppo ha una storia travagliata, le polemiche sono il loro pane quotidiano, ma alla fine hanno avuto un successo straordinario di pubblico. Non solo per l’ir-


tempi moderni A sinistra: il cantante Elio e la discografica Mara Maionchi. Sopra, i tre finalisti di XFactor con il conduttore Francesco Facchinetti

riverenza, ma perché sono senza dubbio una delle migliori band in circolazione in Italia. Il tasso tecnico è elevatissimo, e questo il pubblico lo sa. Nel 1996, nella ormai famosissima esibizione di Sanremo con il brano La terra dei cachi, oltre a presentarsi sul palco del teatro con abbigliamenti a dir poco esilaranti, riescono a contenere in 55 secondi il loro brano durante il remake del ritornello, mentre tutti gli altri cantanti ne fanno ascoltare solo un passo. Piacciono ai cattolici e a quelli di sinistra. Born to be Abramo è un classico del repertorio degli Elii (nella canzone riecheggia il passato da oratorio di alcuni della band, e l’omaggio a Resta con noi, Signore, la sera ed Esci dalla tua terra è evidente), mente nei primissimi anni Novanta, durante un’esibizione al concerto del primo maggio in diretta sulla Rai, vengono letteralmente portati via di peso dal palco perché il testo della canzone non era concordato (e si può immaginare chi sbeffeggiassero...), mentre un affannato Vincenzo Mollica reclutava Richy Gianco per un’improbabile intervista ed Elio che gridava, mentre lo portavano via, «Come Jim Morrison». Insomma, Elio e la buona musica hanno il pubblico che si meritano. Come è successo a Nevruz, altro estraneo della musica italiana che se non avesse incontrato un altro “pazzo” come Elio sarebbe stato uno dei tanti dimenticati. E allora, siamo messi dav-

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vero così male? Finché i cd continueranno a costare quello che costano la gente, soprattutto i giovani, continuerà ad ascoltare solo gli mp3. Musica rapida, gratuita, ma di poca qualità. E di qualità invece ha bisogno la musica italiana, dal rock al pop, fino alla musica etnico-tradizionale. Non viene fatto notare abbastanza: i musicisti italiani, soprattutto quelli di area jazzistica, gli arrangiatori italiani e anche i grandi direttori di orchestra, sono tra i migliori al mondo. Peccato che spesso trovino le loro giuste soddisfazioni professionali lontano dall’Italia. Forse, in un futuro non tanto lontano, Sanremo potrà essere davvero la vetrina di un movimento musicale che abbia nel rock, nel jazz e nella musica d’autore la sua matrice migliore. Perché delle polemiche costruite ad arte per conquistare un po’ di pubblico non ne possiamo davvero più. Perché un giorno Nevruz, Nathalie e Davide, sì anche loro, conquisteranno Sanremo insieme alla orchestre popolari del nostro paese, quelle dove fisarmoniche, tamburi, mandolini, chitarre e belle voci non sono solo intrattenimento ma storia di una paese, amore per una terra. Perché, in fondo, Sanremo è anche e soprattutto la nostra cultura posta su un pentagramma. Sì, piccoli Elii cresceranno. Intanto basta esercitarsi. Provare ad ascoltare uno come Nevruz e accorgersi g di non stare su Marte. ■

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cittadini e palazzo

Per la buona politica

Consiglieri comunali, sindaci, assessori provinciali, eletti nelle regioni: piÚ di 200 amministratori locali, soci di Ac, hanno risposto all’invito proveniente dall’associazione per un convegno sul tema Chiamati a servire il bene di tutti


cittadini e palazzo anta voglia di parlare, ma anche un gran desiderio di stare ad ascoltarsi. Oltre duecento laici di Azione cattolica, politicamente impegnati nelle amministrazioni locali e regionali, si sono ritrovati a Roma il 13 novembre, per un’intera giornata di riflessione e confronto sul tema Chiamati a servire il bene di tutti. Convocati dall’associazione per uno scambio di opinioni – rivelatosi intenso – sulle difficoltà e le speranze legate al servizio per costruire la polis, si sono prima misurati con una relazione introduttiva del presidente nazionale Ac, Franco Miano, mentre alla fine della giornata è giunta una lectio di mons. Giancarlo Bregantini (Una spiritualità al servizio della città), arcivescovo di Campobasso e presidente della commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro. L’introduzione di Franco Miano ha preso le mosse dal radicamento dell’associazione in tutta Italia: «L’Ac ama la propria terra e ama la Chiesa locale», ha affermato il presidente. Il quale ha poi sottolineato alcune convinzioni e impegni di fondo che caratterizzano l’Azione cattolica: la formazione alla fede di un laicato che «sappia spendersi per il bene comune» a partire dalle realtà di tutti i giorni – famiglia, lavoro, scuola, cultura, politica… –, nelle quali declinare il messaggio evangelico e gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa; il valo-

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re di una spiritualità, «capace di sostenere anche chi assume un ruolo di servizio pubblico»; l’opportunità di «offrire luoghi e momenti di confronto per le donne e gli uomini che si mettono a disposizione» per la costruzione della “città dell’uomo”; la necessità di «rilanciare la partecipazione popolare alla vita democratica». Miano non ha nemmeno trascurato i «limiti della politica», rimarcando semmai principi e fini che la trascendono. Il presidente ha quindi ribadito che «è necessario rispondere agli appelli del Papa e del cardinale Bagnasco per un rinnovato slancio» dei cattolici a servizio dell’Italia intera. La giornata è stata però caratterizzata soprattutto dall’ampio dibattito cui hanno dato vita gli intervenuti, con oltre quaranta testimonianze. La prima, reiterata sottolineatura giunta dai partecipanti, provenienti da tutte le regioni e appartenenti ai diversi schieramenti politici, ha riguardato l’importanza di «non essere lasciati soli quando si intraprende l’impegno politico». Dai più giovani consiglieri circoscrizionali e comunali fino ai sindaci, ai presidenti di provincia o ai consiglieri e assessori regionali, è giunto un richiamo alla comunità cristiana, perché Mons. Bregantini

SPERANZA E CORAGGIO PER COSTRUIRE IL FUTURO ell’ambito dei lavori pomeridiani del 13 novembre, particolarmente significative sono state le parole rivolte agli amministratori locali dal presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, mons. Giancarlo Maria Bregantini. Parole vive, coraggiose, di denuncia ma anche e soprattutto di speranza. Rievocando San Paolo – «avete scambiato la verità con la menzogna, la creatura con il Creatore» –, l’arcivescovo di Campobasso-Boiano ha indicato con straordinaria lucidità alcuni dei principali problemi che dilagano nel tempo presente, offrendone un’analisi costruttiva. Da quelli che minacciano la salute dell’ambiente e il governo delle città, come le ecomafie e le infiltrazioni del crimine organizzato nelle amministrazioni locali, alle tante contraddizioni che riguardano il sistema educativo nel suo complesso. Per fronteggiare i mali del nostro tempo la proposta di metodo invocata da mons. Bregantini è stata quella del discernimento comunitario, quella di una «speranza che nasce dentro ai problemi». Ripartendo dai territori, dalle comunità, dalle Chiese locali. Recuperando il senso alto della partecipazione e della cittadinanza attiva, con la convinzione che l’elaborazione seria dell’oggi sia destinata a produrre frutti concreti per il domani. Bregantini si è poi soffermato sull’annuncio di una speranza viva, che non è attesa fatalistica, ma impegno quotidiano, concreto, vivo. Come quello di intere comunità che partecipano pacificamente per tutelare i propri territori; come quello di tanti amministratori onesti, che non si lasciano sedurre dalle lusinghe della criminalità e continuano a camminare a testa alta anche in contesti difficili. La testimonianza del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, ricordata con rispettosa commozione dall’intera assemblea, insieme a quella di tanti altri servitori dello Stato e del Vangelo, hanno indicato la prospettiva da seguire. La luce verso la quale camminare. Si è trattato di un invito rivolto a tutti: quello di continuare a coltivare con passione l’impegno civile e politico, a servire l’uomo e il bene comune, valorizzando nel tempo presente l’unicità di una “proposta” che ha ancora molto da dirci. Il volto di quella speranza si chiama partecipazione responsabile, nelle città, nella Chiesa, nella vita sociale. È la vita che non si rassegna. Contra spem in spem credit è il messaggio che ha voluto in conclusione consegnare Bregantini rievocando Abramo, come segno di una speranza che costruisce impegno oltre ogni crisi. Umberto Ronga

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cittadini e palazzo Gli amministratori hanno dato voce ad alcune criticità che riscontrano nel loro impegno nelle sedi istituzionali. Alcuni hanno segnalato, ad esempio, le «forti contrapposizioni e persino i conflitti che si registrano tra i vari schieramenti e partiti, anche nelle amministrazioni locali»

Nelle foto: gli amministratori locali soci di Ac si confrontano (Roma, 13 novembre)

«sappia trovare – è stato detto alla Domus Mariae, sede del convegno – momenti di formazione e accompagnamento spirituale, costruisca occasioni e luoghi di confronto, non rinunci alla formazione alla cittadinanza e alle responsabilità civili» dei credenti. Un impegno, questo, che «fa parte del Dna e della storia della nostra associazione», ha specificato lo stesso Miano. Il quale ha aggiunto: «L’Azione cattolica vorrebbe formare laici che sappiano spendersi, oltre che nella comunità cristiana, per il bene comune, per valori imprescindibili quali la vita, la famiglia, la solidarietà, la libertà», così da «tradurli nella realtà di ogni giorno. Perché è proprio nell’esistenza quotidiana che possiamo dar corpo ai principi» modellati

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nel vangelo e «declinati nella dottrina sociale della Chiesa». Gli amministratori hanno dato voce ad alcune criticità che riscontrano nel loro impegno nelle sedi istituzionali. Alcuni hanno segnalato, ad esempio, le «forti contrapposizioni e persino i conflitti che si registrano tra i vari schieramenti e partiti, anche nelle amministrazioni locali». Altri si sono soffermati sulla mole di problemi e competenze che ruotano attorno a comuni, province e regioni, «cui dobbiamo rispondere con risorse sempre limitatissime e compiendo scelte che andranno a favore di alcuni cittadini e a svantaggio di altri». Altri interventi hanno posto l’accento sulla carenza di pensiero politico nel paese, oppure sull’assenza di una opinione pubblica sensibile rispetto ai nodi della convivenza civile. «Per me l’attività in parrocchia e nel volontariato sono stati un passo essenziale per poi prendere la strada del consiglio comunale», ha testimonia-

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cittadini e palazzo Tanti presenti hanno rimarcato l’opportunità dell’iniziativa: «Grazie all’Ac perché si pone in ascolto di chi fa politica a livello locale», ha affermato un assessore del Nord. «Il nostro servizio nasce come conseguenza diretta della formazione cristiana» e «dell’impegno nel volontariato e nell’associazione», ha notato un consigliere municipale di Roma

Due politici formatisi nelle file dall’Ac: Beatrice Draghetti, presidente della provincia di Bologna e Fabio Pizzul, consigliere regionale in Lombardia

to un giovane neoeletto. Un ulteriore elemento emerso dalla giornata promossa dall’Ac è la passione con la quale tanti amministratori dedicano il proprio tempo alla vita pubblica, talvolta rinunciando alla carriera professionale. «A me capita – ha spiegato un intervenuto – di tornare a casa e di discutere con mia moglie, perché il tempo sottratto alla famiglia», volendo svolgere seriamente il proprio incarico politico, «è davvero tanto». Tanti presenti hanno rimarcato l’opportunità dell’iniziativa: «Grazie all’Ac perché si pone in ascolto di chi fa politica a livello locale», ha affermato un assessore del Nord. «Il nostro servizio nasce come conseguenza diretta della formazione cristiana» e «dell’impegno nel volontariato e nell’associazione», ha notato un consigliere municipale di Roma. «La Chiesa e l’Ac mi hanno insegnato a spendere la vita per un futuro di giustizia e di solidarietà», ha detto un amministratore del Sud, «anche quando gli ostacoli e i timori tenderebbero a farti fare un passo g indietro». ■

Una proposta

SCUOLE DI CITTADINANZA PER “EDUCATORI CIVICI” l dibattito che si è sviluppato nell’incontro dell’Azione cattolica «ha dimostrato che esiste una generazione straordinaria di nuovi politici cattolici che si è spesa e si sta spendendo per il bene comune»: Matteo Casadio, dell’Azione cattolica di Ravenna-Cervia, è assessore del comune di Ravenna. L’appuntamento del 13 novembre lo ha lasciato più che soddisfatto. Segno lo interpella per un parere post-convegno: «Sono entrato in politica negli anni a cavallo della caduta del Muro, sapendo che la mia responsabilità sarebbe stata quella di aggredire il cambiamento, perché il mondo, dal giorno dopo la fine delle ideologie, sarebbe cambiato con una velocità tale che tirando solo il freno, a quella velocità, il rischio sarebbe stato quello di perdere il controllo. Questa è la responsabilità che ha condiviso tutta la mia generazione». Una generazione, prosegue, «degli attuali quarantenni e cinquantenni, che aspirava a diventare “generazione ideale”: “ideale” perché ha conosciuto e vissuto la stagione della contrapposizione, maturando la consapevolezza dei limiti di quella stagione; “ideale” perché non ha bisogno di “nemici” per legittimare la propria visione del mondo; “ideale” perché ha vissuto e vive la globalizzazione come opportunità, la laicità come valore». «L’Azione cattolica – prosegue – ha riunito gli amministratori suoi iscritti proprio perché, credo, questo è il momento giusto per prendere coscienza del grande lavoro che dobbiamo ricominciare a fare e perché una generazione fino a ieri “fantasma”, oggi diventi “ideale” per il riscatto dell’Italia». Casadio suggerisce dunque un’idea: «Una proposta che lancio all’Azione cattolica è quella di un grande progetto nazionale per l’educazione alla cittadinanza nelle parrocchie. A livello nazionale o regionale l’associazione progetti e organizzi un percorso formativo per “educatori civici”, le diocesi si impegnino a individuare volontari disponibili a questo servizio per poi mettere in piedi le prime esperienze diocesane, parrocchiali o inter-parrocchiali delle “Scuole di cittadinanza”».

