Arte e Luoghi | settembre 2021

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TONINO CAPUTO

Online l’archivio dell’artista e scrittore, che racconta un pezzo di storia del Novecento

Il ricordo dell’artista giramondo ambasciatore della salentinità da Roma a New Yoirk

Anno XVI - n 7-9 luglio-settembre 2021 -

CARLO LEVI

anno 163 numero 9 settembre 202 1

VENETIA 1600 L’EREDITÀ DI CARAVAGGIO

I LUOGHI DEL CINEMA

Nella Fondazione Palmieri di Lecce Le tracce del Merisi nei dipinti del ’600 in collezioni private

La bellezza dei luoghi dalla costiera italiana da Nord a Sud, da Portofino a Siracusa


primo piano le novità della casa

IL RAGGIO VERDE EDIZIONI

ilraggioverdesrl.it


EDITORIALE

Antonio Canal (detto Canaletto) Piazzetta San Marco con la Loggetta e la Libreria, 1730-1740 Olio su tela; cm 69 x 92 Roma, Gallerie Nazionali d’Arte Antica

Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo

Non potevamo non dedicare un omaggio alla città di Venezia, che celebra i suoi primi milleseicento anni, raccontando la mostra monumentale allestita nel palazzo Ducale. Come non potevamo non rendere omaggio alla memoria dell’artista Tonino Caputo, scomparso lo scorso 5 agosto, grazie al ricordo dell’amico e critico d’arte Toti Carpentieri e del giornalista Raffaele Polo. E come non ricordare Pino Cordella un altro figlio del Salento che ha legato il suo nome all’alta moda? Giova ricordare uomini di arte e cultura che hanno lasciato un’eredità immensa che va custodita e tramandata alle nuove generazioni. In tal senso, davvero pregevole, il lavoro della Fondazione Carlo Levi che ha messo on line l’imponente archivio fotografico dell’artista e che dedicherà in ottobre una giornata di studi alla figura dello scrittore, giornalista e politico come ci racconta Sara Di Caprio. Non mancano gli appuntamenti con le rubriche, I luoghi del mistero con Raffaele Polo che ci porta a San Cataldo nella marina di Lecce, i Luoghi del cinema grazie a Stefano Cambò che ci fa compiere un itinerario dalla costiera di Portofino a Siracusa, Curios(A)rte con l’intervento di Dario Ferreri che ci fa conoscere Eric Lacombe, Francesco Pasca che ci guida nell’atelier di Ezio Sanapo mentre Sara Foti Sciavaliere ci porta a Lecce nella fondazione intitolata a Luciana Palmieri sulle tracce del Merisi nelle collezioni private presentate nella mostra “L’eredità di Caravaggio”. Se c’è un filo conduttore in questo numero è proprio la forza della memoria e l’eredità degli artisti che con le loro opere continuano a parlare e a parlarci. Come fanno i classici della Letteratura, d’altronde, a partire dall’Odissea, anche quando vengono riscritti in modo originale come nella drammaturgia “Un’Odissea infinita” di Alessandra Pizzi interpretata a Lecce nel chiostro cinquecentesco dell’ex Convitto Palmieri dall’attore napoletano Enzo Decaro che abbiamo avuto il piacere di incontrare e intervistare. Così come ringraziamo Giuseppe Salerno per aver voluto parlare con noi del suo ultimo libro “Io curatore” un saggio sull’attività di curatore e sulle dinamiche dell’arte contemporanea. Buona lettura! (an.fu.)

SOMMARIO Luoghi|Eventi| Itinerari: Girovagando |Il Museo del futuro 90|Il festival del tempo 98 | ItinerarArte 99 | Salento Segreto 134 Arte: Venetia 1600 Nascite e Rinascite 4|Ma sessant’anni non sono forse una vita? 18| Tonino Caputo 30| L’eredità di Caravaggio in Europa 38 Nicola Genco 82 | Enzo Sanapo 94 I luoghi della parola: | Curiosar(t)e: i malinconici dipinti di Eric Lacombe 66 | Pino Cordella 108 Musica: Music for Change Musica contro le mafie 60|

Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Stefano Cambò, Toti Carpentieri, Mario Cazzato, Lia De Venere, Dario Ferreri, Sara Foti Sciavaliere, Francesco Pasca, Francesca Pastore, Raffaele Polo Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it

Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.

Interventi letterari|Teatro |Luoghi del mistero: Intervista ad Enzo Decaro 32 |Intervista ad Alessandra Pizzi 36 Un’Odissea infinita 37 | Una chiesa di epoca romana sul fondale di San cataldo 80 Cinema Quando Hollywood sceglie la costa italiana 114 | Nella Sicilia di Malena 126 Libri | Luoghi del sapere 100-107 | #ladevotalettrice 103 | #Dal SalentoCafè 106 I luoghi nella rete|Interviste| Intervista a Giuseppe Salerno 48| Intervista a Gianluca Palma 52 || I luoghi nella rete Viaggio in 3d a Carpignano Salentino 64 Carlo Levi 72 Numero 7-9- anno XVI - luglio settembre 2021


