Arte e Luoghi | settembre 2020

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SiracuSa

il ninfeo delle fate

Viaggio lungo la costa da Selinunte a Mazzara del Vallo e Marsala, dai templi alle chiese

Uno dei tre ninfei di Lecce è situato nell’area sotterranea della Masseria Tagliatelle

anno 153 numero 9 settembre 202 0

Anno XV - n 9 settembre 2020 -

giancarlo montelli

dieci anni fa il film di rocco papaleo

il moSaico di otranto

Per la rubrica i luoghi del cinema reportage tra i borghi della Basilicata

Tra i luoghi misteriosi del Salento la Cattedrale e il pavimento realizzato da Pantaleone


primo piano

le novità della casa

IL RAGGIO VERDE EDIZIONI

ilraggioverdesrl.it


EDITORIALE

Giancarlo Montelli, Don Chisciotte arriva alla Locanda, Don Chisciotte & C., Edizioni Odradek, 2020 ©

Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic

Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo

Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Dario Bottaro, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Francesco Paolo Del Re, Sara Di Caprio, Giusy Gatti Perlangeli, Dario Ferreri, Sara Foti Sciavaliere, Antonio Giannini, Raffaele Polo, Stefano Quarta, Alessandro Romano, Francesco Sticchi, Marco Tedesco Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it

Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.

Quindici anni di Arte e Luoghi. La testata giornalistica compie infatti questo mese, nel giorno della nascita di Michelangelo Merisi, tre lustri. E siamo ancora qua. Nonostante tutto. E siamo passati dal formato cartaceo, le prime 32 pagine in quadricromia, al web di un progetto impegnativo anche sotto il profilo delle risorse ma libero. E continuiamo nonostante incursioni hacker, perdite di dati e attacchi da direzioni inaspettate come spesso succede. Ma resistiamo ed esistiamo. Ancora. E questo numero lo abbiamo riempito di tanti bei contenuti da leggere e da vedere nel solco di un progetto nato con l’idea e l’entusiasmo, mai perso, di raccontare la bellezza. La bellezza salvifica dell’arte e dei nostri luoghi il Belpaese sotto il cui cielo siamo nati. Da Nord a Sud, senza distinzioni di sorta perché l’Italia tutta è straordinariamente bella. Cercare le connessioni, anche quelle spesso invisibili, e raccontarle. Questo è stato il punto di partenza. E lo è ancora perché il racconto è infinito finché si vive. Grazie alla casa editrice Il Raggio Verde che tanti anni fa mi ha dato l’opportunità di concretizzare su carta prima e sulla rete poi l’idea di questa rivista maturata negli anni, cullata ai tempi in cui la redazione del quotidiano Leccesera era diventata la mia seconda casa permettendomi di formarmi sul campo, come si dice, insieme a tanti colleghi straordinari. Poi rimanemmo orfani di Leccesera e quando chiude un giornale è sempre un fallimento collettivo, una ferita alla pluralità delle voci che sono il principio della democrazia. Ma dall’esperienza acquisita, dalla passione per l’arte, dall’idea che soprattutto il bello dovrebbe essere raccontato per “contagiare” positivamente come in una sorta di domino chi fa cultura e chi la fruisce e con l’idea di ricompattare “la squadra” e unire competenze ed energie è nata Arte e Luoghi. E dopo mia figlia è la cosa più bella che io abbia realizzato in tutta la mia vita. Grazie alla mia squadra, sempre più motivata e ampia, che rende tutto questo possibile. Grazie a voi lettori, che ci spronate a continuare. Buona lettura! (an.fu.)

SOMMARIO luoghi|eventi| itinerari: girovagando i la fabbrica delle parole. il museo 34| Spiazzamenti 55| 55 | itinerarte 69 | Santa maria di correano 82 | Siracusa 101| il nineo delle fate 120 | il Salento 144 arte: giancarlo montelli 4 |de filippi 42 il filo della storia 50 | le scultografie di daniele papuli 52 conversazioni con francesco Speranza 70 claudio di carlo 80 musica: Salento guitar festival 54 | i concerti del sabato sera 99 i luoghi della parola: | miseria e nobiltà 58 | i luoghi della poesia 64 | due libri un insegnamento 78 | curiosar(t)e: natalie Shau 130 interventi letterari|teatro i luoghi del mistero: il mosaico di otranto 26 | mattia e il nonno 97 | Vita da lustrini 98 ! Salento Segreto 176 cinema premio Verdone 48 | estate a corte 60 |Sqizo viaggio nella mente 37 | i luoghi del cinema : i Borghi della Basilicata 167| libri | luoghi del sapere 140-143 |#ladevotalettrice #dal Salentocafè| la memoria è conoscenza 118 i luoghi nella rete|interviste| il concorso: il mare in una stanza 57 | m come miele, il concorso 138 Numero 9- anno XV - settembre 2020


il ritorno del di-Segno montelli, don chiSciotte & c Antonietta Fulvio

Per i tipi delle edizioni Odradek il nuovo progetto editoriale del Maestro romano

Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che tengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magro ronzino e cane da caccia. Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia

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l ritorno del di-segno. Puro. In punta di penna biro. E il ritorno del colore. Quello degli acquerelli della tavolozza montelliana. Unica e inconfondibile nel raccontare storie che affondano le origini nel mito e nella letteratura come nel caso del Don Chisciotte & C, il nuovo progetto dell’artista romano Giancarlo Montelli, fresco di stampa per le edizioni Odradek. Abbiamo incontrato il Maestro che ci ha anticipato la genesi creativa di questo originalissimo volume ispirato al romanzo spagnolo di Miguel de Cervantes Saavedra e non solo. L’illustrazione in copertina, una delicatissima

scala di grigio con in evidenza in rosso le iniziali del titolo, pone in primo piano Don Chisciotte pensoso, quasi appollaiato su un’altura: la figura di questo antieroe, i particolari eleganti della sua armatura contrastano con l’aspetto scavato del volto, i capelli arruffati, lo sguardo perso nel vuoto. Il suo profilo in perfetta sintonia con quello del suo destriero Ronzinante, dalla criniera goffamente scapigliata e gli stessi occhi allucinati è rivolto verso un altrove, probabilmente immagina la prossima avventura nel suo mondo fatto di duelli, dame da proteggere e giganti da sconfiggere. Un mondo cavalleresco mistificazio-

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Giancarlo Montelli, Don Chisciotte e Ronzinante, l’attesa, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

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Giancarlo Montelli, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

ne di una mente fragile, ubriaca di libri e persa nei sogni. Maestro, un nuovo corposo progetto a lungo introiettato ed elaborato nel tempo fino alla scoperta di una “chiave di lettura”. E dalla copertina subito un indizio, inequivocabile, del ritorno al “di-segno”? Assolutamente sì, perché il segno dà uno spessore e una vibrazione maggiore. Il Barone di Muchhaussen è completamente concepito e realizzato al computer, il segno uniforme e la tavolozza digitale piatta andavano benissimo per questo personaggio che racconta avventure straordinarie. Avevo iniziato al computer anche il Don Chisciotte ma mi sono reso conto che questo personaggio ha uno spessore diverso perciò ho preferito i disegni a penna biro e gli acquerelli. Torniamo al titolo perché Don Chisciotte & C?

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Giancarlo Montelli a lavoro sulle illustrazioni del Don Chisciotte

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Giancarlo Montelli, Don Chisciotte legge i classici, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

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Volevo illustrare Don Chisciotte ma sarebbero serviti oltre dieci anni di lavoro e migliaia di illustrazioni, ho scelto perciò il personaggio come “guida” una sorta di vate per fare un percorso in tutta la storia della cavalleria epica. Partendo da Don Chisciotte ma tornando indietro da Omero a Virgilio, da Boiardo ad Ariosto, passando per i paladini di Carlo Magno, re Artù fino ad arrivare a Calvino che ha ripreso i codici cavallereschi con la sua trilogia, il Barone rampante, Il Cavaliere inesistente e il Visconte dimezzato. Ho incontrato così eroi antichi e moderni, conti e baroni, cavalli veri e di legno, draghi terribili e di latta, nobildonne e guerriere d’acciaio... Ne è venuto fuori un libro in cui Don Chisciotte è la guida, il personaggio chiave, però è al contempo una scorribanda sulla cavalleria. Ne è uscita una vera e propria galleria di personaggi che attraversano la storia della letteratura epica accostando anche dei testi, un viaggio tra segni e parole di un mondo che è fatto della stessa sostanza dei sogni dove perciò non c’è un ordine didascalico prestabilito eppure il fil rouge c’è... Esattamente ho voluto partire da Don Chisciotte della Mancha e farne un libro nel quale questi mitici personaggi sono disegnati e poi messi alla rinfusa, accostati per similitudine o per contrari ma uniti da comuni falsi ideali, da una comune inconsistenza morale.

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Giancarlo Montelli, C’era un volta, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

Questa pubblicazione è il terzo della trilogia dedicata ai bugiardi... Pinocchio, il primo è il bugiardo che mente per salvare se stesso. Dai giudici, dagli imbroglioni, dagli assassini persino dalla stessa fatina e finisce per omologarsi ai dettami della società borghese. Poi il Barone di Muchhaussen colui che mente sapendo di mentire. Un bugiardo patentato che mente perché gli altri pensino che lui sia un superuomo. In lui non c’è etica le sue imprese non sono né cattive né buone sono sempre straordinarie e la bugia è un mezzo per sovrastare gli altri, è il peggiore di tutti e la cosa incredibile è che è creduto. Quanti ne abbiamo visti e continuiamo a vederne di Baroni di Munchhaussen....Infine Don Chisciotte che mente a sé stesso perché crede nella realtà mistificata frutto delle sue letture. Ha una biblioteca straordinaria e legge i libri della letteratura epica che narrano di cavalieri erranti e si immedesima nei personaggi creando un mondo immaginario fatto di onore, di dame da adorare e difendere e falsi codici cavallereschi in nome dei quali, chiunque non risponda a tono alle sue domande, o non conosca e adori la sua adorata Dulcinea, deve essere ucciso. Don Chisciotte è però anche il sogno, l’avventura, l’utopia.

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Giancarlo Montelli, Paesaggio Don Chisciotte e Pancho Sanza, Don Chisciotte & C.,

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Giancarlo Montelli, Don Chisciotte prende a spadate l’elmo; Don Chisciotte con l’elemo; Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

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Giancarlo Montelli, Don Chisciotte e Ronzinante, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

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Giancarlo Montelli, Dulcinea del Toboso, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

A proposito di Dulcinea, nel suo libro ha illustrato e raccontato anche tante dame ed eroine, ne è uscita una bella galleria di donne a cominciare da quelle di don Chisciotte Ogni cavaliere di gran valore deve avere una dama della quale è perdutamente innamorato e per la quale è disposto a perdere la vita anche se lei spesso è ignara di questa passione. Don Chisciotte quindi procuratosi le armi, il destriero e lo scudiero, pensa ad eleggere una nobildonna da amare. Ovviamente la sceglie tra le contadine del luogo e idealizzata le dà il nome di Dulcinea del Toboso che diventa, a sua insaputa, l’amata del Cavaliere dalla Triste Figura. Don Chisciotte è ossessionato dalla sua immagine ne decanta continuamente le virtù e la invoca all’inizio di ogni avventura. Ma Dulcinea del Toboso altri non è altri che Aldonza Lorenzo una nerboruta contadina. Il tema dell’amore le ha consentito di sfogliare tra le pagine epiche e dare un volto alle dame più celebrate di tutti i tempi Non potevo non disegnare l’illusione d’amore del Paladino Orlando e la bella Angelica che fa perdere il senno al paladino di Carlo Magno. Toccherà al povero Astolfo, in groppa all’Ippogrifo, recuperare il senno di Orlando sulla luna dove si raccolgono tutte le cose che si perdono in terra. Orlando ci ricorda anche un altro eroe, Achille e la sua famosa ira per la perdita di Briseide che però era la sua

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Giancarlo Montelli, Aldonza Lorenzo, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

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Giancarlo Montelli, la pastora Marcela, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

schiava. I Cavalieri antichi perdono la ragione per le amate, spesso non riamati e per loro compiono gesti folli. Però non le uccidono mai, come si usa adesso. Non solo dame però... Sì, nel libro ci sono altre figure femminili straordinarie, le guerriere. A loro è dedicato un intero capitolo: Marfisa e Clorinda, Ippolita e Bradamante, Athena e la straordinaria pastora Marcela e il suo orgoglio femminista. Nella letteratura, nella mitologia e nella storia ci sono state tantissime donne guerriere. Dalle Amazzoni a Giovanna d’Arco. Tra le tante Athena, figlia prediletta di Zeus, è la dea della sapienza delle arti e della guerra nobile. Nel poema di Cervantes c’è una pagina straordinaria dedicata a Marcela che chiamo la guerriera di Don Chisciotte. In realtà è una pastora amata dal pastore Crisostomo che non ricambiato si uccide e per questo Marcela viene accusata di crudeltà e di ingratitudine. Siamo alla fine del 1500 e sono ancora i tempi dell’Inquisizione spagnola eppure il discorso pronunciato da Marcela è una straordinaria dichiarazione di dignità e di libertà della donna. Nel libro è riportato il testo del discorso che è un esempio di autodeterminazione e di affermazione della propria libertà e del diritto alla scelta. Veramente una pagina straordinaria. E poi ci sono i cavalieri... I cavalieri erranti che nella let-

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Giancarlo Montelli, Orlando e Angelica, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

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Giancarlo Montelli, il Clavilegno, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

teratura epica vanno in giro per compiere grandi imprese, salvare le dame e i deboli e punire i prepotenti. Quelli che a differenza di Don Chisciotte sono stati insigniti dal re, o dai vescovi. Dai cavalieri di Omero, il feroce Agamennone e i suoi Achei a Carlo Magno e i suoi Paladini, Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda, Riccardo Cuor di Leone e i suoi crociati. E Federico Barbarossa con i suoi cavalieri sotto la montagna e Gengis Khan e i suoi terrificanti cavalieri. Il libro ne ripercorre

anche brevemente la storia e le gesta fino ad arrivare a Calvino che riprende il filo della letteratura epica con la sua trilogia “i nostri antenati” che ripropongono, in fin dei conti, il problema dell’identità che tormenterà lo scrittore durante tutto il corso della sua vita artistica e professionale. Egli infatti si sentirà sempre diviso tra la necessità dell’impegno politico e l’attrazione per la fiaba e la leggerezza, tra l’essere e il non essere, tra la necessità di vivere una realtà convenzionale e il desi-

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Giancarlo Montelli, Cirongilio e il drago, in basso: Capitano di ventura, Federico Barbarossa Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

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Giancarlo Montelli, Mulino a vento Gigante, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

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Giancarlo Montelli, Don Chisciotte e Pinocchio, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

derio di distanze.

prenderne

le

Non solo personaggi mitici nel poema di Don Chisciotte lo sguardo si sofferma anche su figure minori, i cosiddetti amici di don Chisciotte In primis il suo scudiero Sancho Panza che in groppa ad un ciuco con la promessa un giorno di diventare governatore di un’isola, lascia la famiglia e la campagna per seguirlo nelle sue disavventure. Una su tutte: la lotta contro i giganti che altri non sono che mulini a vento. Sancho Panza è l’unico vero amico del Cavaliere. C’è poi la governante che vive con lui insieme alla nipote ventenne Antonja Quiana e al domestico. La donna è talmente in ansia per le sorti del cavaliere che convince la nipote, il barbiere e il curato a bruciare i libri di cavalleria considerati causa della sua follia. Oltre al barbiere e il curato ci sono l’oste con la moglie e la figlia che Don Chisciotte scambierà per i castellani dell’osteria/castello dove avverrà l’investitura a cavaliere con una ridicola cerimonia dopo la “veglia delle armi”, infine il prigioniero Ginès de Pasamonte e Sansone Carrasco, il baccelliere, che più volte si scontra con Don Chisciotte costringendolo con la vittoria nel secondo duello a far ritorno al proprio paese. Un lungo racconto fatto di immagini e parole è il caso di dire per incontrare personaggi

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Giancarlo Montelli, La morte di Don Chisciotte, Don Chisciotte & C., Odradek edizioni

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mitici ma attraversare in una serie di metafore disegnate il senso più profondo dell’esistenza. E non c’è cavaliere senza cavallo a cominciare da Ronzinante. Nel libro c’è un sottotitolo che lo riguarda ed è il vecchio adagio “La bellezza è negli occhi di chi guarda”... Infatti Don Chisciotte ha per destriero uno scassatissimo cavallo che lui vede bellissimo e prestante al di sopra per valore e potenza di tutti i più famosi cavalli dei grandi cavalieri della leggenda e della storia. Poi ci sono i cavalli di legno, da quello più famoso di Troia al fantastico Clavilegno di Cervantes. E tra le pagine che ne ripercorrono la storia, si inseriscono illustrazioni e bozzetti, progetti delle figure articolate da animare... Come per l’episodio del Clavilegno in cui Don Chisciotte e Sancho Panza vengono presi in giro da certi conti che dopo averli bendati li fanno montare sul cavallo di legno facendo credere che si tratti di un cavallo alato. O nella disavventura contro i mercanti quando Ronzinante cade rovinosamente e giù una serie di disegni un vero e proprio studio come cade un cavallo. C’è un aspetto che si ritrova in tutti i miei disegni ed è la voglia che ho sempre di scomporre i miei personaggi in pezzi e farne delle marionette da mettere nel teatro dei Pupi oppure delle figure meccaniche. Le illustrazioni del libro parlano anche di questo. In questo volume Maestro hai voluto mettere di nuovo in primo piano il disegno puro. Tu che hai una padronanza assoluta in tutte le tecniche dal disegno in punta di china all’illustrazione digitale. Come è cambiato il mondo dell’illustrazione e quali sono realmente le basi per poter essere un buon illustratore. Ho sempre lavorato in punta di china e acquerello, ho lavorato molto con

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Giancarlo Montelli, Chissà se a Don Chisciotte, Don Chisciotte & C, Odradek edizioni

testate giornalistiche (La Repubblica, L’Espresso, nda) per illustrare articoli o grandi pagine di dossier. All’epoca non c’era il computer e quindi con tempi ridottissimi bisognava realizzare l’illustrazione, correre in redazione dove venivano fatte le pellicole, montate al tavolo luminoso insieme ai testi e preparate le lastre per la stampa. Adesso fare l’illustrazione direttamente al computer consente di lavorare velocemente e realizzare un file perfettamente compatibile con i moderni sistemi di stampa digitale. Le moderne tavolette grafiche perfezionate consentono di simulare tutti gli strumenti di disegno, dai vari supporti ai pennelli, penne, matite, colori. Quindi per l’illustrazione editoriale il disegno con mezzi tradizionali viene man mano abbandonato a favore del disegno digitale che consente, tra l’altro il copia e incolla, tornare indietro se si sbaglia, cambiare velocemente colore, lavorare su livelli diversi. Nel disegno tradizionale, specie con l’acquerello, se sbagli butti tutto e ricominci

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Giancarlo Montelli, Contro i mercanti, Don Chisciotte & C, Odradek edizioni

da capo. Non voglio dire che un mezzo è superiore all’altro. Si possono fare capolavori con la tavoletta grafica e croste con i mezzi tradizionali e viceversa. Però è proprio il lavorare sulla carta, la tensione di non poter sbagliare, lo stendere con il pennello i colori, aspettare il momento giusto dell’asciugatura per aggiungere altro colore, aggiungere gessi o matite colorate, e ottenere un originale e non un file che quando spegni il computer scompare, mi da quell’emozione che non mi da l’illustrazione digitale. Con il computer ho sempre lavorato tanto e spesso per velocità facevo l’illustrazioni a pezzi e poi le componevo al computer per mandare il file in redazione. Ho sempre lavorato con

penne e acquerelli. L’unica esperienza totalmente a computer è stato il Barone di Muchhaussen che è andata benissimo con una bella mostra realizzata al Palazzo Ducale di Cavallino (Lecce) con file stampati in formati giganteschi che farli a mano ci sarebbero voluti mesi, e questo è un altro aspetto che ti consente l’illustrazione digitale. Lavorare su file grandi estremamente versatili. Però il disegno è il disegno. Grazie Maestro per questo nuovo libro che chiude la trilogia dei bugiardi e riscoprendo i classici ci fa pensare a quanto sosteneva Gustave Flaubert «Ama l'arte; fra tutte le menzogne è ancora quella che mente di meno.»

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Otranto, la Cattedrale, foto di Alessandro Romano

fede e fantaSia ad otranto nel moSaico di pantaleone Raffaele Polo

I LUOGhI DEL MISTERO

La grandiosa opera nella Cattedrale che racchiude tutti i misteri del primo millennio

S

e il Dio, per essere tale, non si deve vedere (Deus absconditus est), così un mistero non deve avere una soluzione. Deve, insomma, suscitare interesse, indurre alla formulazione di ipotesi e congetture, ma poi deve rimanere senza una cetta spiegazione. Sennò, che mistero sarebbe?

