TerrAmica Num. 12 - 2020

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ANNO VII

N° 12

BIOSTIMOLANTI PER L'ORTICOLTURA UN NUOVO PERICOLO PER I NOSTRI CANI GLI ALBERI IN CITTA': PREGI E SVANTAGGI COMPRARE UN CAVALLO: CONSIGLI

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EDITORIALE 4 5

Il Crowdfunding, la nuova forma di Flavio Rabitti di finanziamento Uno sguardo al Comitato di Redazione COLTIVAZIONI

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sommario

Biostimolanti per un'orticoltura sostenibile Alla scoperta dei peperoncini selvatici

di Eugenio Cozzolino di Ilona Stankyavychene

ZOOTECNIA 15

L'Oca di Boemia

di Federico Vinattieri

ANIMALI DA COMPAGNIA

Biostimolanti, per un'orticoltura sostenibile

Il Morbo di Aujeszky: un pericolo per il cane!

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di C. Papeschi e L. Sartini

AGROALIMENTARE ITALIANO Il ruolo importante del degustatore di vino Il formaggio in cucina Le storie del cibo: Le cipolle • La ricetta: La zuppa di cipolle toscana

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Le alberature urbane

Un nuovo pericolo per il cane

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di Marco Sollazzo di Cesare Ribolzi

di Pasquale Pangione

AMBIENTE, FORESTE E NATURA 32

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TerrAmica - Rivista Associazione di Agraria.org Sede legale: Via di Ripoli, 31 - 50126 - Firenze C.F. 94225810483 - associazione@agraria.org www.associazione.agraria.org

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La certificazione forestale PEFC e FSC Le alberature urbane Comprare un cavallo Novità fiscali: lo scontrino elettronico

di Luca Poli di Marco Giuseppi di Gemma Navarra di Ivano Cimatti

SPECIALE ISTITUTI D'ITALIA 48 52

L'Istituto Agrario "Alberto Parolini"

di Flavio Rabitti

ASSOCIAZIONE DI AGRARIA.ORG

Foto copertina: Leonardo Graziani

ANNO VI - N° 12 - GENNAIO 2020 DIRETTORE EDITORIALE: FLAVIO RABITTI

Impaginazione e grafica: Flavio Rabitti

Direttore responsabile: Marco Salvaterra

Reg. Tribunale di Firenze nr. 3876 del 01/07/2014

Periodicità: Semestrale

Stampa: Tipografia Baroni e Gori srl Via Fonda di Mezzana, 55/P 59100 - Prato

Redazione: Cristiano Papeschi (Responsabile scientifico Zootecnico), Eugenio Cozzolino (Responsabile scientifico Coltivazioni), Marco Salvaterra, Marco Giuseppi, Flavio Rabitti, Luca Poli, Lapo Nannucci

Sommario

Gli autori si assumono piena responsabilità delle informazioni contenute nei loro scritti. Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista e la sua direzione.

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Il Crowdfunding, la nuova forma di finanziamento

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crowdfunding sono aumentate del 108%, con un aumento della raccolta pari ad un +85%. [...] La ricerca ha anche mostrato che il settore del crowdfunding italiano è in continua crescita [...]". Tutto ciò non deve far pensare che iniziare un progetto, proporlo attraverso una piattaforma online specifica e riuscire a totalizzare migliaia di Euro per dar vita all'attività sia così facile come può emergere da una valutazione sommaria dei dati statistici. Come sempre c'è bisogno di spirito imprenditoriale, idee originali, progetti che pos-

alla seconda metà degli anni Novanta, quando iniziarono a diffondersi delle raccolte di fondi online per progetti di beneficenza. Successivamente, nei primi anni Duemila, nacquero dei portali web all'interno dei quali era possibile erogare prestiti di piccola entità. Vi sono numerose tipologie di crowdfunding, fra le quali le principali sono: donation, equity, reward e royalty. La prima si presta più alle realtà no-profit, mentre le altre tre sono più conformi alle attività aziendali. Da uno studio dell'Università Cattolica del Sacro Cuore condotto dalla Prof.ssa I. Pais (Il Crowdfunding in Italia. Report 2015, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, 2015) emerge che «è quasi raddoppiata la cifra complessiva raccolta dalle campagne di crowdfunding: [...] 56,8 milioni di Euro. [...] Le proposte di progetti di

sano risultare interessanti per i potenziali investitori e - ovviamente - le capacità per realizzarli. E' importante però conoscere ed approfondire queste innovative forme di finanziamento, che possono consentire alle nuove attività (e penso soprattutto a quelle avviate da giovani imprenditori agricoli) di usufruire di fondi che altrimenti sarebbero molto difficili da intercettare.

Editoriale

all'inglese "crowd" (folla) e "funding" (finanziamento), il crowdfunding (finanziamento della folla) non è altro che un finanziamento collettivo che consente a chi ha idee o necessità di sostenerle, raccogliendo i fondi necessari da una moltitudine di persone online; in cambio vengono offerti ai propri sostenitori delle ricompense di natura finanziaria o non finanziaria. Anche se non è un sistema di finanziamento molto conosciuto (almeno in Italia), in realtà il fenomeno non è affatto nuovo; le prime vere tracce di crowdfunding risalgono

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Flavio Rabitti Direttore editoriale Rivista TerrAmica

Editoriale


Uno sguardo al Comitato di Redazione di TerrAmica Cristiano Papeschi (Responsabile Scientifico Settore Zootecnico): laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università di Pisa, specializzato in Tecnologia e Patologia degli Avicoli, del Coniglio e della Selvaggina presso l’Università di Napoli, è attualmente in servizio presso l’Università degli Studi della Tuscia (Viterbo); già collaboratore di numerose riviste tecniche a carattere zootecnico e veterinario, membro di comitati scientifici e di redazione. Eugenio Cozzolino (Responsabile Scientifico Settore Coltivazioni): diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “De Cillis” e laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli “Federico II, lavora presso il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura. Marco Giuseppi: diplomato all'Istituto Tecnico Agrario e laureato magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali all'Università degli Studi di Firenze. Segretario dell'Associazione di Agraria.org e responsabile progetti Erasmus+ (youth exchange e Servizio Volontario Europeo). Svolge la libera professione di Dott. Agr. e Forestale collaborando con diversi studi agronomici. Luca Poli: diplomato all’Istituto Tecnico Agrario e laureato magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali presso l’Università degli Studi di Firenze. Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Firenze. Riveste il ruolo di presidente dell'Associazione e svolge le mansioni di webmaster della Rivistadiagraria.org e del Catalogo online delle aziende agricole. Lapo Nannucci: diplomato presso l'Istituto Tecnico Agrario e laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie alla Facoltà di Agraria di Firenze, è iscritto all’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Firenze; libero professionista consulente esterno presso Associazioni di categoria, Università, Enti di Ricerca ed imprese del settore zootecnico, della pesca e dell’acquacoltura. Particolare esperienza nel settore della pesca dei piccoli e grandi pelagici. Marco Salvaterra: laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria di Bologna, è docente presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze; dal 2000 si occupa di divulgazione in campo agricolo attraverso il network Agraria.org che comprende, fra le altre cose, un Catalogo di Aziende Agricole, uno di Allevatori, una Rivista quindicinale online ed un Forum del settore. Flavio Rabitti (Direttore editoriale): diplomato all’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze e laureato in Tutela e Gestione delle Risorse Faunistiche alla Facoltà di Agraria di Firenze; dal 2009 iscritto all’Albo regionale degli Imprenditori Agricoli. Gestisce una piccola azienda agricola in Toscana a Suvereto (LI), all’interno della quale produce vino, olio extravergine di oliva, miele, ed una serie di prodotti artigianali al tartufo (www.rabitti.eu).

Editoriale

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Biostimolanti per un’orticoltura sostenibile L'orticoltura è il principale comparto agricolo in cui l'elevata redditività delle colture induce ad utilizzare i biostimolanti; scopriamo gli effetti indotti dall'applicazione di questi prodotti sui parametri morfo-fisiologici delle piante di

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Eugenio Cozzolino

Coltivazioni

n un precedente articolo su questa rivista abbiamo presentato i biostimolanti, li abbiamo classificati e abbiamo descritto sinteticamente le modalità di azione. In questa nota invece tratteremo degli effetti indotti dall'applicazione dei prodotti sui parametri morfo-fisiologici delle piante in orticoltura prendendo spunto dalla lettura del libro "Biostimolanti per un'agricoltura sostenibile” curato da Giuseppe Colla e Youssef Rouphael, rispettivamente docenti presso l'Università della Tuscia di Viterbo e della Federico II di Napoli. Nel libro vengono approfonditi gli aspetti applicativi delle sostanze e dei microrganismi ad azione biostimolante su colture cerealicole, oleaginose, proteaginose, orticole e frutticole evidenziando , alla luce dei risultati riportati nella letteratura scientifica internazionale, i benefici ottenibili dall'applicazione dei biostimolanti sulle colture in termini di maggiore resistenza agli stress abiotici, di incremento dell'efficienza d'assorbimento e assimilazione dei nutrienti e di miglioramento della qualità del raccolto. Nel nuovo Regolamento europeo sui fertilizzanti i biostimo-

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lanti delle piante sono definiti come qualunque "prodotto che stimola i processi nutrizionali delle piante indipendentemente dal suo tenore di nutrienti, con l'unica finalità di migliorare una o più delle seguenti caratteristiche della pianta o della rizosfera della pianta: a) efficienza dell'uso dei nutrienti; b) tolleranza allo stress abiotico; c) caratteristiche qualitative; d) disponibilità di nutrienti confinati nel suolo o nella rizosfera". I biostimolanti sono quindi definiti sulla base degli effetti agronomici e non rispetto alla loro natura o alla modalità di azione. Il Regolamento identifica due categorie di biostimolanti: 1) Biostimolanti microbici delle piante: costituiti esclusivamente da un microrganismo o un consorzio di microrganismi (Azotobacter spp, Funghi micorrizici, Rhizobium spp, Azospirillum spp) 2) Biostimolanti non microbici delle piante: comprendono tutti i biostimolanti che non rientrano nella precedente categoria e, sebbene ad oggi il regolamento non abbia ancora indicato le tipologie di biostimolanti comprese, dovrebbero rientrare tra questi biostimolanti le sostanze umi-

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che, gli idrolizzati proteici, gli estratti vegetali e di alghe e gli elementi minerali benefici come il silicio. Il nuovo Regolamento europeo sui fertilizzanti dovrebbe essere operativo dal 2022.

Impiego dei biostimolanti in orticoltura L'orticoltura è il principale comparto agricolo in cui l'elevata redditività delle colture induce ad utilizzare i biostimolanti per migliorare la produttività, sostenibilità dei processi produttivi e la qualità del prodotto. Da una recente indagine condotta in Italia su un panel di 4000 aziende agricole è emerso un trend positivo sull'impiego dei biostimolanti e un loro uso nel 45% dei casi su colture orticole, nel 34% sulla vite, nel 27% su seminativi autunno-vernini, nel 21% sulle colture frutticole, nel 17% sui seminativi primaverili e nel 13% sulle colture industriali. Nella maggioranza dei casi (76%) i biostimolanti sono utilizzati per aumentare la resistenza agli stress ambientali e nel 69% per migliorare la qualità del prodotto. Gli estratti d'alga sono i prodotti più utilizzati (76%), seguiti

Coltivazioni


dagli idrolizzati broccolo, rucola, proteici (61%) ravanello) e delle e dagli acidi Chenopodiaceae umici-fulvici (es bietola da ta(52%), mentre glio, spinacio) a meno rapprevalori molto elevati sentati sono i (>90%) per le colprodotti microture che presenbici, utilizzati tano un apparato solo nel 20% radicale poco svidei casi. Nelle luppato (es aglio produzioni ortie cipolla) o povero cole, l'apporto di capillizio radidi biostimolanti cale come quello è finalizzato al fittonante di diverraggiungimense specie ortive a to di uno o più semina diretta (es dei seguenti carota, finocchio, obiettivi: favofava, pisello). La rire una rapirisposta delle colda emergenza ture agli inoculi delle plantule o di funghi micorriun veloce supezici varia anche ramento della nell'ambito della crisi di trapianstessa specie. to; anticipaUno studio effetre l'entrata in tuato su otto culproduzione; tivar di peperone, incrementare inoculate con prola crescita, la paguli di due funfioritura, l'alleghi micorrizici, ha gagione e l'acevidenziato che crescimento dei solo cinque cultifrutti; migliorare var rispondevano la qualità del positivamente alla prodotto; aumicorrizazione mentare l'effiaumentando la cienza d'uso produzione di bioIl libro “Biostimolanti per un’agricoltura sostenibile” a cura di Giuseppe dei nutrienti e la massa secca delle Colla e Youssef Rouphael tolleranza agli piante rispetto al stress ambientali. Il raggiungimento utilizzato nella coltivazione. Le col- controllo non trattato. di tali obiettivi dipende non solo dal ture inoculate con funghi micorrizici B) Agronomici: pratiche colturali tipo di biostimolante utilizzato, dal- arbuscolari manifestano una diversa come le lavorazioni, l'irrigazione, la le modalità di applicazione e dalla suscettibilità alla micorrizazione, per concimazione e la difesa fitosanitaria dose apportata, ma anche dall'inte- cui la loro crescita e produttività pos- possono influenzare l'attività dei biorazione del biostimolante con i fattori sono variare significativamente in stimolanti. Le lavorazioni frequenti rigenetici, agronomici e ambientali. funzione del tipo di interazione con ducono l'attività dei funghi micorrizici i miceti. La dipendenza delle colture mentre la minima lavorazione perQuali fattori influenzano alla micorrizazione può variare da mette lo sviluppo di un ampio reticol'efficacia del biostimolante zero, per le colture che non svilup- lo ifale che incrementa la capacità di A) Genetici: L’attività dei biostimo- pano simbiosi con le micorrize tipo le assorbimento dei nutrienti e dell'aclanti dipende in primis dal genotipo Brassicaceae (es cavolfiore, cavolo qua delle piante micorrizate. Elevati