VENETIA 1600 NASCITE E RINASCITE IL MITO, LA STORIA E IL SOGNO Antonietta Fulvio

250 opere nel Palazzo Ducale per celebrare i primi milleseicento anni della città lagunare. E tantissime altre iniziative nel Belpaese per celebrare Venezia VENEZIA. Milleseicento anni. Tanti ne ha Venezia, la Serenissima, icona di bellezza e fascino senza tempo, romantica e malinconica, misteriosa come le maschere del suo Carnevale. Lo scrittore Carlo Dossi asseriva che la sua architettura dava le emozioni

della musica, e come non condividere questo pensiero? Venezia è magia. È sogno. È mito e storia insieme e per celebrare i suoi primi milleseicento anni si è aperta il 4 settembre nel palazzo Ducale, in piazza San Marco, una mostra monumentale visitabile

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Vittore Carpaccio, Leone di San Marco andante “da tera e da mar”, 1516, olio e tempera su tela Venezia, Fondazione MUVE -Palazzo Ducale

fino al 25 marzo 2022. Curata da Robert Echols, Frederick Ilchman, Gabriele Matino, Andrea Bellieni e con la direzione scientifica di Gabriella Belli, VENETIA 1600. Nascite e rinascite proverà a raccontare attraverso oltre 250 opere d'arte, manufatti antichi e documenti rari – i momenti, i luoghi, i monumenti e i personaggi che hanno segnato la storia di Venezia. Promossa dalla Fondazione Musei Civici di Venezia, l’esposizione si muove lungo due direttrici, da una parte i momenti di crisi dall’altro i rinnovamenti che hanno segnato l’esistenza della città nata sull’acqua. Una storia che inizia, come leggenda vuole, il 25 marzo 421, con la posa della prima pietra della chiesa di San Giacometo a Rivoalto. Dall’appartamento del Doge si dipana la “narrazione” che ha inizio sul mito di Venezia e sull'iconografia che ha accompagnato e

consolidato la sua affermazione di città della Vergine, città di San Marco e città della Giustizia. Dodici le sezioni di questo intrigante percorso contraddistinte dall’allestimento scenografico a firma del regista Pier Luigi Pizzi. Si parte, dunque, dalla città eletta da Dio, perché nata nel giorno dell’Annunciazione, tra le opere figurano il famoso dipinto di Jacopo Palma il Giovane con la Vergine Assunta che assiste all’Incoronazione di Venezia fatta dal Vescovo San Magno (1627) (tra i capolavori restaurati grazie all’evento Save Venice Inc), la Pala Barbarigo di Giovanni Bellini, dipinta nel 1488 e oggi conservata nella chiesa muranese di San Pietro Martire, Bonifacio Veronese raffigurante San Marco che consegna lo stendardo a Venezia (1532), e parte del Tesoro della Basilica, oggetti preziosi che documentano l’importante e lunga relazione di Venezia con

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Bisanzio. È curioso notare come per una città che vive sull’acqua il fuoco sia stato spesso elemento di distruzione ma anche occasione di rinascita. Nel 976 un devastante incendio distrusse la Basilica di San Marco ma la sua ricostruzione segnò un nuovo ciclo evolutivo della città così come si evolse l’iconografia marciana in chiave politico religiosa assimilando il Leone di San Marco a simbolo della stessa Repubblica. Una Repubblica fondata sulla giustizia con la figura della Vergine che sarà assimilata all’allegoria della Giustizia e che finirà per identificare la città. Dai ritratti dei dogi Giovanni Mocenigo di Gentile Bellini e Francesco Foscari di Lazzaro Bastiani alle carte nautiche, gli atlanti e astrolabi ma anche le vedute dell’Arsenale e scene di battaglie navali come nel dipinto di Andrea Vicentino.

Da Regina del mare a Città dei mercanti, via via con opere straordinarie si sfogliano i secoli e gli eventi drammatici come per esempio gli incendi del Fondaco dei Tedeschi (1505) e quello del mercato di Rialto (sede del mercato e delle banche del tempo) (1514) e il crollo del ponte sul canal Grande (1524). Si passa alla sezione Renovatio Urbis: Andrea Gritti e gli architetti che si concentra sul Cinquecento che fu il secolo della riprogettazione degli spazi della città in funzione delle istanze politico-identitarie dell’élite veneziana grazie alla figura di Andrea Gritti, provveditore generale durante la lega di Cambrai e doge di Venezia nel 1523. In mostra oltre ai ritratti del doge le vedute pittoriche della piazzetta San Marco insieme ad elementi architettonici originali, tra i quali alcuni frammenti della Loggetta di Sansovi-

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no scampati al crollo del Campanile di San Marco (1902). Tra gli artisti si segnalano Canaletto – La Piazzetta di San Marco con la Loggetta e la Libreria (1730-1740) dalle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma –, Lazzaro Bastiani, Gian Antonio Guardi e anche Tiziano con l’imponente xilografia, di oltre due metri e mezzo, in cui rievoca La sommersione del Faraone nelle acque del

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Mar Rosso. Di particolare impatto, L’incendio di Palazzo Ducale, un’intera sezione dedicata all’incendio divampato nel palazzo il 20 dicembre 1577 distruggendo tra l’altro uno dei piùgrandi cicli di pittura rinascimentale presente nella Sala del Maggior Consiglio. Emblematico il dipinto di Ludovico Pozzoserrato, prestato dai Musei Civici di Treviso, che ritrae il fabbricato inghiottito dalle


ancor oggi. Tra le pochissime opere di Tiziano rimaste a Palazzo Ducale, dopo il tragico incendio, vi è lo straordinario affresco di San Cristoforo che porta sulle spalle il bambino: sullo sfondo, a sottolineare la protezione del Santo sulla città, si scorge il bacino di San Mar-