Ecco allora che dobbiamo, per forza, parlare del maggiore mistero del nostro Salento che, pure, ne ha tanti: il pavimento della Cattedrale di Otranto, ovvero la grandiosa opera del monaco Pantaleone che, nel XII secolo riesce a creare una splendida allegoria di tutto lo scibile dell'epoca, mescolando con superba

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I LUOGhI DEL MISTERO

Otranto, particolari del Mosaico di Pantaleone, foto di Alessandro Romano (I colori dellla Sirena)

maestria leggende, miti, Fede e Fantasia e poi scomparendo nel nulla. Oggi, infatti, anche la sua figura, un po' come Omero, è avvolta da leggenda e ipotesi. E, soprattutto, è decisamente ignorata da tutti, neanche una strada, neppure una statua o una targa in ricordo del creatore del capolavoro che, in più di 16 metri quadrati, racchiude tutti, o quasi, i misteri che potevano formularsi nel primo millennio. Il bello è che Pantaleone ci ha mostrato e suggerito anche le soluzioni, caso per caso, figura dopo figura. E giustamente don Grazio Gianfreda, che ricordiamo con imperitura memoria, suggerisce di assemblare le figure e comprendere il loro assieme, piuttosto che analizzarle singolarmente.... Ma non basta; e ci meraviglia come Dan Brown non abbia scelto proprio questo pavimento per una delle avventure del professor Langdon che, come ormai sanno tutti, ci va a nozze con questi 'misteri' che risolve con semplicità squisitamente letteraria. Tra l'altro, sul pavimento vi sono anche simboli, segni e rimandi agli onnipresenti Templari che, da soli, monopolizzano buona parte dei 'misteria' di nostra conoscenza. Ma c'è anche Re Artù, tanto per dire. E non si può sbagliare perché appare vicino alla sua figura la scritta esplicativa ad indicarlo. In una sorta di antica progenitura dei fumetti, sono indicati i nomi di alcuni personaggi nel contesto del mosaico, quasi a voler aggiungere un mistero al mistero: infatti sono segnate le

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Otranto, particolari del Mosaico di Pantaleone, foto di Alessandro Romano

I LUOGhI DEL MISTERO

figure più identificabili, mentre restano sconosciute e indecifrabili alcune immagini che sollecitano decisamente la fantasia, come il Gatto con gli stivali o il mostro senza corpo né coda, per non parlare dei mille particolari che si affollano nell'osservazione particolareggiata del contesto del mosaico. È chiaro che Pantaleone aveva un

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I LUOGhI DEL MISTERO

Otranto, particolari del Mosaico di Pantaleone, foto di Alessandro Romano (I colori dellla Sirena)

obiettivo, da sviluppare e far integrare al contesto chiesastico della Basilica di Otranto. Dove, tra l'altro, sono custoditi nelle impressionanti teche a finestra, le centinaia di teschi dei Martiri. Quasi a voler presagire quest'altra incredibile vicenda, il mosaico pare essere un'ulteriore chiave di lettura per gli eventi inspiegabili che si sono succeduti proprio lì, ad Otranto, nella vicinanze della Abbazia di Casole, di cui nulla è rimasto, se non l'ennesimo mistero di una sapienza messa proprio al centro del Mediterraneo, a far da spartiacque a civiltà e culture diverse. Il mistero, anzi i misteri, sono tanti. E anche l'accurata analisi realizzata in tante pubblicazioni (il solo Gianfreda ne ha realizzate molte, nel corso della sua vita) può portare solo ad ipotesi, molte delle quali appaiono plausibili ed asseverate da successivi studi. Ma sono solo ipotesi, argute, intelligenti, spesso fantasiose spiegazioni che finiscono per rendere ancor più indecifrabile lo scenario che l'Albero della Vita ci presenta, in tutto il suo splendore. Il mistero resta, dunque. E non ci resta che recarci in silenziosa visita a Otranto, imboccare la salita che conduce alla Cattedrale, osservare il rosone della facciata e immergerci poi nell'ovattato chiaroscuro dell'interno. Il mosaico comincia subito, da qualsiasi punto si inizi l'osservazione, statene certi, il mistero sarà di eguale intensità. Che vi dicevo? Il mistero, per essere tale, non deve avere soluzioni certe....

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La fabbrica delle parole reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

a lecce il muSeo della faBBrica delle parole Sara Foti Scaivaliere

Il Museo permanente sull’Arte della Stampa nel cuore di Lecce l’ex Convitto Palmieri

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l 20 giugno scorso ha fatto il suo debutto un interessante operazione museale nel cuore del centro storico di Lecce con l’apertura del Museo permanente sull’Arte della Stampa “La Fabbrica delle Parole” all’interno delle sale dell’ex Convitto Palmieri, adiacenti alla Biblioteca Bernardini. Un’importante iniziativa, avviata dalla Regione Puglia – Assessorato all’Industria Turistica e Culturale, Provincia di Lecce e Polo biblio museale di Lecce. Il percorso tematico è un lungo viaggio che si muo-

ve da un antico esemplare di epigrafe messapica, fino ai primi modelli Apple, passando per i grandi macchinari a stampa di Otto e Novecento che raccontano l’evoluzione della tipografia. Sono infatti visibili vari modelli di torchio e una serie di strumenti per il ciclostile, sistema per la copiatura che ha anticipato le macchine fotocopiatrici degli anni Sessanta, per arrivare alle serie di computer Macintosh. In esposizione nelle ampie sale dell’ex Convitto anche una sezione dedicata ai periodici

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L’ex Coonvitto Palmieri, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

culturali che, tra la fine del XIX e la fine del XX secolo, hanno contrassegnato la storia dell’editoria in Terra d’Otranto. Tra le esperienze più significative, certamente “L’Albero”, rivista collegata alla straordinaria esperienza culturale di Girolamo Comi avviata a Lucugnano nel 1949, e “L’esperienza poetica”, 1954, di Vittorio Bodini; per giungere poi negli anni Settanta e Ottanta con personalità come Antonio Verri, ideatore di riviste letterarie quali il “Caffè Greco”, il “Pensionante de’ Saraceni” e il “Quotidiano dei poeti” e Francesco Saverio Dòdaro, fondatore del Movimento di Arte Genetica con l’avvio della rivista “Ghen”, 1977, entrambi promotori di una cultura antiaccademica e plurale. Un angolo speciale dedicato a quegli strumenti fatti di carta, caratteri e inchiostro che animarono nei secoli la vita intellettuale del Salento e rappresentano un pezzo fondamentale della storia della cultura di questa terra. Il progetto espositivo, curato da Brizia Miner-

va, Sara Saracino e Anna Lucia Tempesta con Alessandra Berselli, Vincenzo, Sonia e Luca Martano, presenta anche una sezione video-documentaria di Mauro Marino e Stelvio Attanasi, mentre l’identità visiva e l’allestimento grafico sono di Donata Bologna. La Fabbrica delle Parole è un progetto museale e partecipativo di grande respiro culturale, che si inserisce nel percorso intrapreso dal Convitto Palmieri di Lecce, che con la Biblioteca Bernardini si sta sempre più indirizzando come epicentro di percorsi plurali riguardanti la cultura del libro e la lettura, intesa come processo di rigenerazione delle coscienze e di progettazione di possibili futuri che incontrano anche le arti attraverso mostre, pubblicazioni, teatro, cinema e musica, grazie all’impegno delle associazioni e delle tante realtà coinvolte. Si potrebbe affermare che idealmente la storia della Fabbrica delle Parole nasce nel 1903 nella bottega tipografica Lazzaretti, quando Salvatore Martano avvia una stamperia che tramanderà ai figli Vincen-

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La fabbrica delle parole reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

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zo ed Ernesto, fino ai nipoti. Vincenzo Martano, testimone e custode dell’impresa di famiglia, la cui storia copre più di un secolo. L’azienda si sviluppa lungo due settori portanti: la stampa della modulistica a striscia continua e quella specializzata nella stampa dei giornali, dai quotidiani ai settimanali e altri periodici. Successivamente i due rami aziendali vengono sviluppati portando la Martano Editrice Srl sia nella sede di Lecce, nella zona industriale, sia a Bari, dove vengono stampati numerosi quotidiani nazionali e locali. La dedizione per questo lavoro che mai ha lasciato Vincenzo, ha alimentato la sua passione per il collezionismo di tutto ciò che ha rappresentato la storia della sua famiglia e della stampa tra Otto e Novecento: dall’iconico “torchio a stella” ai vari modelli di “pedaline” per la stampa veloce compreso il modello di “Totò”, alle macchine da stampa “piano – cilindriche” dei primi del Novecento. Un racconto che non tralascia nulla, comprendendo una serie di strumenti per il ciclostile, sistema per la copiatura, che introduce alle macchine fotocopiatrici degli anni Settanta basate sull’invenzione di Carlson per la riproduzione xerografica di un documento. Da qui al digitale il passo è così

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La fabbrica delle parole reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

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breve da ritrovarci davanti a una serie di Microcomputer Macintosh, tra cui il modello Apple 1976, il primo personal computer della storia. È stata grande la passione della Martano per l’arte tipografica.

ro e sapere, capace di restituire la storia dell’arte di Gutenberg, profondamente legato all’umano bisogno di comunicare. E così che centinaia di minuscoli caratteri incisi nel legno e forgiati nel piombo, assieme ai torchi per imprimere, La Fabbrica delle diventano patrimonio Parole è un contenito- di cultura, storia, tecre ideale per un rac- nica e creatività. conto che lega insieme arte e tecnica, conoscenza specialistica e passione, lavo-

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Ferando De Filippi, Il vento del passato , 1972

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de filippi, l’arte che indaga Spazi, forme, penSieri Raffaele Polo

A Lecce, nelle sale del Museo Sigismondo Castromediano, dal 4 settembre, la mostra dedicata a Fernando De Filippi

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i ha sorpreso trovarlo dove meno te l'aspetti: sulla nave, in crociera. I suoi inconfondibili quadri abbelliscono la 'Costa Serena' e, in un certo senso, fanno da contraltare alle opere che sono all'ingresso della 'nuova' casa circondariale di Lecce; nuova per modo di dire, perché i dipinti sono lì da venticinque anni ma hanno serbato, intatto, tutto il loro fascino. E non ci ha sorpreso trovare l'amico Fernando De Filippi in luoghi così diversi. È tipico della sua incredibile versatilità, riuscire a coniugare con efficacia i segnali più evidenti del nostro tempo. Lui è stato sempre presente, a stigmatizzare un gesto, come potrebbe essere quello di imbrac-

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ciare un fucile o sventolare una bandiera rossa, oppure a presentare un ricercato simbolo che rappresenti tutto il nostro vissuto. Del resto, per chi ha una certa età e ha vissuto, magari partecipando attivamente, l'euforia e la disillusione pre e post '68, esistono tuttora alcuni capisaldi, nelle Arti, che ricordano e simboleggiano proprio quel periodo, con tutti gli intuibili risvolti, che sono a configurare un periodo tutto sommato magico e ricco di suggestioni. Soprattutto perché eravamo giovani (mi ci metto anch'io...) e pieni di entusiasmo. Chi ha interpretato perfettamente i nostri ideali, le nostre aspirazioni, nel campo pittorico, è stato certamente Fernando De Filippi.


Fernando de Filippi, La città ideale 1996

Anche per la sua motivata scelta di realizzare molte delle sue opere in formato manifesto, grazie alla serigrafia e alle tecniche grafiche che consentivano la diffusione del multiplo in tante copie... Lo confesso: alcune opere del Maestro sono ancora nel mio studio, campeggiano e sovrastano, con le loro dimensioni maxi, le grafiche e i lavori di altri valenti artisti, tutti protagonisti di quegli 'anni Settanta' che, per la nostra cultura, sono stati così importanti. Perciò, è con grande piacere ed emozione che plaudiamo alla iniziativa che vede le sue opere esposte in buon risalto in quella Lecce che, purtroppo, costringeva i suoi figli più dotati ad emigrare, ad andare 'al Nord', proprio come è successo a De

Filippi che, se fosse rimasto qui, sicuramente non avrebbe realizzato il suo importante percorso... Guardiamo, osserviamo, assimiliamo perciò le sue realizzazioni con grande interesse e con una punta di commozione. E vogliamo ricordare che, quando venivano realizzate queste opere, non c'erano ancora i computer in ogni casa e i telefoni funzionavano a gettone. Può sembrare una cosa da nulla, un aspetto poco importante. E invece, bisogna partire proprio da questo per poter meglio comprendere come sia emozionante quello sventolio di bandiere rosse che racchiudeva una speranza purtroppo svanita nel nulla. Come la nostra giovinezza. Arte come processo di riflessione, dinamica di

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Fernando De Filippi, Il tempio nella foresta

indagine, spazio di condivisione per comunità, contesto in cui interagire e immaginare nuovi possibili forme di futuro. La ricerca dell’artista Fernando De Filippi rivela queste sintomatiche relazioni con il lavoro che il Polo bibliomuseale di Lecce ha avviato e sta portando avanti attraverso mostre (pensiamo a quelle su Ezechiele Leandro e Edoardo De Candia), momenti corali di riflessione e workshop con artisti della contemporaneità. In occasione dei suoi ottant’anni il Museo Castromediano gli dedica una mostra antologica promossa da Regione Puglia – assessorato all’industria turistica e culturale, Polo biblio-museale di Lecce, Teatro Pubblico Pugliese e con il patrocinio del Comune di Lecce e dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, che si inserisce anche nell’alveo del protocollo d’intesa firmato alcuni mesi fa in merito alla valorizzazione e alla messa in rete dei musei e degli spazi espositivi della città. Le grandi sale della Pinacoteca del Museo Castromediano accolgono così la lunga ricerca di un maestro dell’arte contemporanea, nato a Lecce nel 1940 e di stanza a Milano sin dal 1959, con alle spalle un’intensa storia di ricerca, militanza culturale e una prestigiosa attività espositiva, che l’ha visto esporre le proprie opere alla Biennale di Venezia, a Palazzo Reale di Milano e in alcuni importanti musei nazionali e internazionali sin dagli anni Sessanta. La mostra, inaugurata il 4 settembre e fruibile sino al 2 ottobre, suddivisa in specifiche sezioni, analizza in maniera sistematica la sua indagine sin dai primi anni Sessanta, attraverso le opere legate a un personale impegno politico e sociale, declinato mediante iconografie legate alla Pop-Art, ma assolutamente autonome rispetto alle istanze americane,

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per poi giungere, attraverso l’analisi dell’iconografia di Lenin, alle performance, alle scritte sulla sabbia legate agli scritti teorici di Marx e poi, dagli anni Ottanta, alla mitologia e alla costruzione di un immaginario in cui l’iconografia dell’albero assume una determinata centralità. Si approda poi agli anni Duemila, con le opere realizzate con l’ausilio delle nuove tecnologie, in cui il fuoco e la riflessione sull’alchimia evidenziano particolari visioni. In mostra anche documenti e materiali legati alla sua storia d’artista e intellettuale e una video-intervista inedita con l’artista. Nel percorso ormai sessantennale di Fernando De Filippi è possibile rileggere in filigrana i principali momenti del dibattito artistico internazionale dalla seconda metà del ‘900 ad oggi. Lui c’è sempre, senza pause, testimone e primo attore. C’è nella lucida consapevolezza dei passaggi della storia, nelle scelte di campo e nella riflessione sulla natura dell’arte, nell’utilizzazione consapevole di situazioni, immagini, simboli, mitologie del nostro tempo. C’è nel sapiente possesso dei linguaggi e degli strumenti del fare arte, dal passato al presente tecnologico: è pittore scultore grafico, pratica installazione e fotografia, attraversa un’importante fase comportamentale con azioni d’impronta politico-ideologica e concettuali (e relative derivazioni filmico-fotografiche), ritorna ancora alla pittura, ma per il tramite di elaborazioni digitali. Si delinea così il profilo esemplare di una ricerca caratterizzata da una rigorosa e insieme flessibile visione mentale e analitica che tuttavia non rinuncia alla “poesia”, sia pure in una forma priva di ogni ingenuità o lirismo, nata dalla stessa esigenza di riflessione, inesauribile nel suo proporsi. Il tema della memoria, come meccanismo sovratemporale che ricuce gli eventi del tempo in una ricostruzione personale che subito si confronta e si apre alla dimensione storica e sociale, attraversa – con maggiore o minore intensità – tutte le stagioni di questo percorso: in un continuo andirivieni tra passato (non solo personale, ma universal-

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Fernando De Filippi, l’albero poeta, 1988

mente mitico) e presente (come storia e ideologia), tra atemporalità dell’arte e tempo storico. La mostra, coordinata da Luigi De Luca e curata da Brizia Minerva e Lorenzo Madaro, fa quindi il punto su tutta la sua indagine, come rivela anche il catalogo, edito da Prearo, che accoglie anche un denso apparato iconografico e testi dei curatori. “Ricerca e divulgazione, prossimità e sguardo aperto sul mondo, narrazione e, soprattutto, comunità: sono state queste le linee guida della nostra programmazione espositiva, che in questi anni ha visto il Polo biblio-museale di Lecce impegnarsi in maniera sistematica con dei focus sui maestri dell’arte contemporanea che dalla Puglia hanno varcato i confini con un respiro nazionale e internazionale. Oggi con Fernando De Filippi indaghiamo un altro campo: il maestro ha una lunga storia da intellettuale militante, sin da quando – giovanissimo – ha lasciato Lecce per Milano, città che l’ha accolto con entusiasmo e progettualità. Pieno di energie, brillante, talentuoso, bravissimo disegnatore: il giovane Fernando da studente dell’Accademia di Brera è poi diventato, dopo anni di impegno nella docenza, direttore della prestigiosa istituzione, forse la più importante accademia italiana”, commenta Loredana Capone, assessore all’industria turistica e culturale della Regione Puglia. Per Luigi De Luca, direttore del Polo bibliomuseale di Lecce, “La mostra che ospitiamo al Castromediano vuole dimostrare come De Filippi non abbia mai derogato in tutta la sua lunga e feconda carriera alla responsabilità della scelta, sia come uomo che come artista. Anche quando l’ideologia si affievolisce, la politica delega alla società dello spettacolo e all’industria della cultura i suoi ideali e i sogni di cambiamento, e le onde del mare cancellano le parole dei sacri testi di Marx impresse sulla sab-

bia, l’arte si riduce a slogan e la resa alla società dei consumi appare definitiva, anche quando tutto sembra perduto, De Filippi ci indica una via: quella di un’arte come ricomposizione dell’unità della vita”.

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Profilo biografico dell’artista La formazione di Fernando De Filippi (Lecce, 1940) è stata di tipo accademico. Dopo aver frequentato la sezione di “Pittura decorativa” nell’Istituto d’Arte della sua città –un tipo di scuola che permetteva di entrare immediatamente in contatto con gli strumenti della pittura e di fare esperienza sul campo, riprendendo in qualche modo il concetto della bottega rinascimentale- nel 1956 ottiene il titolo di “Maestro d’Arte”, corrispondente all’attuale maturità artistica. (Questo tipo di scuola sarà soppresso dopo il 1962). Contemporaneamente all’Istituto d’Arte frequenta il Liceo Musicale, scegliendo come strumento il corno. Nell’estate del 1959, con il ricavato delle vendite della sua prima mostra personale a Lecce, parte per Milano in lambretta. Da qui, dopo alcuni mesi, si trasferisce a Parigi dove incontra Jean Fautrier e entra a contatto con la poetica e le tecniche dell’informale che allora rappresentava il momento estremo dell’avanguardia internazionale. Dopo un anno vissuto da bohémien a Parigi, torna a Milano e si iscrive al corso di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, concludendo gli studi nel1964. Nel 1966 ottiene la docenza di Ornato Disegnato al Liceo Artistico di Brera che dirige dal 1971 al 1973; nel 1973 assume la cattedra di Tecniche Grafiche speciali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 1978 vince la cattedra di Scenografia all’Accademia di BB.AA.di Bari, quindi torna ad insegnare all’Accademia di Brera a Milano, dove nel 1991 viene nominato direttore, carica che ricopre ininterrottamente sino al 2009. Dal 2009 al 2011 dirige l’Accademia di BB.AA di Verona. Dall'ottobre del 2016 all'ottobre del 2019 è presidente dell'Accademia di Belle Arti di Lecce. Nel 1959 De Filippi inizia la sua lunga attività espositiva con una personale nella galleria “Il Sedile” di Lecce. Seguono oltre un centinaio di personali in Italia e all’estero: New York, San Francisco, Varsavia, Belgrado, Parigi, Bruxelles, Ginevra, Lisbona, Vancouver, Malta, Buenos Aires, Cina. Ha partecipato a cinque edizioni della Biennale di Venezia con sale personali nel 1970/72/76 e con due “progetti speciali” nel 1978 e nel 1980. È stato tra i protagonisti della IX, X, XI XII Quadriennale di Roma e della Triennale di Milano nel 1981.Ha inoltre partecipato, selezionando tra le numerosissime mostre, a: “Arte in Italia dal 1960/1975”, Galleria d’Arte moderna, Torino; “Arte Italiana”, Haward Gallery, Londra; “Le linee della ricerca artistica in Italia”, Palazzo delle Esposizioni, Roma; “Aspetti della Pittura italiana dal dopoguerra ai nostri giorni”, Museo d’Arte moderna, San Paolo e Rio; “Pittura a Milano dal 1945 al 1990”. Nel 1998 tiene un’importante personale a Palazzo Reale a Milano. Numerosi i premi e i riconoscimenti nel corso degli anni: nel 2005 nella sede del Castello Sforzesco di Milano gli viene assegnato il Premio Internazionale Principe di Venezia; el 2010 il Premio delle Arti – Premio della Cultura- Circolo della Stampa - Milano. Nel 2015 l'Associazione Architetti Artisti Italia, all'interno delle Manifestazioni per Expo Milano, gli assegna il Premio per le Arti Visive. Nel 2018 la città di Novara gli assegna il Premio alla carriera artistica.

