Marzo 2013

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PERIODICO D’INFORMAZIONE DELLA UILTRASPORTI CAMPANIA

ANNO 5, NUMERO 3

MARZO 2013

“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale” (art. 16 Cost.)

Editoriale

Trasporti in tilt, mobilità ferma

La disillusione e la speranza

Passano gli anni e il virus si espande in un territorio privo di anticorpi

Ce la dobbiamo fare!

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correndo le pagine della storia si percepisce come, in ognuno dei meandri della nostra società, vi è la necessaria ricerca di assicurarsi a una speranza, ogni volta che si è nel pieno di una crisi, che si hanno di fronte difficoltà che sempre più spesso appaiono insormontabili, ci costruiamo (e a volte fingiamo pure che ce l’abbiano offerta) una via di fuga, una possibilità per cui ne vale la pena provare. Talvolta realizziamo tardi che avevamo la possibilità di farcela solo ripercorrendo la normalità persa, perdendo prezioso tempo alla ricerca di un’idea straordinaria capace di cambiare il corso della storia. La costruzione di cose necessariamente straordinarie è spesso destinata al fallimento, che quando arriva in questi casi è molto più drammatico e pesante di una normale sconfitta, se poi per provare non tanto a uscire dall’angolo bensì per cercare un’altra originalità, si costruisce un’altra magnificenza destinata di conseguenza anch’essa al fallimento, allora si appalesa naturalmente la disperazione per il tracollo prima e per l’impossibilità ad intravedere una via di uscita poi. Ora se questo esercizio fosse utilizzato per aspetti privati della vita di ognuno, allora potrebbe essere anche considerata solo una libera scelta capace di coltivare illusioni che tanto hanno ispirato i romantici, effimera, ma pur sempre soggettiva, che impegna chi la pratica e che incide sulla sua vita di relazione, ma che sicuramente non assegna responsabilità e oneri che altri magari saranno destinati a pagare; quando invece questa scelta è praticata nella gestione di una cosa pubblica, allora il discorso è completamente diverso e non può essere assecondato con indifferenza né da chi lo pratica né da chi lo subisce, perché quando sono in gioco interessi generali gli spazi per la libera iniziativa si restringono, come pure le possibilità di scegliere di sbagliare e di negare. Le ultime elezioni, com’era ampiamente prevedibile, hanno consegnato un Paese più ingovernabile di prima, con l’aggravante di essere passati per una consultazione popolare, che non è servita a realizzare quella governabilità che si deve a un Popolo. In molti hanno gridato, e ancora strillano, allo scandalo di una legge elettorale indegna, ma che nessuno si degna di cambiare, che continuano a considerare inutilmente la causa dello stallo istituzionale in cui siamo immersi. Negli ultimi vent’anni, dalla stagione dei Sindaci, abbiamo avuto tre leggi elettorali in sedici anni e tutte non hanno garantito la stabilità, regalandoci un’altalena di governi di centrodestra e centrosinistra, più o meno uguali per durata complessiva (otto e sei anni) intervallati ambedue da governi tecnici in tre occasioni e da ribaltoni, figli di una sottocultura politica e non di un vizio normativo da addebitare ad una legge elettorale. Nel ‘93, nel pieno della crisi che segnò il sistema, sull’onda anti-partitica si realizzò il nuovo protagonismo delle amministrazioni locali che con l’elezione diretta del Sindaco, altra riforma elettorale, costituirono la speranza di un cambiamento che partisse dal basso e dalle comunità, che così provavano a riscoprirsi. La storia ci ha consegnato dopo vent’anni un altro fallimento della politica nazionale, con partiti spazzati via dal dissenso, ancora una volta anticipato da un nuovo protagonismo dei sindaci eletti nelle ultime tornate amministrative, e questo non è un voler recuperare teorie vichiane, ma solo rilevare ancora una volta la indispensabile necessità di crearsi una via di fuga, nonostante che anche la stagione dei sindaci ha fatto registrare grandi delusioni e dissesti di interi territori. Oggi siamo di fronte ad un pericolo di aggressione diffusa, tra partiti, tra istituzioni e perfino tra poteri dello Stato, in un quadro drammatico in cui nessuno è in grado di immaginare Pag. 2

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e ti si toglie in qualche modo la possibilità di proiettare lo sguardo al domani, ad un certo punto accade che inevitabilmente ci si limiti, a tirar le somme, nel tentativo di provare a definire almeno la propria quotidianità in relazione all’iter che, nel tempo trascorso, ha unito, appunto, i due punti, per nulla immaginari: passato e presente. Due punti che nell'ultimo biennio visti da qui, dal pianeta trasporti, sembrano apparire inverosimilmente più vicini e coincidenti che mai. Sì, vero, molto è stato detto, forse perfino promesso, ma davvero nulla è stato fatto. Ed ecco che l'emergenza locale, messa in vita dalle malsane amministrazioni ereditate ed esplosa definitivamente con il taglio da parte del governo centrale alle risorse da destinare ai servizi regionali, pur se fondamentali ed irrinunciabili, piuttosto che rientrare con il trascorrere del tempo, la ritroviamo oggi ancor più grave, al pari quasi di un virus nel suo più alto stadio di azione infettiva. Forse l'immagine della

contaminazione in crescendo in una regione ormai priva di difese immunitarie se non è proprio quella giusta, di certo è quella più esemplificativa, e le molteplici criticità che giungono quotidianamente dalle cinque province campane ne danno triste e desolante conferma. Tutto sembra essere finito in tilt, in un caos senza precedenti, perfino chi sembrava avesse trovato l'antidoto per venirne fuori. Dopo l'operazione di fusione per incorporazione tra Sepsa, Circumvesuviana e Metrocampania NordEst, infatti, nemmeno la neo-nata Eav srl riesce a destarsi dall'intorpidimento fatto di affanni, disservizi ed esasperazioni. Da oltre un anno la storia continua a ripetersi, il pagamento degli stipendi è divenuto un'ardua conquista e non più il primo tra i diritti dei lavoratori. Si è parlato fino alla nausea di necessari interventi di razionalizzazione ed efficientamento, riduzione dei centri di costo ed ottimizzazione delle risorse, è stata montata una macchina complessa di concetti nuovi ed

Riordino del ciclo Sita Sud, una Montesanto, segno dei rifiuti. La legge storica azienda che della paralisi del tpl che verrà lascia la Campania campano Pag. 3

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impalpabili per indicare una soluzione a chi davvero subiva le reali conseguenze del disastro messo in piedi, ma la realtà continua invece ad essere la stessa di prima, la stessa di sempre: la stabilità organizzativa e finanziaria tanto agognata continua ad essere una pura utopia, il collasso tocca punti di non ritorno ed i lavoratori, ormai totalmente disillusi dopo le tante esperienze vissute, non ponendo più alcuna fiducia nel management aziendale, si ritrovano ad agire soli e più confusi che mai. Risultato? 2400 lavoratori incrociano le braccia e la città soccombe alle disperate serrate. Capita così che in un solo giorno una vastissima rete di comuni, dalla zona flegrea alla penisola sorrentina, passando per le aree vesuviane, resta letteralmente isolata dal resto del territorio. Disagi per tutti, oltre centomila i viaggiatori, tra studenti e pendolari, impossibilitati a fruire dei servizi Eav di collegamento con il Pag. 2 capoluogo. Il virus si

Vai via in anticipo? Rischi il posto di lavoro

Più detrazioni nel 2013 per i figli a carico

Fiera della Pasqua nei Decumani I canti popolari nella storia napoletana


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Traspor t i in tilt , mobilità ferma Passano gli anni e il virus si espande in un territorio privo di anticorpi da pag. 1 espande, dopo i lavo-

ratori il contagio annienta l'utenza, sempre più in balia di una città che continua a negarle il sacrosanto diritto alla mobilità sul proprio territorio. Il prezzo da pagare è davvero alto se si considerano poi le esose somme erogate in anticipo al Consorzio Unico Campania per il rinnovo degli abbonamenti annuali; in pratica, in tutto questo triste marasma si finisce per pagare non il costo di un servizio fruibile, ma il costo di un'incertezza, il costo di scelte politiche reiteratamente inefficaci. Un'assurda realtà che si erige ad assioma portante del trasporto pubblico locale, una dura legge alla quale ci si piega ormai con cupa rassegnazione. Il virus è troppo invasivo: alle serrate Eav si aggiunge il fallimento EavBus ed i disastri targati Anm, con il taglio delle corse, l'indecente fermo dei mezzi causato dalle assicurazioni non rinnovate e le improvvise sospensioni del servizio per insufficienza di gasolio a disposizione. Metronapoli, poi, che sembrava essere l'unica realtà a resistere al collasso, inizia anch'essa a soccombere alle difficoltà finanziarie che le impediscono di acquistare nuovi treni in grado di appagare le esigenze legate all'apertura delle nuove imponenti stazioni dell'arte. Oltre le mura cittadine, in direzione Salerno, la situazione è forse anche più grave. La Sita, afflitta da gra-

vi problemi economici e finanziari, continua ad intimare la volontà di recedere dal contratto di servizio in Campania aprendo la procedura di mobilità per i suoi 462 dipendenti, ormai assuefatti allo stato di agitazione. La Cstp, invece, scongiurato lo spauracchio del fallimento, continua ad ogni modo a vivere fasi delicate di incertezza e preoccupazione, nonostante l'ac-

cordo raggiunto sul taglio, seppur minimo (circa il 7 per cento), delle retribuzioni, per salvaguardare il proseguimento del servizio e gli ancor più importanti livelli occupazionali. Acque torbide anche sul versante casertano, dove in Clp continuano ad essere irrisolte diverse problematiche relative alla riorganizzazione del lavoro, oltre alle quotidiane difficoltà che si registrano sul piano della mobilità. Questo è il quadro clinico di un intero territorio che soccombe al virus della mobili-

tà negata, un flagello che non consente al cittadino neppure il vaglio dell'ipotesi, seppur carissima, “antidoto automobile”, che, tra incoerenti zone a traffico limitato, parcheggi introvabili ed un manto stradale degno di uno scenario post-bellico, finisce per incrementare soltanto il senso di frustrazione con il quale si convive giorno dopo giorno. Le istituzioni, intanto, continuano a parlare di rilancio e ristrutturazione, di fondi in arrivo per una nuova e giusta programmazione. Ma la realtà è che invece brancolano tra parole e progetti a cui anch'esse stentano a credere. Continuano a nascondersi dietro il peso di un'eredità grave, quasi come se gli si fosse stata imposta e non fosse stata solo una logica conseguenza da fronteggiare dalle comode poltrone a cui hanno ambito con brama. Un futuro c'è sempre, ma se un assessorato ai Trasporti, in grado perfino di far peggio del precedente, continua a riproporre gli stessi programmi di rilancio di un anno fa, se si rischia l’esplosione di un’altra emergenza rifiuti, se non si è in grado di offrire un presidente dell’autorità portuale meritandosi un altro commissariamento, non è così difficile comprendere il motivo per cui nessuno riesce più a vederlo, il futuro, eppure la forza e perfino la fantasia non è mancata! Roberto Intermoia