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L’Università al bivio Dedicato ai tentativi di riforma del sistema universitario, il Dossier 2/2010 dell’Osservatorio delle riforme attivato dall’Istituto “Vittorio Bachelet” intende fornire come sempre una raccolta dei materiali più rilevanti sul tema

di Eugenio Vite

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temi e gli attriti riguardanti l’università e le proposte di riforma hanno attraversato negli ultimi mesi il dibattito pubblico e politico e, per molti, la propria vita privata e professionale. Il tema risulta dunque carico di interesse, non solo per la sua attualità ma per l’importanza che le scelte nel campo della formazione e della ricerca hanno sul futuro di un intero sistema sociale: attraverso le scelte nel campo dell’istruzione si può (ri)dare slancio e speranza, oppure aggiungere l’ennesima ipoteca sulle spalle delle giovani generazioni. Non a

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caso, si vedono paesi come gli Stati Uniti d’America seguire, o almeno annunciare, la “via alta” dell’investimento in ricerca scientifica, e paesi come l’Italia stabilirsi nella “via bassa” dei tagli di risorse. Anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sottolinea questa dinamica: in un suo discorso all’Università di Perugia, si sofferma sul dato che ricerca e formazione siano sempre più le grandi leve dello sviluppo e questo «è verità difficilmente contestabile e apparentemente non contestata anche nel nostro paese, ma da cui si tarda e si resiste a trarre tutte le


cittadini e palazzo necessarie conseguenze e implicazioni». Proprio in un periodo di grave crisi economica il presidente degli Usa, Obama, considera la ricerca «più essenziale che mai alla nostra prosperità, sicurezza, salute, ambiente, qualità della vita». Ma, come ha ricordato la Fuci in un puntale intervento nel dibattito, “riformare l’Università” in Italia “non è solo questione di soldi”: l’attuale riforma va infatti inserita in un più grande quadro in cui – tra le altre cose – vanno considerate le inefficienze prodotte dal modello di governance dell’università fin qui attuato e, soprattutto, gli effetti negativi che hanno prodotto (e continuano a produrre) alcune logiche interne non troppo fedeli al (solo) riconoscimento del merito. Dal punto di vista delle novità legislative, si nota il frequente ricorso da parte del governo alla decretazione d’urgenza anche per disciplinare profili generali e “ordinari” del sistema universitario. Questa scelta di metodo di certo non aiuta la costruzione di un dibattito partecipato. Se invece guardiamo alle proposte in itinere, l’attuale dibattito si concentra sul cosiddetto “Ddl Gelmini”. Il disegno di legge sull’università del ministro Gelmini è composto da 15 articoli, il cui contenuto, riassunto nel Dossier, spazia dalle modifiche al sistema di governance dell’Università, fino a nuovi meccanismi per il reclutamento, dai premi agli atenei più efficienti alle norme sui ricercatori a tempo determinato. Rispetto a quest’ultimo punto, dal dibattito scientifico emerge un interrogativo interessante sulle caratteristiche (economico-sociali) che dovrebbero avere le donne e gli uomini che decideranno di seguire la strada della ricerca scientifica: la lunghezza del percorso potrebbe, secondo alcune letture, avere effetti di tipo “classista”, per cui solo chi ha a disposizione molte risorse economiche potrà permettersi tempi tanto lunghi e percorsi tanto rischio-

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Il disegno di legge sull’università del ministro Gelmini è composto da 15 articoli, il cui contenuto, riassunto nel Dossier, spazia dalle modifiche al sistema di governance dell’Università, fino a nuovi meccanismi per il reclutamento, dai premi agli atenei più efficienti alle norme sui ricercatori a tempo determinato

si. Il primato del merito sarebbe così sacrificato ancora una volta. Altri punti emersi dall’analisi del dibattito scientifico riguardano il rapporto tra logiche del mercato ed università, sul diritto allo studio e sui sistemi si reclutamento proposti. Sono state considerate poi le riflessioni sulla costituzionalità delle norme presenti nel disegno di legge, e in generale i rischi e le criticità presenti nella “riforma Gelmini”. Alla fine della lettura, risuoneranno di certo le parole del Documento preparatorio per la 46ª Settimana sociale dei cattolici italiani, svoltasi a metà ottobre: «La grande qualità che punteggia la ricerca italiana, e parimenti la didattica, dipende più dalla dedizione di singoli che dalla buona architettura del sistema. Si deve riconoscere che oggi, in Italia, si produce qualità universitaria nonostante l’assetto istituzionale e finanziario piuttosto che grazie a essi». Produrre qualità “nonostante” l’assetto istituzionale e finanziario, spiega bene la condizione di un paese che non sempre fa scelte orientate al bene comune: si constata come il sistema universitario è, in questo senso, “figlio del suo tempo” (sia negli attuali funzionamenti, sia in molte prospettive di riforma). Certamente, come ricorda ancora il Documento preparatorio, non possiamo sottacere che l’innalzamento delle competenze delle nuove generazioni sia fondamentale veicolo di opportunità individuali e di chance di sviluppo economico intelligente. In tal senso davvero il sistema universitario italiano si g trova a un bivio. ■

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famiglia oggi

Un nuovo welfare dottare il “fattore famiglia” e dare attuazione al “Piano nazionale per la famiglia”. Questi gli impegni emersi dalla Conferenza nazionale della famiglia svoltasi dall’8 al 10 novembre a Milano. Al termine dell’assise, Pierpaolo Donati, sociologo e direttore del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, traccia un bilancio e delineare le prospettive aperte dall’incontro.

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Qu a l è la s ua i m pr e s s io n e s u l la C o n f e re n z a ? Il bilancio è decisamente positivo: il clima è stato costruttivo, si è percepita la volontà di risolvere assieme i problemi e anche chi ha dimostrato posizioni differenti non l’ha fatto con toni polemici, ma in un’ottica positiva, per mettere a fuoco e risolvere i problemi reali del paese.

Primo bilancio sulla Conferenza nazionale della famiglia svoltasi dall’8 al 10 novembre. Parla il sociologo Pierpaolo Donati

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Questa è stata la seconda Conferenza sulla famiglia. Cosa è cambiato da Firenze 2007 a oggi? Qui è emersa la grande ricchezza della società civile per realizzare delle politiche familiari, soprattutto a livello locale. A Firenze, invece, l’attenzione era centrata sullo Stato e le sue organizzazioni: si ragionava su quanta spesa potesse essere devoluta alle famiglie. Ancora oggi sullo sfondo c’è certamente lo Stato sociale, in particolare nella sua nuova espressione federalista, ma la novità è rappresentata dall’estrema ricchezza di esperienze in atto nei territori, spesso poco conosciute. La Conferenza ha espresso una nuova cultura, che chiede di affrontare i problemi concreti con un diverso assetto del welfare, che io chiamo sussidiario, plurale, societario.

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famiglia oggi Nei giorni della Conferenza sono però emerse anche delle criticità: dai tagli ai fondi per le adozioni internazionali lamentati dall’Aibi alla riduzione del numero di consultori familiari, fino alla denuncia dell’economista Luigi Campiglio, secondo il quale in 15 anni i fondi a disposizione della famiglia (come gli assegn i f a m i l ia ri e i c o n t r i b u t i p e r l a m a t e r n i t à ) s o no diminuiti di oltre 11 miliardi di euro... Certamente c’è un problema di spesa, e io stesso ho lamentato gravissimi tagli per quanto riguarda le politiche familiari – il fondo per la famiglia è stato ridotto a meno della metà nella prospettiva della legge di stabilità –, mentre negli ultimi anni c’è stato un deprezzamento degli aiuti finanziari ed economici alle famiglie. Questo dato è assodato, e dimostra che in un momento di crisi economica lo Stato sociale non ce la fa. Ma il problema non è chiedere più soldi allo Stato, come fosse una mucca da mungere all’infinito. In presenza di scarsità di risorse, piuttosto, tutti gli attori della società civile devono contribuire: le imprese con un welfare familiare aziendale, le fondazioni bancarie dando priorità alle politiche familiari sul territorio, le associazioni di categoria creando le condizioni per servizi family friendly, i comuni adottando formule favorevoli alle famiglie numerose senza costi aggiuntivi... I cambiamenti possibili, così, sono notevoli A ll a C o nf e r e nz a s i è p a rl a t o d i f a t t o re f a m i gl i a a l posto del quoziente familiare. Qual è la differenza, e come fare in modo che non resti solo uno slogan? Dieci scelte urgenti

LE PROPOSTE DEL FORUM DELLE ASSOCIAZIONI ato nel 1992 con l’obiettivo di portare all’attenzione del dibattito culturale e politico italiano la famiglia come soggetto sociale, il Forum delle associazioni familiari aveva redatto un documento programmatico da presentare alla Conferenza di Milano. Le dieci proposte avanzate sono disponibili sul sito www.forumfamiglie.org. I temi affrontati sono: diritti e inclusione sociale; accoglienza della vita; reddito e trattamento fiscale; lavoro; ruolo educativo; immigrazione; affido e adozione; servizi per la prima infanzia; fragilità, disabilità, anziani; media e nuove tecnologie.