Storie l’uomo e il territorio

fiamme. Dopo la distruzione contrariamente all’ipotesi di una riedificazione in stile classico come avrebbe voluto il Palladio si scelse la via del consolidamento e la nuova decorazione pittorica del Palazzo realizzata dai migliori artisti dell’epoca è quella che si può ammirare

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co col Campanile e la sagoma di Palazzo Ducale. La settima sezione intitolata La peste, 1576 e 1631 presenta volumi, acqueforti e stampe nelle quali emerge da un lato la figura del medico della peste e dall’altro le contromisure messe in campo contro il morbo. Di quel


Joseph Heintz il giovane La processione del Redentore, 1648-1650 Olio su tela; cm 115 x 205, Venezia, Museo Correr, Cl. I n. 2058

periodo è l’edificazione di Santa Maria della Salute che viene ricordata con le tele e le medaglie commemorative. Tra le opere di questa sezione figurano la tela Venezia supplica la Vergine di intercedere con Cristo per fermare la peste di Domenico Tintoretto, e l’olio

del Padovanino raffigurante Il doge Alvise Mocenigo inginocchiato davanti al modello del Redentore, entrambi datati 1631, e La Processione del Redentore di Joseph Heintz il Giovane del 164850. Sempre del Padovanino è la Madonna con Bambino e modello votivo della Salu-

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te, conservata nell’omonima chiesa ed eccezionalmente prestata per questo evento, mentre è di Marco Boschini la monumentale acquaforte che raffigura la processione votiva nella chiesa di Santa Maria della Salute (1717). San Sebastiano e San Rocco, protettori dalle malattie contagiose, sono i santi che la città invoca in questi frangenti: l’uno raffigurato in un dipinto di Pietro Vecchia di collezione privata, l’altro nell’intenso lavoro di Bernardo Strozzi del 1670 prestato dalla Scuola di San Rocco. Settecento: gloria e caduta della Serenissima è la parte del percorso espositivo che analizza i fasti della nobiltà veneziana agli inizi del 1700, un secolo che vede la Serenissima regina dei mari ben rappresentata dal grande olio di Giambattista Tiepolo Nettuno offre a Venezia i doni del mare (1756-1758) e fastosa per il trionfo delle sue arti, in particolar modo del teatro e della musica. Autentici capolavori ce lo raccontano: dal Ritratto di Carlo Goldoni di Alessandro Longhi a quello sofisticato che Rosalba Carriera ci lascia della cantante Faustina Bordoni Hasse, fino alle caricature pungenti di soprani e tenori tracciate a penna e inchiostro da Anton Maria Zanetti, in prestito dalla Fondazione Giorgio Cini, ai concertini in famiglia e scene di socialità dipinte sempre dal Longhi, fino all’inaugurazio-


Bonifacio de’ Pitati (detto Veronese) San Marco porge lo stendardo a Venezia, 1531-1532 olio su tela; cm 228 x 141 Venezia, Gallerie dell’Accademia (in deposito esterno alla Fondazione Giorgio

Giuseppe Borsato Ingresso di Napoleone a Venezia il 29 novembre 1807, 1809 Olio su tela; cm 35,4 x 59,6 Roma, Museo Mario Praz, Inv. n. 929

ne del Teatro La Fenice,dove esordì un giovane Giovanni Paisiello (1792) illustrato nel disegno coevo di Francesco Guardi, che negli anni diventerà̀ uno dei simboli delle tante “rinascite”

della città lagunare. Il 1797 è l’anno fatidico del Trattato di Campoformido e della fine della Serenissima. Solo pochi anni prima, nel 1789, Venezia era riuscita a fronteggiare l’incendio nel

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quartiere di San Marcuola come testimonia il dipinto di Francesco e Giacomo Guardi delle Gallerie dell’Accademia. I dipinti di Giuseppe Borsato Veduta della Piazza S. Marco il giorno


Luigi Querena L’incendio della Scuola dei Morti a San Geremia, 1850 post Tempera su tela; cm 104 x 165 Venezia, Museo Correr,

dell'innalzamento dell'albero della libertà datata proprio 1797 e l’Ingresso di Napoleone a Venezia il 29 novembre 1807 prestato dal Museo Mario Praz di Roma segnano questo delicato passaggio della storia di Venezia che in un continuo avvicendarsi passò tra le mani di francesi e austriaci incidendo anche da un punto di vista urbanistico sull’aspetto della città. Ottocento, rivoluzione e unificazione vedono nella città lagunare l’arrivo della ferrovia come documenta ad esempio l’incisione su

rame del 1856 realizzata da Bernardo e Gaetano Combatti che mostra la Pianta di Venezia con il ponte ferroviario (nell’edizione con linea FS) e il Progetto per il Ponte ad archi di cotto disegnato da Tommaso Meduna. L’Ottocento è anche il secolo della Repubblica di San Marco proclamata dal giovane avvocato Daniele Manin, dei bombardamenti austriaci ma anche dell’annessione al neonato regno d’Italia nel 1861 ben rappresentato dalla tela di Giacomo Casa raffigurante l’Unione di Venezia all’I-