I dipendenti della Sacom sul piede di guerra Il mancato pagamento delle mensilità agita gli animi dei lavoratori Una generazione sul filo del rasoio, questa è l’immagine che viene in mente ad osservare il mondo del lavoro attuale, dove si vive in uno stato costante di incertezza ed insicurezza. Il precariato ormai non è più solo la più bieca forma di sfruttamento lavorativo, arma di distruzione del futuro della massa, ma una condizione sociale vissuta come dimensione esistenziale. Non più solo la disoccupazione, non più solo i contratti a progetto, anche quello che poteva sembrare un lavoro dignitoso e certo può improvvisamente regalare spiazzanti realtà da incubo. E’ questo il caso della Sacom, i cui lavoratori sono più volte stati costretti ad urlare il loro disagio a causa del ritardo nell’erogazione dello stipendio. Al momento mancano all’appello la tredicesima 2012 e tutte le mensilità del 2013 e ad oggi non è stata ancora fornita loro un’adeguata risposta in merito alle dovute spettanze. I titolari dell’azienda che fornisce servizi per alcune aziende del TPL campano, rimettono le responsabilità alle committenti, le quali non provvedono a saldare i debiti a causa del mancato rilascio del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) da parte

dell’INPS, negando dunque la liquidità utile a pagare i dipendenti della Sacom. L’origine del problema andrebbe ricercata nel fallimento di Eavbus, verso cui la Sacom è esposta per diverse migliaia di euro. Fino a tale evento, Ifitalia anticipava somme sul contratto di servizio dei committenti, utili a pagare stipendi e contributi previdenziali. Con la sentenza del Tribunale di Napoli, invece, Ifitalia ha negato qualunque esposizione in nome di Eavbus, decretando presto una situazione di caos, con il DURC non in regola ed EAV (nel contempo diventata l’unica committente degli appalti ex Circumvesuviana ed ex Sepsa) impossibilitata secondo la legge ad adempiere al contratto di servizio. Dopo estenuanti trattative tra OO.SS. e dirigenza Eav, quest’ultima sembrerebbe disposta a pagare il dovuto all’INPS per ottenere il rilascio del DURC, consentendo così di riprendere i flussi finanziari verso Sacom. Il vero scompenso nasce dalla nota diffusa da quest’ultima azienda, la quale ha chiarito che anche in questo caso, non potrà essere garantito il pagamento degli stipendi, a causa della forte esposizione debitoria. Un problema di dimen-

sioni enormi se si pensa che a causa della recente fusione tra Circumvesuviana, Sepsa e Metrocampania NE, la criticità non è più circoscritta, ma è estesa a tutti i dipendenti. L’ennesimo schiaffo ad una categoria di lavoratori già da tempo mortificata. Si pensi che la Sacom affianca la società Florida 2000 non solo nell’appalto di pulizia, ma anche nella gestione dei servizi di presenziamento di alcuni passaggi a livello della rete ferroviaria. Tale condizione ha spinto i dipendenti a citare in causa il datore di lavoro e l’azienda committente. La buona notizia è che il Giudice del Tribunale del Lavoro di Napoli ha disposto l’assunzione diretta e la ricostruzione della carriera di questi ultimi nella società ferroviaria per interposizione fittizia di manodopera, la cattiva notizia è che agli agenti si continui a negare questa possibilità, pur avendo di diritto guadagnato la possibilità di vedersi riconosciuto il giusto compenso e la giusta qualifica. Non c’è tregua, dunque, per una categoria di lavoratori che ha sempre vissuto sul confine del baratro ed alla quale sono negati il diritto costituzionale alla giusta retribuzione e l’applicazione di una sentenza a favore, ma che nonostante ciò continua quotidianamente a svolgere con dedizione e dignità il proprio lavoro. La speranza è che alla fine di questo baratro non ci sia solo il buio attraversato fino ad ora, ma una scintilla capace di illuminare finalmente le menti e le coscienze di chi ha il potere di spezzare questo infinito calvario, per chi oggi vede il lavoro come un lusso, dimenticando che si tratta semplicemente di un diritto inalienabile. Umberto Esposito

da pag. 1 come si potrà affrontare l’elezione del

capo dello Stato, la formazione di un governo stabile e finanche il turno della presidenza della UE che toccherà all’Italia nel Luglio del 2014 dopo il semestre della Grecia. Bisognerebbe fare una cosa normale, mettersi insieme per provare ad uscire dalle secche, ma noi non siamo tedeschi che hanno sostenuto il governo della Merkel che aveva vinto le elezioni per una manciata di voti, anche se nel frattempo perdeva tutte le elezioni regionali (länder); noi non siamo l'America che riconosce il Presidente eletto con una telefonata dello sfidante la sera stessa degli scrutini, anche se questi ha vinto grazie ad una manciata di voti pervenuti sul filo di lana da uno Stato in cui governa un parente del candidato risultato poi vincente; noi dobbiamo sopraffare e augurarci, se non organizzare, l’annullamento di ogni competitore e non fa nulla se il Paese va a rotoli, l’importante è vedere fin dove teniamo. Noi abbiamo gente che non si candida per governare, ma per annullare gli altri senza preoccuparsi di cosa succede al Paese reale. Ai cittadini, però, è sempre più evidente, non interessa chi sarà il presidente della camera o del senato, ma di cosa sarà fatta, se lo sarà, la busta paga e se consentirà di vivere e di mandare i figli all'università, se la mattina si troveranno treni o bus per andare a lavoro o a scuola, se si avrà ancora un ospedale o un pronto soccorso nei ragionevoli dintorni di casa e non a 100 Km. Nel corso di questi anni finita un’elezione ci si attrezza sempre per vedere quanto prima di farne un’altra, non riconoscendo la legittimità di chi governa, la legge elettorale va cambiata sicuramente ma non è a questa che si può addebitare tutto, la legittimità di chi governa un paese o una comunità costituisce il primo valore da cui partire per costruire un paese vero e rispettato da tutti, e qualunque esercizio diverso è destinato a cadere sulle spalle del Paese e non di una sola parte. L’elezione del nuovo Pontefice ha dato ancora una volta un’indicazione di cosa può significare offrire una speranza, subito dopo la scelta del Cardinale Bergoglio, tutti, nessun escluso, hanno provato ad assegnargli una straordinarietà, eppure aveva solo pronunciato pochissime parole, aveva scherzato sulla sua provenienza ed aveva augurato ai fedeli ..buona sera. L’aspettativa forse è che la sua storia, la sua dichiarata valorizzazione della povertà della Chiesa e i suoi contrasti con la presidente argentina Kirchner circa la povertà diffusa del popolo argentino, possano offrire al mondo l’opportunità per svincolarsi dalle morse della finanza che sta limitando la vita di milioni di uomini e donne, sprigionando quella forza capace di recuperare dignità ad un mondo troppo squilibrato ed assegnato nelle mani di pochi. In Argentina si annidano grandi difficoltà e contraddizioni, il percorso per uscire dalla crisi drammatica del 2001 è stato, secondo Bergoglio, una cura troppo dura che ha generato l’aumento del divario tra ricchi e poveri e non ha offerto una prospettiva allo sviluppo umano anteponendo ad esso il ripiano del debito. Queste considerazioni che insieme alla contrarietà per leggi sui matrimoni gay e liberalizzazioni, hanno incrinato i rapporti con la presidente argentina, pare possano essere individuate come la speranza che ancora una volta un papa, come lo fu per il Polacco Wojtyla, possa essere artefice dell’abbattimento dei muri della diseguaglianza e della miseria che questa volta è la finanza a regalare. Lo scontro tra il FMI e l’Argentina circa la veridicità dei conti, la reale inflazione, il tasso di disoccupazione, il debito pubblico (di gran lunga inferiore a quello italiano) e il ruolo delle banche di affari, disegnano scenari già visti in occidente per la Grecia e fortemente minacciati per altri paesi, i PIGS, rimarcando ancora una volta il ruolo della finanza e dell’economia a discapito di ogni altro diritto. Quindi potrebbe essere proprio questa la chiave di lettura di una speranza che si è voluta costruire, fin dalle prime parole del pontefice, sulla caratteristica della scelta di un Papa argentino, sudamericano e lontano da Roma e dallo IOR, per il recupero della priorità dei diritti dell’uomo su quelli della finanza. È difficile immaginare che da una sola azione, per quanto importante, possa scaturire la soluzione; ad ogni latitudine, in ogni città, in ogni luogo di lavoro, scuola o università bisogna riprendere a costruire la via di uscita. Come si è potuto vedere, anche in una situazione disperata si possono fare scelte di merito, abbandonando preferenze di parte si possono offrire prospettive come è stato nella scelta dei presidenti delle assemblee parlamentari, la strada ancora non è chiara e non è detto che ce la si faccia, ma almeno una volta si è provato a dare un’opportunità e sarebbe un grave peccato sprecarla. In questo momento anche la Campania, e Napoli in particolare, sembrano essere sotto assedio, nemmeno la fortuna aiuta con la concentrazione di fatti tragici in un solo giorno come è stato il lunedì nero di qualche settimana fa, ma bisogna reagire tutti insieme, uscendo allo scoperto, facendo anche dei sani compromessi, qualche rinuncia e, perché no, anche un nuovo patto sociale, capace di determinare un Contratto Sociale, che se Hobbes cinque secoli fa teorizzava come modello per coniugare le singole ed egoistiche innate aspettative dell’uomo con l’interesse generale, quale prima ed incondizionata condizione per realizzarli, oggi può costituire la nuova e nemmeno tanto, strada per provare ad uscire insieme dal buio in cui siamo immersi, perché per dirla con Stanislaw j. Lec, che in un campo di concentramento il buio lo aveva vissuto, in tempi bui è difficile ritirarsi nell'ombra! Luigi Simeone


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Riordino del ciclo dei rifiuti. La legge che verrà Il 9 aprile nuovo incontro tra Regione e Sindacati. Dopo le parole, si attendono i fatti Una nuova legge regionale per la gestione dei rifiuti in Campania sembra essere finalmente in dirittura d'arrivo. Nelle parole di Giovanni Romano, l'Assessore regionale all'ambiente che il 18 marzo ha incontrato le segreterie regionali delle Confederazioni e categorie Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Fiadel, la bozza del provvedimento sarà pronta entro i primi giorni di aprile. Subito dopo inizierà l'iter di presentazione della legge che dovrà essere discussa ed approvata prima dalla Giunta e poi dal Consiglio Regionale. Secondo l'Assessore Romano ci sarà anche il tempo per valutare insieme ai Sindacati i contenuti del futuro provvedimento, nel corso di un nuovo incontro previsto per il 9 aprile. Obiettivo dichiarato dall'Assessore è l'approvazione della nuova legge entro il prossimo 30 giugno, quando scadrà la proroga concessa dal Governo nazionale alle norme che furono varate nel 2009 dall'esecutivo di Silvio Berlusconi per dichiarare conclusa l'emergenza rifiuti in Campania. Fu introdotta allora, infatti, quella provincializzazione del ciclo dei rifiuti che, mai decollata per l'inefficacia delle iniziative messe in campo dalle Amministrazioni Provinciali, è stata poi definitivamente cancellata dalla Legge n.135 del 2012 che stabilisce la competenza esclusiva dei Comuni su tutta la gestione dei rifiuti, dai servizi di spazzamento e raccolta alle attività necessarie per smaltire i rifiuti prodotti nelle nostre comunità. L'Assessore Romano descrive un sistema coerente con le norme nazionali in materia di rifiuti, con il territorio regionale suddiviso in ATO, Ambiti Territoriali Ottimali coincidenti con i confini amministrativi delle province, in cui i Comuni dovranno associarsi tra loro per assicurare la corretta gestione dei rifiuti in tutto il territorio di competenza. Gli ATO saranno governati da un organismo in cui saranno presenti tutti i Sindaci dei Comuni interessati e che dovrà approvare i piani di gestione delle varie attività, i cosiddetti Piani d'ambito, che saranno eseguite dai soggetti pubblici o privati individuati secondo i criteri e