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famiglia oggi La concretezza dipenderà dalla volontà politica. La differenza tra quoziente e fattore famiglia, invece, è notevole: il quoziente familiare è una forma di redistribuzione degli aiuti alle famiglie attraverso una macchina pubblica che preleva le risorse per poi gestirne, appunto, la redistribuzione, mentre il fattore famiglia è basato sul principio di sussidiarietà alla Il quoziente familiare è una tedesca. Questo significa forma di redistribuzione degli aiuti alle famiglie attraverso una lasciare alla famiglia il redmacchina pubblica che preleva le dito minimo per una vita decente, senza alcuna tasrisorse per poi gestirne, sazione, mentre viene tasappunto, la redistribuzione, sato ciò che supera questo mentre il fattore famiglia è livello. In più, le famiglie che basato sul principio di sussidiarietà alla tedesca. Questo non arrivano a quel livello di significa lasciare alla famiglia il vita minima decente ricevono la tassa negativa sul redreddito minimo per una vita dito, ossia una somma che decente, senza alcuna tassazione, mentre viene tassato colma il divario tra il loro reddito reale e quel livello ciò che supera questo livello Le voci dell’Ac

«ADESSO OCCORRE PASSARE DALLE PAROLE AI FATTI». «È MANCATA LA SCUOLA» nche l’Azione cattolica ha preso parte alla Conferenza sulla famiglia svoltasi a Milano. «Nei tre intensi giorni si è lavorato in sedute plenarie con relazioni di quadro e in dieci gruppi tematici che hanno affrontato altrettanti ambiti riguardanti la famiglia», spiegano E ugeni a e Al essa nd r o Citt eri o. Ne è «emersa una ricchezza di studio e di iniziative, una vitalità che parte dal basso, espressione della società civile, del mondo del non-profit, ma anche istituzionale (interessante la tavola rotonda con alcuni sindaci che stanno sperimentando sul campo iniziative di politiche familiari)». Dall’incontro sono scaturite alcune «proposte concrete in ciascuno dei dieci gruppi di lavoro. Qui ricordiamo qualche principio-guida e intervento di carattere generale. La cittadinanza sociale della famiglia, cioè il riconoscimento di diritti propri alla famiglia, che vanno oltre i diritti individuali dei suoi componenti. Equità sociale che tenga conto del “carico familiare complessivo”, a partire dalla fiscalità, tributi locali e tariffe, revisione dell’Isee. Sussidiarietà che va coniugata con la solidarietà per sostenere e potenziare (e non sostituire) le famiglie nelle loro funzioni. La necessità di introdurre la valutazione di impatto familiare per ogni provvedimento e di monitoraggio degli effetti prodotti». C’è poi il problema delle risorse, «che alla Conferenza è stato inquadrato nella riforma del federalismo fiscale e nella nuova autonomia impositiva regionale. Cioè un qualcosa che verrà. Ma la richiesta è pressante. Sulla necessità di intervenire sulla fiscalità che riguarda la famiglia c’è consenso quasi unanime, perché attendere?». La Conferenza nazionale, sottolineano Eugenia e Alessandro Citterio, «è stata una grande opportunità, ma si è trattato anche di una grande responsabilità per chi l’ha organizzata, soprattutto perché di parole sulla famiglia se ne sono dette e se ne dicono molte: è giunta l’ora di passare ai fatti». Anche Lin da B er nar d i Ber ga mini ha seguito la Conferenza per conto dell’Ac e afferma di concordare pienamente con i Citterio. «Abbiamo ascoltato il meglio che potesse offrire il mondo che studia, che guarda, che interroga, che pesa la famiglia», afferma. «Forse nel caleidoscopio mancavano alcuni specchi, rivelatori di realtà rimaste sullo sfondo: ad esempio è mancata la scuola quale luogo dove la famiglia è chiamata a confrontarsi con altre famiglie, la scuola come presidio sociale sul territorio… Alla ricchezza dei contributi offerti da studiosi ed esperti ha fatto però da contrappeso negativo la “passerella” dei politici; alcuni, con discorsetto preconfezionato, valido per ogni occasione, si sono esibiti a platea vuota ma a telecamere accese. S’è sentito chiarissimo il clima elettorale». [g. b. ]

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famiglia oggi minimo. In secondo luogo il fattore famiglia non richiede una grande macchina burocratica, non implica problemi costituzionali né modificazioni del sistema fiscale ed è modulabile: se a regime si stima possa costare 16 miliardi di euro, può essere applicato gradualmente a partire da 2-4 miliardi. Già nel 2007 lei parlò di un piano nazionale di politiche per la famiglia. Ora siamo nuovamente di fronte a una bozza: quali le prossime tappe per darvi attuazione (sempre ammesso che l’instabilità politica non ne intralci il percorso)?

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Allora predisposi una bozza che non venne recepita dal governo, e che è diventata l’infrastruttura del nuovo piano, arricchito dai lavori dell’Osservatorio e del Comitato tecnico-scientifico. Compito dell’Osservatorio, adesso, è prendere in considerazione i numerosi materiali presentati alla Conferenza, esaminarli e integrare questa bozza. Così, tra 2-3 mesi, potrà essere presentato il piano definitivo. Poi, però, questo dovrà essere valutato dal governo, avere il parere della Conferenza Stato-Regioni, passare nelle commissioni parlamentari e da ultimo tornare g al governo per la decisione finale. [SIR] ■

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quale Chiesa

Per aprirsi all’infinito educazione cristiana «non è altro dallo sviluppo integrale della persona». E se la Chiesa italiana ha deciso puntare sulla sfida educativa non è solo per «gli evidenti caratteri di emergenza» della situazione attuale, ma anche perché «non è più tollerabile una visione individualistica dell’uomo», in cui si nega che la persona si realizza in pieno «quando si apre all’infinito e alle dimensioni ultime». Mons. Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, è intervenuto il 23 ottobre ai lavori del consiglio nazionale dell’Azione cattolica, svoltosi a Roma presso l’aula Barelli della Domus Mariae. Si era a pochi giorni dalla pubblicazione degli Orientamenti pastorali 2010-2020 intitolati Educare alla vita buona del Vangelo. Mons. Crociata ha presentato proprio il messaggio contenuto degli Orientamenti pastorali, affrontandone i molteplici aspetti assieIl segretario generale della Cei, me al presidente Ac, Franco Miano, alla presidenza e ai mons. Mariano Crociata, ha componenti del consiglio presentato gli Orientamenti nazionale dell’associazione pastorali per il prossimo laicale che ha tra i propri fini decennio alla presidenza e al consiglio nazionale dell’Azione statutari la scelta educativa e la formazione delle cattolica. «L’educazione cristiana – ha affermato – non coscienze nelle parrocchie. è altro dallo sviluppo integrale «Quella di accompagnare persone di tutte le età alla della persona». Esplicito il vita e alla fede è l’impegno richiamo al ruolo importante che può ricoprire l’associazione fondante dell’associazione –

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quale Chiesa ha affermato il presidente Miano -, e oggi siamo pronti a rinnovarlo, con fiducia e serietà, insieme a tutta la Chiesa e all’intero mondo dell’assoUn documento, quello dei vescovi ciazionismo cattolico». italiani, atteso non solo all’interno Un documento, quello della Chiesa ma anche nella società civile. «Un testo meditato e pensato dei vescovi italiani, atteso non solo all’ina lungo», ha sottolineato mons. terno della Chiesa ma Crociata, che confermerebbe come anche nella società «l’Italia sia una cosa sola anche dal punto di vista religioso ed ecclesiale» civile. «Un testo medita-

to e pensato a lungo», ha sottolineato mons. Crociata, che confermerebbe come «l’Italia sia una cosa sola anche dal punto di vista religioso ed ecclesiale». L’educazione, ha proseguito il segretario della Cei, è già e sarà ulteriormente lo «sbocco naturale» e «l’attenzione ordinaria» all’interno della quale le diocesi potranno «esprimere la loro soggettività e operare il proprio discernimento». Ma la cornice «è unica per tutti». Ciò significa condividere i tratti comuni dell’attuale «emergenza educativa»: ovvero, ha sintetizzato Crociata, quella «lacerazione che interrompe il rap-

Il testo dei Vescovi

«AC, EDUCAZIONE E VOCAZIONE ALLA SANTITÀ» el testo degli Orientamenti pastorali 2010-2010, intitolati Educare alla vita buona del Vangelo, viene esplicitamente citata l’Azione cattolica. Siamo al capitolo quarto, dedicato a La Chiesa, comunità educante. Vi si legge: «Nelle diocesi e nelle parrocchie sono attive tante aggregazioni ecclesiali: associazioni e movimenti, gruppi e confraternite. Si tratta di esperienze significative per l’azione educativa, che richiedono di essere sostenute e coordinate. In esse i fedeli di ogni età e condizione sperimentano la ricchezza di autentiche relazioni fraterne; si formano all’ascolto della Parola e al discernimento comunitario; maturano la capacità di testimoniare con efficacia il Vangelo nella società. Tra queste realtà, occupa un posto specifico e singolare l’Azione cattolica, che da sempre coltiva uno stretto legame con i pastori della Chiesa, assumendo come proprio il programma pastorale della Chiesa locale e costituendo per i soci una scuola di formazione cristiana. Le figure di grandi laici che ne hanno segnato la storia sono un richiamo alla vocazione alla santità, meta di ogni battezzato».

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A lato: mons. Mariano Crociata. Sopra e nelle pagine successive alcuni momenti dell’incontro con il Consiglio nazionale di Ac

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quale Chiesa Infine, l’appello all’Azione cattolica perché, sulla scia della propria storia e del suo impegno di sempre, «collabori attivamente nelle diocesi e nelle parrocchie alla programmazione concreta di itinerari che meditino gli Orientamenti pastorali»

porto tra le generazioni, logora il tessuto sociale, scompone le dimensioni costitutive della persona». E qui si colloca il fine principale dell’azione educativa: «Guardiamo a un umanesimo integrale e trascendente, in cui la persona si realizzi nella relazione con se stessa, con

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gli altri, con il mondo». La vita cristiana, insomma, «non è una limitazione della propria libertà e autonomia, al contrario è espressione di umanità piena e compiuta, sul modello di Gesù». L’appello è dunque a «non scindere l’educazione cristiana da una visione cristiana dell’educazione», a cercare di conseguenza agganci e reti con tutte le altre agenzie che si occupano della crescita dei bambini, dei giovani, degli adulti. Infine, l’appello all’Azione cattolica perché, sulla


Nel riquadro, la copertina del volume Ave sugli Orientamenti pastorali, con la prefazione del Segretario generale della Cei

scia della propria storia e del suo impegno di sempre, «collabori attivamente nelle diocesi e nelle parrocchie alla programmazione concreta di itinerari che meditino gli Orientamenti». Nel momento in cui la Chiesa italiana all’unisono assume l’attuale emergenza educativa, ha concluso Crociata, per l’Ac si apre «uno spazio importante per rinnovare la propria vocazione originaria e per favorire le relazioni tra persone, tra gruppi e tra istituzioni». A questo punto il presidente dell’Azione cattolica ha

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raccolto l’auspicio: «È un momento intenso per l’Ac – ha detto Miano –: sabato prossimo 80mila ragazzi e giovanissimi incontreranno il Santo Padre a Roma, in questi giorni abbiamo tenuto la finestra sempre aperta sul Sinodo e sulla Settimana sociale. Ora avvertiamo tutta la bellezza e la complessità di una sfida, quella educativa, che interpella la vita ordinaria delle perg sone e delle comunità». ■

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quale Chiesa

La via per la pace a carneficina di “Tutti i Santi”. La strage degli innocenti. Terrore nella cattedrale. Sono le immagini che campeggiano nei titoli dei giornali il giorno dopo il feroce massacro che la sera del 31 ottobre ha insanguinato la chiesa siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza, nel cuore di Baghdad.Tutto si consuma in una manciata di ore: mentre è in corso la celebrazione eucaristica, un gruppo di terroristi legato ad Al Qaeda irrompe nell’edificio sacro, sparando e prendendo in ostaggio i presenti. Di lì a poco, il blitz delle forze speciali irachene mette fine alle violenze, ma il bilancio delle vittime è drammatico: una cinquantiNel messaggio per la na di morti, compresi otto bambini, Giornata mondiale del e un numero ancora superiore di 1° gennaio 2011, papa feriti tra i fedeli radunati per la Benedetto XVI richiama messa. il tema della libertà Nei medesimi giorni di inizio religiosa, calpestata novembre, le cronache allineano in troppi paesi in ogni una fila interminabile di altre perseangolo del pianeta di Ernesto Diaco

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cuzioni: tre chiese sono date alle fiamme nel Caucaso da mani ignote e in Pakistan una giovane operaia, Asia Bibi, viene accusata di blasfemia e condannata a morte. Un intero cimitero cristiano è devastato nell’isola turca di Imvros e a un fedele protestante dell’Uzbekistan è inflitta una multa pari a sette anni di salario. La sua colpa? Possedere una copia di un film su Gesù. Letta alla luce dei fatti più recenti, la scelta di Benedetto XVI di dedicare la Giornata mondiale del 1° gennaio 2011 alla promozione della libertà religiosa, quale via da percorrere per ottenere la pace, si alza come un grido nel silenzio. In gioco c’è molto di più della difesa di alcune minoranze confessionali nelle zone più calde del globo; la “notte senza nome”, come la definisce Luigi Geninazzi su Avvenire, rischia di far piombare nel buio dell’orrore e della vergogna l’est e l’ovest, il sud come il nord. In alcuni casi, sono gli stessi governi a calpestare i diritti dei propri cittadini; in altri le minacce vengono da organizzazioni sociali e gruppi fondamentalisti. Le forme


quale Chiesa Nelle foto grande: un agente di sicurezza iracheno di guardia a una chiesa cristiana a Bagdad. Qui sopra: don Andrea Santoro, il sacerdote assassinato in Turchia nel 2006 e impegnato a promuovere il dialogo fra cristianesimo e islam

che prende l’intolleranza sono varie e sottili: danni ai luoghi di culto, divieti di educazione religiosa, clima ostile, leggi ingiuste o penose limitazioni arbitrarie. Spesso si finisce per vivere sotto uno stillicidio di intimidazioni quotidiane. «Ci stanno braccando ovunque», riconosceva giorni fa il patriarca caldeo di Baghdad Emmanuel Delly. «Non sappiamo più a chi rivolgerci». Dall’inizio della guerra in Iraq ad oggi, i cristiani nel paese sono quasi dimezzati e, nella sola capitale, su 65 chiese e monasteri cristiani ne sono stati finora assaliti più di 40. Le ricerche più autorevoli parlano di libertà religiosa calpestata in 64 nazioni, un terzo dei paesi del mondo, dove però si concentra il settanta per cento degli abitanti del pianeta. Per quasi cinque miliardi di persone, la libertà religiosa è un sogno proibito. Tra i credenti perseguitati per la loro fede la comunità cristiana è di gran lunga la più numerosa, ma non l’unica. In Indonesia, il paese islamico più popoloso del