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talia dalle Gallerie civiche di Udine e di Andrea Appiani con l’opera Venezia che spera prestata per l’occasione dal Museo del Risorgimento di Milano. Un secolo denso di avvenimenti, di inevitabili cadute. A partire dal primo incendio al Teatro La Fenice di Venezia 13 dicembre del 1836 (il successivo sarà nel 1996) che ebbe un ruolo determinante durante il Risorgimento con la rappresentazione dell’Attila di Giuseppe Verdi, in mostra le partiture originali, le locandine, i libretti d’epoca e i disegni


25 aprile 1912. L’inaugurazione del campanile di San Marco, 1912 Olio su tela; cm 289 x 318,3 Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, inv. 521

delle scenografie di Giuseppe Bertoja. Fino ad arrivare al 1902 anno del crollo di uno degli elementi più identitari della città: il Campanile di San Marco. Ricostruito sarà inaugurato nel 1912, come testimonia il dipinto di Ettore Tito. La capitale dell’arte contemporanea non

poteva che partire dal rinnovamento che coincide dopo le chiusure imposte dalla Seconda guerra mondiale con la ripresa della Biennale, la cui XXIV edizione si inaugura nel giugno 1948 diventando da allora un punto fermo nella storia di Venezia. L’arrivo in città della nota collezionista americana

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Jackson Pollock Circumcision, 1946 olio su tela; cm 142,3 x 168 Venezia, Collezione Peggy Guggenheim (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)

Peggy Guggenheim con la sua eccezionale raccolta d’arte e il suo impegno contribuì a far diventare Venezia crocevia internazionale di artisti e di critici, fervido terreno del dibattito sui nuovi scenari dell’arte tra figurazione e astrattismo. In quegli anni Jackson Pollock (1946) espose il suo Circumcision

ed emergono alcuni artisti dalla fucina del Fronte Nuovo delle Arti come Giuseppe Santomaso – in mostra Muro e alghe del 1954 – ed Emilio Vedova di cui si potrà ammirare Immagine del tempo 1958 n.3 V. (Fondazione Vedova) Acqua Granda, 1966, 2019, eventi dramma-

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Bill Viola La zattera, Maggio 2004 Installazione video-sonora Proiezione a colori in alta definizione su parete in ambiente oscurato; suono surround 5.1

tici rappresentati simbolicamente in mostra dall’opera The Raft (La zattera), straordinario “cameo” dell’artista multimediale di fama mondiale Bill Viola, e l’ultima sezione Vene-

zia e il futuro intendono essere un invito alla riflessione sulla salvaguardia del patrimonio di questa città e sulla ricerca della sostenibilità̀grazie a un’installazione nata dalla colla-

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borazione tra Gabriella Belli e Studio Azzurro. «Crediamo che il passato di Venezia – la storia, le tradizioni, i monumenti, i tesori d’ar-

te – rappresenti una risorsa notevole, una preziosa roadmap per il futuro della città», scrivono i curatori della mostra nel saggio introduttivo al catalogo. «La città è riuscita a

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sopravvivere così a lungo perché è stata in grado di rinascere, di volta in volta, in forme nuove e più adattabili. Guardare al passato per pianificare il futuro è assolutamente possibile a Venezia più che in qualsiasi altra città.» Una mostra da visitare, assolutamente, per riscoprire la storia e l’identità di una città che più volte ha dovuto ridisegnare il suo destino

come testimoniano le opere e i documenti dei massimi artisti che hanno operato in laguna nell’arco di un millennio: Carpaccio, Bellini, Tiziano, Veronese, Tiepolo, Rosalba Carriera, Guardi e Canaletto, fino a Canova - che riportò tra l’altro nel suo ruolo di ambasciatore i leoni di San Marco - Hayez, Appiani; e poi Pollock, Vedova, Tancredi, Santomaso per non parlare dei tanti architetti,

talentuosi uomini d’arte, letterati e musicisti che hanno accompagnato il suo divenire. E in questo settembre, che vede passare sul red carpet le grandi stra della Mostra del Cinema, testimoniando il ruolo centrale di Venezia indiscussa regina italiana nel panorama mondiale della settima arte, invitiamo ad alzare gli occhi all’insù il prossimo 2 ottobre in occasione della decima Art Night Venezia all’interno del cortile dell’Università Ca’ Foscari per ammirare “Venezia 3021”, la video installazione realizzata da Vitruvio Vir-

tual Reality, realtà emiliana al confine fra lo studio d’animazione e il collettivo artistico che si è ispirata al dipinto di Bernardo Bellotto - nipote di Canaletto - L’ingresso del Canal Grande, Santa Maria della Salute e la Dogana dal campo Santa Maria Zobenigo, un olio su tela del 1743 conservato al Getty Museum di Los Angeles come ha raccontato Simone Salomoni coordinatore del progetto e co-fondatore di Vitruvio Virtual Reality. L’Università Ca’ Foscari Venezia, ideatrice e promotrice della manifestazione in collabo-