con le modalità previsti dalle norme per l'affidamento dei servizi pubblici. Gli ATO potranno a loro volta essere suddivisi in ALO, articolazioni locali con compiti esclusivamente operativi, per favorire l'erogazione di servizi di buona qualità ed economicamente sostenibili. Saranno gli ATO, infatti, a determinare i costi e quindi gli importi dei tributi che confluiranno nella TARES, la tassa imposta ai cittadini da tutti i Comuni per finanziare, tra gli altri, i servizi di igiene ambientale. A monte di tutto il sistema ci sarà un'agenzia regionale che dovrà verificare la coerenza tra il Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti e quelli approvati dai vari ATO, assicurando la

sorzi di Bacino. Nati proprio in virtù di una precedente legge regionale per assicurare servizi di raccolta differenziata ed altre attività di igiene ambientale, i Consorzi sono stati progressivamente svuotati di competenze e risorse. Anche quando sono effettivamente utilizzati dai Comuni per le loro esigenze, infatti, la scarsa disponibilità di volontà politiche e di risorse economiche da parte delle Amministrazioni Comunali ha esposto i Consorzi ad una crisi gravissima. I lavoratori, a Napoli come a Caserta, a Salerno come a Benevento, sono privati degli stipendi per periodi lunghissimi, costretti ad un insostenibile impoverimento e ad una grave disperazione sociale. In alcune realtà,

razionalità dell'intero sistema rifiuti in Campania. L'Assessore Romano ha esposto un provvedimento dai contenuti abbastanza condivisibili, in cui sembrano recepite anche alcune delle proposte che il sindacato di categoria aveva elaborato e presentato tempo fa con un documento unitario. Nonostante questo, però, non è ancora giunto il momento delle valutazioni conclusive. Non per il Sindacato che, pur apprezzando le disponibilità e gli impegni assunti dall'Assessore regionale all'Ambiente, attende di vedere coerentemente affrontati nel testo della nuova legge alcuni nodi intricatissimi e di difficile soluzione. Resta ancora sul tavolo, ad esempio, la questione dei Con-

soprattutto nelle province di Napoli e Benevento, la scelta dei Comuni di non servirsi dei Consorzi ha privato i lavoratori delle loro attività e favorito le speculazioni politiche e giornalistiche di chi si sente autorizzato ad utilizzare l'offensiva definizione di gente "pagata per non lavorare". Su questo aspetto della crisi dei rifiuti non bastano gli impegni generici e le vaghe assunzioni di responsabilità. Il Sindacato ha chiesto che la nuova legge regionale preveda l'obbligo di assorbire negli ATO i lavoratori dei Consorzi, impiegandoli definitivamente per garantire percentuali di raccolta differenziata almeno dignitose ed attività di smaltimento finalmente adeguate alle esigenze dei nostri territori. Una proposta condivisa a parole, difficile non condividerla nella Campania oggetto di procedure di infrazione da parte dell'Unione Europea proprio per la mancanza di efficaci raccolte differen-

Rischio liquidità per il Gruppo FS Moretti, alla conferenza stampa sul Treno Verde, lancia l’allarme Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. L’articolo 36 della Costituzione Italiana è ben noto a tutti i cittadini, eppure, negli ultimi mesi, quella che dovrebbe essere una verità assoluta, viene puntualmente mortificata dalla dura realtà che si vive nell’ambito del trasporto pubblico campano, dove i ritardi nel pagamento dei salari si sono moltiplicati, coinvolgendo sempre più aziende. Nell’intero comparto aleggia un perenne stato di precarietà ed ogni lavoratore sembra coinvolto in una roulette russa, un gioco estremo talmente crudele da riuscire ad avvelenare perfino la proverbiale solidarietà che vive tra i colleghi del trasporto pubblico, spingendo il lavoratore a sperare che l’agognato 27 del mese spetti al prossimo la fatale pallottola, risparmiando se stesso. Finora estranee a queste logiche che sembravano appartenere solo al trasporto locale, anche le Ferrovie dello Stato hanno deciso di partecipare a questa danza macabra, per il momento lanciando solo un piccolo sasso nello stagno, sperando però che le onde generate non provochino presto uno tsunami. Nella prima settimana di marzo, in occasione della presentazione del Treno Verde, la campagna di Legambiente e Ferrovie dello Stato contro l’inquinamento atmosferico e acustico che promuove il potenziamento del trasporto pubblico, l’Amministratore Delegato del Gruppo FS ha dichiarato che la società vanta verso le Regioni crediti per

oltre un miliardo, lanciando un allarme sul rischio liquidità nel caso in cui la situazione non dovesse conoscere un’inversione di rotta. Mauro Moretti ha affermato: “Non siamo ancora in crisi e la stiamo gestendo, ma non possiamo proseguire in una situazione di scivolamento in cui facciamo un servizio e non veniamo pagati. Dobbiamo pagare i nostri lavoratori ed i nostri fornitori e non possiamo continuare a dare un servizio ricevendo pagamenti a piangere”. L’Ad del Gruppo FS ha inoltre ricordato quanto sia difficoltoso sostenere un piano di investimenti da 2,5 miliardi per i treni regionali se nessuno paga ed ha minacciato il ridimensionamento del servizio o manovre ancora più incisive per le regioni che sono più indietro con i pagamenti. Ancora una volta, è sotto accusa l’approssimazione del decentramento delle responsabilità del TPL alle Regioni senza una normativa stringente e la certezza dei trasferimenti, dunque, è sotto scacco il servizio universale ed ancora una volta a farne le spese saranno i soggetti più deboli. I pendolari, che trovano nel trasporto pubblico non solo uno strumento indispensabile, ma anche un’arma efficace contro le sempre più opprimenti spese necessarie per sostenere l’utilizzo dell’auto, ed i lavoratori, quotidianamente impegnati affinché sia assicurato un servizio sicuro e regolare, nonostante la continua contrazione di uomini e mezzi. Si spera, dunque, sia possibile risolvere al più presto l’ennesima diatriba sui contratti di servizio e si possa ritornare a parlare esclusivamente di treni verdi e non più di “treni al verde”. U. E.

ziate e di un adeguato ed autonomo sistema di smaltimento, ma non ancora tramutata nella concretezza di un provvedimento normativo. Proprio per questo il realismo dell'Assessore Romano, che si spinge ad ipotizzare il ricorso temporaneo agli ammortizzatori sociali per i lavoratori dei Consorzi che non potranno essere immediatamente ricollocati in attività ancora non avviate dai Comuni, sembra quantomeno prematuro. Pur essendo apprezzabile l'intento di non voler abbandonare a loro stessi migliaia di lavoratori sostanzialmente privati del reddito per un tempo indefinito, infatti, il riassorbimento dei lavoratori nelle nuove attività del ciclo integrato dei rifiuti non potrà essere legato a valutazioni politiche o di opportunità. Dovranno essere piuttosto i Piani d'ambito, elaborati per raggiungere livelli accettabili di qualità ed efficacia dei servizi di igiene ambientale, a determinare fabbisogni e modalità di assorbimento degli organici perché il problema non è pagare gli stipendi a "gente che non lavora". La vera scommessa resta quella di assicurare ai cittadini della Campania servizi degni di un Paese civile. Utilizzare il prezioso lavoro di personale sinora sottoutilizzato non è opportuno, è necessario per superare le debolezze strutturali di un sistema rifiuti che oggi genera soltanto costi altissimi e scenari di cruda emergenza. Il giudizio del Sindacato sulla nuova legge regionale di riordino del ciclo dei rifiuti resta quindi sospeso, pur dentro una valutazione cautamente positiva delle premesse descritte dall'Assessore Romano. L'attenta valutazione della bozza di legge, quando sarà effettivamente presentata ai Sindacati, consentirà una valutazione più realistica delle garanzie offerte ai cittadini ed ai lavoratori e delle concrete possibilità che il nuovo ciclo dei rifiuti sia effettivamente implementato nella nostra Regione. Troppe leggi hanno già superato sulla carta una crisi di sistema che nella realtà è rimasta irrisolta. A partire dall'incontro con la Regione del prossimo 9 aprile, quindi, il Sindacato vigilerà perché la nuova legge regionale sia una buona legge e perché questa sia la volta buona, quella in cui alle parole seguano i fatti. Fabio Gigli

Serfer: un ruolo strategico nell’intermodalità Dalla consociata FS Logistica arriva la branca chimica Mare burrascoso che diviene mosso, poi piatto. In questa sequenza eufemistica di empirico, compassato ma fruttuoso positivismo imprenditoriale, si cela l’alchimia dei vasi comunicanti di Ferrovie dello Stato italiane. Forse la panacea, rivelatasi sempre vincente, l’assioma che permette alla Holding di misurarsi con le problematiche più varie, riuscendo sempre a trovare la soluzione appropriata al cospetto delle problematiche societarie. Nel numero scorso descrivevamo l’ennesima crisi di una delle società del Gruppo più recentemente in esso incastonate e con una vita tutt’altro che tranquilla. A distanza di un mese emergono i risultati preconizzati e le prospettive future dei lavoratori di FS Logistica. A seguito del viraggio verso l’attività “core”, il ridimensionamento dell’organico permetterà a questa società di abbandonare il data entry (ossia la gestione diretta dei dati) affidandolo a terzi ( i corrispondenti di zona) per svolgere di fatto ciò che stava a cuore alla Holding: l’attività di controllo e monitoraggio. In pratica, assumendo il ruolo di “house” di Trenitalia, pur conservando la propria autonomia di impresa. La “matrioska FS”, dunque, fa quadrato intorno all’obiettivo primario: salvare le imprese controllate con una loro avita propensione ad essere cunei nel mercato, talora selvaggio, del trasporto merci ed intermodale. Nei prossimi giorni, con le Organizzazioni sindacali, l’Azienda unitamente all’altra consociata, Serfer, riaprirà il confronto, presente la Holding, sugli aspetti più spinosi del secondo livello di contrattazione. Sarà utilizzato il modulo ad appannaggio delle società storiche del gruppo, a cui verranno apportate modifiche, integrazioni ma anche

sottrazioni affinché si raggiunga una sintesi soddisfacente allo scopo di garantire ai 71 lavoratori rimasti in forza, un contratto integrativo capace di fare di FS Logistica e Serfer due aziende il cui personale sarà di fatto equiparato ai colleghi ferrovieri in stretto senso. Tra l’altro, a suffragare il buon esito dell’operazione, la partecipazione della Holding nel capitale sociale di entrambe. Della prima detiene il cento per cento. Una conquista storica, seguita dalle pagine di questo mensile, che aggiornava i risultati in maturando di un percorso lungo ed accidentato. Ora si è vicini al taglio del traguardo, seguendo il filo dell’ultima riorganizzazione di FS Logistica, che ha favorito una sorta di diaspora con parte del personale ricollocato in RFI, altro in Serfer. Appunto Serfer, la società che progetta e realizza infrastrutture ferroviarie e movimentazione merci per conto di Trenitalia. Essa vedrà drenata verso di sé una quindicina di persone per cessato contratto e trasferimento del ramo chimico da FS Logistica, potenziando l’implementazione di nuovi sviluppi del suo traffico intermodale già ben diramato sulla rete nazionale e concentrato in prevalenza nel bacino nord-occidentale della penisola. Munita di ben 130 locomotori con un organico di oltre 700 dipendenti, la Società con sede sociale a Genova è controllata da Ferrovie dello Stato italiane. Tra i suoi compiti, quello di approntare corsi per il conseguimento della patente “E” per la conduzione dei treni, essendo operatore dotato di licenza rilasciata da Rete Ferroviaria Italiana. Arcangelo Vitale