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globo, a soffrire sono i musulmani Ahmadi, in Cina anche i monaci buddisti. L’antisemitismo è un fenomeno tutt’altro che in regressione. E l’Europa non è esente da soprusi e contraddizioni: in Grecia solo ortodossi, ebrei e musulmani possono detenere proprietà, mentre in Gran Bretagna un’impiegata della British Airways è stata licenziata di recente per una piccola croce al collo. Siamo di fronte a un martirio collettivo che attraversa tutti i continenti. Quella del prossimo capodanno è la 44esima Giornata mondiale per la pace, la sesta del pontificato di Benedetto XVI, che negli anni scorsi ha indirizzato l’attenzione globale verso altre condizioni essenziali per fare della famiglia umana una “comunità di pace”: dal riconoscimento della verità al rispetto della dignità della persona, dalla lotta alla povertà alla custodia del creato. Con Libertà religiosa, via per la pace – questo il titolo del messaggio che verrà diffuso nelle prossime settimane – papa Ratzinger torna su un tema che percorre lungamente il suo pontificato. Particolarmente forti furono, in proposito, le parole pronunciate due anni fa davanti all’Assemblea generale dell’Onu: «È inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti». Nella visione del Papa, una concezione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa può aiutare a conseguire un ordine sociale fondato sulla dignità e i diritti universali, «dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e di promuovere la giustizia e la pace». Un concetto, questo, ribadito anche nel corso del recente viaggio in Gran Bretagna, con il ricordo, nella prestigiosa Westminster Hall, della testimonianza di Tommaso Moro e il riconoscimento che la religione, per i legislatori, «non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione». Mettere a tacere la voce della coscienza religiosa significa amputare la propria umanità di un organo vitale, e impoverire, se non distorcere, lo svi-

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luppo sociale. Il rifiuto di riconoscere il contributo pubblico radicato nella dimensione spirituale – concludeva il discorso al Palazzo di vetro di New York – iracheno pulisce le macerie «privilegerebbe indubbiamente un approccio indiviin seguito all’esplosione dualistico e frammenterebbe l’unità della persona». nella chiesa cristiana Nelle scorse settimane si è aperta, a Roma, la causa siriano-ortodossa di san di beatificazione del cardinale vietnamita Francis Tommaso a Bagdad Xavier Nguyen Van Thuan. In Vaticano giunse nel 1991, dopo essere stato Quella del prossimo chiuso per tredici anni nelle carceri capodanno è la 44esima durissime del regime comunista di Giornata mondiale per la Saigon, senza processo. È a quest’esipace, la sesta del le ma “indimenticabile” figura che pontificato di Benedetto XVI, che negli anni scorsi guarda Benedetto XVI, tanto da punha indirizzato l’attenzione teggiare la sua seconda enciclica con continui riferimenti a questo figlio delglobale verso altre l’Asia, testimone delle atrocità di chi condizioni essenziali per vuole costruire un mondo senza Dio, fare della famiglia umana che celebra la Messa di nascosto, con una “comunità di pace” Nelle foto: un guardiano

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poche briciole di pane e qualche goccia di vino. Indimenticabile testimone «di quella grande speranza che anche nelle notti della solitudine non tramonta». L’anno che si sta concludendo ha visto il sacrificio cruento di monsignor Luigi Padovese, accoltellato all’inizio dell’estate nella stessa terra che accolse nel 2006 il sangue di don Andrea Santoro. Nella sua ultima lettera dalla Turchia, il missionario romano indicava i tanti fili d’erba verde che crescono nella steppa bruciata. E scriveva: «Dialogo e convivenza non è quando si è d’accordo con le idee e le scelte altrui (questo non è chiesto a nessun musulmano, a nessun cristiano, a nessun uomo) ma quando gli si lascia posto accanto alle proprie e quando ci si scambia come dono il proprio patrimonio spirituale, quando a ognuno è dato di poterlo esprimere, testimoniare e immettere nella vita pubblica oltre che privata». La ricchezza del mondo «non è il petrolio ma il suo tesg suto religioso, la sua anima intrisa di fede». ■



senza confini

Con uno sguardo sul mondo di Gianni Di Santo

na proposta di carattere formativo, con l’obiettivo di declinare l’idea di “diritto internazionale della pace” nelle sue molteplici attuali implicazioni e con un riferimento costante e approfondito alla dottrina sociale della Chiesa. Francesco Campagna, giovane avvocato siciliano e direttore della Fondazione Istituto di diritto internazionale della Pace Giuseppe Toniolo dell’Azione cattolica italiana, spiega a Segno le iniziative che da qui a breve l’Istituto cercherà di fare proprie. Dalla Scuola di Pace in Tante le iniziative che da qui a breve l’Istituto Toniolo cercherà Burundi in fase di definidi intraprendere per favorire una zione, insieme al Fiac (si prevede a febbraio cultura della riconciliazione e dei diritti umani. Da un Master 2011), al Master universitario biennale che è in universitario biennale a una fase di elaborazione con scuola della pace in Burundi, dal progetto Bridges al seminario Lumsa e Caritas di Palermo. A ciò si annuale sul messaggio del Papa per la Giornata della pace. Segno aggiunga che si è appene parla con Francesco Campagna, na conclusa la seconda edizione del premio Tesi direttore dell’Istituto Toniolo

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di laurea in diritto internazionale della pace (anche quest’anno sono pervenute una ventina di tesi da numerose università italiane) in collaborazione con la Fuci. Infine il progetto Bridges, l’ultimo nato all’interno dell’Istituto. E, come consuetudine, il 21 gennaio 2011 si terrà il consueto appuntamento seminariale sul messaggio del Papa per la Giornata della pace (quest’anno Libertà religiosa, via per la pace). «Per sostenere lo sviluppo di una cultura della giustizia e della legalità – ci dice Francesco Campagna – che sia ancorata e radicata sulla dignità che appartiene a ogni essere umano, occorrono, non soltanto le sentenze dei Tribunali, ma piuttosto adeguate public policies e soprattutto l’educazione e l’insegnamento, poiché soltanto queste consentono l’interiorizzazione dei valori universali, diffondendo consapevolezza, prese di coscienza, convincimenti, operando prima che avvengano le violazioni. A tal proposito, costituisce occasione favorevole la centralità acquisita dal diritto internazionale dei diritti umani: il processo di identificazione, proclamazione e implementazione di tali diritti costituisce uno dei più rilevanti sforzi per rispondere efficacemente alle


senza confini «Per sostenere lo sviluppo di una cultura della giustizia e della legalità – ci dice Francesco Campagna – che sia ancorata e radicata sulla dignità che appartiene a ogni essere umano, occorrono non soltanto le sentenze dei Tribunali, ma piuttosto adeguate public policies e soprattutto l’educazione e l’insegnamento»

esigenze imprescindibili della dignità umana. Ecco perché insieme a Caritas di Palermo, Lumsa e Istituto Toniolo pensiamo di promuovere la Scuola di Pace “Don Giuseppe Puglisi”». Il riferimento a padre Pino Puglisi intende evidenziare l’impegno per la promozione di una cultura della legalità illuminata dalla fede. «Padre Puglisi – continua Campagna – è sacerdote esemplare della Chiesa di Palermo, educatore, guida, pastore, coraggioso testimone della verità del Vangelo, ucciso dalla mafia a causa del suo agire instancabile in favore dei più poveri e dei giovani in particolare. La Sua azione formativa e di promozione umana è il paradigma di riferimento per una Chiesa vicina all’uomo» La scuola curerà lo sviluppo di sezioni di approfondimento sulle carte internazionali dei diritti umani e sui mezzi di tutela predisposti dall’ordinamento internazionale, inoltre proporrà piste

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di riflessione a partire dagli insegnamenti di dottrina sociale della Chiesa su dignità della persona umana e diritti fondamentali. Sarà riservato uno spazio di approfondimento al tema della costruzione della pace attraverso percorsi di riconciliazione, con attenzione alle forme alternative di risoluzione delle controversie che si aprono alla pratica del perdono, domandato e donato. Il Progetto Bridges invece – Building relations for international development, governance and economic sustainability – nasce dagli oltre dieci anni di esperienza di attività di ricerca scientifica e cooperazione internazionale nel settore del debito internazionale, del finanziamento dello sviluppo e della lotta alla povertà sviluppata dalla Fondazione Giustizia e solidarietà. La Fondazione Giustizia e solidarietà ha lavorato per tradurre in azione concreta i mandati della Campagna ecclesiale italiana per la riduzione del debito estero dei paesi più poveri lanciata in occasione del Giubileo dell’Anno 2000, realizzando e accompagnando alcune operazioni di conversione di debito nel Sud del mondo, sviluppando un’azione di monitoraggio e valutazione dell’azione dei governi e delle istituzioni internazionali e traducendo in termini divulgativi, per l’azione educativa, le conoscenze acquisite con l’attività di ricerca e monitoraggio. Alla conclusione delle attività legate alle operazioni di debito in Guinea Conakry e Zambia, la Fondazione Giustizia e solidarietà ha terminato la sua vita ed è stato creato il Tavolo Giustizia e solidarietà che ne prosegue e rilancia in termini nuovi l’azione educativa e pastorale all’interno della comunità ecclesiale italiana. «Contemporaneamente è maturata l’esigenza – conclude Campagna – di individuare uno strumento che proseguisse, anche al servizio del Tavolo Giustizia e solidarietà, l’attività culturale e scientifica della Fondazione. È nato cosi il progetto Bridges, promosso dall’Istituto Toniolo. Rivolgendosi specificamente al tema della giustizia economica internazionale, il progetto Bridges permette all’Istituto di affrontare la tematica della pace non solo dal punto di vista del diritto internazionale, ma anche da g quello dell’economia e della politica». ■

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faccia a faccia

Storie di giovani e di fede intervista con Chiara Finocchietti di Gianni Borsa

ono storie. Ma storie vere. Di giovani che guardano, talvolta un po’ di traverso, alla vita e alle sue preoccupazioni. Di altri giovani, appassionati, generosi, che nella vita si tuffano, senza remore e senza calcoli. Ragazze e ragazzi immersi in tanti “mondi”: la famiglia, la scuola, gli affetti, le amicizie, il volontariato, la professione, la parrocchia. Under30 – talvolta si dice così – che alzano lo sguardo all’Altro, alla fede, a una spiritualità, la quale, come un lievito, fa fermentare la pasta di un’esistenza in cerca di significati, che si dà degli obiettivi, che prova a cambiare un pezzettino di mondo. Francesco, Laura, Sara,

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Il desiderio di «raccontare come l’esperienza del gruppo di Ac e della comunità cristiana» possono trasformare la vita. Da qui sono partiti i responsabili nazionali e l’assistente del settore Giovani dell’Azione cattolica nazionale, mettendo nero su bianco le vicende di una decina di under30, alle prese con la vita, gli affetti, gli amici, lo studio e il lavoro, che a volte c’è e molte altre no. Problemi (grandi) e speranze (decisive) di una generazione che vuole crescere 46

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Roberto… Dieci storie intense e undici protagonisti costituiscono la trama del volume E ci credo!, edito da Ave, firmato dai responsabili nazionali del settore Giovani di Ac: i vice presidenti Chiara Finocchietti e Marco Iasevoli, assieme all’assistente don Vito Piccinonna. Segno approfondisce con Finocchietti qualche tema che scaturisce dalla lettura del libro.


faccia a faccia re dall’idea alla pratica: ci sembrava l’opportunità più bella per realizzare questo piccola raccolta di testimonianze. La proposta nasce semplicemente dal desiderio di raccontare come l’esperienza del gruppo di Ac e della comunità ti trasforma la vita. Le storie che raccontiamo sono le storie di giovani e giovanissimi delle nostre parrocchie e delle nostre diocesi, con cui siamo cresciuti, nello stesso gruppo, o che abbiamo a nostra volta accompagnato nel percorso di formazione e di crescita. Sono anche le vostre storie personali? Direi di sì. Sono anche le nostre storie, e idealmente, rappresentano quelle di tutti i giovani e giovanissimi di Ac: giovani con problemi in famiglia, giovani che nell’associazione maturano il desiderio di impegnarsi in politica per il bene di tutti, che scoprono la propria vocazione, che ritrovano una casa dopo essersi perduti… In fondo è questo l’elemento comune di tutte le storie: l’incontro con un amore che ti cambia la vita. In tutte si racconta di giovani che nell’accompagnamento di un educatore o di un assistente, nell’abbraccio di un gruppo, nelle amicizie autentiche sperimentate nel raggio d’azione di una parrocchia, si sentono amati e scoprono un bene e un affetto segno di un amore più grande. Un amore che genera alla vita e alla fede, che aiuta a uscire dalla solitudine, a ricucire le ferite e a orientare il proprio percorso esistenziale.

