Arte e luoghi gennaio 2017

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i lUoghi del cinema

Una galleria celeste

puglia, Sicilia e Abruzzo: tre castelli per il film Il Racconto dei Racconti di Matteo Garrone

Il libro di Mario Cazzato sugli affreschi e le sculture del Castello lymburgh di Cavallino

anno 123 numero 1 dicembre 201 7

Anno XII - n 1 Gennaio 2017 -

TESORI NASCOSTI. A NApOlI

la torre ghirlandina di modena

gennaio al mUseo

Un tesoro del Medioevo cristiano che coniuga valori religiosi e civili. Alla scoperta di complesso artistico e architettonico patrimonio Unesco dal 1997

Uno spot per la nuova campagna social del Mibact. Visitare, scoprire e condividere le foto con gli hashtag #lartetisomiglia


primo piano

le novitĂ della casa

IL RAGGIO VERDE EDIZIONI

ilraggioverdesrl.it


EDITORIALE

In copertina e sopra: Caravaggio, La Maddalena addolorata, opera esposta in Tesori Nascosti. Tino di Camaino Caravaggio Gemito in corso a Napoli fino al 28 maggio 2017 nella Basilica di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta

Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l.

é una mostra evento, I tesori nascosti. Tino di Camaino, Caravaggio, Gemito, alla quale abbiamo voluto dedicare la copertina del primo mese di questo nuovo anno. Curata da Vittorio Sgarbi la mostra coincide con la restituzione alla città di Napoli della Basilica di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta, restaurato polo museale. Un 2017 nel segno dell’arte, dunque. Con tante mostre da visitare come quelle di FocarArte, ad esempio, che vedono arrivare nel Salento, a Novoli, Daniel Buren, Sislej Xhafa e H.H Lim e il fotografo Mimmo Jodice che fisserà coni suoi scatti il falò più grande d’Europa. Un invito a scattare foto e rintracciare somiglianze con i soggetti dei grandi maestri dell’arte è quello del Mibact che lancia una nuova campagna nel segno dell’hashtag l’arte ti somiglia per sensibilizzare i cittadini del Belpaese a visitare i musei vivendoli sempre più come luoghi d’identità, appartenenza e partecipazione. E numerosi sono i contributi anche in questo numero, sempre più partecipato e condiviso, grazie ad una squadra che cresce e crede nella bellezza, fulcro di tutto il progetto di arte e luoghi. Nel nome di Eva ricorda la storia di un indiscusso talento del Novecento: Francesca Woodman e nuovi orizzonti si schiudono per la rubrica “Luoghi del cinema” con un focus sui castelli più famosi di Puglia, Sicilia e Abruzzo set cinematografici per la pellicola internazionale del regista Matteo Garrone mentre per Girovagando Peppe Guida ci porta a Napoli, nella Chiesa di San Giovanni a Carbonara. A Bari invece le chiese grazie alla biennale Bibart diventano luogo per far dialogare i linguaggi trasversali dell’arte contemporanea. Con il nuovo anno è anche tempo di stagioni di prosa e a proposito di teatro è interessante il progetto realizzato a Brindisi nel centro di immigrazione con alcune donne nigeriane per le quali il teatro ha riallacciato i fili di un’identità strappata. Amori letterari rilegge invece la struggente storia di Dino Campana e Sibilla Aleramo finita davanti al cancello del manicomio di Castelpulci oggi Scuola di Magistratura. E poi come sempre tanti luoghi da visitare come il Santuario di Augusta tra le prealpi trevigiane, la Torre Ghirlandina di Modena e, infine, il Castello di Lymburgh dei Castromediano a Cavallino studiato e raccontato dallo storico Mario Cazzato nel suo ultimo libro dove vengono decifrati gli affreschi del ciclo astrologico della volta della Galleria. Buona lettura e buon 2017!

SOMMARIO

Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic

Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno

Hanno collaborato a questo numero: Michele Bombacigno, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Carmelo Cipriani, Sara Di Caprio, Claudia Forcignanò, Sara Foti Sciavaliere, Giusy Gatti Perlangeli, Fabiana Lubelli, Anna Paola Pascali, Peppe Guida, Nello Wrona Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it

Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.

Luoghi|Eventi| Itinerari: Girovagando: La Basilica di San Giovanni a Carbonara 34| Zavattari a Lecce 42 |Itinerarte 49| La Torre Ghirlandina di Modena 64| Sant’Augusta a Serravalle 72 | La Fòcara 80 |Salento segreto 94 Arte: Tesori nascosti 4|Crocifisso Valente il furore e la bellezza 12 |Da Norcia a Perugia. La rinascita passa anche dall’arte 16| FIgureUmane 19 Moduli di arte urbana 21 Bibart 23 La casa di Inella 30 | Sandro Greco 46 Camera 4# 54 | Massimo Quarta 76| Musica: Due musiciste ad Auschwitz 71| Musica e animazione. Il mio vicino Totoro 79 Cinema: I luoghi del cinema: Il favoloso mondo di Matteo Garrone 84 | Lartetisomiglia# 70 I luoghi della parola: Ansia fatto quotidiano 18| Amori letterari: un viaggio chiamato amore: Sibilla e Dino 56 | Dodici scatti di Barillari per il calendario Quarta Caffè 91 Teatro|Danza|Il teatro in Puglia 28 | Dietro e quinte la ricerca d’identità 44| Da Lello Arena a Melchionna 62 Libri|Luoghi del sapere 50-53 |Una galleria celeste a Cavallino 80 | Nel nome di Eva Francesca Woodman 92 I luoghi nella rete|Interviste: La Pietrasanta polo museale 11 | Castelpulci. L’ex manicomio oggi Scuola di Magistratura 61 Numero 1 - anno XII - gennaio 2017


tesori nascosti. tino di camaino, caraVaggio, gemito Antonietta Fulvio

Inaugurata lo scorso dicembre, la mostra è un doppio svelamento, da un lato la Pietrasanta che riapre al pubblico dall’altro centocinquanta opere, tra dipinti e sculture di prestigiose collezioni private NAPOLI. Ci sono luoghi custodi di bellezza che nemmeno il tempo, talvolta l’incuria, possono scalfire. è questo il caso della Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta (in Piazzetta Pietrasanta 17-18), lungo il decumano maggiore che, dopo un lungo restauro, si disvela scrigno, meglio, museo di tesori nascosti per dirla con le parole di Sgarbi curatore della mostra I Tesori nascosti. Tino di Camaino, Caravaggio, Gemito. Inaugurata lo scorso 5 dicembre, l’evento espositivo potrà essere visitato fino al 28 maggio 2017 con un’app compresa nel biglietto che mette a disposizione i contenuti della mostra, illustrati dallo stesso Sgarbi audioguida d’eccezione. Ed eccezionale è il percorso espositivo «che darà conto dell’evoluzione degli stili, delle correnti, e degli snodi fondamentali della storia dell’arte italiana attraverso una selezione di oltre cento opere, tra dipinti e sculture». Dal maestro federiciano del 1250 ad un autoritratto di Ligabue, attraversando sette secoli di storia dell’arte passando per una lunga serie di dipinti, espressioni delle varie scuole e regioni, restituendo una visione significativa della “geografia artistica” italiana,

tenendo conto delle sue molteplici tinte e sfumature. A partire da capolavori di maestri straordinari come Tiziano e Caravaggio in primis che visse a Napoli firmando una vasta produzione. Solo tre tele però si conservano dell’artista lombardo: Le sette opere della Misericordia realizzata per il Pio Monte dove è tuttora custodita, il Martirio di Sant’Orsola (a Palazzo Zevalos) e La Flagellazione (seconda versione) dipinta per la chiesa di San Domenico Maggiore e trasferita poi al museo di Capodimonte. E nella città che lo vide attivo tra il 1606 e 160910 per la prima volta si potrà ammirare la Maddalena addolorata: una giovane donna che emerge dal buio, raccolta in una drammatica posa, potente evocazione dell’immenso dolore che fa ripiegare su se stessi e nascondere il volto. Tesori Nascosti rivela la grande bellezza dell’arte italiana e si pone come naturale estensione della straordinaria esposizione Il Tesoro d’Italia curata dallo stesso Sgarbi all’Esposizione Universale di Milano nel 2015, un vero e proprio excursus documentario «della varietà genetica di grandi capolavori concepiti da intelligenze, stati d’animo, emozioni Caravaggio, Maddalena addolorata, 1605-1606, olio su tela, collezione privata

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che rimandano ai luoghi, alle terre, alle acque, ai venti che li hanno generati» dal Piemonte alla Sicilia. Una mostra che ha fatto registrare affluenze record - oltre 850.000 visitatori - da indurre a concepire una nuova edizione (dal 13 aprile 2016 al 6 novembre scorso) nelle aree espositive del MuSa – Museo di Stato di Salò, proponendo il percorso Da Giotto a de Chirico. Nella mostra napoletana, come spiegato dallo stesso Sgarbi, il titolo Tesori nascosti. Tino di Camaino, Caravaggio, Gemito racchiude un doppio disvelamento: il luogo: la Chiesa edificata nella prima metà del VI secolo nel cuore della città con la torre campanaria più antica (X-XI secolo) che riapre come polo museale e le opere, i tesori nascosti, perché provenienti da collezioni private. Un titolo che suggerisce l’intento della mostra “portare alla luce” ciò che normalmente è “nascosto”: opere d’arte che non sono esposte nei musei pubblici ma appartengono a fondazioni bancarie, istituzioni e collezionisti privati – di conseguenza, difficilmente visibili al grande pubblico. «Un omaggio, dunque, al fervore di un collezionismo così ricco e convinto di riappropriarsi di grandi patrimoni che passano dalle aste di Sotheby's e Christie's come appunto il Tiziano in mostra che è ritornato in Italia da

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Severo Ierace, Madonna col bambino e Santi, 1528 circa

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Tino di Camaino, San Giovanni Evangelista, 1328-1335 circa

«L’Italia, del resto, è il luogo della felicità compiuta: di questo è stato pienamente consapevole, da Stendhal a Bernard Berenson, qualunque straniero abbia eletto il nostro paese a sua patria, non potendo immaginare un luogo di maggiore beatitudine sulla terra.» Vittorio Sgarbi Londra grazie anche al mio intervento» - ha precisato Sgarbi. Ad aprire il percorso sono le sculture di Tino di Camaino che dal 1323 operò a Napoli al servizio di Roberto d'Angiò, dove realizzò numerosi monumenti funebri: come il sepolcro di Caterina d'Austria in San Lorenzo Maggiore (1323 ); quello della regina Maria d'Ungheria in Santa Maria Donnaregina (1325 ) dedicandosi negli ultimi anni della sua vita alla realizzazione dei sepolcri di Carlo di Calabria e di Maria di Valois nella chiesa di Santa Chiara. Impossibile non soffermarsi sulle sculture di Vincenzo Gemito, l’autodidatta cresciuto tra i vicoli dei quartieri spagnoli, le cui opere, in gran parte, si trovano in collezioni private e sorprendono per il realismo dei lineamenti e il dettaglio dei particolari. In alto: Tino di Camaino, San Giovanni Evangelista, sopra: Vincenzo Gemito (1852-1929)

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Da sinistra: Domenico Morelli, L’oro di Pompei, 1865; MicheleTedesco, La moglie del banchiere, 1897

Dalla rappresentazione del sacro al mito, dalla natura morta al paesaggio ai ritratti. In un coinvolgente viaggio nella bellezza dialogano i dipinti degli artisti napoletani Luca Giordano, Luca Forte, Francesco Solimena, Domenico Morelli, Michele Cammarano, Eugenio Viti, Gennaro Villani e quelli attivi a Napoli tra cui Mattia Preti, Corrado

Giaquinto, Antonio Mancini e artisti meno noti ma non di minore interesse come ad esempio il napoletano Severo Ierace o Antonio de Bellis che di sicuro a Napoli realizzò nella chiesa di San Carlo alle Mortelle le tele raffiguranti la vita del santo. Ma sono davvero tanti i capolavori provenienti da diverse scuole e regio-

Da sinistra: Guido reni, Ecce Homo, 1630-1635 Jusepe De Ribera, San Girolamo, 1648 Antoon Smick Pitloo, Paestum, 1826

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ni. Dai maestri della scuola emiliana con tele del Guercino, Guido Reni e Guido Cagnacci a quelli della scuola lombarda con Bernardino Luini e Giampietrino e, infine, quella veneta con Tizia-

no e Veronese. Dulcis in fundo, come anticipato, in mostra la Maddalena addolorata del Caravaggio accanto ai maestri eredi della lezione caravaggesca quali Giovanni Francesco Guerrieri,

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Battistello Caracciolo e Jusepe Ribera detto lo Spagnoletto. Fino a contemplare le opere di artisti del Novecento tra i quali Giovanni Boldini, Emilio Notte, Giacomo Balla, Arturo Martini,


Una foto dell’allestimento della mostra, sotto: GennaroVillani, Amalfi, 1928

Fausto Pirandello, Filippo De Pisis, Giorgio De Chirico, Giorgio Morandi, Ligabue. Un percorso alla scoperta di opere che grazie ad un collezionismo molto attivo dal dopoguerra in poi ha fatto rientrare in Italia numerosi capolavori anche se destinati ad

una esclusiva fruizione privata. Questa mostra li restituisce alla visione pubblica mostrando tutte le potenzialità di un progetto che vede insieme mecenatismo e imprenditoria nella valorizzazione del nostro immenso patrimonio artistico. In tal senso da ricordare il sostegno di Credem, main sponsor, con il prestito di alcune opere della raccolta d’arte ospitata nella sede centrale a Palazzo Spalletti Trivelli a Reggio Emilia così come l’azienda Selav che curerà l’illu-

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minazione architetturale della stessa Pietrasanta. Una mostra da vedere soprattutto i giovani per entrare in contatto con la bellezza e capire il valore e la fortuna di esserne immersi. Ad hoc è stato studiato infatti un percorso educativo e formativo per le scuole con un biglietto competitivo. Tutte le scuole interessate all’iniziativa potranno inviare una mail a: visiteguidate@itesorinascosti.it. e agli studenti sarà rilasciato un attestato con l’encomio di Esploratore dell’Arte e della Cultura Italiana nel Mondo. Orario di apertura: da lunedì a venerdì dalle 10:00 alle 20:00. Sabato e domenica dalle 10:00 alle 23:00 (con estensione fino a mezzanotte da marzo 2017). Prevendita 08119751399. Biglietto intero € 12,00. Biglietto ridotto scuole € 4,00. Biglietto famiglia 1 o 2 adulti + ragazzi under 18 = adulto € 10,00 – ragazzi € 4,00. Info: 366 9391437.


la Pietrasanta Polo mUseale lUngo il decUmano maggiore

Breve storia della Basilica di Santa Maria Maggiore

NAPOLI. Fatta eseguire intorno all'anno 533 da San Pomponio, Vescovo di Napoli, sui resti di un antico tempio romano, la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta è tra le più interessanti dal punto di vista storico e artistico del centro storico di Napoli. è la prima chiesa della città ad essere dedicata alla Vergine e vanta il campanile più antico della città (X- XI secolo). La denominazione "della Pietrasanta" deriva dalla pietra, che vi era custodita e grazie alla quale si otteneva l’indulgenza. La tradizione vuole che vi sia stato sepolto papa Evaristo. Nata nel VI secolo come basilica paleocristiana su una preesistente costruzione romana, l'attuale aspetto del complesso architettonico è frutto di numerosi interventi a partire da quello fatto realizzare dalla Congregazione dei Chierici Minori che nel 1591 prese possesso della Chiesa e acquistò gran parte dell'edificio retrostante la Basilica con l'intenzione di erigervi una residenza per la comunità religiosa. Nel 1653, sul progetto di Cosimo Fanzago, ebbero inizio i lavori per la ristrutturazione della chiesa che terminarono nel 1678 dopo un'interruzione dovuta all'epidemia di peste – con la consacrazione della chiesa. Notevole è la facciata rimasta incompiuta al secondo ordine e addossata a un corpo laterale composto dalla Cappella del Pontano e dalla

settecentesca Cappella del Salvatore. Il portale, realizzato da Pietro Sanbarberio, risale al 1675. L’interno, a pianta a croce greca con cappelle laterali, presenta una decorazione in stucco con ordine gigante di lesene corinzie. La pavimentazione in maiolica risale al XVIII secolo e fu realizzata da Giuseppe Massa. In una cappella furono collocate sculture di Matteo Bottiglieri. Nella cripta vi sono i resti dell'antica basilica paleocristiana e si conservano i frammenti di un antico mosaico di epoca romana. Oggetto di ulteriori restauri tra il XVIII ed il XIX secolo, la chiesa fu gravemente danneggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e il restauro fu portato a termine nel 1976. Nel 1990 il Cardinale Arcivescovo Michele Giordano eresse a Rettoria la Pietrasanta, nominandone Rettore Monsignor Vincenzo De Gregorio, docente nel Conservatorio di Napoli e organista della Cattedrale, con l'intento di costituirvi il centro musicale della chiesa di Napoli. Il Cardinale Arcivescovo Crescenzio Sepe ha confermato tale destinazione ed ha accolto con favore l'idea di fare della Pietrasanta la meta finale del percorso di turismo religioso che dalle Catacombe di Capodimonte giunge ai Decumani. La Basilica, affidata in comodato d'uso dalla Curia Arcivescovile per diciotto anni alla Associazione Pietrasanta rientra nel Grande progetto Unesco e riapre dopo vent’anni come polo culturale alla città ospitando la mostra I tesori nascosti. Tino di Camaino, Caravaggio e Gemito. (fonte: http://www.polopietrasanta.it)

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Un’opera di Crocifisso Valente

crociFisso Valente il FUrore e la BelleZZa Nello Wrona

Nel corso di una cerimonia svoltasi il 22 dicembre 2016 nel Palazzo Municipale di Ostuni, alla presenza del sindaco Gianfranco Coppola, delle autorità civili e militari e di un folto pubblico, il pittore e scultore Crocifisso Valente è stato insignito della medaglia d’oro alla carriera, come uno degli artisti che meglio rappresentano e interpretano il fascino della “Città bianca” nel mondo.

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o avuto il privilegio di conoscere due volte Crocifisso Valente. Il nostro primo incontro risale all’estate terribile del ‘92, quando nell’aria fumavano ancora i crateri di Capaci e di Via D’Amelio in cui avevano perso la vita i giudici Falcone e Borsellino e si era frantumata la speranza dei siciliani onesti. Nell’ostinato vagabondare per trulli e borghi, da murgia a murgia, nelle terre di Federico, cercavo un motivo qualunque, una scusa, per smentire almeno in parte i luoghi comuni dei colleghi giornalisti e dei quotidiani di mezzo mondo (il sud mafioso, il sud mattatoio, il sud dalla faccia sporca, il sud dio crudele ed empio, che come Saturno divora i suoi figli migliori). Cercavo, insomma, un pretesto, un diversivo, per tornare a fare pace con questo paese, e tenere a freno lo squalo che mordeva dentro. Cercavo una scusa, trovai invece Crocifisso Valente. La sua galleria, meglio la sua bottega, in via Cattedrale, era aperta quel pomeriggio, e la luce obliqua del sole stemperava in ombre lunghe e morbide il bianco accecante della calce. Entrai, attratto non dai quadri, che sembravano stare lì da un tempo immemore, graffiti a colpi di spatola, ma solo per vedere chi fosse il pazzo che buttava così i colori sulla tela: colori puri, densi, pastosi, carnali. Definitivi e totali. Ricordo che pensai proprio questo, e lo dissi al collega che mi accompagnava: «Un pazzo... solo un pazzo ha questo furore e questo tormento dentro...». Crocifisso era al cavalletto, perso tra tele, pennelli, spatole, prove alchemiche di colori, cornici,

ritagli di giornale, appunti e scarabocchi, carte cartoncini acquerelli e statue, molte statue, alcune abbozzate altre perfettamente compiute, che vigilavano occhiute dai quattro punti cardinali dello studio. Ci lasciò fare, con discrezione. E poi raccontò, in una monodia colta e raffinata: disse della città-presepe «dove la natura s’infalca e si solleva in splendidi colli», del santo che scaccia la peste, dei cavalieri bardati a festa, del prete di

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strada Pignatelli, e della luce senza eguali, del bianco-stucco, la civiltà del bianco, che tutto riassume e tutto spiega. Non parlò delle sue tele; neppure un cenno, che pur mi sarei aspettato, alla sua attività. Disse ancora e solo della città belvedere, delle sue strade lastricate, della sua ansia di mare, abbarbicata com’è sulla collina (a distanza di anni, una grande mostra a Torre Vado, nel finis terrae, lo porterà a esporre le sue tele in riva al mare, di fronte al sole che tramonta), della cattedrale dell’Assunta, tirata su dai fedeli mentre dall’altra parte dell’oceano mare si scopriva il Nuovo Mondo, degli alberi di olivo, umili e doviziosi, dei calanchi come vene carsiche delle mani contadine, delle case di biacca e delle persiane (ostinatamente chiuse, o appena schiuse, nei suoi primi quadri) dietro le quali indovinare il viso delle donne, le donne dagli occhi di mandorla, donne e madri ancestrali, le «vergini più che femine» che profumavano, disse, di terra, di troppi figli e di troppa rassegnazione. Da quel primo incontro, ricavai l’impressione che Crocifisso avesse il dono misterioso di scolpire i colori, sì, ma anche l’occhio lungo dell’esploratore: viaggiava con la macchina fotografica, scopriva e annotava velocemente con la matita o con il pennello in mano. Un brogliaccio di segni. E di ogni viaggio, di ogni frontiera varcata o puramente immaginata, tracciava i contorni nerofumo e

raccontava le immagini su un diario di bordo (la tela) che restituiva scene di una quotidianità che erano abituali a Ostuni come dall’altra parte del Mediterraneo o nel villaggio più sperduto del mondo. D’allora in poi, sono tornato a Ostuni per il solo gusto di arrampicarmi verso la Terra, e tornare alle forme spigolose e al bianco osceno sbozzato da Crocifisso Valente: ogni volta che ho superato la guglia della piazza, svicolando verso la Cattedrale, mi è sembrato di entrare in un’arca senza tempo, senza equipaggio e senza affanni, incagliatasi su uno di questi monti dopo un mio intimo diluvio personale. Perché la pittura, la scultura, come l’arte in genere, fanno di questi miracoli: ti schiavardano le persiane, ti indicano la strada, ti mostrano le piccole cose, le cose che stanno lì, ma tu non vedi, e ti restituiscono la nostalgia della bellezza. La bellezza... In un mondo e un tempo dove è svanito il gusto del bello, un mondo assediato dalle volgarità dell’etica e dalle brutture dell’estetica, opportunamente il card. Ravasi ha ricordato, tempo fa, una splendida frase del Siracide, un libro dell’Antico Testamento. Dice il Siracide, parlando dei patriarchi d’Israele: «Uomini che si sono appassionati a cercare la potenza della bellezza». Ecco, penso a questi uomini intenti a cercare e costruire la bellezza, guardando le tele di Crocifisso Valente, a questa sua laica “teologia” del bello che