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apporti di fosforo solubile riducono la suscettibilità delle piante alla micorrizazione. L'apporto di inoculi di funghi micorrizici può essere associato alla concimazione organica con effetti positivi. Si evidenzia infatti in questo caso una maggiore micorrizazione radicale rispetto alle piante concimate solamente con concimi minerali. In generale, gli apporti consistenti e ripetuti nel tempo di sostanza organica a elevato grado di umificazione, unitamente all'uso di rotazioni colturali con specie micorrizabili, favorisce l'insediamento di una popolazione autoctona di microrganismi e questo riduce la necessità di apportare inoculi microbici esogeni. I trattamenti con fitofarmaci possono inibire l'efficacia degli inoculanti microbici, anche se in genere gli insetticidi, gli acaricidi, i nematocidi e gli erbicidi esercitano un effetto nullo mentre effetti negativi si hanno con l'applicazione di fumiganti es. Metam sodio e Dazomet e fungicidi es. Fenarimol, Mancozeb. C) Ambientali: le caratteristiche pedoclimatiche dell’ambiente di coltivazione condizionano notevolmente l’attività dei biostimolanti. Suoli argillosi e soggetti a frequenti ristagni idrici, valori di pH acido o alcalino, alta salinità e dotazione elevata di elementi nutritivi nel suolo riducono la micorrizazione radicale. L’assorbimento delle sostanze biostimolanti per via fogliare è un processo passivo che avviene nell’arco temporale in cui le sostanze sono in soluzione e questa condizione è fortemente influenzata dall’umidità relativa dell’aria. Un'adeguata umidità inoltre favorisce l’apertura degli stomi (principali vie di accesso delle macromolecole organiche apportate dai biostimo-

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lanti) e garantisce l’idratazione dei tessuti con conseguente formazione di pori idrofili, che attraversano la cuticola fogliare e permettono l’accesso nei tessuti sia dell’acqua che di molecole organiche più piccole e nutrienti minerali apportati in soluzione sulle foglie. Per garantire un elevato livello di assorbimento fogliare delle sostanze biostimolanti è opportu-

tute di sostanze biostimolanti sono quelle che garantiscono i migliori risultati in termini di efficacia sulla coltura, soprattutto se sono precedenti a eventi di stress. In questi casi alcuni composti che sono contenuti nei biostimolanti, come gli oligosaccaridi, i peptidi e l’acido silicico, inducono sulla pianta uno stato di pre-allerta (effetto priming) grazie al

no che l’applicazione del prodotto sia effettuata nelle ore centrali della giornata, ma soltanto se l’umidità relativa dell’aria è molto elevata. In mancanza di tale condizione è più opportuno effettuare il trattamento nelle prime ore della mattina o nel tardo pomeriggio.

quale la pianta è in grado di reagire più velocemente allo stress. Anche i funghi micorrizici e il Trichoderma spp. possono indurre un effetto priming attivando una resistenza in corrispondenza delle radici. Anche le applicazioni di sostanze biostimolanti successive all’evento di stress possono essere di aiuto per la ripresa della pianta dopo il danno. L’induzione di resistenza determinata dai biostimolanti può anche incrementare la resistenza delle colture agli stress abiotici. Applicazioni fogliari di estratti di alghe possono ridurre i danni causati da patogeni fungini e batterici (es Alternaria spp., Botrytis cinerea, Didymella spp., Fusarium spp., Sclerotinia spp., etc) e parassiti (ragnetto rosso, nematodi) in diverse colture (carota, cetriolo, cipolla, fagiolo, patata, pomodoro, pepero-

Dose e modalità di applicazione del biostimolante Il biostimolante esercita un effetto dose-dipendente sulle piante. Dosi crescenti inducono un aumento della risposta della coltura in termini di biomassa, di produzione fino a un valore massimo che corrisponde alla dose ottimale; al di sopra della dose ottimale la risposta della coltura diventa costante o decrescente per fenomeni di fitotossicità. Generalmente le applicazioni fogliari ripe-

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ne, fragola), e anche i trattamenti fogliari con idrolizzati proteici vegetali possono incrementare la resistenza della coltura ad alcuni patogeni fogliari (es peronospora). I funghi micorrizici e il Trichoderma spp., oltre a ridurre l'incidenza dei danni causati da patogeni fungini e parassiti radicali incrementano la resistenza della coltura a patogeni aerei come Alternaria spp., Botrytis cinerea etc. I biostimolanti microbici possono essere applicati alla semina o al trapianto. Nel primo caso l'inoculo può essere mescolato al substrato oppure distribuito insieme al seme quando si opera la semina diretta in campo, mentre con il trapianto l'inoculo va collocato quanto più vicino è possibile all'apparato radicale oppure sciolto in acqua quanto è possibile e imbibire le piantine zollate per qualche minuto.

e una maggiore resistenza a stress abiotici. I biostimolanti possono anche essere applicati direttamente al substrato come nel caso degli inoculi di funghi micorrizici, dei batteri promotori della crescita, delle sostanze umiche e degli idrolizzati proteici. Durante la crescita in vivaio delle piantine è anche possibile applicare sostanze biostimolanti per via fogliare o radicale. Orticoltura in pieno campo: Le applicazioni radicali di inoculi di funghi micorrizici all'impianto sono consigliati soprattutto in terreni caratte-

rizzati da anomalie fisico-chimiche e per colture a ciclo lungo. Per es. su pomodoro da industria coltivato su suolo calcareo (pH 7,7), l'applicazione di un inoculo Rhizoglomus irregulare BEG 72 al trapianto in prossimità dell'apparato radicale a una dose elevata (150 spore/pianta) ha ritardato la senescenza delle piante e incrementato la crescita, la fioritura, la produzione commerciabile e il contenuto di fosforo nei frutti, mentre nel controllo gli apporti di perfosfato fino a 120 kg/ha di P2O5, non sono risultati efficaci nel migliorare la pro-

Applicazione dei biostimolanti in orticoltura La scelta del tipo di biostimolante, della dose, del momento e della modalità di applicazione dipendono dalle finalità che si vogliono raggiungere in relazione alla coltura e alle specifiche condizioni pedoclimatiche e agronomiche. I risultati migliori si ottengono con un approccio che integra lungo tutta la filiera produttiva l'apporto di diverse sostanze e microrganismi in grado di esprimere un'azione sinergica e massimizzare l'effetto biostimolante. Vivaismo: I biostimolanti possono essere impiegati nella produzione di giovani piantine di specie ortive da trapiantare al fine di incrementare gli standard qualitativi, aumentare i ritmi di crescita e migliorare le performance post-trapianto del materiale vegetale. I biostimolanti sono spesso applicati sui semi dalle stesse aziende sementiere utilizzando estratti di alghe, idrolizzati proteici e microrganismi al fine di promuovere una rapida ed uniforme germinazione dei semi, un elevato vigore delle plantule

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Etichetta di un biostimolante commerciale con esempi di applicazione duzione e il contenuto di fosforo nei frutti. Incrementi di crescita e produzione sono stati riscontrati anche in piante di zucchino e lattuga inoculate al trapianto con una pastiglia contenente Rhizoglomus irregulare BeG72 e Trichoderma atroviride MUCL45362. L’apporto di funghi micorrizici oltre a incrementare la produzione può migliorare le caratteristiche qualitative del prodotto edule aumentandone il valore nutrizionale inteso come maggiore contenuto di solidi solubili nei frutti e di molecole ad azione antiossidante (polifenoli, carotenoidi e vitamine). Le sostanze biostimolanti come gli acidi umici e fulvici, gli idrolizzati proteici e gli estratti di alghe possono essere apportati a livello radicale mediante impianto di irrigazione a goccia per stimolare lo sviluppo radicale e l’efficienza di assorbimento dei nutrienti. Fertirrigazioni settimanali addizionati di acidi umici (0,5 l/ha per intervento con un prodotto commerciale contenente il 12% di acidi umici) hanno

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incrementato la biomassa aerea, l’area fogliare, il contenuto di clorofilla delle foglie e la produzione di pomodoro del 10% rispetto al controllo non trattato. Durante il ciclo colturale possono essere previsti trattamenti aggiuntivi a quelli iniziali con applicazioni fogliari di idrolizzati proteici, estratti di alghe e acido silicico. Orticoltura in ambiente protetto: l’uso dei biostimolanti trova maggiore diffusione nelle ortive in ambiente protetto a causa della più elevata redditività delle colture e delle condizioni ambientali più favorevoli per l’efficacia del prodotto. Nella serricoltura mediterranea, l’orticoltura è diffusa soprattutto in apprestamenti protetti low-tech, ossia serre e tunnel con copertura in film plastici e prive di sistemi di riscaldamento e con una limitata capacità di ventilazione. In queste condizioni le piante possono subire stress da elevata escursione termica, da eccessiva umidità relativa dell’aria e da ridotta intensità luminosa. Inoltre, l’elevata

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specializzazione colturale e l’uso di tecniche di coltivazione intensive causano una frequente perdita di fertilità dei suoli e salinizzazione dell’ambiente radicale con effetti negativi sulle colture. In questi contesti i biostimolanti possono contribuire significativamente a mitigare gli stress ambientali. In una prova condotta su zucchino inoculato o non inoculato al trapianto con una dose elevata di inoculo di Rhizoglomus irregulare BEG72 e irrigato con soluzione salina (1,8dS/m) o salina (5 dS/m), è stato riscontrato un aumento della tolleranza delle piante micorizzate alla salinità con un minor calo della produzione (-19%) al crescere della salinità rispetto alle piante non micorizzate (-36%), nonché un miglioramento dello stato nutrizionale del tessuti fogliari. Anche gli estratti di alghe possono migliorare la tolleranza della salinità delle colture su cima di rapa, dove le applicazioni fogliari settimanali di un estratto a base di Ecklonia maxima

Coltivazioni


alla dose di 3ml/l hanno aumentato la tolleranza alla salinità della coltura fino a livelli di cloruro di sodio pari a 3,5 g/l. L’apporto di biostimolanti può anche essere utile per favorire l’allegagione e l’accrescimento dei frutti nei periodi di coltivazione più freddi e con minor intensità luminosa. Per queste finalità sono da preferire gli estratti di alghe o gli estratti di piante oppure gli idrolizzati proteici ad attività auxino-simile, se si vuole favorire l’allegagione, oppure prodotti ad attività citochinino-simile e gibberellino-simile per promuovere l’acccrescimento del frutto, rispettivamente attraverso una stimolazione della divisione e dell’estensione cellulare. I biostimolanti migliorano le caratteristiche qualitative dell’ortaggio attraverso una stimolazione del metabolismo primario e secondario; essi possono indurre un’attivazione della fotosintesi con una maggiore disponibilità di fotosintetati sia per la crescita che per la biosintesi di

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composti nutrizionali. Trattamenti settimanali con un idrolizzato proteico vegetale hanno determinato un incremento della qualità del frutto di pomodoro attraverso un aumento del contenuto di solidi solubili (°Brix), di acido ascorbico e del licopene. In spinacio, l’applicazione settimanale di diverse sostanze biostimolanti (estratto di alga, estratto vegetale e idrolizzato proteico) ha determinato per tutti i biostimolanti testati un incremento di composti ad azione nutraceutica nelle foglie. L’idrolizzato proteico vegetale ha inoltre indotto la riduzione del contenuto di nitrati nelle foglie. L’applicazione ripetuta di sostanze biostimolanti (estratti di alghe e idrolizzati proteici) per ridurre i nitrati nelle foglie è interessante soprattutto nei periodi invernali, quando i nitrati si accumulano più facilmente a causa della bassa intensità luminosa. In conclusione di questo elaborato sintetico sull’utilizzo dei biostimolanti

in orticoltura possiamo dire che questi prodotti possono contribuire alla realizzazione di un modello di intensificazione sostenibile della produzione vegetale che a livello mondiale la FAO promuove per permettere agli agricoltori di produrre di più nello stesso terreno, aumentando le rese e, allo stesso tempo, preservare le risorse riducendo l’impatto negativo delle coltivazioni sull’ambiente. L’articolo è stato redatto integralmente consultando il libro “Biostimolanti-per un’agricoltura sostenibile” a cura di Giuseppe Colla e Youssef Rouphael. Edizioni l’Informatore Agrario. ISBN 978-88-7220-391-0

Dr. Eugenio Cozzolino eugenio.cozzolino @crea.gov.it

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Alla scoperta dei Peperoncini selvatici Originari del Sud America, possono essere coltivati con successo anche nei nostri climi con alcuni accorgimenti; scopriamo insieme le principali specie di queste belle ed affascinanti piante di Ilona

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Stankyavychene

peperoncini selvatici sono delle piccole bacche rosse che si staccano dalla pianta con molta facilità, dal sapore delizioso e con un bruciore forte ma istantaneo. Sono una vera e propria prelibatezza per gli uccelli che se ne cibano, anche se ovviamente non è il sapore dei frutti a catturare la loro attenzione. La maggior parte dei Capsicum wild (ovvero le varietà selvatiche dei pe-

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peroncini) è distribuita nelle foreste tropicali stagionalmente secche del Perù, Bolivia, Brasile mentre alcuni si trovano invece nei deserti del Messico e degli Stati Uniti ed i loro frutti sono una delle fonti nutritive per i piccoli vertebrati. Le piante selvatiche sono perenni nel loro habitat naturale, resistono abbastanza bene alle intemperie e si sviluppano all’ombra degli alberi ad alto fusto

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(disseminate dagli uccelli in cerca di rifugio dal sole cocente o trasportati dalle acque dei fiumi). Tra le piante infermieristiche le più diffuse sono i mesquite - diverse specie del genere Prosopis (ironwood) - Olneya tesota, Cassia che essendo delle leguminose, tendono anche ad accumulare e fissare l’azoto atmosferico; molte piante dei capsicum sono state trovate vicino ai cactus. I partico-

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Fiore di Capsicum eximium

Bacche di Capsicum rhomboideum

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Bacche di Chiltepin Amarillo lari del clima, della vegetazione e del suolo nelle zone di ritrovamento dei peperoncini selvatici ci fanno capire che in molti casi la causa principale degli insuccessi nella loro coltivazione è forse la tendenza ad equipararle alle specie domesticate. Queste piante selvatiche infatti richiedono poche concimazioni, acqua con moderazione e collocazione in posizioni ombreggiate. Alcune specie hanno bisogno di un lungo periodo di crescita per raggiungere la maturità necessaria per la fruttificazione (che è spesso molto limitata), mentre la germinazione dei semi non è regolare e molto lenta in alcuni casi. Eppure queste difficoltà non spaventano i veri collezionisti. Numerose sono le specie scoperte e classificate, anche se ancora moltissime piante si trovano in zone poco accessibili ed inesplorate fino ad adesso; purtroppo molti esemplari sono in pericolo di estinzione a causa dei cambiamenti climatici, urbanizzazione, costruzione di strade, aumento dei campi coltivati e delle aree di pascolo. Per soddisfare la nostra curiosità e il desiderio di ammirare ed assaporare, almeno in parte e a casa propria, la natura selvatica, possiamo coltivare le seguenti