Come è venuta l’idea di questo lavoro? Le vicende che raccontate trovano spunto in incontri che avete vissuto in questi anni, sostenendo la responsabilità del settore Giovani di Ac? Era già da tempo che pensavamo all’idea di raccontare delle storie di giovani che credono, un’idea nata da Marco e che abbiamo subito condiviso tutt’e tre. Abbiamo colto l’occasione del 30 ottobre per passa-

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Quali gli obiettivi di questa pubblicazione? Raccontare storie di persone che credono significa testimoniare innanzitutto che non solo credere è possibile, ma è anche bello! Questo, nella sua semplicità, è sicuramente il primo obiettivo del libro. Un modo di testimoniare anche che nessun giovane è perso, o buono o cattivo in assoluto, ma che spesso tante decisioni vengono prese perché non c’è niente o nessuno che aiuti a indirizzarle e guidarle. Queste storie testimoniano che se un giovane non viene lasciato solo, ma viene accompagnato, con amore e discrezione, è più facile trovare la giusta traccia su cui orientare la propria vita. Il secondo obiettivo è quello di raccontare che è bello credere insieme.

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In che senso? Tutti i giovani che raccontiamo hanno sperimentato la bellezza dell’incontro con una comunità, rappresentata innanzitutto dal loro gruppo di Ac: questo libriccino vuole raccontare il lavoro silenzioso, faticoso e tenace di tutti quegli educatori, laici e sacerdoti, giovani e adulti, che quotidianamente in associazione spendono letteralmente la loro vita nell’impegno educativo verso i loro coetanei o i più giovani. È il volto più bello del nostro paese, anche se quello che appare meno, ma che continua a rinnovare il piccolo miracolo di aiutare a crescere insieme. È un segno di amore e gratitudine verso queste comunità, una gratitudine che ci impegna a continuare quest’opera silenziosa di bene. Famiglia, amore, studio, valori, lavoro, sport, mille altri tipi di impegno. Cosa riempie la vita di un giovane oggi? Resta il tempo per interrogarsi sulla propria “vocazione”? Normalmente di tempo ne rimane ben poco tra i tanti impegni di ogni giorno nella vita di un giovane.

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Però per un giovane che crede ognuno di questi ambiti – l’amore, lo studio, il lavoro… –non è qualcosa a sé stante, ma uno spazio di realizzazione di sé, di impegno e di testimonianza di ciò che si ritiene più importante. Gli ambiti della vita sono lo spazio di ricerca e di attuazione della propria vocazione. I tanti santi e beati che l’Ac ha dato alla Chiesa e al paese ci testimoniano che è proprio come studenti, lavoratori, fidanzati, mariti e mogli che possiamo farci santi. La ricerca spirituale, la parola di un educatore e di una assistente, servono proprio a orientare le tante piccole grandi scelte in questi ambiti: penso alla storia di Marco, che cerca di capire insieme al suo assistente come vivere la storia con Mariangela, la sua fidanzata; o a Laura, che proprio in associazione matura il desiderio di impegnarsi in politica; o ancora a Gianni, che in una vita serena da commercialista, che sembra già piena e realizzata, sente la domanda e il desiderio di ricercare una vocazione più grande. Quali sono i p roblemi che toccano più da vicino le giovani generazioni? I problemi sono tanti, e molti abbiamo provati a raccontarli: le difficoltà in famiglia, che segnano in modo profondo, nel bene e nel male, la vita di un giovane, molto di più di quanto nessuno di noi sarebbe disposto ad ammettere. Questo è il cuore proprio della prima storia del libro, quella di Francesco: Cerco solo un po’ di felicità. Francesco e una casa che invoca pace. Poi le difficoltà del lavoro, della ricerca di un pizzico di stabilità economica e professionale che sembra sempre senza esito per i più giovani. Difficoltà che si sommano spesso alle difficoltà economiche, vissute nella dignità e nel sorriso di chi in quella povertà ha imparato a scoprire e a salvaguardare ciò che più vale. E ancora la solitudine, una delle grandi paure dei giovani insieme alla noia, che spesso porta a perdersi a se stessi, e a fare “scelte” estreme: Francesca, rigenerata dall’abbraccio del suo gruppo, dice: «In alcuni momenti potevo godere solo della compagnia del mio spacciatore». E poi ancora le grandi difficoltà della crescita, l’amore, lo studio, la testimonianza della propria fede nel luogo


faccia a faccia nascita della figlia Aurora, per Marco il suo amore per Mariangela… Le storie che raccontiamo provano a dire, nella loro umiltà, che tutti i giovani, come tutti gli uomini, sperimentano il mistero dell’amore di Dio: alcuni di loro hanno la fortuna di incontrare delle persone sul loro cammino con cui condividere questa domanda, e forse da essa far nascere percorsi di crescita e di ricerca.

di lavoro e a scuola e all’università, la ricerca di giustizia che può diventare impegno politico tra le tante contro testimonianze anche di chi si professa credente.

Sopra: la vice presidente per il settore Giovani di Ac, Chiara Finocchietti insieme all’assistente nazionale, don Vito Piccinonna, e al vice presidente Marco Iasevoli. Nel riquadro, a lato, il volume edito dall’Ave

Quanto spazio ha la fede nella quotidianità dei vostri protagonisti? E, più in generale, come si pongono i giovani di oggi dinanzi al mistero di Dio? La fede ha uno spazio grandissimo, che è lo spazio stesso della loro vita: uno spazio che è vissuto come dialogo personale con Dio, a volte di affidamento e di accompagnamento, a volte di domanda e di incomprensione per le tante difficoltà che sembrano non trovare soluzione, e che continuano a ferire. Una vita e una fede vissuta in una comunità che ti accompagna e ti guida. Potremmo rispondere a questa domanda con una frase di un Padre della Chiesa citata nel libro: «Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre». Per tutti i protagonisti del libro il cammino di fede è vissuto non in solitudine, ma insieme agli altri ragazzi del gruppo. Il Mistero di Dio per loro è il mistero della propria umanità, un mistero sperimentato in un percorso di ricerca fatto di preghiera, di silenzio, ma anche di impegno e di condivisione. Il mistero dell’amore di Dio è per Francesco la sofferenza della sua famiglia, per Sara la

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Bambi ni, ad olescenti e giovan i di Ac hanno incontrato il 30 ottobre il Papa in piazza San Pietro. Cosa resta, a suo a vv is o , d i C ’ è di p i ù? Co s a s i p uò “costruire” a partire da quella festa? Penso che C’è di più abbia lasciato tre cose: una testimonianza luminosa, semplice e bellissima, della gioia di credere come giovani e come ragazzi. La testimonianza di piazza San Pietro e di piazza del Popolo e piazza di Siena è uno “scandalo” e una domanda aperta per tutti i giovani e gli adulti che vogliono smettere di interrogarsi e che vivono la presunta comodità di una vita senza ricerca di un “oltre” da raggiungere. In secondo luogo, i giovanissimi e i ragazzi hanno scoperto che la famiglia dell’Azione cattolica non è solo la loro parrocchia e la loro diocesi, ma è qualcosa grande come tutta l’Italia e tutto il mondo, segno del nostro essere a servizio della Chiesa locale e in essa di tutta la Chiesa universale. Il terzo punto? C’è di più è stata, non da ultimo, la grande festa anche di tutte quelle persone, genitori, giovani e adulti, laici e sacerdoti, insegnanti, che ogni giorno si impegnano nel compito educativo: persone che vivono nella comunità questo servizio. Il 30 ottobre testimonia che l’impegno educativo dell’Ac, oggi come più di 140 anni fa quando è nata l’associazione, non solo è essenziale più che mai per il paese, ma è anche una grande speranza e un grande ponte per il g futuro delle persone e delle nostre comunità. ■

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La fede, i volti e le parole di Silvio Mengotto

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La rotta dopo il Concilio. A cinquant’anni dal Concilio vaticano II la Chiesa è a un giro di boa in una società profondamente cambiata e «irreversibilmente pluriculturale, plurietnica e plurireligiosa». Per evangelizzare in queste profonde trasformazioni globali per padre Bartolomeo Sorge è necessario proseguire con coraggio la “traversata” lungo la rotta segnata nel profondo solco del Concilio, seguita con fedeltà dai «traghettatori». Sorge ha raccolto (La traversata, Mondadori) sia l’esperienza personale, sia l’incontro con undici traghettatori: «oggi li chiamano “profeti”, ma per me rimangono quali li ho conosciuti, semplici traghettatori, designati dalla Provvidenza e dalla storia ad accompagnare la Chiesa e la società nella difficile transizione dal secondo al terzo millennio». Tra questi, i pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, il gesuita Pedro Arrupe, i cardinali Martini e Pappalardo, Giuseppe Lazzati, i martiri Oscar Romero e don Pino Puglisi. Le parole di Livatino. Qualcosa si è spezzato è invece il titolo dell’audiolibro che Multimedia San Paolo dedica al giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Quinto volume del Progetto culturale Phonostorie dedicato ad alcuni illustri personaggi del XX secolo, a cura di Caritas italiana e Centro europeo risorse umane, il progetto, raccogliendo scritti, testimonianze e documenti privati, ricostruisce il pensiero e la coscienza di un grande uomo, che accanto al Codice penale teneva sempre il Vangelo. A leggere i brani di questa opera editoriale molti personaggi noti: Giulio Scarpati e Simonetta Solder, Giorgio Marchesi e Gianni Bianco, Nicola Legrottaglie e Luca Toni, per arrivare a Emiliano Viviano e Antonella Ruggiero che canta l’inedita Figlio di mare, composta per l’occasione; il libro e il cd costituiscono dunque un unico e coerente percorso nell’anima e nella mente di Livatino. Pillole di saggezza. L’agenda come taccuino per l’anima. Da portarsi dietro ogni giorno, consultando parole e idee che riempiono il nostro esistere. Da questa idea di Rocco Ronchi, docente di Filosofia teoretica presso l’Università dell’Aquila e di Scienze delle comunicazioni presso la Bocconi di Milano, nasce l’Agenda Filosofica, in collaborazione con le edizioni In Magazine di Forlì. Quattro uscite fino ad adesso, dedicando ogni anno a uno specifico tema. Nel 2009 era la stessa filosofia, nel 2010 “Dio” e la divinità in generale. Per l’edizione 2011 il tema prescelto è l’anima.. A fianco delle settimane del calendario, il lettore potrà ritrovare un estratto dedicato a questa fondamentale tematica umana, frutto del pensiero di uno tra i massimi filosofi di sempre. La struttura dell’agenda rimane inalterata: dopo introduzione e pagine di servizio, il calendario settimanale è affiancato dalle citazioni, con riferimento bibliografico e biografico del passaggio scelto. La grafica essenziale, dispensa “pillole di saggezza” in maniera discreta, lasciando lo spazio necessario agli appunti personali.