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Ctp nella morsa di un paese difficile Quando la solidarietà dimentica utenti e turisti Il personale reclama la presenza dello Stato sul territorio Eavbus: dopo i sacrifici i lavoratori attendono risposte dall'azienda La nostra cara CTP è un’azienda che da tanti anni opera in contesti più diversificati delle realtà municipali locali, dalla lontana landa mondragonese fino ad arrivare alle molteplici zone vesuviane, attraversando diversi paesi e contesti sociali, tutti accomunati più o meno dagli stessi problemi. Tutti vivono un isolamento culturale tipico delle vasta distesa suburbana delle metropoli, e tutti devono fare i conti con un’emarginazione spesso disumana. Dove si concentrano inevitabilmente tutti i problemi “tipici” del panorama meridionale del nostro Paese. Ma negli ultimi tempi c’è un comune in particolare che usufruisce e “abusa” dei servizi e del lavoro di tutti noi. Melito. Questo piccolo centro da troppo tempo vive un drammatico momento storico, non avendo più un’autorità amministrativa in grado di governarlo e soggetto a diversi scioglimenti degli organi democratici di gestione.. Un tempo era considerato terra di sane produzioni agricole al confine con la periferia nord di Napoli che terminava con Secondigliano. A partire dagli anni settanta la devastazione edilizia del territorio iniziata con Scampia e senza soluzione di continuità approdata anche a Melito, ha determinato il saccheggio socio culturale di una comunità che si è vista trasformare da laboriosa ed ospitante, in difficile e riluttante ad ogni forma di sana convivenza, divenuta con grandi responsabilità politiche interessante per la criminalità organizzata. Le difficoltà della stragrande maggioranza dei cittadini sono le stesse di quanti in quel territorio ci lavorano, costretti ad attraversarlo dovendo fare i conti con situazioni che vanno troppo oltre una normale giornata lavorativa. L’utenza che trasportiamo ormai si sente libera di usufruire dei mezzi senza pensare minimamente al dovere di

procurarsi il titolo di viaggio, e in più arrogandosi il diritto di richiedere spesso le fuori fermate, magari in prossimità di incroci pericolosi. Con una viabilità che mostra scene inquadrabili tra l’assurdo ed il grottesco, dove il codice della strada sembra abbandonato da tempo. Non c’è giorno o addirittura corsa in cui non accada qualcosa che possa, senza troppi indugi, trasformarsi in aggressioni, minacce e insulti. La linea che ne fa maggiormente le spese è l’M13, il filobus, il quale spesso è costretto a deviare il proprio corso non potendo usufruire della marcia in corrente, in quanto il corso di Melito senza alcun controllo della polizia locale è considerato innanzitutto una zona di parcheggio. In divieto di sosta, ovviamente. Tutto ciò denota sicuramente l’abbandono di cittadini sani ma mette a repentaglio anche in maniera preoccupante la nostra sicurezza, e quella dei mezzi che devono necessariamente riprendere ad essere anche un avamposto di giustizia e sicurezza sociale che non può arrendersi al degrado e all’abbandono. Presidiare il territorio, per segnare la presenza dello Stato cominciando a garantire il normale esercizio del Trasporto costituirebbe un segnale importante per i giovani e le famiglie che vivono e vogliono continuare a farlo a Melito. Siamo consapevoli che parte dei problemi non sono di competenza diretta della Ctp. Ma volendo contemperare la garanzia di un’offerta decente e la sicurezza dei propri dipendenti, la CTP e la proprietà potrebbero riprendere ad essere soggetto portatore sano di interessi collettivi come in passato CTP è riuscita a fare in territori altrettanto difficili come il lungomare casertano… ma questa è un’altra storia! Vincenzo Pacella

Sita Sud, una storica azienda che lascia la Campania Lavoratori e viaggiatori figli di un dio minore Esistono domande alle quali molte volte non sappiamo dare risposta, domande semplici o ancestrali, che per quanto ci sforziamo rimangono insoddisfatte. Poi, ognuno di noi, ne ha una in particolare, che dipende dal contesto in cui vive o svolge la propria attività. Il sindacalista del settore trasporti, non può non essersi, almeno per una volta, posto la seguente domanda: "Ma le aziende di trasporto pubblico locale su gomma della nostra regione, con i loro dipendenti ed i loro viaggiatori, sono egualmente importanti, o esistono aziende di serie A, B e C, con personale ed utenza anch'esse diversamente classificati?". Da quanto si legge nella costituzione, art.16, e nelle leggi nazionali e regionali, la risposta dovrebbe essere semplice ed univoca, tutti i cittadini e tutti i lavoratori di un settore, a parità di diritto alla mobilità o di prestazioni effettuate per i secondi, dovrebbero essere egualmente trattati, ebbene in Campania non è così. Nella nostra regione esistono aziende simili per caratteristiche di trasporto, extraurbano, che godono di trattamenti economici assolutamente differenti. Aziende simili, consorziate nel sistema di tariffazione integrato UNICO CAMPANIA, e quindi con ricavi da traffico percentualizzati allo storico, ma con un costo chilometrico da contratto di servizio assolutamente differente, Basti pensare che CTP ed EAV BUS, viaggiano ad un costo tra i 2,70 ed i 2,80 euro/chilometro, mentre per SITA

SUD il corrispettivo chilometrico è di 1,70 euro. Tariffe ferme dagli anni 2000, mentre nel frattempo la lira si trasformava in euro, il costo del gasolio raddoppiava così come i costi dei ricambi, la Regione Campania oltre ad imporre il comodato d'uso oneroso per gli autobus, imponeva un taglio chilometrico, e quindi economico, del 30% circa. Il sistema è imploso, e le prime sofferenze sono emerse nelle aziende pubbliche, CTP ed EAV BUS, che nonostante il maggior corrispettivo da contratti di servizio, hanno dichiarato la loro impossibilità a far quadrare i conti e sono state ricapitalizzate dagli enti proprietari, Provincia di Napoli e Regione Campania. La SITA SUD, nonostante l'esiguo corrispettivo e senza nessuna possibilità di essere ricapitalizzata, essendo un'azienda privata, ha resistito più delle sorelle pubbliche nella speranza che la Regione riuscisse ad elaborare una seria riprogrammazione ed un piano dei trasporti di media durata. Speranza vana, accompagnata da una perdita che nel solo

La solidarietà è uno status nobile che esprime comprensione e benevolenza verso chi ha un disagio. Nelle aziende, la solidarietà applicata al contratto di lavoro, può essere un mezzo che tende ad evitare situazioni di criticità come il licenziamento per alcuni soggetti a fronte di sacrifici sostenuti dalla totalità dei lavoratori. Non a caso, il percorso del contratto di solidarietà intrapreso da Eav che amministra la fallita Eavbus, ha scongiurato licenziamenti certi per alcune centinaia di lavoratori. Senza scendere troppo nei dettagli, in questa fase si ha la sensazione che ci si è concentrati solo sulla scelta e l’attuazione dei contratti di solidarietà per i lavoratori, lasciando in secondo piano la necessaria attenzione verso la funzionalità dei servizi offerti senza centrare appieno al momento - gli obiettivi che un’azienda di tpl dovrebbe raggiungere. La situazione attuale, infatti, presenta ancora notevoli difficoltà nell’espletare e rendere funzionale il servizio quotidiano. La riduzione, dei turni dei conducenti, addetti all’esercizio, servizio verifica e servizio biglietteria, comporta una riduzione della quantità e della qualità del servizi offerti. Non è difficile immaginare, ad esempio, che la difficoltà nel reperire abbonamenti o titoli di viaggio (in particolare al capolinea in orari di punta) e la mancanza di deterrente della verifica titoli a bordo, porta ad una sensibile riduzione degli incassi. Quando la stagione turistica è ormai alle porte. A queste criticità si aggiungono il nodo ancora irrisolto delle riparazioni degli autobus (che restano ancora giacenti in deposito) e quello forse mai affrontato della sostituzione di alcune tipologie di veicoli. I veicoli di piccole dimensioni tipo Pollicino, infatti, sono essenziali per svolgere alcune linee ad alta affluenza sia ad Ischia che ancor più a Procida dove è l’unica tipologia di veicoli a poter circolare

nelle strettissime e pittoresche stradine. Proprio nell’isola di Arturo qualche giorno fa, un solo, glorioso e anziano Pollicino su cinque riusciva ancora a circolare. Sembrava un missionario. Il povero Pollicino infatti, fu dimenticato dall’innovativo ed ambizioso progetto di rinnovo del parco veicoli della Regione Campania. Il progetto promosso dal Professore Cascetta era teso a svecchiare i veicoli con più di 15 anni, ma evidentemente il nome Pollicino lo ha tradito. E dopo 25 anni di onorata carriera al povero bussino non res t a n o neanche le briciole da raccogliere c o m e n e l l a favola, per ritrovare la strada maestra. Al di la d e l l e favole, un dubbio nasce: ma vi è un serio progetto di rilancio del tpl o no? Sulle isole il dibattito è sempre acceso. Si sa non viviamo in periodi di certezze, niente Governo, niente Papa… anzi si Papa Francesco è stato appena eletto, poco lavoro…. beh non è rimasto molto. Rimane lo sforzo dettato dal buonsenso di tutte le parti interessate affinché si intraprenda un percorso condiviso e che nell’immediato, ad esempio, non perda un’altra occasione che ci viene offerta dalla imminente stagione turistica. I lavoratori per conto loro, si stanno sacrificando e dubito che vi siano altri margini a cui attingere. Gli unici margini rimasti sono nella motivazione delle loro capacità e potenzialità così come avviene per i musicisti di un’orchestra. Qualche giorno fa Riccardo Muti in una lectio magistralis per la laurea honoris causa conferitagli dall’Università Orientale di Napoli dichiarava “invece che dire quattro stupidaggini filosofiche o musicologiche preferisco scendere ad atto pratico”. Se dovesse cambiare “genere” lo terremo presente come direttore della nostra “orchestra”. Mario Cozzolino