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Bacche di piante "Ulupica"

specie del genere Capsicum della famiglia delle Solanaceae: Capsicum annuum var. glabriusculum, C. frutescens, C. baccatum var. baccatum, C. chinense, C. rhomboideum, C. lanceolatum, C. praetermissum, C. tovarii, C. eximium, C. cardenasii, C. chacoense, C. flexuosum, C. galapagoense. Ogni specie ha il fiore diverso, come lo sono anche i loro frutti per non parlare dei sapori inconfondibili. Non si può immaginare la cucina messicana, peruviana, cilena (e molte altre) senza la presenza del peperoncino. Alcuni peperoncini selvatici ne fanno parte da sempre, sono molto ricercati e costosi. Uno di loro è il Capsicum annuum var. glabriusculum, una specie diffusa in Colombia, in Messico e negli Stati Uniti e conosciuta con nomi locali diversi: chiltepin, chile piquin, pequin, flea chile, indian pepper, chilpaya e molti altri. Viene ampiamente raccolto a mano dalle piante selvatiche in Texas e nel deserto di Sonora. In Bolivia, invece, possiamo trovare i peperoncini selvatici localmente chiamati “Arivivi” e “Ulupica”. Gli Arivivi sono quelli caratterizzati da piccoli frutti rossi o arancioni dalla forma ellittica (come quelli di Capsicum chacoense e Capsicum baccatum

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var. baccatum). Gli Ulupica sono invece i peperoncini dalla forma sferica, con frutto piccolo e rosso; generalmente i frutti vanno raccolti ancora verdi o nelle prime fasi di maturazione, dato che i peperoncini maturi diventano succosi e fragili. Generalmente si usa il nome Ulupica per i frutti delle specie Capsicum eximium e Capsicum cardenasii che fanno parte del complesso C. pubescens e si ibridano tra loro molto facilmente, generando piante con fiori molto belli; questa è una delle caratteristiche più affascinanti dei capsicum wild. Creando la propria collezione delle varie specie del genere Capsicum, è possibile unire insieme i loro colori, aromi, sapori e piccantezze dando ampio spazio alla propria fantasia. Sperando di aver stuzzicato un pò la vostra curiosità, nel prossimo articolo vi racconterò la mia esperienza nella coltivazione di queste belle e affascinanti piante. Ilona Stankyavychene Moderatrice Sez. Piante Ornamentali Forumdiagraria.org

Coltivazioni


L'Oca di Boemia Quella piccola elegante Oca rotonda di

Federico Vinattieri

T

ra le tante razze di Oca, riconosciute ufficialmente dalla nostra Federazione Italiana delle Associazione Avicole (F.I.A.V.), ce n'è una molto molto particolare, sia per la sua storia, sia per la sua morfologia. Una razza abbastanza rara e poco conosciuta nel nostro Paese, ma che a mio parere meriterebbe molta più attenzione da parte degli appassionati avicoltori. Sto parlando dell'Oca Ceca, o come è stata recentemente ribattezzata "Oca di Boemia". Premetto di conoscere molto bene

questa razza, in quanto ne ho avuto esperienze dirette di allevamento per diversi anni, ottenendo con i miei esemplari anche il titolo di Campione regionale e di Campione italiano, presso il Campionato Nazionale di Avicoltura di Reggio Emilia nel 2015. Buona abitudine, quando si parla di una razza, è conoscerne l'origine e la storia.

Come è nata questa particolarissima Oca? In Boemia da sempre le Oche hanno avuto un ruolo da protagoniste. L'al-

levamento di questa specie è sempre stato presente e sviluppato nella parte centrale e occidentale della Repubblica Ceca. Durante le varie transumanze, venivano condotti branchi di centinaia di Oche da un pascolo all'altro. Queste venivano allevate sia per la produzione di carne, molto ricercata a quei tempi, ma anche per la produzione di uova. Erano perlopiù Oche autoctone di quelle zone, che poi però vennero incrociate con la più comune Oca Italiana, per cercare di incrementare, con questi incroci, il

Esemplare di Oca di Boemia in una gabbia da Mostra

Zootecnia

Zootecnia

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Soggetto Campione Italiano con punteggio MB95, ai Campionati italiani di avicoltura 2015 numero di uova prodotte e soprattutto per aumentarne le doti di rusticità, in quanto l'Italiana aveva proverbiali capacità di sopravvivenza e doti riproduttive eccelse. I prodotti di tali incroci, vennero chiamate "Oche Ceche", nome dovuto alla loro zona geografica di appartenenza. Gli "ocari" dell'epoca compresero bene che era sufficiente un pascolo in prossimità di un lago per far prolificare questi animali e per ricavarne ottimi profitti. Tranne che per aumentare le capacità di duplice attitudine, non vi fu mai,

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fino a quei tempi, una selezione vera e propria, soprattutto attuata per ricercare un preciso fenotipo. Niente era stato fissato, neanche il peso, per cui tra gli svariati esemplari di Oca Ceca, non vi era alcuna omogeneità, quindi era assolutamente impossibile poter definire "razza" questo tipo di Oca. Arrivò in Germania dell'est, intorno al 1970, dove già era presente da tempo l'Oca Diepholzer, che aveva dimensioni maggiori e presentava un collo più allungato.

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Avvennero i primi incroci tra le due tipologie. Nel frattempo gli allevatori boemi avevano redatto un proprio standard, ma in quel periodo le due tipologie si confondevano facilmente. Succedeva quindi che alle mostre avicole, Oche di Diepholzer leggere venivano esposte come Oche Ceche e Oche Ceche pesanti venivano esposte come Diepholzer. La selezione doveva trovare una strada da seguire, poiché la confusione era totale. I tedeschi iniziarono ad interessarsi seriamente alla selezione, e si sa, quando i tedeschi si mettono in testa di portare avanti una progetto, nessuno li può fermare; cercarono quindi di fissare determinati connotati peculiari, che potessero contraddistinguere senza ombra di dubbio le due tipologie, per evitare futuri fraintendimenti. Si arrivò a creare una tipologia di Oca più piccola, ma allo stesso tempo ben proporzionata, armonica e graziosa, con collo più corto ma eccezionalmente robusto, dalle linee dolci e arrotondate. Venne fissata una colorazione del piumaggio bianco candido e brillante. Nacque finalmente l'Oca Ceca. Fino a poco tempo fa, aveva mantenuto questo nome, poi su richiesta di alcuni allevatori italiani, la nostra Commissione tecnica scientifica federale, ha convertito il nome in "Oca di Boemia". Oggi l'Oca di Boemia è una piccola Oca, con una posizione di media altezza. Il suo peso varia da circa 5 kg. per i maschi, ai circa 4 kg. per le femmine. Possiede un corpo tondeggiante, relativamente largo e pieno. Arti piuttosto corti e sottili. Uno dei suoi punti di forza è il carattere, pieno di temperamento, e una grandissima rusticità. Ha anche conservato una buona at-

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Soggetto molto giovane, di poche settimane, di Oca di Boemia titudine alla cova, io stesso ho avuto varie esperienze di nascite con cova naturale, quindi senza l'utilizzo di incubatrice artificiale.

Lo Standard Come sempre prendiamo in esame il suo standard ufficiale pubblicato dalla Federazione Italiana. Partiamo dal suo tronco. Questo è ovale visto di lato, di lunghezza media e largo; un po' rilevato nella parte anteriore. La sua testa è piccola, corta e larga. Ha guance rubuste e fronte leggermente arcuata. Una linea superiore della testa ben arrotondata, che continua piatta dalla nuca al collo. Gola ben delineata. Il suo becco è caratteristico, si presenta robusto, corto e con la sommità dritta, di color rosso-arancio con unghiata rosso pallido. Altra peculiarità sono gli occhi, di colore blu; con stretto anello color arancio. Il collo è leggermente piegato a forma di "S"; robusto e lungo la metà del tronco. Le spalle sono ben larghe all'inizio, diventano gradualmente più sottili verso il dietro. Il dorso è di media lunghezza, poco arcuato e che

Zootecnia

va leggermente in discesa verso la coda. Presenta ali lunghe e portate alte, ben aderenti al corpo; non devono oltrepassare la punta della coda. La coda forma una linea dritta con il dorso e termina a punta. Il petto è molto largo, un po' prominente e ben muscoloso. Le zampe hanno gamba corta, robuste, molto muscolose e poco visibili. Tarsi appena di media lunghezza, posizionati larghi di colore rosso/arancio. Il ventre ben arrotondato e senza fanone. Il piumaggio ha una conformazione fortemente aderente al corpo e folto; duro al tatto. Alcune caratteristiche di razza del sesso femminile sono: la femmina è visibilmente più piccola del maschio (il dimorfismo è abbastanza evidente in questa razza). Il tronco è leggermente rialzato; più basso, un po' più corto e ancora più ovale del maschio. dorso quasi dritto. Il collo è più corto e leggermente più forte che nel maschio. nei soggetti più anziani è ammesso un piccolo fanone semplice che sta al centro del ventre. Nell'Oca di Boemia è ammessa una

sola colorazione, ossia la bianca, dove il piumaggio è in generale bianco puro, con piumino bianco, e quindi sono da considerarsi difetti gravi qualsiasi presenza di macchie di altri colori o la presenza di un piumino grigio. Pur essendo un'Oca piuttosto tozza e non di grande taglia, la "Boemia" possiede connotati che la rendono comunque una tipologia di Oca molto elegante. E' un vero peccato che non sia molto diffusa in Italia, perché a mio parere sono animali che concedono grandissime soddisfazioni. Purtroppo, anche nell'ambito delle mostre avicole, la presenza di soggetti di questa razza, è sempre scarsissima, e anche ai Campionati Nazionali se ne vedono pochissime. Meriterebbe sicuramente una maggiore considerazione.

Federico Vinattieri www.difossombrone.it

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Il Morbo di Aujeszky: un pericolo per il cane! Esiste una malattia chiamata “Pseudorabbia” che può colpire i cani e che, in questi ultimi tempi, sta facendo parlare di sé per via di alcuni casi che recentemente si sono verificati nel nostro Paese. Scopriamo insieme di cosa si tratta. di

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Cristiano Papeschi e Linda Sartini

Animali da compagnia

l Morbo di Aujeszky, anche noto con il nome di Pseudorabbia, è una patologia caratteristica dei suidi, in particolare del maiale domestico e del cinghiale, che può colpire anche altre specie animali, soprattutto il cane. Si tratta di una patologia di natura

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virale (Suid Herpesvirus 1 – SHV-1) che circola comunemente all’interno della popolazione serbatoio ed è per questo oggetto di profilassi vaccinale nei suini d’allevamento. Purtroppo, però, occasionalmente può avvenire il contagio inter-specifico, ovvero tra i suidi e altre specie

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domestiche, che determina segni clinici molto caratteristici negli altri animali.

La malattia nei suidi Il maiale domestico viene comunemente considerato come il serbatoio della patologia in quanto è spesso in

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I cani da caccia sono quelli più a rischio grado di ospitare l’infezione e perpetuarla tra i co-specifici. La trasmissione, in questa specie, può verificarsi sia per via orizzontale (ad es. accoppiamento o contatto tra animali infetti) che per via verticale (dalla madre ai suinetti attraverso la placenta o il latte), pertanto il virus, se presente, può diffondersi anche rapidamente all’interno di un allevamento. Nel suino (e nel cinghiale), l’infezione può dare esito diverso da un punto di vista clinico a seconda del ceppo virale (più o meno aggressivo) e dell’età dei soggetti colpiti. In moltissimi casi la malattia decorre in maniera subclinica o asintomatica, pertanto gli animali infetti potrebbero addirittura non mostrare sintomi particolari. Nei suinetti privi di immunità, la Malattia di Aujeszky può manifestarsi sotto forma di grave encefalite con segni neurologici (tremori, spasmi,

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convulsioni, ecc.), febbre, sintomi respiratori (tosse e starnuti) e gastroenterici (vomito o costipazione) e la mortalità, negli animali giovanissimi, è piuttosto elevata. Nei soggetti all’ingrasso la patologia determina per lo più lesioni a carico dell’apparato respiratorio che possono evolvere in polmonite, soprattutto in seguito all’intervento di agenti batterici secondari. Nelle scrofe è comune l’insorgenza di problematiche di natura riproduttiva come aborto ed ipofertilità mentre nel verro possono verificarsi alterazioni nella produzione spermatica. Per i suini, al fine di limitare le perdite economiche e la diffusione della malattia causata dal Suid Herpesvirus 1, viene eseguita la vaccinazione preventiva.

La Malattia di Aujeszky nelle altre specie animali Questa malattia venne osservata e

descritta per la prima volta agli inizi del 1800. Risale proprio a quell’epoca la denominazione di “Pseudorabbia”, in quanto i segni clinici che si manifestavano nelle specie diverse dal suino facevano ricordare alcuni aspetti sintomatologici tipici della rabbia. Possono essere interessate dall’infezione diverse altre specie animali, quali ad esempio i bovini, i cavalli, gli ovi-caprini, la volpe, il visone, il gatto e, soprattutto, il cane, ma la lista potrebbe essere ancora molto lunga. Di seguito tratteremo la patologia nel cane, il vero obiettivo di questo articolo, considerando, però, che i sintomi descritti sono sovrapponibili a quelli che potrebbero manifestarsi anche nelle altre specie animali. La malattia di Aujeszky è soggetta a denuncia obbligatoria ma è doveroso sottolineare che non rappresenta un pericolo per l’uomo, il quale non sembra essere sensibile al virus e,

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Foto di Joshua Choate da Pixabay di conseguenza, al contagio. Quindi, in conclusione, il Morbo di Aujeszky non è considerato una zoonosi.

La pseudorabbia nel cane Perché vogliamo parlare della Pseudorabbia nel cane? Perché nel mese di dicembre in Emilia Romagna, l’ultimo caso segnalato in ordine di tempo, sono giunti a morte almeno 6 cani a causa della Malattia di Aujeszky. Sempre nello stesso periodo e nella medesima regione sarebbero risultati positivi al virus numerosi cinghiali abbattuti durante la caccia.