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La Chiesa e i migranti. Una vera e propria “battaglia” per una sola famiglia umana. È quella che vede per protagonista mons. Agostino Marchetto, per quasi dieci anni (dal 2001 al 2010) responsabile del dicastero della Santa Sede per la pastorale dei migranti. In questo libro/intervista, a cura del giornalista e saggista Marco Roncalli (Chiesa e migranti), Marchetto presenta il bilancio delle sue battaglie nella fedeltà al Vangelo e ai diritti dell’uomo, «affrontando – come si legge nel volume, edito dall’editrice La Scuola – molti temi che toccano la nostra vita e quella di milioni di immigrati. Fra regolari, irregolari, rifugiati, richiedenti asilo, zingari, vittime del traffico e del contrabbando di esseri umani, l’intervista passa in rassegna questioni cruciali che dettano l’agenda politica per l’Europa»: la sicurezza, il lavoro, la casa, la salute, i ricongiungimenti familiari, la scuola, la cittadinanza, il dialogo interreligioso, i respingimenti. «Quasi un grido d’allarme nella consapevolezza di tante forme di integrazione mancata». Alle radici della Parola. Angelo Casati, nato nel 1931, è sacerdote dal 1954 della diocesi di Milano dove ha ricoperto diversi incarichi. Con la stessa casa editrice ha pubblicato vari libri, tra questi Diario di un curato di città. Con il nuovo volume (Ospitando libertà, Centro Ambrosiano), Casati risale la corrente dell’omologazione per riscoprire il volto autentico della parola sacra seppellita dalla chiacchiera. Nella prefazione, Erri De Luca afferma che l’autore «sta controcorrente non da bastian contrario, ma da salmone. Risale alla sorgente della parola sacra, la raggiunge com’era prima dell’abuso e dell’usura. Ecco la parola giustizia, spesso raffigurata come una bilancia, macchina facile da truccare. Giustizia invece non è uno strumento di misurazione, ma lo scatto interiore contro il torto, la disuguaglianza. Giustizia è compassione che porta soccorso all’offeso». Un ritornare alle radici della Parola dove soffia e arde sotto la cenere senza consumarsi mai. Così si ritorna a ri-scoprire la sequela di Cristo che per l’autore è pratica della libertà, non una pista battuta. « N on ar d e va for s e i l n o st r o cu or e » . Sulla vicenda dei discepoli di Emmaus si è scritto di tutto e di più. Ma Alberto Campoleoni, giornalista, collaboratore di Segno, riprende il filo del discorso per raccontare, dal di dentro, una fede che, non senza titubanze e fatiche, si lascia interrogare da quel Gesù incontrato per strada. Un viandante misterioso, «capace di scaldare il cuore e ridare entusiasmo, di “far tornare a casa” e, nello stesso tempo, di ributtare fuori di casa ciascuno di noi, perché il cammino non finisce mai». Nel percorso che porta fuori da Gerusalemme, dopo la morte e resurrezione di Gesù, Campoleoni (Tornando a casa. Ricominciare a credere, edizioni San Paolo) propone una sorta di introduzione all’essenziale della fede cristiana. Un percorso alla ricerca di un Cristo vivo, g capace di parlare a ciascuno di noi. ■

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sulle strade della fede

Gli elefanti di Farneta mmersa nel verde che contrasta il giallo della terra e dei campi di grano delle ondulate collinette circostanti, sorge da oltre mille anni l’abbazia di Santa Maria Assunta di Farneta. Ci troviamo nel vasto territorio di Cortona, in una località che sembra essere rimasta immutata nei secoli. Qui tra il IX e X secolo un gruppo di benedettini, seguendo la Regola del grande abate fondatore, diede vita a un nuovo monastero. Dopo alcuni secoli l’abbazia fu trasformata in commenda, mentre più tardi arrivarono i monaci olivetani. Di qui passarono pellegrini e fedeli, persone comuni, sovrani e pontefici; le cronache dell’abbazia ancora ricordano la visita di Carlo V nel 1525 e di papa Clemente VII il 6 ottobre 1533 accompagnato da dodici cardinali. Con la partenza degli olivetani, nel 1780 la struttura venne affidata al clero diocesano cortonese e, proprio scorrendo l’elenco dei parroci, non si può non ricordare l’incessante opera di monsignor Sante Felici, abateparroco giunto a Farneta nel lontano 8 settembre 1937, pochi mesi dopo la sua ordinazione, e qui rimasto fino alla morte avvenuta nel 2002. Amante della storia e dell’arte, appassionato ricercatore, supportato da una fervida vena letteraria a lui va il grande merito della riscoperta e della rinascita di questo gioiello architettonico. Purtroppo il tempo e gli uomini non sono stati clementi con il complesso abbaziale dalla caratteristica forma a “T”, più volte mutilato con l’abbattimento della metà A Cortona sorge da mille anni l’abbazia di della navata alla fine del Settecento e della torre campanaria ai primi Santa Maria Assunta, dell’Ottocento. Scempio «perpetrato nel retta da monaci benedettini. Un gioello 1923 con l’abbattimento del transetto e della singolare struttura absidale, architettonico che rivela sorprese gradite combaciante perfettamente con la sottostante cripta». E proprio ai visitatori di Paolo Mira

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quest’ultimo è sicuramente l’ambiente più suggestivo della chiesa abbaziale; una struttura affascinante a celle tricore con volta a botte e a crociera, sorrette da colonne romane, della cui esistenza da secoli si era persa ogni traccia. Anche in questo caso la tenacia di don Sante ha avuto la meglio: riscoperta, il 29 febbraio 1940 iniziarono i pazienti lavori di recupero «liberandola dai morti accatastati, dalla terra, dai detriti, dall’acqua e da un’infinità di serpenti». Ma i tesori d’arte non sono solo conservati all’interno dell’abbazia, anche il territorio che la circonda ha restituito non poche vestigia di un passato glorioso. Innumerevoli, infatti, sono i reperti archeologici rinvenuti che, nella maggioranza dei casi, con grande pazienza, sono stati collocati nel locale museo fortemente voluto dallo stesso don Sante e segnalato all’ingresso dal cartello: Museo fatto in casa. Ingresso libero. Una segnaletica che ha tutto il sapore delle cose semplici, ma che richiama l’amore e l’attaccamento a una terra, che è stata testimone dell’evoluzione dell’uomo, dalla preistoria ai giorni nostri. E non sembri esagerata questa affermazione, perché il territorio di Farneta ha restituito a partire dalla fine degli anni Trenta del secolo scorso due capitelli figurati di epoca


sulle strade della fede Nelle foto: immagini dell’Abbazia di Farneta e di don Santo Felici

longobarda, oggi a Firenze nel Museo dell’Opera dei Duomo e ad Arezzo nel Museo medievale, una matrice per orafo dell’ormai noto Crocifisso di Farneta dell’VIII secolo, rinvenuta nel 1938 e oggi al Museo diocesano di Cortona, e ancora colonne in granito, una stele funeraria, monete e numerosi

frammenti scultorei di epoca romana, una “tomba alla cappuccina” con la sua sepoltura proveniente dalla necropoli paleocristiana di Farneta, tre urne cinerarie etrusche, per arrivare addirittura – ed ecco la vera sorpresa – a numerosissimi reperti paleontologici. «Resti – raccontava don Sante con una punta d’orgoglio ai visitatori che avevano la fortuna di averlo come “cicerone” – rinvenuti con infinite ricerche nelle nostre colline di Farneta, specie nelle cave di sabbia o rena gialla, costituiti da fossili del pleistocene, di circa un milione e mezzo di anni fa, dove predominano gli elefanti, grossi circa tre volte quelli di oggi, pesanti anche 180 quintali, contro i circa 50 degli attuali; la maggiore notorietà l’ha avuta la mia Linda, giovane elefantessa, alta 4,20 metri, ora nel Museo di Paleontologia di Firenze, insieme a un paio di zanne di Paride, metri 3,50 metri, elefante scoperto il mattino del lunedì di Pasqua del 1964, quando portavo la Santa Comunione a una anziana parrocchiana; seguono l’ippopotamo, la iena, l’ursus speleus, il rinoceronte, il cervo, l’equus caballus...». Oggi questo prezioso museo è in fase di riallestimento, come pure sono state realizzate alcune opere conservative urgenti sulla struttura della chiesa abbaziale, ma già nel 2005 è stato inaugurato il Percorso paleontologico don Sante Felici, un percorso didattico attrezzato della lunghezza di circa 5 chilometri, facilmente percorribile in un’ora e quaranta minuti anche dai bambini e in mountain bike.

Come arrivare a Farneta La millenaria abbazia di Santa Maria Assunta di Farneta sorge nell’omonima località del Comune di Cortona (Arezzo). È facilmente raggiungibile percorrendo il raccordo autostradale RA6 Bettolle-Perugia; all’uscita Foiano della Chiana proseguire, seguendo le indicazioni locali, per circa tre chilometri. Non sono previsti mezzi di trasporto pubblico in sostituzione all’auto. Oltre ad aver riottenuto il titolo di abbazia il 30 gennaio 1974, Farneta è anche parrocchia. Per informazioni è possibile chiamare il numero 0575.610010 e visitare il sito internet www.abbaziafarneta.it, ma per un approfondimento sulla storia e l’arte dell’abbazia e del suo territorio rimane sempre valido il volume di don Sante Felici “L’Abbazia di Farneta in Val di Chiana”, pubblicato nel 1967 e giunto alla sesta edizione.

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Farneta

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Le nuove sfide che incalzano la Chiesa di Marco Iasevoli

l laboratorio è sempre aperto. La società pone di continuo nuove sfide, ne rilancia alcune già note, insomma chiama l’Ac a un discernimento continuo circa il proprio contributo al bene comune. Ad Ancona, durante il convegno dei presidenti e degli assistenti diocesani, svoltosi a settembre, abbiamo provato a fare sintesi su quattro tematiche che ormai emergono in modo limpido nelle nostre comunità: la presenza degli immigrati, cattolici e non, che interpellano il senso di accoglienza delle parrocchie; il depauperamento ecclesiale, associativo e sociale causato dalle massicce migrazioni di giovani (prevalentemente da Sud verso Nord) per motivi di studio e di lavoro, con il rischio concreto di un profondo sradicamento delle persone coinvolte; la Dopo il Convegno dei necessità, in uno scenario presidenti e assistenti globale, di valorizzare al diocesani di Ancona, l’associazione propone alcune massimo l’universalità, la “cattolicità” della nostra riflessioni di integrazione ecclesiale. L’attenzione verso appartenenza ecclesiale, imparando ad “avere come la realtà immigratoria, il respiro il mondo”; la concreprogetto Tobia e il progetto ta possibilità di educare dedicato a Frassati attraverso lo sport, arricchendo l’esperienza associativa di una dimensione fondamentale per le giovani generazioni. A partire da questi obiettivi, il lavoro dei presidenti e degli assistenti ha portato ad approfondire e sistematizzare le idee. Ora, dunque, siamo pronti perché questi “progetti” divengano prassi ordinaria che affianca e completa il cammino ordinario delle associazioni parrocchiali. Dei due un popolo solo. Il convegno è stato chiaro: l’Ac non vuole realizzare un progetto “per” gli immigrati, ma “con” loro. Un’impostazione che ha due premesse: la presenza degli immigrati dà vita a una “nuova” Chiesa, nuova per volti e storie, ma anche per retroterra culturale; il lavoro educativo fonda-

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mentale da svolgere nelle comunità è quello finalizzato a cambiare mentalità, superando stereotipi e pregiudizi. È solo dotandosi di questo punto di partenza, affiancato da un ampio discernimento sulle concrete situazioni dei territori, che sarà possibile strutturare itinerari specifici e appropriati. Certamente sono emerse due direttrici: partire dai ragazzi e dai giovanissimi, che nell’ambiente scolastico già vivono una integrazione “di fatto”; lavorare perché le celebrazioni eucaristiche divise per etnie – prassi ricorrente nelle città – non divengano la norma, rendendo impraticabile la possibilità di spezzare insieme il pane della vita (sarebbe una separazione a valle difficile da colmare). Si tratta di prime ipotesi di lavoro, da implementare con le esperienze concrete che diocesi e parrocchie realizzeranno con la loro creatività. Progetto Tobia. Gli studenti e i lavoratori – è questa la metafora emersa dal convegno – passano di città in città. Sono un po’ come Gesù, che andava di incontro in incontro senza “perdersi”. La buona riuscita del progetto dipende allora da una condizione: la ricchezza più grande è la relazione, anche se i giovani che arrivano in una nuova diocesi non trovano un gruppo in cui inserirsi, è importante che trovino persone che li accompagnano in un momento di passaggio. Da ciò derivano le proposte concrete: individuare le diocesi che tradizionalmente sono meta di studenti, mettendo in rete le iniziative specifiche offerte ai fuorisede; aprire i centri diocesani per “trasformarli” in aule studio o ritrovi post lavoro; rilanciare i progetti di orientamento soprattutto alla scelta universitaria (anche se si sceglie di andare lontano, l’associazione rimane vicina!). Anche in questo caso si tratta di prime parziali indicazioni. Progetto Frassati. L’attenzione allo sport e alla pratica sportiva è storicamente uno degli impegni all’Ac. Oggi, in collaborazione con il Csi e non solo, si aprono strade molto proficue per l’educazione dei bam-


orizzonti di Ac Lo stile alternativo di cui i cristiani bini, dei ragazzi, degli adolescenti, dei giodevono essere capaci è uno stile di vani e... anche degli apertura illimitata del cuore e della adulti, spesso coinmente contro le spinte insistenti a volti nella pratica rimanere blindati nelle paure, sportiva o in prima aggrappati alla difesa dei propri interessi, appiattiti sulla superficialità persona o come “tifosi” dei figli. Società di sentimenti ed emozioni a buon sportive parrocchiali, mercato, garantiti nel escursionismo, i Senfondamentalismo delle certezze

I convegni delle presidenze diocesane sono sempre un momento importante di condivisione e di riflessione per tutta l’Ac

tieri Frassati, la formazione cristiana degli allenatori e dirigenti sportivi, la tutela degli spazi cittadini destinati al divertimento e al tempo libero, la sfida al doping... sono ambiti in cui si può dare un grande contributo, anche particolarmente richiesto dalle istituzioni che si occupano di sport (si pensi al Coni, o alle federazioni delle singole discipline). Il tutto, ovviamente, partendo dal basso, dai campi polverosi di periferia, in cui basta creatività e un allenatore motivato, che s’intenda anche di anima, e non solo di tattica. E molti nostri educatori hanno questo talento...