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G. Guardi, Veduta della laguna veneziana, dipinto in mostra al Castello di Novara

razione con il Comune di Venezia, ha scelto di aprire la notte dell’arte veneziana con la video installazione che sarà un omaggio ai 1600 anni di storia della città di Venezia ma anche un viaggio nella mente di chi ha abitato, abita e abiterà Venezia attraverso gli innumerevoli linguaggi artistici - dalla pittura alla fotografia, dal cinema al modello 3D che hanno tentato di afferrare l’anima della città. Una città, Venezia, luogo dell’anima, che verrà celebrata anche oltre i confini regionali come nel progetto espositivo organizzato da Mets Percorsi d’arte, la Fondazione Castello e il Comune di Novara. “Il mito di Venezia. Da Hayez alla Biennale” è il titolo della mostra curata da Elisabetta Chiodini con un prestigioso comitato scientifico diretto da Fernando Mazzocca di cui fanno parte Ele-

na Di Raddo, Anna Mazzanti, Paul Nicholls e Paolo Serafini. Ottanta le opere esposte dal 30 ottobre 2021 al 13 marzo 2022 nelle sale del Castello Visconteo Sforzesco di Novara per raccontare il mito della città lagunare e il ruolo della pittura veneziana. Partendo dal grande Hayez attraverso una ricca selezione delle opere più importanti - e spesso mai viste perché provenienti da importanti collezioni private - di alcuni tra i più noti artisti italiani della seconda metà dell’Ottocento, da Gugliemo Ciardi a Giacomo Favretto, Luigi Nono, Alessandro Milesi, Ettore Tito ed altri. Venetia 1600 Nascite e Rinascite Venezia, Palazzo Ducale San Marco 1 fino al 25 marzo 2022 palazzoducale.visitmuve.it tel. +390412715911

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L’artista Tonino Caputo nel suo studio (foto di Tracy Caputo, pagina fb ufficiale)

MA SESSANTA ANNI, NON SONO FORSE UNA VITA? Toti Carpentieri

Quel lungo cammino con Tonino Caputo, i suoi scritti, i suoi racconti e le sue opere

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ammento di essermi imbattuto nelle opere di Tonino Caputo, e in lui stesso, nei primissimi anni Sessanta, in quei periodici appuntamenti espositivi che la Galleria “Maccagnani” di Lecce proponeva in una città legata alla pittura di paesaggio in piena fedeltà alla tradizione napoletana, ma già vivacizzata dalla nascita dell’Accademia di Belle Arti, la prima in una Puglia sempre troppo lunga. Rimanendo particolarmente colpito da certe sue solu-

zioni tra disegno e pittura (quelle che -lo avrei scoperto un po’ di anni dopo - Rina Durante su “Il Critone” dell’aprile/giugno 1961 aveva definito “trovate estrose”), come a voler rinnovare lo sguardo sui luoghi, per troppo tempo immobile e riflessivo. Da allora, molto tempo è passato, in un susseguirsi di incontri, di fatti e di immagini che vanno da un decennio all’altro e all’altro ancora, e che, superando il secolo breve, ci hanno fatto approdare al terzo

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Alcune opere del maestro Tonino Caputo

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Alcune opere del maestro Tonino Caputo, su New Yook prima e dopol’attentato alle Torri Gemelle

millennio, e quindi giungere a questo 2021 in cui il nomade amico (Tonino lo era diventato per davvero), pittore delle mille città, ha deciso, non dando più alcun valore al tempo, di andare in quel luogo indefinito e indefinibile che ancora non aveva dipinto, lasciandoci orfani della sua presenza, ma facendo emergere dalla memoria (quella personale ovviamente, con il suo conseguente ed immediato divenire collettiva) la baraonda di emozioni vissute con lui e con le sue opere. Da quei giorni a cavallo tra il maggio e il

giugno 1964, nei quali nelle austere sale del Castello Svevo di Bari, in occasione della 2.Mostra Regionale, i suoi “Mitomachia”, “Imperatore” e “Composizione” (quanta inventiva grafica in Tonino!) dialogavano con il “Paesaggio pugliese” di Luigi Gabrieli, “La sconfitta della verità” di Antonio Massari, il “Paesaggio di Puglia” di Francesco Spizzico, il “Paesaggio” di Raffaele Spizzico, “Il normanno” di Lino Paolo Suppressa, e l’ “Omaggio a Beethoven” di chi scrive. Per poi ritrovarlo a Roma sul finire di quel decennio, nello studio di via

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Tonino Caputo, San Giuseppe da Copertino

Montoro e nel segno del suo rapporto (con- Teatro dei Satiri e subito dopo per quelli al flittuale perfino o per finta) con Carmelo Beat 72, oltre che attore nel film “Capricci”. E Bene, tra le locandine per gli spettacoli al quindi, in quella sua casa romana costante-

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mente aperta agli ospiti, ed altrove … a guardare geometrie, sospensioni metafisiche e spazi irrreali, e a dialogare con lui sulle arte e sugli uomini dell’arte, sull’ironia grafica di Nuele, sulla sua corrispondenza con Piero Manzoni, sull’amicizia con Carlo Quattrucci, Marcello Venturoli e Fortunato Bellonzi, sul legame di terra di cuore e di testa con Ugo Tapparini, Edoardo De Candia e Antonio

Massari (mi piace ricordare quell’averli fatti ritrovare sulle pareti del MUST il Museo Storico di Lecce ne “Il percorso della pittura” all’interno di “Lavori in corso. Corpo 3” dal febbraio al maggio 2014), sulla New York delle torri gemelle e del Golden Gate Bridge dipinta e ridipinta all’infinito, sull’Australia dagli spazi infiniti, e sulle mille città amate e raffigurate. E ancora, nelle tante mostre svol-