Modalità di trasmissione La trasmissione dai suidi al cane avviene principalmente in due modi: per consumo di carne e frattaglie crude di maiale o cinghiale infetto oppure per contatto diretto (soprattutto attraverso il morso o altro tipo di lesione), cosa che avviene di frequente nell’ambito dell’attività venatoria, ma anche accidentalmente per incontri ravvicinati tra cani di proprietà durante le escursioni o soggetti da tartufi durante la stagione della raccolta. Purtroppo, a differenza di quanto avviene per i suini da allevamento, non esistono presidi immunizzanti (vaccini) per i cani, pertanto l’unico sistema di impedire il contagio per i soggetti a rischio è quello di evitare

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proprio la somministrazione di carne e frattaglie durante la macellazione domestica o post-abbattimento e di prestare molta attenzione durante le uscite in campagna o durante la caccia.

I segni clinici nel cane Una volta avvenuta l’infezione, il tempo di incubazione della malattia nel cane è di solo pochi giorni. Le manifestazioni iniziali possono essere confuse con molte altre patologie in quanto l’animale mostra stanchezza, anoressia (rifiuto del cibo) ed apatia (indifferenza agli stimoli esterni). Successivamente compaiono difficoltà respiratoria, ipersalivazione, vomito e diarrea ma soprattutto un fortissimo prurito che induce l’animale a grattarsi e a mordere sé stesso fino anche ad arrecarsi lesioni e mutilazioni molto gravi. Lo stadio finale si manifesta con incoordinazione motoria, spasmi muscolari, paralisi progressiva e morte. Il cane infetto non rappresenta un pericolo per l’essere umano e neanche per gli altri cani, in quanto non è in grado di trasmettere a sua volta l’infezione, ma l’esito per il soggetto colpito è inevitabilmente la morte, che sopraggiunge dopo pochi giorni dalla comparsa dei sintomi.

Conclusioni Sono molte le famiglie che hanno

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il piacere di vivere in campagna e, perché no, di allevare, tra le altre cose, anche uno o più maiali per il consumo domestico. È importante consultare il proprio veterinario di fiducia riguardo la profilassi immunizzante nei suini domestici sia per la protezione degli stessi che dei cani di proprietà presenti all’interno della fattoria. Per ragioni sanitarie generali, oltre che per la patologia appena trattata, è sempre buona regola evitare di somministrare ai cani o ai gatti carne cruda di qualunque specie. Qualora un cane manifestasse i segni clinici della malattia di Aujeszky, anche magari a seguito di un incontro fortuito con un cinghiale, è necessario consultare immediatamente un veterinario.

Dr.ssa Linda Sartini DVM Specializzata in ispezione degli alimenti di origine animale

Dr. Cristiano Papeschi DVM

Università degli Studi della Tuscia Specializzato in teconologia e patologia del coniglio, della selvaggina e degli avicoli

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Il ruolo importante del degustatore di vino Una figura professionale che permette di creare una relazione più stretta tra le aziende produttrici e il consumatore finale; scopriamola insieme di

Marco Sollazzo

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Agroalimentare italiano

consumatore più informato riguardo ai prodotti che ci sono in commercio e fornirgli la capacità di distinguerli. Tutto questo non significa uniformare una categoria di vini, ma solamente renderli qualitativamente migliori e competitivi su una base regionale, nazionale e internazionale. Pertanto è necessario mantenere una distinguibilità regionale e di ter-

ritorio, esaltando le caratteristiche varietali che, in alcuni casi, possono essere espresse solamente in quella specifica zona territoriale. Allo stesso modo il produttore di vino deve continuare a diversificare i propri prodotti, così che il consumatore possa effettuare la sua scelta a seconda della fascia di prezzo, delle tecniche di produzione, dell’annata,

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l degustatore di vino nasce dall’idea di migliorare il settore enologico, promuovendo vini di qualità, a scapito di quei prodotti che mostrano difetti organolettici. Da una parte è un modo per rendere il produttore di vino consapevole dei suoi prodotti, così che possa identificarli e migliorarli sulla base dei commenti ricevuti, dall’altra è quello di rendere il

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Fig. 1 - Corso avanzato di degustazione di vini all’Australian Wine Research Institute (AWRI). del packaging, ecc.. Il degustatore di vino ha il compito importante di fare chiarezza, creare quella trasparenza che non sempre appare attraverso la sola etichetta di vino. Tutto questo è reso possibile attraverso le sue conoscenze tecniche

acquisite durante le sue esperienze professionali e competenze sensoriali, che si sono sviluppate durante le scuole di specializzazione, i corsi di degustazione, la conoscenza del territorio, le fiere legate al vino, ecc. L’assaggiatore di vino deve dare

giudizi imparziali, eliminando la soggettività del ‘’mi piace’’ e creare dei feedback costruttivi su tutti quei vini che non sono all’altezza delle aspettative. In Italia e all’estero esistono diversi corsi di degustazione di vino (fig.1), tra i principali italiani sono degni di menzione quelli organizzati dall’O.N.A.V. (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino), dalla F.I.S.A.R. (Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori) e dall’A.I.S. (Associazione Italiana Sommelier). Il loro approccio al vino, la durata e il loro costo può variare notevolmente. L’impiego pratico di un degustatore è anche importante nella regolamentazione dei vini. Ad esempio, prima di poter registrare un vino D.O.C. (Denominazione d’Origine Controllata) o D.O.C.G. (Denominazione d’Origine Controllata e Garantita) in Italia, esso deve essere approvato alla Camera di Commercio da un pannello di degustatori esperti, cioè da un gruppo di persone che abbiano almeno un diploma o una laurea in ambito vitivinicolo e un biennio di esperienza come degustatori, avendo partecipato a corsi organizzati da associazioni nazionali ufficialmente riconosciute operanti nel settore della degustazione dei vini. In Australia e altre parti del mondo dove non sono presenti disciplinari di produzione specifici, sono oramai diffusi concorsi di vino annuali, su base regionale e nazionale, dove le aziende vitivinicole possono inviare i loro

Tab.1 - Scala a punteggio su base 20 e suo significato.

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Tab.2 - Rappresentazione delle diverse scale utilizzate per la valutazione dei vini nelle degustazioni (foto winestate.com.au) prodotti per una valutazione obiettiva da esperti del settore. Il vino inviato ai concorsi viene suddiviso in classi, in base alla varietà, annata e/o tipologia di produzione e viene poi degustato alla cieca. La degustazione alla cieca prevede l’assaggio del vino senza rivelare etichetta e produttore, così che il pannello di assaggiatori non sia condizionato da giudizi esterni. Per ciascun vino viene attribuito un punteggio che deriva dalla somma

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della loro qualità visiva, olfattiva e gustativa. Una delle scale a punteggio più utilizzata in concorsi di vino è sulla base di 20 punti e i punti sono ripartiti come di seguito: • Esame visivo (3 punti), viene dato sulla base della limpidezza, qualità e quantità del colore. Il bicchiere di vino deve essere posto in contrasto con una superficie bianca per valutare tali caratteristiche. Si attribuiscono punteggi penalizzanti solamente se il colore non riflette le caratteristiche

della varietà e se il vino mostra segni di deterioramento. Molti di questi concorsi di vino non penalizzano più vini volutamente non filtrati e/o con presenze di sostanze colloidali, poiché rientrano in un segmento di mercato con un approccio più naturale. • Esame olfattivo (7 punti), dato sulla base dell’intensità aromatica, equilibrio e caratteristiche olfattive relazionate alla varietà. Devono essere tenuti in considerazione anche tutti quegli aromi sgradevoli legati alla

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degradazione del prodotto e/o a delle tecniche di produzione errate. Prima di procedere all’esame olfattivo, viene agitato il bicchiere per favorire la volatilità dei composti aromatici. • Esame gustativo (10 punti), dato sulla base del corpo del vino, cioè dalla relazione d’equilibrio tra il grado alcolico, la freschezza degli acidi organici e la presenza strutturale di tannini. Ad esempio un vino può essere molto alcolico, ma poco fresco e/o poco strutturato. E viceversa. La persistenza e l’intensità sono altri due aspetti fondamentali nella degustazione del vino che rientrano in questa fase. Con questo sistema a punteggio, se un vino prende il massimo dei voti raggiunge un punteggio di 20. Dalla media aritmetica dei valori data dal pannello di degustatori su quel vino si arriva al punteggio finale. Se il punteggio finale supera un certo valore, il vino viene premiato con una medaglia di bronzo, argento e oro (tab.1). Dopo il concorso, i vini premiati vengono rivelati e le aziende vinci-

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trici possono decidere di utilizzare le medaglie sulle loro etichette. La medaglia può essere posta solo ai vini che hanno vinto quello specifico concorso, di quella specifica annata e di quello specifico blend. Perciò il produttore non può abusare dell’uso delle medaglie e non può apporle su tutti i vini aziendali, se essi non hanno vinto delle relative medaglie. Nella medaglia esposta è presente il concorso e l’anno in cui il vino ha vinto quel determinato concorso. Questo sistema ha un doppio vantaggio, il primo quello di premiare le aziende che producono vini di qualità, quindi stimolare le aziende a produrre vini migliori; il secondo è quello di creare visibilità al consumatore, il quale può acquistare con più sicurezza vini che si sono distinti in diverse categorie. Dato che la degustazione dei vini non è una scienza esatta, anche ai livelli più avanzati, si è passati all’introduzione di altre scale a punteggi più estese, per descrivere ed esprimere meglio le qualità del

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vino. Tuttavia, visto che il sistema a punteggi indica un livello di accuratezza e precisione che non esiste nella degustazione del vino, alcuni concorsi preferiscono attribuire delle stelle (da 1 a 5), evidenziando una gamma di caratteristiche qualitative piuttosto che un valore numerico. La tabella 2 descrive le diverse scale impiegate per la classificazione del vino durante le degustazioni. E’ perciò importante riconoscere la figura professionale dell’assaggiatore di vino in quanto permette di creare una relazione più stretta tra le aziende produttrici e il consumatore finale.

Dr. Marco Sollazzo Laureato in Viticoltura ed enologia sollazzo.marco@ hotmail.it

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Il formaggio in cucina Iniziamo la quarta tappa del nostro viaggio gastronomico alla scoperta dell’utilizzo del formaggio in cucina che ci porta in Emilia Romagna di

Cesare Ribolzi

S

eppure siamo giustamente portati ad associare a questa regione prima di tutti gli altri i formaggi grana (in particolare il Parmigiano Reggiano), altri formaggi vengono prodotti in questa regione e non solo da latte vaccino. Iniziamo quindi dal Parmigiano, un formaggio di antichissima origine, della cui produzione si legge in documenti risalenti al 1152, nei quali veniva stabilito che l’affittuario dovesse pagare al proprietario dei terreni condotti, un certo numero di forme di formaggio grana. Considerato che a quei tempi la produzione di latte annuale di una mucca era di circa 800 litri, si capisce come per poter produrre formaggi di 20 - 30 kg, si dovessero possedere almeno una cinquantina di capi, cosa possibile solo presso aziende ricche ed organizzate (che nel caso specifico, erano quelle dei monaci benedettini). Il Parmigiano è stato citato in una delle novelle scritte nel Decamerone dal Boccaccio. Qui si legge che nel paese del Bengodi, c'era “una montagna di formaggio Parmigiano grattugiato” dalla quale

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erano fatti rotolare giù i maccheroni ed i ravioli cotti nel brodo di cappone. Il Parmigiano veniva prodotto in un particolare edificio chiamato Casello ed ancora oggi i caseifici che producono questo formaggio sono conosciuti spesso più per il loro numero di Casello che per il loro vero nome. Fino ad una trentina di anni fa, la produzione di questo formaggio era distinta in formaggio invernale dalla pasta più bianca, chiamato Invernengo o più semplicemente Vernengo, di maggior pregio rispetto alla produzione del resto dell’anno, caratterizzato dalla pasta più paglierina per via del maggior apporto di foraggi freschi nella dieta della mucca. Oggi questa distinzione non viene commercialmente più fatta e viene venduta l’intera produzione come Parmigiano Reggiano. Un occhio attento può distinguere due formaggi prodotti in stagione estiva o invernale. Un formaggio di questa importanza merita qualche cenno riguardante le modalità della sua produzione. Il latte munto la sera viene rovesciato in bacinelle poco profonde, nelle quali la panna durante la notte affio-

ra per differenza di densità e durante la sua risalita, ripulisce il latte della maggior parte delle impurità contenute. La mattina successiva viene raccolto il latte magro separandolo dalla panna e gli viene aggiunto il latte appena munto della mattina stessa. La miscela di latte viene quindi messa nelle tipiche caldaie di rame a forma di campana rovesciata. Il latte viene lavorato crudo, non si pastorizza, si aggiunge una coltura di fermenti che apporta acidità e batteri lattici, chiamata 'sieroinnesto'. La coagulazione viene condotta utilizzando caglio di vitello in polvere e dopo la rottura della cagliata a dimensioni di chicco di riso, si opera una cottura a 55 gradi. Dopo aver mantenuto a sufficienza in agitazione la cagliata, quando il casaro decide che sia giunto il momento dell’estrazione, ferma l’agitazione così da permettere la precipitazione della cagliata sul fondo della caldaia. Successivamente la cagliata viene raccolta dal fondo utilizzando un telo ed una fettuccia metallica e viene estratta dal siero. Da ogni caldaia si producono 2 for-

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me di formaggio, quindi per una forma servono circa 550 litri di latte. Dopo la stufatura, le forme vengono immerse nelle salamoie dove rimangono circa un mese. Terminata la salatura il formaggio viene avviato ai magazzini di stagionatura dove rimane fino a quando vengono verificati i requisiti dai tecnici del Consorzio del Parmigiano Reggiano che imprimono su ogni forma 'promossa', il marchio del Consorzio. La stagionatura varia da un minimo di 18 mesi a 24, 36 o più mesi. Il Parmigiano viene grattugiato e consumato o impastato in moltissime preparazioni culinarie per cui non ci sono delle vere e proprie ricette che lo vedano protagonista. Tra le innumerevoli se ne può citare qualcuna ai più meno conosciuta. Minestra nel sacchetto Con 4 uova, 60 g di farina, 40 g di burro lasciato ammorbidire, 120 g di Parmigiano Reggiano, noce moscata, brodo di carne, sale e pepe, si prepara questa simpatica ricetta. Miscelare tutti gli ingredienti fino a formare un composto omogeneo al quale verrà data la forma di un salsicciotto. Il salsicciotto viene quindi messo in un sacchetto di lino oppure lo si avvolge in uno strofinaccio che viene legato ad ambo i lati. Portato ad ebollizione il brodo, si immerge in verticale il salsicciotto e lo si lascia cuocere per un’ora. Una volta cotto lo si toglie dal brodo e lo si lascia raffreddare. Nel frattempo si filtra il brodo. Una volta freddo il salsicciotto, lo si taglia a fette di circa un cm ed ogni fetta la si riduce a dadini di circa un cm. Si rimette a bollire il brodo e vi si versano i dadini lasciandoli a riscaldare per qualche minuto. A questo punto la minestra è pronta, naturalmente una bella grattugiata del Re dei formaggi e… tutti a tavola! Picaia (punta di vitello al forno) Gli ingredienti: 1,2 kg di punta di vitello preparata con un taglio a tasca, 200 g di Parmigiano, 150 g di pangrattato, 60 g di burro, 2 uova grandi, 1 cipolla bionda, ½ litro di brodo, ½ bicchiere di vino bianco secco, 2 rametti di rosmarino, olio evo, sale e pepe nero. Tostare nel burro il pangrattato e una volta freddo mischiarlo col pepe appena macinato ed il Parmigiano.