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L’artista Crocifisso Valente e il sindaco di Ostuni Sotto: due opere dell’artista

dovrebbe salvare il mondo, per usare le parole del principe idiota di Dostoevskij. In tal senso vanno lette, io credo, le magnifiche tele delle chiese rurali o i suoi splendidi cinquanta portali di Ostuni, che sono un invito a entrare negli spazi domestici dell’altro, del vicino di casa, dello straniero, del diverso: dietro ogni battente, c’è il tentativo di raccontare le stanze e i bugigattoli dove alberga la bellezza. Non la bellezza ideale e statuaria, immobile e pietrificata, di un idolo greco, ma una bellezza che s’incarna e viene alla vita, si rivela e si fa “evento”. Parola stressata, questa, e fin troppo abusata oggi, nelle nostre isole di banalità dove un balbettio diventa un proclama e perfino la rissa e l’insulto registrano il pubblico pagante dei grandi eventi.

vero, il giusto), lo portano a galla, e mettono impudicamente in mostra le cose nascoste. E invitano a indagarle, a visitarle, a entrarci dentro in punta di piedi, a buttarci dentro il cuore, avendo il silenzio come unico spettatore. Perché il silenzio? Perché la sua pittura è una sorta di archivio della memoria, un museo delle ombre e delle cere: personaggi, colori, visi, profumi, affetti, luoghi in via di estinzione, come il breviario delle cose morte e defunte di Gesualdo Bufalino. Resta solo la consolazione, di fronte a questo deserto, a queste mura scrostate e spellate, a questi bastioni diruti, che attraverso la pittura queste cose possano sopravvivere. Che possa rivivere un paradiso perduto, dilapidato, per il quale i miti di una stagione felice – un campo di papaveri, un agrumeto sferzato dal vento, una chiesetta di campagna, I quadri di Crocifisso, invece, sono una masseria, un muro a secco, una scomodi, inquietanti, pongono inter- barca abbandonata sulla spiaggia, rogativi, svelano il kalòs (il bello, il una piramide di case e grappoli di

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gente seria (la gente è serissima, nei suoi quadri) – rappresentano soltanto luoghi o voci della memoria scoloriti dal sole e cancellati dall’incuria del tempo. La storia che corre divora le memorie, le lascia arrugginire, le svuota dentro, come un dente cariato, infine le disperde. Allora lo scrittore si ingegna con le parole e il pittore s’inventa la scrittura del colore, come strumento di salvezza o, quanto meno, di sopravvivenza. Dipingere e scolpire (lui che viene dalla nobile schiera dei cavatori e degli scalpellini di Carovigno, che costringono il forestiero a camminare con lo sguardo rivolto in alto, alle mensole dei balconi) è per Crocifisso un bagno di purificazione, una resurrezione o, se si vuole, il miracolo di una stupefatta redenzione alla quale si presta, e presta le sue opere disseminate in tutto il mondo, ormai da sessant’anni. La seconda volta che ho conosciuto Crocifisso Valente ha una data esatta: vent’anni, due mesi e 22 giorni fa, l’età di Andrea, mio figlio, del quale Crocifisso è, per tacito affettuoso accordo, nonno “onorario”. Bene, dico questo perché, nonostante sia oggi all’università immerso nel cielo freddo dell’informatica, mio figlio conserva ancora nella sua stanza un gioco educativo, la “Strada maestra”, e un cavalluccio in legno, che Crocifisso gli regalò quando aveva tre, forse quattro, anni. Per significare che uomo (marito, padre e nonno premuroso) e pittore si fondono nella persona per esprimere, con «ingenuo candore», come ha scritto Luigi Greco, quello che prima ho chiamato il miracolo dell’arte: indicare la strada maestra, il sentiero aspro dove cavalcare inseguendo le tracce della bellezza. Ci voleva tutta la sensibilità di uno scrittore sudamericano, Eduardo Galeano, amico di insonni letture, morto un anno fa e comunque troppo presto, per sintetizzare questa delicata funzione dell’arte. Galeano racconta di un bambino, Diego, che non conosceva il mare. Allora «suo padre, Santiago Kovadloff, lo condusse a scoprirlo. Se ne andarono a sud. Il mare stava al di là delle alte dune, in attesa. Quando padre e figlio, dopo un lungo cammino, raggiunsero final-

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mente quei culmini di sabbia, il mare esplose davanti ai loro occhi. E fu tanta l’immensità del mare, e tanto il suo fulgore, che il bimbo restò muto di bellezza. E quando alla fine riuscì a parlare, tremando, balbettando, chiese a suo padre: – Aiutami a guardare!» Aiutare a guardare, seguire le impronte, mostrare il senso della vita: orientare lo sguardo dentro la cornice, oltre la tela, o sotto la pelle dura delle argille, è il compito straordinario dell’arte («L’arte più difficile», l’ha definita Vittorio Sgarbi, in una sintesi fulminea dell’opera di Crocifisso Valente), ma è anche il compito delle persone speciali, come unico e speciale è il mio amico Crocifisso, pittore e oggi a buon diritto “maestro” della città di Ostuni, della quale è degno ambasciatore nel mondo.


Jacopo della Quercia, L'Annunciata. Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria

da norcia a PerUgia. la rinascita Passa anche dall’arte

L’Annunciata di Jacopo della Quercia alla Galleria Nazionale

PERUGIA. Recentemente abbiamo dovuto parlare del dramma legato ai drammatici eventi sismici che hanno segnato profondamente la storia e l’identità di luoghi dell’Italia centrale, da Amatrice in primis. Tantissime persone, che miracolosamente sono sopravvissute alla tragedia, hanno trascorso il primo Natale senza la loro casa pensando alla ricostruzione e dando esempio a noi più fortunati di cosa vuol dire essere una comunità. é intorno a questo concetto che si dovrà pensare alla ricostruzione dei luoghi e alla riappropriazione di un’identità sociale che passa inevitabilmente anche dalla salvaguardia del patrimonio artistico e architettonico fortemente compromesso dai recenti terremoti. In tal senso è di un significativo segno di rinascita per Norcia profondamente ferita nel terribile sisma del 30 ottobre che vogliamo parlare. In quel terribile giorno che ha visto crollare un simbolo della cristianità come la Basilica di Norcia è stata risparmiata l’Annunciata di Jacopo della Quercia

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altro simbolo dell’immenso patrimonio artistico della città. Il capolavoro dell’artista senese, conservato all’interno del Museo della Castellina di Norcia, è rimasto miracolosamente intatto dopo la scossa di terremoto dello scorso 30


ottobre ed è stato portato in salvo grazie ai Vigili del Fuoco, ai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio dell’Umbria, alla Soprintendenza ABAP dell’Umbria, alla ditta Ikuvium di Gubbio, al direttore del museo nursino. La Vergine di Norcia, priva delle braccia, già segnalata nella Collezione Massenzi nel 1929, caratterizzata da un giovane volto gentile e dolce, veste un abito rosso cangiante, con lo scollo sottolineato da un elegante bordura con fiorellini a incisione su foglia ora applicata a guazzo, stretto sotto i seni da una cintura dorata. Il tessuto è modellato in turgidi cannelli di pieghe che si dispongono intorno al corpo puntellandolo come

contrafforti, ispessendosi verso il basso e spargendosi plastici e duttili al suolo, in una leggera torsione del corpo che si allunga, elegantemente rastremato, verso l’alto. Donata dal Cavalier Evelino Massenzi al Comune di Norcia, l’Annunciata aveva già subito danni nel terremoto del 1997 ed era stata restaurata attraverso un contributo del Consorzio del Bacino Imbrifero del Nera e del Velino di Cascia, e successivamente esposta nel Museo grazie al Lions Club di Norcia e al suo presidente di allora, Cesare Recchi. Dallo scorso 22 dicembre fino al prossimo 30 marzo la scultura è esposta nella Galleria Nazionale dell’Umbria. L’espo-

sizione, che riveste un profondo significato per la comunità di Norcia e della Valnerina, testimonia quanto grande e rilevante sia il patrimonio artistico e storico dell’intera zona. Il Museo della Castellina, parte del Circuito Museale Nursino, che annovera anche il Criptoportico Romano di Porta Ascolana, racconta la storia di Norcia e del suo territorio, tra sabini e XVII secolo. Rimasto in piedi nei muri portanti, il museo, ora interdetto ai visitatori, ha subìto profonde lesioni nelle sue sale, mentre sono crollati il campanile a vela della facciata e parte del tetto del ballatoio. Per garantire la conservazione dei materiali del Museo, è in corso lo spostamento di reperti archeologici e opere d’arte presso il deposito del Santo Chiodo della Regione Umbria. “L’amministrazione comunale di Norcia – hanno affermato il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno e l’assessore alla Cultura Giuseppina Perla, insieme al direttore del Museo, Maria Angela Turchetti – non vuole che si dimentichi l’ingente patrimonio culturale del territorio, messo a dura prova dagli eventi sismici di questi mesi, né il Museo della Castellina, che stava per essere oggetto di un importante progetto finanziato dall’Unione Europea tramite la Regione Umbria”. Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria (corso Pietro Vannucci, 19) 22 dicembre 2016 - 30 marzo 2017 Info: 075.58668415; Orari: da martedì a domenica, 8.30-19.30; lunedì chiuso Biglietti Intero, € 8,00; ridotto, € 4,00; l’ingresso consente la visita della Galleria Nazionale dell’Umbria e della mostra Francesco e la Croce dipinta

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ansia Fatto QUotidiano laVorare sU se stessi Per Vincerla Giovanni Bruno

La riflessione dello psicologo psicoterapeuta

A

vendo a cuore il benessere delle persone , studiandone ,per quanto possibile ,stati d’animo e comportamenti, vorrei prestare attenzione a quel disturbo oggi così generalizzato che è l’ansia. I sacri testi definiscono l’ansioso come un soggetto che “attende” quelle che sono prove terribili , spesso controprove evidenti della sua perenne inferiorità. Egli sistematizza l’ansia su tutto l’arco della propria giornata con una aspettazione del pericolo che spesso provoca un corteo di sintomi psicosomatici che vanno dalle palpitazioni alla irritabilità ai disturbi del sonno. I neurobiologi ci dicono che l’ansia ha sicuramente delle basi biologiche ,anche se non del tutto chiarite, e l’utilizzo così diffuso di categorie di farmaci come gli ansiolitici dimostra come la chimica agisca così da aumentare le proprietà sedative di alcuni neurotrasmettitori. Ma ciò che a me interessa evidenziare non è tanto il disturbo d’ansia clinicamente rilevante , che crea delle limitazioni funzionali e che va trattato in maniera adeguata .Vorrei dare

rilievo invece a quell’ansia domestica che pervade le nostre giornate , che crea disagio e contamina i rapporti personali ,gli stili di vita , le nostre scelte. L’ansia quotidiana ,come io la chiamo, pervade la nostra pratica di vita e ci induce a comportamenti molto singolari che tuttavia sono stati così assorbiti nelle nostre relazioni da diventare quasi “normali”. Faccio alcuni esempi per essere più chiaro : nessuno ormai nella conversazione ,nel dialogo, rispetta i turni di parola. Ad ogni minimo accenno di fonema l’interlocutore scatta a parlare della sua esperienza e conoscenza in quel campo rivelando pure una certa competenza che tuttavia nulla ha a che fare con quanto l’altro avrebbe voluto dire. E ancora, c’è spesso l’ansia del soggetto di non essere sufficientemente informato, aggiornato ,di non fendere la vita con il necessario slancio ,di restare indietro e ci si dimostra invece abili conoscitori di fatti ed eventi spesso orecchiati ,molto travisati e confusi. Ma l’importante è placare l’ansia che è in noi ,certo lo si fa

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maldestramente e così l’ansia aumenta. C’è poi quello che io chiamo “istantaneismo assoluto” cioè quella risposta subitanea a uno stimolo , spesso determinata dall’ansia di non essere all’altezza della prestazione che ci è richiesta .Una fugacità che rivela tutte le nostre incertezze e le nostre sensazioni di tensione. Come porre rimedio a tutto questo ? Penso che non ci siano ricette o parole d’ordine valide per tutti. Forse un buon punto di partenza è lavorare su se stessi e soprattutto conoscere se stessi : la massima greca iscritta nel tempio di Apollo a Delfi è sempre valida. Vuol dire avvicinarsi alla “propria limitatezza e finitezza” , sentendosi nel contempo forti pur non essendolo. Schopenhauer sosteneva che solo la comprensione della nostra individualità ci permette di padroneggiare tutte le vicende della nostra vita . L’ansia infine funge da generatore di “egoità” che è l’aspetto deteriore dell’ego che ha invece il compito di stabilire un sistema adattivo con la realtà esterna definendo il carattere che è la fisionomia originale della nostra individualità psichica.


FigUreUmane. a merano Una galleria a cielo aPerto

La scultura commemorativa realizzata daTony Cragg arricchisce la passeggiata Lungo Passirio

Tony Cragg, particolare, bronzo, 60 x 46 x 36,5 cm, 2016

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MERANO. L’arte come racconto e memoria dei luoghi. è questo il caso della passeggiata Lungo Passirio di Merano che rappresenta un bell’esempio di galleria d’arte a cielo aperto grazie al progetto FigureUmane che, annualmente, vede artisti contemporanei realizzare, attraverso la propria cifra stilistica, un monumento da dedicare a personalità particolarmente meritevoli. Da dicembre, accanto alle opere già installate di autori quali Urs Lüthi, Aron Demetz, Stephan Balkenhol, il percorso si arricchisce di una scultura di Tony Cragg, artista inglese, tra i più accreditati e riconosciuti esponenti della plastica internazionale. Per questa occasione, Tony Cragg, ha concepito un busto commemorativo in bronzo, in onore del politico e padre dell’Autonomia Sudtirolese Silvius Magnago (19142010) che ha improntato la politica altoatesina ad uno spirito europeo, proseguendo di conseguenza il proprio percorso, verso la pace e la conciliazione. Oltre a quella di Tony Cragg, il Lungo Passirio ospita il ritratto scultoreo di Piero Richard (1899-1967), uomo d'affari e promotore dell'Ippodromo di Merano, realizzato in acciaio dell'altoatesina Wilma Kammerer, e quello di Rina Riva (19222010), artista e maestra nelle tecniche incisorie sperimentali, creato dallo scultore gardenese Walter Moroder. Il progetto FigureUmane è stato avviato nel 2013 da Gabriela Stromer, assessore all’Economia e al Turismo insieme a Barbara Nesticò,


Sopra:Wil-ma Kammerer, ferro cromatizzato, base 49 x 30 x 8 cm 2016 Sotto: Walter Moroder, Sensibilità, bronzo, 63 x 35 x 24 cm, 2016

Direttrice del Dipartimento Istruzione, Cultura e Servizi Sociali, con l'obiettivo di inserire un intervento artistico nella passeggiata Lungo Passirio. Il coordinamento e la gestione curatoriale del progetto sono stati affidati all'artista Arnold M. Dall'O e alla Direttrice di Merano Arte Herta Wolf Torggler. Concepite quali sculture commemorative, le opere hanno lo scopo di ricondurre all’attenzione della collettività, personalità che hanno dato un impulso culturale, sociale, politico ed economico alla città di Merano e al suo circondario. L’evocazione nella memoria della popolazione locale di queste personalità di spicco, vuole rappresentare un impulso allo slancio e sviluppo della vita culturale e politica meranese e della regione. La galleria a cielo aperto di FigureUmane è in continua crescita. I cittadini possono inoltre prendere parte alla scelta delle personalità alle quali dedicare un monumento. Ogni anno, a seguito di una selezione tra artisti attivi sia a livello internazionale che regionale, il team curatoriale sceglie i creativi il cui lavoro appare maggiormente idoneo alla realizzazione del ritratto di ogni soggetto. Dopo il completamento, ogni opera viene donata alla collettività. In occasione delle nuove FigureUmane è stata redatta una pubblicazione con testi di Philipp Achammer (Silvius Magnano), Rosanna Pruccoli (Piero Richard) ed Enzo Di Martino (Rina Riva).

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modUli di arte UrBana a nardò nel giardino del castello NARDò (LECCE). Due installazioni, la Foresta d’acciaio e Sentinelle, a firma dell’artista Daniele Dell’Angelo Custode (e a cura di Paolo Marzano), fino a marzo adorneranno la villa comunale di Nardò. Moduli di arte urbana, nati dall’estro del maestro neretino che intende contribuire al cambiamento del paesaggio, scegliendo la via sperimentale di simboli che riqualificano i luoghi e, in questo caso, l’affascinante giardino del Castello degli Acquaviva d’Aragona. Daniele Dell’Angelo Custode da sempre lavora i metalli, grazie al laboratorio artigianale del padre e sin dagli anni Ottanta, collabora con professionisti del settore del design, dell’arredamento, dell’architettura d’interni o dell’arte urbana. Da qui l’inequivocabile esperienza nella gestione del metallo, aggiornata nelle sue evoluzioni tecnologiche. Con il tempo rielabora alcune idee procedendo ad accostare linee luminose e tubolari

A Nardò le installazioni di Daniele Dell’Angelo Custode

intrecciati nella struttura, moltiplicando le possibilità di inserimento “sociale” delle sue opere. Negli ultimi tempi sono diventati prevalenti piani metallici trattati, scheggiati, scalfiti, abrasi, caratteristiche che consolidano la tendenza dell’artista a “intaccare” l’acciaio, ripiegarne la lucentezza e studiarne i riverberi. Le opere più recenti evidenziano una concreta maturità nell’uso del ferro di cui sono spie l’inserimento di larghe falci di “corten” sulla tecnica del patchwork metallico e una gestione sempre più libera delle creazioni. Le opere di Daniele Dell’Angelo Custode sono state esposte a Londra, Bruxelles e Dubai, in tutta Italia e nel Salento. Ora c’è l’abbraccio con la sua città, con una installazione in uno dei luoghi più suggestivi e “visibili”. All’orizzonte c’è Berlino, che apre possibilità infinite di maggiori confronti e ricerche e una sfida continua agli spazi urbani, grazie ai suoi linguaggi sempre diversi e alternativi. Daniele Dell’Angelo Custode Nardò (Lecce) Villa Comunale via Roma marzo 2017

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Auditorium Vallisa., Ph. Michele Cassano


BiBart. l’arte contemPoranea dialoga con i lUoghi del sacro

Il cuore antico di Bari propulsore di bellezza e polo aggregante di energie. Prosegue fino al 15 gennaio la rassegna organizzata dalle associazioni Federico II eventi e Vallisa Cultura Onlus

BARI. “L'umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non vi sarebbe nulla da fare al mondo”, lo diceva Dostoevskij e chi crede nel potere dell’arte e nel suo dono di regalare la bellezza può capirlo. Questa l’idea che ha ispirato i promotori della BIBART, prima Biennale Internazionale d’Arte di Bari e Area Metropolitana, che apre le porte delle chiese della città vecchia e nell’area murattiana di Bari ad un dialogo tra arte antica e contemporanea, trasformando i luoghi di culto, spesso chiusi, in luoghi di esposizione e confronto. La manifestazione con la direzione artistica di Miguel Gomez è stata inaugurata lo scorso 15 dicembre e nella prima settimana ha registrato ben cinque-

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Alcuni momenti dell’inaugurazione.

mila presenze attraendo con il suo ricco corollario di eventi - tra mostre, proiezioni, presentazioni di libri, concerti e spettacoli teatrali- una media 800 visitatori al giorno. Un progetto nato dal basso, spiegano gli organizzatori, Vallisa Cultura Onlus e A.P.S. Federico II Eventi. “L’affluenza dei giovani è molto alta – spiega Miguel Gomez, direttore artistico di Bibart – e questo ci rende orgogliosi. Uno dei nostri obiettivi era proprio avvicinare i ragazzi all’arte, da qui la collaborazione anche con le scuole, come il liceo artistico di Cerignola. Abbiamo lanciato una sfida: portare l’arte contemporanea nelle chiese

di Bari vecchia, in luoghi da sempre votati alla bellezza e attraverso questi spazi rendere la fruizione delle opere un appuntamento quotidiano. Bibart ha come primo obiettivo valorizzare l’arte e riportarla nel suo posto ideale: ossia tra la gente”. Chiesa della Vallisa, Chiesa di Santa Teresa dei Maschi, Chiesa di San Gaetano, Chiesa del Gesù, Succorpo della Cattedrale di San Sabino, Chiesa di S. Anna, a cui si aggiungono Museo Diocesano, Auditorio Federico II Eventi, Palazzo Domus Milella (ex Palazzo Gironda), Sede Alliance Française di Bari: questi i luoghi dell’incontro con i 112 gli artisti in concorso, Futurballa, Splendore geometrico di ritmi dinamici 1916 Dipinto a tempera su tela juta applicata su cartone cm. 100x70

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oltre a musicisti, performer, attori, per un totale di 156 artisti provenienti da 9 Paesi (Italia, Argentina, Armenia, Brasile, Croazia, Francia, Grecia, Iraq, Uruguay). Sono 328 le opere esposte, tra pittura, scultura, grafica, video art e lavori fuori concorso, un mosaico di multiformi espressioni e tendenze, per un’arte diffusa fruibile dall’intera comunità. Ma non è tutto. La prima Biennale Internazionale d’Arte di Bari e Area Metropolitana ospita anche due mostre d’eccezione: Dal Postimpressionismo al Neorealismo: Amedeo Modigliani, Ritratto di Jeanne Hébutherme, anni 1918-19 disegno su carta giallina cm. 21x30