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il filo della Storia

Le opere di Federico Caputo nel Museo Ebraico e le sculture di Margherita Grasselli nei cortili di Palazzo Adorno, Palazzo dei Celestini e Palazzo Tamborino Cezzi

Tre luoghi per una mostra. Si intitola Il Filo della Storia” e si srotolerà tra il Museo Ebraico di Lecce e nei cortili di Palazzo Adorno, Palazzo dei Celestini e Palazzo Tamborino Cezzi. Dal 6 settembre, nell’ambito della Giornata Europea della Cultura Ebraica, fino al 7 febbraio 2021 un percorso espositivo che vede coinvolti l’artista Federico Caputo, il curatore della mostra Ermanno Tedeschi, i responsabili amministrativi del Museo Ebraico Michelangelo Mazzotta e Francesco De Giorgi. “Fili della Storia” e “Bambine a corte” sono le due sezioni che raccontano la storia della cultura ebraica rivisitandola attraverso i fili di lana e le tele ricamate con temi ebraici di Federico Caputo. L’artista, le cui opere saranno in mostra nelle sale del Museo Ebraico, ha studiato attentamente i simboli dell’ebraismo e individuato una serie di temi e soggetti. Dagli oggetti tipici della religione ebraica, come dei sevivon, degli etrog, un chanukkiyah e dei mezuzah alle parole simbolo di positività universalmente riconosciute e raffigurate in lingua ebraica: buongiorno, buona fortuna, buona sera, pace (shalom). In mostra saranno presenti anche dei quadretti ricamati con alcuni volti cari al mondo ebraico italiano, e non solo, come Liliana Segre, e una scena dal rito del matrimonio ebraico. Per la sezione Sezione “Bambine a corte le sculture in argilla di Margherita Grasselli abiteranno alcuni storici palazzi leccesi.

Hanno tutte un nome, sempre legato a qualche ispirazione reale ma non un volto identificato e ciò le rende ancora più misteriose e mistiche. Le ultime opere riflettono l’esperienza unica che per alcuni mesi l’artista ha avuto la possibilità di fare nella fabbrica di ceramiche di Franco Fasano a Grottaglie, dove la vicinanza di grandi maestri l’ha aiutata a perfezionarsi sempre di più. In questo progetto alcune sculture avranno dei vestitini e un pupazzo in tessuto, cuciti da Federico Caputo: il tessuto, il trait d’union che unisce i due artisti, animerà la mostra presso il Museo Ebraico di Lecce e quella diffusa per i cortili della città. A Palazzo dei Celestini a Lecce, sede della Provincia, saranno inserite 3 grandi bimbe al centro su una pedana, all’ingresso esterno

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del Museo Ebraico una in piedi o seduta, sulla panchina nel cortile di Palazzo Cezzi Tamborino due bimbe e all’interno di Palazzo Adorno verranno installate alcune sculture in piedi, alcune sui gradini e altre Nato nel 1995 a Sanremo Federico Caputo dal 2014 vive, studia e lavora a Torino. La sua ricerca artistica ha come base la tradizione e lo stile sartoriale italiano applicati a un immaginario che affonda le radici nella storia dell’arte moderna e contemporanea.

Margherita Grasselli nata a Perugia nel 1970, è laureata in Scienze Politiche. Intraprende il suo cammino di scultrice a partire da settembre 2001, iniziando a frequentare i corsi di Marco Severini presso l’Accademia Belle Arti di Roma spaziando dalla lavorazione dell’argilla a quella della pietra, imparando la lavorazione delle resine e di vari tipi di materiali. Nel 2011 apre a Roma lo Spazio espositivo LiberArte che oltre

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ad essere il suo laboratorio diventa anche centro espositivo aperto agli artisti. Impegnata anche nel sociale nel 2004 con un’amica ha fondato la onlus Africa Sottosopra che ha realizzato numerosi e importanti progetti.


Daniele Papuli, Librovisionomie, nel riquadro Intondo blu

emozioni ii. paura ed anSia Scultografie di daniele papuli Francesco Sticchi

Dall’11 al 20 settembre al Fans di Maglie la mostra dell’artista curata da Carmelo Cipriani Dal 20 al via le conferenze

MAGLIE (LE) Il FANS (Fansinaptico), nel suo viaggio tra le neuroscienze, approfondisce, in questo secondo appuntamento con le emozioni, i temi della paura e dell'ansia, ed incontra le avvincenti opere dell’artista Daniele Papuli, ulteriormente impreziosite dalla competente curatela di Carmelo Cipriani. Qualcuno ha detto che l'interesse e la paura sono i due modi per far muovere gli uomini e questa chiave di lettura ha determinato l'abbinamento di Fansinaptico a Papuli, con orgoglio propheta in patria, in quanto magliese di nascita, proprio come la Fondazione. A volte la carta è solo carta, altre volte un modo di catturare la verità, una

verità che può anche originare o indurre ansia e paura, emozioni che invadono ed avvolgono l'Io allorquando affronta o ritiene di trovarsi dinanzi ad un pericolo, reale o presunto che sia, proprio come alcune scultografie di Papuli, intricati e invadenti grovigli di concavità e strutture lamellari, alveoline, ciuffi, volute, aerei arazzi, che si traducono o manifestano in messaggi, tensioni ed allerte per l'anima. Mentre la Paura, attivando l’amigdala, scatena emozioni negative, ma utili alla sopravvivenza, le sinuose e fluide opere di carta di Papuli attirano nei loro vortici e ghirigori, rapendo e coccolando, e permettono di rilassarsi ed allentare la tensione,

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Daniele Papuli, Cartoframma blu

stemperando ansie e paure, in una sorta di terapeutica catarsi della Psicologia della forma (Gestaltpsychologie): le forme vive, mutevoli e vibranti delle carte dell'artista, che dialoga con la materia, lo spazio ed i luoghi, ci conducono ed immergono in una esperienza sensoriale, ottica, colorata e talvolta geometrica; creazioni che, girovagando sopra e dentro se stesse, originano tratturi o vere strade a doppio senso, di andata e ritorno, proprio come i circuiti mentali dell’ansia fra ipotalamo e amigdala ed il resto del cervello. Considero le opere di Papuli forme di vita, matrici biologiche, ingrandite rispetto alla struttura microscopica dei substrati organici del nostro corpo, e dunque, similmente agli stessi, talvolta non completamente definite,

ma lasciate all'analisi dell'osservatore per esprime la loro compiuta essenza; tale preziosa incertezza interpretativa è la condizione perfetta per incitare l'interlocutore a scoprire nuove ed insolite strade. Similmente, nella vita quotidiana, l'incertezza, pur se fonte di paura ed ansia, quando si abbraccia, spinge ciascuno a sperimentare e superare le proprie possibilità. Vernissage 10 Settembre 2020 h. 21.00 senza conferenza Mostra dall'11 settembre al 20 settembre 2020 (ogni sera dalle 21.00 alle 24.00 con conferenza iniziale) Dal 21 settembre sino al 23 dicembre 2020 solo su appuntamento. Obligatoria mascherina all'ingresso. Per informazioni o appuntamenti tel. 339.61.45.183.

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Spiazzamenti, cinema e teatro e il quartiere Si rianima

Da 5 al 6 settembre la rassegna ideata dall’associazione Ritualis

LECCE. Il cinema e il teatro come strumenti di riqualificazione. é questo l’assunto di partenza del festival “Spiazzamenti” che renderà protagonista il 5 e 6 settembre, (con inzio alle ore 20.00, ingresso gratuito). Platea d’eccezione la piazza che ospita il mercato coperto di Santa Rosa, palchetti e loggione i balconi del Condominio Quadrifoglio, nell’edificio chiamato “La staffa”. “Spiazzamenti” è il festival nato dall’associazione Ritualis, da poco costituita, allo scopo di promuovere una riqualificazione di tipo culturale, sociale e architettonica di un quartiere singolare e sempre più vivo com’è Santa Rosa che, frutto di una progettazione urbanistica figlia degli anni ‘60, ora rappresenta bene un concetto di comunità che ricongiunge il vecchio al nuovo, le vecchie generazioni con le nuove. Attraverso la narrazione cinematografica, teatrale e fotografica, il quartiere vivrà sotto i riflettori riportando alla luce la memoria, l’architettura, la periferia, aprendone la discussione. Il cinema all’aperto apre il 5 settembre con la proiezione, nello spazio del mercato coperto, dei cortometraggi “Cratta” di Fausto Romano, Sofia e Aria Prima di Gaetano Mangia e Luca De Paolis, Il Congedo di Edoardo Winspeare e il film La guerra dei cafoni di Davide Barletti e Lorenzo Conte, che interverranno durante la serata. Il 6 settembre lo sguardo si rivolge al palaz-

zo per assistere al teatro in movimento e a cielo aperto: da Fabrizio Saccomanno alle compagnie Io ci provo e Asfalto Teatro, saranno diverse le performance ad alternarsi. Nel corso delle due giornate, inoltre, saranno presenti le due esposizioni artistiche Audience, di Marco Calò e The Ink di Giancarlo Nunziato e bRIZZO. La prenotazione all’evento, di capienza massima per 199 persone, è consigliabile ed effettuabile al seguente link: spiazzamenti.it/prenota

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otranto, Salento guitar feStiVal concorSo e flaSh moB in Spiaggia

Dal 4 al 6 settembre la decima edizione dell’International Guitar Competition

Con un omaggio a Lucio Dosso, e nonostante l’emergenza Covid torna ad Otranto, la decima edizione dell’International Guitar Competition evento di punta del calendario estivo del Salento Guitar Festival di cui Stefano Sergio Schiattone è autore e direttore artistico. Strutturato in quattro categorie il concorso è destinato a studenti e concertisti di qualsiasi nazionalità che possono concorrere sia da solisti che in formazioni da Camera in relazione al livello di repertorio proposto. Questa edizione, si diceva, è dedicata alla memoria del Maestro Lucio Dosso, vincitore del Primo premio al Concorso Andres Segovia a Madrid nel 1989 e interprete raffinato ed acclamato nelle sale da concerto più prestigiose in Europa, Medio Oriente e Stati Uniti d’America. Al Primo premio della categoria performers sarà assegnata una chitarra artigianale da concerto realizzata dal liutaio Paolo Falorni da Prato, ospite del Festival e membro della giuria. Inoltre, tre concerti, un’ incisione per l'etichetta Dot Guitar fondata e diretta dal Maestro Lucio Matarazzo e l’iscrizione al Festival internazionale di Brno in Repubblica Ceca. Prestigioso anche il Premio Guitarsland per la categoria Students: una chitarra da studio e frequenza gratuita alle Masterclass della prossima edizione. La giuria è composta dal grande compositore e chitarrista Nikita Koshkin in collegamen-

to dalla Russia e dal talentuoso chitarrista Luciano Tortorelli (Napoli,) esponente della scuola chitarristica di Alvaro Company, tiene concerti in tutto il mondo in sale prestigiose come la Carnegie Hall di New York e da Adriana Veroes (Caracas-Venezuela) che rappresenta al meglio il leggendario magistero delle scuole dei Maestri venezuelani: Antonio Lauro, Rodrigo Riera e Alirio Diaz. Il calendario degli eventi prevede audizioni dei concorrenti presso il Castello Aragonese e l’Auditorium dell’Istituto Pontificio delle Maestre Pie Filippini e appuntamenti dedicati al. Apertura dei lavori il 4 Settembre alle 21 nei giardini del Vittoria Resort con il Recital di Antonio Carone, vincitore della scorsa edizione del concorso, a seguire Joropo Guitar trio. Sabato 5 Settembre alle ore 22.30 è previsto un flash mob chitarristico presso la spiaggetta della Madonna dell’Alto Mare. Il 6 settembre Prova Finale al Castello Aragonese con concerto di Max Trevisan (Venezia) in attesa di conoscere le valutazioni della giuria e i vincitori di questa edizione.

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1.I partecipanti dovranno inviare una prova di narrativa, racconto o novella, con il mare protagonista “in una stanza”. Il limite massimo di scrittura è di quattro cartelle, spazio due (2), con rigo di cinquanta battute, tipo di carattere Times New Roman, dimensione 12, entro e non oltre la data del 31 gennaio 2021. Non è consentito l’invio del cartaceo, con qualsiasi mezzo. 2.Alla domanda di partecipazione, ogni concorrente allegherà una scheda, max 10 righe, con le note biografiche. 3.Il lavoro deve risultare inedito e mai premiato (e tale deve restare fino alla prima presentazione pubblica). 4.Possono partecipare al Concorso Nazionale di narrativa “Il mare in una stanza” i cittadini italiani, civili e militari, che abbiano compiuto la maggiore età alla data della pubblicazione del presente bando. 5.Tutti i racconti in concorso dovranno pervenire entro la data stabilita tramite una mail che sarà di seguito indicata. 6.I racconti selezionati saranno pubblicati su apposita pubblicazione. 7.La partecipazione al Concorso non prevede quota di iscrizione. Sarà cura di ogni concorrente, provvedere all’acquisto di un minimo di 3 (tre) copie, senza obbligo di collaborazione futura.

8.I premi consistono in: coppe, targhe e pergamene, oltre alla pubblicazione come già indicato. Sono previsti premi speciali e segnalazioni. 9.Il giorno e il luogo della presentazione ufficiale dei vincitori sarà tempestivamente comunicato tramite mail a ciascun concorrente. 10. La giuria sarà formata da appartenenti al mondo della cultura, del giornalismo, dell’ANMI, della Lega Navale, della Scuola Navale Militare "F. Morosini” e dell’Associazione Nazionale Scuola Navale Militare “F. Morosini”. I loro nomi saranno resi pubblici durante la cerimonia di premiazione. Il giudizio della giuria è insindacabile. 11. La partecipazione al concorso comporta la piena accettazione del presente Regolamento; l’inosservanza di una qualsiasi norma qui espressamente indicata, comporta l’esclusione dalla graduatoria. La premiazione si terrà nel mese di giugno 2021 in una location istituzionale di prestigio che verrà comunicata in occasione della conferenza di presentazione della manifestazione. Info e contatti: Segreteria organizzativa Associazione culturale ICARUS e-mail ilmareinunastanza@ilraggioverdesrl.it

mobile. +39.3495791200

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I LUOGhI NELLA RETE | IL CONCORSO

Causa Covid, il ConCorso si terrà nel 2021. Prorogati i temini di sCadenza al 31/01/2021


miSeria e noBiltà Stefano Quarta

Se tu mangi due polli e io nessuno, statisticamente risulta che ne abbiamo mangiato uno ciascuno. Charles de Gaulle

i Luoghi della parola

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uesta frase, da sola, spiega millenni di contrapposizioni e lotte di classe. Nella storia recente portò alla suddivisione del mondo in due blocchi, non solo ideologici: il liberismo e il comunismo. Il primo ha l’obiettivo di premiare l’iniziativa e l’intraprendenza personale, il secondo si fonda su un forte spirito di condivisione e solidarietà. In realtà, il comunismo non ha mai visto la luce, per lo meno non nel modo in cui era stato concepito dal suo teorico, Karl Marx. Si dice infatti che i peggiori nemici di Marx siano i marxisti. Questo perché il comunismo come lo abbiamo conosciuto è stato semplicemente un regime totalitario al pari del fascismo, e la dottrina economica assunse un mero ruolo propagandistico. Esempi di vero comunismo sono estremamente rari e si limitano a piccole aggregazioni di persone unite da una ferma volontà di rinunciare alle regole del possesso. La verità è che il comunismo non si adatta bene alle caratteristiche umane. L’uomo ha bisogno di stimoli per dare il meglio di sé. Inoltre un egoismo di fondo fa sì che la solidarietà sia solo un compor-

tamento accessorio, certamente non posseduto da tutti. Perciò, in un mondo in cui l’impegno extra di un individuo serve a compensare l’inabilità di qualcun altro, l’individuo più abile tenderà a non impegnarsi a sufficienza. Tuttavia, lo sviluppo tecnico ed economico è sostenuto proprio dall’impegno di queste persone, dotate di ingegno ma anche di arrivismo (inteso in senso positivo). Tutto ciò è stimolato e premiato dal liberismo che, al contrario del comunismo, permette che ogni successo si “aggiunga” ai precedenti. Anche il liberismo ha, tuttavia, un limite: questo accumulo di ricchezza favorisce la creazione e la crescita di disuguaglianze. Vi è il detto “soldi chiamano soldi” (che altro non è che l’interpretazione popolare della teoria di Marx), cioè che non si fanno soldi senza una base di partenza. Effettivamente, chi possiede un patrimonio di 1 milione di euro, può investire a basso rischio e, nel lungo periodo, ottenere probabilmente un rendimento di almeno l’1-2% annuo, quindi un guadagno di 10-20 mila euro l’anno, pari allo stipendio annuo di diverse categorie di dipendenti. Investimenti

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più rischiosi renderanno quindi molto di più permettendo, a parità di spesa, un risparmio maggiore rispetto ad un operaio che guadagna 1000 euro al mese, andando ad ampliare sempre più la differenza patrimoniale. Secondo un rapporto Oxfam, nel 2018 le 22 persone più ricche al mondo possedevano la stessa ricchezza aggregata della metà più povera della popolazione mondiale (o, per intenderci, circa la metà del PIL italiano). Nello stesso rapporto si afferma che in Italia il 5% più ricco della popolazione ha un patrimonio pari a quello del 90% più povero. D’altronde, già solo le due persone più ricche al mondo, Jeff Bezos (Amazon) e Bill Gates (Microsoft) hanno un patrimonio congiunto di poco inferiore al PIL della Grecia. Stiamo quindi parlando di una tale concentrazione di ricchezza che trova la sua unica ragion d’essere nella sua stessa paradossalità. A cosa servono 100 miliardi di dollari nelle mani di una singola persona? È forse utile potersi permettere più di 4000 Ferrari? Non credo. Pertanto servono strumenti che redistribuiscano parzialmente la ricchezza, poiché con uno solo di quei 100 miliardi, è possibile far mangiare milioni di persone per un mese. Se

da un lato è quasi impossibile attuare una redistribuzione tra paesi diversi, all’interno dello stesso paese è certamente fattibile. E lo strumento per attuarla è la tassazione. Per questo motivo le tasse sui redditi delle persone fisiche sono progressive (cioè più alto è il reddito, maggiore è l’aliquota pagata). Recentemente, in Italia, si è parlato molto di flat tax, cioè di un’unica aliquota da applicare indipendentemente dal reddito. È vero, si parla di mantenere una “no tax area” tale da garantire progressività, ma si tratterebbe comunque di un modo per ridurre le tasse sui redditi più alti, nel solco di un’evoluzione della tassazione che va avanti da decenni. Nel 1974, anno in cui venne introdotta l’IRPEF, l’aliquota massima era del 72% (per redditi oltre i 500 milioni di lire). Fino al 1982 l’aliquota massima rimase invariata, ma vi erano ben 32 scaglioni con relativa aliquota. Nel 1983 gli scaglioni furono razionalizzati e ridotti a 9, con un’aliquota massima del 65%. Questa progressiva riduzione dell’aliquota massima continuò fino ai giorni nostri. Infatti attualmente l’aliquota massima è pari al 43% (Figura 1). Anche la soglia oltre la quale l’aliquota mas-

Figura 1 Evoluzione aliquota IRPEF più alta.

sima viene pagata è stata progressivamente ridotta (passando dal picco massimo dei 600 milioni di lire del 1986-88 agli attuali 75 mila euro). Quindi la pressione fiscale sui redditi

più alti è calata negli anni e la flat tax sembrerebbe l’atto conclusivo di questo processo. Eppure, dire che i ricchi pagano meno tasse non equivale a dire che tutti pagano meno

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Composizione percentuale e ripartizione geografica della spesa media mensile per alimenti e bevande (Fonte Istat)

tasse. Infatti, come certifica l’OCSE, né il gettito da tassazione sui redditi personali, né la pressione fiscale in generale sono calati, anzi (figura 2 e 3).In figura 2 e 3 possiamo

vedere come negli ultimi 30 anni l’Italia sia diventato uno dei paesi OCSE con la più alta pressione fiscale. I paesi con una pressione fiscale più alta sono quasi esclusiva-

mente i paesi del nord Europa, caratterizzati da un efficiente welfare state, cioè uno stato molto presente, che pretende elevate tasse ma, al contempo, offre molti serFigura 2 Aliquota media sui redditi personali (Fonte: OCSE; in nero la media dei paesi, in rosso l'Italia, in blu gli USA).

i Luoghi della parola

Figura 3 Pressione fiscale (Fonte: OCSE; in nero la media dei paesi, in rosso l'Italia, in blu gli USA).

vizi ai cittadini. All’estremo opposto abbiamo gli Stati Uniti, emblema di uno stato poco invadente nell’economia dei cittadini. Conosciamo, per esempio, la politica sanitaria statunitense, che demanda il più possibile alle assicurazioni private (che non tutti possono permetter-

si) la gestione finanziaria del sistema. Il problema è che l’elevata tassazione italiana serve (per una parte rilevante) per ripagare gli interessi sul vecchio debito. È per questo che si ha la (giusta) sensazione di servizi non adeguati alle tasse pagate. Questo processo di riduzione

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della progressività della tassazione diretta si è avuto anche con l’imposta sulle imprese, che è passata dal 37% del 2000 (all’epoca IRPEG), all’attuale IRES al 24%. Tuttavia, questo processo è stato, almeno in parte, bilanciato da un contestuale aumento della tassa-


zione indiretta (IVA). In figura 4 possiamo vedere come l’IVA sia la seconda voce di entrata per lo stato (IRPEF e IVA congiuntamente valgono il 70% delle entrate).L’IVA sui

prodotti ordinari è quindi progressivamente aumentata, passando dal 12% del 1973 all’attuale 22%. Ma perché l’aumento dell’IVA può esser visto come un modo per redi-

stribuire le risorse in favore dei più poveri? Semplicemente perché chi più ha, più spende. Cioè chi possiede un reddito alto, normalmente ha un tenore di vita altrettan-

disuguaglianze. Eppure un basso livello di disuguaglianze permette una maggiore vivacità dell’economia, perché i consumi ne risultano stimolati. All’aumentare del reddito, infatti, la spesa aumenta meno che proporzionalmente. I consumi sono tanto più alti quanto più

ampia è la cosiddetta classe media. Perché i ricchi sono una nicchia, i poveri spendono tutto il reddito ma spendono poco, mentre la classe media spende abbastanza ed in modo variegato. Per questo motivo nessuna politica di stimolo della domanda sarà mai sufficientemente

Figura 4 Entrate fiscali per tipologia (Fonte: elaborazione dati Istat).

to alto e quindi paga complessivamente molta più IVA rispetto ad individui poveri. Perciò negli anni si è spostata la tassazione dal momento in cui si incassa il reddito, al momento in cui lo si spende. Ed infatti le disuguaglianze sono abbastanza stabili dal 1975 ad oggi (figura 5).Tuttavia, in figura 5 possiamo anche vedere che nei primi anni ‘90 si è interrotto quel processo di riduzione delle disuguaglianze iniziato con l’unità d’Italia, periodo in cui esistevano differenze da “casta” tra i ricchi latifondiari e i poveri contadini. Dai primi anni ‘90 abbiamo probabilmente iniziato a subire il peso del debito pubblico, non riuscendo più ad attuare politiche di riduzione delle

Figura 5 Reddito e disuguaglianze (Fonte: Sole24ore).