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tesi nel corso degli anni, in alcune delle quali come semplice spettatore e in altre da curatore, da “L’Osanna mare” di Santa Caterina (1972) e dalle successive a “L’Osanna” di Nardò (1980 e 1992) officiate da Riccardo Leuzzi a “La Barcaccia” di Roma (1980), alle due edizioni di “Immagine Puglia” nelle “Cornerstone Galleries” di Beverly Hills (1991 e 1992), a “Il tempietto” di Brindisi (1993), ai

tanti appuntamenti con il Premio Sulmona (2003, 2006, 2007, 2010), a “Cinquant’anni di pittura” nell’ Archivio di Stato di Roma (2005), a “Opere 1950-2009” nel Museo Sigismondo Castromediano di Lecce (2009), e infine in “Tonino Caputo i luoghi e il tempo” nel Castello di Carlo V di Lecce nell’estate 2011. Occasione unica ed irripetibile per rammentare, nell’omaggio al grande vene-

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In questa pagina le locandine realizzate dall’artista Tonino Caputo per Carmelo Bene

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Tonino Caputo, “Assalto ad Otranto 1480” (olio su tela, 2014, coll. privata, ph. Mario Patriarca) immagine gentilmente concessa per la copertina del libro “Allegoria” di Walter Cerfeda, Il raggio verde edizioni 2018

ziano e nel chiaro riferimento all’inquietudine personale, “I viaggi di Marco Polo”, le quattro grandi tele raffiguranti un racconto che guarda al percorso, al fascino dell’ignoto e al piacere della scoperta. Ovvero al senso stesso della vita, la sua e la nostra. Che continua, proponendo in un sabato di settembre nella Galleria neretina “L’Osanna” un omaggio a Tonino Caputo, “l’uomo, il pittore, l’artista giramondo ambasciatore della salentinità”, come afferma il già citato Riccardo Leuzzi.

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Un’opera del maestro Tonino Caputo

RICORDANDO TONINO CAPUTO E LA SUA ARTE TRA ROMA E NEW YORK Raffaele Polo

Ci ha lasciati l’artista leccese icona di riferimento per l’arte del XX secolo, da Lecce a Roma, New York

Fino a quando è stato possibile, Tonino Caputo ha visitato le mostre d’arte della sua città, mescolandosi, senza parere, ai mai numerosi ma sempre frettolosi ‘fruitori’ dell’arte contemporanea. E, proprio lui, che ha caratterizzato con la sua vasta produzione un intero secolo di immagini, storceva il naso e non si dichiarava del tutto soddisfatto per quello che vedeva. Perché Tonino Caputo è sempre stato in grande fermento, assaporando movimenti e stili, maniere e gallerie di tutto il mondo, testimonial prezioso di Carmelo Bene

e vivace interprete di scenografie di grande rilievo, compiendo dei veri e propri tour de force fra Roma e New York, in quegli States che, attraverso i suoi lavori, hanno assunto una dimensione particolare e inimitabile, creando un connubio impareggiabile tra vecchio e nuovo mondo, sottolineando come Caputo non abbia mai derogato dalla sua lineare e meditata progressione artistica, divenendo un vero e proprio punto di riferimento, un’icona per l’Arte del XX secolo. Adesso, il pittore leccese (era nato nel 1933) se n’è andato,

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silenzioso e meditativo, pare di vedere ancora il suo sguardo bonario con un pizzico di ironia, a soppesare le opere esposte nella nostra sofferta contemporaneità. Di lui ci resta tanto: rimane soprattutto il suo mondo artistico, facilmente decifrabile e individuabile tra i tanti ‘maestri’ del Novecento. E rimarrà anche il simpatico ricordo della sua partecipazione a ‘Capricci’ (film del 1969 di e con Carmelo Bene), nel quale parte-

cipa come attore e imbastisce una lunga scena in cui lo si vede lottare con il protagonista, sullo sfondo del suo studio romano. Una chicca, poco conosciuta, ma che è rimasta nel cuore dei cinefili, ammiratori del genio di Campi Salentina. Entra definitivamente nel pantheon dei grandi artisti salentini, Tonino Caputo, un interprete eccezionale della nostra realtà. Sempre giovanissimo, nonostante avesse raggiunto gli 88 anni…

L’OMAGGIO DELLA GALLERIA L’OSANNA La Galleria L’Osanna di Nardò di Riccardo Leuzzi ricorderà il Maestro il 18 settembre, ore 19 alla presenza dei suoi amici ed estimatori tra i quali Toti Carpentieri, Lucio Galante, Marinilde Giannandrea, Salvatore Luperto, Bruno Maggio, Arnaldo Miccoli, Maurizio Nocera, Marina Pizzarelli, Gianni Scupola, Damiano Tondo. Alle pareti della galleria in via XX Settembre, 34, le opere geometriche-metafisiche-spaziali degli anni 70-80, tra le più significative della sua ricerca pittorica: l’analisi dell’umanità contemporanea chiamata a convivere con i suoi stessi condizionamenti esistenziali ed ambientali; gabbie dello spazio e del tempo in cui vivere il presente e il futuro. In contrappunto, opere del ‘90 -2000 sull’aarchitettura metropolitana d’inizio ‘900, estrema propaggine di umanesimo urbano.