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Fi n o ag l i est r emi c on f i n i d el l a T e r r a. Un’Ac che abbia “il respiro del mondo” è capace di vincere il rischio del ripiegamento su se stessi o sul proprio piccolo mondo. Lo stile alternativo di cui i cristiani devono essere capaci è uno stile di apertura illimitata del cuore e della mente contro le spinte insistenti a rimanere blindati nelle paure, aggrappati alla difesa dei propri interessi, appiattiti sulla superficialità di sentimenti ed emozioni a buon mercato, garantiti nel fondamentalismo delle certezze. L’associazione ha una strada aperta in tante Chiese del mondo in cui diocesi e parrocchie possono inserirsi con il loro specifico contributo, ma soprattutto con fini chiari: far nascere e/o accompagnare percorsi ed esperienze educative qualificate per la formazione dei laici; “attrezzarsi” dal punto di vista formativo per collaborare alla crescita dello spirito ecumenico, del dialogo interreligioso e culturale. E molto si può fare partendo da attenzioni già esistenti in Ac: il mese della Pace, l’attenzione speciale alla Terra santa, i g gemellaggi... ■

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orizzonti di Ac

Agenda

I preti di Ac alla Domus Mariae Quella di Genova è stata un’esperienza giudicata al 14 al 17 febbraio 2011, presso la molto positivamente, sia per gli organizzatori che per Domus Mariae (Roma), si celebrerà il coni numerosi partecipanti. vegno nazionale assistenti di Azione catL’incontro è stato introdotto da don Stefano Olivastri, tolica, rivolto a tutti gli assistenti diocesani direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose di e regionali e al quale sono invitati anche gli assistenGenova, che ha sottolineato ti parrocchiali e altri sacerl’importanza della comuniodoti interessati. Durante l’in- Si svolgerà a Roma, nel mese ne ecclesiale che si manifecontro si rifletterà sul mondo di febbraio, il convegno sta anche nella condivisione giovanile e la sua “sete di nazionale degli assistenti di manifestazioni come giustizia”, e il conseguente regionali, diocesani e quella organizzata nella città impegno per la solidarietà parrocchiali. della Lanterna. È seguito intergenerazionale degli Al centro dell’attenzione l’intervento di mons. Ugo assistenti di Ac. i giovani e la “sete di Ughi (vice assistente geneIl convegno costituirà un’oc- giustizia”. rale dell’Aziona cattolica) casione preziosa per effet- A Genova è stato invece che ha illustrato il significato tuare, secondo lo specifico presentato il testo formativo del testo Voi siete luce del ministero sacerdotale, una personale, alla presenza dei mondo e le fasi che ne riflessione condivisa su que- rappresentanti di una decina hanno consentito la elabosto tema tanto rilevante per di associazioni razione condivisa. tutta la Chiesa in Italia e per In particolare mons. Ughi ha evidenziato alcuni la nostra associazione. Programma e note tecniche spunti e prospettive assolutamente utili «per far ultesono disponibili sul sito www.azionecattolica.it. riormente crescere la stima reciproca e la comunioSabato 13 novembre, presso lo Star Hotel di Genone tra le varie associazioni e movimenti». Tali prova, alcune tra le principali associazioni e movimenti spettive sono: il grande e quanto mai attuale campo che hanno collaborato a livello nazionale alla stesura dell’impegno socio-politico, anche a seguito della dell’itinerario di formazione personale hanno prerecente Settimana sociale dei cattolici italiani; l’atsentato il testo a livello cittadino e regionale. Come tenzione a cogliere la sfida educativa nell’ambito noto da due anni l’Azione cattolica si è fatta promodegli orientamenti pastorali del decennio. trice di questa esperienza ecclesiale e culturale: il Sono poi seguiti gli interventi dei rappresentanti sussidio, prima indirizzato ai soli aderenti dell’assodella aggregazioni presenti (Acli, Csi, Uciim, Coldiciazione, è divenuto uno strumento condiviso che ha retti, Meic, Agesci, Masci, Cif) che hanno indicato la il fine di “raccogliere” attorno alla Parola della liturvalidità del sussidio sia in termini di formazione pergia domenicale e festiva anche gli aderenti e i soci di sonale sia come punto di convergenza in vista di colaltre aggregazioni. Sono già 15 le sigle che hanno g laborazioni pastorali più ampie. ■ aderito e partecipato al progetto.

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ieri e domani

Plasmare la storia di Chiara Santomiero

n grande educatore dei giovani, attraverso la parola e l’incoraggiamento ma, soprattutto, attraverso la testimonianza di vita. È il profilo di Sandro Toppino, «tra i più appassionati fondatori dell’Azione cattolica di Alba», come emerge dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto. L’Ac albese, lo scorso 13 novembre, gli ha dedicato un incontro di riflessione e approfondimento intitolato Sale e luce per la storia di tutti, in occasione del centenario della nascita (1910-1951). Toppino divenne presidente diocesano dei Giovani di Azione cattolica nel 1933 e nel 1945 primo presidente della conferenza giovanile di S. Vincenzo, nominato dal vescovo mons. Luigi Grasso. Due date che segnano un periodo difficile e intenso per il nostro paese, tra la violenza e il tentativo di soffocare ogni manifestazione di libertà di pensiero durante il regime fascista, il successivo impegno di tanti giovani nella Resistenza e la delicatissima fase di ricostruzione della società alla fine del secondo conflitto mondiale. «Sandro – racconta l’on. Ettore Paganelli, amico e collaboratore di Toppino, in un video dell’Ac di Alba –, che durante il L’Azione cattolica di Alba periodo della guerra aveva ha recentemente ricordato intrattenuto una fitta corrila figura di Sandro Toppino, spondenza con gli amici delnel centenario della nascita. l’Ac partiti per le armi, si rese Educatore esigente, punto conto che ancora di più nel di riferimento per i giovani, dopoguerra occorreva stare cercò sempre di «coniugare vicino ai giovani per indirizla fede cristiana con zarli verso la costruzione di la vita di ogni giorno»

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una società giusta e verso la democrazia». L’appuntamento più atteso dai giovani era «l’incontro della domenica mattina in vescovado nel quale Sandro organizzava le visite alle tante famiglie di Alba in stato di necessità materiale e spirituale. A due a due i giovani venivano mandati a portare gli aiuti: andare insieme a Sandro era un grande insegnamento di vita». Toppino era un autentico punto di riferimento per i giovani: «Il negozio in cui lavorava, la prima tappa della passeggiata serale, dove si poteva parlare di qualsiasi argomento; la prima persona a cui raccontare l’ansia o la riuscita di un esame all’università». «La scelta della cura della dimensione ordinaria della vita – afferma Anna Maria Tibaldi, albese e delegata regionale per il Piemonte-Valle d’Aosta – può sembrare un’opzione minoritaria, quasi una forma di disinteresse verso la realtà storica e sociale del momento, ma non fu così». L’esperienza di Toppino «dimostra quel dialogo forte tra fede e vita che caratterizza i veri testimoni per i quali il primato della spiritualità va oltre la dimensione intima per diventare una autentica risorsa con la quale guardare con nuovi occhi alla realtà». Diventa un modo per «stare nella realtà “storicamente”, cercando di plasmarla proprio partendo dal quotidiano, attraverso il proprio atteggiamento e l’impegno nei luoghi di vita ordinari». In questo sta anche «l’attualità della figura di Toppino che ha molto da dire ai cristiani e ai cittadini di oggi e, in particolar modo, all’Azione cattolica che fu per lui lo strumento principale per coniugare e comunicare la sua testimonianza di fede e vita g vissuta». ■

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Chiesa e carità

Natale, tempo di offerte arrocchie grandi e piccole unite nel segno delle offerte per i sacerdoti. Anche per questo Natale. È infatti grazie alle offerte, con cui ogni fedele può partecipare al sostentamento di parroci vicini e lontani, che si cementa il vincolo tra le comunità italiane. L’offerta assicura la remunerazione dei preti diocesani facendo perequazione, cioè parità di trattamento, tra le parrocchie di poche anime e quelle più popolose. Come dire tra quelle con pochi mezzi e quelle con più risorse. Succede dalle Alpi alle isole. Come nel caso delle parrocchie di San Giovanni Battista, ad Orbassano (Torino), 25 mila abitanti, e di Sant’Andrea apostolo a Villa Truschedu (Oristano), che ne conta 321. La prima può sostenere senza difficoltà il suo parroco, don Marco Arnolfo: «I grandi numeri della nostra parrocchia sono frutto dell’immigrazione, e qui davvero il 2 giugno, per la festa della Repubblica, festeggiano insieme famiglie provenienti da Le offerte affidate ai tutte le regioni italiane – spiega don Marco –. Le offerte per i sacerdoti funzionano in fedeli per modo analogo. Donate da tutta Italia, contricontribuire allo buiscono a tenere viva la nostra missione», “stipendio” dei propri sacerdoti è un spiega. fatto positivo. Nate Proporzioni rovesciate ma stessa gratitudine insieme all’8xmille, in Sardegna, nella valle del fiume Tirso, dove oggi rappresentano tutti gli abitanti partecipano alla vita della comunità. Non senza sacrifici, nel corso di un passo ulteriore nella partecipazione, giornate da pendolari tra il capoluogo e il paese. «Sappiamo che i risultati si ottengono perché richiedono radunando le forze, seppure contate – spieun esborso in più. gano –. Ma senza le offerte non ce la faremUna scelta mo a sostenere il nostro parroco, don Giuimportante

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seppe Pani», spiegano. Nel piccolo paese un sacerdote come lui è presidio di unità, con progetti pastorali e caritativi. La messa e gli eventi religiosi che assicura con la sua presenza segnano la vita comune e le danno significato. Oggi preti diocesani come don Giuseppe e don Marco sono affidati ai fedeli per la remunerazione, come nella Chiesa delle origini. Solo alcuni hanno stipendi o pensioni da insegnante. Fonte prima è così la quota capitaria: ogni sacerdote può trattenere dalla cassa parrocchiale 0,0723 euro al mese per abitante. E nella maggior parte delle comunità italiane, al di sotto dei 5 mila abitanti, ai parroci mancherebbe il necessario.