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viaggio tra le avanguardie del Novecento, con opere di 48 grandi maestri - da Cezanne a Renoir, Picasso, Balla, Mirò, Rosai, Boccioni, Modigliani, Greco, Manzù, Archypenko, per citarne solo alcuni – e Les danseuses, monografica di William Tode, ultimo esponente del neorealismo italiano. Nell’ambito della Biennale anche la personale Mater et Filius di Miguel Gomez, un’originale mostra di design sulla poesia della luce. L’idea è quella di progettare un oggetto luminoso il più possibile contemporaneo,


senza nostalgie del passato e senza profezie per il futuro. Un oggetto luminoso che esprima il suo ‘eterno presente’. Infine, la mostra documentaria dedicata ai novant’anni dell’Accademia Polifonica Barese e al suo fondatore, Biagio Grimaldi che il 13 agosto del 1926, nello storico palazzo del Sedile, riunì un gruppo di volenterosi del canto. Il coro esordì l’8 dicembre dello stesso anno con un concerto mattutino nel teatro Margherita. Tenore

solista era Gaetano Stella, al pianoforte sedeva l’organista Donato Marrone. La Polifonica si stabilì dapprima in alcuni locali del palazzo del Sedile, e poi intorno al 1935 in strada de Gironda 22 dove restò anche dopo la morte di Grimaldi. BIBART è anche spettacolo, cinema, teatro, letteratura e musica con 20 appuntamenti in calendario: presentazioni di libri, concerti, proiezioni di film, spettacoli teatrali e performing art, tutti ospitati tra

l’Auditorium Vallisa e l’Auditorio Federico II Eventi. “La Ragione dell’Uomo” è il tema d BIBART, cioè la capacità del pensiero di stabilire rapporti e connessioni, per generare idee, creare emozioni, sviluppare legami e azioni. Promuovere e diffondere l’arte in tutte le sue forme in nome del dialogo, della multiculturalità e della molteplicità dei linguaggi artistici è lo scopo; l’apertura a luoghi espositivi non convenzionali, connubio tra

Pablo Picasso, Modelle nello studio, 1936, xilografia cm.70x50

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Giorgio De Chirico, I cavalli, tecnica mista acquerellata cm70x50

fede e ragione, è il valore aggiunto. Tanti i nomi autorevoli chiamati a far parte del Comitato scientifico e d’onore: Wiliam Tode, artista, già direttore di Casa Vasari e responsabile degli Uffici Studi di Palazzo Pitti e degli Uffizi di Firenze; Miguel Gomez, artista, responsabile arti visive Artoteca Vallisa e S. Teresa dei Maschi, direttore artistico BIBART; Marino Baldini, archeologo, critico e storico dell’arte croato; Emanuel von Lauenstein Massarani, Conservatore dei Musei di San Paolo del Brasile; Guido Folco, direttore Museo MIIT di Torino; Giorgio Grasso, critico e storico dell’arte, già coordinatore del Padiglione Italia della 54^ Biennale di Venezia;

Mons. Antonio Parisi, responsabile musica e cultura dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto e Don Michele Bellino, direttore del Museo dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto. L’iniziativa gode del patrocinio

di Arcidiocesi di Bari – Bitonto, Regione Puglia, Comune di Bari, Università degli Studi di Bari, Consolato della Repubblica di Croazia, Consolato della Repubblica del Brasile. (an.fu.) Info: www.bibartbiennale.com

Salvatore Fiume, Odalisca, anni ‘60, Olio su tela montato su tavola cm. 52 x 82

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il teatro in PUglia al Via le nUoVe stagioni di Prosa

In arrivo Francesca Comencini, Peppe Servillo, Lello Arena, Biagio Izzo Debora Caprioglio, Pino Quartullo Un 2017 nel segno del teatro con tanti spettacoli proposti dal cartellone del Teatro Pubblico Pugliese, presieduto da Carmelo Grassi. Sarà Tante facce nella memoria, per la regia di Francesca Comencini ad aprire il 10 gennaio la stagione di Polignano a Mare e il 12 gennaio la Stagione del Comune di Martina Franca. Lo spettacolo affronta una delle pagine più drammatiche della nostra storia. Sei storie di donne partigiane e non che nel '44 vissero l'eccidio delle Fosse Ardeatine, feroce rappresaglia dopo il tragico attentato di via Rasella del 23 marzo 1944. Un’esperienza terribile ripercorsa dall’autrice, Francesca Comencini, attraverso le voci di sei donne toccate in prima persona, la drammaturgia è stata scritta dalla stessa regista insieme a Mia Benedetta ascoltando le registrazioni delle testimonianze dirette curate da Alessandro Portelli. Sul palco attrici straordinarie: Mia Benedetta, Bianca Nappi, Carlotta Natoli, Lunetta Savino, Simonetta Solder, Chiara Tomarelli. Il 14 gennaio in scena Histoire du soldat con Peppe Servillo aprirà la Stagione del Comune di Grottaglie: l’opera di Stravin-

skij basata su una fiaba di Afanas’ev, che affronta l’eterna ambivalenza dell’uomo tra bene e male con l’adattamento di Peppe Servillo diventa un viaggio al contrario nel tempo, con il prologo costituito dallo sbarco degli alleati a Paestum tratto da Napoli ’44. A far da colonna sonora al monologo che racconta le due guerre mondiali otto pezzi per clarinetto, viola e pianoforte del compositore Max Bruch. (Teatro Monticello, via Karl Marx, 1, info: 099.5620251 / 5620326) Nel segno della comicità made in Napoli si apre la stagione di Trani il 16 gennaio con Lello Arena e Giorgia Trasselli in Parenti Serpenti. La produzione di Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro sarà di scena all’Impero (Via Mario Pagano, tel. 0883.583444). Lello Arena salirà sul palco con Giorgia Trasselli, Andrea De Goyzueta, Marco Mario De Notaris, Carla Ferraro, Autilia Ranieri, Annarita Vitolo, Fabrizio Vona. Al centro della storia, come nel famoso film di Monicelli, la coppia di anziani genitori che si prepara a ricevere uno stuolo di parenti, i figli affettuosi e premurosi pronti a trasformarsi in subdoli serpenti. Una commedia grottesca dove si

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ride a crepapelle ma si riflette anche con amarezza sull’autenticità dei rapporti familiari. Sempre il 16 gennaio parte la stagione al Teatro Fasano di Taviano (Via Radice, 6) con Qualche volta scappano adattamento della commedia Toutou di Daniel Besse e Agnès Besse a firma di Pino Quartullo che salirà sul palco con Rosita Celentano e Attilio Fontana per dar vita ad uno spettacolo ironico e divertente. (In cartellone anche ad Aradeo il 17 febbraio e il 18 a Cavallino). Sempre a Taviano il 19 gennaio arriva Biagio Izzo con Bello di papà, spettacolo in cartellone anche al Teatro Modugno di Aradeo il 20 gennaio (Via San Benedetto,1, tel. 0836-552433). Diretta da Vincenzo Salemme, si tratta di una commedia esilarante con Mario Porfito, Domenico Aria, Adele Pandolfi, Yuliya Mayarchuk, Rosa Miranda, Arduino Speranza, Luana Pantaleo. Biagio Izzo vestirà i panni del protagonista Antonio Mecca sposato con Marina che incarna il travaglio della generazione dei cinquantenni e la paura della paternità come spiega lo stesso Salemme nelle note di regia: “Marina vorrebbe dei figli ma Antonio teme i figli, perché i bambini sono di un egoismo assoluto e lui, egoista per paura, questo non può accettarlo. Da questo paradosso nasce l’idea di questa commedia: un uomo che non vuole avere figli costretto a ricevere in casa un coetaneo che ha bisogno di ritornare ad essere un figlio.” Il 31 gennaio Alla faccia vostra con Debora Caprioglio e Gianfranco Jannuzzo aprirà invece la Stagione del Comune di Mesagne (Via Federico II di Svevia, info: 0831776691). Una piecè divertente, diretta dal maestro Patrick Rossi Gastaldi, che nasce dalla penna di Pierre Chesnot, autore dell'ormai celebre L'inquilina del piano di sopra. In questo nuovo lavoro prodotto dalla Compagnia Molière / Cento Teatri, non mancano gli intrighi, i sotterfugi e l’ipocrisia e con continui colpi di scena Chesnot mette a nudo la parte più meschina e cinica dell’animo umano. (an. fu.)

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Inella, Casa rosa

i colori della casa rosa di inella tra lecce e roma

In mostra fino al 31 gennaio nel chiostro del Rettorato di Lecce le opere di Vittoria Di Francesco

LECCE. è dedicata a Vittoria Di Francesco, in arte Inella, la mostra “I colori della casa rosa di Inella tra Lecce e Roma”, allestita all’Università del Salento nella sala espositiva del chiostro del Rettorato (piazza Tancredi 7, Lecce), nell’ambito delle attività per la Conoscenza, ricerca e messa in valore dei Beni Culturali a cura della Delegata del Rettore Letizia Gaeta. La mostra ha aperto i battenti lo scorso 23 novembre 2016 e sarà visitabile fino al 31 gennaio 2017 dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19. In mostra 25 tele datate dal 1974 al 1979, una piccola parte delle oltre 400 opere realizzate dall’artista. Su offerta degli eredi, alcune di

queste tele rimarranno in comodato d’uso dopo la mostra nelle sedi UniSalento. Uno degli obiettivi di questa e delle altre mostre organizzate negli ultimi anni in Ateneo è, appunto, “mettere in valore” i luoghi dell’Università, aprendoli a un pubblico più vasto. Vittoria Di Francesco (Brindisi, 2 gennaio 1929 – Roma, 21 ottobre 2014), in arte Inella, è vissuta nell’infanzia e nella prima giovinezza a Lecce, dove ha raccolto le prime impressioni pittoriche. Per il suo impegno nelle Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani) si trasferisce a Roma e nel 1958 viene eletta Segretaria Nazionale. Nel 1960 sposa Livio

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Labor, allora vice Presidente Nazionale delle Acli. Sin dal 1971 è passata dagli iniziali interessi classici, filosofici e sociali alla pittura, lavorando su appunti e annotazioni raccolti nel tempo. Ha tenuto oltre 50 mostre in numerose gallerie (prevalentemente private, ma non mancano luoghi pubblici come il Museo civico di Milano o il Palazzo comunale di Peru-

gia) e ha partecipato a diverse collettive a Milano, Fondi, Viterbo, Bagnoregio, Roma, Firenze, Modena, Genova, Pistoia, ricevendo vari premi. Scrive Letizia Gaeta: «Inella inizia a dipingere nel 1971. Nel compiere questa scelta attua un gesto di libertà o forse di docile emancipazione: mette fiori e colori nei suoi “cannoni”, ponendosi fuori e al tempo stes-

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so dentro il suo tempo. Nel 1971 in Italia venne depositata la richiesta di referendum sul divorzio, dando inizio a un dibattito che avrà uno spartiacque nel 1974. Inella non poteva essere indifferente alle questioni sociali: i suoi studi, il suo ruolo di segretaria delle ACLI, il suo ruolo di moglie di un intellettuale impegnato lasciano credere che vi partecipasse, ancorché sommessamente, con pacate interlocuzioni. La sua prima personale è del febbraio del 1975 in una Roma che qualche mese dopo assisterà all’assassinio di Pasolini. Dipinge nella sua casa borghese in un quartiere tranquillo, nel mentre Giulio Carlo Argan è sindaco di Roma. Ha un’interessante fortuna critica fatta di voci autorevoli: a scorrere le pagine a lei dedicate, ricorrono sovente termini come “sogno”, “poesia”, “nostalgia”, eppure il rifugio nella fantasia o nel ricordo nostalgico scaturito dall’immaginario di una critica per buona parte al maschile mi sembra abbia normalizzato la “fuga” dalla realtà che è soprattutto un “altrove” attivo e non innocuamente passivo. Vittoria di Francesco è una donna del sud, di quel sud che Ernesto de Martino scandaglia nel suo libro del 1959 (Sud e magia). Un filtro culturale che diventa anche inconsciamente tassello imprescindibile di un’epoca. La pittura di Inella è pertanto libertà di espressione conforme alla sua educazione che dialoga con


Inella, sala con poltrona verde e maioliche variopinte

l’infanzia felice vissuta a Lecce, nella casa rosa che ripropone in molti suoi quadri. Del resto il “teatro infantile” degli “oggetti familiari” rappresentato attraverso la “lietezza dei colori”, il “biancore abbacinante”, la “spontaneità colta”, la

luce, il mare, la vegetazione talvolta irsuta e selvatica sono un’esperienza interiore che non rimane confinata nell’astratta dimensione di un ricordo ma si fa pittura. La critica ha evidenziato qua e là richiami a Matisse senza tuttavia stabilire

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agganci circostanziati; parleremo piuttosto di rimeditazione su Matisse attraverso una comune poetica del colore e della luce. I ritorni di Inella nel Salento riaccendono la sensibilità coloristica dell’azzurro, dei gialli e dei verdi. è il senso del


colore a stabilire una sintonia con l’opera di Matisse del periodo durante il quale il pittore si trasferisce nel sud della Francia con Derain nel 1905. Si tratta di un’indiretta “corrispondenza di amorosi sensi”. Ma l’opera complessiva di Inella

declina altresì la poetica pascoliana del fanciullino e diventa visualità attraverso le parole di Matisse: “Occorre sapere ancora conservare quella freschezza infantile a contatto con gli oggetti, salvare questa ingenuità. Occorre essere bambini per tutta la vita anche quando si è uomini, traendo tutta la propria forza dall’esistenza degli oggetti” (Parigi 1952). I quadri di Inella sono attraversati da questa freschezza infantile e ingenua con gli oggetti della quotidianità, del presente dun-

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que e non solo con i sognanti ricordi del suo personale passato». I colori della casa di Inella tra Lecce e Roma Fino al 31 gennaio 2017 Sala espositiva, Chiostro del Rettorato (piazza Tancredi 7, Lecce) Università del Salento Cura scientifica di Letizia Gaeta Allestimento di Fulvio Tornese Orari: dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 19


Girovagando...Conosciamo Napoli e la Campania

Chiesa di san Giovanni a Carbonara, facciata esterna, foto Peppe Guida

san gioVanni a carBonara “la chiesa degli angioini” Peppe Guida

Tra i più affascinanti “luoghi della rete” gli itinerari del gruppo Fb ‘Conosciamo Napoli e la Campania’ organizzato da Peppe Guida nella rubrica ‘Girovagando’

NAPOLI. La storia di questa chiesa, edificata dal 1343 e terminata nel 1418, è strettamente legata alla dinastia degli Angioini: l’ultimo erede del casato, il re di Napoli Ladislao, vi è sepolto in uno splendido monumento funebre commissionato dalla sorella Giovanna II. La chiesa è il risultato dell'annessione di più strutture architettoniche: la doppia scala, (dell'architetto Ferdinando Sanfelice), in facciata cela l’ingresso alla sottostante chiesa della Consolazione a Carbonara; il portale centrale introduce alla Cappella di santa Monica, quello di sinistra all’ingresso laterale della chiesa di San Giovanni.

Sepolcro di re Ladislao: la complessa macchina sepolcrale di gusto tardo gotico è articolata su tre ordini e accoglie le spoglie di re Ladislao, morto nel 1414. Alla base vi sono quattro Virtù che sorreggono come cariatidi le statue di Ladislao e della sorella Giovanna II. Nel registro superiore è collocata l’arca sepolcrale con il defunto benedetto da un vescovo e due diaconi. In cima Ladislao è raffigurato di nuovo vivente e trionfante a cavallo. L’opera è stata realizzata da una bottega di artisti toscani, fra i quali si ricorda Andrea da Firenze, scultore fiorentino noto nel panorama napoletano

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per il Sepolcro di Ruggero Sanseverino. Cappella Caracciolo del Sole: Fu commissionata da Sergianni Caracciolo, gran Siniscalco e

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Cappella Caracciolo del Sole. A lato particolari della pavimentazione e della cupola, foto Peppe Guida

amante della regina Giovanna II, ucciso nel 1423, forse per volontĂ della stessa regina. Lungo le pareti della cappella vi sono affreschi del Perinetto, Antonio da Fabriano e Leonardo da Besozzo alle pareti, risalenti alla metĂ del Quattrocento. In sua memoria fu qui eretto il grandioso monumento sepolcra-


le commissionato verso il 1441 dal figlio Troiano e attribuito ad Andrea Guardi da Firenze. Particolarmente pregevole è il pavimento a mattonelle maiolicate risalenti al 1440- 45. Cappella Caracciolo di Vico: il suggestivo ambiente di pianta circolare è stato progettato fra il 1499


Alcuni particolari degli affreschi nella Cappella Caracciolo del Sole. Affesco centrale di Leonardo Besozzo, gli altri del Perinetto e Antonio da Fabriano, foto Peppe Guida

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Particolari degli affreschi della Cappella Somma, foto Peppe Guida

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Nelle immagini: la Cappella di Caracciolo di Vico, particolari delle sculture, del pavimento e della cupola, foto Peppe Guida

e il 1516 da un autore anonimo influenzato dall’architettura di Bramante e Sangallo. L’ambiente è di gusto antichizzante nel soffitto a lacunari, nel pavimento a intarsi marmorei, nelle decorazioni plastiche che ornano i sepolcri di Nicola Antonio e Galeazzo Caracciolo, opere di Giovanni Domenico d’Auria e Annibale Caccavello, inoltre operarono Giovanni da Nola, Girolamo Santacroce, Girolamo D'Auria, Diego De Siloe e Bartolomé Ordoñez. Da ammirare all’interno del complesso la Crocifissione (1545) di Giorgio Vasari: l’opera è stata eseguita dal pittore toscano durante il soggiorno a Napoli del 1545. Per la stessa chiesa, insieme al suo collaboratore Cristofano Gherardi, egli dipinse anche ventiquattro tavole per gli armadi della sacrestia. Una natura desolata fa da sfondo alla Crocifissione: qui il corpo di Cristo trionfa nella sua bellezza classica, nel v i g o r e michelangiolesco delle membra.

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Al centro: Francesco Zavattari, live painting a Firenze; sotto le immagini relative alla mater class tenuta il 23 novembre 2015 a Lecce e il live painting con gli studenti del Liceo Artistico “Pellegrino” il 19 ottobre 2015, nell’ambito della mostra “Elevata Concezione- Pietra Carta Luce” ex Conservatorio Sant’Anna

“coloUr state oF mind” master class di ZaVattari a lecce

All’Accademia di Belle Arti il 24 e 25 gennaio 2016

LECCE. Poco più di un anno fa Francesco Zavattari esordiva a Lecce con la mostra "Elevata Concezione - Pietra . Carta . Luce" patrocinata dal Comune di Lecce. Una serie inedita di lavori realizzati pensando al rapporto tra arte e fede e al luogo che li avrebbe ospitati: l’ex Conservatorio Sant’Anna. Per l’occasione l’artista toscano dopo aver realizzato un live painting alla presenza degli studenti del Liceo artistico, guidati dai professori Enzo De Giorgi e Carmelo Tau, incontrò gli studenti dell’Accademia di Belle Arti tenendo una master class sul rapporto arte e design che da sempre contraddistingue la sua attività artistica. Entrambi gli eventi furono organizzati da 'Il Raggio Verde edizioni' e dall'associazione 'Le Ali di Pandora',

partner culturali di una nuova iniziativa che vedrà nuovamente a Lecce Francesco Zavattari il 24 e 25 gennaio ospite dell’Accademia di Belle Arti. Una nuova masterclass che si annuncia decisamente più strutturata e complessa della precedente ma in perfetta continuità con l’impegno dell’artista toscano nell’ambito della didattica. Promosso dal Comitato Studentesco dell'Accademia e coordinato da Chiara Bevilacqua e Francesco Vitiello, il progetto educativo dal nome "Colour State of Mind" prevede due intense giornate di lavoro con gli studenti impegnati sia dal punto di vista teorico che pratico. Protagonista assoluto, il colore, in tutte le sue espressioni e accezioni. Martedì 24 gennaio si terrà una lezione prevalentemente frontale,

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nel corso della quale il tema verrà svolto sotto molteplici aspetti, dall'uso del colore nella storia dell'arte, fino alle più moderne applicazioni quotidia-

ne. Mercoledì 25 gennaio, invece, i ragazzi saranno chiamati a mettersi in gioco e a sperimentare sotto la guida dell'artista. Il tutto avrà come filo conduttore "Invelight", ideato da Zavattari nel 2013. Quotidianamente impegnata nello sviluppo di tavolozze cromatiche mediante processi altamente innovativi, questa realtà caratterizza le cromie di numerosi packaging e prodotti del mercato internazionale, con particolare presenza nella GDO. Prima di una serie di incontri didattici previsti in giro per l'Europa nei prossimi mesi (in maggio l'artista sarà in Portogallo per svolgere un programma analogo), la tappa leccese segna anche lo step iniziale di un importante sodalizio, destinato a influenzare positivamente l'attività di Zavattari, presente e futura. Cromology Italia, azienda leader nel mercato dei prodotti vernicianti, ha infatti deciso di scommettere sull'arte attraverso il colore, che diviene quindi fondamentale trait d'union tra le parti. Come primo

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passo di questa collaborazione, l'azienda fornirà agli studenti campioni di tinte che saranno alla base del workshop previsto per la seconda giornata in Accademia. “Il colore - commenta Zavattari- è il fulcro del mio lavoro e della mia vita. Sono orgoglioso della possibilità di condividere la mia esperienza e in particolare di poter iniziare da un luogo a me molto caro come quello dell'Accademia di Lecce, che ringrazio. Sono inoltre felice di collaborare con una major come Cromology Italia, che si è rivelata estremamente sensibile in materia artistica ed educativa”. Poco più di una settimana prima della due giorni leccese, l'artista sarà nuovamente in Portogallo per seguire l'esordio estero della mostra "Ambidexter – L'evoluzione dello spazio tempo": realizzata nel 2014 attraverso l'uso di entrambe le mani, la suite di dieci tele sarà ospitata presso la Galleria Paula Quintã di Porto dal 14 Gennaio al 5 Marzo 2017, sotto la curatela di Cláudia Almeida.