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i Luoghi della parola

efficace in presenza di forti disuguaglianze. Purtroppo, come possiamo vedere nelle figure 6 e 7, l’Italia ha non

solo dei livelli abbastanza alti solo dal paese passato alla di disuguaglianze, ma è tra i storia per l’apartheid). Il paesi OCSE col più alto livel- poverty gap altro non è che lo di poverty gap (battuta l’incidenza della povertà. Per concludere, in Figura 8 possiamo vedere la distribuzione dei redditi secondo le dichiarazioni dei contribuenti IRPEF. Considerando che il PIL pro capite italiano è poco meno di 27 mila euro, ecco che i tre quarti dei contribuenti IRPEF si trova al di sotto di tale valore. Un ulteriore modo per evidenziare il significato (forte) di disuguaglianza e il significato (debole) di indicatori fin troppo sintetici che, sebbene utili, sono divenuti negli anni prove effimere di successi o fallimenti tutt’altro che certificati. Gli analisti sanno bene che dalla stessa massa di dati si possono ricavare talvolta statistiche opposte, ugualmente vere. Perciò, smettiamo di accontentarci del numero di polli mediamente mangiati e iniziamo a domandarne la distribuzione reale.

Figura 6 Livello delle disuguaglianze nei paesi OCSE (indice di Gini; Fonte: OCSE). Figura 7 Poverty gap nei paesi OCSE (Fonte: OCSE). Figura 8 Distribuzione dei contribuenti IRPEF per classe di reddito dichiarato e PIL pro capite.

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i luoghi... dell’anima

i Luoghi della poesia

Giusy Gatti Perlangeli

Con le maniche rimboccate Senza più figlia Senza più marito Mentre, con ago e filo portava avanti suo figlio sedicenne: Mio padre. Che si alzava presto la mattina Correva come il vento per fare la spesa Tornava in tempo per la scuola Tacendo il suo dramma Sopportando i rimproveri di un docente miope Che non capiva perché l’esercizio di greco non era riuscito proprio perfetto. La maniglia d’ottone I. LA MANIGLIA D’OTTONE Lasciata poi per la guerra La condizione di sfollati nel paesino del Ho rivisto il portone di legno scuro Salento Della casa nella quale sono nata E finalmente ritrovata poi Dov’era nato mio padre Per aprire la casa Il primo nido di sposa di mia nonna. Agli esuli fiumani Ho rivisto il portone. Perché l’accoglienza è il primo valore Intatto. Così com’era. La maniglia d’ottone Ho rivisto la maniglia d’ottone Dove si è posata la mano di mia madre Dove la mia mano bambina Giovane sposa Non è arrivata mai Dove siamo nati noi Là si è posata la mano di mio nonno Io prima Che non ho conosciuto mai Mio fratello poi Andato via troppo presto Sconfitto da una guerra per liberare Gorizia, La casa del cortile in comune con gli zii Una casa nell’altra una città troppo lontana Senza porte Con i polmoni senza più aria Senza barriere Con il cuore squarciato Gli inquilini del piano di sopra, Per aver perduto una figlia bambina “combattuta e vinta” da un male sottile ma fatale con cui condividevamo feste compleanni e dolori La maniglia d’ottone quel portone di legno Portata via il giorno in cui qualcuno, Della casa Affacciato a un altro balcone, Dove sono nata Gridava “Vincere! E vinceremo!”. Dove tutto è nato Un giorno in cui tutti perdemmo. Era l’accesso a un altro mondo. La maniglia d’ottone Vivo e palpitante Dove si è posata la mano di mia nonna

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Nella memoria del cuore Si è chiuso Inesorabilmente Alle spalle Della nostra storia. Brindisi, via Cesare Braico 26 GiusyGatti©tutti i diritti riservati

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i Luoghi della poesia

Foto di Marion Wellmann da Pixabay

II. ALBA In quello spazio sospeso In cui scolora il giallo dei lampioni notturni E il sole comincia a tinteggiare Il cielo di rosa Prima ancora Che la vita Irrompa con Suoni Voci Rumori In quello spazio sospeso Mi sento parte Dì qualcosa di grande Che percepisco solo mio

Il mistero della Vita Mi stordisce Il profumo Del gelsomino E della rosa GiusyGatti©tutti i diritti riservati

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III. LA SCATOLA DI LATTA Nella scatola di latta conservavi cotoni cerniere bottoni Un piccolo laboratorio perché non si sa mai potrebbero servire Fili arrotolati attorno a un tubicino di carta colorati con i colori della vita il verde il rosso il giallo i ditali gli spilli le fettucce di gros grain gli elastici i nastri le riparazioni il chiacchierino il ricamo punto dopo punto hai trapassato questa trama che è la vita nessun ricamo viene fuori se non al prezzo di trafiggere la tela con un ago acuminato Semplici cose umili oggetti parlano di te Punto dopo punto Il ricamo di un'intera esistenza La metafora della vita È il punto croce. GiusyGatti©tutti i diritti riservati

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Brian eno. reflected perugia, galleria nazionale dell'umbria corso Pietro Vannucci, 19) 4 settembre 2020 – 10 gennaio 2021 Orari:Lunedì e martedì chiuso Mercoledì, giovedì e venerdì 14.0019.30 (la biglietteria chiude un'ora prima) Sabato e domenica 8.30-19.30 (la biglietteria chiude un'ora prima) ligaBue e Vitaloni. dare voce alla natura Parma, Palazzo Tarasconi (strada Farini 37) 17 settembre 2020 – 30 maggio 2021 Orari: martedì-domenica, 10.0019.30. La biglietteria chiude un’ora prima. Lunedì aperta solo su prenotazione per i gruppi. Informazioni: tel. 0521.242703; info@fondazionearchivioligabue.it inge morath. la vita. la fotografia Milano, Museo Diocesano ‘Carlo Maria Martini’ piazza Sant’Eustorgio 3 fino al 1° novembre 2020 Orari e biglietti: Museo Diocesano + mostre (ingresso da piazza Sant’Eustorgio): martedì-domenica, 10.00-18.00 La biglietteria chiude alle 17.30 intero: €8,00; ridotto: €6,00 Informazioni: tel. 02.89420019

“prevenire è meglio che curare”. Bernardino ramazzini (16331714). primo medico del laVoro Carpi (MO), Musei di Palazzo dei Pio (piazza dei Martiri, 68) 18 settembre 2020 – 6 gennaio 2021 Orari: venerdì, sabato, domenica e festivi, dalle 10.00 alle 13 e dalle 15.00 alle 19.00. Chiuso il lunedì; da martedì a giovedì su prenotazione Ingresso gratuito (fino alla fine di ottobre 2020) Info: tel 059/649955 - 360 gauguin matiSSe chagall. la passione nell’arte francese dai musei Vaticani Milano, Museo Diocesano Carlo Maria Martini (p.zza Sant’Eustorgio, 3) fino al– 4 ottobre 2020 Orari e biglietti: Museo Diocesano + mostra (ingresso da piazza Sant’Eustorgio): martedì-domenica, 10.00-18.00 La biglietteria chiude alle 17.30 intero: €8,00; ridotto: €6,00 Solo mostra (ingresso da corso di Porta Ticinese 95): tutti i giorni, 18.00-22.00 mostra+prima consumazione Chiostro Bistrot: €10,00 natura in poSa capolavori dal Kunsthistorisches museum di Vienna in dialogo con la fotografia contemporanea Treviso, Museo Santa Caterina (piazzetta Mario Botter, 1) fino al 27 settembre 2020 Prenotazioni e informazioni Call center 0422-1847320 www.ticketone.it www.mostranaturainposa.it Sebastian Behmann | olafur eliasson the design of collaboration STUDIO OThER SPACES, BERLIN Inaugurazione: Venerdì, 18 settembre 2020 19 settembre 2020 – 17 gennaio 2021

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un architetto al tempo di canoVa: aleSSandro papafaVa e la Sua raccolta VICENzA, PALLADIO MUSEUM fino al 13 settembre 2021 Orari di apertura: dal martedì alla domenica, 10:00-18:00 (ultimo ingresso 17:30). Mostra+museo: intero € 8,00; ridotto € 6,00; scuole € 2,00; Palladio family € 12,00 https://www.palladiomuseum.org/e xhibitions/papafava Tel. +39 0444 323014 a nostra immagine. Scultura in terracotta del rinascimento da donatello a riccio Padova, Museo Diocesano fino al 27 Settembre 2020 Infotel. 049 8226159 www.museodiocesanopadova.it circuito del contemporaneo in puglia inhuman a cura di giusy caroppo, con le opere di Kendell geerS, oleg KuliK, andreS Serrano. Barletta, Castello fino al 18 Ottobre 2020 fernando de filippi. arte museo castromediano lecce, Viale gallipoli 4 settembre – 2 ottobre 2020 Inaugurazione della mostra 4 settembre, ore 19.30 gianni Berengo gardin Vera fotografia reportage, immagini, incontri Castello Aragonese di Otranto fino al 20 novembre 2020 Orario: tutti i giorni dalle 10 alle 23 Intero 9 Euro; Ridotto 7 Euro: per gruppi di almeno 12 visitatori.Ridotto speciale 6 Euro: per minori di 18 anni, possessori della Otranto Card e residenti nel Comune di Otranto Gratuito per minori di 18 anni in visita con i genitori, per i minori di 6 anni, disabili con accompagnatore Info: 0836 210094

ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...

l’inVenzione della felicità 120 fotografie, con 55 inediti, di JacqueS henri lartigue CASA DEI TRE OCI fino al 10 gennaio 2021 Fondamenta delle zitelle, 43, Giudecca, Venezia Orari: venerdì-domenica, 11-19 Info tel. +39 041 24 12 332; booktreoci@gmail.com; www.treoci.org #treoci #lartiguetreoci #linvenzionedellafelicità Prenotazioni (obbligatorie per i gruppi) Ticket One. Call center: 199 757519


Francesco SPERANZA (1902-1984), Autoritratto, 1952, tempera su tavola (Museo Archeologico Fondazione De Palo Ungaro - Bitonto) Nel riquadro in basso: Pasquale GADALETA (1988), Autoritratto, 2020, Olio su tela

conVerSazioni con franceSco Speranza Francesco Paolo Del Re *

Un maestro del Novecento e venti pittori di oggi in mostra al Museo Diocesano di Bitonto

U

n dialogo impossibile diventa possibile nello spazio di una mostra, dove il tempo si sospende. Il progetto di “Conversazioni con Francesco Speranza”, da me curato e ospitato dal 30 agosto al 30 settembre dal

Museo Diocesano “Mons. A. Marena” di Bitonto in provincia di Bari (via Ferrante Aporti 15), vuole intessere dialoghi tra un maestro del Novecento pugliese e venti artisti che utilizzano oggi la pittura come linguaggio privilegiato della

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Luigi PRESICCE (1976), Homo sapiens sapiens sapiens (Scimmia di mare), 2020, olio su tela

loro arte: Natascia Abbattista, Damiano Azzizia, Pierluca Cetera, Francesco Cuna, Nicola Curri, Vincenzo De Bari, Pietro Di Terlizzi, Pasquale Gadaleta, Simona Anna Gentile, Jara Marzulli, Luigi Massari, Pierpaolo Miccolis, Dario Molinaro, Enzo Morelli, Alessandro Passaro, Luigi Presicce, Claudia Resta, Fabrizio Riccardi, Michael Rotondi e

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Domenico Ventura. Quella che ho immaginato è una mostra parlata e parlante. È immersa in un orizzonte discorsivo e della conversazione amichevole possiede l’intonazione e i ritmi. A imprimere questo andamento affabulatorio è la pittura stessa di Francesco Speranza. Come i suoi sodali Gian Filippo Usellini e Lugi Filocamo, con cui ha


Domenico VENTURA (1942), Collana di spine, 2011, olio su tela

studiato a Brera e ha intrattenuto un’amicizia durata una vita, Speranza è un pittore parlante, un grande, grandissimo raccontatore di storie. Storie minute, come sono minuti i personaggi che affollano spesso le sue vedute paesane, storie sacre della vita dei santi e storie profane della vita quotidiana di una Puglia in cui il tempo è sospeso in un’estate infinita, quella dell’infanzia del pittore o del sogno del ritorno dell’emigrante che cerca in un sud originario e profondo un posto in cui riposare e il conforto di un affetto da cui farsi abbracciare. Nato a Bitonto nel 1902, Francesco Speranza studia prima a Napoli e poi a Milano all’Accademia di Brera, diplomandosi in pittura nel 1926. Nonostante trascorra tutta la vita a Milano partecipando attivamente alla temperie artistica della città ed esponendo le sue opere nelle più prestigiose rassegne nazionali come la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma, mantiene sempre un legame profondissimo con la Puglia, sia a livello personale che dal punto di vista pittorico, e muore a Santo Spirito nel 1984 nella sua casa affacciata sul mare, a pochi chilometri dal luogo dove è nato. Il Museo Diocesano di Bitonto “Mons. A. Marena”,

recentemente riallestito negli spazi dell’ex seminario, conserva nella sua collezione sei dipinti di Speranza, donati dall’artista negli ultimi anni della sua vita e dalla moglie Marina dopo la morte del pittore. Uno di questi, in particolare, non passa inosservato. È una grande tavola del 1951 che racconta l’incontro di Cristo e della Samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Le suggestioni dell’arte del Quattrocento tanto cara a Speranza in questo dipinto sembrano incontrare l’eloquenza di Hollywood. La Samaritana che il pittore presenta al pubblico è bella come Liz Taylor e la scena sembra una sequenza cinematografica in Technicolor, laddove la ieraticità cede il passo a un’immediatezza di linguaggio che introduce chi osserva nel mezzo della narrazione. La donna e Gesù sono colti dal pittore mentre intrattengono tra loro una fitta conversazione e da qui, da questa conversazione, la mostra prende avvio, idealmente. Da questa necessità delle figure dei dipinti di Speranza di parlare con voci ogni volta diverse, anche a trentasei anni dalla sua morte. Volendo rispondere a una che mi pare venire dagli stessi suoi dipinti, ho deciso di fare conversare una volta ancora Francesco Speranza pubblicamente, di ridarFrancesco SPERANZA (1902-1984), Scilla, 1963, tempera su tela (collezione privata)

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Francesco SPERANZA (1902-1984), Gesù nell’orto, 1942, tempera su tavola (Museo Diocesano di Bitonto “Mons. A. Marena”)

gli la parola e di accompagnarla con delle risposte di altri artisti in un dialogo ideale. Per mostrare la vitalità e la vivacità della sua pittura, gli interlocutori da me invitati a prendere parte a questa polifonia non sono altri pittori del Novecento ma artisti di oggi scelti perché pittori come Speranza è stato e perché accomunati dalla sua stessa origine pugliese. Il progetto della mostra segue due linee distinte e idealmente parallele: da una parte sono stati selezionati dipinti di Speranza provenienti da raccolte pubbliche e collezioni private che coprono un arco temporale che va dagli anni Venti fino alle opere dell’ultima parte della sua produzione e sono esemplificativi di diversi aspetti della sua ricerca artistica, privilegiando quadri in cui è protagonista la figura umana come incarnazione di un racconto che conduca alla soglia del divino, e dall’altra venti opere di venti artisti diversissimi fra loro permettono di gettare uno sguardo sinottico e curioso su alcuni percorsi attuali della pittura in Puglia, nel tentativo di rispondere alla domanda sull’esistenza di una possibile comune radice identitaria che vada al di là del mero dato geografico. I due percorsi però non

Luigi MASSARI (1978), Assiale, 2016, olio su tela

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Francesco SPERANZA (1902-1984), Natura morta con uva, 1940, tempera su tavola (collezione privata)

restano separati, impermeabili l’uno all’altro, ma si intrecciano e si compenetrano e nell’accostamento di opere ed esperienze diverse si compongono dei dittici o dei polittici immaginari, laddove i dipinti di Speranza vengono messi in dialogo con le opere dei pittori viventi secondo criteri ora tematici e ora formali, ora evidenziando assonanze e ora facendo vibrare le corde di una dissonanza, ma sempre alla ricerca di un senso nuovo e di una chiave di lettura inedita nel cortocircuito tra passato prossimo e presente. A guidare la mostra e a chiamare la necessità di un confronto (o di uno scontro) sono dunque i dipinti di Francesco Speranza, alcuni dei quali sono inediti o pochissimo visti in occasioni espositive precedenti. La mostra raccoglie le opere del maestro bitontino senza seguire un ordine espositivo né filologico né cronologico ma asseconda il flusso variabile che si addice a una conversazione informale e vuole raccontare alcuni temi della pittura di Speranza e la vitalità della sua figura di artista nel riflesso che si riverbera sulle attuali tendenze del discorso pittorico. Il percorso espositivo parte dai dipinti di Speranza conservati nella collezione del Museo Diocesano di Bitonto. “Gesù nell’orto” del 1942 dialoga con la pittura beffarda di

Domenico Ventura che con grazia vernacolare mette una “Collana di spine” a un Cristo donna di cui non vediamo il volto. “Visitare gli infermi” del 1949 viene affiancato a un ritratto di Nicola Curri, di precisione realistica eppure sognante, di un ragazzo addormentato osservato in treno. “Gesù divino lavoratore” del 1959 si accosta a un dipinto di Alessandro Passaro realizzato su una sega, con un Cristo telamone che regge il manico dell’attrezzo poggiando i piedi in uno skateboard infisso in un muro. “Cristo e la Samaritana presso il pozzo” del 1952 si confronta con due gatti di Pier-

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paolo Miccolis che giganteggiano come Sfingi, mostrando un’analogia dello schema compositivo delle due figure stanti a cui viene apportata una variante significativa che nel passaggio da Speranza a Miccolis fa transitare sull’osservatore il turno della parola e il senso del discorso. “Il Giullare di Dio. San Francesco” del 1960 si specchia in un dipinto digitale di Michael Rotondi, che appartiene a una serie di santini iper-pop a cui il pittore sta lavorando nell’ultimo periodo, portando il gesto pittorico dalla tela allo schermo. Si aggiungono dipinti conservati in altre collezioni pubbli-


Enzo MORELLI (1935), Baciate dalla luna, 1993, Acrilico su tela

che, come il mirabile “Ritratto della sorella Nina” del 1929 e un “Autoritratto” postbellico della Fondazione De Palo – Ungaro messi a confronto rispettivamente con un grande ritratto femminile di Pierluca Cetera di gusto primonovecentesco condito con un pizzico di malizia e con gli ipnotici autoritratti di Pasquale Gadaleta e di Luigi Presicce (quest’ultimo realizzato appositamente per la mostra), oppure “Campagna e carro del mio

paese” del 1951 conservato presso il Teatro Comunale “Tommaso Traetta” che dialoga con un’opera di Fabrizio Riccardi, un carretto di folli di ispirazione fiamminga realizzato con un’impressione di calore su carta termica che sembra manifestarsi per volontà propria sul foglio assommando elementi quasi casuali. La mostra presenta inoltre opere provenienti da collezioni private, prima d’ora raramente accessibili al pub-

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blico. Un piccolo ritratto muliebre del 1924 va a comporre un trittico con due ritrattini di Vincenzo De Bari e Claudia Resta, diversi eppure egualmente interessanti dal punto di vista dello scavo psicologico. Un prezioso “Ritratto di mia Madre” del 1939 si scontra con una figura materna di Natascia Abbattista: l’amore incondizionato di Speranza per sua madre ritratta – ormai quasi completamente cieca – poco prima della sua morte si


Da sinistra: Francesco SPERANZA (1902-1984), Visitare gli infermi, 1949, tempera su tavola (Museo Diocesano di Bitonto “Mons. A. Marena”) Nicola CURRI (1968), Bologna-Lecce, 2013, olio su tavola

scontra con la violenta pittura di Abbattista che esprime tutta la conflittualità di un’inversione di ruoli per cui la figlia si trova a essere madre di sua madre. “Fuga in Egitto” del 1957, in cui è la moglie del pittore Marina Bagassi a posare come modella per la Madonna per quello che forse è il suo primo ritratto, viene messa a confronto con un

dipinto di Francesco Cuna che affronta il tema della ricerca del sacro con ironia e con la sapienza di una pittura che ambisce al confronto con lo sfumato leonardiano. Un esterno pugliese di una chiesetta di campagna del 1979 sovrastata da un intreccio di alberi viene confrontato, per contrasto, con un interno dipinto da Damiano Azzizia