2012 ha significato circa 9 milioni di euro in meno. Da qui l'intenzione di lasciare il servizio in Campania, e la disdetta dei contratti di servizio con l'attivazione delle procedure di mobilità per tutti i 463 dipendenti. Ma può un servizio pubblico essere abbandonato così su due piedi? Assolutamente no! Allora gli enti pubblici, stazioni appaltanti dei contratti di servizio con SITA SUD, ossia

nomiche del servizio obbligato. Ma si sa, a queste latitudini, l'abitudine di interpretare a proprio favore finanche il più rigido dei regolamenti europei, è prassi consolidata, allora ecco che i contenuti dei formali obblighi di servizio, diventano quattro diverse disposizioni che come unico comune denominatore hanno il tentativo di scaricare le responsabilità tra di loro, la Regione sulle Province, le Province sulla Regione, con l'unico risultato di complicare ancora di più la faccenda. Le vittime incolpevoli sono i dipendenti e gli utenti, i primi portatori sani di una altissima produttività, riconosciuta in tutte le sedi istituzionali, i secondi sfortunati ad essere nati a Giffoni piuttosto che ad Arzano, ad Amalfi piuttosto che a Comiziano, dipendenti e viaggiatori di un'azienda al top in termini di qualità, precisione e sicurezza, ma ultima agli occhi dei nostri amministratori. Le aziende del TPL, tutte, con i propri lavoratori e gli utenti che se ne servono, dovrebbero essere rispettate tutte allo stesso modo, aiutate a svolgere nel migliore dei modi il compito a loro affidato, essere garanti sulla richiesta di mobilità fondamentale in ogni civiltà che si rispetti. Ed allora la domanda rimane senza risposta, con un’unica certezza che nella nostra bella regione non esistono politici ed amministratori di serie A, B o C, ma solo quelli che militano nelle categorie minori dei dilettanti. Antonio Aiello

Regione Campania e le Province di Napoli, Salerno ed Avellino, hanno inviato un formale obbligo di servizio a SITA SUD, attivando le procedure del regolamento europeo 1370 per le compensazioni eco-


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Metronapoli e i suoi treni fuori orario Montesanto, segno della paralisi del tpl campano Troppi disservizi, disagi per gli utenti della linea 1 Qualche tempo fa, se avessimo chiesto a qualche viaggiatore che usufruisce abitualmente dei treni della linea 1 di Metronapoli di descrivere in un solo aggettivo il servizio erogato dall’azienda, sicuramente la prima parola apparsa in mente sarebbe stata “efficiente”. Un servizio di trasporto pubblico valido, puntuale, un servizio a cui nessuno poteva rinunciare e che si preferiva di gran lunga a quello erogato dai bus in superficie che quotidianamente si trovano a fare i conti con il caos del traffico cittadino che imbottiglia i viaggiatori, per ore intere, in quelle “scatole chiuse”.. Ma ciò era convinzione di qualche tempo fa. Oggi per usufruire di un treno della metropolitana delle linea 1 è necessario non solo munirsi del solito e regolare titolo di viaggio ma di tanta e tanta pazienza. Sembrano così lontani quei tempi in cui si scendeva nel mondo undergroud coscienti di dover attendere il treno in determinate fasce orarie e con una certa frequenza prestabilita e garantita; oggi, l’attesa è aumentata, i treni scarseggiano ed i viaggiatori sono sempre più insoddisfatti del servizio erogato dall’azienda. È impossibile aprirsi probabilmente alla concorrenza in questo periodo così difficile per il trasporto pubblico locale, ma che il servizio della metropolitana locale non si schiodi dall’insufficienza è davvero un paradosso in previsione dell’ apertura delle prossime stazioni e dell’ulteriore estensione della rete metropolitana. L’aumento dell’offerta non si può determinare con l’apertura di nuove stazioni, a nessuno può sfuggire come l’avanzamento della realizzazione della linea 1 ha significato sempre e comunque difficoltà economiche per la società che deve farsi carico di costi di gestione ulteriori che non sono preventivati in fase di determinazione dei lavori. Appare evidente che se aumentano i luoghi da presenziare, come le stazioni, aumentano i costi e non automaticamente le entrate da tariffa e se questo non

corrisponde ad un incremento dei corrispettivi da contratto di servizio, si realizza il fenomenale evento che si aprono le stazioni e scompaiono i treni, non c’è che dire una gestione oculata e lungimirante! Si pensa ancora ad inaugurare in pompa magna nuove stazioni, e mentre si apprende di incentivi di oltre un milione di euro per quelli che si sono occupati del progetto (manco l’avessero fatto loro) si lascia la gente a piedi tra corse soppresse, carrozze in meno, disagi che ormai risultano essere all’ordine del giorno, caos e rabbia di chi paga un servizio ma è costretto a subire viaggi al limite del sostenibile, in vagoni affollatissimi e costantemente in ritardo. Andare e tornare dal lavoro, recarsi a scuola, utilizzare il servizio pubblico per svariate ragioni è diventato sempre più difficile in una linea metropolitana ad altissima concentrazione che dovrebbe garantire regolarità e continuità nel servizio erogato; tutti sanno che a Metronapoli non esistono orari cadenzati per il passaggio dei treni, ma delle fasce di orario in cui si aspetta in banchina l’arrivo del mezzo di trasporto; nell’ultimo periodo il tempo di attesa dei viaggiatori è evidentemente degenerato. Gli utenti tremano al solo pensiero di ascoltare quelle paroline così terrificanti che provengono dai sistemi di diffusione di stazione e che annunciano, purtroppo, l’interruzione della circolazione per problemi tecnici. Troppo spesso ormai sussistono questi problemi tecnici per i treni di Metronapoli ed il motivo di questi continui e gravi disservizi non è dato sapere ai comuni mortali viaggiatori, a cui non resta altro da fare, in alcuni casi, che abbandonare la metro ed usufruire di mezzi alternativi in superficie. Viene solo in mente un’amara riflessione che ci induce a credere che la puntualità a Metronapoli non è più di casa. Un’azienda che eroga un servizio efficace ed efficiente? Ma di cosa stiamo parlando? U. E.

Disservizi e brutture di un impianto per nulla moderno Ci lavori tutti i giorni e da buon automa alienato non fai altro che limitarti ad osservare le lancette di un orologio che sembrano avanzare in maniera tanto lenta da far apparire un turno di sette ore scarse quasi un’infinità. Per il resto nulla più sembra quasi contare, e, sopraffatto dagli affanni e dalle delusioni che la realtà lavorativa, in gentile omaggio, quotidianamente ti concede, finisci senza nemmeno accorgertene per indossare paraocchi protettivi, non per tirare dritto alla meta senza distrazione alcuna, ma per incosciente volontà che ti tutela dalle brutture circostanti. Può accadere ovunque, ma il mondo che conosciamo è quello del tras p o r t o pubblico locale, dell’ex Sepsa o, per chi preferisce, della neo-nata Eav, di due delle sue linee, Cumana e Circumflegrea, di Montesanto, forse la più importante tra le stazioni. Sette ore sono tante e nei suoi 420 minuti, se ti svegli dalla comatosa disillusione, non puoi non appurare la miriade di scempi che caratterizza il “moderno” impianto e le relative attività. I locali di biglietteria e sorveglianza delle tecnologie appaiono come tane sprovviste di porte antipanico e strumentazioni di riciclo d’aria per ovviare all’assenza di finestre. Stessa sorte per l’ufficio del capostazione, il quale, non avendo denaro e titoli di viaggio da proteggere, sceglie di lavorare con la porta aperta, preferendo respirare (aria comunque intrisa di ferodo) e sottostare alle continue incursioni degli utenti avvezzi alle feroci proteste. A differenza dell'uscita, l'entrata in stazione non è cosa chiara, e finisci per capirci

qualcosa soltanto quando, a causa delle porticine di filtraggio guaste da sempre, ti ritrovi controcorrente tra il mare di folla che esonda dai treni. Se un'intuizione t'illumina il retto percorso, alle “modiche” cifre stabilite dal caro Consorzio Unico puoi ammirare rovine e fatiscenze di una megastruttura inaugurata appena qualche anno fa. Vetrate infrante, decine di monitor informativi spenti (in realtà mai accesi), varchi d'accesso mal funzionanti ed incerottati fino all'inverosimile, punti vendita mai inaugurati, servizi igienici indegnam e n t e sbarrati e non fruibili, scale m o b i l i esterne mai completate e punti antinc e n d i o (gabbiette contenenti idranti ed estintori) sistematicamente vandalizzati. Nessun controllo, nessun servizio di vigilanza a tutela del personale e del patrimonio aziendale, nessun deterrente per malintenzionati, nulla di nulla che riesca minimamente ad infondere una parvenza di garanzia della sicurezza all'interno del perimetro aziendale. È vero, non è oggi che scoperchiamo il vaso di Pandora, ma se viviamo giorni lavorativi di totale disillusione, non avendo un futuro a cui mirare, è quasi aritmetico soffermarsi ad analizzare quanto sia stato, ma soprattutto non sia stato fatto da un po' di anni ad oggi. Montesanto non è il problema, ma solo un mero emblema della paralisi del comparto trasporti che da troppo ormai annienta la nostra regione. Un affanno obbligato per lavoratori ed utenti che giorno dopo giorno affrontano ormai con cieca rassegnazione. Che tristezza. R. I.

Una nuova azienda con un’immagine già sfregiata che segna il suo futuro Stazioni e treni nelle mani di bande di teppisti impuniti carnefici del personale in servizio e dell'utenza indifesa Non si sa bene il motivo per cui si compiono, ma viaggiando lungo la linea della ex Circumvesuviana, ormai Ente Autonomo Volturno srl, sono nitidi e chiari gli innumerevoli atti vandalici a danno della ferrovia, che come un pugno di un pugile colpiscono gli occhi di chi li osserva. Le stazioni come monumento di abbandono al degrado, i treni come reperti da museo d’arte contemporanea, i binari depredati come sarcofagi dei faraoni predati di rame, di dispositivi di allarme, di monitor lcd, con decine di sediolini divelti, finestrini in frantumi, metri di cavi elettrici sradicati e portati via, questo è quanto rimane di un’azienda che nonostante la ristrutturazione societaria e i generosi reclami politici, non accenna a rialzarsi e ad uscire dal baratro della crisi. Innumerevoli i casi di raid agli impianti della rete, come il furto di leghe metalliche e di apparecchiature tecnologiche da rivendere sul mercato nero, insieme a tutto ciò che è asportabile fuori dalle stazioni, divenute nelle ore serali punto di presidio di giovani teppisti che, per un’incomprensibile ragione, nei fine settimana compiono atti vandalici a danno non solo del patrimonio aziendale, ma anche dell’incolumità del personale in servizio e dell’utenza, sempre più preoccupata da questo tipo di frequentazioni. Tali violenze, non esaurendosi di fronte all’occhio elettronico della videosorveglianza, rimangono spesso impunite per l’indifferenza di chi deve denunciare e per

l’inadeguatezza d’intervento delle forze dell’ordine, tale da permettere alle bande di giovani teppisti di salire anche a bordo dei treni, dove indisturbati continuano a compiere le loro azioni di prepotenza, strappando le guarnizioni delle porte e

le fiancate degli elettrotreni abbandonati. Atti che probabilmente sono commessi perfino nelle ore di impresenziamento notturno, durante le quali bande di nomadi, approfittando dell’assenza di personale, si sentono liberi di compiere qualunque an-

qualunque altra cosa disturbi i loro occhi. Non c’è giorno che non si riscontrano danneggiamenti ai treni in sosta nei piazzali di stazione, con l’apertura delle porte di cabina, vetri sfondati e imbratto dei graffiti, questi ultimi sempre più abbondanti lungo

gheria a danno dell’azienda, costretta a sostenere maggiori costi qualora decidesse in futuro di recuperare tutti quei treni vandalizzati che giacciono da tempo ormai immemore lungo le sue linee ferroviarie. Eppure, il trasporto ferroviario dovrebbe

essere un bene d’interesse e di utilità collettiva, ma lo stato di abbandono totale, aggravato da un'incuria tangibile per la mancanza di risorse finanziarie certe, mette in seria discussione l’interesse della Regione e del management a garantire il benessere dei cittadini e dei lavoratori, ormai tutte vittime predestinate di queste bande criminali, prive di qualunque senso civico. Un’azienda che vuole rinascere, di fronte all’assenza di garanzia di controllo del patrimonio aziendale e del territorio da parte delle forze dell’ordine non può far a meno di valutare l’opportunità di avviare azioni mirate per la salvaguardia delle stazioni, dei treni e di tutto ciò che riguarda il corretto funzionamento del servizio. Perché se si lascia tutto nelle mani di gruppi di scampanati sarà sempre più difficile recuperare l’immagine di un’azienda sfregiata da mille difficoltà, le cui ferite potranno rimarginarsi soltanto se ci sarà la capacità di adottare una seria politica di risanamento, basata sì sui tagli agli sprechi e la rimodulazione dei costi di gestione, ma anche sulla difesa di quanto si è costruito in diverse generazioni con sacrificio e cospicui investimenti tecnologici. Sembrava, infatti, imminente la rinascita della nuova società a seguito della reclamata fusione, ma alle rassicurazioni dei politici non sono ancora seguiti fatti concreti, a conferma ancora una volta che le grandi aspettative possono essere solo il preludio delle grandi delusioni. Francesco Di Palma