dietro le QUinte, la ricerca d’identitÀ: “mama non m’ama” Fabiana Lubelli

In scena il 22 gennaio nel Salone delle Suore d’Ivrea a Brindisi

BRINDISI. Nella cultura di tutti i popoli, il viaggio è un momento di ricerca, di indagine, di scoperta di se stessi e della propria identità. Per alcune persone, in particolare, il viaggio rappresenta l’unica speranza in un mondo in cui il concetto non solo di identità personale, ma di individuo, è stato spazzato e seppellito da orrori e difficoltà che hanno trasformato la vita quotidiana in un inferno. è questo il caso di tante ragazze nigeriane arrivate in Italia per sfuggire a persecuzioni, povertà, ingiustizie e protagoniste inaspettate di un percorso teatrale che ripercorre la storia di ciascuna di loro. Una storia fatta di abbandono della propria terra e dei propri affetti, di un viaggio costellato da mille pericoli fino all’arrivo, difficile, in un paese sconosciuto, dove la maggior parte della gente ancora le con-

sidera non come esseri umani ma come dell’unitile “altro”. “La sfida più ardua incontrata durante il laboratorio Mama non M’ama è stata senz’altro quella di superare la diffidenza delle ragazze nei miei confronti e nei confronti del Progetto e di adattarmi, pazientemente, ai loro tempi e ai loro umori, comprensibilmente mutevoli anche nell’arco di pochi minuti”, così commenta Daniela Guercia, responsabile artistico del progetto all’interno della struttura di accoglienza di Integra di Brindisi. La formazione di Daniela Guercia è estesa e si è arricchita al fianco di grandi artisti come Eugenio Bennato, per cui è stata vocalist dal 1988 al 1991, e soprattutto al fianco del tenore Pino Ingrosso, voce solista del Premio Oscar Nicola Piovani, del quale è manager e diret-

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tore artistico, senza considerare l’attività della sua Associazione Culturale Musicale Nany Music; nondimeno la sfida aperta dal progetto di teatro all’interno del centro di accoglienza brindisino non è stata indifferente anche per una persona del suo calibro: il teatro, seppure i suoi orizzonti si perdano oltre la realtà, ha rappresentato un vero e proprio viaggio per le ragazze coinvolte, uno scandaglio dell’animo di ognuna delle partecipanti, con chiusure e incomprensioni, che sono il frutto di un vissuto, purtroppo questo vero, travagliato e doloroso. Per questo motivo, il viaggio della protagonista della storia del dramma, Amy, non va ad allinearsi con le coordinate degli spostamenti, fisici ed emotivi, delle ospiti della struttura brindisina. Il percorso raccontato è, nella sua complessità, un estratto di umanità, un percorso che tocca tutti noi come essere umani. Una ragazza di quindici anni, Amy, con i sogni di tutte le ragazze della sua età, che è costretta a lasciare i suoi cari e la sua terra a seguito della persecuzione del presi-

dente africano dello stato in cui vive contro il partito in cui militano i genitori, che porta alla loro morte. Dalla fuga disperata dal suo villaggio nasce l’esperienza nella spaventosa e corrotta Libia, e poi la speranza per l’Italia, paese sconosciuto, il terrore del mare, il freddo, l’ignoto, la morte dentro e poi, infine, una luce di nuovo e, forse, un cambiamento. La speranza di poter tornare a essere esseri umani di nuovo. “Mama non m’ama” come racconta in poche parole il nome del progetto, recuperando il termine con cui si dice donna in una delle tante lingue africane. Donna, che allo stesso tempo non viene riconosciuta tale, che viene spogliata della sua identità, che non viene amata come persona ma trattata solo come oggetto. “Il teatro e la musica sono le vere lingue universali, quelle che sfondano ogni barriera e aprono tutte le porte”, commenta ancora Daniela Guercia, ripensando a come, grazie al duro lavoro e alla forza delle parole, è riuscita a superare la prima fase di diffidenza e rivestire le sue ragazze con una nuova,

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splendida, identità teatrale. “è stata una grande soddisfazione sentire la partecipazione di queste ragazze e la responsabilità che sentono nel portare avanti il Progetto, magari in futuro in altre piazze e in altre realtà. E il piacere di accompagnare il testo teatrale con i loro meravigliosi canti accompagnati solo dal battito delle mani e un tamburo”. “Mama, la donna ha finalmente recuperato la sua identità”, come recita un verso di questo bellissimo e intenso spettacolo che non mancherà di emozionare il pubblico. Il teatro ha riaperto le porte alla comunicazione con la parte più intima dell’animo delle partecipanti, riallacciando i fili di una identità strappata in Africa e ricucita in Italia con parole, canzoni e musica, per rinascere come nuovi personaggi, sulla scena per donare un’emozione da individui ad altri individui. Lo spettacolo Mama non m’ama andrà in scena il 22 Gennaio 2017, ore 17.30, presso il salone della struttura delle Suore d’Ivrea a Brindisi, in via Ottaviano, 59


Nella foto l’artista Sadro Greco con lo storico d’arte Gillo Dorfles

#land art#artesociale#mailart in tanti hashtag l’arte di greco Antonietta Fulvio

LECCE. Ironico affabulatore di storie con la leggerezza del suo segno e dei suoi di-segni. Sperimentatore puro e instancabile ricercatore Sandro Greco è l’artista che rappresenta in Puglia il precursore della Land art e di tutte quei linguaggi trasversali dell’arte che vanno dalla mail art all’arte sociale e concettuale. Dopo la mostra a Salice Salentino, suo paese natale, Sandro Gre-

Al via la rassegna dell’associazione Handmade con l’artista Sandro Greco

co con le sue opere approda a Lecce, al pianterreno dell’ex Convento dei Teatini, primo appuntamento della rassegna “Le avanguardie artistiche del Novecento Pugliese” organizzata dall’associazione culturale Handmade. In continuità con il progetto “Handmade Artists in Action Action03. Le Avanguardie” l’associazione dedica uno spazio agli artisti contemporanei pugliesi che si sono

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Al centro: Sandro Greco, 2016 nel riquadro un’opera in ceramica

contraddistinti nel panorama dell’arte contemporanea del 900. Patrocinata dal Comune di Lecce ed in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura la rassegna ospiterà il maestro Sandro Greco dal 14 al 29 gennaio 2017. Classe 1928, sono ben noti il suo studio assiduo, le installazioni

site specific in riva al mare e negli spazi urbani e periferici, realizzate in maniera sempre nuova ma fedele alla propria poetica che si potrebbe sintetizzare nella frase: “L’arte è la bellezza che ha per meta l’infinito”. Protagonista attivo nel dibattito artistico degli anni sessanta in Puglia nel 1968 Sandro Greco fonda con Corrado Lorenzo e

Toti Carpentieri il "Centro ricerche estetiche Novoli". In quegli anni comincia a piantare fiori (o a versare latte) sull’asfalto o sulla spiaggia per sensibilizzare l'opinione pubblica su tematiche sociali e ambientali e continua a farlo ancora oggi con il suo esercito di farfalle lo si vede disseminarle in riva al mare sulla sabbia o piantarle tra i rifiuti di discariche a cielo aperto: il tempo non sembra essere passato, l’uomo continua ad inquinare e a trasformare l’ambiente in una pattumiera dimenticandosi che è un bene comune da lasciare alle future generazioni. Già cosa lasceremo? Provocatoriamente già negli anni 70, Sandro Greco inscatolava “aria non inquinata” a Taranto in piccole boccette che gli valsero anche un fermo in caserma perché scambiate per bombe. Le vere bombe biologiche, o tossiche che dir si voglia, negli anni siamo riusciti ad innescarle ovunque, nei nostri terreni, nei nostri mari... tutti responsabili ognuno con il proprio silenzio. La sua battaglia in difesa dell’ecologia Sandro Greco continua a combatterla ancora

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Nei riquadri due opere di Sandro Greco

oggi con il suo linguaggio artistico, abbellendo i paesaggi portando le sue creazioni estetiche dove ci sono rifiuti, scarti di quella civiltà del progresso che continua solo a prendere dalla natura quando invece dovrebbe guardare ad essa con gli occhi curiosi di bambino per poterne percepire la bellez-

za. Salvaguardandola e non ferendola come invece si continua imperterriti a fare. Purtroppo. Qualche anno fa, il regista Giuliano Capani, con Jenne Marasco, gli ha dedicato un bellissimo film “Sandro Greco e la profonda leggerezza dell'essere”; trenta minuti in cui il domatore di farfalle così ama definirsi l’artista - racconta la sua passione per l’arte, i sacrifici per lo studio (si è laureato in Farmacia all’Università di Bari e ha insegnato chimica analitica negli Istituti superiori), l’amore per la lettura e il suo annotare frasi, pubblicate nel libro "L'Arte è...". E ancora la sua inesauribile verve artistica e la sperimentazione sui materiali e l’utilizzo dei colori organici per colorare le sue opere, farfalle in primis, ma anche fiori di carta, aquiloni, tappeti, mosaici, libri di carta, legno, metallo perché l’arte possa implicare tutti i sensi, dalla vista al tatto, dall’udito all’olfatto finanche al gusto con “pagine di cioccolata”. In occasione della mostra, presentata dal critico d’arte Toti Carpentieri saranno presentati i suoi ultimi lavori insieme ad una selezione accurata delle opere più datate e della collezione di ceramiche. Un artista poliedrico che ha tanto ancora da raccontare al mondo dell’arte contemporanea. Ed ecco alcuni degli hashtag per identificare la sua arte: #LandArt #ConceptualArt #MailArt #ArteSociale #StreetArt ...ebbe sì anche dalle pagine del social più famoso Sandro Greco continua a raccontarsi, a mostrare le sue opere, a farci riflettere con le immagini delle sue creazioni, la sua sperimentazione continua anche tra i touch dell’ipad e il suo essere social nel raccontare il presente con leggerezza e incanto non privo di ironia. Appuntamento ai Teatini sabato 14 gennaio per festeggiare con lui i suoi primi 89 anni. Auguri Maestro! ex Convento dei Teatini - salone pianterreno. Corso Vittorio Emanuele, Lecce. dal 14 al 29 gennaio2017. Inaugurazione 14 gennaio 2017 alle ore 17.00. Alle ore 18.00 lnterviene per i saluti istituzionali il Sindaco Paolo Perrone. Presentazione del critico d'arte Toti Carpentieri. Intervento musicale di Naima&Anoir Info: 3280862301 - 3473595074

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i naBis, gaUgUin e la PittUra italiana d'aVangUardia Rovigo, palazzo Roverella fino al 14 gennaio 2017 Via Giuseppe laurenti, 8/10 tel. 0425.460093 info@palazzoroverella.com l’imPressionismo di Zandomeneghi padova, palazzo Zabarella via degli Zabarella, 14 fino al 29 gennaio 2017 Informazioni: tel. 049.8753100 www.zabarella.it XXVi Biennale di scUltUra Gubbio (pG), palazzo dei Consoli (piazza Grande) e palazzo Ducale (via Federico da Montefeltro) fino al 15 gennaio 2017 biglietti: € 10.00 interi. Info: servizio IAT Gubbio 075 –9220693 l’adoraZione dei magi di alBrecht dÜrer Milano, Complesso Museale “Chiostri di Sant’Eustorgio” ingresso da piazza Sant’Eustorgio 3 e corso di porta Ticinese 95 fino al 5 febbraio 2017 Info: 02.89420019 Francesco somaini Uno scultore per la città New York 1967-1976 Milano, la Triennale Viale Alemagna 6 13 Gennaio – 5 Febbraio 2017 T. +39 02 724341 www.triennale.org Ingresso libero XXVi Biennale di scUltUra Gubbio (pG), palazzo dei Consoli (piazza Grande) e palazzo Ducale (via Federico da Montefeltro) fino al 15 gennaio 2017 Info: Servizio IAT Gubbio 075 – 9220693

la diVina commedia di VentUrino VentUri fino al 26 febbraio 2017 Firenze, Villa Bardini, Costa San Giorgio 2 da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 19.00, (ultimo ingresso alle ore 18.00). lunedì chiuso Info e prenotazioni: +39 055 20066206 la geograFia serVe a Fare la gUerra? mappe e arte in mostra Treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche,via Cornarotta 7 fino al 19 febbraio 2017 a cura di Massimo Rossi e con la partnership di Fabrica. Orario: martedì-venerdì 15-20, sabato e domenica 10-20; ingresso intero: 7 euro, ridotto: 5 euro, 3 € per le scuole tel. 0422.5121 www.fbsr.it la monaca di monZa Monza, Reggia di Monza, Serrone della Villa Reale Viale Brianza, 2 fino al 19 febbraio 2017 Orari di apertura: lunedì chiuso. Dal martedì al venerdì: 10-13 / 14-18 Sabato, Domenica e festivi: 10-19.30 la biglietteria chiude un’ora prima. Biglietti: intero: 10 euro, ridotto: 8 euro, Scuole: 5 euro Info: 02. 36638600 www.reggiadimonza.it/lamonacadimonza www.vidicultural.com da haYeZ a Boldini. anime e volti della pittura italiana dell’ottocento Brescia, palazzo Martinengo (via dei Musei 30) 21 gennaio - 11 giugno 2017 Orari: da mercoledì a venerdì, dalle 9.00 alle 17.30; sabato, domenica e festivi, dalle 10.00 alle 20.00; lunedì e martedì chiuso Biglietti: intero 10€; ridotto 8€; ridotto gruppi 8€; scuole 5€ Visite guidate: gruppi 80€; scuole 45€. Info e prenotazioni: tel. 380-4650533

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la diVina commedia di VentUrino VentUri Firenze, Villa Bardini Costa San Giorgio 2 fino al 26 febbraio 2017 Orari di apertura: da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 19.00 (ultimo ingresso alle ore 18.00). lunedì chiuso Info e prenotazioni T. +39 055 20066206 anima Bianca. la neVe da de nittis a morBelli Milano, GAMManzoni via A. Manzoni, 45 fino al 19 febbraio 2017 Orari: da martedì alla domenica 1013 e 15-19 (ultimo accesso 18.30) Aperture straordinarie: 1 novembre, 7- 8 dicembre, 26 dicembre, 1 gennaio, 6 gennaio Ingresso: 6 € Info: Tel. e Fax 02.62695107 caraVaggio. san girolamo scriVente Milano, pinacoteca Ambrosiana piazza pio XI, 2 fino al 19 febbraio 2017 Orari: da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 18.00; chiuso lunedì Ingresso sola mostra: piazza San Sepolcro, biglietto 8 euro. Ingresso pinacoteca Ambrosiana + mostra: piazza pio XI, : 2 biglietto: intero € 15,00 ridotto € 10,00 Info gruppi e prenotazioni: 02 6597728 artico. Ultima Frontiera FotograFie di Paolo solari BoZZi / ragnar aXelsson / carsten egeVang Venezia, Casa dei Tre Oci Fondamenta delle Zitelle, 43 Dal 15 gennaio al 2 aprile 2017 Workshop: Domenica 15 gennaio dalle 10 alle 17 Insieme a paolo Solari Bozzi, Ragnar Axelsson, Carsten Egevang e Denis Curti. prenotazione obbligatoria a info@treoci.org. prevista una quota d’iscrizione Orari: Tutti i giorni 10– 18; chiuso martedì. Info: tel. +39 041 24 12 332

ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...

l’UmBria sUllo schermo. dal cinema mUto a don matteo perugia, palazzo Baldeschi al Corso fino al 15 gennaio 2017 www.fondazionecariperugiaarte.it tel. 075. 5724563


lUOGHI DEl SApERE

i tradUttori letterari, BeneFattori dell'UmanitÀ interVista a clara nUBile

YANN MARTEl VITA DI pI traduzione Clara Nubile pIemme edizioni ISBN 9788838468995 pp.334 11,90 €

Natale è ormai alla spalle e allora è anche tempo, per ciascuno di noi, di bilanci. Tra i libri ricevuti in dono questo Natale il primo che ho scelto di leggere è stato “Il grande manoscritto”perché non conosco l’autore, Zoran Živkovíc, che dunque mi incuriosisce molto. Si tratta di un giallo poliziesco-letterario che ha subito catturato il mio interesse. Živkovíc è uno scrittore serbo e nel leggere le prime, godibilissime, pagine, abilmente rese in italiano da J. Mirkovic e E. Boscolo Gnolo, non ho potuto fare a meno di pensare ancora una volta quale sia il nostro – dico di noi lettori, ma anche di tutti gli uomini indistintamente – debito di gratitudine nei confronti di quei veri e propri benefattori dell’Umanità che sono i traduttori letterari… Non sempre il lavoro, magari oscuro ma incommensurabilmente prezioso, di queste persone viene riconosciuto adeguatamente (anche dal punto di vista economico), ma se ci soffermassimo a pensare a quanti milioni, forse miliardi, di persone non avrebbero conosciuto e non conoscerebbero milioni, forse miliardi, di libri, ivi compresi tanti e tanti capolavori, allora ci renderemmo veramente conto di quale e quanta dovrebbe essere la nostra riconoscenza e la nostra ammirazione verso questi autori che solo un deprecabile preconcetto relega in secondo piano rispetto ai narratori tout court. Così come è agevole, se solo ci si riflette su un poco, comprendere quale sia l’apporto dei traduttori alla comunicazione tra uomini fisicamente lontanissimi tra loro, tra mondi diversi, tra culture differenti che, interagendo in tal modo tra di loro, si alimentano vicendevolmente, si arricchiscono e si evolvono. Ricordo che nell’estate del 2005, nel corso di una fantastica serata all’Archivio di Stato, il grande Luis Sepúlveda perorò la causa dei traduttori, esaltando la loro opera (“Senza traduzioni il mondo sarebbe poverissimo e tristissimo”) e sottolineando come forse proprio e soprattutto nella nostra Italia essa non sia tenuta nella giusta considerazione… E, allora, lode e gloria ai traduttori! Ma, per saperne e dirvi di più su questi benemeriti artisti e sul loro difficile lavoro, ho voluto rivolgere qualche domanda alla nostra conterranea Clara Nubile, brava scrittrice e traduttrice (tra le sue innumerevoli traduzioni dall’inglese spicca il celeberrimo “Vita di Pi”. Clara, come è nata questa passione per la traduzione che è poi diventata il tuo lavoro? Be’, è nata tanti anni fa, quando facevo il liceo a Brindisi e leggevo brani in inglese. In particolare mi colpì “Howl” di Allen Ginsberg, che come tanti altri grandi autori della Beat Generation fu tradotto dalla grandissima Fernanda Pivano, modello per tanti aspiranti traduttori. Mi misi in testa che volevo tradurre anch’io dall’inglese, e alla fine ce l’ho fatta.

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AllAN SEAlY HOTEl EVEREST traduzione Riccardo Battaglia Clara Nubile 9788842808916 Il Saggiatore pp.320 12,73€

In poche parole, se possibile, cosa si intende esattamente per traduzione letteraria? Quale è e deve essere lo scopo del traduttore? Immagino sia quello di mantenere il più possibile inalterato il contenuto e lo stile di un testo. Ma puoi spiegarlo meglio? Ho sempre pensato al mestiere di tradurre, come una sorta di “traghettare” le anime delle parole, da una lingua all’altra. Si parla spesso, in radio e sui giornali, di traduzione letteraria (o editoriale), vale a dire la traduzione di narrativa, poesia, saggistica in italiano da una lingua straniera. Il traduttore dà voce a un autore, attraverso una ricerca ad ampio spettro, il più efficace possibile. Si lavora soprattutto sullo stile, sul ritmo, su tante piccole cose che compongono un testo letterario. I traduttori lavorano in punta di piedi, limano la propria presenza che in un testo deve restare minima. Se è così, quanto è difficile raggiungere questo obiettivo che per alcuni, sostenitori dell’intraducibilità delle lingue, è impossibile? E in che misura, eventualmente, pensi sia raggiungibile? Credo nella comunicazione, perciò non credo nell’intraducibilità. Piuttosto, ci sono opere che presentano delle difficoltà oggettive in fase di traduzione, anche a livello culturale. La trasmissione in un’altra lingua – e quindi in un’altra cultura – non è immediata. Il traduttore, a volte, deve fare qualche compromesso e persino sacrificare qualcosa del testo originale per poter tradurre: in questo caso, lo scopo finale è la trasmissione, la comunicazione. L’importante è essere onesti, con se stessi e con i lettori in italiano. Quali sono le traduzioni più difficili? Quelle in cui non ti senti in sintonia con il romanzo che stai traducendo… Quale è stata la traduzione che ti ha dato maggiore soddisfazione? E quella che ti ha messo più in difficoltà? Difficile fare un solo esempio. Diciamo “Vita di Pi “ di Yann Martel, bellissimo romanzo, grande scrittore. L’ho tradotto in India, fra l’altro, quindi la sintonia era assoluta. La traduzione più difficile, la prima: “Hotel Everest” di Allan Sealy, autore indiano. Prosa criptica, ma incredibilmente lirica. Difficile da tutti i punti di vista, ma l’autore mi è stato di grande aiuto. Che differenza c’è, se realmente esiste, tra lo scrivere e il tradurre? La differenza esiste, eccome. Nella traduzione sei responsabile dell’opera di qualcun altro. Nella scrittura, ci sei solo tu. E quindi le responsabilità sono maggiori. Scrivere è creatività senza filtri. Tradurre significa dosare la propria creatività al minimo. Quali le qualità più importanti per essere un buon traduttore? Pazienza, meticolosità, amore della solitudine, capacità di ascolto.

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lUOGHI DEl SApERE

È vero che il vostro lavoro è ancora oggi sottovalutato. Se sì, perché GGGGG credi che accada? Sì, purtroppo sì. Contratti e tariffe spesso non adeguate, se non addirittura inaudite. Ma questa risposta richiederebbe un articolo a sé. Anzi, lancio un appello ad eventuali colleghi traduttori e scrittori pugliesi… magari si può parlare insieme della situazione editoriale attuale in Italia. Michele Bombacigno

DIARIO CORAlE DI lAMBERTO pIGNOTTI MOSTRA E lIBRO Al CASTEllO DENTICE DI CAROVIGNO

lAMBERTO pIGNOTTI Diario Corale 1962-2015 asserzioni Edizioni MIlella

Diario Corale è una narrazione d’immagini che coinvolge il lettore tanto da farlo ritrovare in una o in più foto (una per ogni anno) tratte dai giornali quotidiani dal 1962 al 2015. “…in quelle foto io c’ero, insomma non c’ero proprio dentro, stavo a una certa distanza, avrei potuto esserci, ero uscito poco prima, sono probabilmente quello coperto da un altro… Quegli avvenimenti fotografici parlano di me, sono una proiezione dei miei ritratti…” rileva Pignotti proiettandosi nel “lector in fabula” (U. Eco) da lettore coinvolto nella storia raccontata con cinquantaquattro immagini datate e firmate. Poeta, saggista , scrittore, Lamberto Pignotti (Firenze, 1926) ha fondato a Firenze, con altri autori, artisti, musicisti e studiosi il Gruppo 70 nel 1963 e nello stesso anno ha partecipato alla formazione del Gruppo 63. Ha pubblicato libri di poesia, narrativa, saggistica, antologie e poesia visiva. Per la poesia, ha vinto il premio Vittorio Bodini nel 2013 e il premio Capalbio nel 2015. Il libro, prima pubblicazione della collana Asserzioni (Casa Editrice Milella) sarà presentato sabato 14 gennaio 2017 alle 18.30 a Carovigno, Castello Dentice di Frassino, nell’ambito della mostra Diario Corale 1962-2015 di Lamberto Pignotti, curata da Salvatore Luperto e Anna Panareo. Dopo i saluti dell’Assessore alla Cultura Pietro Laghezza interverranno lo storico dell’arte Massimo Guastella, i curatori della mostra Salvatore Luperto e Anna Panareo e il direttore artistico dell’associazione New E.O.S Giuseppe Bellanova. Introduce e coordina Paola Pagliara.

