Scena bonus de "La carezza del destino"

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Scena bonus da "La carezza del destino" L’ultima ora era il laboratorio di fotografia, ubicato nell’ingresso della scuola. Era una delle lezioni che


preferivo perché mi rilassava. Avevo sempre nutrito una forte passione per la fotografia e, nella semi oscurità, potevo concentrarmi sui miei pensieri. Prima che il professore spegnesse tutte le luci, salutai con un sorriso la mia amica Rhiannon Patterson, una dolce ragazza che conoscevo da qualche anno e con cui condividevo la passione per la fotografia. Era molto carina, bionda e con un sorriso davvero coinvolgente. Rhiannon aveva un dono naturale per la fotografia ed era tra le più promettenti del corso, anche se le mie foto non erano niente male. La prima volta, ci eravamo ‘viste’ entrambe attraverso gli obiettivi delle nostre fotocamere, all’età di tredici anni. Ero al lago con Peter e lui si era chiesto perché avevo preso a ridere senza un’apparente ragione. E, ancora peggio, perché la ragazza con le trecce che si stava avvicinando rideva a sua volta. Lei ci aveva portati a casa sua, per mostrarci i suoi scatti nella camera oscura del suo scantinato. I miei mi avevano promesso che avremmo allestito una piccola camera oscura in casa nostra, ma iniziavo a sospettare che fossero parole al vento. Realizzarla sarebbe stato troppo caro e in casa c’era sempre qualche altra spesa da fare. Nel buio totale della camera oscura, passai a Fate la sua macchina fotografica. Per le lezioni di fotografia usavamo quelle a pellicola fornite dalla scuola. Dopo aver inserito la mia pellicola nel contenitore sigillato alla luce che avevo di fronte, l’insegnante accese le luci rosse, facendo sembrare i miei compagni di classe anonime ombre dall’aspetto sinistro. Ognuno di noi aveva scattato delle foto a degli animali per il compito del professor Madison, che avrebbe premiato la più suggestiva con un punteggio extra nel voto finale. Io avevo ritratto uno scoiattolo su un ramo che sfiorava il lago. Fate invece aveva scattato un primo piano del suo splendido cavallo, Hope. Mi era sempre piaciuto come suonavano i loro nomi insieme. Fate e Hope fato e speranza. Un accostamento affascinante. L’odore delle sostanze chimiche era così forte da dare alla testa. I liquidi per lo sviluppo erano gli stessi che usavamo poi per l’arresto dello sviluppo e il fissaggio dell’immagine sulla pellicola. Consegnai il mio contenitore a Mr. Madison, che li stava sciacquando per noi nel lavandino, presi una striscia di negativi che avevo sviluppato nella lezione precedente, e usai l’ingranditore per ingrandire una delle immagini su un foglio fotografico. Continuavo a ripensare a Evan. Chissà quando lo avrei rivisto. Rabbrividii, la pelle solleticata da un soffio d’aria fresca. Eppure non c’erano finestre aperte… Tornai a concentrarmi sul mio progetto. A concentrarmi su Evan. Perché continuavo a pensare così insistentemente a lui? Come un veleno, mi era entrato nella mente e non riuscivo più a ragionare. Persino in quel momento la sua presenza era un fatto, che non riuscivo a ignorare. Sentivo che era proprio lì, di fianco a me. D’istinto, mi voltai per controllare, anche se solo l’idea era semplicemente assur… mi bloccai. I miei sensi non mi avevano mentito. Evan era davvero accanto a me. Sentii il battito accelerare. Perché era lì? Frequentava anche il corso di fotografia, adesso? E come mai era venuto solo all’ultima lezione? Ma, ancora peggio, da dove era entrato? Ero sicura che non ci fosse prima che il professore spegnesse tutte le luci… Lo fissai, incredula, e lui ricambiò il mio sguardo insistentemente. Con un’audacia inaspettata, mi accarezzò il braccio e io rabbrividii. Il cuore mi batteva forte nel petto. Ignorando il mio turbamento, Evan mi prese la mano e studiò le nostre dita intrecciate. Poi si avvicinò dietro di me, così vicino da stordirmi. Cercai di controllare il respiro, vinta dall’emozione. Immersi i fogli nelle sostanze chimiche per farli asciugare e lui seguì i miei movimenti, accompagnando le mie mani. Guardai i negativi, ma non riuscivo a concentrarmi. Le sue dita continuavano ad intrecciarsi alle mie, per poi accarezzarmi le braccia. I suoi movimenti erano lenti, come se stesse studiando ogni mio movimento, ogni vibrazione scatenata al tocco


delle nostre mani. Sfiorò il naso contro il mio collo e lo sentii prendere un respiro profondo, proprio dietro di me, scatenando un brivido sulla mia nuca. Che stava succedendo? Perché Evan si comportava così? E perché io lo lasciavo fare? Chiusi gli occhi e mi abbandonai alle emozioni. «Che ci fai qui? » mormorai sottovoce. Lui rimase in silenzio, ma poi si decise a rispondermi. «Io non posso resisterti.» Rabbrividii, al suono del suo sussurro nel mio orecchio. «Hai detto qualcosa?» La voce di Fate mi ridestò dall’incantesimo. «Come?» replicai, imbarazzata. «No, io… » Mi girai di scatto, shockata. Evan non c’era. Com’era possibile? «Passami quei fogli fotografici, per favore. Ehi, che ti prende? Hai visto un fantasma?» scherzò lei, ma io non la sentivo. Il cuore mi batteva all’impazzata. Respirai, ma l’odore delle sostanze chimiche mi fece girare la testa; e poi le luci rosse, le ombre dei miei amici… mi sentii sul punto di svenire e corsi via, nel corridoio. Alla luce. Le proteste dei miei compagni mi seguirono per aver aperto la porta della camera oscura, ma non mi importava. Corsi in bagno e mi appoggiai al lavandino, serrando le mani sulla plastica grigia, con la testa abbandonata verso il basso. Cos’era successo? Avevo immaginato tutto? Era come se avessi vissuto un sogno a occhi aperti. Un sogno nella realtà. Se fosse stato un sogno horror o romantico, però, non riuscivo a stabilirlo. La presenza di Evan era ovunque, come se fosse uno spirito venuto a tormentarmi. Mi dava la caccia. Aprii il rubinetto e mi gettai dell’acqua fresca sulla faccia. Mi sembrava assurdo. Evan non era nemmeno venuto a scuola, quel giorno. Possibile che il mio desiderio di lui fosse così forte da provocare le allucinazioni? La mia mente si rifiutava di accettare che lui non fosse stato davvero lì e il mio corpo ne era testimone. Mi aveva toccata. Il suo tocco su di me era reale. Ogni parte di me lo aveva percepito. Io non posso resisterti. E la sua voce? L’avevo sentita di nuovo nella mia testa? Da quando Evan era entrato nella mia vita, tutto era diventato folle e irrazionale… ma pieno di incredibili emozioni. Fissai la mia immagine allo specchio, sullo sfondo le porte blu dei bagni. Avevo appena vissuto la scena del film Ghost con uno sconosciuto. Ed era stato bellissimo… e magico. Stavo diventando pazza. Era ufficiale. Eppure, che un avvenimento sia realtà o sogno, che importanza può mai avere se lo vivi davvero? Comunque lo chiami, esiste. È un’emozione che provi. Un ricordo che conservi. E io, qualunque cosa fosse successa, avevo provato quelle sensazioni.


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