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con rigore e nitore quasi metafisico sul precario supporto di un cartone riciclato a cui l’artista dona nuova vita. Un grande nudo accademico degli anni di Brera, datato 1926, fa il paio con un nudo espressionista di Dario Molinaro dalla cromia accattivante e di densa materia pittorica. Tre nature morte (del ’40, del ’59 e dell’81) intrattengo-


no una conversazione con gli elementi geometrici nello spazio di Pietro Di Terlizzi intitolati significativamente “Arricchimento dello spirito”, scoprendo interessanti analogie compositive nell’uso dei volumi e dei toni, e con una natura morta di Enzo Morelli di classicissima eleganza. Uno scorcio di Milano visto dai navigli del 1979 si misura

con i segni delicati della pittura di Simona Anna Gentile che porta in mostra una pagina del suo quaderno di appunti estivo in cui racconta le montagne di Bolzano. “Scilla” del 1963 e “Sant’Antonio che parla ai pesci” del 1966, opere entrambe esposte alla retrospettiva allestita nel Palazzo dell’Arengario a Milano del 1971, si trovano

infine a dialogare con un dipinto montuoso di Luigi Massari, che nel collegamento tra terra e cielo guarda alla montagna come sito arcaico originariamente adibito a santuario e luogo sacro, e con una visione sciamanica di Jara Marzulli, un vibrante ritratto di una bambina che gioca con gli insetti. Conversazioni con Francesco Speranza a cura di Francesco Paolo Del Re Museo Diocesano di Bitonto “Mons. A. Marena” – Bitonto (BA), via Ferrante Aporti 15 fino al 30 settembre Lunedì 17.30-20.30, mercoledì 9.30-12.30, venerdì 17.30-20.30, sabato 17.3020.30 333.4927688 |nfo: coop.reartu@gmail.com Biglietti: museo+mostra 3€ intero/1.5€ ridotto

Dall’alto: Francesco CUNA (1978), Unicono, 2014, olio su tela Francesco SPERANZA (1902-1984), Fuga in Egitto, 1957, tempera su cartone telato (collezione privata)

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I LUOGhI DELLA PAROLA

due liBri un inSegnamento Giovanni Bruno

Le riflessioni dello psicologo psicoterapeuta

L

’esperienza pandemica ha sicuramente dilatato i tempi di riflessione personale e sociale, facendo individuare circostanze e contingenze che “ prima” non avremmo rilevato e su cui forse non ci saremmo mai soffermati. Succede così che due libri hanno attirato la nostra attenzione, due piccoli scrigni di verità che ci permettono finalmente di conoscere realtà e accadimenti altrimenti dispersi nel mare magnum delle pubblicazioni. Proprio perché pensiamo che la ricerca di ciò che è attrattivo e stimolante deve essere continua, per coloro che ne sono interessati ovviamente, solo in questo modo motivi singolarmente nuovi o appassionanti potranno alimentare la nostra curiosità. Bene, i due libri dunque. Cristina Cattaneo è medico legale, anatomopatologa, che ha cercato in questi anni di dare una identità un riconoscimento a moltissimi migranti morti nel Mediterraneo. La grande tragedia dei nostri tempi, spesso occultata o rimossa , è stata quella di tantissimi uomini, donne, vecchi, minori non accompagnati che tentavano

un cambio di stato nella loro vita. Una speranza di rinascere e ricominciare che tuttavia il mare ha azzerato, resa immateriale, non più illuminata dalla luce del sole. Cristina Cattaneo come direttrice di Labanof, Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano è impegnata con il suo gruppo nel recupero di migranti annegati, ma il lavoro è durissimo perché spesso si parte da reperti e frammenti anche minimi, per poter infine ricostruire una identità. Si valuta che solo nel 2015 più un milione di migranti ha tentato di attraversare il Mediterraneo e oltre 3.000 sono scomparsi durante il viaggio. Il tentativo è dunque quello di restituire un nome a questi morti, compito difficilissimo ma dettato da una grande visione del mondo, connotata da eguaglianza e diritti sociali per tutti. Il libro “Diritti Annegati” di Cristina Cattaneo ci restituisce dunque una grande riflessione sul tema della migrazione e sulla condizione di quelli che nell’immaginario collettivo sono considerati gli “ultimi”. Il 2 luglio del 1940 la nave da crociera britannica Arandora Star fu silurata e affon-

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data dai tedeschi nelle acque dell’Atlantico La nave prigione dei poveri italiani residenti settentrionale con la perdita di 865 vite a Londra ci riporta ai nostri giorni, alle sofferenze e alle ingiustizie patite da uomini e umane. Cos’era accaduto? Quando Mussolini dichiara guerra all’Inghil- donne che hanno avuto la sola sorte di terra tanti italiani e tanti austriaci ,residenti a nascere a sud del Mondo. Londra, persone dedite al loro lavoro e alle La Storia dunque si ripete e ci presenta i loro imprese,vengono arrestate perché suoi esiti: la morte per acqua, per annegadiventate in pochi giorni nemici dellaNazio- mento è stata anche di noi italiani, quando ne, imbarcate sulla Arandora Star e depor- gli esuli eravamo noi, quando i naufraghi eravamo noi. tate in Canada. L’affondamento avviene al largo delle coste Il fenomeno delle migrazioni, dei grandi irlandesi, le vittime sono tantissime e fra spostamenti di persone , ci deve dare il modo di interrogarci sui diritti che spettano queste 446 sono italiani. Il libro di Caterina Soffici, “Nessuno può fer- a tutti, sul diritto alla vita, alla libertà e alla marmi”, seppur romanzato riprende questa sicurezza. tragedia e ci fa conoscere episodi, storie ed Diritti che sono appannaggio dei “vivi” ma emozioni che sarebbero rimaste a noi igno- anche dei “morti”. te proprio perché cadute nell’oblio.

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dentro la cornice le immagini del mondo

Dal 5 al 26 settembre la mostra di Claudio Di Carlo alla Galleria MInima arte contemporanea di Roma

ROMA. “I pasticcini li porto io”, (Mixed Media), è la mostra/installazione di Claudio Di Carlo a cura di Francesca Perti, che si apre a Roma il 5 settembre 2020 alle ore 18.00 nella Galleria Minima arte contemporanea di Mario Tosto in Via del Pellegrino 18. Costruita come una quadreria ottocentesca, Di Carlo coglie un’infinitesima porzione di tempo e spazio nella storia, ma la fissa su un supporto industriale come i vassoi da dolci, in uno spiazzante incontro tra tradizione pittorica occidentale e contemporaneità, tra alto e basso, passato e attualità, arte e produzione di massa. Pittore, produttore, art director, l’artista vive e lavora tra Amburgo, Pescara, sua città natale, e Roma.

«Claudio Di Carlo - scrive nel catalogo la curatrice si incarna nell’aria del mondo, ne coglie le contraddizioni e le discrasie, ma anche le combustioni felici e i piccoli incendi che illuminano l’anima. Da sempre la sua ricerca lo porta a mescolare musica, cinema e letteratura con le immagini e le sug-gestioni della vita reale. La sua opera affronta i temi più spinosi dell’attualità, la comples-sità del mondo contemporaneo e l’evoluzione del suo linguaggio. Interessato ai problemi legati alle questioni di genere, al razzismo e alle migrazioni, il suo sguardo mai banale è uno sguardo che cura, che porta a riflettere su soluzioni più rischiose, a buttare via le co-pie e a dedicarci ad atti unici. Di Carlo è un noma-

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Foto di memyselfaneye da Pixabay

de che rivendica per se stesso il diritto al controsenso, facendo della sua arte e del suo pensiero una potenza nomade, una macchina da guerra che guasta tutti i codici e non si lascia ricodificare. Come dice De-leuze “una vita nomade è una vita che resiste alla codificazione che altro non è che l’attività di cui si è sempre servita la forma stato e la politica”.» E lo stesso artista anticipa i contenuti della mostra che

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potrà essere visitata fino al prossimo 26 settembre e a parte il vernissage e il finissage è previsto un incontro con l’artista il 17 settembre: Queste opere sono di un sopravvissuto che, per quanto possibile, vuole offrirle in senso gioioso, in un simbolico incontro di riconciliazione con l’ambiente e il mondo ormai cambiato attraverso il linguaggio.»


Facciata della chiesa di Santa Maria di Correano, con sullo sfondo il monte Fammera (foto di Marco Tedesco)

Santa maria di correano nella frazione di SelVacaVa ad auSonia Marco Tedesco *

Storie l’uomo e il territorio

Uno scrigno di tesori, una chiesa romanica da ri-scoprire ai piedi del Monte Fammera

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iamo nell’area circostante il monte Fammera, monte caro agli abitanti della zona del Lazio meridionale al confine tra le provincie di Latina e Frosinone. Alle sue pendici, nella piccola frazione di Selvacava che segna i confini tra i comuni di Spigno Saturnia e Ausonia, si trova la piccola chiesa romanica di Santa Maria di Correano, dal nome della zona di Selvacava in cui la chiesa sorge, che molti studiosi fanno risalire a chorion termine in uso nell’alto medioevo che significa villaggio rurale. L’area su cui sorge questa piccola chiesa romanica è un’area molto interessante dal punto di vista archeologico. Qui infatti, sorgeva secondo alcuni studiosi una villa

romana, appartenente ad una ricca famiglia probabilmente di origine puteolana come recita una iscrizione incastonata nella torre campanaria della chiesa che recita testualmente: COCC(eius) ……… AVGVSTALI(s) COLONIA(e) NERONENSI(s) CLAVDIA(e) AVGVST(alis) PVTEOLIS. Questa iscrizione, dedicata a Cocceio, ci indica che probabilmente la famiglia patrizia del luogo aveva rapporti con l’impero ed era originaria dell’odierna Pozzuoli. Rappresenta una importante testimonianza archeologica insieme ad altri importanti ritrovamenti di reperti effettuati nell’area, tra cui spicca il basolato di una antica via romana che secondo alcuni studi corrisponderebbe

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iscrizione dedicata a Cocceio sulla torre campanaria della chiesa di Santa Maria di Correano (foto di Marco Tedesco)

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basolato dell'antica strada romana detta Via Ercolanea all'interno della chiesa di Santa Maria di Correano (foto di Marco Tedesco)

all’antica via processionale detta Via Ercola- ni come ancora oggi si nota all’interno della nea, attualmente visibile nella zona absida- chiesa. le della chiesa, la quale si snodava nei pres- La chiesa di Santa Maria di Correano è, si dell’attuale territorio di Ausonia e la cui come detto, in stile romanico e si presenta presenza è testimoniata dalle numerose con una torre campanaria che si erge sulla epigrafi di età imperiale rinvenute in loco, facciata; elemento architettonico che troviaalcune delle quali attualmente sono rintrac- mo anche nella facciata dell’antica cattedraciabili ad Ausonia in alcuni pilastri della le di San Pietro a Minturno e nell’antica chiesa di San Michele Arcangelo, a testimo- chiesa di Santa Maria di Castagneto a Fornianza della presenza di un’area templare mia. Posta sulla facciata, la torre campanadedicata al culto di Ercole. ria aveva probabilmente una funzione di torLa presenza di resti romani nell’area in cui re di avvistamento, ma anche un preciso la chiesa di Santa Maria di Correano sorge valore simbolico. Simboleggiava infatti il è arricchita da reperti riconducibili a sarco- potere austero della Chiesa, politico e spirifagi che vanno dal periodo romano fino al tuale. medioevo, in pare reimpiegati anch’essi L’abside della chiesa di Santa Maria di Corcome materiali di recupero nella realizzazio- reano è di forma semicircolare, mentre la ne della chiesa, come l’iscrizione citata e in navata è di forma rettangolare, come avvieparte riconducibili ad antiche pavimentazio- ne anche nel caso della chiesa di Sant’An-

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particolare delle mura della villa romana all'interno della chiesa di Santa Maria di Correano (foto di Marco Tedesco)

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A Lato, Retro della chiesa di Santa Maria di Correano con vista esterna dell'abside; sotto: particolare dei tre absidi esterni semicircolari della chiesa di Sant'Antonio Abate a Castelnuovo Parano, reportagge fotografico Marco Tedeschi

tonio Abate a Castelnuovo Parano in provincia di Frosinone, a poca distanza dalla chiesa di Santa Maria di Correano. Queste forme geometriche hanno una valenza simbolica molto importante nell’architettura cristiana sin dalle origini: simboleggiano infatti l’incontro in un unico spazio tra la terra e il cielo simboleggiati in maniera allegorica rispettivamente dalla forma rettangolare della navata e dalla forma semicircolare dell’abside, all’interno del quale generalmente vi erano generalmente raffigurati in mosaico o affrescati temi cristologici come ad esempio il Cristo benedicente, il quale posto al centro dell’abside evidenzia l’aspetto della figura del celebrante come Suo rappre-

sentante sulla terra. Nel caso della chiesa di Santa Maria di Correano, l’abside presenta al suo interno una prima traccia di affresco, di difficile lettura, ma che fa pensare da quel poco che si riesce ad intravedere ad una raffigurazione di un banchetto che potrebbe essere interpretato come una Ultima Cena. Se così fosse, tale traccia affrescata avrebbe un significato simbolico molto importante che mira ad evidenziare ancora di più l’accostamento della figura del celebrante alla figura di Cristo. Come l’abside, anche la navata della chiesa di Santa Maria di Correano, doveva essere tutta affrescata in origine. Si trattava di un ciclo di affreschi aventi come temi figure di San-


Chiesa di sant'Antonio Abate (foto di Marco Tedesco)

ti e Storie legate alla loro vita. Ora gran parte di questi affreschi non sono visibili ma entrando in chiesa subito sulla destra si nota un affresco facente parte del citato ciclo, raffigurante San Nicola di Myra che appare ai marinai il quale, erroneamente in passato identificato con la figura di Cristo, ci permette di capire la datazione di questi affreschi e la scuola di appartenenza. Si tratta

di maestranze legate al cenobio di Montecassino, attive dal XII secolo anche nella vicina Castelnuovo Parano, in provincia di Frosinone e probabilmente anche nella cripta del castello di Spigno Saturnia, in provincia di Latina. Alla vista di questo San Nicola, viene da chiederci per quale motivo la figura del santo vescovo di Myra compare in questo ciclo affrescato, in questa

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piccola chiesa sita ad Ausonia nella frazione collinare di Selvacava. Maria Grazia De Ruggiero, autorevole studiosa di storia locale, ed altri studiosi parlano di un forte legame tra la frazione di Selvacava e la vicina città di Gaeta, città che da sempre vanta una grande importanza storica come centro marinaro strategico dell’intero omonimo golfo. Secondo la De Ruggiero, dalla zona di


Anonimo maestro, San Nicola appare ai marinai, affresco, XII-XIII sec. Ausonia, fraz. Selvacava, chiesa di Santa Maria di Correano, particolare del volto di San Nicola (foto di Marco Tedesco)

nanti delle città tirreniche) di Gaeta. Veniamo ora alla descrizione e all’analisi stilistica di questo brano di affresco, unico ancora visibile di tutto il ciclo. L’anonimo maestro di scuola benedettina autore dell’intero ciclo di affreschi ci propone un episodio legato a uno dei miracoli attribuiti a San Nicola, ossia l’episodio

del vasetto d’olio rigettato in mare. Le cose andarono secondo la leggenda in questo modo: per vendicarsi della distruzione del tempio di Artemide, la dea Diana dei romani, il diavolo, sotto mentite spoglie compare all’interno dell’imbarcazione, con la quale dei marinai erano pronti a salpare per giungere a Myra. Fingendosi dispia-

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Selvacava, i figli maschi di ogni famiglia venivano avviati verso Gaeta, città nella quale venivano imbarcati come marinai. A favorire questo avviamento all’attività marinaresca, vi erano i rapporti tra gli abitanti della frazione di Selvacava con gli Ipati (titolo assunto d a i gover-

Sopra: anonimo maestro, figure di santi apostoli, affresco, XIII sec., Castelnuovo Parano, chiesa di Sant'Antonio Abate, reportage fotografico Marco Tedeschi

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Anonimo maestro, San Nicola appare ai marinai, affresco, XII-XIII sec. Ausonia, fraz. Selvacava, chiesa di Santa Maria di Correano, (foto di Marco Tedesco)

ciuto per non poter andare con loro, consegnò ai marinai un vasetto pieno d’olio per ungere le pareti della chiesa di Myra. San Nicola apparve loro intimando ai marinai di gettare il vasetto in mare e svelò loro il piano demoniaco. Nell’affresco della chiesa di Santa Maria di Correano, è raffigurato proprio l’atto finale di questo episodio e l’anonimo maestro esecutore dell’affresco ci da prova della sua capacità di trasmettere dinamicità e azione ai movimenti del corpo. San Nicola è appena apparso ai marinai, due dei quali indietreggiano impauriti alla vista del demonio mentre un terzo dopo aver gettato in mare il vasetto d’olio si pone in preghiera fiducioso alla vista del Santo, il quale dopo aver placato la tempesta, guiderà i marinai verso il porto, sotto la sua protezione. Lo stile proposto in questo affresco, il modo di rappresentare le figure, sono tipici dei dettami della pittura legata al cenobio di Montecassino e si riscontrano anche negli affreschi di della chiesa di Sant’Angelo in Formis a Capua in provincia di Caserta, centro benedettino strettamente legato alle dipendenze dell’Abbazia di Montecassino sotto l’abate Desiderio e, restando in ambito laziale, questi dettami si riscontrano anche in alcuni affreschi conservati nella citata chiesa di Sant’Antonio Abate a Castelnuovo Parano. Tanta storia è passata per questo luogo, ed anche il XVIIIo secolo ha lasciato traccia di se e del periodo tardo Barocco nella chiesa di Santa Maria di Correano, con la settecentesca statua il legno policromo della Madonna col Bambino, vene-

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Anonimo maestro, San Nicola appare ai marinai, affresco, XII-XIII sec. Ausonia, fraz. Selvacava, chiesa di Santa Maria di Correano, particolare del volto demoniaco (foto di Marco Tedesco)

tracce di affreschi nell'abside della chiesa di Santa Maria di Correano (fott di Marco Tedesco)

rata dagli abitanti del luogo come Madonna di Correano. Esiste su questa statua una scarsa documentazione che ancora ci tiene all’oscuro sul nome dell’autore, ma collocata la datazione nell’arco temporale del

XVIIIo secolo, questa statua entra a far parte del vasto mondo della scultura tardo barocca, caratterizzato dalla presenza di importanti nomi come Giacomo Colombo, straordinario scultore nativo di Este in pro-


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Amalfi, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

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vincia di Padova e attivo nel regno di Napoli per tutto il Settecento e Giuseppe Picano, nativo di Sant’Elia Fiumerapido, piccolo centro del frosinate nei pressi di Montecassino, il quale a Napoli lavorò a contatto con grandi nomi come Giuseppe Sammartino, autore dell’ormai famosissimo Cristo velato della cappella napoletana di San Severo. Proprio il Picano era attivo anch’egli a Napoli, ma la vasta documentazione che lo riguarda ci dice che operò molto anche nel basso Lazio. Sua è la statua in legno policromo del 1723 raffigurante San Giovanni Battista, conservata nella chiesa dei Ss. Lorenzo e Giovanni Battista di Formia, in provincia di Latina, cosi come hanno la sua paternità anche le statue di San Rocco e di San Michele Arcangelo nella chiesa di San Sebastiano a Sant’Elia Fiumerapido e nella stessa Sant’Elia Fiumerapido anche le statue dell’Assunta e del Profeta Elia nella chiesa di Santa Maria La Nova. Dunque la statua in legno policromo della Madonna col Bambino della chiesa di Correano si inserirebbe in questo contesto. Stando a questi dati, l’autore di questa Madonna col Bambino potrebbe probabilmente essere qualche seguace del santeliano Giuseppe Picano. Solenne, Madre divina e allo stesso tempo Madre terrena. A primo impatto questi tre aspetti appaiono all’osservatore al cospetto di questa scultura che raffigura la Vergine Maria come

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Anonimo maestro, Madonna col Bambino detta Madonna di Correano, legno policromo, XVIII sec., Ausonia, fraz. di Selvacava, chiesa di Santa Maria di Correano (foto di Marco Tedesco)

una donna di umili che mostra il Bambino all’osservatore, evidenziando un aspetto fondamentale dell’iconografia mariana: la Vergine vista come “Colei che indica la Via”. Gesù stesso, come si legge nei Vangeli, ci dice “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”. Il mostrare la Vergine come una donna di umili origini e non come una sontuosa regina, è un aspetto che ci fa pensare che l’anonimo esecutore della statua aveva ben presente i principi dell’arte di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, il quale interpretava le figure del vecchio e del nuovo testamento e i santi, evidenziandone il loro aspetto umano, prendendo modelli direttamente dal popolo. La chiesa di Santa Maria di Correano nella frazione di Selvacava ad Ausonia, si mostra dunque come un piccolo scrigno di tesori il quale, una volta aperto, lascia che chi giunge al cospetto di questa piccola chiesa possa perdersi nella storia e lasciarsi da essa guidare in un viaggio indietro nel tempo, trasmettendo una immagine di un’Italia sconosciuta, ricca di tesori nascosti che meritano di essere svelati e scoperti. Il presente lavoro si inserisce nel progetto #contagioarteecultura del CNPC Coordinamento Nazionale Patrimonio Culturale. Si dedica tale lavoro all’amica Sara Foti Sciavaliere *Marco Tedesco, storico dell’arte RAM Rinascita artistica del Mezzogiorno Componente del CNPC, Coordinamento Nazionale Patrimonio culturale