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Enzo Decaro nel chiostro cinquecentesco dell’ex Convitto Biiblioteca Bernardini di Lecce in un momento dello spettacolo

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ENZO DECARO. ULISSE, IL VIAGGIO E L’AMORE PER LA RICERCA Antonietta Fulvio

Intervista all’attore e sceneggiatore napoletano a Lecce in scena all’ex Convitto Palmieri con “Un’Odissea infinita” scritta e diretta da Alessandra Pizzi

Una voce. La voce dell’attore che negli anni, partendo dalla comicità con “La smorfia” insieme a Massimo Troisi e Lello Arena, ha saputo con talento e professionalità passare dal teatro al cinema, alla tv riuscendo a interpretare personaggi caratterizzandoli per spessore umano o, come si dice a Napoli, mettendoci “anema e core”. Abbiamo incontrato Enzo Decaro a Lecce tra le tappe del tour di “Un’Odissea infinita” scritta e diretta da Alessandra Pizzi che ruota intorno al concetto di umano e di oltre l’umano incarnato dal mito di Ulisse. Inevitabile non chiederti di Massimo Troisi, fino a settembre continua la mostra a Castel dell’Ovo a lui dedicata. Abbiamo messo tutto in quella mostra. È giusto far parlare Massimo con i suoi pensieri, con le sue idee, le nostre canzoni, le sue poesie, i suoi appunti. E sic-

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come qualcuno in buona fede tende a trascrivere è giusto dare la fonte originale che è sempre la migliore. Per l’indimenticabile professore Luciano De Crescenzo la napoletanità era la capacità di sdrammattizzare la quotidianità davanti ai grandi eventi della vita. Cosa è per te la napoletanità? Ma è una categoria che ognuno vive alla propria maniera conosco dei veri napoletani anche a Torino nel Trentino e dei napoletani finti a Napoli, non è cosa legata alla geografia quello che intende dire forse De Crescenzo che spesso ricordiamo con le sue opinioni nei nostri spettacoli perché è stato un grande studioso della filosofia greca, è quello di ricordarsi in qualche modo delle nostre origini che sono alte, importanti e non dimenticarsene neanche nei periodi bui, e questo che stiamo attraversando sicuramente lo è, e c’è bisogno di quel tipo


di napoletanità ogni tanto e non solo per sdrammatizzare ma per dare un valore più esatto a questo tempo che comunque passa e passerà. In linea con quello che diceva De Crescenzo alla fine? Noi siamo comunque delle generazioni differenti mi piace pensare a De Crescenzo più che uomo di spettacolo come è stato esponente della sua generazione; spesso lo cito perché è stato un grande appassionato competente di filosofia come pochi riuscendola a farla amare. Sulla figura di Ulisse, cui darai voce e fisicità cosa ti ha affascinato della drammaturgia scritta da Alessandra Pizzi? Guarda io vent’anni fa facevo un programma che si chiamava “Navigator” ovvero alla ricerca di Ulisse (in onda su Rai uno, nda), un programma sperimentale; l’ho fatto per tre mesi era la striscia dove oggi c’è il pro-

gramma dei pacchi, in questo gioco che avveniva in diretta si doveva scoprire dove si trovava Ulisse in quel momento perché è uno che è difficile da acchiappare, sfugge a tutte le categorie, per cui dentro il filo drammaturgico disegnato da Alessandra mi interessa molto andarlo a cercare... Ulisse più che un personaggio è qualcosa da trasmettere come senso, perché la passione è la sua ricerca il fatto di aver a che fare con il primo vero ricercatore della nostra storia ogni sera per me è emozionante. TV, cinema, teatro sono linguaggi differenti però dovendo scegliere è la dimensione più congeniale? No, guarda dipende sempre dall’idea, dopodomani passa al Festival del cinema di Venezia il film di Paolo Sorrentino dove interpreto un san Gennaro e credo sia un bellissimo lavoro forse tra i più belli personali che abbia fatto.

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Alcuni momenti dello spettacolo

Mi hai anticipato la domanda.. Come è questo san Gennaro? San Gennaro by Sorrentino quindi immaginati cosa può essere …quindi la cosa importante è sempre quello che c’è dietro e poi soprattutto se penso che posso essere utile a quel progetto addirittura sono io a chiedere di farlo se no, non è indispensabile …forse sono stato abituato a lavorare con degli amici con cui avevo quella visione lì ed è difficile che cambi, la cosa che cambia con il tempo è cercare di stare in progetti dove io posso dare qualcosa, dove non sono indispensabile nun fa niente, posso fare altro. Quindi è comunque sempre la passione che ti guida? Sì e no…è la ricerca e dove c’è qualcosa da cercare c’è qualcosa da imparare e quindi finché siamo in questa dimensione è inutile dare lezioni siamo qui per imparare.