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I tempi difficili della riqualificazione

I principali fattori lavorativi che inducono stress

Gli errori nei tempi e nei modi di una procedura poco chiara

Un minor carico di lavoro aiuta a star bene

Pareva utile, la fusione per incorporazione delle tre aziende del gruppo EAV Ferro. Pareva un passo necessario alla ristrutturazione, al risparmio, al risanamento del Trasporto Pubblico Locale. Invece, ad oggi… la fusione ha portato scompiglio e inquietudine. Soprattutto, sul piano pratico, ha ostacolato la famigerata riqualificazione del personale amministrativo: per intenderci, quello definito “indiretto”; quello che, fino a qualche settimana fa, era oggetto della procedura ex L e g g e 236/1993, quella dei contratti di solidarietà (procedura al momento estinta, ma chissà…). Spieghiamoci meglio: facciamo un passo indietro. Già nel giugno, poi nel novembre scorso, ciascun’azienda della ex-Holding aveva fatto appello alla responsabilità degli amministrativi, dichiarati in esubero, affinché si offrissero volontari a ricoprire altre figure professionali che, al contrario, erano in carenza (ad esempio, quelle del personale di manutenzione o del personale viaggiante). Tutto ciò, allo scopo di evitare i temutissimi contratti di solidarietà a carico degli impiegati. Nel febbraio appena trascorso, a fusione avvenuta, le tre procedure relative ai contratti di solidarietà ex Legge 236 sono state azzerate, non esistendo più nessuna delle

tre aziende. Allo stesso tempo, come per assurdo, proprio quando i conteggi di personale in esubero sono stati oramai annullati, la neo azienda EAV, oramai “fusa”, ha dato il via ai cambi qualifica di una parte del personale “volontario”! Se non altro, potremmo definirla come “mancanza di tempismo”. E non è tutto: al momento dell’attuazione dei famigerati “cambi qualifica”, la Dirigenza EAV ha esibito il peggio della cultura aziendale: una cattiva interpretazione degli accordi ed un’ambigua lettura dei comunicati aziendali… hanno portato l’Azienda a contraddire le proprie offerte e addirittura alla rinuncia della riqualificazione da parte di alcuni volontari! Ironia della sorte, tutto questo è avvenuto contemporaneamente alla biforcazione dell’organigramma di EAV, non corredato da alcun organigramma di secondo livello… lasciando così il personale nel caos e nell’incertezza. E a preoccupare particolarmente, ironia nell’ironia… è stata proprio la biforcazione dell’Unità Risorse Umane e Organizzazione. C’è da chiedersi se le vicende e le incertezze del personale EAV siano frutto di una sana pianificazione… o piuttosto della totale assenza di pianificazione! Rossella Fornaro

Più detrazioni nel 2013 per i figli a carico Un beneficio reso nullo delle addizionali degli enti locali L’ultima legge di stabilità del governo Monti ha previsto, con decorrenza dal 1 gennaio 2013, che le detrazioni fiscali contenute all’art. 12, co. 1, lett. c), del D.P.R. n. 917/1986 siano aumentate per figli a carico, compresi quelli naturali riconosciuti, adottivi o affidati, purché gli stessi non abbiano percepito nel corso dell’anno un reddito superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili, ricomprendendo nel reddito imponibile anche la rendita dell’abitazione principale e delle inerenti pertinenze. In pratica, rispetto all’impianto fiscale in vigore fino all’anno precedente, le detrazioni Irpef per figli a carico, che partono dai 12 mila euro di reddito, passano da 800 a 950 euro per i figli di età pari o superiore a tre anni e da 900 a 1.220 euro per quelli con età inferiore. Inoltre, le detrazioni previste per ogni figlio portatore di handicap aumenteranno di un importo pari a 400 euro, portando in questo modo il bonus fiscale rispettivamente a quota 1.350 euro per i figli superiori a tre anni e a 1.620 per quelli più piccoli. Per di più, in presenza di almeno quattro figli a carico, ai genitori di famiglie numerose è riconosciuta un’ulteriore detrazione fiscale per un importo pari a 1.200 euro. Detto ciò è bene sottolineare che l’entità di tali cifre sono puramente indicative, in quanto le detrazioni variano a seconda del reddito del dichiarante: più esso sarà alto, più le detrazioni fiscali diminuiranno e con esse i rispettivi benefici tributari. L’agevolazione in questione deve essere sempre rapportata al numero di mesi a carico ed alla percentuale di spettanza che può esse-

re esclusivamente pari a 100, 50 o zero. Inoltre, la riduzione dell’Irpef deve essere ripartita nella misura del 50% tra i coniugi, ma gli stessi possono decidere di comune accordo di attribuire l'intera detrazione al genitore con il reddito complessivo più elevato. In caso poi di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la detrazione dei figli a carico spetta, in mancanza di accordo, al genitore affidatario. Nel caso invece di affidamento congiunto o condiviso la detrazione in oggetto verrà ripartita, sempre qualora manchi l’accordo, nella misura del 50% tra i genitori. In caso poi di coniuge fiscalmente a carico dell’altro, la detrazione figli a carico compete al coniuge che percepisce il reddito per l’intero importo. Purtroppo, per le famiglie con figli residenti nelle regioni in deficit sanitario (tra cui la Campania), i benefici fiscali saranno annullati dall’aumento di altre imposte. Infatti, in questi territori le addizionali regionali e comunali, proprio a causa del deficit di bilancio, potrebbero annullare buona parte degli effetti positivi delle detrazioni fiscali per i figli a carico. Un aumento decisamente indigesto, invece, per tutti quei contribuenti, che, senza figli e quindi senza detrazioni, vedranno aumentare le proprie imposte già nella prima busta paga dell’anno, riducendo ancora una volta il reddito procapite a causa dell’aumento della pressione fiscale, di fronte alla quale si attendono oramai risposte chiare dal futuro Governo del Paese, che avrà nelle mani non poche patate bollenti e gatte da pelare. U. E.

Una ricerca finlandese ha enumerato i principali fattori che determinano lo sviluppo dello stress lavorativo: • Precarietà del posto di lavoro, incertezza della posizione occupata • Pericolosità della mansione svolta • Impossibilità di esprimere critiche o lamentele • Eccessivo o esiguo carico lavorativo • Mancanza di corrispondenza tra il contratto e la mansione effettivamente svolta • Ricompensa insufficiente, non proporzionale alla prestazione erogata • Mancanza di collaborazione e sostegno da parte dei superiori, colleghi o subordinati. Se da un lato il lavoro nobilita l’uomo, dall’altro produce stress, soprattutto quando le richieste provenienti dell'ambiente lavorativo risultino eccessive e il lavoratore non riesce più a fronteggiarle o a controllarle. Secondo il modello di Karasek e Theorell (Job Strain Model), infatti, lo stress lavorativo sarebbe causato soprattutto dalla combinazione di un eccessivo carico di lavoro e una scarsa possibilità di controllo sui compiti da svolgere. Ne consegue che, seppure in presenza di un carico di lavoro pesante, un lavoratore potrebbe non sentirsi stressato se percepisse di riuscire a gestire nella maniera più opportuna tale carico. Si tratta, dunque, della percezione che il lavoratore ha della sua autonomia lavorativa (grado di libertà), della sua efficacia in tale contesto, ma soprattutto della gestione del lavoro (flessibilità). È palese che si tratta di un importante fattore soggettivo che influenza notevolmente la prestazione lavorativa. Per tale motivo è fondamentale per un datore

di lavoro “motivare” i propri dipendenti per fare in modo di renderli più sicuri di sé, più autonomi, più responsabili. Uno dei modi che un datore di lavoro ha a sua disposizione per motivare il dipendente è lo stipendio, il salario, la paga, la ricompensa. Si tratta, infatti, di una forma di gratificazione che rende il lavoratore soddisfatto perché rinforzato. Ma cosa accade quando il lavoratore è sottopagato? Secondo il modello di Siegrist e Peter (Effortrewardimbalance model), quando c’è uno squilibrio tra lavoro e ricompensa, perché l’elevato impegno da parte del lavoratore non è ricompensato da una degna paga, si determina una condizione di stress lavorativo che incide moltissimo non solo sul grado di motivazione del soggetto, ma anche sulla sua salute. Se pensiamo alla condizione di precariato dei giovani lavoratori e di quelli che sono stati messi in cassa integrazione ci rendiamo subito conto di come il lavoro sia fonte di ansia, di incertezza e di frustrazione. Non offre la possibilità di progettare una realizzazione propria (come l’idea di mettere su famiglia, di comprare casa, un’auto, di fare una vacanza, ecc.), né garantisce la possibilità di crescita individuale (la maggior parte dei lavori odierni sono a tempo determinato, quindi presuppongono un elevato grado di incertezza) con conseguente abbassamento dell’autostima e disregolazione del tono dell’umore. Ecco perché sono in aumento i disturbi d’ansia e dell’umore tra i giovani: la pressione derivante dalla realtà in cui vivono offre poco margine di controllo e scarsa possibilità di cambiamento. Mara Porcaro

Vai via in anticipo? Rischi il posto di lavoro La Cassazione conferma il licenziamento legittimo Secondo quanto disposto dall'articolo 2119 del codice civile è possibile che ciascuno dei contraenti del rapporto di lavoro possa recedere qualora ricorra una giusta causa che non consenta la prosecuzione del rapporto. Il concetto di “giusta causa” è una nozione di legge che delinea un modulo generico che richiede di essere specificato in sede di interpretazione delle fattispecie concrete. In ogni caso, per motivare un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo è necessario che i fatti addebitati al lavoratore rivestano il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e del rapporto fiduciario, indipendentemente dal fatto che i comportamenti addebitati al lavoratore abbiano comportato un danno al datore di lavoro o dall'entità dello stesso. Con sentenza del 24 luglio 2008 n. 20376, la Sezione lavoro della suprema Corte di Cassazione ha chiarito che se il lavoratore finisce arbitrariamente il lavoro prima del termine previsto è causa sufficiente a giustificare il licenziamento. Il fatto ha visto un lavoratore licenziato per giusta causa in quanto era solito finire arbitrariamente il lavoro prima del termine

previsto (nel caso specifico per ben due ore prima della fine del suo turno) anche se il superiore ne era a conoscenza ed era complice della cosa. Tale orientamento è stato ripreso da una recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. lavoro n° 22720 del 11.12.2012 con la quale si è stabilito che “l’abbandono sistematico del posto di lavoro trenta minuti prima della fine del turno è di per sé giusta causa di licenziamento”. In effetti, la giurisprudenza è unanime nell’affermare che sussiste la giusta causa di licenziamento ove il giudice accerti che la specifica mancanza commessa dal dipendente è obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo grave la fiducia che il datore ripone nel proprio dipendente e che la sanzione è proporzionata al fatto da quest’ultimo commesso. Quindi al datore di lavoro è riconosciuta la possibilità di licenziare per giusta causa qualora venisse a mancare il rapporto di fiducia tra le parti, quest’ultimo considerato dal legislatore come fattore indispensabile su cui si impernia l’esecuzione del contratto di lavoro. avv. Antonietta Minichino