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mattia e il nonno per Storie cucite a mano A Lecce lo spettacolo vincitore degli Eolo Awards con l’attore Ippolito Chiarello

LECCE. Mattia e il nonno con Ippolito Chiarello, spettacolo vincitore degli Eolo Awards 2020, gli "Oscar" italiani del teatro ragazzi, sarà di scena a Lecce il 7 settembre nel Chiostro dei Teatini. Lo spettacolo si svolgerà nel rispetto delle misure anti Covid nell’ambito della rassegna Storie cucite a mano, progetto triennale di prevenzione del disagio e di promozione del benessere per bambini e bambine tra i 5 e i 14 anni e per le loro famiglie, selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, che coinvolge anche Roma e Moncalieri. Coprodotto da Factory compagnia transadriatica e Fondazione Sipario Toscana onlus in collaborazione con Nasca Teatri di Terra, “Mattia e il nonno” è tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Piumini (Einaudi Ragazzi), uno degli autori italiani più apprezzati della letteratura per l’infanzia, con adattamento e regia di Tonio De Nitto, musiche originali di Paolo Coletta, costumi di Lapi Lou, luci di Davide Arsenio, tecnica a cura di Antonio Longo e organizzazione di Francesca D’Ippolito. Presentato in anteprima nel maggio 2019 al Festival Segnali, lo spettacolo, oltre a una trentina di repliche all'attivo (prima dello stop forzato per il Covid19), ha ricevuto un'ottima accoglienza da parte di organizzatori, pubblico e critica. Ha conquistago gli Eolo

Awards come miglior spettacolo "per aver proposto con estrema poesia e delicatezza, traendolo dal libro omonimo di Roberto Piumini, il tema della morte, così spinoso da offrire al pubblico dei ragazzi", si legge nella motivazione. "Per mezzo dell'interpretazione felice e leggera di Ippolito Chiarello, lo spettacolo, si muove sulla sapiente e immediata riscrittura che Tonio De Nitto ha fatto del libro. La narrazione dell'interprete ci accompagna amorevolmente, mano nella mano, in compagnia del piccolo Mattia e di suo nonno, che da poco lo ha lasciato, in un viaggio fantastico attraverso uno scenario sempre vivo e pulsante, che ci farà comprendere in modo poeticamente profondo come tutte le persone che abbiamo amato, non spariranno mai, rimanendo in maniera durevole dentro di noi". (Sipario alle ore 21 - Ingresso gratuito. Posti limitati. Prenotazione obbligatoria 3894755191 - 3277372824)


L’attore Luca Toracca in un momento dello spettacolo andato in scena a Copertino

Vita da luStrini il dolore dell’umanità offeSa Giovanni Bruno

Considerazioni sullo spettacolo andato in scena a Copertino

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ustrini e Cavagna sono due espulsi dal contesto sociale, due clochard, a loro modo poetici, che incontriamo sul palcoscenico e i loro gesti, i loro pensieri, i loro dialoghi subito graffiano, subito lacerano le coscienze e riportano alle ambivalenze del nostro tempo ,al qui ed ora dei nostri giorni. Antonio Tarantino, il drammaturgo autore del testo Lustrini, e sul quale si è condotto lo studio, tratteggia con feroce maestria i caratteri dei due protagonisti e ci consegna il dolore di una umanità offesa dalla vita. Danno luce ai due personaggi due attori di grande spessore. Luca Toracca, come Lustrini, ci regala ancora una volta una interpretazione magistrale, si deve a lui l’individuazione del testo e la realizzazione dello studio, portato a termine in questa estate malinconica che tuttavia ci riserva inaspettate sorprese. Ivan Raganato colpisce per l’ardore con il quale disegna Cavagna, la concretezza del suo agire che sconfina nel godimento che è puramente di logos, di parola.

Nei dialoghi risaltano le riflessioni di un vissuto costellato dalla mancanza, con spunti e modalità che rimandano al mondo interiore dei due personaggi che si presentano nudi e senza maschera. Non c’è bozzettismo non c’è folclore c’è solo l’esito di una condizione umana dove l’angoscia del fallimento prevale sempre. Forse Lustrini e Cavagna sono nati già biografati, le loro esistenze sono state tracciate in un disegno di marginalità gregaria, “ognuno ha la sua parte” dice Lustrini. E tuttavia i due hanno ancora il desiderio di incidere le loro vite nella realtà del piacere terreno, che ha comunque la cifra del risarcimento. Vogliono deformare i loro giorni piegandoli ai loro bisogni che sono diventati ossessioni incontrollabili.

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Nell’azione scenica infatti è sempre presente una coazione al piacere, ma il desiderio di un tempo adesso si è prosciugato e ha lasciato i detriti di una eccitazione legata unicamente al materiale, al denaro, unico generatore di soddisfazione pulsionale. Il condizionamento della propria corporeità ha prevalso. Si può leggere l’opera come una potentissima astrazione del puro tratto istintuale che anima i due personaggi, dove gli uomini sono soli col loro dolore perché tutto il resto è scomparso. Una finale considerazione per l’interpretazione di Luca Toracca che consegna a Lustrini, nell’estremo gesto di congedo, uno sguardo di consapevole dolore, dove l’attore, Lustrini, Toracca non parla a noi spettatori ma parla di noi esseri umani.


i concerti del SaBato Sera al muSeo del SaSSofono

Per tutti gli appassionati un programma live in un luogo che racconta la storia della musica Al via il 5 settembre con il The Jazz Russel

Riprendono da sabato 5 settembre i Concerti al Museo del Saxofono. Tutti i sabato sera, cittadini, musicisti ed appassionati potranno godere di un ricco programma che prevede anche la possibilità di visitare il museo, straordinariamente aperto anche di sera. Un’iniziativa tesa a promuovere ed avvicinare chiunque alla musica dal vivo ma, soprattutto, una manifestazione che, con incisiva caparbietà, intende proseguire nella riconquista della serenità e della bellezza un percorso arrestatosi nel periodo del lockdown. “La musica – afferma Attilio Berni, ideatore, collezionista di sax e direttore del Museo - ci ha aiutato a non smarrirci parlando al corpo ed alla mente, suscitando emozioni che allentano le nostre tensioni rilassandoci ed energizzandoci. La musica sempre trasforma il nostro corpo in una cassa di risonanza, crea armonie e dissonanze, intreccia note, emozioni, memoria ed identità creando i presupposti emotivi fondamentali per un riavvio alla normalità. È così che abbiamo deciso di continuare la nostra attività dal vivo, confidando nella fiducia e fidelizzazione di chiunque coltivi nel proprio animo una sincera curiosità culturale e passione musicale”. Il primo concerto si svolgerà sabato 5 settembre: ad aprire la rassegna sarà la forma-

zione THE JAZZ RUSSELL & Friends capeggiata da Filippo Delogu: A seguire, il 12 settembre, sarà la volta del quartetto di Luca Velotti con lo spettacolo “Where the rainbow ends”. Il 19 settembre Alberto Botta & Friends daranno vita a “… Una botta di swing” mentre, a conclusione del mese, chiuderanno la rassegna Alberto Laurenti e Nadia Natali, con il gruppo i TheRoma, bell’esibizione dedicata alla Città eterna “Roma che mi guardi”. Gli eventi saranno gestiti ed organizzati nel pieno rispetto di tutte le normative anti-covid prevedendo un ingresso contingentato fino ad un massimo di 80 persone e la prenotazione obbligatoria con prevendita sul sito liveticket o chiamando i numeri +39 06 61697862 – +39 347 5374953. Prima dell’inizio del primo concerto è prevista un’apericena d’intrattenimento.

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Lungomare di Siracusa, foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

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luminoSa, antica Bellezza… SiracuSa Dario Bottaro

Viaggio in una delle città più antiche della Sicilia, adagiata sul mare, uno scrigno di tesori, arte e bellezza da vivere e riscoprire

Una delle città più antiche della Sicilia, fondata dai Corinzi guidati da Archia nel 734 a. C., crocevia di popoli per secoli, immersa nella luce dell’oriente siciliano, adagiata sul mare, si mostra in tutta la sua bellezza ammirata

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dalla terra e dal mare. Chi mette piede a Siracusa, difficilmente riesce a resistere al suo fascino millenario, alla sua luce, allo splendore che - complice il sole caldo dalla primavera fino all’autunno - regala visioni differenti a tut-

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te le ore del giorno. Una luce che la sublima e la avvolge, quasi accarezzandola. Quella stessa luce che nelle ore più calde diviene accecante e contrasta con l’azzurro del cielo e il blu del mare. Chi approda a Siracusa non può che lasciare un pezzo del suo cuore, catturato da questa città che narra secoli di storia e di dominazioni, testimone silenziosa del passare dei popoli che qui, fra queste strade hanno intrecciato le loro vite, i commerci, hanno profuso opere d’arte sia nell’architettura che nelle altre arti. Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni e ancora gli Angioini e gli Aragonesi, i Castigliani , gli Asburgo e i Borboni e poi ancora i Savoia e gli Austriaci fino al

ritorno dei Borboni. Tutte queste dominazioni hanno fatto sì che la città divenisse ciò che oggi gli sguardi dei più attenti e dei curiosi ammirano e catturano nei loro ricordi, attraverso i loro smartphone e le macchine fotografiche. Camminare per Siracusa è un’esperienza unica, fatta di colori, di scorci mozzafiato e di profumi. Il profumo del mare che circonda Ortigia, l’isolotto che è il centro storico della città, cui segue il quartiere Umbertino e immediatamente dopo quello della Borgata Santa Lucia. Potremmo definire questi tre luoghi, i luoghi dell’anima e vederli come il grande centro storico di Siracusa, suddiviso geograficamente dal mare e architettonica-

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Veduta esterna del Castello Maniace, foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

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Il papiro egiziano nella Fontana Aretusa, foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

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mente dagli edifici che nel corso del tempo sono stati innalzati per renderla più bella e funzionale anche allo sviluppo demografico. L’isola di Ortigia è certamente lo scrigno dei tesori più ricco, sulle sue strette strade e sul lungomare insistono edifici importanti, segni indelebili dell’epoca barocca che diedero un nuovo aspetto alla città dopo il terribile sisma del 1693 che distrusse tutto il Val di Noto. A differenza di molte altre città di questa zona, Siracusa venne ricostruita sullo stesso sito originario, non venne riedificata in un’altra parte del territorio poiché esisteva già sul mare, al contrario ad esempio di Avola e Noto che, dalle colline dei monti Iblei, vennero ricostruite più a valle e di conseguenza più vicine al mare. Gli edifici che si snodano per le vie di Ortigia, narrano del potere della committenza, palazzi nobiliari si affiancano a chiese dalle alte facciate e nascondono cortili di rara bellezza, dove anche lì l’architettura la fa da protagonista. Certamente il luogo simbolo della città - il salotto buono - il cuore pulsante della Siracusa nella storia è la grande piazza


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Veduta notturna di Piazza Duomo, foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

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Duomo, con la sua forma semi ellittica che, vista dall’alto, sembra avere la forma di un occhio. Su questa piazza si affacciano due importanti chiese, il Duomo e la chiesa di S. Lucia alla Badia, attualmente custode del dipinto più importante presente in città, Il Seppellimento di S. Lucia di Michelangelo Merisi da Caravaggio. Fanno bella mostra anche il Palazzo del Senato e il Palazzo Arcivescovile con il suo grande giardino che sembra essere sospeso e circondato da una elegante balaustra. Altri palazzi nobiliari circondano la piazza come ad esempio il palazzo Beneventano del Bosco e il palazzo Borgia che rispettivamente aprono e chiudono il lato destro dello spazio urbano, lasciando che l’imponente facciata settecentesca del Duomo occupi lo spazio centrale a sinistra. Un’armonia di forme e di colori, luci e ombre che sembrano danzare sulla bianca pietra e che restituiscono una bellezza solenne e maestosa. Ma piazza Duomo non è fatta solo di questi edifici, c’è anche altro, basta entrare all’interno del cortile del Palazzo del Senato, da tutti chiamato Palazzo Vermexio dal nome dell’architetto che lo realizzò, per scoprire che anche le viscere di questa terra riservano delle sorprese inaspettate. Sotto il Palazzo di Città infatti si trovano le rovine di un antico tempio ionico e al di sotto del giardino vescovile è invece l’ingresso per uno degli ipogei di Siracusa. Varcando la soglia di questo luo-

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Centro storico di Ortigia, scorcio su un vicolo, foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

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Particolare di uno dei balconi con geosie panciute di Palazzo Impellizzeri , foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

go ci si rende conto di quanto possa essere vasto lo spazio davanti ai nostri occhi. Una serie di corridoi si rincorrono scendendo pian piano di livello fino a raggiungere l’uscita che si affaccia sotto le mura spagnole dell’antica città. È così che dopo aver percorso una parte dei sotterranei dell’antica Ortigia, si rivedono la luce e il mare alla Marina, in uno stato emozionale che fa mancare il fiato. In quei corridoi si è attraversata anche la storia, in particolare il tempo del secondo conflitto mondiale, poiché in questi luoghi sotterranei venivano nascosti i civili durante i bombardamenti e in una piccola grotta di questo spazio sotterraneo, per lo stesso motivo trovò riparo il prezioso Simulacro d’argento della patrona S. Lucia, smontato e conservato in casse di zinco per proteggerlo dai bombardamenti. Tornando in superficie ed alle testimonianze più vetuste, come non parlare del Duomo, l’antico tempio di Atena trasformato nel tempo in chiesa cristiana. E’ certamente l’emblema della città, con i suoi millenni di storia, che ancora oggi stupisce e meraviglia i visitatori per le sue stratificazioni. Sul prospetto laterale sono infatti ben visibili le antiche colonne

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doriche risalenti al 480 a. C., anno di costruzione del tempio che fu voluto da Gelone dopo la vittoria riportata sui Cartaginesi ad Imera. L’interno stupisce per la varietà di stili che lo caratterizzano, dalla semplice linearità delle tre navate – ricavate aprendo le arcate sulle pareti dell’antica cella del tempio – alla bizantina cappella della Madonna della Neve, unica abside del periodo superstite, alla cinquecentesca cappella del Crocifisso per godere della bellezza della cappella del Ss.mo Sacramento realizzata intorno alla metà del XVII secolo per poi passare alla cappella di S. Lucia, opera settecentesca di perfetta

armonia e proporzione. In un unico luogo si attraversano millenni di storia e si rimane affascinati da tanta bellezza. Siracusa però è anche medievale con i suoi palazzetti nobiliari che raccontano di famiglie importanti provenienti da paesi lontani. I palazzi Montalto e Bellomo possono essere due importanti esempi di architettura medievale, ma soprattutto il secondo merita di essere visitato. Al suo interno ha infatti sede la Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, ove sono custoditi importanti pezzi d’arte che coprono un arco temporale che va dal XI al XIX secolo. Opere pittoriche, sculture in legno e marmo, oggetti di

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Esterno del Santuario Basilica di Santa Lucia al Sepolcro , foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

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Navata centrale del Duomo di Siracusa, foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

oreficeria e di ceramica, raccontano la sto- stevano infatti più ponti che permettevano ria di Siracusa e del suo territorio, in un l’accesso alla città vecchia poiché questa miscuglio si stili e linguaggi d’arte che meri- zona era costituita da una serie di isolotti tano di essere conosciuti. Lasciata l’isola di circondati da basse acque. Tra la fine del Ortigia con le sue bellezze, il viaggio prose- XIX e l’inizio del XX secolo l’intera zona gue sul ponte Umberto I, che collega l’isola venne bonificata e si creò il quartiere alla terraferma, l’unico ponte rimasto. Esi- umbertino, con la sua impostazione a scac-

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Volta della Cappella del SSmo Sacramento , Agostino Scilla, 1657-58, Duomo di Siracusa , foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

chiera, scandita da palazzi dai ricchi portali e dai cornicioni aggettanti. Accompagnati dall’leganza del quartiere umbertino si raggiunge presto il quartiere della Borgata Santa Lucia, ricco delle espressioni del liberty che si manifesta negli archi d’ingresso dei palazzetti, nelle ringhiere dei balconi ed

anche nei tanti decori delle facciate delle case. In questo quartiere è presente uno dei luoghi più importanti della città, che racconta la sua storia di fede, ma anche la sua importanza fin dai primi secoli dopo Cristo. Nella grande piazza intitolata a S. Lucia, sorgono la Basilica ed il tempietto del

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Soffitto a capriate lignee XIV-XV sec. Santuario Basilica Santa Lucia al Sepolcro, foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

Sepolcro, rispettivamente custodi dei luoghi del martirio e della sepoltura della patrona di Siracusa. Anche in queste due chiese l’espressione artistica parla linguaggi diversi, essendo il risultato di rinnovamenti e rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei secoli. Basti pensare che il primo luogo di culto alla santa, dopo quello del suo sepolcro, sorse già nel V secolo. Elementi normanni come il portale d’ingresso, dialogano con le arcate barocche del portico laterale, mentre l’inter-

no della Basilica custodisce uno dei soffitti a capriate lignee più belli e integri della Sicilia. La Basilica a tre navate è scandita da pilastri con archi a tutto sesto che al centro riportano i simboli iconografici della santa: la palma, il pugnale, la colonna, la coppa con gli occhi e la corona. All’interno dell’abside sul lato destro, una colonna di granito rosso indica, secondo la tradizione, il luogo esatto in cui Lucia di Siracusa subì il martirio per decapitazione, il 13 dicembre del

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Palazzo Bellomo sede della Galleria Regionale che conserva l’Annunciata di Antonello da Messina, foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

304, sotto la persecuzione di Diocleziano. A pochi metri di distanza, sotto il livello della piazza sorge il tempietto ottagonale del Sepolcro. Architettura seicentesca che cancellò le tracce di una preesistente chiesa intitolata a S. Agata, e costruito per inglobare e al contempo isolare il loculo dove le spoglie della santa trovarono riposo per diversi secoli, fino a quando il generale bizantino Giorgio Maniace le sottrasse da Siracusa per portarle a Costantinopoli, al

fine di proteggerle dalla scorrerie musulmane nel 1040. Di notevole interesse sono anche le Catacombe di S. Lucia che si sviluppano al di sotto del piano della piazza e che testimoniano interventi di realizzazione perdurati nei primi secoli dopo Cristo. Poco distanti da questo complesso cimiteriale sotterraneo, si trovano altri due siti dello stesso genere, le Catacombe di Vigna Cassia e quelle di S. Giovanni Evangelista. All’interno di questi siti si può conoscere la

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Teatro Greco, Parco Archeologico Neapolis di Siracusa, foto di Siracusa Arte e Cultura, www.siracusaarteecultura.it

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storia cristiana della città, prima figlia di Pietro dopo la Chiesa di Antiochia – così come cita la scritta dedicatoria che campeggia in alto per tutto il perimetro della navata centrale del Duomo – e tappa del viaggio di S. Paolo che qui sostò per tre giorni prima di giungere a Roma e subire il martirio. Molto vicino alle Catacombe di S. Giovanni è il Museo Regionale Paolo Orsi, ricco di reperti archeologici provenienti da varie località del territorio aretuseo, che ben denotano l’importanza di Siracusa nella storia antica come d’altra parte testimoniano anche le meraviglie racchiuse nel vicino Parco Archeologico della Neapolis. Al suo interno il tempo sembra essersi fermato e l’atmosfera che si respira riporta indietro nei millenni, soprattutto quando si raggiunge il grande teatro greco, ancora oggi palcoscenico naturale per le rappresentazioni classiche che attirano a Siracusa persone da tutto il mondo, per uno spettacolo unico e di grande impatto emotivo.