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Sbattere le uova ed aggiungere il pangrattato mischiando fino ad ottenere un composto omogeneo e liscio col quale verrà riempita la tasca del vitello. Cucire la tasca con dello spago per contenere il ripieno. Stufare la cipolla in abbondante olio e rosolarla con i rametti di rosmarino e la tasca di vitello, ambo i lati per qualche minuto, sfumando col vino. Salare e versare in una teglia del brodo, adagiarvi la tasca ed infornare a 200 °C per 60 minuti. A metà cottura voltare la carne. Rimpiazzare il brodo evaporato così da non fare bruciare la tasca. Una volta cotta, toglierla dal forno e lasciarla raffreddare 10 - 20 minuti schiacciandola con un pesante tagliere. Tagliare a fette piuttosto sottili e servire con il fondo di cottura e patate al forno. Mezze maniche ripiene Per questa ricetta serve: 500 g di farina, 5 uova, 1 cucchiaino di olio e del sale per fare la sfoglia, mentre per il ripieno serve 250 g di Parmigiano grattugiato, 1 uovo, 1 mestolo di brodo, della noce moscata e del sale. Preparazione: unire alla farina le uova sbattute ed il sale, impastare aggiungendo l’olio fino ad ottenere un composto omogeneo ed elastico. Dargli una forma di palla e lasciarlo riposare per una mezz'ora. Nell'attesa si prepara il ripieno. Inumidire il pangrattato con del brodo bollente ed in una terrina mescolare il Parmigiano con l’uovo, il sale e la noce moscata. Aggiungere il pangrattato ed amalgamare bene il tutto. Stendere la pasta a strisce e pennellarla con il tuorlo d'uovo sbattuto. Col ripieno formare un cordoncino

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delle dimensioni di un grissino ed adagiarlo sulle strisce di pasta. Avvolgere la striscia su sè stessa intorno al ripieno e tagliare in segmenti di mezzo pollice. Ecco fatte le mezze maniche ripiene che una volta cotte nel brodo vengono servite sotto una grattugiata di Parmigiano. Lasciamo dello spazio anche agli altri formaggi di questa gustosa regione, tra questi meritano di essere citati il Formaggio di Fossa e lo Squacquerone. Ci spostiamo in realtà nella parte sudest della regione: la Romagna, terra che associamo spesso a vacanze colme di musica, danze e divertimenti, spiagge e bagni. Anche se il Formaggio di Fossa DOP è quello di Sogliano, viene prodotto nelle provincie di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini. Le fosse, scavate nel tufo, che erano state fatte per proteggere le derrate alimentari, fondamentalmente scorte granarie, da parassiti, aggressioni, carestie e guerre, ma anche solo semplicemente per nascondere, cominciarono ad essere utilizzate anche per conservare le produzioni casearie. Le più antica fossa è quella di Roncofreddo, risalente al XIV secolo, la cosiddetta Fossa dell’Abbondanza. Prima dell’utilizzo le Fosse vanno preparate facendo bruciare al loro interno della paglia con l’intento di sterilizzarne ed asciugarne l’ambiente. Vengono quindi rivestite di nuova paglia con la funzione di isolante termico e dotate di tavole per il drenaggio dell’umidità. Vengono riempite di formaggi e quindi sigillate con tavole di legno e malta di gesso. All' interno ritroviamo una temperatura costante di 21 °C e

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condizioni adatte ad una fermentazione anaerobica. Il risultato dopo la permanenza di circa 3 mesi in fossa, è che il formaggio ha cambiato sapore. Ha assorbito i profumi dell’ambiente nel quale è rimasto che hanno arricchito quello nativo del formaggio. I formaggi infossati sono prodotti con latte ovino o misto ovino vaccino lavorati senza pastorizzazione. Vengono messi in sacchi ed ammassati nelle fosse dopo circa 40 - 45 giorni dalla produzione. Rimangono in fossa per 80 - 100 giorni e la sfossatura o 'resurrezione' avviene il 25 di novembre, giorno di Santa Caterina. Le forme sfossate si presentano di colore da bianco a giallo paglierino, di forma irregolare e dal gusto dal dolce al piccante, burroso e con fragranze di sottobosco dal retrogusto amarognolo. Il Formaggio di Fossa viene consumato sia crudo durante il pasto oppure entra come ingrediente in ripieni di tortelli, ravioli e cappelletti o nelle misticanze di stagione oppure ancora nelle frittate. Il successo e l’aumento dei consumi di questo formaggio ha in parte condotto ad una forzatura delle condizioni di stagionatura che in certi casi sono anche molto lontane da quelle delle antiche fosse di Sogliano o di Talamello, per cui accanto all'eccellenza si trovano prodotti dozzinali pur fregiati dello stesso titolo. Coscia di agnello con scaglie di Fossa e profumo di menta Per la preparazione di questa ricetta servono una coscia di agnello disossata, sale, pepe, scaglie di formaggio di Fossa e foglie di menta, vino bianco, pepe ed olio. La coscia viene semplicemente farcita con le scaglie di formaggio di Fossa e foglie di menta, salata, pepata e legata. Viene fatta rosolare in una teglia ben oliata e una volta che ha preso colore, viene irrorata col vino bianco ed infornata per circa un’ora a 180 - 200 °C tenendola coperta con un pezzo di foglio di alluminio. In ultimo l’alluminio può essere tolto per rosolare e colorire la carne a puntino. Lasciata riposare qualche minuto la carne, la si affetta e la si serve bagnata dal fondo di cottura. Lo Squacquerone di Romagna in-

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vece è un formaggio che deve alla casualità la propria origine, infatti era un formaggio prodotto in casa dai contadini, dentro una scodella che variava in dimensioni di casa in casa, nella quale il latte veniva lasciato rapprendere. Veniva chiamato Bagiotto e a causa di particolari condizioni climatiche nelle quali si veniva a trovare durante la produzione, non non faceva crosta e durante la brevissima maturazione tendeva a sciogliersi, a squacquerare. L'abbinameto con la piadina romagnola lo rendeva un formaggio adatto ad un’alimentazione equilibrata. Verso la fine degli anni '50, con il progressivo spostamento delle forze lavoro dai campi alle fabbriche, lo Squacquerone andò in disuso, sparendo dalla mensa famigliare. Negli anni '80 complice l’inizio dei pasti veloci ed il minor tempo disponibile per i pasti dovuto alla frenesia della vita moderna, grazie anche allo spirito imprenditoriale romagnolo, torna l’accoppiata Piadina-Squacquerone. Dato l’ottimo gradimento da parte dei consumatori, sono state riprodotte le condizioni operative contadine in strutture casearie nelle quali si è tornato a produrre lo Squacquerone in grande stile, tant'è che oggi il formaggio si è guadagnato il marchio DOP. Il formaggio spesso è talmente molle da dover per forza essere contenuto in una scodella ed ancor oggi tradizionalmente in questa regione viene venduto al banco dei formaggi prendendolo da una scodella e mettendolo in una vaschetta in quanto impossibile da incartare. È un formaggio abbastanza semplice da produrre, specie con l’ausilio di specifici fermenti e condizioni climatiche controllate. Non solo con la piadina ma come esempio, si consuma Squacquerone con riso e prosciutto croccante, vediamo come si fa. Riso, Squacquerone e prosciutto croccante Servono per la preparazione: 200 g di riso, 50 g di Squacquerone, 100 g di prosciutto crudo, ½ cipolla, 50 g di rucola, brodo vegetale, vino bianco, olio evo, burro e… Parmigiano Reggiano. Si mettono le fette di prosciutto tra 2 fogli di carta da forno e si inforna per mezz'ora a 120 gradi. Si toglie dal

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forno e si sbriciola il prosciutto fino ad ottenere una polvere croccante. Si sbollenta la rucola e la si frulla col mixer mettendo dell’olio a filo. Si frulla anche lo Squacquerone fino a renderlo una crema. Si prepara il brodo, si tosta il riso con la cipolla, si bagna col vino e si comincia a cuocere. A metà cottura si toglie la cipolla e si termina la cottura. A questo punto si aggiunge la crema di rucola e si manteca col burro ed il Parmigiano. Si impiatta e si decora con una spirale di salsa allo Squacquerone e col prosciutto crudo croccante. Romagna è anche terra di eccellenze sconosciute al più dei consumatori per via della scarsità delle loro produzioni: i Pecorini di Romagna. A seconda della destinazione finale, consumo giovane o formaggio stagionato, il tipo di lavorazione del latte ovino viene scelta al momento della produzione. Le dimensioni del taglio della cagliata decidono se il formaggio potrà sopportare una stagionatura. Taglio grossolano per i formaggi da consumare freschi oppure taglio e rottura molto più spinti per i formaggi da stagionare. Il tipo stagionato viene tenuto in idonei ambienti, su tavole di faggio per un periodo compreso tra 30 e 90 giorni dopo essere stati salati a secco. In primavera viene prodotto il pecorino alla cenere, da maggio a ottobre quello al fieno, il pecorino del pastore e quello di fossa, in autunno ed inverno. Il pecorino alle foglie di noci viene prodotto dall' estate all' autunno. Il giorno di San Giovanni, 24 giugno, vengono raccolte le foglie dei noci utilizzate come giaciglio per i pecorini ma anche le noci verdi ingrediente fondamentale per la preparazione del Nocino, squisito liquore digestivo di questa regione. Il pecorino alle foglie di noce viene tenuto avvolto dalle foglie fino alla fine di agosto, finchè le foglie sono fresche e cariche di linfa e non ancora legnose. Il pecorino alla cenere, dopo essere stato fatto asciugare per una quarantina di giorni, viene unto e massaggiato con olio di oliva e quindi mantenuto in una miscela (segreta per ogni affinatore) di cenere vegetale per un periodo variabile tra i 60 giorni ed i 6 mesi.

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Questo formaggio deve la propria esistenza alla necessità che i pastori avevano di conservarli durante le transumanze. Non avendo esigenza di consumare immediatamente i formaggi prodotti, per favorirne la conservazione li ungevano con olio per rallentare l’asciugatura della forma e li cospargevano di cenere. Qualche formaggio caprino viene prodotto nella regione ma in quantità limitatissima in quanto per tradizione in ogni casolare si teneva una sola capra per l’alimentazione dei bambini e niente più. Si tratta di formaggi che da giovani sono molto delicati ma che con la stagionatura, anche per via delle saporite erbe delle quali si nutrono gli animali, assumono sapori anche molto decisi. Formaggio raro che a volte può essere affinato in erbe aromatiche e divenire rara eccellenza. Terminiamo la puntata con una ricetta con pecorino ed una con la ricotta, latticino ampiamente prodotto grazie all' abbondanza di siero di latte locale. Formaggio pastellato con verdure Serve: pecorino, ricotta affumicata, melanzane, peperoni,zucchine, cavolfiori, patate, carciofi, farina bianca,sale, pee, pangrattato, tuorlo d' uovo, olio di semi di girasole. Lavate le verdure e tagliatele e listarelle, tagliare a quadretti il pecorino. Preparare una panatura con uovo, farina e pangrattato, passateci le verdure e friggete nell' olio. Scolare, asciugare e servire. Fritto di ricotta Serve: 200 g di ricotta piuttosto asciutta, 50 g di farina, 2 cucchiai di zucchero, 2 uova intere, una presa di sale e qualche goccia di limone. Sbattere le uova ed unire tutto il resto. Lasciare riposare un paio d' ore e friggere nello strutto buttando l’impasto a cucchiaiate. La prossima puntata ripartirà dalla Toscana e anche per quella, ce ne sono di cose da raccontare!

Dr. Cesare Ribolzi Casaro

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LE STORIE DEL CIBO Le Cipolle di

Pasquale Pangione

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a cipolla (Allium cepa L.) è una pianta bulbosa tradizionalmente attribuita alla famiglia delle Liliaceae ma, secondo schemi tassonomici più recenti, è da inserire tra le Amaryllidaceae. Vive sotto terra ed è una pianta erbacea biennale il cui ciclo di vita, in coltivazione, viene interrotto a un anno al fine di destinarla al consumo. Ha radici superficiali, con foglie che si ingrossano nella porzione basale dando la parte commestibile. Ha un lungo stelo fiorale che porta un’infiorescenza a ombrello con fiori di colore bianco-giallastro, mentre il frutto è una capsula. Originaria del continente asiatico (Iran/Afganistan) è uno degli ortaggi più antichi fra quelli consumati dall’uomo. Sembra che i bulbi di cipolla e di altre piante della “famiglia” siano stati usati come cibo già nell'antichità. Negli insediamenti cananei dell'età del bronzo, accanto a semi di fico e noccioli di datteri, sono stati ritrovati resti di cipolle,sebbene non sia chiaro se esse fossero effettivamente coltivate a quell'epoca. Le testimonianze archeologiche e letterarie suggeriscono che la coltivazione potrebbe aver avuto inizio circa duemila anni dopo, in Egitto, insieme all'aglio e al porro. Sembra che le cipolle e i ravanelli, facessero parte della dieta degli operai che costruirono le piramidi. Rappresentata negli affreschi delle tombe dei faraoni era venerata come una divinità, da chiamare a testimonianza di giuramenti o mettere in mano ai defunti quale lasciapassare per l’aldilà. Gli egizi credevano che il forte aroma delle cipolle potesse ridonare il respiro ai morti. Ne fecero oggetto di culto, associando la sua forma sferica e i suoi anelli concentrici alla vita eterna. L'uso delle cipolle nelle sepolture è dimostrato dai resti di bulbi rinvenuti nelle orbite di Ramesse II. Furono introdotte in Europa dai Greci, i cui atleti ne mangiavano in grandi quantità, poiché si credeva che esse alleggerissero il sangue. I gladiatori romani si strofinavano il corpo con cipolle per rassodare i muscoli. Omero la cita nell’Iliade e Teofrasto ne descrive alcune specie nella “Storia delle piante”,intorno al 300 a.C. Nel medioevo le cipolle avevano grande importanza come cibo, tanto che erano usate per pagare gli affitti e come doni. I medici prescrivevano le cipolle per alleviare il “mal di capo”, per curare i morsi di serpente e la perdita dei capelli. La cipolla fu introdotta in America centrale da Cristoforo Colombo nel suo viaggio del 1493 ad Haiti, ma nel nord era già conosciuta tanto che Chicago significa appunto “Campo di Cipolle" in lingua Algonchina. Nel XVI secolo le cipolle erano inoltre prescritte come cura per l’infertilità non solo nelle donne ma, anche negli animali domestici. Dioscoride segnalava che la varietà bianca era più idonea come alimento, mentre quella rossa come medicinale. Anche Galeno sposava la stessa tesi, ritenendo il colore rosso indice di una più intensa efficacia curativa. Oggi è forse la pianta da orto più coltivata in Italia, sia per le qualità organolettiche che per l'alto contenuto di sali minerali, vitamine e principi antibiotici. In cucina si consiglia l’uso: crudo per le cipolle rosse (più dolci); cotto per le bianche; sott’aceto per le cipolline.