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storia GGGG di noVoli. testi e docUmenti alla Fòcara 2017 il nUoVo liBro di de marco

MARIO DE MARCO Storia di Novoli. Testi e documenti

Nel lontano 1980 lo storico Mario De Marco pubblicò la sua Storia di Novoli, primo studio organico sulle trascorse vicende del paese, libro ormai introvabile. Si trattava del primo testo su Novoli, anche se nel 1977 Enzo Maria Ramondini aveva pubblicato un opuscoletto contenente alcune interessanti notizie “Novoli di Lecce. Fatti e misfatti dalle origini ad oggi”, lavoro che lo studioso non riuscì ad ampliare a causa della prematura scomparsa avvenuta nel 1982. La diffusione della Storia di Novoli di De Marcò destò nel paese un accresciuto interesse per le trascorse vicende del luogo, e così studiosi novolesi, quali Gilberto Spagnolo, Piergiuseppe De Matteis, Dino Levante, Mario Rossi, Oronzo Mazzotta, Alfredo Mangeli, Antonio Politi e Salvatore Epifani e altri, con vari libri, saggi e articoli hanno via via squarciato il velo su tante pagine di storia e sugli accadimenti novolesi dalle sue origini ad oggi. In questi anni De Marco non ha mai smesso di interessarsi del paese natio, pubblicando non pochi articoli sui numeri unici di Sant'Antoni e l'Artieri, Lu Puzzu te la Matonna, sulle riviste da me dirette Rassegna Salentina e lu Lampiune. Ha poi dato alle stampe Le iscrizioni latine di Novoli e Novolesi, e una corposa rassegna di profili biografici di novolesi illustri. A distanza di 37 anni dalla pubblicazione della prima Storia di Novoli, De Marco ha deciso di rivedere, limare e integrare le conoscenze concernenti le trascorse vicende di Novoli, facendo pure tesoro degli studi di alcuni autori, inserendo tanti dei loro contributi, citando ed evidenziando la paternità degli scritti, inserendo testi di Gilberto Spagnolo, Piergiuseppe De Matteis, Mario Rossi e Dino Levante. Il libro è arricchito dalle incisioni grafiche del pittore Piero Pascali. “Il testo”, come sottolinea lo stesso autore, “rappresenta un'operazione collettiva, di sereno coinvolgimento e riconoscimento della validità delle altrui ricerche, tutte finalizzate ad offrire la più possibile vera identità al paese, senza lasciarsi suggestionare da fabulose e improbabili narrazioni campanilistiche o, peggio ancora, da reticenze ed omissioni”. Il volume dello storico Mario De Marco, con il titolo, “Storia di Novoli. Testi e documenti” sarà presentato il 12 gennaio, nel Palazzo Baronale di Piazza Regina Margheria a Novoli, (ore 18.00). Interverranno il Sindaco e presidente della Fondazione fòcara di Novoli Gianmaria Greco, lo storico Piergiuseppe De Matteis e Flavio De Marco che ha collaborato alla stesura del volume. L’iniziativa si inserisce nel programma della rassegna “Un mese di fuoco” organizzata dalla Fondazione Fòcara di Novoli in occasione dei festeggiamenti per Sant’Antonio Abate 2017.

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Camera #4 - Il Naufragio di Cecilia Bertoni e Claire Guerrier con Carl G. Beukman immagine di Cecilia Bertoni

camera#4 - il naUFragio Per assemBlaggi ProVVisori

Nella tenuta Dello Scompiglio di Vorno sabato 28 gennaio l’installazione di Cecilia Bertoni e Claire Guerrier con Carl G Beukman

LUCCA. Declinare l’arte in tutte le sue ibridazioni - arti visive, teatro, danza, performance, musica - sul filo della diversità. Tutto questo e altro è nei contenuti del progetto “Assemblaggi provvisori” promosso dall’associazione culturale Dello Scompiglio diretta da Cecilia Bertoni, che propone un’occasione di confronto sulla “in-definizione” del genere attraverso una programmazione tematica, ospitata nella tenuta dello Scompiglio di Vorno (Capannori, Lucca). La manifestazione nata da un bando internazionale della stessa associazione ospita ventisette progetti vincitori, produzioni interne, commissioni e spettacoli, per oltre settanta appuntamenti. Partita nel mese di marzo 2016 proseguirà fino alla primavera 2017 negli spazi della Tenuta Dello Scompiglio con concerti, incontri, installazioni, laboratori, mostre, performance, teatro ragazzi e residenze. La rassegna, si diceva, è incentrata sull’individualità in relazione e/o in conflitto con il genere e più specificamente con l’assenza di causalità e coincidenza tra il sesso biologico, il genere (mascolinità–femminilità) e l’orientamento sessuale. E da non perdere sabato 28 e domenica 29 gennaio due appuntamenti dedicati alla “in-definizione” del genere sempre nell’omonima tenuta. Sabato mattina, alle ore 10.30, sarà inaugurata “Camera #4 – Il Naufragio” installazione a firma di Cecilia Bertoni - ideatrice del progetto Dello

Scompiglio oltre che co-fondatrice e direttrice artistica dell’associazione - e di Claire Guerrier artista e regista francese che nel suo lavoro utilizza particolarmente il video per unire il reale e la finzione intorno ad interrogativi essenziali. Con loro il musicista olandese Carl G. Beukman sempre alla ricerca della perfetta combinazione fra suono, immagine e testo nell’ambito teatrale, performatico e video. L’installazione, accessibile a un visitatore alla volta, sarà visitabile fino al 25 giugno 2017, è la prosecuzione di un percorso, iniziato nel 2011, con una seconda tappa realizzata nel 2012 e una terza nel 2014, in cui due donne si sono interrogate sulle loro identità, sulle loro paure e sulla loro solitudine. Temi ai quali si sono ispirate anche per questa nuova installazione che intende indagare sulla dicotomia tradizionale maschile e femminile e sulle ferite che l’imposizione attraverso l’educazione genera. Ferite che restano aperte e sulla manipolazione alla quale ognuno di noi è sottoposto, provando a sovvertire l’esperienza dell’impossibilità dell’uomo di superare ogni “situazione-limite”. Situazioni intese come dei muri, nel pensiero del filosofo tedesco Karl Jaspers, contro cui l’uomo urta, sbatte e naufraga inevitabilmente senza possibilità di attuare un superamento, situazioni che non può modificare, ma solo portare a chiarezza.

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Ma cosa si troverà davanti il visitatore? “Una grande installazione ambientale anticipano le artiste - in cui uno strato spesso di sabbia ricopre tutto il pavimento della stanza, si infiltra nelle stratigrafie e le fessure che si celano nel limite che divide le due categorie di maschile e femminile. I passi sono inevitabilmente rallentati e al visitatore si svelano una serie di elementi che mettono in discussione le certezze a cui la tradizione lo ha abituato. Strumenti chirurgici e oggetti di misurazione “dilapidati” e in disuso. Alcuni quaderni disposti su dei vetusti carrelli medici. Un grande lenzuolo ricamato e bruciato in cui i colori rosa e azzurro si dispongono come schiere ordinate, per poi dissolversi gradualmente in un paesaggio sconfinato. Una serie di video in cui una mano divarica e sutura, in modo reiterativo e alternato, le ferite di una tela. Tutti questi elementi vengono contenuti fra le pareti carbonizzate della sala, in netto contrasto con il soffitto azzurro che li sovrasta, creando un’atmosfera estraniante e sospesa in un tempo che non è quello che ci appartiene. Un naufragio in cui le prospettive si modificano attraverso oggetti sonori diramati sullo spazio.” L’inaugurazione sarà impreziosita dalla performance intitolata “iD” sui meccanismi della definizione dell’identità individuale del gruppo Dynamis, che sarà replicata anche domenica 29. In serata alle 21, “Princesa e Caffariello”, il concerto a cura dell’associazione Nuovo Coro Lirico Sinfonico Romano. Una ballata pop che prende spunto da una canzone di De Andrè e Ivano Fossati ‘Princesa’, a sua volta tratta dall’omonima biografia di Fernanda Farias e Maurizio Jannelli. Antonio Faieta e Raffaele Schiavo daranno voce rispettivamente a una transgender dei giorni nostri e un sopranista castrato del XVIII secolo, ai loro tradimenti e le loro rivelazioni. Musica e direzione di Stefano Cucci. Infine, terzo appuntamento con gli incontri curati da Luca Greco. www.delloscompiglio.org

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Il poeta Dino Campana

Un Viaggio chiamato amore siBilla e dino Giusy Gatti Perlangeli

La storia tormentata dei due poeti finita davanti al cancello di Villa Castelpulci

Ancora una storia…d’amore e di letteratura…d’amore e di poesia…d’amore e di delirio. Dino Campana e Sibilla Aleramo. Chiudo il tuo libro, snodo le mie trecce, o cuor selvaggio, musico cuore…

AMORI lETTERARI

con la tua vita intera sei nei miei canti come un addio a me. Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli, meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo, liberi singhiozzando, senza mai vederci, né mai saperci, con notturni occhi. Or nei tuoi canti la tua vita intera è come un addio a me.

all’unisono con le granate, esplose la passione di Dino Campana per Sibilla Aleramo. “Un viaggio chiamato amore”: questo il titolo che l’editore Feltrinelli, parafrasando un verso dello stesso Campana, ha dato al carteggio tra i due poeti: tumultuoso, intenso e disperato come la loro stessa vita. Una passione vorticosa li vinse, in quell’estate del 1916: una follia testimoniata dalle numerose Lettere che si scambiarono, pubblicate la prima volta nel 1958.

Lui, Dino Campana, era il “poeta maledetto” autore dei “Canti Orfici”, pubblicati nel 1914. La Aleramo, aveva esordito nel 1906 con il romanzo “Una donna”, testimonianza chiaramente autobiografica del ruolo di subalternità della donna nella famiglia e nella società, un vibrante appello femminista contro la prevaricazione maschile.

Cuor selvaggio, musico cuore, chiudo il tuo libro, le mie trecce snodo. Sibilla Aleramo a Dino Campana, Mugello, 25-7-1916 Nell’estate del 1916, torrida per la temperatura, ma soprattutto per il primo conflitto mondiale,

Lui aveva 31 anni, lei 40.

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In un momento Sono sfiorite le rose I petali caduti Perché io non potevo dimenticare le rose Le cercavamo insieme Abbiamo trovato delle rose ggg Erano le sue rose erano le mie rose Questo viaggio chiamavamo amore Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose Che brillavano un momento al sole del mattino Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi Le rose che non erano le nostre rose Le mie rose le sue rose.

era stata segnata da due episodi di una tale gravità che non riuscì mai a rimuoverli: il tentativo di suicidio della madre e la violenza che subì all’età di 16 anni. Le convenzioni sociali influirono fin da subito sulle sue scelte: fu costretta, infatti a sposare proprio l’uomo che aveva abusato di lei e a subire l’ulteriore violenza di un matrimonio insostenibile. Cercò e trovò l’occasione per abbandonare il tetto coniugale, e a causa di questo atto “intol-

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Dino Campana a Sibilla Aleramo, 1917 Segnato fin dall’adolescenza dai sintomi di una nevrosi che l’avrebbe condotto alla pazzia, Dino Campana aveva cominciato a dedicarsi alla poesia nel 1912, ma un anno dopo si verificò un episodio che avrebbe avuto forti ripercussioni proprio sul suo equilibrio mentale. Aveva infatti affidato agli amici letterati Giovanni Papini e Ardengo Soffici, il manoscritto dei “Canti orfici”: i due poeti smarrirono l’opera e Campana, dopo uno scatto feroce d’ira, si dovette risolvere a riscrivere tutta l’opera a memoria e a pubblicarla poi, a proprie spese, nel 1914. La vita di Sibilla Aleramo (pseudonimo di Rina Faccio)

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lerabile”, le fu impedito per sempre di avere la custodia del figlio. Quando conobbe Dino Campana, Sibilla, già famosa per aver pubblicato il romanzo autobiografico “Una donna”, era considerata la donna più bella d’Italia. Lui fu subito attratto da lei. Libera, spregiudicata, proiettata in una dimensione altra, al di là dell’ipocrisia del perbenismo borghese, spesso “faceva il primo passo” con gli uomini.


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Era una donna che cercava di colmare le carenze affettive, derivate "in parte da mia madre e in parte dalla perpetua nostalgia di mio figlio", attraverso le numerose relazioni con letterati ed intellettuali. “Non mi parli del suo impegno sociale, non mi racconti del socialismo – le scrisse la prima volta Dino Campana – Mi interessa lei. La passione e niente altro, tutto il resto è fuori, tutto il resto viene dopo, non importa quando”. “Vogliamo intanto vederci per un giorno a Marradi? – gli rispose Sibilla –Se non v’annoia troppo, se non siete troppo lontano. Io potrei venire, mettiamo, mercoledì o giovedì, col primo treno (8,55) e voi dirmi dove m’aspettereste. Credo che ci si riconoscerebbe facilmente. Mi racconterete a voce quali altri tic bisogna perdonarvi, oltre a quelli che bisogna ignorare. Uomo diffidente!" Era stupito, Campana, che quella donna, attraente e famosa, mostrasse interesse per lui, giovane poeta squattrinato, dallo stile di vita bohémien. Inquieto da sempre, incapace di stabilirsi in un luogo preciso e di instaurare relazioni durature, aveva girovagato a lungo, in Argentina, in Ucraina, e poi in Italia, adattandosi ai mestieri più disparati, come il pompiere, l’operaio, il poliziotto, il fabbro, il pianista…

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Invece lei, affascinata dalle sue prime lettere, si organizzò per raggiungere Dino, “Cloche”, come talvolta il poeta amava firmarsi. La passione d’amore tra i due fu istantanea. Lei gli scrive: “Perché non ho baciato le tue ginocchia? Avrei voluto fermare quell’automobile giù per la costa, tornare al Barco a piedi, nella notte, che c’è il tuo petto per questa bambina stanca. Tornare. Come una bambina, questa del ritratto a dieci anni. Non quella che t’ha portato tanto peso di storie

di memorie affannose, che t’ha parlato come se stesse ancora continuando il suo povero viaggio disperato, come se non ti vedesse, quasi, e non vedesse lo spazio intorno, le querele, l’acqua, il regno mitico del vento e dell’anima Tu che tacevi o soltanto dicevi la tua gioia. Sentivi che la visione di grandezza e di forza si sarebbe creata in me non appena io fossi partita? Nella tua luce d’oro. E non ho baciato le tue ginocchia.

I nostri corpi su le zolle dure, le spighe che frusciano sopra la fronte, mentre le stelle incupiscono il ciclo. Non ho saputo che abbracciarti. Tu che m’avevi portata cosi lontano. Che il giorno innanzi ascoltavi soltanto l’acqua correr fra i sassi. Oh, tu non hai bisogno di me! È vero che vuoi ch’io ritorni? Come una bambiSibilla Aleramo (1917), foto di Nunes Vais, Mario (1856-1932)

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na di dieci anni. È vero che mi aspetti? Rivedere la luce d’oro che ti ride sul volto. Tacere insieme, tanto, stesi al sole d’autunno. Ho paura di morire prima. Dino, Dino! Ti amo. Ho visto i miei occhi stamane, c’è tutto il cupo bagliore del miracolo. Non so, ho paura. È vero che m’hai detto amore! Non hai bisogno di me. Eppure la gioia è cosi forte. Non posso scriverti. Verrò il 19. dovunque. Il 14 resterò qui; a Firenze andrò poi per un giorno. Son tua. Sono felice. Tremo per te, ma di me son sicura. E poi non è vero, son sicura anche di te, vivremo, siamo belli. Dimmi. Io non posso più dormire, ma tu hai la mia sciarpa azzurra, ti aiuta a portare i tuoi sogni? Scrivimi” [Villa La Topaia, Borgo S. Lorenzo] domenicalunedi [6-7 agosto 1916]

gioia, la nostra malinconia, la nostra forza. La vita è per noi, Dino, lo sento senza un attimo mai di sosta o di dubbio. Che senso di discesa l’altra sera tornando in città! Ma ripartirò fra poco, sai! E mi porterai sul mare (avevano già progettato una vacanza a Marina di Pisa) Con tanta fede, se vedessi come tremo, qui, piccola cosa silenziosa, tua… Dimmi che nel letto grande dormi un sonno buono. (Per giovedì ti manderò notizie e quel che

E ancora, solo un mese dopo “Dino, Dino, Dino. Come fare, senza dirti che t’adoro, a mandarti qualche piccola parola che brilli e t’accarezzi più delle stelle? Le stelle intorno alla Casetta. Il sole della Bastia che m’ha fatto brune le mani. Dino, Dino. Ricordati, quando chiederai a tua Madre quel tuo ritratto che mi piacerà, di dirle ch’è per una donna felice. Tengo in petto, tutta per noi soltanto, la nostra Badia a Settimo, tomba di Dino Campana, foto di Sailko

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ancor non m’è giunto ma non può tardare. Delle traduzioni che ti lasciai, io ho dovuto fare, con altre, quella doganale: la napoleonica è per l’altro numero. Chissà oggi come ti sarai seccato, mi perdoni?). Amato. Vedimi. Son la creatura più ricca, più forte, più bella se ti guardo e se mi baci con amore” [Firenze, 15-17 settembre 1916]. La relazione d’amore procedette a fasi alterne, sottolineata dal fitto carteggio, tra i silenzi di lui, gli allontanamenti, le liti furibonde, le riappacificazioni, l’acuirsi dei disturbi nervosi, le suppliche reciproche per una riconciliazione, gli arresti di Dino che, a causa del suo aspetto (aveva i capelli tra il biondo e il rosso, la pelle rosea, i baffi spioventi su labbra carnose, gli occhi cangianti) veniva continuamente scambiato per un tedesco. La loro storia finì quando l’ultimo fermo, condusse Dino Campana nel manicomio di San Salvi. Fu Sibilla a decidere di chiudere la relazione. Lui era sì romantico e fragile, ma spesso anche violento, sconvolto da una gelosia retroattiva per un passato di cui lei, peraltro, non faceva mistero. Tremendamente instabile (nella stessa giornata scriveva “Cara signora, spero che lei abbia capito che tra noi è finita” e poi, tre ore dopo, "Amore mio, mi manchi, ti pre-

go, vieni da me”) e afflitto da manie autodistruttive, diventò per Sibilla, ansiosa di vivere ancora, un ostacolo a cui non volle sottomettersi, per non precipitare anch’ella nella inesorabile discesa del poeta. Rose calpestava nel suo delirio E il corpo bianco che amava. Ad ogni lividura più mi prostravo, oh singhiozzo, invano, oh creatura! Rose calpestava, s’abbatteva il pugno, e folle lo sputo su la fronte che adorava. Feroce il suo male più di tutto il mio martirio. Ma, or che son fuggita, ch’io muoia del suo male. Il “viaggio chiamato amore” terminò per sempre davanti al cancello del manicomio. Scrisse Sibilla: “L’ho riveduto così, dopo nove mesi, attraverso una doppia grata a maglia. Non ero mai entrata in una prigione. È stato un colloquio di mezz’ora, i carcerieri avevan quasi l’aria di patire sentendo lui singhiozzare e vedendo me irrigidita”. Rispose Dino: "Mi lasci qua nelle mani dei cani senza una parola e sai quanto ti sarei grato. Altre parole non trovo. Non ho più lagrime. Perché togliermi anche l’illusione che una volta tu mi abbia amato è l’ultimo male che mi puoi fare”. Lei era stata il primo ed unico amore di Dino e lo aveva

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ricambiato perdutamente. Quello che avevano provato l’uno per l’altra era stato così forte, così intenso e profondo che Sibilla non riuscì mai a scrivere più che un solo rigo su quella storia, che, in totale, era durata solo due anni. Solo a pagina 435 di "Diario di una donna" confessa: "…Forse Dino fu l’uomo che più amai… Tutta la sera m’è ondeggiata alla memoria, l’immagine di lui, della sua pazzia, e di quel altipiano deserto, in quelle prime poche notti estive del nostro amore che son rimaste le più pervase d’infinito ch’io abbia vissuto… "… E amai perdutamente Campana per non lasciarlo solo nella sua follia…" - "Le mie lettere sono fatte per essere bruciate" [pagina 27].


La villa di Castelpulci, sede unica per la formazione della Scuola Superiore della Magistratura, foto dal sito ufficiale

l’eX manicomio oggi scUola di magistratUra

Fortunatamente quelle lettere, la testimonianza della passione che li aveva legati, non furono bruciate mai. Dino Campana morì, a quarantasette anni, il 1° marzo del 1932 alle undici e tre quarti nell’Ospedale psichiatrico dov’era stato internato 15 anni prima, probabilmente per setticemia causata dal ferimento con un filo spinato durante un tentativo di fuga. “Alfine mi riconquistavo, alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d'incontaminato, di bello; alfine arrossivo dei miei inutili rimorsi, della mia lunga sofferenza sterile, dell'abbandono in cui avevo lasciata la mia anima, quasi odiandola. Alfine risentivo il sapore della vita, come a quindici anni” [op.cit.] Sibilla Aleramo morì a Roma il 13 gennaio del 1960, scrivendo ed intessendo relazioni amorose fino alla fine dei suoi giorni.