Chiesa e carità WWW.OFFERTESACERDOTI.IT

MODALITÀ PER FARE L’OFFERTA AL SOSTENTAMENTO DEL CLERO Uffici postali: bollettini di conto corrente postale n. 57803009 intestati a Icsc Banche: versamenti presso banche selezionate (elenchi disponibili sul sito www.offertesacerdoti.it) Istituti diocesani sostentamento clero: versamenti presso gli Istituti diocesani sostentamento clero di ogni diocesi Carta di credito Cartasì : telefonando al numero verde 800-825000 oppure collegandosi al sito www.offertesacerdoti.it

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Le offerte vengono allora in aiuto. Nate insieme all’8xmille, oggi rappresentano un passo ulteriore nella partecipazione, perché richiedono un esborso in più. Ma sono una scelta di vita importante. Perché ci sia parità di mezzi tra parrocchie grandi e piccole. Cresca la vicinanza generosa e concreta verso la missione quotidiana dei sacerdoti diocesani in tutta Italia, dove contribuiscono a cambiare il volto del territorio, con l’evangelizzazione e la realizzazione di progetti caritativi. In una parola perché, grazie ad un gesto semplice e personale, come quello del dono, sia piena la comug nione fraterna nella Chiesa. ■

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spazio aperto

■ C’è di più: un grazie speciale

Caro Segno, volevamo portare una breve testimonianza di gratitudine, da una famiglia “diversamente speciale”. […] Quando don Andrea ci aveva proposto il viaggio a Roma per partecipare a C’è di più la risposta era stata subito affermativa. Siamo partiti per Roma all’una di notte da Faenza e alle 6.30 eravamo in fila per entrare in piazza San Pie-

viaggio, perché abbiamo visto vecchi amici e conosciuto nuovi amici, perché tutti assieme abbiamo sopportato con il sorriso qualche difficoltà durante la giornata. Grazie alle nostre figlie, Lisa (14 anni) e Alice (6 anni), che sono state grandi, non hanno protestato e non hanno chiesto niente. Le emozioni sono state intense e siamo tornati con le g batterie cariche. ■ Rita e Marco Montevecchi, Bizzuno di Lugo (Ravenna) ■ L’Italia dei campanili Caro direttore, vorrei solo ringraziare Paola Springhetti per l’articolo su Segno 11/12, intitolato È sempre l’Italia dei campanili. Come è vero tutto ciò che dice nell’articolo! [...] Un abbraccio caloroso e un saluto nella pace e che il buon Gesù ci aiuti ad agire g bene per la nostra Italia. ■

Gianni, Ac Brianza

Nelle foto di questa pagina, la famiglia Montevecchi a “C’è di più”

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tro; ci sembrava di essere una sola famiglia, molto numerosa: conoscevamo gli stessi canti, avevamo gli stessi ideali e soprattutto il motivo per cui eravamo là era uno solo. Il percorso a piedi tra piazza San Pietro e piazza di Siena ci è sembrato interminabile. Ma la carica ricevuta era pari a quella del primo viaggio a Lourdes: non ci sono parole per spiegare agli altri ciò che si prova. Un giorno un parroco ci ha detto che a Lourdes viene la “lourdite”, ed è vero. E a Roma ci è venuta la “acierrite”! E allora grazie a tutti: per averci dato la possibilità di fare questo

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■ Politici e buon esempio Carissimo direttore, sono moglie, mamma, catechista. Vivo oggi

una situazione di totale confusione nel giudicare la nostra classe politica e i suoi comportamenti. Personalmente credo che chi ha delle responsabilità (genitori, insegnanti, catechisti, sacerdoti…) abbia il dovere di dare sempre il buon esempio; ma oggi fatico a vedere nei nostri politici persone oneste, serie, che mettono la loro posizione e il loro potere a servizio della comunità. g [...] ■ Antonella Crivaro, Bussolengo (Verona) ■ Educazione, si parte

Finalmente, dopo un lungo periodo di preparazione, si parte con il decennio che la Chiesa dedica all’educazione. Mi sembra un tema in continuità con quanto già si fa, in casa, a scuola, nelle nostre parrocchie. Ma una sottolineatura più marcata ci voleva proprio. E le indicazioni giunte da Pierpaolo Triani sull’ultimo numero di Segno sono davvero g appropriate. ■ Augusta Sava


perché credere

10/La fuga

Gesù, viaggiatore in terra

straniera

“luoghi” di Gesù: con questo filo, Segno ha legato le riflessioni sul “Perché credere” offerte in questo anno. La stalla, il tempio, il pozzo… sono stati via via luoghi in cui Gesù ha intessuto relazioni, ha offerto parole di speranza, ha compiuto gesti di salvezza. La riflessione di fine 2010, parte da un “non luogo”: ...uno spazio privo delle espressioni simboliche di identità, relazioni e storia: esempi di tali “non luoghi” sono gli aeroporti, le autostrade, le anonime stanze d’albergo, i mezzi pubblici di trasporto (Z. Bauman). Anche questo non luogo – la fuga in Egitto – diventa, nella logica evangelica, un “luogo educativo”. Se leggiamo con attenzione i quarantotto versetti dei primi due capitoli del Vangelo di Matteo, L’uscita dall’Egitto è l’evento fondante della storia di un popolo la tradizionale retorica liberato, che riconosce nell’amore natalizia del dolce gratuito di Dio non solo la propria Natale fatto di luci, origine, ma anche la sorgente del canti, intimità familiare – che ha fatto scivolare proprio sviluppo e della propria quel fatto di Betlemme felicità. Senza libertà e senza la nell’alone d’una favola possibilità di usufruire dei beni infantile, in una parendella terra, l’uomo è umiliato, tesi sentimentale e calpestato nella propria dignità. nostalgica che fa bene Cristo ne ripercorre nella corsa dura della emblematicamente le tappe, incarnando sofferenza e salvezza, vita – si sfarina per lasciare intravedere oppressione e liberazione, una cupa trama: Gesù emigrazione e rimpatrio

di Antonio Mastantuono

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nasce in una grotta-stalla, è deposto non in una culla ma in una mangiatoia; l’incubo di una repressione sanguinaria (la “strage degli innocenti”) incombe su di lui e la sua famiglia deve imboccare la via della clandestinità, riparando nel confinante Egitto. Le scarne parole evangeliche sono più preoccupate di offrire un’interpretazione teologica di quella fuga che non di documentarne e motivarne le pur reali componenti storiche. Il testo di Matteo, ricordando la fuga di Gesù minacciato di morte da Erode, fa riferimento all’esodo di Israele dall’Egitto: la grande fuga dalla schiavitù verso la terra della libertà, dove “scorrono latte e miele”. L’uscita dall’Egitto è l’evento fondante della storia di un popolo liberato, che riconosce nell’amore assolutamente gratuito di Dio non solo la propria origine, ma anche la sorgente del proprio sviluppo, del proprio benessere, della propria felicità. Senza libertà e senza la possibilità di usufruire dei beni della terra, l’uomo è umiliato, calpestato nella propria dignità, vilipeso. Cristo ne ripercorre emblematicamente le tappe, incarnando sofferenza e salvezza, oppressione e liberazione, emigrazione e rimpatrio. Gesù, sembra suggerire l’evangelista, è il “nuovo Mosè”, predetto da Dt 18,15; anzi, più grande di Mosè, perché compie un’opera di liberazione più importante e decisiva non solo a favore di Israele, ma dell’intera umanità. La discesa e il ritorno dall’Egitto adombrano la missione di Gesù che riprende le fila della storia passa-

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perché credere ta per ricomporle, nella sua persona e nella sua opera, in unità. Nello stesso tempo, l’evangelista annuncia, in maniera discreta, la Pasqua di Gesù, l’ultimo esodo che egli compie con la morte e il ritorno in vita nella risurrezione, e con il passaggio da questo mondo al Padre, aprendo così agli uomini la via della piena e perfetta libertà. La fuga in Egitto sta a dire che Dio è là dove l’uomo è in pericolo, là dove l’uomo soffre, là dove fugge, dove sperimenta l’insicurezza e l’abbandono, ed è Dio s’è messo in compagnia dei anche là dove l’uomo profughi d’ogni epoca e conosce, perché le ha provate su di sé, tutte sogna, progetta, decide e sceglie per la vita e la le umiliazioni dell’ingiustizia e dell’oppressione. Dio s’è messo in dignità sua e dei suoi cari. compagnia di ogni uomo chiamato Nell’ultimo periodo della sua vita, Renato Guttuso fu a vivere la sua condizione di invitato ad affrescare una nomade e pellegrino delle cappelle del percorso che sale al famoso Sacro Monte di Varese. Gli fu affidata – appunto – la scena della Fuga in Egitto – un tópos dell’iconografia cristologica che ha affascinato artisti come Giotto, Tintoretto, Caravaggio… – ed egli decise di raffigurare Maria, Giuseppe e il piccolo Gesù come una famiglia di profughi palestinesi, spauriti, costretti ad abbandonare la loro casa errando nel deserto. Applicazione tutt’altro che artificiosa delle tormentate storie degli immigrati, dei nomadi, dei clandestini, che occupano i nostri giornali, alla vicenda del bambino Gesù di Betlemme. Incarnandosi, Dio ha assunto tutta la nostra vicenda e ha voluto condividere e provare l’esperienza tragica della violenza, del dispotismo, dell’emarginazione, della persecuzione e dell’assassinio politico. Dio s’è messo in compagnia dei profughi d’ogni epoca e conosce, perché le ha provate su di sé, tutte le umiliazioni dell’ingiustizia e dell’oppressione. Dio s’è messo in compagnia di ogni uomo chiamato a vivere la sua condizione di nomade e pellegrino. La vita di Gesù comincia così, da nomade, in esilio. Come immigrato, profugo. Spostandosi da un luogo all’altro. Sarà così anche in futuro. In continuo movimento. Senza una casa dove abitare. Allontanato dalle

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città... morirà fuori le mura di Gerusalemme capitale! La “fuga in Egitto” contiene un messaggio che interpreta, anche oggi, il senso dell’esistenza umana e della storia. Senso riassumibile nelle parole: «Siamo stranieri e pellegrini sulla terra… Non abbiamo quaggiù una città stabile!»; «la nostra patria è nei cieli». L’uomo è essenzialmente un nomade, un pellegrino nel tempo e nello spazio; migrante non è solo chi lascia la sua casa e la sua terra per cercare fortuna in terre lontane; siamo tutti nomadi: figli di Abramo – «Arameo errante» – che esce dalla sua terra e va verso un paese ignoto, prototipo non solo dei credenti, ma dell’intera umanità. C’è un’unità temporale dentro la quale ci muoviamo – come fa l’astronauta all’interno della sua navicella spaziale – e ci spostiamo nel tempo. Si tratta, anche per noi, di un modulo navigante carico di potenzialità attuali e virtuali, ognuna delle quali ha un nome: ieri, domani; passato, presente, futuro; ora, dopo; giorno e notte, alba e tramonto. Quest’unità temporale, questo modulo entro il quale viviamo, si chiama giorno: un’unità migrante che pone tutti gli uomini, senza alcuna eccezione, nella situazione di perenni migranti, anche se la loro vita si dovesse snodare sempre nella stessa angusta particella dello spazio. L’oggi, il presente, è attesa, ansia nel grande mistero dell’esistenza. L’oggi è la porzione di un essere – exsistere – che pensiamo debba estendersi al di là della siepe di leopardiana memoria, sino all’infinito. In questo frammento di essere, godiamo e soffriamo la nostra vita di individui e di collettività: nomadi perenni, provenienti da un’etnia arcaica non sempre rintracciabile nel nostro ieri. Nomadi sempre in cammino verso un domani, che ci sforziamo di prevedere e di preparare secondo una logica più difensiva che fruibile, per la paura che costantemente ci assale. Perché tanta paura? Perché con la sola intelligenza umana, senza la fede, non sappiamo da che cosa sia derivata la nostra avventura di viventi (e viventi che hanno coscienza di esserlo), né chi abbia avuto la strana idea di catapultarci nell’immenso palcoscenico dello spazio. «Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe»: Giuseppe nel suo sogno non vede, ma sente. Un


perché credere La fuga in Egitto di Renato Guttuso (Sacro Monte di Varese)

sogno di parole. È quello che è concesso anche a noi: Dio cammina accanto alle nostre paure con la sua Parola, cammina con tutti i rifugiati, e con chi dà loro soccorso, con un sogno di parole, un sogno di Vangelo. «Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto»: un Dio che fugge nella notte! Un Dio che comanda di fuggire senza garantire un futuro, senza segnare la strada e la data del ritorno! Perché Dio non salva dalla sofferenza ma nella sofferenza, non salva dalla morte ma nella morte, non protegge dalla notte ma nella notte. Per tre volte Giuseppe sogna. Ogni volta un annuncio parziale, una profezia di breve respiro. Eppure per partire non chiede di aver tutto chiaro, di vedere l’orizzonte, ma solo «tanta luce quanto basta al

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primo passo» (H. Newman), tanta forza quanta ne serve per la prima notte. È la sua fede e la nostra fede: sappiamo che nel mondo comandano i più forti e i più violenti, sappiamo che molti come Erode siedono su un trono di morte, sappiamo che la vita è un’avventura di pericoli, di strade, di rifugi e di sogni, ma sappiamo che dietro a tutto questo c’è un filo rosso il cui capo è saldo nella mano di Dio. Sappiamo che in ogni vita c’è un sogno di Dio che va lentamente incarnandosi: «Come sono precari i piloni sui quali la nostra fede avanza/Nessun ponte quaggiù oscilla così /Eppure nessuno ha una simile folla. È vecchio come Dio /infatti / fu costruito da lui. Egli mandò suo figlio a saggiare le assi /E lui le dichiarò solide» (E.E. Dicking son). ■

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la foto

PERCHÈ LA STORIA INSEGNI

27 GENNAIO 2011: GIORNATA DELLA MEMORIA




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