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LA RICETTA La zuppa di cipolle toscana Difficoltà: bassa - Preparazione: 20min. - Cottura: 40min. - Dosi: 4 persone Costo: basso

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l piatto è presente nei ricettari fin dal Rinascimento. Citato per la prima volta da Cristoforo Messisburgo nel "Libro novo nel quale s'insegna a far d'ogni sorta di vivande", dove si parla della carabazada (che in greco significa letteralmente “zuppiera”), oggi divenuta “carabaccia”. È l'antenata della parigina soupe d'oignons, fatta conoscere alla corte del Re di Francia Enrico II d'Orléans da sua moglie Caterina de' Medici e diventata piatto popolare in seguito alla rivoluzione francese. Nella ricetta originale figurano anche mandorle, agresto, cannella e zucchero.

te. Scaldare un filo d'olio in una casseruola; cuocervi le cipolle per 5 minuti a fiamma moderata e poi aggiungere un mestolo di brodo. Nel frattempo, pestare gli spicchi d'aglio con lo zucchero e quando è evaporato quasi tutto il brodo, aggiungere il pestato e un altro mestolo di brodo. Continuare la cottura per 30-40 minuti, aggiungendo un mestolo di brodo per volta e assicurandosi che le cipolle non “friggano” ma, vengano stufate. A cottura ultimata, regolare di sale, pepe e aggiungere un filo di ottimo olio a crudo. Impiattare, aggiungere il pane appena tostato e spolverarvi il pecorino.

Ingredienti

Variazioni, note e consigli

Cipolle (preferibilmente rossa di Certaldo, o varietà “vernina”): 1kg Zucchero di canna: 1 cucchiaino Pecorino stagionato: 150g Spicchi d'aglio sbucciato: 2 Olio Extravergine di oliva (preferibilmente toscano) Brodo vegetale: 750ml ca. Pepe nero Sale Crostini tostati di pane (preferibilmente toscano)

Come già detto, esiste una versione che aggiunge: mandorle (che vanno tostate nell'olio, prima di mettere le cipolle), agresto, cannella e zucchero (2 cucchiai). Si può aggiungere: uva passa e pinoli, piselli, rosmarino, peperoncino, alloro e quant'altro possa piacere come assonanza o contrasto gustativo. Il pecorino può essere integrato o sostituito da parmigiano reggiano, groviera, montasio, raschera o altro formaggio dal gusto deciso. La si può preparare anche prima e all'occorrenza si assembla in una terrina e si riscalda in forno preriscaldato (220°C) per 5 minuti.

Preparazione Mettere a bagno le cipolle in acqua e un po' di aceto (tutta la notte sarebbe meglio). Pelarle e affettarle sottilmen-

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Pasquale Pangione

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La certificazione forestale PEFC e FSC La crescente richiesta di produzioni sostenibili ha fatto nascere delle certificazioni anche per il settore forestale; vediamo insieme quali sono di

Luca Poli

L Ambiente, foreste e natura

a certificazione delle foreste e dei prodotti legnosi è oramai sempre più diffusa, vista la crescente richiesta di produzioni sostenibili con l’ambiente, prime fra tutti quelle che da esso vengono ricavate come il legno. Le certificazioni forestali nascono come strumento di marketing e di miglioramento del livello organizzativo e gestionale interno delle aziende del settore foresta-legno-mobili, e fortunatamente sono ormai abbastanza diffuse e note sia ai proprie-

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tari boschivi che agli imprenditori del legno italiani. Nel nostro Paese questo è avvenuto grazie alla presenza, dal 2001, delle strutture nazionali dei due più importanti e diffusi sistemi di certificazione forestale a livello globale: il Forest Stewardship Council (FSC) e il Programme for Endorsement of Forest Certification schemes (PEFC). Si tratta di sistemi ad adesione volontaria che, formulati appositamente per il settore foresta-legno, permettono di certificare le aree forestali gestite secondo criteri di

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sostenibilità ambientale, sociale ed economica ben definiti, seguendo dei precisi standard di buona gestione forestale. Il rispetto di questi standard viene controllato e valutato da organismi terzi indipendenti ed autorizzati (enti di certificazione accreditati Fsc o Pefc). Una volta certificata la foresta di origine, entrambi i sistemi richiedono che venga garantita la rintracciabilità del legno certificato lungo tutta la filiera, dal tronco al mobile finito. Tecnicamente si parla infatti di cer-

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tificazione di catena di custodia, in inglese “chain-of-custody” o CoC, per identificare il processo di gestione delle informazioni sull’origine dei prodotti forestali. Questo insieme di regole, molto importanti per garantire il consumatore finale su quello che sta comprando, è racchiuso in specifiche normative di settore, ad esempio gli Standard 2002:2013 e 2001:2008 v2 del PEFC Italia, come STD-40-004 del FSC.

La “diligenza dovuta” (Due Diligence System) A partire da marzo del 2013, in Europa è in vigore il Regolamento Timber Regulation (EUTR) n. 995/2010 che proibisce “l’immissione sul mercato di legname tagliato illegalmente o di prodotti legnosi derivanti da tale legname”; si applica a tutti i prodotti del legno, compresi il legno massello, il legno per pavimenti, il compensato, la pasta di cellulosa, la carta. Questo regolamento definisce tutta una serie di casistiche di gestione

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forestale che vanno assolutamente evitate: A. Non conformi alle leggi locali, nazionali o internazionali riferite a: 1. Operazioni di gestione forestale e raccolta, includendo la conversione di foreste ad altro uso; 2. Gestione di aree con alti valori ambientali e colturali; 3. Specie protette ed in pericolo (inclusi requisiti CITES); 4. Temi della salute e del lavoro dei lavoratori forestali; 5. Proprietà delle popolazioni locali, possesso e diritti d’uso; 6. Pagamento delle imposte e dei canoni. B. Utilizzo di organismi geneticamente modificati. C. Conversione di altri tipi di vegetazione forestale, compresa la conversione di foreste primarie in piantagioni forestali. Gli schemi di certificazione forestale volontari attualmente disponibili (PEFC ed FSC) non sono validi

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automaticamente come requisiti di rispondenza alla EUTR, ma è prevedibile che gli operatori in possesso di una certificazione FSC o PEFC (di gestione forestale o di catena di custodia) o similari vengano considerati a "rischio basso" ai fini del regolamento in esame, dal momento che queste certificazioni offrono garanzia di basso rischio e che certificano sia la gestione delle foreste che la catena di custodia, affrontando in tal modo sia la questione della legalità del taglio che della tracciabilità.

La Gestione Forestale Sostenibile (GFS) La certificazione di Gestione Forestale Sostenibile garantisce al consumatore finale che i prodotti di origine forestale (il legno o suoi derivati, come la cellulosa, o anche i prodotti forestali non legnosi, come funghi, tartufi, frutti di bosco, castagne, ecc.) derivano da foreste gestite in maniera legale e sostenibile, quindi che non provengano da tagli illegali o da interventi irresponsabili, che possano portare all’impoverimento o alla distruzione delle risorse forestali. Vista l’ovvia soggettività del termine “sostenibile”, sia FSC che PEFC sono basati su un approccio cosiddetto “di performance”, ovvero sul rispetto di requisiti o soglie di riferimento pre-definiti (gli standard di

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buona gestione e di rintracciabilità), che tutte le organizzazioni sono tenute come minimo a soddisfare per poter accedere alla certificazione; il rispetto di requisiti minimi comuni da parte di tutte le organizzazioni certificate permette ai loro prodotti di essere etichettati con un “marchio collettivo” (il logo Fsc o quello Pefc appunto) che - una volta conosciuto e richiesto dal consumatore - ne potrà facilitare la commercializzazione. Tali standard sono una sorta di regole comuni valide per tutti ma, vista la grande complessità degli ecosistemi forestali e la difficoltà di fissare parametri gestionali comuni per realtà forestali diverse, considerano non solo le conoscenze tecnico-scientifiche, ma anche e soprattutto il confronto tra i punti di vista diversi delle molte parti interessate alla corretta gestione di un bosco, ovvero i portatori di interesse (in inglese stakeholder). Nella certificazione forestale il processo di partecipazione e coinvolgimento dei portatori di interesse nella fase di formulazione degli standard è una fase tanto delicata quanto importante. Si può ottenere una certificazione sia come singola proprietà forestale (o come singola industria del legno) che come gruppo di proprietà forestali, anche non accorpate (o insiemi di aziende che lavorano e commer-

cializzano legno), purché gestite secondo linee comuni ed organizzate in uno schema di certificazione di gruppo. La certificazione indipendente della gestione forestale e della rintracciabilità dei prodotti legnosi, come sono quelle definite da FSC e PEFC, è attualmente uno degli strumenti più efficaci a disposizione delle aziende per dimostrare la propria responsabilità etica verso le foreste. È perciò un potente strumento di marketing: molte aziende del legno non hanno spuntato prezzi più alti sul mercato in seguito alla certificazione, ma hanno venduto quantitativi maggiori e hanno avuto accesso a nuovi e più ampi mercati. Nei vari passaggi intermedi di merce tra aziende o presso il rivenditore finale, il prodotto può essere quindi marchiato con il logo Fsc o Pefc, che lo identifica come proveniente da foreste gestite in modo sostenibile, dandogli un vantaggio competitivo sul mercato.

Dott. Luca Poli Dottore Forestale luca9008@ gmail.com

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Le alberature urbane Spesso le amministrazioni si chiedono se siano veramente utili o siano solamente fonte di pericolo e costi inutili; analizziamo meglio la questione di

Marco Giuseppi

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stetica, arredo urbano, abbattimento dell'inquinamento... a cosa servono gli alberi in città? Sono veramente utili come si pensa oppure sono fonte di pericolo quando cadono e di disturbo quando con le radici spaccano l'asfalto? Il rapporto degli agglomerati urbani con le piante si perde nelle pieghe della

storia, è però cambiato nei secoli il modo di intendere il verde urbano. Roma imperiale vantava horti che ospitavano una ricchissima varietà di specie diverse, dove si tendeva a ricreare l'intero habitat di appartenenza delle piante; durante il medioevo il giardino tende a diventare “privato” o quantomeno escluso alla

vista da alti muri, recinzioni o siepi. È l'hortus conclusus dove si ritrovano molto spesso, anche per via dell'influenza araba e romano orientale, agrumi e ortaggi, che comunque ricreano anche in questo caso una sorta di ecosistema dove le singole specie possono essere complementari e provenienti dallo stesso areale.

Gli effetti benefici degli alberi in città sono numerosi

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Verde urbano a Parigi Il concetto di giardino privato e nascosto, si amplia dal punto di vista dimensionale e di capacità di investimento e progettazione nel rinascimento; mirabili sono i giardini delle ville rinascimentali, appartenenti a famiglie facoltose che iniziano anche a collezionare specie esotiche per appagare il capriccio estetico. La scuola italiana della progettazione dei giardini ha donato al mondo opere raffinate, elegantissime che hanno ispirato i giardini signorili in

tutto il mondo. A prescindere dai grandi giardini signorili rinascimentali l'impostazione del giardino privato, nascosto sul retro degli edifici con piante sistemate nei cortili interni spesso con specie edibili ed ortaggi usati per l'alimentazione, è arrivata fino agli inizi del XX secolo; a partire dal secondo dopoguerra invece, l'espansione urbana con la costruzione di blocchi di edifici ha cambiato l'impostazione del giardino “segreto” ed il poco ver-

de privato è stato portato dal retro al davanti. Si è passati, spesso per motivi di spazio, a piccole strisce di terra di fronte alla facciata principale degli edifici dove, quando va bene, c'è spazio solo per piccole piante e arbusti. Quindi se il privato negli ultimi anni e con le nuove costruzioni non contribuisce all'espansione del verde urbano ecco che diventa molto importante la gestione pubblica delle alberature stradali e dei giardini. I primi giardini pubblici, intesi in Alberature di Roma

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Alberature urbane in provincia di Firenze senso moderno, sono di derivazione anglosassone e francese e iniziano a svilupparsi con le grandi pianificazioni urbane di Londra e Parigi alla fine del XIX secolo; le piante vengono usate per abbellire piazze e i grandi “avenue”, i viali alberati dove svolgono principalmente una funzione ombreggiante. Cambiano anche le specie utilizzate, non sempre vengono usate piante tipiche delle zone di impianto, ma vi è piuttosto una sorta di globalizzazione; da Londra a Palermo a Mosca, può accadere che nei giardini di nuova pianificazione le specie scelte non si differenzino molto. Non si ragiona più come habitat o come insieme, ma spesso viene data importanza alla singola pianta e tutte le attenzioni comprese le cure colturali e le potature interessano il singolo individuo. Le piante in città però sono molto importanti; infatti non rivestono soltanto una funzione estetica ma limitano l’isola di calore abbassando la temperatura dell’aria fino a 5 °C e la temperatura dell’asfalto fino a 10 °C. Riducono anche l’effetto della pioggia al suolo in caso di piogge forti, filtrano le polveri sottili migliorando la qualità dell’aria e aumentano la biodiversità; anche per questo è

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importante che vengano gestite con oculatezza dagli enti gestori. La pianificazione deve tenere conto di una miriade di fattori e considerare che l’ambiente urbano non è il migliore per la crescita di una pianta, le radici sono coperte e limitate nell’espansione dall’asfalto, gli scambi gassosi sono limitati e condizionati dai gas di scarico ed in più, generalmente, vengono sottoposti a continui interventi di potatura comprese anche le cosiddette “capitozzature”. Tutti questi fattori fanno sì che la vita di un albero di città sia di un terzo più breve di un albero di campagna cosa che rende necessari ed inevitabili abbattimenti di individui per sostituzioni, cosa che può provocare malcontento nell’opinione pubblica. Le amministrazioni spesso fanno fatica a far digerire alla cittadinanza il concetto che un albero è un essere vivente, che ha un ciclo di vita in cui nasce, cresce e muore e che quindi arrivato ad un certo punto ha bisogno di essere abbattuto perché il rischio di tenerlo in piedi supera gli effetti positivi che produce. Tali valutazioni, su quando abbattere o meno una pianta, sono da demandare al giudizio di professionisti che attraverso valutazioni di stabilità certificano quale

pianta necessita di cure colturali o di abbattimento. Tuttavia la tecnica non può sostituirsi alle scelte politiche di grande pianificazione, ma può solo fornire gli strumenti e le competenze per assumere le decisioni migliori; sarebbe auspicabile che gli amministratori gestissero il patrimonio arboreo in maniera complessiva affidando la progettazioni a tecnici specializzati e che, anche con l’aiuto di questi ultimi, potessero iniziare percorsi di sensibilizzazione verso la cittadinanza per trasmettere l’importanza della presenza di piante ed aree verdi in una città. Ci sarebbe infatti bisogno di una maggiore consapevolezza e partecipazione nelle scelte progettuali attraverso percorsi partecipativi, che sicuramente aiuterebbero la comprensione nel caso ci fosse bisogno di abbattere e ripiantare qualche albero.