Castel pulci, il cui nucleo originario risale al XIII sec., domina tutta la vallata dell'Arno tra Scandicci e lastra a Signa: da sempre ha rappresentato un punto di riferimento per tutti coloro che si dirigevano verso Firenze, insieme alla millenaria Abbazia di Badia a Settimo, poco distante. Anche leonardo da Vinci indicò Castel pulci nel Codice di Madrid e Giorgio Vasari il Giovane raffigurò in pianta la villa dei Soderini, costruita nel '500 accanto all'antico castello dei pulci. Sorto come nucleo fortificato in epoca medioevale e ampliatosi durante i secoli, il complesso comprende oggi i corpi della villa settecentesca e dell'Oratorio di Sant'Jacopo con i preziosi affreschi di Grifo di Tancredi raffiguranti le Storie di Santa Caterina d'Alessandria (fine sec. XIII), purtroppo tuttora non visitabili, se non dopo un nuovo intervento di restauro. Il passaggio da 'palatium' a 'villa' avvenne nella prima metà del XVI sec. sotto il vescovo di Volterra il cardinale Francesco Soderini, che fece eseguire un primo ampliamento, probabilmente all'artista fiorentino Benedetto da Rovezzano. Dopo il passaggio di proprietà alla famiglia Riccardi (1590) la villa acquistò l'aspetto e le dimensioni attuali con lo scenografico viottolone ad opera dell'architetto Giuliano Ciaccheri e la costruzione dell'attuale grande villa barocca su progetto dell'ingegnere Gioacchino Fortini. Nel 1847, con l'estinzione della famiglia Riccardi, Castel pulci, divenne proprietà del demanio pubblico e fu data in affitto all'Istituto fiorentino della Ss.Annunziata e destinata a "ricovero dei dementi", per risolvere i problemi di spazio dell'Ospedale di Santa Maria Nuova. Castel pulci rimase con tale destinazione fino al 1973.Fra i suoi ospiti vi fu anche il poeta dei “Canti Orfici”, Dino Campana, ricoverato qui per 14 anni, dal 1918 fino alla morte (1° marzo 1932). le sue spoglie riposano nella Chiesa di San Salvatore e San lorenzo presso l'Abbazia di Badia a Settimo. Oggi, dopo oltre trenta anni di chiusura e le alterne vicende per definirne una nuova destinazione d'uso, la Villa di Castel pulci è stata completamente restaurata e adibita a polo formativo. Grazie ad un accordo sottoscritto tra il Ministero della Giustizia, la Regione Toscana, la provincia di Firenze, il Comune di Firenze e il Comune di Scandicci dal 2012 è sede della Scuola Superiore della Magistratura. (fonte: www.scandiccicultura.it del Comune di Scandicci)

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Al centro Lello Arena, nel riquadro piccolo Maria Amelia Monti e Paolo Calabresi, nella pagina a lato un frame dello spettacolo “Io ci provo”

da lello arena in Parenti serPenti all’eVento teatrale di melchionna

Al via il 27 gennaio la stagione di prosa di Lecce al Paisiello con sei imperdibili spettacoli e la rassegna teatro a 99 centesimi

LECCE. Sei spettacoli in cartellone per la nuova stagione di prosa del Teatro Paisiello a cura del Comune di Lecce-(Assessorato al Turismo, Marketing territoriale, Spettacoli ed Eventi) in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese. Sei titoli ai quali si aggiungono altri 6 come sempre della rassegna a 99 centesimi con la direzione di Carla Guido. Il primo spettacolo è in programma martedì 17. Protagonista sarà Lello Arena con Parenti serpenti di Carmine Amoroso, con Giorgia Trasselli insieme a Raffaele Ausiello, Andrea De Goyzueta, Carla Ferraro, Autilia Ranieri, Annarita Vitolo, Fabrizio Vona. La regia è di un nome molto caro alla città di Lecce,

Luciano Melchionna, di Dignità autonome di prostituzione. Spettacolo evento richiamato per diversi anni al Paisiello e che quest’anno torna a fine rassegna come evento speciale in aprile, per cinque giorni consecutivi. Nel primo spettacolo Melchionna dirige Lello Arena come non lo abbiamo mai visto, ma carico come sempre di vis comica in un quadretto familiare nel quale molti di noi si ritroveranno, genitori anziani, figli con tanti problemi da gestire e digerire, superare. Il 21 gennaio sarà la volta di Stefano Cordella, che ha studiato all’Accademia dei Filodrammatici, ideatore e regista per il Progetto Next di Vania, una giovane compa-

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gnia e l’intensità delle parole di Checov in scena. Una dura messa in discussione dei nostri tempi, e di come viviamo la nostra vita. Un gruppo di trentenni che vive e sopravvive al male di questo tempo, omologante e disarmonico. Il 1° marzo in scena Anna Foglietta, attrice di molte opere cinematografiche, qui diretta da Alessandro Gassmann, con altri 9 attori in scena. Sarà lei la protagonista de La pazza della porta accanto di Claudio Fava. Un testo che si sviluppa all’interno di una clinica psichiatrica e che riporta le fasi della vita della poetessa Alda Merini. Domenica 12 marzo sarà la volta di un’altra coppia di attori straordinari capaci di far ridere e com-

muovere allo stesso tempo: Maria Amelia Monti e Paolo Calabresi, in una storia di Alan Bennet, Nudi e crudi, regia di Serena Sinigaglia. Nudi e crudi è un testo dove, sul filo di un’ironia mai scontata o volgare, Bennett affronta il tema della relazione uomo-donna. La sua delicatezza nel suggerirci quanto sia difficile amare e soprattutto durare nella passione e nel rispetto, è struggente e profonda . Il 31 marzo Francesco Pannofino ed Emanuela Rossi, lui tra le voci di tv, cinema e famoso doppiatore, lei sua compagna anche nella vita, attrice e doppiatrice, e direttrice di doppiaggio. Insomma due belle voci e artisti sul palco del Paisiello, qui con I suoceri albanesi, di Gianni Clementi, alle prese con una storia che ricorda molto Indovina chi viene a cena?. Una coppia di coniugi attenti nel trasmettere l’importante della solidarietà e accoglienza, e un giorno di fronte alla situazione classica che li metterà in crisi. Chiude il cartellone giovedì 6 aprile un lavoro

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della nostra Paola Leone, in una drammaturgia a quattro mani con Mariano Dammacco. L’ultima cena di Alfredo Traps, tratto da un racconto di Friedrich Dürrenmatt. In scena la compagnia teatrale Io Ci Provo è importante realtà di Teatro Carcere in Italia, nata nel 2011 nel carcere di Lecce. Da martedì 19 a sabato 22 aprile ore 21 e domenica 23 aprile alle ore 18, l’evento speciale a chiudere la stagione, molto caro ai leccesi, quel Dignità autonome di prostituzione, il teatro che accoglie e riscalda e fa ballare, commuovere, cantare. La prevendita di biglietti e abbonamenti si terrà presso il Castello Carlo V (via XXV Luglio – telefono: 0832 246517) tutti i giorni dalle 9.30 alle 13 e dalle 16.30 alle 20. Il giorno di spettacolo la chiusura della prevendita sarà alle ore 19. Il botteghino del Teatro Paisiello sarà aperto la sera di ogni spettacolo a partire dalle 19.45.


La Torre Ghirlandina di Modena, foto di Sara Foti Sciavaliere

la torre ghirlandina di modena Patrimonio Unesco Sara Foti Sciavaliere

Un tesoro del Medioevo cristiano che coniuga valori religiosi e civici

MODENA. Nel 1997 il complesso monumentale della Cattedrale, la Torre nota come Ghirlandina e Piazza Grande di Modena, viene iscritto nella World Heritage List, meglio conosciuto come Patrimonio dell’Unesco. “La creazione comune di Lanfranco e Wiligelmo è un capolavoro del genio creatore umano nel quale si impone una nuova dialettica dei rapporti tra architettura e scultura nell’arte romanica. Il complesso di Modena è una testimonianza eccezionale della tradizione culturale del XII secolo e uno degli esempi eminenti di complesso architettonico in cui valori religiosi e civici si trovano coniugati in una città cristiana del Medioevo”, queste le motivazioni del riconoscimento. Uscendo dalla Porta della Pescheria, sul fianco settentrionale del Duomo di Modena, sulla destra si proietta verso l’alto, per ben 87 metri, agile e slanciata, la torre Ghirlandina, simbolo della città di Modena. Il vezzeggiativo con cui modenesi l’hanno battezzata ha origine dalle balaustre in marmo che ne incoronarono la guglia, “leggiadre come ghirlande” appunto. Edificata come torre campanaria del Duomo, la Ghirlandina ha tuttavia rivestito, fin dalle sue origini, anche una rilevante funzione civica: il suono delle sue campane scandiva i tempi della vita della città, segnalava l’apertura delle porte della cinta muraria e chiamava a raccolta la popolazione in

situazioni di allarme e pericolo. Le sue possenti mura custodivano la cosiddetta “Sacrestia”, dove erano conservati i forzieri e gli atti pubblici, ma anche la celebre trecentesca “Secchia rapita”, vile e supremo oggetto di contesa tra modenesi e bolognesi nell’infuriare della Battaglia di Zappolino del 1325. è tuttora aperto il dibattito sulla cronologia dell’edificio, poiché mancano fonti storiche dirette sulle prime fasi di costruzione. Le analisi compiute in occasione dell’ultima campagna di restauro terminata nel 2011, riconoscono un cantiere organico con quello della Cattedrale. Quello che si può dire con certezza è che la costruzione della Torre, avviata agli inizi del XII secolo, si è conclusa nel 1319. Recenti studi ipotizzano che l’avvio della costruzione, forse dicevamo contemporaneo a quella del Duomo, incontrò una pausa nel 1106 circa, intorno agli undici metri di altezza. Dopo l’assestamento del terreno, tra il 1167 e il 1184, i lavori riprendono fino alla Stanza dei Torresani sormontata da quattro torrette inglobate nel 1261 dall’ultima parte della Torre a sezione quadrata adibita a cella campanaria. Entro il 1319 viene realizzato l’ottagono sormontato dalla cuspide conclusa da Enrico Campione. Nel corso del Cinquecento, lavori di restauro interessano l’ottagono e nel 1588 la guglia, che viene leggermente sopraelevata. Diversi interventi completano l’edificio, ad esem-

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pio nel 1609 viene costruita la scala lignea elicoidale all’interno della cuspide, alla fine dell’Ottocento vengono demoliti i fabbricati a ridosso della Torre e nel 1901 viene aperto l’attuale ingresso su via Lanfranco. L’esterno della Ghirlandina è caratterizzato da un ricco apparato scultoreo e da un rivestimento lapideo per il quale è stato utilizzato materiale di reimpiego proveniente da Mutina romana (l’antica Modena, sepolta da spessi strati alluvionali tra la tarda Antichità e il Medioevo), ben ventidue tipi diversi di pietra naturale, provenienti dal Nord Italia, dall’Istria e dalla Turchia. Ogni cornice marcapiano è caratterizzata da archetti pensili semplici o intrecciati e da protomi figurate, molte delle quali sono state sostituite con mensole geometriche in occasione di passati restauri. Negli spigoli delle prime tre cornici, vi sono inoltre dei grandi blocchi angolari scolpiti con figure fantastiche desunte dai bestiari medievali (prima cornice), animali (seconda cornice) e figure umane (terza cornice). Nei capitelli e in numerosi elementi scultorei si riconoscono le stesse tipologie e formule esecutive che compaiono nei capitelli della Porta Regia del Duomo e sui sostegni dei Pontili, datati tra XII e XIII secolo. Nel 2011, inoltre, sono state rinvenute tracce di decorazioni rosse sotto gli archetti della seconda cornice, nel lato orientale: si tratta di una sequenza giglio-fiore, databile alla prima metà del Due-

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Vista panoramica sul palazzo Ducale, foto Sara Foti Sciavaliere

della Secchia rapita, collocato a circa metà altezza tra il piano di calpestio e la prima cornice marcapiano. Già agli inizi del XIV secolo, sia le reliquie e i beni preziosi della Cattedrale sia i documenti della Comunità erano custoditi qui e nel-

Storie. l’uomo e il territorio

cento che potrebbe essere opera delle maestranze campionesi: un’importante testimonianza di come fossero decorati i monumenti in epoca medievale. All’interno della Ghirlandina, troviamo la Sala

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In basso: foto della copia della Secchia rapita, nella sala della Secchia rapita, foto Sara Foti Sciavaliere

l’attuale vano di accesso. Il nome della stanza deriva dal secchio in legno e ferro che, secondo la tradizione, i modenesi trafugarono da un pubblico pozzo situato in via San Felice, nel pieno centro di Bologna, durante la Battaglia di Zappolino. Questo vile trofeo di guerra, ben presto tesaurizzato e divenuto simbolo civico, fu reso celebre dall’omonimo poema eroicomico di Alessandro Tassoni (del quale c’è la statua nella piazzetta a nord della torre), pubblicato nel 1622. Nell’opera si può leggere in proposito:

“Ma la secchia fu subito serrata ne la torre maggior, dove ancor stassi in alto per trofeo posta e legata con una gran catena a curvi sassi”. L’originale della Secchia è oggi conservato, per motivi di sicurezza, nel Palazzo Comunale, mentre alla catena appesa al centro dell’omonima sala della Torre è sospesa una copia. Affrescato per intero, il vano ci appare come un grande scrigno, aperto su un cielo stellato attraverso una griglia a maglie quadrate che riprendono il motivo dell’inferriata posta all’ingresso, forse per consentire la vista della Secchia. La decorazione presenta caratteristiche ormai gotiche ed è quindi con ogni probabilità trecentesca. Interessante,

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La statua dello scrittore Tassoni davanti alla Ghirlandina, in piazza Tassoni; Foto a lato: il Duomo e la Ghirlandina in basso particolare di alcuni capitelli nella stanza dei Torresani (foto di Sara Foti Sciavaliere)

perché segno dell’importanza attribuita a quest’ambiente, è in particolare l’utilizzo del motivo della finta pelle di vaio, un tempo utilizzata per il manto degli imperatori. Al quinto piano, terminata entro il 1184, si trova invece Stanza dei Torresani, dove un tempo abitavano i cosiddetti Torresani, guardie al servizio del Comune, la cui presenza è documentata a partire dal 1306 e fino alla seconda metà dell’Ottocento. Essi vigilavano sulla città, davano il segnale per l’apertura e la chiusura delle porte e suonavano le campane per scandire le ore, per allertare in caso di pericolo e nelle occasioni pubbliche. Alla fine del XVI secolo la Stanza dei Torresani fu trasformata parzialmente in belvedere, aperto in direzione del castello ducale: furono aggiunte due eleganti panche e si eseguì l’affresco, raffigurante lo stemma civico di Modena sormontato dall’aquila estense con corona ducale, probabilmente ridipinto agli inizi del Settecento. Nel pilastro angolare nord-occidentale è poi inserita la scala a chiocciola che conduce alla cella campanaria. In questo ambiente sono presenti otto colonne con altrettanti interessanti capitelli, probabilmente databili al termine della seconda campagna costruttiva della Torre (1180 circa), due dei quali recano complesse scene figurate. Nel Capitello di David, nella trifora orientale, sono rappresentati i temi della Musica e della Danza, così come in alcuni rilievi angolari

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esterni della terza cornice marcapiano. Tra le scene scolpite si riconosce un uomo barbuto con la testa coronata in atto di suonare l’arpa, identificabile con il re David che nel Medioevo era considerato il padre spirituale nelle arti. Nel Capitello dei Giudici, nella trifora meridionale, è rappresentato il tema dei buoni e dei cattivi giudizi: si tratta probabilmente di un memento per il giudice che si apprestava a pronunciare una sentenza; un’iscri-

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zione ci informa infatti che un giudice iniquo corrotto dal denaro darà un giudizio non conforme alla sua convinzione. Non è possibile sapere se la Ghirlandina fosse la destinazione originaria dei capitelli figurati, tuttavia il tema contemporaneamente religioso per l’uno e civile per l’altro sembra rispecchiare il doppio valore della Torre, che era al contempo campanile della Cattedrale e della Torre Civica.


#lartetisomiglia #gennaioalmUseo con lo sPot di santamaria

La nuova campagna social del Mibact

Una musica incalzante come colonna sonora. Volti di persone comuni, bambini, giovani e anziani, accostati, grazie al montaggio, alle immagini dei dipinti e delle sculture riferite alle principali opere provenienti dalle collezioni museali del Belpaese. Così in un gioco fatto di somiglianze si sovrappongono gli italiani di oggi con i personaggi creati dai maestri della storia dell’arte dall’autoritratto di Annibale Carracci alla fanciulla in viola di Amedeo Bocchi, dal busto di Caracalla al ritratto di Ofelia Abignente di Francesco Paolo Michetti. E ancora dal ritratto di Isa in abito nero di Giorgio De Chirico all’ostetrica nella natività della Vergine di Francesco da Montereale e al volto del vecchio con un libro in mano di Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino. Sono solo alcuni dei personaggi che compaiono con i rispettivi “sosia” moderni nei pochi minuti dello spot promozionale realizzato

in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia e la regia di Paolo Santamaria. Pochi fotogrammi ma molto accattivanti per invitare gli italiani a visitare i loro musei perché “L'Arte ti somiglia, è parte di te, è il tuo patrimonio”. Così dopo le Giornate Europe del Patrimonio dedicate nel 2016 proprio a “cultura e partecipazione” il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per il mese di gennaio lancia una nuova campagna social: “L’arte ti somiglia” che ha il suo cuore nel profilo instagram @museitaliani. I visitatori sono così invitati ad una nuova caccia al tesoro digitale nei musei italiani, per immortalare nelle opere d’arte, con il proprio smartphone o macchina fotografica, volti e sguardi con cui identificarsi. Basta condividere le proprie foto naturalmente con gli hashtag #lartetisomiglia e #gennaioalmuseo su tutti i social network del Mibact. ggg

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Fania Fenelon e alma rosè dUe mUsiciste ad aUschWitZ

Al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi il 27 gennaio 2017

nefici. Al centro dello spettacolo l’esecuzione di brani di Puccini, Mascagni, Beethoven, Brahms, Strauss, compositori amati dai gerarchi nazisti, e la narrazione degli stati d’animo delle protagoniste e il loro diverso modo di fare musica all'interno del campo di concentramento: per Fania suonare è un mezzo per sopravvivere e testimoniare, perché nessuno possa mai dimenticare, per Alma la musica è tutto e poco importa quali azioni metterà in atto per realizzarsi attraverso di essa. L’Orchestra femminile del MediBRINDISI. “Ad Auschwitz c’e- stra femminile che aveva il com- terraneo nasce come spazio prira un’orchestra femminile” è il pito di accompagnare le prigio- vilegiato in cui artiste dei Paesi titolo dello spettacolo presentato niere al lavoro, all'alba e al tra- mediterranei condividono emodall'associazione artistico musi- monto, accogliere ogni nuovo zioni e divulgano obiettivi di cale “Nino Rota” al Nuovo Tea- arrivo di convogli al campo e pace, cultura ed educazione. tro Verdi venerdì 27 gennaio, in allietare i momenti di svago Direttrice e fondatrice dell’OFM occasione della “Giornata della degli ufficiali SS, capaci di com- è Antonella De Angelis, ritenuta memoria”. Protagoniste l’orche- muoversi all'ascolto della musica "fra i più interessanti direttori stra femminile del Mediterraneo e l'indomani di mandare i prigio- della sua generazione" da Donadiretta da Antonella de Angelis e nieri alle camere a gas. Era com- to Renzetti, con il quale si è le attrici Tiziana Di Tonno e posta da musiciste deportate e tra diplomata all'Accademia MusiEdmea Marzoli che narreranno loro c’erano Fania Fenélon cale Pescarese con il massimo alcuni tragici episodi legati alla (Tiziana Di Tonno), musicista dei voti. Si è poi perfezionata prigionia e alla morte degli francese che sapeva cantare e con insigni direttori quali D. ebrei, tratti dal diario di Fania suonare il pianoforte ed Alma Rouits, L. Shamadal, J. Kalmar. Fenelon, musicista deportata ad Rosé (Edmea Marzoli), eccezio- Ha diretto importanti orchestre Auschwitz. nale violinista ebrea, nipote di italiane e straniere ed è direttore La pièce di teatro musicale, nata Gustav Mahler, che dirigeva l'or- stabile della prestigiosa Orcheda un'idea di Antonella De Ange- chestra costretta a suonare fino a stra Sinfonica Dean Martin. lis e Alessandra Portinari, rac- diciotto ore al giorno davanti ad Sipario alle 20:30. conta infatti la storia dell'orche- un pubblico di prigionieri e car- Info: 3288440033 / 0831581949

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Il Santuario di Augusta e veduta di Serravalle, foto Anna Paola Pascali

santa aUgUsta a serraValle sUl sentiero del silenZio Anna Paola Pascali

Tra le prealpi trevigiane un itinerario di bellezza e fede SERRAVALLE. VITTORIO VENETO. Serravalle è un piccolo borgo molto suggestivo nel comune di Vittorio Veneto esteso tra le prealpi trevigiane. Geograficamente si stende in lunghezza parallelamente al fiume Meschio che nei tempi passati ne favorì lo sviluppo. Affacciato al Meschio, nel cuore del quartiere vittoriese, c’è il Duomo dedicato a Santa Maria Nova. Alla sua sinistra, sul retro dell’abside, si erge un’imponente scala monumentale che conduce verso il Santuario di Santa Augusta, patrona dei serravallesi. Una maestosa statua della Santa è posta nel centro, in cima alla serie di gradoni facili da risalire. Qui si può ammirare

anche la bella fontana di pietra ed è proprio qui che finisce il percorso facilitato ed edificato nato al posto della “Porta del Terraglio” (una delle antiche porte del luogo demolita nel 1931). Da questo punto in poi si prosegue per un sentiero molto articolato di tornanti, più o meno scoscesi, che portano in cima al Monte Mercantone o di Santa Augusta. Ogni tornante è caratterizzato da capitelli e cappelle risalenti al 700/800 che servivano da oratori e punti di “ristoro e riposo” per i pellegrini. Nonostante ciottoli e dislivelli, il tragitto è accessibile a chiunque, con un piccolo sforzo, voglia avventurarsi in una passeggiata in mezzo al verde della natura ed al suo atavico silenzio.