ANNO 5, NUMERO 3

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Il lato oscuro delle tecnologie moderne

I canti popolari nella storia napoletana

Inquinamento e morte per l'estrazione degli elementi

“Sona, sona carmagnola” ai tempi della rivoluzione

Su quanto di oscuro si celi dietro gli oggetti di ultima generazione come i nostri smartphone è ormai affare noto, ma, come ogni cosa del resto, ciò di cui abbiamo conoscenza nasconde inevitabilmente al nostro sguardo sempre altro ancora. Ed infatti altro c'è oltre le storie di sfruttamento minorile nelle fabbriche cinesi della Apple in cui bambini ed adolescenti per quindici ore al giorno puliscono schermi con solventi altamente tossici. L'ignoto che aleggia sul mondo smartphone ha origini precedenti, e va ricercato ancor prima delle fasi di assemblaggio nelle fabbriche. Davvero in pochi sanno che gli elementi utilizzati per far funzionare i nostri giocattolini super tecnologici sono in realtà il frutto di un'attività industriale particolarmente inquinante, che vede i paesi ricchi estrarre le materie utili dalla terra per poi lasciarne i compiti più sporchi a quelli poveri. Parliamo delle cosiddette terre rare, elementi chimici della tavola periodica estratti dalla crosta terrestre per finire all'interno di cellulari, portatili e televisori. Ma non solo. Le troviamo in tutti i prodotti di vetro lucidi, nelle calamite più potenti del mondo, nelle turbine a vento, nelle automobili ibride ed elettriche. Ed ancora, nei cristalli usati nei led e nelle lampadine fluorescenti, nei radar, nei sonar e nelle bombe intelligenti. Pe-

rò, il vero problema delle terre rare è che si accompagnano sempre ad elementi radioattivi come il torio e l'uranio, e separarle richiede un procedimento complesso e pericoloso. Ecco perché le aziende devono prendere serie precauzioni per evitare che gli operai non siano esposti alle radiazioni e salvaguardare l'ambiente evitando possibili infiltrazioni delle scorie nei terreni ed un eventuale rilascio nell'aria sotto forma di polvere. I due veri motivi per cui, appunto, si tende mestamente a costruire le raffinerie in paesi dove le norme ambientali sono meno rigidi ed è possibile risparmiare. Accade in Mongolia, dove, secondo alcune indagini non ufficiali, le scorie radioattive, infiltrate nei corsi d'acqua e nei canali d'irrigazione, hanno già causato un centinaio di vittime e continuano a far perdere denti e capelli alla popolazione locale. Stesso scenario in Malesia, dove per oltre trent'anni le grandi industrie dell'elettronica di consumo hanno continuato a sversare rifiuti tossici e radioattivi nei terreni adiacenti agli stabilimenti, provocando morte, aborti, malformazioni e gravi malattie. Ecco cos'è che non conosciamo e scegliamo di non vedere quando, spensieratamente, combattiamo la noia tra giochi al cellulare e film in tv. R. I.

Fiera della Pasqua nei Decumani Un evento che dà lustro alla città martoriata Fino al 2 aprile il centro antico di Napoli sarà protagonista con la sua prima “Fiera della Pasqua 2013”, un evento organizzato dall’Associazione Corpo di Napoli, Onlus già conosciuta per il suo coinvolgimento nella programmazione della fiera di Natale che anima i vicoli della città storica. Continua così il percorso artistico iniziato qualche mese fa con questo nuovo appuntamento a cui proprio non si può mancare, in un momento cruciale per la città in un periodo in cui la bella Neapolis ha più sete di turisti, perché mancano attrazioni artistiche, culturali e spirituali a cui valga la pena partecipare, preferendo quindi andare altrove per queste festività pasquali, verso mete più competitive, dove è possibile associare l’evento spirituale con quello culturale. Nasce così la nuova Fiera di Pasqua che si svolgerà nei Decumani di Napoli, una rassegna che propone mostre tematiche, concerti di musica sacra sia “colta” che “popolare”, realizzazioni di arte di strada. Una novità per la nostra città, un appuntamento stagionale che si spera diventerà fisso in occasione della Santa Pasqua, un evento dedicato alla fede popolare, un messaggio di speranza in un momento di grande crisi di valori, proprio quando si cerca di fare di tutto per alleviare la sofferenza di questa bellissima città troppo spesso bistrattata. E la speranza è che questo evento abbia lo stesso successo che oramai riscuote lo storico appuntamento natalizio che si svolge ogni anno nei vicoli del centro antico della città. Verranno esposte tele di grandi dimensioni sul

sagrato della cattedrale di Napoli; dal 21 marzo al 2 aprile sarà possibile ammirare un grande Cristo Dipinto realizzato su tavole di legno dal maestro salernitano Mario Carotenuto che risalterà sul sagrato della Basilica di San Paolo Maggiore, illuminata durante le serate dalla luce di candele; le botteghe nella via dei presepi, a San Gregorio Armeno, saranno tutte aperte e gli abili artigiani insegneranno le antiche tecniche di realizzazione dei presepi, i visitatori troveranno una nuova produzione di arte sacra, in stile settecentesco, dedicata ai temi della Santa Pasqua; le botteghe dei fiori finti esporranno addobbi tipici del periodo pasquale, novità tutta austriaca delle uova decorate a mano. Sarà inoltre possibile ammirare l’esposizione di antiche statue lignee e in cartapesta raffiguranti Santi e le esemplari ceramiche dipinte sullo stesso tema, presso la Cattedrale di Napoli in via Duomo. E proprio li, in quelle vie di San Gregorio Armeno, nel cuore della Napoli antica, a distanza di pochi mesi dalle festività natalizie, Napoli dimostra di essere ancora viva ed i suoi artisti decidono così di rappresentare l’evento della Resurrezione, un messaggio di speranza, in un momento in cui i tristi eventi hanno avuto una ricaduta mediatica negativa. Ma l’immagine di Napoli non va offuscata, ma va curata, perché la bellezza di Napoli è anche questa, quella di risorgere, perché Napoli è viva, nonostante tutte le avversità e sono anche gli eventi come questo che ce lo fanno ricordare. Paola Arrighini

I canti popolari costituiscono un grande patrimonio culturale, un'espressione artistica che ritrae la realtà politica e sociale nei diversi momenti storici che vengono tramandati in modo orale di generazione in generazione. Una rilettura, un ascolto di questi canti, oltre a risultare molto interessante, può servire a ritrovare gli elementi di un “sentire popolare” antico. Non pochi hanno contribuito a preservare l'enorme patrimonio dei canti popolari napoletani, più autorevoli tra tutti il Maestro Roberto De Simone, che con le sue continue ricerche filologiche, antropologiche ed etnomusicali ha contribuito ad individuare un nuovo modo di comprendere e progettare la musica popolare, e così anche Eugenio Bennato, Giovanni Mauriello, Carlo d'Angiò e la Nuova Compagnia di Canto Popolare. La tradizione napoletana annovera innumerevoli componimenti risalenti a diverse epoche, ma, forse, uno dei periodi più interessanti e significativi da analizzare è quello immediatamente precedente alla Repubblica Napoletana. I canti del periodo pre-rivoluzione esprimono in gran parte il malcontento generale per il lusso e la corruzione della corte, il dissenso non è rivolto alla monarchia in quanto istituzione, l'attacco è rivolto ai sovrani per la loro condotta privata. I canti raccoglievano quelli che erano i “gossip” del tempo, riferendosi prevalentemente ai tradimenti della regina Maria Carolina, sminuendo e ridicolizzando la figura di re Ferdinando. A Napoli, con il sopravvento della propaganda sanfedista si diffusero canti che esprimevano un vero e proprio odio nei

confronti di una classe privilegiata che voleva parlare a nome e per conto di un popolo che per nulla conoscevano ed a cui non appartenevano, venivano così demonizzati i giacobini. Il più famoso “Canto dei Sanfedisti” (noto anche come La Carmagnola), compreso nella raccolta di canti politici pubblicata da Benedetto Croce nel 1889, apre con queste strofe: “A lu suono de grancascia viva viva lu populo bascio - A lu suono 're tammurrielli so' risurte li puverielli - A lu suono 're campane viva viva li pupulane - A lu suono 're viulini morte alli giacubbine!”. Probabilmente i lazzari odiavano i giacobini perché essi rappresentavano il “nuovo” e quindi una minaccia al loro modo di vivere tradizionale. La propaganda reazionaria presentava i giacobini come nemici di Dio e l'avversione nei loro confronti faceva individuare i nemici nei ceti ricchi, una vera e propria lotta di classe. In questi canti si ironizza molto anche sugli atteggiamenti e sul modo di vestire dei repubblicani, modi legati alla moda importata dalla Francia, molto lontani ed estranei al popolo napoletano. Un attento ascolto dei canti popolari di fine '700 può aiutare a comprendere ciò che accadde realmente nel Regno di Napoli in quel momento storico: un esercito straniero provocò una guerra civile, dura, feroce, fra i sostenitori degli invasori francesi ed i napoletani, fedeli non tanto al re ed alla monarchia borbonica, ma piuttosto alle istituzioni, alla propria terra, ai propri usi e costumi, alla propria fede Cristiana, molto radicata e fondamentale nella vita sociale. Annalisa Servo

Le tre giornate per la cultura di Napoli Incontri, dibattiti e tavole rotonde al convento di San Domenico Maggiore Napoli, una volta culla della cultura, patria di pensatori e artisti, adesso una landa desolata dove tutto è sospeso, tutto è incompleto. La crisi finanziaria che ha colpito lo Stato e le altre amministrazioni si è scagliata su enti locali e istituzioni pubbliche. Napoli, la terza città d’Italia, attualmente non è in grado di poter garantire al 100% neppure i servizi essenziali ai propri abitanti e di conseguenza la cultura è stata una delle prime vittime. I flussi dei finanziamenti pubblici a livello locale e regionale, che venivano utilizzati in massima parte per finanziare gli enti partecipati e incentivare, attraverso la concessione di sovvenzioni, le attività di fondazioni, associazioni e imprese, si sono totalmente prosciugati. Purtroppo non si stratta di una situazione momentanea ma di un meccanismo che sta cambiando. Nulla sarà più come prima, soprattutto per quanto riguarda la rendicontazione sociale dei fondi per la cultura. Così, su iniziativa dell’assessorato alla cultura del Comune, Napoli avrà “Le giornate per la cultura” che si terranno il 3, 4 e 5 aprile presso il convento di San Domenico Maggiore a Napoli. Un meeting di riflessione pubblica sulle politiche culturali e soprattutto su come

promuovere la cultura in un momento così delicato nella nostra città. Obiettivi delle tre giornate: creare una piattaforma condivisa che rappresenti un indirizzo per le politiche pubbliche locali e regionali, individuare settori produttivi e ambiti di collaborazione pubblico-privato su cui far convergere l'utilizzo dei fondi europei 2014-2020; con la speranza di non replicare ciò che è accaduto nel quinquennio passato, che Governo e Regione hanno restituito a Bruxelles 33 milioni di euro di fondi strutturali. Inoltre, si valuterà l’ipotesi di stabilire una location permanente a Napoli dove istituzioni e rappresentati delle politiche culturali si potranno periodicamente confrontare. Plenarie, tavole rotonde chiunque può parteciparvi l’importante è iscriversi on line, si può intervenire massimo per 5 minuti, consegnando anticipatamente un breve abstract che, successivamente sarà inserito nel report finale delle giornate. Temi centrali dell’iniziativa la cultura come bene comune, con particolare riguardo all'utilizzo degli spazi pubblici e urbani e la tutela dei beni culturali come riappropriazione da parte dei cittadini . Martina Mignano


Viva viva le elezioni!