Dott. Marco Giuseppi Agronomo forestale marco.giuseppi@ gmail.com

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Comprare un cavallo Siete alla prima esperienza e non sapete come procedere? Ecco alcuni consigli pratici per fare la scelta giusta di

Gemma Navarra

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l momento di scegliere il proprio cavallo, il cavaliere deve avere ben chiari questi punti: il proprio grado di esperienza, cosa vorrà fare con il cavallo, il luogo dove ospiterà il cavallo ed il proprio bud-

get. Per un cavaliere alle prime armi è indispensabile farsi consigliare dal proprio istruttore, un cavallo troppo giovane o di difficile gestione potrebbe mettere in difficoltà e addirittura in pericolo un principiante. Esiste un

detto nel mondo dell’equitazione: “cavallo giovane cavaliere vecchio, cavallo vecchio cavaliere giovane”. Cavalieri ancora non sicuri in sella e bambini hanno bisogno di cavalli adulti (sopra gli 8 anni) che hanno

Elena 12 anni con la sua cavallina Zaira di 9 anni e già esperta

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già lavorato, tranquilli e affidabili. I puledri, anche quelli più tranquilli, devono essere gestiti da cavalieri con esperienza, perché devono ancora imparare a rapportarsi e lavorare con noi. Sbagliatissimo affiancare un puledro ad un bambino pensando che cresceranno insieme! Per un cavaliere che ormai è disinvolto, sia in sella che nella gestione da terra, può essere invece un’esperienza emozionante comprare un cavallo molto giovane da educare. Importante è cosa vogliamo fare con il cavallo: se pensiamo di montare sono una volta a settimana per una passeggiata tranquilla sceglieremo un cavallo pacato e rustico (uno troppo insan-

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guato soffrirebbe a muoversi così poco), se pensiamo invece di montare assiduamente o di pretendere prestazioni agonistiche dovremmo scegliere un cavallo energico e performante. Esistono varie razze di cavalli, dalle caratteristiche estetiche e dalle attitudini più varie. Quando si sceglie un cavallo di razza, è importante valutare anche il luogo dove verrà ospitato: esistono razze che non sono adatte a vivere all’aperto, che soffrono particolarmente il fango o gli insetti; queste sono tutte razze originarie di altri paesi che si adattano male al clima italiano. In generale si consigliano razze autoctone o cavalli nati in Italia che sono già perfet-

tamente ambientati; tra le nostre razze locali ne esistono alcune protette per le quali è possibile anche ottenere contributi statali per preservarle dall’estinzione. In ogni caso, se si pensa di tenere un cavallo all’aperto si consiglia di comprarlo in primavera/ estate per rendergli più facile l’acclimatamento. Una volta chiarito che tipo di cavallo sarebbe adatto alle nostre esigenze è il momento di cominciare la ricerca.

Da chi compare È possibile comprare un cavallo da un privato, da un commerciante o in un allevamento. I cavalli venduti da privati hanno di

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solito costo leggermente inferiore, a volte succede che un proprietario abbia la necessità di vendere in poco tempo un cavallo. Non si ha

però nessuna garanzia e non c’è la possibilità di cambiare il cavallo se non risultasse adatto a noi. Da un commerciante (di fiducia) è possibile

scegliere tra più soggetti e si ha la possibilità di cambiare il cavallo se, una volta portato a casa, non fosse quello giusto per noi. Per chi è particolarmente attratto da una razza specifica è possibile acquistare un cavallo direttamente in allevamento, dove però i soggetti costano molto di più (sono sempre accompagnati da certificati di razza) e dove raramente si trovano cavalli "già lavorati".

La prova La prima scelta è sempre estetica, è importante però valutare la morfologia (il cavallo deve avere una buona conformazione fisica) e l’età. Una volta individuato il cavallo che ci piace si passa alla prova. Innanzitutto lasciamo che

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Cavallo che lavora serenamente alla longia il proprietario / commerciante ci presenti il cavallo, osserviamo come il cavallo si fa prendere, si fa maneggiare, spazzolare e sellare. Già in queste fasi si può notare se il cavallo è sereno ed abituato ad essere maneggiato. Poi, se è possibile, è utile osservare il cavallo girato alla corda: in questa fase possiamo valutare le sue andature e il suo impulso (il cavallo deve mostrarsi volenteroso e pronto ad ubbidire ai comandi). È consigliabile farlo prima montare al proprietario per osservare come si comporta con una persona in sella ed evitare rischi per noi stessi. A questo punto montiamo in sella, cominciamo a lavorare al passo, poi al trotto e al galoppo. Il cavallo deve presentarsi attivo già al passo ma non nevrotico, sereno ed attento alle richieste. È importante valutare se le andature sono fluide e piacevoli; se il cavallo mantiene con facilità un trotto regolare è segno che ha già

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esperienza e che lavora con serenità. Provare sempre a girare sia a mano destra che a mano sinistra per valutare eventuali rigidità; il cavaliere deve sentirti sicuro e ben in sintonia. Per completare la valutazione è utile provare anche a gestire il cavallo da terra, a portarlo a mano, dissellarlo e ad alzargli i piedi. Per i meno esperti è sempre consigliato andare accompagnati dal proprio istruttore, che aiuterà a valutare la scelta giusta. Se il cavallo sembra adatto a noi e al nostro livello equestre non soffermiamoci solo sugli aspetti estetici! A volte un cavallo si presenta male perché mal tenuto, magro e con il pelo opaco, ma può essere in realtà un ottimo soggetto.

Visita d’acquisto L’ultimo passo è la "visita d’acquisto". Questa è una visita completa e approfondita e deve essere fatta dal nostro veterinario di fiducia. È

fondamentale, anche se il cavallo è di un amico o non mostra problemi, ed è una garanzia per entrambe le parti. Esistono infatti “vizi redibitori”, dei difetti occulti che alcuni farmaci possono nascondere alla visita, e che, se scoperti entro un mese dall’acquisto, annullano il contratto. I casi più frequenti sono bolsaggini (difetti respiratori), zoppie e tendiniti che vengono trattate con cortisone, in modo che il cavallo non ne mostri i sintomi per alcuni giorni. Nelle fotografie i cavalli del Centro Ippico il Bosco di Rincine

Dr. ssa Gemma Navarra Guida Equestre Ambientale di 1° livello nvrgmm@virgilio.it

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Novità fiscali: lo scontrino elettronico di Ivano

Cimatti

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al primo gennaio 2020, i soggetti tenuti al rilascio a consumatori finali di scontrini fiscali o ricevute fiscali per la cessione di beni o prestazione di servizi, dovranno attrezzarsi per la memorizzazione e la trasmissione delle somme incassate all’Agenzia delle entrate. L’obbligo, la cui inosservanza comporta l’irrogazione di sanzioni fiscali ed amministrative che possono arrivare alla sospensione dell’attività, si inserisce nel percorso di telematizzazione ormai avviato anni fa dall’Amministrazione finanziaria. Il classico scontrino di carta sparirà e sarà sostituito dalla trasmissio-

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ne elettronica dei dati necessari ai fini fiscali, i corrispettivi giornalieri. Bisognerà dotarsi di registratori di cassa telematici per registrare e inviare i dati degli scontrini elettronici al fisco e per questo adeguamento lo Stato ha previsto un bonus. L’Amministrazione finanziaria ha disposto per gli obbligati, un credito d’imposta di 250euro in caso di acquisto d’un registratore di cassa telematico e di 50euro per l’adattamento di un registratore di cassa se già posseduto. Nel decreto MEF del 16 maggio 2019 sono state indicate alcune categorie di soggetti esonerati da tale obbligo. Si tratta in particolare di tutti i sog-

getti che già a legislazione vigente sono fuori dal perimetro di certificazione dei corrispettivi, confermando quindi gli esoneri dalla certificazione fiscale attualmente esistenti. Uno degli elementi che assume rilevanza per l’esonero dei produttori agricoli è anche il regime Iva che il produttore adotta. In linea di massima diciamo che sono esonerati in altre parole gli agricoltori che applicano il regime speciale IVA ai sensi dell'art. 34 del DPR 633/72. I produttori che operano con un regime speciale Iva non hanno l’obbligo di emissione dello scontrino fiscale, anche se le cessioni al minuto de-

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vono comunque essere annotate nel registro dei corrispettivi. Non c’è obbligo di scontrino telematico per le operazioni che non prevedono certificazione dei corrispettivi in base all’articolo 2 del Dpr 696/1996. Fra le operazioni elencate dall’articolo 2, D.P.R. 696/1996, già esonerate dall’emissione dello scontrino fiscale, e che quindi analogamente potranno godere anche dell’esonero della trasmissione telematica dei corrispettivi, figurano le cessioni di prodotti agricoli, rientranti nella Parte I della Tabella A) allegata al D.P.R. 633/1972, effettuate da produttori agricoli che applicano il regime speciale di determinazione dell’Iva fissato dall’articolo 34, D.P.R. 633/1972. In buona sostanza, la discriminante che determina l’applicazione dell’esonero in capo all’imprenditore agricolo è da ravvisarsi nel regime Iva che tale soggetto ha adottato: chi opera in regime speciale e cede soltanto prodotti agricoli compresi nella Parte I della Tabella A, allegata al D.P.R. 633/1972, non ha l’obbligo della emissione dello scontrino fiscale e quindi della relativa trasmissione telematica. I coltivatori che vendono i loro prodotti sono esonerati dall’obbligo dello scontrino elettronico. Questo perché gli agricoltori che vendono esclusivamente i propri

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prodotti non sono tenuti ad emettere scontrino digitale. Rientra certamente nei casi di esonero l’agricoltore in regime di esonero Iva, ex articolo 34, comma 6, D.P.R. 633/1972, sia nel caso effettui cessioni di prodotti agricoli “tipici” ovvero rientranti nella già citata Tabella A), parte prima, sia nel caso effettui cessioni di altri prodotti a consumatore finale, in quanto l’obbligo di certificare tali cessioni con idonea documentazione fiscale, quale ricevuta o scontrino fiscale, decorre a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di superamento del limite di 7.000 euro di volume di affari o del terzo di operazioni diverse (Cfr. comma 6, articolo 34, D.P.R. 633/1972). Di converso, nel caso in cui il produttore agricolo abbia optato per il regime ordinario di determinazione dell’Iva, già oggi è sottoposto al rilascio dello scontrino fiscale per le cessioni al minuto, quindi, a partire dal 1° luglio 2019 se il suo fatturato supera i 400.000 euro, o dal 1° gennaio 2020 in caso di fatturato inferiore a tale soglia, dovrà procedere alla trasmissione telematica dei corrispettivi. In altre parole, l’imprenditore agricolo che effettua la vendita diretta dei propri prodotti e che ha adottato il regime ordinario IVA, tutti gli agriturismo e chi effettua la vendita di prodotti

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non riconducibili ai fini IVA tra quelli propriamente agricoli (carni macellate, pane, pasta, marmellate, conserve, ecc.), dal prossimo gennaio devono dotarsi di idonei registratori di cassa telematici o in alternativa, devono adottare il sistema gratuito disponibile sul sito dell’Agenzia delle entrate. Ovverossia espresso in altri termini, i produttori agricoli con un regime normale, descritto nell’articolo 34 del decreto Iva, hanno l’obbligo di emissione dello scontrino elettronico per le cessioni al minuto e dovranno procedere successivamente alla trasmissione elettronica dei corrispettivi giornalieri in via telematica. Ed ancora, le attività agricole rivolte al pubblico come gli agriturismi, le fattorie didattiche, enoteche etc. che effettuano operazioni che non rientrano nel regime speciale Iva, per cui hanno bisogno della certificazione dei corrispettivi da parte delle imprese agricole saranno sicuramente soggette all’obbligo della fattura elettronica, con annesso invio telematico dei corrispettivi.