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la memoria è conoScenza e BuSSola per il futuro

I

Dopo la presentazione a Lecce del romanzo “Con le scarpe di cartone” lo scrittore Walter Cerfeda sarà il 27 settembre san Giorgio del Sannio per ricevere il Premio Giornalistico Marzani

« nostri giovani sono sembrano disinteressati del passato di ciò che eravamo, nemmeno incuriositiLa memoria non è nostalgia, certo ciascuno di noi nei ricordi sono importanti ma la memoria è un’altra cosa: è conoscenza di quello che è avvenuto per farci capire quello che sta accadendo. La memoria si perde. Ma la memoria è futuro. Senza memoria rischiamo di vivere nel buio. Di stare in questa epoca senza una bussola. Rischiamo di credere, come spesso purtroppo avviene di scoprire che il mondo è piatto, che Auschwitz è un’invenzione della storia che l’alunnaggio è un fotomontaggio televisivo e che novecentomila morti e ventisei milioni di contagiati nel mondo da un virus ogg a Roma sono negati perché viene dai negazionisti a Roma come a Berlino come in tante altre città del mondo in questo periodo che negano che esista una pandemia, un contagio, un pericolo e lo scambiano come un grande vecchio che vuole privare la libertò individuale. Questo è il frutto della non conoscenza» Da questa considerazione di partenza si è svolta la presentazione del libro “Con le scarpe di cartone” all’interno del chiostro dei Teatini sabato 5 settembre peril ciclo “Storie al Convitto” ideata dalla casa editrice Il Raggio Verde e la rivista Arte e Luoghi all’interno della rassegna “Extra Convitto” a cura del Polo Bibliomuseale e della Regione Puglia -

Assessorato all'industria turistica e culturale Con le scarpe di cartone intreccia la storia d’amore tra due giovani in un paesino del Sud Salento, il figlio di una famiglia nobile e benestante Cosimo e Lucia l’umile figlia di un bracciante, una famiglia poverissima. Un amore scandaloso che rompe tutte le regole che valevano per la società italiana e salentina degli anni Trenta e che metterà il personaggio Cosimo davanti ad una scelta inesorabile ma che significherà per lui conoscenza e consapevolezza di quanto sta accadendo intorno a lui e valuterà criticamente ciò che il mondo a poco si troverà a vivere: la seconda guerra mondiale con tutto il carico di orrore e morte. Economista e scrittore, saggista e autore di numerose pubblicazioni Walter Cerfeda è nato a Bari nel 1947, vive tra le Marche e il Salento. Il prossimo 27 settembre sarà ospite a San Giorgio del Sannio (BN) dove riceverà il Premio Internazionale Giornalistico e Letterario Marzani 2020 per la sua attività di scrittore e saggista. Un premio prestigioso, ideato dall’associazione Campania Europa Mediterraneo, che va ad aggiungersi ad altri importanti riconoscimenti tra i quali il Premio Firenze (con “Il diaframma dell’infelicità” edito da Kursaal nel 1967), la menzione d’onore del Premio “Le Muse” di Pisa e il terzo Premio “Città di Castello”. Tra le pubblicazioni: “L’altra faccia della rifon-

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dazione” e “L’accordo della discordia” (Ediesse 1988); “Un nuovo contratto sociale” (Ediesse 1992); “Lunedì” (Albatros 2009); “I pupari” (Albatros 2009), opera finalista al Premio “Mario Soldati”, menzione d’onore al Premio “Le Muse” di Pisa, terzo posto per opera inedita al Premio “Città di Castello”; “Solstizio d’inverno” (Albatros 2010); “Senza preavviso” (Manni 2012); “La nuova Europa” (Ediesse 2013); Domani (Albatros 2014), Per i tipi de Il Raggio Verde edizioni sono stati pubblicati “Allegoria” (2016), “Coprifuoco. La Primavera araba, l’Isis, i barconi e Noi”, 2018, “Discorso sull’economia nel tempo del sovranismo”, 2019, “Con le scarpe di cartone” (2019). Collabora con diverse testate giornalistiche e a breve uscirà un nuovo romanzo “Cristalli” sempre edito da Il Raggio Verde. (an.fu.)

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Il Ninfeo delle fate, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

il ninfeo delle fate e l’incanto dell’ipogeo di maSSeria tagliatelle Sara Foti Sciavaliere

A Lecce tra arte, bellezza e storia un luogo da riscoprire

Storie l’uomo e il territorio

LECCE. Il Ninfeo delle Fate è uno dei tre ninfei individuati a Lecce, insieme a quelli di Torre di Belloluogo e di Villa Fulgenzio della Monica (seppure si parli di ben altre due strutture analoghe presso Torre del Parco e un altro appartenente alla villa di Giovan Camillo della Monica), disposti intorno alla città e immersi in giardini e frutteti. Quello delle Fate è localizzato nell’area sotterranea della Masseria Tagliatella, presso le Cave di Marco Vito, tra la via vecchia San Pietro in Lama (oggi del Ninfeo) e via De’

Ferrari. Il toponimo ci viene spiegato dallo storico ed ecclesiastico del ‘600 Cesare Infantino: “Tagliatelle perché in questo luogo si taglia la pietra leccese per le fabbriche della città”. La masseria del XVIII secolo, oggetto di un recente restauro, in origine era una villa di epoca rinascimentale, probabilmente una casa palazziata, appartenuta al ricco e nobile Scipione De Summa, governatore di Terra d’Otranto dal 1532 al 1542 e uno dei protagonisti del fermento edilizio cittadino nella prima metà del 1500.

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Storie l’uomo e il territorio

Il Ninfeo delle fate, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

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L’edificio presenta un prospetto con finestre ad arco, un portale d’ingresso semplice e decorazioni a rosette. Si accede al ninfeo, percorrendo una scala sulla cui parete superiore si individua una temperata di fine XVI secolo, raffig u r a n t e l’“Annunciazione”. Sull’architrave d’ingresso si notano i resti di un’epigrafe, ormai del tutto abrasa, che nel 1925 Francesco Tummarello, in visita al ninfeo, leggeva in maniera frammentaria: “Ninphis et Pomo”. Si tratta delle dedica alle ninfe e a Pomona, ninfa romana che vegliava

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sui frutti dei giardini. Nell’antichità i ninfei costituivano i santuari dedicate alle divinità dei boschi e delle acque. Le strutture, di forma rettangolare, circolare o ellittica, vedevano l’allestimento di vasche presso le quali era possibile sostare, imbandire banchetti e trascorrere momenti di otium nelle ore più calde del giorno; un ninfeo poteva avere spesso una o più esedre, dalle quali l’acqua si incanalava in vasche di varia foggia e le edicole potevano essere decorate con incrostazioni in spuma di lava e conchiglie (da esse si originano le


Il Ninfeo delle fate, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

rocaille che tanta diffusione avranno dapprima nei ninfei delle ville europee cinquecentesche, poi negli stucchi rococò di vari edifici). In età rinascimentale i ninfei integrati in grandi ville e situati in ampi parchi, venivano realizzati per rappresentare antri naturali, creando l’illusione di un regno delle acque, facendo uso di coralli, madreperle, conchiglie e numerose statue disposte lungo le pareti o in nicchie. Intorno agli anni Trenta del XVI secolo, la nobiltà intellettuale leccese aderì al nuovo spirito culturale dando vita a circoli letterari, come l’Accademia dei Trasformati di Scipione Ammirato oppure l’Accademia lupiense di Antonio de Ferrariis, detto il Galateo. In questo contesto culturale, ricche dimore accolgono ninfei e giardini, luoghi di

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Storie l’uomo e il territorio


Il Ninfeo delle fate, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

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Storie l’uomo e il territorio

otium letterario, vita, appena dove godendo rigonfie al busto della frescura e morbide e delle acque, s c a m p a n a t e immaginiamo gli nella parte infearistocratici par- riore. I capelli tecipanti a leg- sono, di volta in gere famosi testi volta, sciolti, filosofici. mossi o raccolti in un’alta acconIl Ninfeo delle ciatura o impreFate si articola ziositi da una due ambienti, corona di fiori. Il collegati tra loro s e c o n d o da gradini. Nel ambiente, di forprimo, rettango- ma circolare, lare a soffitto presenta una piano, lungo le pseudo-cupola pareti mostra del tipo a camsei ninfe (tre per pana, su sottile lato) ad altorilie- cornice dentata vo, inserite e foto centrale, all’interno nic- avente funzione chie modanate di ricambio d’ae alternate a ria e di luce. Al nicchie vuote, i centro si indivicui catini sono dua una vasca ornati da con- con sedile contichiglie ed ele- nuo circolare e menti floreali a canalette di scagrandi foglie che rico delle acque. richiamano le analoghe pre- A causa di intersenti nel ninfeo venti postumi, di Fulgenzio. Le soprattutto riferininfe, purtroppo ti al primo mutile delle ambiente, è stabraccia, sono to spezzato l’anraffigurate in damento di posizione fron- moto delle ninfe tali oppure leg- nelle nicchie e si germente di perde così parte scorcio e vestite del dinamismo con leggere originario. Le tuniche strette in condizioni di


Il Ninfeo delle fate, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

Storie l’uomo e il territorio

abbandono a cui è stato a lungo sottoposto il ninfeo ha inoltre alterato la colorazione originale che pare, dalle tracce di pigmentazione sopravvissuta, dovesse essere di un brillante blu lapislazzuli. E se entrare nel ninfeo oggi, non più agli splendori di un tempo ma recuperato dai lavori di restauro, lascia comunque a bocca aperta, è inevitabile provare a immaginare il fascino di questo luogo nei suoi tempi migliori.

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le donne di natalie Shau Dario Ferreri

Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea

«Non ho particolari talenti,

"Stay true to yourself" (Resta fedele a te stesso)

sono soltanto appassionatamente curioso»

CURIOSAR(T)E

Albert Einstein

G

li appassionati dei filoni Lowbrow/Pop surrealism e dell'arte digitale hanno certamente incontrato nelle loro entusiasmanti peregrinazioni artistiche sul web le surreali immagini di una giovane artista autodidatta lituana che risponde al nome di Natalie Shau. La Shau nasce nel 1984 a Vilnius, dove vive e lavora; è considerata da molti una rappresentante femminile dell'avanguardia hi-tec dell'arte figurativa oltrechè illustratrice e fotografa leader nel panorama dell'arte digitale, e

può essere definita, pertanto, una mixed media artist, in quanto le sue passioni e creazioni sono un mix di illustrazione digitale, ritratto fotografico e foto artistica. Oltre ai suoi personali progetti artistici, le piace collaborare con musicisti, teatri, riviste di moda, pubblicitari e scrittori: è questo il motivo per cui molte sue opere si trovano, oltre che nelle gallerie dove espone, anche sulle copertine di vinili e libri di successo, nell'advertising, sulle riviste di moda, ecc. I soggetti preferiti dell'artista sono donne ed,

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Natalie Shau, Hunter's dream

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CURIOSAR(T)E

Natalie Shau, Solitude

in misura minore, animali; donne fragili e forti al tempo stesso, fatali o esoteriche, rappresentate come creature surreali e strane, statiche, quasi bambole, immobili sotto il peso dell'attesa ed il conflitto interiore che esplode dentro; come l'artista ha avuto modo di ripetere, per qualche misteriosa ragione sono i suoi personaggi che la scelgono e non viceversa. Il processo creativo della Shau è un creativo collage che parte dal flash di un'idea o una visione che, dopo essere stata esplorata nella mente, l'artista abbozza provando a verificarne la concreta rappresentazione visiva attraverso la raccolta di tutto il materiale che serve allo scopo: fa ritratti, fotografa vari elementi, reperisce sul web gli eventuali ed ulteriori elementi di grafica vettoriale necessari, li crea ex novo o li collaziona da sue precedenti opere e poi inizia a lavorare sul pezzo. Si definisce un'artista notturna, in quanto è con il buio che riesce a creare meglio ed a far emergere dal suo razionale background culturale -dove si affastellano religioni, fantasie, la bellezza della natura e dell'arte (di qualsiasi tipo, letteratura, pittura, fotografia, cinema), le stesse immagini d'arte e dipinti classici e moderni-, un pensiero creativo che supera e travalica il limite razionale: la sua arte esplora l'intera gamma delle emozioni femminili ed umane in genere, dando corpo alle sue realtà e fantasie in modo elegante, esteticamente accattivante e talvolta provocatorio, senza tralasciare, in alcune circostanze, una presa di posizione su alcune tematiche sociali. Ha collaborato/collabora con le seguenti gallerie d'arte: Opera Gallery (USA), Kat von D’s Wonderland gallery (USA),

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Natalie Shau, Insecta

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CURIOSAR(T)E

Natalie Shau, Sweet thought; a lato: Natalie Shau, Alla fine del sogno

Corey Helford Gallery (USA), Vanilla Gallery (Giappone), Dorothy Circus Gallery (Italia), Cabinet des Curieux (Francia), Last Rites Gallery (USA), STRYCHNIN Galleries (Germania), Phillips de Pury & Company gallery (USA); tra i suoi clienti: Lydia Courteille jewelry, Kara expo, Island Def Jam, Ogilvy & Mather, Sony BMG, Century Media, Nuclear Blast, Trisol, Metropolis records, Peaceville Records (Cradle of Filth), Michel LAFON, Actes Sud, Simon & Schuster Books, Bloomsbury Publishing, Cadbury, Le Livre de Poche; ha pubblicato tre libri in edizione limitata che riproducono le sue migliori creazioni: Tangled Tales, Lost in Wonderland e Love Spell ed è stata pubblicata su numerosissime riviste d'arte e moda (tra le altre Laminate most wanted, New York Arts, Hi Fructose, Juxtapoz, Elegy, Vogue, Insideart, Playboy , UrbaNation, ecc); ha inoltre lavorato come direttore artistico per il cortometraggio 3D del musical “Dracula” di Kamel Ouali. Nonostante le obiezioni da taluni avanzate circa la sue carenze tecniche digitali (immagini poco profonde, errori di rendering, riutilizzo di taluni elementi vettoriali in più opere, ecc) le creazioni

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Natalie Shau, Justine; a lato: White queen

gram (https://www.instagram.com/natalieshau/?hl=it ); il suo sito web è il seguente https://natalieshau.carbonmade.com/ Natalie Shau è un'artista di successo ed una giovane donna che si descrive, e non abbiamo esitazioni nel cre-

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dell'artista hanno un forte impatto emotivo in grado di raggiungere il grande pubblico; ed è questo il motivo principale del suo successo. Ha oltre 157.000 follower su Facebook (https://www.facebook.com/natalieshauofficial/ ) ed oltre 80.000 su Insta-

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derle, forte. Il motto della sua vita è "Stay true to yourself" ("Restate fedeli a voi stessi), e con questo motto, che è anche un invito, vi saluto e do appuntamento al prossimo articolo.


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I LUOGhI NELLA RETE | IL CONCORSO



LUOGhI DEL SAPERE

#ladeVotalettrice | le recenSioni di lucia accoto “come camBia lo Sguardo” di SuSanna trippa

SUSANNA TRIPPA Come cambia lo sguardo Armando Curcio 2019 ISBN 9788868683184 pp.252 € 14,90

L’entusiasmo, l’euforia, si infiammano e si spengono con niente. Gli animi, a volte, seguono le correnti. Si lasciano influenzare o si attaccano alla propria voce. Il senso di appartenenza politico, culturale, territoriale, identitario, per molti segna la strada. È una bussola emotiva che cresce o muore a seconda dei casi e delle persone. Appartenere a qualcosa significa avere dei principi, degli obiettivi, non perdersi quando le nuvole coprono le sicurezze. Certo, non bisogna avere i paraocchi. Essere chiusi nelle proprie convinzioni, facilmente confutabili, è da ottusi. È come restare bambini con il palloncino in mano, allentata la presa alla prima distrazione, scappa. A tradimento. È vero, usare troppa ragione inasprisce l’anima, però, assecondarla troppo si rischia di essere travolti. I dubbi servono, sono fondamentali, rinfrescano il senso critico e costruiscono la personalità di ognuno. Insomma, anche le certezze sbiadite dall’appartenenza ad un ideale può essere ripudiate. E siamo ingannati da noi stessi o da chi ci ha fatto credere che fosse giusto così, che le cose andavano cambiate, fatte. I poteri forti nascondono molte verità, insabbiano appartenenze, decidono da quale parte guardare, su chi e cosa puntare. Velando, oscurando e addirittura anche distorcendo gli obiettivi a cui la massa si volge con speranza. Pochi conoscono la vera appartenenza a qualcosa, che poi diventa altro, che si modifica sulla base delle menti poco rette e degli interessi di potere. La politica ne è un esempio. In Come cambia lo sguardo, Gli anni del Sessantotto di Susanna Trippa si scala gli anni e le indecisioni della protagonista, la scrittrice stessa, che come i figli dei fiori pensava di cambiare il mondo e di toccare le stelle. In una Bologna dalle sciarpe rosse al vento, Susanna si affida alla mente, ai ricordi, in un percorso introspettivo che la porta ad analizzare con schiettezza come ha vissuto il Movimento che ha segnato un’epoca. Non nasconde nulla, neanche le sfrontatezze da bambina. Si racconta, la scrittrice. La sua appartenenza ai ricordi la mettono in salvo da un modo di sentire finito e sfiorito in qualcos’altro. Per capirlo, però, ha dovuto osservare, respirare, annusare, entrarci anche dentro in punta di piedi nel Movimento, fino ad andarsene alla chetichella per la delusione, per i dubbi. Il Sessantotto, scavando a fondo, sembrerebbe una messa in scena di ideali con le sue manifestazioni, con le parole dure e vergognose alle forze dell’ordine, con azioni di fuoco. Un inganno, per nascondere altro. Disarmante la penna della scrittrice. La sua prosa si imprime sulla pelle del lettore come ondate chiassose. Senti che ti appartiene, che è una parte di te. Lo stile è corposo, profumato, sa di magia, di innocenza, di consapevolezza, di equilibrio trovato.

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ciVico 37 di lucia BaBBo #ladeVotalettrice il unViaggio giorno interiore in più, Storia e la dimeta un fallimento da Varcare

LUCIA BABBO Civico 37 Edizioni Kimerick 2019 pp.126 ISBN 978-8855161602 € 12,49

Il romanzo Civico 37 di Lucia Babbo, edito dalla Casa Editrice Kimerik, è un invito irresistibile a mettere un punto ed andare a capo. Oltre le frasi fatte. Prima del punto: una giovane scienziata gestisce alla stessa stregua la ricerca in un laboratorio di analisi e la sperimentazione in campo sentimentale, un prova e riprova senza esiti definitivi, finché l’assioma biologico della morte si presenta alla sua porta, incarnandosi in un lutto insanabile. L’a capo: il viaggio che risponde ad un imperativo interiore e un incontro che affonda il bisturi tra le pieghe sclerotiche della maschera e, mentre incide, ripara gli strappi e trae nuova luce dall’ombra. La partitura è nettamente scandita dalla sapiente regia dello spazio e del tempo. Prima: Perimetri presidiati e claustrofobici. Sguardi microscopici ed autoptici. Tempi lenti, su un binario a scartamento ridotto, forse una giostra di periferia. Quindi un colpo di coda del fato azzera la durata, sfonda le pareti del nido vuoto, dischiude la fame di cielo. Poi: Latitudine edenica ed esotica. Visione panoramica e sinestetica. Tempo psicologico sospeso in una trance, a dispetto di un orologio avaro: ebbrezza di sole, mare, ritmi trasgressivi ed eterne sirene che annunciano l’antico mistero dell’amore, che sempre unisce ciò che è diviso e tutto ricrea. Tutto si risolve in un varco. L’essere nello spazio e nel tempo abita stanze che si cuciono addosso come abiti mentali ed involucri protettivi. Capire quando la guaina diventa asfissiante è il primo passo, il secondo è varcare la porta. Civico 37 è la destinazione della coraggiosa protagonista della storia. Una storia che non è una semplice avventura del cuore, ma è il percorso di vita di ogni essere umano, numero primo condannato alla solitudine, essere mutilato e dunque sempre in cammino, alla ricerca della metà che lo completi. Forse di se stesso. L’altro è essenzialmente l’innesco di un’energia vivificante su una pila di vissuti, mancanze ed aspirazioni con un potenziale da esprimere. Tra un suggestivo gioco di ante e di specchi e di balconi che affacciano sull’infinito, la storia si arricchisce di un caleidoscopio di segni sincronici - poiesis di un universo complice, bagliori di rimando alla fiammella di una candela accesa in una notte solitaria - fino alla rivelazione del mare, tomba del dolore, utero d’amore. Perché qualsivoglia amore va e viene e, se si infrange, non muore. Carolina Babbo

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dalSalentocafé | le recenSioni di Stefano camBò

LUOGhI DEL SAPERE

il rumore degli errori di antonio cotardo

ANTONIO COTARDO Il rumore degli errori Youcanprint 2019 ISBN 9788831610957 pp.174 € 13

Il cinema ha sempre avuto un debole per le storie di rinascita sociale. Specialmente quando viene toccato un argomento spigoloso e a volte ostico, come quello legato al gioco d’azzardo. Il maestro Pupi Avati, durante la sua lunga carriera dietro la cinepresa, ha affrontato il tema per ben due volte, dando alla luce due piccoli capolavori che ormai fanno parte della filmografia contemporanea nostrana (mi riferisco naturalmente a Regalo di Natale e La rivincita di Natale). Anche il cinema d’oltreoceano ci ha regalato Il giocatore, un film del 1998 che vede come protagonisti Matt Damon ed Edward Norton, all’epoca giovani e in rampa di lancio nell’olimpo dello star system hollywoodiano. In ambito editoriale, svariati sono gli autori che si sono cimentati con questo particolare soggetto, soprattutto nella letteratura di genere legata al filone del giallo e del noir. Di questa schiera fa parte anche Antonio Cotardo, giovane scrittore salentino che vive a Caprarica (in provincia di Lecce) e che ha pubblicato con Youcanprint, Il Rumore degli Errori, un romanzo che tratta, per l’appunto, il dramma della ludopatia. La trama del libro ci fa conoscere fin da subito Alberto, un uomo sulla trentina che, nonostante una vita appagante sotto tutti i punti di vista, si ritrova, per un’insaziabile sete materialistica, a fare i conti con un problema. Quello del gioco d’azzardo! Purtroppo per lui, ciò che può sembrare all’inizio una semplice dipendenza si trasformerà in una vera e propria malattia, che lo porterà quasi sull’orlo del baratro. Solo attraverso un viaggio interiore nel profondo dell’animo Alberto riuscirà a venirne fuori, trovando, nel rumore degli errori commessi, non più un punto d’arrivo, bensì di partenza. Oltre ad una trama avvincente e ad uno stile che punta tutto sulla scorrevolezza, il romanzo di Antonio Cotardo colpisce per il modo in cui prende in esame un problema così particolare. L’autore, infatti, va dritto al punto e non usa giri di parole… Affronta la questione a muso duro e lo fa ben consapevole dei

Per l’invio di libri da recensire scrivere a redazione@arteeluoghi.it

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ce la faremo? di giuSeppe puppo e Sara foti SciaValiere

SARA FOTI SCIAVALIERE GIUSEPPE PUPPO ce la faremo? Il Raggio Verde edizioni pp 278 2020 € 16 ISBN 9788855162715

Durante il periodo di quarantena forzata, dovuta al propagarsi del Covid-19, molti di noi hanno sentito il bisogno di esprimere la propria voglia di rinascita e libertà attraverso svariate forme di creatività artistica. Dalle canzoni sui balconi al tramonto alle dirette sui social più conosciuti, fino ad arrivare alla scrittura come forma personale di riflessione nei confronti di un mondo che inevitabilmente stava cambiando fuori dalla finestra del nostro giardino.E proprio prendendo spunto da queste nuove forme di comunicazione, la casa editrice Il Raggio Verde di Lecce ha deciso di trasformare in un vero libro cartaceo il progetto messo in piedi, in quelle difficili settimane di inizio primavera, da Giuseppe Puppo e Sara Foti Sciavaliere. VITIS Ce la faremo? è infatti il titolo dell’antologia GLORIA di sei DE racconti nata dalla La maledizione di Toledo penna di questi due autori che, durante il lockdown, hanno Grifo Editore delle piccole manifestato la propria voglia di riflessione attraverso 2016 storie, che sono comparse a cadenza settimanale sul quotidiano pp. 216 leccecronaca.it. ISBN 9788866672746 Dalla chiusura forzata di una coppia di amanti, costretti a condividere €12,00 le quattro mura con i rispettivi coniugi al viaggio di due tifosi di calcio in trasferta, pronti a sfidare il proprio destino; da un uomo in là con gli anni e in piena crisi d’astinenza sessuale ad una povera moglie che subisce in silenzio violenza domestica, fino ad arrivare alla solitudine di un amore non ricambiato. Ad impreziosire il lavoro ci ha pensato Giuseppe Mauro con le sue immagini decisamente fumettistiche e una copertina che ben si concilia con le trame dei racconti. Ma soprattutto… Che ben si concilia con il titolo, perché simboleggia in pieno l’incontro dei due autori, che si ritrovano a guardarsi negli occhi dopo il periodo di chiusura forzata (tanto è vero che la conoscenza fisica da parte di entrambi è avvenuta proprio durante la presentazione ufficiale). Un libro insomma da non perdere… Specialmente per il sesto racconto che, come nella migliore tradizione letteraria, non sveleremo e starà a voi scoprire.