Nel Duemila il Rock diventa “calmo”! Fine del millennio: la New-Age è di m o d a

Chi vive nelle zone interne sa bene di non doversi fidare dei primi giorni di sole. I colpi di coda del “generale” inverno arrivano improvvisi, regalandoti “spazi” meditativi. Gli ultimi fiocchi di neve cadono lenti, accarezzando i rami più alti degli alberi protesi come adunche dita verso il cielo. Lo sguardo spazia sull’orizzonte inseguendo le fugaci figure che il vento costruisce col nevischio, inanimate forme dalla breve esistenza, tanto fantastiche quanto eteree. Come non pensare alle elezioni tenutesi di recente?! La speranza è sempre la stessa, quella di trovare nella consultazione la soluzione di tutto. Naturale tendenza dell’uomo è quella di cercare la “quadratura del cerchio”, con utopica ostinazione, ben sapendo che ad ogni consultazione solo una parte delle problematiche collettive troverà “udienza”. Essa non significa soluzione. Le elezioni “moderne” danno vita ad una forma di democrazia rappresentativa che ad oggi è la migliore tra i sistemi di governo esistenti. Compito principe delle “moderne” democrazie è contemperare libertà individuale e collettiva nel rispetto di regole condivise. Per ottenere ciò, è insita nel sistema democratico la ricerca continua e costante di equilibri, tenuto conto delle sensibilità, delle esigenze di tutte le parti che devono essere rappresentate. Democrazia, quindi, eterno compromesso, miracoloso equilibrismo. All’interno del calderone democratico ribollono tensioni controllate, mai eliminate e mai sopite, esse sono sedate per impedire il raggiungimento del punto critico, oltre il quale non ci sarebbe più democrazia. Mentre il nevischio continua sollecitato dal vento a creare fantasmiche figure arabescanti, Ti ripeti per l’ennesima volta che la “perfezione” non è di questo mondo. Come se poi ce ne fosse un altro! Nell’imperfezione delle cose del mondo c’è una costante a renderla ancora più complessa, la discrasia determinata da quella creatura anch’essa imperfetta chiamata “uomo”. Mentre il cielo assume una tonalità più scura, che lo rende somigliante a un bassorilievo di “feltro”, ti ricordi di come viene numericamente assemblato il “consenso”. Qualcuno si lascia affascinare (comprare?) dalla promessa dell’abolizione dell’IMU; ma non era già stato fatto quando si chiamava ICI? Altri sono incantati (comprati?) da forbite parole annuncianti tempi migliori e più giusti; ma non è stato già detto da sempre? Il massimo lo si raggiunge in questa nostra Italia, unica nazione ad avere al proprio interno uno stato nello stato, frutto di un “capolavoro” diplomatico definito “concordato”. Questo ordinamento riconosce di fatto una Monarchia assoluta, che prospera all’interno della Repubblica, grazie ai vantaggi economici (e non solo) che questa elargisce. Ciliegina sulla torta, molti votanti italiani, pur essendo a pieno titolo sudditi della Repubblica, nella sostanza danno la loro fedeltà al Monarca (anche dimissionario), di cui seguono pedissequamente le direttive. Ci sarebbe da fare un cenno su un altro potere economico e d’indirizzo del consenso, con regole proprie, c’è chi lo definisce “antistato”, noi per comodità lo chiameremo criminalità organizzata. Al tutto va aggiunto un numero imprecisato di “cialtroni”, senza considerare gli opportunisti, i pavidi, i superficiali, gli ignoranti, i beati… e direi che basta. Il tanto “affascinante comprare” le cose preferite trasforma coloro “venduti – incantati” che conferiscono il consenso in altro, che subendo o sollecitando la “fascinazione commerciale” del voto, avviano una metamorfosi trasformandosi da liberi cittadini in “vittime complici”. Essendoci così mutati, non abbiamo più la forza di migliorare vigilando sulla Democrazia per renderla più equa nel recepire, elaborare, trovando soluzioni “nuove e lungimiranti” ed avere finalmente una “Demo-crazia” non una “Elito-crazia” mascherata da “Demo”. In ogni caso il risultato delle recenti elezioni è noto a tutti e tant’è. Se qualcosa non dovesse andar bene, ci resta solo da aspettare e sperare nella prossima consultazione. Il “feltro del cielo è diventato nero, il vento continua nel suo incessante costruire fantasmagoriche creature fatte di nevischio, ma il buio della notte ormai le nasconde”. Speriamo con la fine dell’inverno di avere un “risveglio”. Si, proprio una rinascita, avete presenti i ciliegi? Ebbene “loro” in primavera fioriscono, appunto rinascono. Ogni consultazione elettorale dovrebbe essere il risultato di una “fioritura” del pensiero, ma già l’ho detto, la perfezione non è di questo mondo. Vi saluto e sono l’Autoferroagricolo

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Verso la fine del millennio, mentre le giovani generazioni si erano “abituate” ai nuovi suoni elettronici, molto ritmati ovvero sonorità “heavy”, si diffondeva a macchia d’olio uno stile la cui caratteristica principale è l’assenza di ritmo e trasmette un senso di rilassamento psichico che spinge l’individuo alla ricerca di un migliore equilibrio tra uomo e natura, il NewAge. Questo stile musicale nacque negli anni ’80 grazie ad artisti come Brian Eno, Robert Fripp, Vangelis., e, dopo un periodo di scarso interesse da parte del pubblico fu ripreso dopo circa 20 anni. . Ricordiamo tra i musicisti più noti di questo genere: l’irlandese Enya, l’americano Moby e lo spagnolo Hevia. Il successo di questo nuovo stile non ha però provocato l’accantonamento di tutto ciò che aveva a che fare con il ritmo o con il ballo, anzi, verso la fine del 1999, la Disco è immortalata dalle Poste Statunitensi con l’emissione di un francobollo a tema. Pare che furono stampati oltre 90 milioni di francobolli. Il Rock intanto, quello classico, fatto di chitarre, batteria, ribellione e scandali, stava subendo negativamente l’aria che tirava verso quel periodo ovvero una sorta di decadenza della civiltà occidenta-

le. I grossi nomi della musica Rock non comparivano più sulle prime pagine dei giornali. Basta rendersi conto guardando le classifiche di vendita di quel periodo. I nomi che giravano erano del tutto nuovi nel panorama musicale mondiale. Si parte dall’artista Marilyn Manson, americano, cui nome d’arte è nato accostando due icone degli anni ’60: Marilyn Monroe e Charles Manson. Suona l’Industrial Metal, ovvero il NuMetal. L’album più venduto nella sua carriera è il disco “Mechanical Animals”. Comunque il volto più noto alle giovani generazioni ed al grande pubblico fu il rapperbianco americano Eminem, cui detiene ancora oggi il record di vendite di un album rap: 1.700.000 copie vendute nella prima settimana di vendita. Si tratta del suo terzo album: “The Marshall Mathers LP”. Egli racconta attraverso le sue canzoni il suo personaggio, l’America trash, violenta, razzista ed omofoba. Alle soglie del Duemila comincia a cambiare il modo di “passare” musica tra privati. Nacque Napster, il primo software peer to peer che permetteva lo scambio di file musicali tra privati sul web. Rosario Mammola

Le apps, dalla mela al globo con un click È iniziata la rivoluzione tecnologica su larga scala App è l'abbreviazione del termine informatico Applicazione, che a sua volta indica un programma creato per essere installato su appositi dispositivi informatici allo scopo di far interagire i componenti tecnologici con l’utente che lo utilizza. Sono passati pochi anni da quando Steve Jobs aprì il primo App Store, il negozio delle applicazioni. Da allora questa strana creatura informatica è diventata il prodotto con la capacità di sviluppo più alta del pianeta. Una rivoluzione tecnologica su larga scala grazie anche alle migliaia di applicazioni scaricate ogni giorno dalla rete. Così quelle "apps" che erano un marchio di Apple sono diventate la chiave del successo dei cosiddetti smartphones: cioè quei telefonini come l'iPhone che grazie al proprio sistema operativo sono in grado di svolgere innumerevoli funzioni con le applicazioni installate. Fiutando l’affare, altri grandi marchi di telefonini, in collaborazione con i nuovi sistemi operativi di Windows e Google, si sono lanciati sul mercato aprendo i loro negozi virtuali per assaporare il business delle applicazioni da estendere anche a quello dei tablet. Tra le diverse tipologie di apps sono ancora i giochi a fare la parte del leone, ma vanno forte anche musica e le applicazioni che consentono la condivisione e l’accesso ai social network. Mentre in calo costante sono quelle coi contenuti più tradizionali come i loghi, le suonerie o i servizi legati ai media come il televoto. Gli autori delle applicazioni principali sono soprattutto software house, delle quali, purtroppo, solo una piccola parte, tra il 10 e il 20%, sono italiane, ma sono in crescita quelle create direttamente dagli utenti attraverso appositi programmi informatici. Un dato comune alle diverse applicazioni sul mercato è l’affermazione del modello cosiddetto “freemium”, apps gratuite con

alcune funzionalità abilitabili a pagamento. Questo ha permesso alle stesse un’ampia e rapida diffusione tra i consumatori, i quali continuano ad installare nuove funzioni indipendentemente dalla loro effettiva utilità o dal loro utilizzo. Questo succede perché la maggior parte delle applicazioni installate sono gratuite o comunque in prova per un periodo di tempo, tale da per-

mettere a chi le utilizza di valutarle, lasciando feedback positivi in giro per la rete. Non a caso si installano applicazioni conosciute perlopiù attraverso il passaparola di amici o basandosi sui rating ed i giudizi degli altri utilizzatori, badando poco al brand o alla novità. Il tutto grazie anche ai molteplici motori di ricerca sviluppati intorno alle applicazioni, che consentono di ricercare l’app più vicina alle proprie necessità momentanee. Insomma, un mondo tutto da scoprire, che poco a poco questa rubrica cercherà di spiegare ai lettori di Articolo 16, presentando quelle applicazioni più interessanti e bizzarre sullo scenario informatico. A. A.


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