Avv. Ivano Cimatti ivan_cimatti@ hotmail.com

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L'Istituto Agrario "Alberto Parolini" Una struttura che risale al 1600 ai piedi del Monte Grappa (Vicenza), che include un'azienda agraria didattico-sperimentale con scenari e scorci paesaggistici di rara bellezza

L Speciale Istituti d’Italia

'Istituto porta il nome di Alberto Parolini, illustre naturalista bassanese e ha sede a Bassano del Grappa (Vicenza), ai piedi del Monte Grappa. Gli affreschi situati al piano terra del corpo principale testimoniano come la parte più antica dell’edificio dell’istituto risalga al 1600. L’ultimo proprietario, famiglia Rubbi, nel 1970 l’ha donato all’Ente pubblico. Per iniziativa del Comune di Bassano del Grappa gli edifici e parte della proprietà terriera sono stati destinati all’Istituto Agrario. L’Istituto Agrario Parolini divenne autonomo nel 1982 dopo essere stato per anni una succursale dell’Istituto Agrario di Lonigo; nel corso degli anni sono stati realizzati grandi lavori di recupero e trasformazione per adattare l’azienda alle esigenze dell’Istituto. Gli edifici sono vincolati dalla Sovrintendenza ai Beni artistici ed ambientali. Nel territorio dell’Istituto sorge la chiesetta di S. Bortolo risalente al IX secolo; gli antichi affreschi di scuola ravennate che la ornavano, in seguito all’alluvione del 1966, sono stati trasferiti al Museo Civico di Bassano del Grappa. In questi anni la chiesetta è stata recuperata per interventi programmati da quanti l’hanno scelta per celebrare le proprie nozze. La parte più antica, un’abitazione nobiliare risalente al XVII secolo, è occupata prevalentemente dagli uffici di segreteria e di presidenza, mentre le aule e i laboratori sono dislocati nelle ex scuderie che importanti interventi edilizi hanno restaurato e trasformato, rendendoli idonei alle necessità di una scuola in grado di rispondere alla sfida delle esigen-

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ze di un istituto moderno. Dall’A.S. 2013-2014 alcune aule trovano posto nella sede succursale a pochi passi dal centro storico e dal 2016 è stata data in uso alla scuola, dall’allora comune di Valstagna, ora Valbrenta, il “Rifugio Lazzarotto”, a Col dei Remi, sull’Altopiano dei Sette Comuni. La didattica offerta agli studenti è sempre meno frontale e sempre più frequentemente è proposta con le nuove metodologie quali il problem solving, la flipped classroom, il cooperative learning. La presenza di un’azienda agricola, dei laboratori e le numerose visite aziendali previste

ed Enologia, Gestione dell’Ambiente e del Territorio e Produzioni e Trasformazioni, e tutte e tre le opzioni del professionale quali Gestione delle Risorse Forestali e Montane, Agricoltura e Sviluppo rurale, Valorizzazione e Commercializzazione dei prodotti agricoli nel territorio. La presenza di laboratori scientifici nuovi completa e consolida l’offerta formativa proposta agli studenti: in questi luoghi, in cui le discipline tecnico-pratiche diventano vive e vissute, dove gli apprendimenti degli allievi vengono stimolati e rafforzati, si realizza una scuola veramente efficace. Nel laboratorio di Chimica 1 gli studenti, guidati dai loro docenti, eseguono analisi su acque e terreni,

durante l’anno scolastico assicurano un ottimo connubio tra teoria e pratica. Ad oggi l’Istituto Parolini si articola nell’indirizzo tecnico e professionale. La popolazione scolastica si aggira intorno a 600 studenti con una leggera prevalenza di studenti iscritti all’indirizzo professionale; sono presenti tutte e tre le articolazioni del triennio del tecnico quali Viticoltura

in Chimica 2, sugli alimenti e sulle macromolecole, in Enologia, effettuano analisi su mosti, vini, birra, aceti e bevande alcoliche, in Fitopatologia ed Entomologia eseguono analisi ed osservazioni sulle patologie delle piante e sugli insetti, mentre in Cantina studiano i processi di vinificazione ed eseguono i prelievi sul vino.

Didattica

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L'Istituto Agrario "Alberto Parolini"

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La didattica, le attività sul territorio e le prospettive

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ll’Istituto è annessa un’azienda agraria che occupa una superficie di circa dodici ettari e dove si coltivano cereali, ortaggi, vite, olivo, varietà antiche di melo, pero e ciliegio. Alcune piante di antiche varietà sono oggetto di studio e di recupero da parte della scuola, nell’ambito del progetto Bionet, in collaborazione con la Regione Veneto, altri enti regionali e alcuni Istituti Agrari del Veneto. Da segnalare alcune varietà autoctone coltivate con grandi successo quali il broccolo di Bassano, la cipolla rosa di Bassano e l’asparago bianco di Bassano; grandi riconoscimenti ottenuti anche dall’Olio di Oliva in occasione di fiere e manifestazioni, tra cui anche il Vinitaly. I prodotti raccolti vengono venduti nel punto vendita sito all’interno dell’istituto. Tutti gli alunni svolgono attività in azienda e in punto vendita secondo un calendario che viene aggiornato continuamente; sempre più breve quindi la distanza tra la teoria e la pratica, per la soddisfazione di alunni e famiglie. L’Istituto cura dei vigneti sperimentali per l’ooservazione dei quali ha attivato delle collaborazioni con l’Istituto di Enologia di Conegliano, la Fondazione Mach di San Michele all’Adige e della Cantina sociale di Breganze. Dal 2012 è cominciata la conversione dall’agricoltura tradizionale a quella biologica e le colture dell’Istituto vantano la certificazione ICEA di “biologico in campo”. Di recente l’Istituto si è dotato di alcune arnie, collocate nell’arboreto, nei pressi dello stagno. È stata ultimata la ricostruzione di un vecchio roccolo, situato nella parte sud dell’azienda, con un nuovo impianto di carpini bianchi e la collocazione di nuovi pali di sostegno.

Risultati raggiunti Senza dubbio l’Istituto Agrario “A. Parolini” costituisce nel panorama nazionale un istituto agrario d’eccellenza. Lo testimoniano i risultati raggiunti durante fiere e manifestazioni a cui la scuola partecipa. Da anni infatti l’istituto si trova a partecipare a gare di valutazione morfologica di razze bovine, gare di riconoscimen-

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to botanico, gare nazionali tra istituti tecnici e professionali, olimpiadi forestali. Tra queste competizioni si segnalano il primo posto ottenuto a Cuneo in occasione della gara nazionale di valutazione morfologica di razza piemontese del 2018, la vittoria dello studente Tobia Minuzzo (vedi foto) in Gara nazionale tra Istituti Tecnici Agrari del 2018 (vedi foto).

Il Parolini sul Territorio La produzione agricola del territorio è caratterizzata prevalentemente da un elevato numero di piccole aziende. Si sta assistendo però a un lento cambiamento da tecniche di coltivazioni protese esclusivamente alla massimizzazione delle rese, ad un’agricoltura multifunzionale, che dovrebbe permettere di contrastare l’incremento dei costi di produzione e la globalizzazione del mercato. L’Istituto Agrario Parolini promuove, attraverso l’azione didattica e la presenza nel territorio, un’agricoltura sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale e che tenga conto della salute degli operatori del settore, dei cittadini e dei consumatori. Importante è formare le cosiddette “sentinelle del territorio” in grado di cogliere le criticità del settore agro-ambientale e di individuare e attuare possibili soluzioni nell’ottica della sostenibilità. Il territorio bassanese, pur avendo solide radici nel settore agricolo, si caratterizza per un articolato mosaico di attività economiche e sociali, che spaziano dall’artigianato all’industria, dal commerciale al terziario avanzato, dai servizi all’associazionismo. Tale vivacità economica ha inciso profondamente sia nel tessuto sociale che nel territorio; sono spesso evidenti i risultati di un uso non sempre corretto del suolo, di una pianificazione territoriale che non sempre è riuscita a soddisfare gli interessi generali. Si sta assistendo ad un incremento significativo dei danni ambientali legati al rischio idrogeologico; ciò è causato da un cambiamento climatico in atto, ma anche da attività antropiche che hanno sicuramente un ruolo determinante in

queste situazioni. Gli stati e i cittadini, nonostante dichiarazioni pubbliche e sottoscrizioni di impegni per il rispetto dell’ambiente, si dimostrano sempre meno attenti al consumo di energia, di materie prime e di suolo.

Prospettive In un contesto così complesso ed in continuo mutamento è particolarmente difficile proporre soluzioni univoche per il futuro dell’agricoltura. Sicuramente l’irrinunciabile legame del settore primario con l’ambiente ed il territorio dovrà essere la bussola che guiderà le scelte dell’agricoltura del futuro. Le parole chiave dovranno essere sostenibilità e integrazione. L’agricoltura moderna, basandosi su tecnologia ed innovazione, ma anche su tradizioni e saperi passati, dovrà essere a servizio dell’ambiente e collegata al turismo. Per fare questo bisogna puntare su: ● produzioni di qualità, ● produzione e commercializzazione, in particolare, di prodotti tipici locali. Questi obiettivi possono portare notevoli benefici a livello ambientale perché solo il presidio del territorio con attività silvo-pastorali e agrarie permette una prevenzione su larga scala (spaziale e temporale) dei dissesti idrogeologici. Per fare questo, oltre alla volontà politica, è necessario formare nuovi tecnici del settore agro-ambientale. Questi devono sapersi interfacciare sia con la realtà locale, facendo rete tra associazioni ed enti, interpretando normative regionali e nazionali, sia a livello globale, avendo una “visione Europea” ed essendo in grado di reperire risorse per rilanciare l’agricoltura locale. In futuro, il diplomato in agricoltura e ambiente dovrà avere quindi un bagaglio di competenze che spaziano tra quelle sopra descritte.

Prof. Andrea Palazzo Istituto Agrario “Alberto Parolini” - Bassano del Grappa (Vicenza)

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Chi siamo

Associazione di Agraria.org

L’Associazione di Agraria.org è stata costituita nel 2013 da un gruppo di giovani laureati in Agraria, Scienze Forestali e Veterinaria. Fin dalla sua fondazione, grazie all’impegno dei tantissimi associati sparsi per tutta Italia, ha promosso ed organizzato numerose iniziative per diffondere le conoscenze riguardanti pratiche agricole ed agro-alimentari sia a scopo amatoriale che professionale, supportare le piccole realtà agricole nella promozione della loro attività attraverso la vendita diretta, favorire l’inserimento dei diplomati e laureati del nostro settore e la crescita delle aziende agricole associate.

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Promozione attività dell'associazione

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Cosa facciamo La rivista TerrAmica ha tra i suoi molteplici scopi anche quello di promulgare le attività svolte e da svolgere della nostra Associazione, dando risalto, soprattutto in questo spazio, alle iniziative che i nostri soci ed amici portano avanti sui territori. Le attività si sono incentrate nel territorio toscano e fiorentino in particolare; vista la maggior presenza di associati in queste zone, infatti, sono stati svariati gli eventi organizzati, tutti incentrati su uscite di gruppo che hanno unito passeggiate tranquille con momenti didattici e culturali su temi agricoli, forestali ed ambientali.

Escursioni guidate nei parchi cittadini

Spazio Associazione di Agraria.org


Alcuni incontri a tema organizzati dall’Associazione per gli iscritti Esperti dell’Associazione, in particolare laureati in Scienze Forestali e Ambientali, hanno guidato con passione e professionalità le tante persone accorse alle uscite organizzate insieme allo Sportello EcoEquo dell’Assessorato all’Ambiente del Comune di Firenze ed alle tante altre associazioni che ne fanno parte. I percorsi hanno variato

convivono a due passi dalle nostre case. Infine una notizia che potrà maggiormente interessare i Dottori Agronomi e Dottori Forestali iscritti agli Ordini professionali: per questa rivista, così come per la Rivistadiagraria.org, siamo in fase di richiesta di accreditamento presso il Conaf (Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali) per il riconoscimento dei crediti formativi ai professionisti che scrivono articoli. Tra gli scopi principali della nostra Associazione, infatti, vi è proprio quello di promuovere la diffusione delle conoscenze del settore, anche tra i tecnici professionisti che quotidianamente ci lavorano; pensiamo infatti che sia molto utile per tutti coinvolgere sempre di più nelle nostre attività i professionisti del settore agricolo, che quotidianamente svolgono, tra gli altri compiti, il ruolo di “ponte” tra chi fa ricerca e chi lavora (è proprio questo il caso) in campo, che per questo possono essere in grado di promuovere conoscenze, iniziative e pratiche innovative per migliorare il lavoro e quindi la quotidianità, di tutti noi. Targa di ringraziamento ricevuta dall'Associazione di Agraria.org da parte dell'Assessorato all'Ambiente del Comune di Firenze Diventa uno di noi

per i maggiori parchi e giardini della città, comprendendo spazi verdi comuni rinomati per storia e frequentazione: il Parco delle Cascine, il Parco dell’Anconella ed il Giardino di Boboli. Grazie a queste iniziative portate avanti durante tutto il 2018 e 2019, il Comune di Firenze, in particolare l’Assessorato all’Ambiente, ha voluto premiare la nostra Associazione con una targa di ringraziamento, che è stata consegnata nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, nell’ambito delle iniziative per la Festa dell’Albero del 21 dicembre scorso. A tal proposito occorre ringraziare nuovamente l’assessore Alessia Bettini ed il Comune di Firenze per il riconoscimento consegnatoci: che sia di buon auspicio per le future iniziative che l’Associazione svolgerà sul territorio, per una sempre maggior consapevolezza sull’ambiente, la natura e le attività agricole che

Spazio Associazione di Agraria.org

Entra a far parte anche tu di questa grande comunità di appassionati del mondo agricolo e ricevi i prossimi numeri di TerrAmica comodamente e gratuitamente a casa tua. Altri vantaggi per i soci: ● partecipazione ad eventi ed incontri in tutto il territorio nazionale organizzati dall’Associazione ● possibilità di partecipazione a fiere nazionali sull’agricoltura ed ambiente a condizioni agevolate ● visibilità per i giovani tecnici che si affacciano nel mondo del lavoro ● promozione delle aziende agricole guidate da giovani imprenditori (progetto “Smart Farm”) Iscriviti online a soli 12€ l’anno su: www.associazione.agraria.org

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Come fare per RICEVERE TERRAMICA direttamente a casa tua Per ricevere “TerrAmica - Rivista Associazione di Agraria.org” è sufficiente essere soci. Per associarsi bastano 12€ l’anno! Ecco i pochi e semplici passaggi per iscriversi: 1. Accedi al sito www.associazione.agraria.org 2. Clicca in alto a destra su “Iscriviti all’Associazione” 3. Compila il modulo con i tuoi dati e scegli il metodo di pagamento desiderato 4. Decidi se pagare con Paypal, Bonifico bancario o Bollettino postale ed attendi il buon esito della registrazione 5. Versa la quota associativa e... ricevi a casa TerrAmica!

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