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Salento, reportage fotografico di Antonio Giannini

il Salento dei noStri gioVani paSSi Antonio Giannini

Girovagando tra le marine leccesi, da Porto Cesareo a Porto Selvaggio fino ad arrivare al cuore di Lecce

GIROVAGANDO

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ra la prima di una lunga serie di vacanze estive trascorse a Porto Cesareo ed io, quella sera del venti luglio del 1969, intorno alle otto, ero sdraiato al posto di guida sul sedile reclinato della Flavia Coupé grigio metallizzata di mio padre, parcheggiata davanti a casa, mentre la radio trasmetteva la cronaca delle manovre dell’Apollo 11 che avrebbero portato, di li a poco, Amstrong e compagni

a mettere piede sulla luna. Grande era l’attesa e l’impatto emotivo dell’evento e li, solo com’ero, disteso, con lo sguardo che riusciva a penetrare uno scorcio di cielo pieno di stelle, ricordo, sentii compiersi in me qualcosa che aveva un sapore agrodolce, ma di cui nemmeno mi curai di capirne la ragione. Percepivo che in quei minuti si stava compiendo la storia trionfa-

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GIROVAGANDO

Salento, reportage fotografico di Antonio Giannini

le dell’uomo e che quell’evento era come il coronamento del fatto che, pochi mesi prima, avevo compiuto sedici anni. L’allunaggio era una grande porta che si spalancava sul mondo degli adulti e la sensazione era di euforia mista ad inquietudine. Quello era un periodo felice della mia vita e, in seguito, il solo ricordo di quei momenti mi provocava, e mi provoca ancora, un riflesso vago di quella felicità che non sarà mai più così piena. Abitavamo in una casa a pian terreno presa in affitto da una famiglia di pescatori a due passi dal mare e la strada che conduceva a casa, nel finale, non era nemmeno asfaltata. A quei tempi il piccolo borgo non era ancora stravolto dalla speculazione edilizia, turisti ce n’erano pochi ed i suoi abitanti vivevano perlopiù di sola pesca. Spesso la mattina di buon’ora mi piaceva andare con mia madre al centro del borgo dove, vicino alla grande piazza, c’era la via delle pescherie ed era un tripudio di luce, colori, voci e odori. Il ghiaccio frantumato sparso alla rinfusa sul pesce disposto sui banchi a bellavista, a contatto con la luce diretta, brillava rendendo ancora più vividi e sfavillanti i colori, come in un quadro di nature morte. La sensazione era di essere davanti ad uno spettacolo dove tutto era organizzato al solo fine di rendere felici gli spettatori, dove si svolgeva un rituale collettivo pieno di gesti, parole, grida, immagini, colori; e quella rappresentazione

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Salento , reportage fotografico di Antonio Giannini

era tanto più clamorosa ed impressionante, quanto più i nostri sensi, a quell’ora del mattino, erano ancora freschi e riposati. A tutto questo si aggiungeva il piacere di sentirci come fuggiaschi dopo aver abbandonato, in punta di piedi, la nostra casa silenziosa mentre il resto della famiglia dormiva ancora profondamente. Porto Cesareo a quei tempi, per noi, non era un semplice borgo di mare. Lì, tutti gli anni, si compiva il miracolo di vivere una storia speciale, fuori dall’ordinario. Le spiagge libere e selvagge, quei tramonti che il sole ci regalava come una promessa, le serate in piazza sotto la torre di avvistamento a fianco al porticciolo, la grande piazza sul mare toccata sempre da una lieve brezza, l’affabilità degli abitanti del luogo con quell’accento stretto così diverso dal nostro; Tutto questo, unito all’esplosione di sentimenti strani delle nostre adolescenze, ci faceva sentire, ancora più speciale, quell’angolo di Puglia. Ma io, in particolare, forse più dei miei fratelli più piccoli, ho vissuto quella esperienza come una pietra miliare della mia vita perché ero coetaneo di Giovanni.

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Salento, reportage fotografico di Antonio Giannini

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E Giovanni aveva un padre straordinario come Sebastiano che, nei suoi pochi giorni liberi che la professione della pesca gli lasciava, ci portava in giro nei posti più disparati della zona di cui era un profondo conoscitore. E grazie a quelle nostre uscite esclusive, dove ci pareva di essere gli allievi devoti del maestro di vita, ho potuto scoprire la struggente bellezza di Porto Selvaggio e la regale signorilità, che metteva soggezione, di Lecce; luoghi che mi sono rimasti scolpiti nel cuore e nella mente al punto che, in seguito, nella mia vita di adulto, ogni volta che vi sono tornato, non ho potuto fare a meno di pensare a quei giorni ed ai nostri spensierati passi. A Porto Selvaggio, una mattina limpida di tramontana, col mare mosso che, spumeggiando a tratti, esibiva una serie di tonalità di indaco, percepimmo per la prima volta, in tutta la sua essenza, il significato di quell’aggettivo, fino ad allora immaginato solo leggendo libri di avventura. Lì, tra la macchia mediterranea, la roccia, il mare e una torre antica di avvistamento che da lontano ci sovrastava, ci sentimmo per la prima volta soli ma di quella solitudine benefica, mai provata prima, che ci svelò appena un arcano che ci portavamo dentro dai primi anni di età ma che non capivamo. Lecce, quello stesso giorno, ci accolse in tutta la sua magnificenza quando vi entrammo nel suo centro storico da Porta Rudiae; e l’impatto fu tanto più forte, quanto il contrasto tra la natura selvaggia e solitaria da cui venivamo e la magnificenza di quelle piazze, quelle chiese, quei palazzi che si apriva ai nostri occhi, fu spiazzante. Fu come assistere ad una grande gara da sempre in atto, tra l’opera spontanea della natura e quella frutto della creatività della mente umana.

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Salento , reportage fotografico di Antonio Giannini

Mi ricordo l’impatto spettacolare di Piazza Duomo, la sua grandezza e splendore che, allora, ci face sentire così piccoli; le decorazioni “impossibili” di Sant’Irene, di Santa Croce; l’imponenza della Statua del Santo sulla colonna che incombeva enorme sulle nostre teste. Quando Sebastiano ci spiegò che quella era una delle due colonne romane che segnavano la fine della via Appia a Brindisi, nella mia ingenuità di adolescente speranzoso, la vidi come un dono a simboleggiare la fratellanza tra le due Città. Alla fine della giornata, prima di tornare a casa “il maestro” ci portò al bar Alvino difronte all’anfiteatro romano e, come premio alla partecipazione e l’interesse da noi “allievi” mostrati, ci offrì un pasticciotto come dio comanda diceva lui - e il sapore e la fragranza della pasta frolla frammisto a quello soave della crema, attraverso le nostre bocche, si espanse in ogni angolo nervoso responsabile del piacere del

corpo e dell’anima, fondendosi in maniera inscindibile con le immagini della città rimaste impresse nei nostri giovani occhi. Di quella materia che stavamo assaporando, ci sembrò essere fatta tutta la città: I rivestimenti sgargianti dei suoi palazzi e delle sue chiese, la spaziosità delle sue piazze, l’intimità delle sue vie. Si, quel pasticciotto per me, ma credo anche per Giovanni, fu l’esatto equivalente di una madeleine; e noi quella sera tornammo a casa non sapendo ancora che quel giorno avrebbe lasciato un segno incancellabile nella nostra memoria. Quando molti anni dopo rividi Giovanni mi confessò che ai tempi delle nostre escursioni suo padre era preoccupato per lui che, a quell’epoca, mostrava i segni di un lieve autismo e che vedeva nella nostra amicizia un’ancora di salvezza e, mentre lo diceva, i suoi occhi lucidi furono più eloquenti di mille parole. Sebastiano, purtroppo, non l’ho più incontrato e a lui dedico questo breve ricordo:

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Salento, reportage fotografico di Antonio Giannini

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Lo dedico alla sua bonomia, alla sua calma fermezza, al suo modo discreto, mai invadente, di condurci, al modo di raccontarci le cose con le poche parole del suo vocabolario, alla fiducia che ripose in noi quando, parlando della nostra vita, ci diceva che “non sarà sempre cosi bella ma voi cercate sempre di renderla bella”; e ci diceva che spesso la solidarietà, il dono fatto agli altri, è un dono fatto a voi stessi; e ci diceva che l’egoismo in fondo è una forma di difesa dei più deboli, che i più forti sono sempre più generosi perché non temono le avversità. Queste cose ci diceva il nostro Maestro e noi non le abbiamo mai dimenticate. .

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I luoghi della Basilicata, reportage footografico di Stefaon Cambò

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i Borghi della BaSilicata nella nuoVa commedia italiana Stefano Cambò

Per i luoghi del cinema tra i set di Basilicata coast to coast

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a qualche anno la Basilicata si riscoprendo

sta bella. Talmente bella da essere presa in considerazione da alcuni registi italiani che l’hanno scelta appositamente per girare molte scene delle loro comme-

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die più riuscite. Fino al primo decennio del nuovo millennio, quando si parlava di cinema e dei film ambientati in questa bellissima regione, a farla da padrone era sempre stata Matera, la città famosa in tutto il mondo per i suoi

I luoghi del cinema


I luoghi della Basilicata, reportage footografico di Stefaon Cambò

meravigliosi Sassi (inseriti tra i Beni patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1993). Da Pier Paolo Pasolini a Mel Gibson, ogni volta che si prendeva come riferimento questa suggestiva località a livello cinematografico, inevitabilmente l’associazionismo portava con la mente alla Gerusalemme degli anni in cui visse Gesù, ponendo l’attenzione sul periodo che precede inesorabilmente la sua morte. Infatti, Matera con i suoi Sassi e le cavità

rupestri, è sempre stata perfetta per rappresentare scenograficamente la terra palestinese in rapporto ai tempi e ai costumi di quell’epoca lontana, venerata in ogni parte del mondo dai cattolici. In realtà, oltre a questa bellissima città, la Basilicata offre molto di più ed è una delle regioni che negli ultimi tempi ha investito maggiormente su un turismo eco-sostenibile in grado di associare le bellezze naturali del suo paesaggio ad attività sportive all’aria

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attraverso questa bellissima regione parlandovi di due commedie che ci hanno fatto conoscere ed apprezzare alcuni paesi della costa e del suo entroterra. Il primo, in ordine di uscita, è il sorprendente “Basilicata coast to coast” di Rocco Papaleo, attore conosciuto per le tante collaborazioni (da Leonardo Pieraccioni a Checco Zalone) che si è cimentato per la prima volta alla regia con un film originale che racconta il

I luoghi del cinema

aperte uniche e ormai conosciute in tutta Italia. Non solo… Perché, a fare da contorno ci sono anche i borghi. Veri gioielli incastonati tra le pendici dei monti e che sono l’orgoglio tradizionale e culturale di un territorio che si sta riscoprendo nei suoi valori più autentici. Ecco allora che oggi vi porterò per mano

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I luoghi della Basilicata, reportage footografico di Stefaon Cambò

viaggio surreale di un gruppo di amici che decide di spostarsi a piedi da un lato all’altro della regione. Girata come se fosse quasi un documentario, questa esilarante commedia è un dichiarato omaggio di Rocco Papaleo alla sua amata terra. Il luogo di partenza del film (e del viaggio) non poteva che essere Maratea, il bellissimo borgo che con le sue marine si affaccia sul mar Tirreno, conosciuto oltre per il suggestivo centro storico e le caratteristiche viuzze anche per il celeberrimo Cristo Redentore, una monumentale scultura posta sulla cima del Monte San Biagio, che sovrasta tutto il golfo. Alta ben 21,13 metri (solo un gradino inferiore a quella famosissima di Rio de Janeiro tanto per intendersi), questa imponente opera d’arte è stata realizzata tra il 1963 e 1965 da Bruno Innocenti con un particolare impasto che ha mischiato il cemento locale alle

scaglie di marmo provenienti da Carrara. Il viaggio del simpatico gruppo di avventurieri lucani, continua con i borghi di Trecchina, Lauria, Tramutola per fermarsi al Lago di Pietra del Pertusillo in prossimità di Spinoso. Questo grande bacino d’acqua è in realtà artificiale ed è stato costruito tra il 1957 e il 1962, a sbarramento del fiume Agri, con i fondi della Cassa del Mezzogiorno. Con la sua diga ad arco lunga quasi quattrocento metri e alta ben 95 metri, permette oltre allo sfruttamento dell’energia idroelettrica anche una riserva importantissima per l’irrigazione di oltre trentacinquemila ettari di terreno tra Basilicata e Puglia. Il viaggio a piedi del simpatico gruppetto fa tappa ad Aliano, borgo conosciuto dagli amanti della letteratura italiana perché nel suo territorio lo scrittore Carlo Levi vi trascorse parte del suo periodo di confino componendo il celeberrimo Cristo si è fermato ad Eboli (il legame fu talmente forte che alla sua

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monumenti da salvaguardare redatta dalla Word Monuments Fund. Ultima tappa del simpatico gruppetto (e meta conclusiva del loro viaggio a piedi) è la città di Scanzano Jonico, dove si sarebbe dovuto tenere il concerto a cui tutti i componenti avrebbero preso parte se non fosse per il ritardo con cui arrivano purtroppo a destinazione. Dall’originale pellicola di Rocco Papaleo passiamo ad un altro film divertente ambientato sempre in Basilicata tra i suoi bellissimi borghi. Si tratta della commedia Un paese quasi perfetto del regista Massimo Gaudioso interpretata da Silvio Orlando e Fabio Volo. Oltre alla bravura degli attori e alla sceneggiatura spumeggiante, i veri protagonisti della storia sono i due bellissimi borghi che fanno da cornice alle vicende narrate. Infatti, per le riprese del film, sono stati scel-

I luoghi del cinema

morte decise di farsi seppellire nel cimitero del paese). Dopo Aliano è la volta di Craco, il paese fantasma (anche se una parte ancora abitata esiste) arroccato su un promontorio argilloso sui calanchi in provincia di Matera. Nel 1963, a causa di una frana di vaste proporzioni, questo suggestivo borgo iniziò ad essere evacuato e parte degli abitanti emigrò o si spostò più a valle. Purtroppo nel 1972 un’alluvione fece precipitare la situazione, impedendo un ripopolamento del centro storico, abbandonato definitivamente dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980. Da quel momento Craco è rimasto intatto trasformandosi in un paese fantasma. Un paese che è diventato negli anni un set naturale a cielo aperto facendo la fortuna dei registi italiani ed internazionali, tanto che nel 2010 è entrato addirittura nella lista dei

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I luoghi della Basilicata, reportage footografico di Stefaon Cambò

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I luoghi della Basilicata, reportage footografico di Stefaon Cambò

vero unica ed adrenalinica, c’è il celeberrimo Volo dell’Angelo, un tuffo tra cielo e terra che consente di percorrere un tragitto di 1.550 m scivolando su un cavo d’acciaio sospeso a circa quattrocento metri d’altezza. Praticamente, in poco più di un minuto, si

I luoghi del cinema

ti Castelmezzano e Pietrapertosa, i paesi arroccati sulle stupende Dolomiti Lucane e ormai conosciuti per un’attrazione sportiva che qui conduce ogni anno giovani da ogni parte del mondo. Per chi volesse provare un’esperienza dav-

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arriva da un borgo all’altro come se fossimo un’aquila che plana sulla vallata che separa i due caratteristici paesi. E con le immagini delle bellissime cime delle Dolomiti Lucane, lasciamo che il film ci conduca verso i titoli di coda, consigliandovi

con il cuore di visitare (anche a piedi perché no) la Basilicata, una regione immersa nella natura incastonata soprattutto nella bellezza dei suoi tanti borghi sparsi su tutto il territorio.

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Foto di Mario Cazzato

la più antica immagine di Sant’oronzo Mario Cazzato

Rileggendo i libri antichi... a proposito del Santo Patrono di Lecce

Salento Segreto

LECCE. Come ogni anno si è rinnovata la Festa in onore dei Santi Patroni di Lecce, Oronzo Giusto e Fortunato. Una festa diversa e in tono minore per le misure di prevenzione e di contenimento per la diffusione del Covid 19. Niente processione per le vie di Lecce con il simulacro del santo. E a proposito di iconografia la più antica immagine di Sant’Oronzo è la statua lignea napoletana che si trova nella bellissima Chiesa di sant’Irene. Sottopongo alla vostra attenzione le quattro splendide

Statue-reliquiario, che si trovano nell’altare del transetto destro della sopraccitata chiesa di Sant’Irene, originaria patrona della città. Scoperte nel 2007, con il restauro fu evidenziata la coloritura originaria e furono attribuite ad Aniello Stellato (notizie dal 1605 al 1643) che le avrebbe scolpite a Napoli e inviate a Lecce intorno al 1612. Stellato è considerato il più notevole scultore napoletano dell'epoca. Due di queste statue hanno il nome e sono

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Foto di Mario Cazzato

ne di sant'Oronzo è in assoluto la prima che possediamo.

Salento Segreto

sant'Irene e san Giusto, quella con il personaggio "all'antica" è sant'Oronzo e l'altra, vestita come un soldato romano, è san Fortunato (ma potrebbe essere anche san Biagio).Comunque sia, la raffigurazio-

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Dall’8 al 15 ottobre, arte in concorso nel Castello Carlo V di Lecce

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No David? No Italia!

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PALAZZO NERVEGNA

LA BELLEZZA IN COSTITUZIONE

La bellezza svelata di uno dei monumenti chiave della città di Brindisi

Due anni fa in sordina veniva depositata la proposta di legge dall’on. Serena Pellegrino

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IL MAGGIO DEI MONUMENTI

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Magritte

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I LUOGHI DEL CINEMA

UNA GALLERIA CELESTE

Puglia, Sicilia e Abruzzo: tre castelli per il film Il Racconto dei Racconti di Matteo Garrone

Il libro di Mario Cazzato sugli affreschi e le sculture del Castello Lymburgh di Cavallino

BARI JAZZ FESTIVAL E IL SITO DI “PETRA”

BUON COMPLEANNO PAZ!

Un concerto spettacolare nella Cattedrale di San Sabino con Luca D’Aquino e il quintetto della Jordanian Orchestra per il sito Unesco

In rete il sito ufficiale dell’artista Andrea Pazienza presentato nell’ambito del Comicon a Napoli. Una banca data e una piattaforma dedicata a Paz!

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TESORI NASCOSTI. A NAPOLI

Anno XII - n 1 Gennaio 2017 -

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Corpo/scrittura: racconto e anomalia d’arte

Nei reperti la storia della Città

LA TORRE GHIRLANDINA DI MODENA

GENNAIO AL MUSEO

“Il corpo e la pelle possono diventare campo di ogni relazione e percorso”, dalconvegno della nuova critica d’arte l’Intervento del critico Vitaldo Conte

I lavori di restauro del Castello Carlo V riportano alla luce vasi e ceramiche del tardo Medioevo. Siglato un accordo tra amministrazione e Università di Lecce

Un tesoro del Medioevo cristiano che coniuga valori religiosi e civili. Alla scoperta di complesso artistico e architettonico patrimonio Unesco dal 1997

Uno spot per la nuova campagna social del Mibact. Visitare, scoprire e condividere le foto con gli hashtag #lartetisomiglia

A chi ha creduto in questo progetto compresi coloro che non ci sono più a chi continua a crederci a chi vuole essere testimone della bellezza della nostra Italia per raccontarla alla casa editrice Il Raggio Verde alla squadra di Arte e Luoghi a voi che ci leggerete semplicemente Grazie!


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