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Ogni sasso è quasi un racconto di ciò che resta d’un tempo strettamente legato alla natura e alla religione. Giunti quasi nei pressi del santuario troviamo la “Torretta” risalente ad epoca medievale ed un’altra grande scalinata che conduce dritti al sagrato. All’esterno dell’edificio, un portico in stile gotico con un pozzo centrale arricchiscono il piazzale erboso sotto lo sguardo di un maestoso campanile derivato da una torre merlata di fortificazione, anch’essa risalente al Medioevo. Nella parte più antica della chiesa si trovano le reliquie di Santa Augusta e numerosi affreschi del XV secolo. Ci si sente piccoli in spazi immensi dove l’im-

pronta dell’uomo è però presente nonostante la costante presenza della flora sia tangibilmente dominante. Il paesaggio da quassù, infatti, oltre che avvolto nel silenzio e dalla sensazione di pace assoluta e misticismo, immerge il visitatore in un’inconsueta ed incantevole “scenografia naturalistica”: le colline verdeggianti di Fregona, la conca lussureggiante di Vittorio Veneto, i laghi riflettenti di Revine-Lago, la mole maestosa di Col Visentin, la spettacolare Laguna veneta. Basterebbe fermarsi qui per godere di un panorama mozzafiato! Ma un altro sentiero, molto più ripido e sdrucciolevole, conduce verso l’Alta Via dei Silenzi (nome dato per lo spopolamento della

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Alcune immagini di Augusta, foto di Anna Paola Pascali

zona) che porta fino alle sorgenti del fiume Piave, nella zona di Sappada nella provincia di Belluno, oppure ridiscendere dalla Costa di Serravalle. Nella discesa verso il centro abitato, dopo qualche rampa, si incontra la Turris Nigra (torre negra) che si racconta sia stata fatta erigere da Re Mondrucco, padre di Santa Augusta e tiranno barbarico di Serravalle. Pochi resti, invasi dalla vegetazione, testimoniano la sua passata esistenza e quella del crudele e dispotico sovrano. Morta decapitata, per mano del padre, la Santa condusse una vita alquanto ostacolata e complicata dallo stesso. Sua madre morÏ di parto lasciandola nelle mani di costui che, pur amandola, pretendeva da lei l’osservanza del paganesimo. Augusta fu battezzata di nascosto da un eremita e mise subito in pratica un comportamento caritatevole ed evangelico. Aiutava i cristiani perseguitati da suo

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padre e per questo lui la fece imprigionare e torturare ma, non riuscendo a dominarla e a farla “rinsavire”, la condannò al rogo. Augusta ne uscì illesa così come quando, legata ad una ruota, fu scaraventata già da una collina. Fu per questo, quindi, che il padre/re optò per la decapitazione. Successivamente, Matrucco, disperato e pentito per ciò che aveva fatto alla figlia, lasciò Serravalle e tornò in Germania, sua terra d’origine. Serravalle e la sua Santa Augusta: storia, leggenda, natura, sensazioni, sentieri che si fondono insieme ai passi presenti e passati dell’uomo lasciando al silenzio la parola.

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Un’opera di Massimo Quarta

attraVersamenti. dentro il mondo dei FarBonaUti Carmelo Cipriani

Massimo Quarta, tra gli artisti della Fòcara 2017

Una delle NOVOLI (LECCE). Non c’è uomo che, almeno una volta nella vita, non abbia cercato o sognato una possibilità di evasione, un altrove lontano, reale o immaginato, dove raccontare se stessi, le proprie ansie e le proprie paure, ma anche le proprie aspirazioni e le proprie speranze. Esattamente vent’anni fa Massimo Quarta ha dato corpo a questa ambizione, creando in pittura un suo mondo, una dimensione altra, fatta di strutture oniriche, a metà tra costruzioni aliene e configurazioni organiche e popolata da farbonauti e farboline, personaggi monoculati, simili all’uomo per aspetto e movenze, ma stranianti e più audaci. Umanoidi dal volto bulbiforme, che nell’assenza di emozioni e sentimenti, appaiono invincibili, sostanziando l’idea di rivincita su una quotidianità che troppo spesso castiga e avvilisce. Alter ego dell’essere umano i farbonauti sono esseri chimerici, affascinanti quanto temibili. Dal momento della sua nascita il Farbomondo si è andato via via rivelando, perfezionandosi in ogni suo aspetto, non ultimo quello relazionale, sempre

sostenuto da fervida immaginazione e verve creativa. Modellato sul nostro, ne ha assunto comportamenti sociali e attitudini individuali, fino a costituire una realtà parallela, attraente e terrifica al tempo stesso. Un vero e proprio universo parallelo che fin dagli esordi non ha mancato di conquistare la terza dimensione, passando dalla sfera immaginifica a quella concreta, attuando le ormai celebri invasioni in grandi magazzini, sale giochi, spazi urbani e naturali, vie cittadine, luoghi del vivere collettivo e del comune sentire. Una mostra che oltre alle consuete congetture critiche, già identificate in suggestioni surrealiste e atmosfere posthuman, consente di mettere in luce un’altra dote del pittore: la coerenza. Sono infatti rari gli artisti che con costanza perseguono la propria ricerca, difendendola tenacemente da mode momentanee e compromessi di mercato, rispettosa solo della pura necessità espressiva. Ma coerenza non è immobilità, non vuol dire adagiarsi sul già fatto ma delineare una strada

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personale all’interno della quale cercare e trovare nuove ed inedite soluzioni, senza rinnegare nulla del proprio trascorso. Massimo Quarta questo lo sa bene e lo dimostra stupendoci con un nuovo ciclo di opere, incentrate totalmente sul farbomondo, in cui farboline e farbonauti continuano ad apparire ma non più in veste di protagonisti assoluti ma come parte integrante di un tutto più vasto. Il risultato, più che mai evidente, è una narrazione che lascia spazio ad atmosfere sospese nel tempo e a evocazioni di mondi interiori. Un nuo-

vo eden in cui fiori ipertrofici e anelli volanti costituiscono gli elementi essenziali di un mondo incredibile, imbastito con colori sgargianti e fluorescenti e un tratto disegnativo preciso e risoluto. Una storia lunga vent'anni dunque, che in un recente passato, in occasione di un’altra personale dell’artista, ho immaginato scritta in una fantascientifica trilogia dai tratti epici, divisa in genesi, affermazione e conquista. Quarta torna a raccontare la sua “farbostoria” e per farlo ha scelto Novoli, sua città d’origine, concentrandosi non

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Una delle tele di Massimo Quarta in mostra a Novoli

più sui singoli personaggi ma sul loro ambiente di vita. Ha scelto di farlo in un momento di festa come quello della Fòcara, durante il quale l’intera comunità si stringe attorno a Sant'Antonio abate, primum movens di un rito ancestrale, catartico e fantasmagorico. L’artista partecipa a questo rito con il modo che gli è più congeniale, rispecchiandosi nei suoi farbonauti e lasciando che questi presentino il proprio mondo. Il parallelismo tra loro e l’artista è evidente. Il punto di vista è capovolto, non sono più i farbonauti a guardare al nostro mondo ma siamo noi a spiare il loro. L'identificazione è ormai completa”. Inaugurazione: sabato 14 gennaio 2017, ore 18.00 Pinacoteca ComunaleMuseo del Fuoco, Ex Istituto Ipab Tarantini, Via Lecce 46, Novoli (LE). La mostra sarà visitabile tutti i giorni (fino al 22 gennaio 2017) dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 20.00. Massimo Quarta è nato a Novoli nel 1967. Si è formato prima al Liceo Artistico di Lecce, poi, nella stessa città, all’Accademia di Belle Arti. Dopo un’iniziale pittura d’ispirazione fauvista si è impegnato in una ricerca tesa a indagare i valori dell’identità umana e dell’esistenza nella civiltà postindustriale. A partire dal 1997 le sue anomale creature, i Farbonauti, si palesano, invadendo oltre al supporto pittorico i luoghi del vivere quotidiano. Attualmente lavora a Lecce. Nella sua attività espositiva molte sono le personali a Lecce, Milano, Roma, Rionero in Vulture (Potenza), Napoli, Foggia, Ascoli Piceno, Gubbio, Otranto, Sermoneta (Latina), Otranto. All’estero ha esposto in Canada e a Zagabria. Tra le più significative collettive si segnalano la XIV Quadriennale, Anteprima, a cura di V. Conte, Palazzo Reale, Napoli; 2002; - Rinascimenti e mutamenti, a cura di S. Sanipoli, Gubbio, Perugia, Roma, Zagabria, a cura di S. Sanipoli; Arte in scena, a cura di M. Pizzarelli, Cantieri Teatrali Koreja, Lecce; 2001 - Napoli e Terra d'Otranto, a cura di M. Guastella Castello Aragonese, Otranto (Le); 1999 - Eccentrici, a cura di R. Gavarro, Chiesa di Sant’Angelo, Sermoneta (LT).

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mUsica e animaZione. sFida sUl caPolaVoro “il mio Vicino totoro”

Live del trombettista Giorgio Distante sulle immagini del film giapponese

CORIGLIANO D’OTRANTO (LECCE). Cosa accade se si fa incontrare il genio dell'animazione giapponese Hayao Miyazaki ed il trombettista cistranese Giorgio Distante (nella foto di Giulia Maria Falzea). Per scoprirlo basterà recarsi domenica 15 gennaio in un’antica masseria a Corigliano d’Otranto in via Cutrofiano senza numerazione ma opportunamente segnalata, calda ed accogliente per assistere all’evento organizzato dall'associazione Art&Lab Lu Mbroia e dal Centro Ecopedagogico L'Albero di Fernando. La grandezza delle immagini del regista giapponese resterà in piedi anche qualora si mutino i dialoghi? è la scommessa che Giorgio Distante ha colto accettando l’invito dell’associazione Art&Lab Lu Mbroia

presieduta dal musicista Massimo Donno, a musicare “Il mio vicino Totoro”. Il capolavoro del 1988 è incentrato sulla vita di due giovani sorelle, Satsuki e Mei, che si trasferiscono insieme al padre in un paesino di campagna per andare a vivere più vicini alla madre delle bambine, ricoverata in ospedale. Nella nuova realtà, le sorelle fanno la conoscenza di esseri soprannaturali, tra cui Totoro, e maturano, imparando il rispetto per la natura. Ridotto ad una versione di circa 40 minuti, il film d’animazione giapponese, diretto da Hayao Miyazaki e prodotto dallo Studio Ghibli, sarà musicato dal vivo dalla tromba e dall'elettronica di una delle eccellenze musicali pugliesi. L'inizio dello spettacolo è

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previsto per le 19 ed ha un costo di 5 euro, comprensivo dell'eventuale tessera associativa. A seguire, la possibilità di cenare. Il costo di cena a buffet e dello spettacolo è di 10 euro. Sarà comunque attivo l'angolo bar. è consigliata la prenotazione. Info e prenotazioni: Massimo (Art&Lab Lu Mbroia): 3381200398; Gabriele (L'Albero Fernando): 3488288807


Nel riquadro il fotografo Manoocher Deghati, in basso uno degli scatti della mostra premio FocaraFotografia 2016, dal titolo “Tra le pieghe di una storia”

tra Fede, arte e tradiZione torna la Fòcara Claudia Forcignanò

E per FocarArte gli artisti ospiti: Buren, Sisley Xafa, LIm e Jodice NOVOLI (LECCE). Il Salento è una terra di riti, rituali e tradizioni, dove la magia si mescola alla fede sconfinando a volte nella superstizione, ma dando comunque sempre vita a festeggiamenti spettacolari che coinvolgono cittadini, fedeli e semplici curiosi, varcando i confini e facendo balzare agli onori delle cronache abitudini che diventano addirittura oggetto di studio antropologico. A Novoli, paese alle porte di Lecce, da oltre un secolo, ogni anno a partire dai primi giorni di gennaio, gli abitanti rendono omaggio a Sant'Antonio Abate, il cui culto fu ufficializzato nel lontano 1664 da Monsignor Luigi Pappacoda. Amato in tutta Italia, Sant'Antonio Abate è conosciuto come il "Santo del Fuoco" perché con la sua incrollabile fede sconfisse le fiamme demoniache ed è considerato il protettore

degli animali, non a caso nelle immagini iconografiche viene raffigurato al fianco di un maiale dal cui collo pende una campanella e il 17 gennaio, gli animali (che secondo la leggenda nel corso della notte acquistano il dono della parola) e le stalle vengono benedetti e affidati alla sua protezione. La fòcara è una catasta composta da fascine di tralci di vite alla cui raccolta già dal mese di dicembre, lavorano i membri del comitato col contributo di tutti gli abitanti del paese. L'8 gennaio prendono il via i festeggiamenti con una serie di eventi collaterali che terminano il 18 e hanno il loro culmine la sera del 16 gennaio, quando uno sfavillante spettacolo pirotecnico illumina il cielo di Novoli dando fuoco alle fascine di legno. Non è possibile risalire con precisione all'anno in cui venne eretta la prima foca-

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ra, ma alcune testimonianze raccontano che nel 1905 un'abbondante nevicata imbiancò il falò proprio alla vigilia della festa, ma già in un documento risalente al 1868 si accenna ad un comitato feste. Originariamente un giovane attraversava le vie del paese con un carretto e raccoglieva tralci di vite, rami e legna secca che venivano donati in onore del santo, nei giorni precedenti l'accensione della focara, un maialino veniva lasciato libero di girovagare in paese nutrendosi di ciò che preferiva fino al giorno della festa, quando si procedeva ad un'estrazione per stabilire il suo futuro proprietario, un'altra tradizione é la distribuzione del pane che il parroco effettua sul sagrato della chiesa e che viene poi dato in pasto agli animali che, secondo la leggenda guariscono da ogni malattia. Costruire la focara non è


semplice: le circa 90mila fascine di tralci di vite legate con fil di ferro, vengono accatastate e incastrate seguendo un procedimento che viene tramandato di generazione in generazione e dalla tradizionale forma conica, si è passati a nuove e fantasiose creazioni: piramidali, a strati, con un tunnel sotto il quale viene fatta passare la statua del santo, mentre sulla cima viene tuttora collocata una bandiera raffigurante Sant'Antonio che verrà bru-

ciata durante il falò, quando la batteria di fuochi posizionata tra le fascine verrà accesa dal presidente del comitato feste e darà vita ad uno dei più suggestivi spettacoli con una pioggia di fuoco cui si aggiunge la musica, l'odore della carne alla griglia e il profumo del vino che fino a notte fonda accompagnerà la festa. L'edizione 2017 non sarà meno spettacolare di tutte le altre e un alone mistico alla Focara è stato donato dall'abbondante nevicata

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che in questi giorni ha interessato il Salento e proprio come nel 1905, ha donato al falò in costruzione un fiabesco colore bianco. Il falò misurerà 25 metri di altezza e 20 di diametro e in attesa dell'accensione prevista il 16 gennaio alle 20:00 in piazza Tito Schipa, musica, arte e cultura si intrecceranno lungo il percorso. Giovanni Lindo Ferretti il 16 gennaio anticiperà l'accensione con una performance che vedrà il corpo di ballo della Notte della


Le foto relative all’allestimento della Focara sono del fotografo Paolo Simone: www.facebook.com/fotodipaolosimone,

Taranta esibirsi sulla musica di “Fuecu”, il testo scritto da Daniele Durante e cantato durante il concerto di Melpignano lo scorso agosto. Grande attesa per il ritorno sul palco di Vinicio Capossela, già protagonista nell’edizione del 2008 che spiega:«Un concerto realizzato da una banda d’eccezione completamente inedita che unisce strumenti antichi e sperimentali al quartetto d’archi, in uno spettacolo che come sempre vuole portare lo spettatore in una dimensione onirica». Gli altri ospiti del Fòcara Festival sono Eugenio Bennato, 2 Many DJ’S, Bienoise, Chase & Status, Acid Arab, Cairo Liberation Front, Richard Dorfmeister, C’Mon Tigre + Danijel Zezelj, e Jolly Mare. “Ancora una volta – sottolinea il direttore Loris Romano – il Fòcara Festival si propone di rappresentare ogni forma di ricerca musicale utilizzando in libertà i molteplici materiali offerti dalle diverse tradizioni musicali”. Come da qualche anno a questa parte anche per l’edizione 2017 il monumento della tradizione contadina dialogherà con l’arte contemporanea. Dopo Paladino, Nespolo, Nagasawa, Kounellis e Baruchello quest’anno sarà il francese Daniel Buren che si confronterà con la fòcara di Novoli ed ha già realizzato il suo manifesto d’autore per l’edizione 2017. «Con Buren cambia il concept ed il format - ha sottolineato il critico Giacomo Zaza, direttore di FocarArte -. “Si dialogherà tra due processi. Il fuoco che svanisce in 24 ore ed il gesto contemporaneo di Buren che porta nuovi significati ed idee”. Ospiti di FocarArte saranno anche gli artisti Sislej Xhafa che proporrà un happening con la comunità di Novoli ispirata ai rituali propiziatori e il malese H. H. Lim che proporrà il pranzo dei costruttori mettendo in risalto il paesaggio ed il percorso di condivisione verso il falò ». Sempre per FòcarArte, nei gior-

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Photos-souvenirs: Des Oculi aux Tondi, 25 travaux in situ et situés pour les 25 ans de Galleria Continua 2015, Le Centquatre-Paris, settembre 2015. Dettaglio Plexiglas colorato Altuglas, strisce adesive bianche

ni della festa, sarà presente a Novoli il fotografo Francesco Jodice, premio FòcaraFotografia 2017 Lo scrittore Nicola Lagioia, premio Strega 2015 e neo direttore del Salone del Libro di Torino, sarà presente invece per raccontare un po’ di libri in cui il concetto del fuoco è centrale, dal fuoco distruttivo al fuoco amoroso ed erotico, al fuoco come simbolo rischiaratore dell’intelligenza. I “dialoghi sul fuoco” saranno affidati al giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco e al giornalista e conduttore televisivo Paolo Del Debbio. Il palco del teatro comunale di Novoli ospiterà l’opera di Elio Germano e Theo Teardo per la messa in scena del romanzo di Louis Ferdinand Céline “Viaggio al termine della notte” e Massimo Zamboni con lo spettacolo dal vivo “Anime galleggianti – anime fiammeggianti”. Info: www.focara.it Sotto: Sislej Xhafa, Beh-Rang, 2004, frame da video Courtesy: Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana

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Sopra.: H.H. LIM La Via del Falò divino disegno per happening Fòcara 2017


Nel riquadro il Castello Donna Fugata proprietà ufficio stampa Comune di Ragusa

i lUoghi del cinema. il FaVoloso mondo di matteo garrone

Stefano Cambò

Dalla Puglia alla Sicilia passando per l’Abruzzo ecco i Castelli scelti come set cinematografici

I luoghi del Cinema

Nel maggio del 2015 esce nelle sale italiane il film Il Racconto dei Racconti (Tale of Tales) di Matteo Garrone. Per la prima volta il regista romano, classe ’68, si è cimentato con una pellicola interamente girata in lingua inglese e con attori di un certo spessore internazionale. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla trama, o almeno cerchiamo di spiegarne i punti cardine, visto che si tratta di una trasposizione cinematografica, divisa in tre episodi, liberamente ispirata ai racconti di Giambattista Basile (1566 – 1632) inseriti nell’antologia Lu cuntu de li cunti. Come si capisce dal titolo del film ( e anche dell’opera dello scrittore sopra citato), si tratta di una pellicola che bazzica il mondo del fantastico, in particolar modo quello delle fiabe, tanto che il Basile viene da sempre considerato dai

migliori critici come il primo letterato di epoca barocca che è riuscito a far diventare questo genere letterario una vera e propria forma di intrattenimento popolare. Come dicevo nell’incipit, sono tre gli episodi narrati nel film. E tutti e tre sono intrecciati tra loro dalla mano sapiente del regista. In ordine di comparsa abbiamo La cerva, La pulce e Le due vecchie. Il primo vede protagonista l’attrice messicana Salma Hayek, famosa per aver interpretato, nel film Frida, la brava e sfortunata pittrice Frida Khalo (tanto che la sua performance, se così la possiamo definire, le valse la nomination agli Oscar nel 2003). Il secondo invece vede, nelle vesti del re di Altomonte, l’attore britannico Toby Jones, già conosciuto in altre pellicole importanti che indagano il mondo del

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Castel del Monte, foto Luca Lombardi (Own work) [CC BY-SA 4.0 (http://creativecommons.org/ licenses/by-sa/4.0)], via Wikimedia Commons


Gole di Alcantara (fonte: sito ufficiale)

fantastico, due su tutte: la serie di Hunger Games e Biancaneve e il Cacciatore. Per concludere, nel terzo, abbiamo il tenebroso Vincent Cassell nei panni del Re di Roccaforte. Conosciuto al grande pubblico più per la sua relazione con la nostra Monica Bellucci che per altro, l’attore francese ha interpretato, negli anni, ruoli di un certo spessore, che gli hanno dato la fama di duro. A me piace ricordare, in particolar modo, L’Odio di Mathieu Kassowitz (vincitore del Premio per la miglior regia al 48° Festival di Cannes ) e Il cigno nero del regista statunitense Darren Aronofsky. Fatta questa piccola premessa per lanciare il film, la vera protagonista, o meglio i veri protagonisti, visto che ne troviamo davvero tanti, sono i luoghi

in cui è stata girata questa trasposizione cinematografica. Perché, pur essendo una distribuzione internazionale, in realtà le riprese si sono svolte interamente in Italia… E in particolar modo in Sicilia, Puglia e Abruzzo. Per il primo episodio (La cerva), il regista ha scelto come location il bellissimo Castello di Donnafugata, in provincia di Ragusa. Si tratta di una magnifica dimora nobiliare del tardo Ottocento. La sua facciata in stile neogotico è affiancata da due torri laterali che le danno un tocco regale e sontuoso. Sontuosi, manco a dirlo, gli interni che insieme al prospetto con la particolare facciata gotica orlata di merli e l’intera architettura (compreso il bellissimo parco) hanno ispirato numerosi registi tra i quali Luchino Visconti che vi ambientò Il Gattopardo. Altro luogo da visitare (sarebbe quello dello scontro tra il re e il drago per chi avesse voglia di vedere il film) sono le suggestive Gole di Alcantara situate nell’omonima valle tra i comuni di Castiglione di Sicilia e Motta Camastra. Se volete andarci vi consiglio scarpe comode e un abbigliamento sportivo da trekking.

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Il Castello di Roccascalegna, foto di Mattia Di Paolo, su gentile concessione del sito ufficiale: castelloroccascalegna.com

percorrerle, si ha la sensazione di essere in un labirinto quasi magico. Di forma ottagonale anche il cortile centrale tutto nell’impianto architettonico richiama l’otto, un numero che ha una grande valenza simbolica e che, disposto orizzontalmente, in matematica sta ad indicare l’infinito. Dulcis in fundo, per il terzo racconto (Le due vecchie) ci dobbiamo spostare più a Nord per incontrare uno dei luoghi più incantevoli d’Abruzzo. Stiamo parlando del bellissimo Castello di Roccascalegna, situato nell’omonimo comune in provincia di Chieti di probabile origine longobarda. Costruito su una sporgenza rocciosa e immerso

I luoghi del Cinema

Per quanto riguarda il secondo episodio (La pulce), il set del film si è spostato in Puglia, in uno dei luoghi più belli e magici del nostro amato stivale. Stiamo parlando di Castel Del Monte, Patrimonio dell’Unesco dal 1996. Questo immenso edificio fu fatto costruire nel XIII secolo dall’imperatore del Regno di Sicilia Federico II ed è situato a 18 chilometri dalla cittadina di Andria, nei pressi dell’altura di Santa Maria Del Monte (all’epoca denominato Monte Balneolo). La costruzione è a pianta ottagonale con otto torri di forma anch’esse ottagonali collocate in corrispondenza degli spigoli, con complessive sedici stanze trapezoidali che, a

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nel verde dei monti della Majella il Castello dal 1985 è stato donato al Comune di Roccascalegna da parte dell’ultima famiglia feudataria, i Croce Nanni, e dopo un lungo restauro dal 1996 è di nuovo visitabile e sede di eventi e convegni. Leggenda vuole che qui nel 1646 il barone Corvo De Corvis applicasse la famosa norma medievale dello Jus Primae Noctis obbligando le giovani donne neosposate a passare la prima notte di nozze con lui e non con i propri consorti (non so voi, ma a me viene in mente il film Braveheart di Mel Gibson). Si narra che una sposa novella o suo marito travestito con i suoi abiti salì al castello e con un abile

stratagemma accoltellò il barone e che questi morente lasciò la propria impronta della mano insanguinata su di una roccia della torre, crollata poi nel 1940. Secondo la leggenda pare che l’impronta della mano insanguinata del barone pur lavando la roccia, continuasse a riaffiorare e ci sono tutt’oggi persone anziane che sostengono di aver visto la “mano di sangue” anche dopo il crollo. Praticamente una leggenda nelle leggenda… Quasi a voler fare l’occhiolino al regista Matteo Garrone e al favoloso mondo del suo film Il Racconto dei Racconti.

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La Galleria del Castello di Lymburgh dei Castromediano, foto Michele Onorato

Una galleria celeste a caVallino, il liBro dello storico mario caZZato Sara Di Caprio

La lettura degli affreschi del ciclo astrologico nel Castello di Lymburgh dei Castromediano

S

i intitola La Galleria celeste. Astrologia e arte alla corte dei Castromediano di Lymburgh nel Castello di Cavallino il nuovo lavoro dello storico leccese Mario Cazzato. Edito dalla casa editrice Congedo, il libro diventa imprenscindibile per una lettura iconografica e iconologia della Galleria del castello di Cavallino, permettendo di conoscere a menadito uno degli scrigni del patrimonio culturale salentino più affascinanti e ricchi di storia. Il volume, 355 pagine completamente in quadricromia, è preceduto da una presentazione a cura dell’On. Gaetano Gorgoni - assessore alla Cultura della città di Cavallino - che sottolinea come per la prima volta si illustri compiutamente la volta affrescata della Galleria - grazie all’imponente

impianto fotografico a cura del dott. Michele Onorato - «sono state riprese singolarmente tutte le figure, tutti i soggetti dipinti, anche quelli che si trovano dietro i busti collocati sul grande cornicione della galleria o nei piani terra mai da altri ricercatori conosciuti o ricercati». Un lungo lavoro di ricerca e di indagine, dunque, per dar inizio alla collana “Fonti e documenti” della società Storica di Terra d’Otranto come viene precisato nella premessa a firma del presidente della stessa Domenico Urgesi nel solco della continuità del progetto culturale nato sotto l’impulso dello storico Pier Fausto Palumbo e che ritiene la cultura prima di tutto impegno civile e «la ricerca storica come intreccio multidisciplinare fra economia, diritto, arti, scienze sociali,

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ecc. fondata sullo studio delle fonti». In virtù di queste linee guida il primo capitolo mira a introdurre al fruitore la città di Cavallino, analizzandola sotto il profilo storico e urbanistico gettando le basi per capire la vita e le opere della famiglia dei committenti, i Castromediano, che fecero realizzare quella che è ad oggi «l’unica cappella gentilizia ancora interamente conservata di tutta l’antica Terra d’Otranto in epoca barocca». Mario Cazzato inoltre scandisce tutte le fasi costruttive della residenza baronale di Cavallino corredate anche dalle planimetrie dei piani - prezioso è il rilievo integrato della Galleria celeste ad

opera dell’arch. Gabriele Rossi - e dall’analisi dei busti e delle epigrafi. Dal quarto capitolo è possibile leggere l’accurata analisi del ciclo astrologico dove non solo Mario Cazzato ripercorre le fonti bibliografiche presenti nella biblioteca dei Castromediano e che quindi costituiscono il corpus astrologico di partenza ma analizza singolarmente tutte le figure del ciclo astrologico presenti nella Galleria. Il palazzo, edificato nel quindicesimo secolo, si arricchisce della struttura architettonica della Galleria intorno alla prima metà degli anni trenta del Seicento e secondo la ricostruzione dello studioso

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Particolare del segno zodiacale del Sagittario, in basso: particolare di Cepheus e Cassiopea, foto Michele Onorato

si può dedurre che gli affreschi “astrologici” della volta furono conclusi entro l’agosto del 1637 e forse eseguiti dal noto pittore leccese Antonello della Fiore. Attraverso la ricostruzione dello schema decorati-

vo della Galleria, Mario Cazzato evince che tutto è tratto dalla tradizione secolare raccolta nei libri astrologici posseduti dai Castromediano tuttavia è ancora un cielo da studiare a fondo: rimane difficile stabilire la fonte iconografica dell’impianto e se esso rappresenti un determinato momento o che forse il cielo raffigurato possa essere legato a come esso si presentava alla morte della marchesa Beatrice Acquaviva. Di sicuro l’esame meticoloso ed esaustivo della Galleria Celeste del castello Castromediano di Cavallino ha permesso di individuare, Zodiaco compreso, 56 costellazioni che analizzate ad una ad una, attraverso foto e antiche ricostruzioni, sono complete di mito e nota astronomica. Importante è anche l’analisi delle statue del livello superiore e del ciclo inferiore con le virtù corredate dalla descrizione iconografica di Cesare Ripa, che le tratta in Iconologia, testo che è fonte iconografica e guida imprenscindibile per l’artista del ‘600. Interessante la visione dello storico salentino che, dopo aver analizzato in maniera meticolosa ed esaustiva il ciclo astrologico, vede nella composizione dell’intero apparato decorativo e dunque nella sua creazione «il punto di maturazione di questa dinamica culturale alla cui fine non ci potrà che essere l’esplosione di quel fenomeno che chiamiamo barocco leccese, ancora purtroppo intrappolato nell’angusto recinto del gusto». Gli affreschi del castello di Lymburgh, al di là del loro valore artistico, per l’autore costituirebbero non solo «un interno che non ha paragoni di riferimento nel Mezzogiorno» ma l’humus nel quale si sviluppò la civiltà artistica del barocco leccese. Una lettura complessa che suggerisce, dunque, ulteriori spunti di analisi e che sarebbe però risultata più agevole se l’editore avesse preferito nell’impaginazione l’inserimento delle note a piè di pagina in virtù del rigore scientifico che pervade l’opera. La Galleria celeste. Astrologia e Arte alla Corte dei Castromediano di Lymburgh nel Castello di Cavallino di Mario Cazzato Collana Società Storica di Terra d'Otranto. Sezione Fonti e Documenti, 1 Congedo editore ISBN 9788867661596 pp. 368 a colori €50,00

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dodici scatti di BrUno Barillari Per la PUglia di “QUarta caFFèâ€?

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GENNAIO

Storie di pietra, da Leuca a Matera, per rinnovare il rito del calendario aziendale

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INQUADRA E SCOPRI

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quartacaffe.com

n omaggio alla ÂŤbellezza unica e inequiparabile della Puglia e alla materia prima che meglio la identifica, la pietraÂť. La pietra delle cave, del barocco leccese, dei muretti a secco che rimandano alla cultura contadina millenaria e ai prodotti della terra salentina. Una terra raccontata da dodici scatti inediti a firma del fotografo Bruno Barillari cui è stato affidato il progetto artistico del calendario rinnovando ormai un appuntamento rituale, come quello del caffè, per raccontare il profondo attaccamento dell’azienda al territorio. Un territorio da promuovere e valorizzare anche attraverso l’impegno nei confronti dello sviluppo sostenibile della propria azienda, che grazie a “Progetto naturaâ€? ha integrato nelle fonti di approvvigionamento energetico un impianto eolico e uno fotovoltaico che favoriscono, seppur in parte, il proprio fabbisogno energetico. A testimonianza della filosofia aziendale che punta sempre sull’innovazione senza tradire la propria storia incominciata negli anni Cinquanta con una piccola torrefazione artigianale e annesso bar di degustazione nel cuore della cittĂ . Ben presto quel bar divenne il punto di riferimento soprattutto per i giovani militari, in particolare quelli della vicina aerostazione di Galatina. “Il colore delle divise degli ufficiali dell’aria divenne ben presto il nome di quel Bar e della storica miscela della Torrefazione Quarta: il Bar Avio e la

FEBBRAIO

Lecce. Campanile. Struttura Struttur maestosa e superba il Campanile ampanile in Piazza Duomo a L Lecce ecce è realizzato con pietr pietraa leccese di natura natur calcarea, leggeraa nella sostanza ma resistente aal tempo. A livello del mare, il campanile di Lecce L è traa i piĂš alti d’Europa. ottagonale a cupola decorata decor da quattro pinnacoli form un cinque piani, con 120 metri di altezza sul livello ’ultimo piano è un’edicola coli con forma Europa. L’ultimo GL YDVL ĆRULWL 6XOOD FXSROD ULFRSHUWD GD FRORUDWH PDLROLFKH H ÂŞ VWDWD FROORFDWD XQD EDQGHUXROD D YHQWR LQ IHUUR UDIĆJXUDQWH 6DQWè2URQ]R SDWURQR GHOOD FLWW¢ 3HU OD VXD DOWH]]D H SHU OD YLVLELOLW¢ D JUDQGH GLVWDQ]D LO FDPSDQ QLOH QHO YHQQH VFHOWR SHU PLVXUDUH OH OXQJKH]]H GHOOD VXSHUĆFLH WHUUHVWUH

miscela Avioâ€?. Era nato il brand Quarta che è il caffè del Salento e ricordando le proprie origini quest’anno si è voluto celebrare la Puglia. E chi poteva raccontarla se non il fotografo autore tra l’altro della recentissima mostra “Dal cielo in esclusivaâ€? con i suoi inediti sguardi sul Salento visto dall’alto? “Dal fascino naturale della nuda roccia delle grotte, passando per l’architettura urbana fino a giungere alla sublimazione nelle cattedrali e delle chiese: gli scatti di Bruno Barillari ci raccontano un viaggio dal Capo di Leuca fino al Gargano che ci accompagnerĂ per tutto l’anno durante il nostro rito quotidiano del caffèâ€? -spiega Gaetano Quarta responsabile acquisti, marketing e comunicazione. Ma il calendario non è solo una finestra sulle bellezze di Puglia ma anche un varco per raccontare l’azienda racconta lo stesso Gaetano Quarta. “Ogni immagine è accompagnata da un QrCode che inquadrato da un semplice telefonino consente di entrare nel vivo nello stabilimento, conoscere tanti aspetti e curiositĂ della torrefazione salentina: le sue miscele, la filiera di produzione, filosofia dell’azienda e le attivitĂ socialiâ€?. Il calendario è scaricabile dal sito: quartacaffe.com

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Ostuni. Centro storico. 'H HĆQLWD ĂŞFLWW¢ ELDQFDĂŤ SHU LO VXR FFHQWUR VWRULFR XQ WHPSR GLSLQ QWR LQWHUDPHQWH FRQ FDOFH ELDQ QFD 'L RULJLQH PHVVDSLFD LQVH HGLDWD QHOOD 0XUJLD PHULGLRQDOH 2VWXQL VL sviluppa su tre colli, in un’eccezionale eccezionale posizione panoramica. panoramica. Il bianco bi delle case contrasta asta con il colore bruno-rosato della pietra utilizzata ta per i monumenti piĂš importanti. La car caratteristica di Ostuni risiede nelle case terr terrazzate, con corti interne e strettissimi vicoli all'esterno, all'esterno, d’ispirazione d’ispir one decisamente orientale. I colori delle pietre si compl completano con il verde erde circostante della FDPSDJQD FKH IDQQR GL 2VWX XQL OD 5HJLQD GHJOL 8OLYL DSSHOODWLYR DWWULEXLWR SHU OH QXPHUR RVH H VHFRODUL SLDQWH GL XOLYR SUHVHQWL QHO WHUULWRULR INQUADRA E SCOPRI

quartacaffe.com


Al centro della pagina: Francesca Wodman, Senza titolo, New York, 1979-1980, stampa alla gelatina d'argento Nel riquadro piccolo: Francesca Wodman, Untitled, Roma, 1977-1978, stampa alla gelatina d'argento

Francesca Woodman aUtoritratto di Un’anima Claudia Forcignanò

Uno dei più precoci talenti dell’arte contemporanea del ‘900

Nel nome di Eva

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rancesca Woodman non è stata vittima di violenza, nessuno ha voluto imbavagliare la sua arte, nessuno l’ha umiliata o mortificata, il suo talento fu riconosciuto sin da subito, eppure il 19 gennaio 1981, a soli ventidue anni, nel momento in cui la sua arte si preparava a emergere in tutta la sua potenza, decise di togliersi la vita. Cosa spinge una giovane donna a lanciarsi nel vuoto in un freddo giorno d’inverno resta un mistero insondabile, ma meritevole del massimo rispetto e in nome della sua arte e della sua giovane vita che è giusto raccontare la sua storia. Francesca Woodman nasce il 3 aprile 1958 a Denver, sin dalla più tenera età respira arte: la madre Betty, otto anni prima della sua nascita, aveva intrapreso con successo la carriera di ceramista concentrando la sua attenzione su vasi che reinterpretava in forma artistica modificandoli, riempiendoli di colore e trasformandoli in oggetti pop tuttora ricercatissimi, raggiungendo una perfetta commistione tra ceramica e pittura; il padre, George Woodman, aveva iniziato la sua carriera come pittore, ma a partire dagli anni '80 era approdato alla fotografia realizzando opere di grande formato che arricchiva di particolari evidenziando gli spazi o i dettagli con pittura acrilica.

In questo clima, Francesca sviluppa una spiccata curiosità per il mondo dell’arte e segue i genitori nei viaggi in Italia, a Firenze, dove frequenta il secondo anno di scuola elementare e prende lezioni di pianoforte. A soli tredici anni scatta le sue prime foto e nel 1975 si iscrive alla Rhode Island School of Design (RISD) dove ha l'opportunità di conoscere e appassionarsi alle fotografie di Man Ray, Duane Michals, Arthur Fellig Weegee. Per approfondire i suoi studi torna a Roma con l’amica Sloan Rankin dove frequenta l’ambiente della Transavanguardia italiana. Nel 1977 prende la sua raccolta di foto e varca la soglia di una delle librerie più belle ed eclettiche di Roma: la Maldoror di Giuseppe Casetti. Presentandosi come una fotografa stringe con il titolare un rapporto che la porterà ad allestire in quello storico luogo la sua prima mostra. Nel gennaio del 1981 pubblica la sua prima collezione di fotografie, dal titolo "Some Disordered Interior Geometries" e pochi giorni dopo si toglie la vita. Intorno al suicidio di Francesca Woodman non vennero fatte congetture e nessuno ipotizzò congiure, sembra che chi la conoscesse fosse preparato ad un gesto del genere, la stessa Francesca scriveva:« Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate». La sua morte fu un’occasione ghiotta per il movimento femminista che si appropriò delle sue idee per avviare un discorso sulla centralità del corpo, ma fortunatamente durò poco perché anni luce lontano dal vero intento di Francesca.

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Un’artista maledetta, quindi? Sicuramente tormentata, geniale, bravissima e controversa. La sua arte destò interesse a ammirazione sin dal suo esordio. Tuttora le sue foto vengono esposte e ammirate in tutto il mondo grazie al lavoro del padre George che tutela e custodisce parte dell’archivio della figlia e dell’amico Giuseppe Casetti che ha conservato tutte le lettere e le fotografie di cui era venuto in possesso, presentando al mondo l'immagine più autentica di Francesca Woodman, fatta di progetti, racconti, grandi nostalgie, ricette e tutto ciò che

appartiene al mondo di una giovane donna. Ed è proprio da alcune di queste lettere, in particolar modo quelle scritte agli amici incontrati a Roma durante gli anni di studio, che inizia a trasparire il profondo disagio provocato dalla lotta per l’affermazione in una grande metropoli in cui ci si dimentica in fretta di cose e persone. Ed ecco racchiusa in pochi righi la biografia di Francesca Woodman, ma non l'essenza del suo programma artistico e visivo, che non focalizza l'attenzione sulla mera esposizione del corpo allo sguardo curioso del pubblico, ma è di volta in volta indirizzato verso un preciso messaggio che spesso la vede protagonista dei suoi scatti e che, prevede una totale fusione tra corpo e ambiente, azione questa, mediata e agevolata soprattutto dall'utilizzo di tempi di esposizione particolarmente lunghi. Il corpo di Francesca Woodman, della sua amica fotografa Sloan Rankin Keck, del compagno Benjamin Moore e delle modelle che sceglieva per i progetti, si fondono, nascondono, mimetizzano con l'ambiente danzando in ampi spazi, accarezzando le teorie della corrente surrealista in un’ottica tutta nuova da cui nascono ritratti in bianco e nero. Ritratti che inchiodano lo spettatore dinanzi a visioni dal sapore onirico in cui si vaga alla ricerca di una spiegazione o una trasposizione sul piano razionale di uno scenario accuratamente studiato dall'artista che, sempre in linea con la corrente surrealista, ha sempre rifiutato di spiegare le sue foto. L’opera, secondo la Woodman, non deve mai essere improvvisata, nessun dettaglio deve essere lasciato al caso né da parte dall'artista, né da parte degli attori protagonisti, siano essi di natura umana o meno, nella convinzione che lo studio e la teoria siano propedeutici ad una piena soddisfazione dell’estetica. Corpi nudi, esposti e sovraesposti, fusione fisica e mistica con l'ambiente, immagini surreali, a volte inquietanti, altre appaganti, scevre da ogni reminiscenza erotica e per questo, paradossalmente ancor più affascinanti, un talento precoce coltivato con cura e un percorso volutamente interrotto nel più drastico dei modi nel preciso istante in cui la carriera è pronta ad entrare nel mito dimostrando al contempo che il mondo è perfettamente in grado di riconoscere il valore artistico di un’opera indipendentemente dal nome, dall'età e dalla vita (o in questo caso, morte) di chi l’ha realizzata; tutto questo è Francesca Woodman.

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Nel nome di Eva

Francesca Woodman, Senza titolo, Providence, Rhode Island (1976), stampa alla gelatina d'argento;


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Salento Segreto a cura di Mario Cazzato


a lecce, la casa e la tomBa di antonio de Ferrariis “il galateo” Mario Cazzato

vato e modesto, si adattò a svolgere la funzione di medico condotto a Gallipoli, dove si sposò con l'aristocratica Maria Lubelli dei baroni di Sanarica. La coppia ebbe cinque figli: Antonino, Lucrezia, Galeno, Betta e Francesca. La serenità della sua vita fu turbata nel 1480 dall'invasione di Otranto da parte dei Turchi, e De Ferrariis cercò rifugio a Lecce annotando gli eventi drammatici che in seguito sarebbero stati il canovaccio per un'opera composta in latino Visse almeno dal 1508, ma sicuramente anche prima, a Lecce, dove si spense il 12 novembre 1517. Si spera che le celebrazioni in corso possano produrre almeno una sua compiuta biografia dato che anche recentemente illustri studiosi come il Defilippis che pure ha curato l'ultima edizione della "Japigia" ha affermato che il Galateo "muore a Galatone". Né cita, costui, per fare un altro esempio, la prima traduzione in volgare dell'opera, apparsa a Lecce il 1853 per iniziativa di Giancamillo Frezza, ma come egli stesso ammette eseguita anni prima. E poiché la stesura dell'opera è collocata negli anni 1507-09, è probabile che sia stata composta proprio a Lecce dato che il leccese autore dell'Apologia Paradossica ne possedeva una copia autografa, appartenuta ai Guarini. Il Foscarini dimostrò che il Galateo nel 1508 aveva casa a Lecce nell'isola del Vescovado e il Vacca la identificò con quella al civico 65 di via Libertini. è noto pure che fu sepolto nella vicina chiesa dei Domenicani nell'altare che attraverso una nipote passò ai Paladini e poi ai Maresgallo, forse quello del Rosario.

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a cura di Mario Cazzato

LECCE. Quest'anno ricorre il quinto centenario della scomparsa del Galateo, il più grande umanista salentino e uno dei maggiori del Mezzogiorno. Antonio De Ferrariis, detto il Galateo, nacque a Galatone fra il 1444 e il 1448, e dal luogo di nascita derivò il nome “Galateo”. Il padre, il notaio Pietro De Ferrariis, morì quando Antonio era ancora in giovanissima età, e perciò la madre Giovanna d'Alessandro lo affidò ai frati basiliani del paese che gli impartirono le nozioni formative di base. Chiuso il primo ciclo scolastico, proseguì gli studi a Nardò spaziando fra filosofia antica, letteratura greca e latina, medicina e geografia, discipline verso le quali mostrò vivo interesse. Passò quindi a Napoli, dove dal 1465 approfondì le discipline umanistiche e la medicina. Molte furono le conoscenze che fece all'Accademia napoletana, dove fu ammesso attorno al 1470. Lì entrò in contatto con un gran numero di intellettuali: Benedetto Gareth detto il Chariteo, Paolo e Giovanni Attaldi, Giovanni Pontano, Teodoro Gaza, Giovan Francesco e Galeazzo Caracciolo, Giovanni Pardo, fra' Roberto da Lecce, Jacopo Sannazaro. Con l'aiuto di Girolamo Castello ottenne il diploma di medicina a Ferrara, dove soggiornò praticando la professione di medico; si trasferì poi a Venezia per poi ritornare a Napoli ed entrare nel giro della reggia partenopea, stimato a tal punto da divenire medico della corte di Ferdinando I d’Aragona. Verso il 1478, per il suo carattere riser-

Salento Segreto

Nel 2017 i cinquecento anni dalla morte dell’umanista salentino



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