E a proposito di ricerca, so che sei stato impegnato nella sistemazione dell’Archivio di Antonio de Curtis in arte Totò... C’è stato bisogno di metter a posto l’archivio di Antonio de Curtis e anche lì cercando di sistemare le carte ho scoperto che dietro Totò c’era un gigante del pensiero che si chiamava Antonio de Curtis che si serviva di Totò per esprimere le cose un po’ più semplici, elementari... ma lui è stato il grande burattinaio, un uomo di una coscienza morale e filosofica veramente profonda e poi giustamente ridiamo con Totò ma non potrebbe esistere quel Totò se dietro non ci fosse un uomo con un animo un ingegno e una ricerca profonda: “La livella”, “Malafemmena” non sono cose che capitano per caso: quello è il vero Antonio de Curtis e siccome lui per quello voleva essere ricordato Liliana, sua figlia, mi ha chiesto di mettere insieme magari un giorno ci piacerà condividerlo quel materiale straordinario. Noi conosciamo due tre canzoni, ma ne ha scritte cinquantasei, conosciamo tre o quattro poesie ne ha scritte circa trecento, uno veramente dice “ma chiste chi è” dove sta quest’uomo di pensiero, un uomo veramente di una profondità però ha dovuto accettare questa convivenza anche per questione di denaro, come lui stesso dice, con Totò che gli pagava il mutuo ha preferito mandare avanti il personaggio ma i miei stessi concittadini napoletani, come Federico II per i pugliesi, magari conoscono Totò ma non sanno chi è Antonio De Curtis. Siccome la figlia Liliana sapeva che il padre voleva essere ricordato e credeva che sarebbe stato ricordato per questo perché lui a Totò, forzato dalla critica che lo metteva sempre in fondo, diceva “tra un anno nessuno si ricorderà”, invece, Antonio de Curtis ha avuto la “sfortuna” di incontrare Totò che lo soverchia e penso che il tempo possa fare giustizia anche con questo lavoro di mettere a posto l’archivio. Leggendo i suoi foglietti, i suoi scritti, gli appunti sono di un uomo di un’altezza e di un’intelligenza davvero incredibile che non immagineresti mai sia lo stesso che ci fa ridere.

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ALESSANDRA PIZZI. IL MIO TEATRO Intervista alla regista leccese sul suo ultimo lavoro teatrale “Un’Odissea infinita” che vede in scena l’attore Enzo Decaro Ideatrice di Ergo Sum, Alessandra Pizzi firma drammaturgia e regia di “Un’Odissea infinita” lo spettacolo itinerante che fa tappa nella sua Puglia grazie al format “Metti un libro a teatro”. L’abbiamo incontrata a Lecce nell’ex Convitto Palmieri. Hai sempre creduto nel rapporto tra Letteratura e teatro, come nasce Un’Odissea infinita? Nasce nell’ambito del progetto “Metti un libro a teatro” che porto avanti da sempre, ho sempre creduto nel legame fortissimo tra testo e parola e la ricerca continua di riscrittura dei grandi classici della letteratura non poteva trovare porto migliore di quello del poema omerico. Calvino diceva che un classico è un libro che non ha mai smesso di dirci qualcosa, la grandezza dei classici sta nell’individuare quella matrice, quella identità che è atemporale un testo è classico perché vale per sempre. Non ha tempo, non ha luogo, non ha circostanze diventa universale e quindi l’Odissea meglio di qualunque altro raccoglie questa universalità del messaggio. Tempo fa mi aveva affascinato la figura di Penelope, forse sono partita proprio dall’Odissea scritta da una donna per poi arrivare a questo racconto di Ulisse che è l’uomo della modernità, l’uomo 4.0. In che senso? Ulisse incarna la crisi dell’uomo moderno, cioè l’incapacità di essere eroe e uomo al tempo stesso ma non sullo stesso registro dove predomina l’eroe soggiace l’uomo con le sue fragilità con le sue paure, incompiutez-

ze e quindi l’Odissea è il racconto della quotidianità di tutti andiamo tutti alla ricerca di questa Itaca e tutti naufraghiamo in dolci acque, a volte sono più tempestose ma è la sorte dell’uomo e lo sarà sempre. Anche nel prossimo spettacolo su Socrate che porteremo in scena con Enzo Decaro c’è l’impossibilità per l’eroe come per l’uomo moderno di trovare quiete nella propria Itaca e questo bisogno di superare sempre oltre l’umano oltre le colonne d’Ercole. Riflette bene anche la condizione che stiamo vivendo con la pandemia che ci ha travolti... Questo spettacolo l’ho scritto durante il primo lockdown e diciamo che, per certi versi, il Covid, facendoci fermare, ci ha dato la possibilità di produrre tantissimo materiale di scrittura e di pensiero. Io parto sempre dal presupposto che si scrive in malinconia, cioè in una condizione di tristezza perché la scrittura è come il latte materno, nutre. Questo periodo di pandemia che ha penalizzato fortemente noi operatori dello spettacolo (ad un certo punto quasi fossimo l’unico caprio espiatorio in un sistema che in realtà produceva ovunque vittime di questo virus mostruoso) avevo il bisogno di raccontare che cosa significa essere eroi oggi. Quando abbiamo debuttato l’anno scorso (ma poi il Covid ci ha rifermati), avevo messo una postilla in cui dicevo che lo spettacolo era

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stato scritto in un momento difficile in cui bisogna ridefinire la figura dell’eroe, in quel momento eroi erano le figure dei medici, degli infermieri e nell’ultima parte dello spettacolo lo faccio dire ad Enzo citando Bertold Brecht «povera la terra che ha bisogno di eroi» perché se abbiamo bisogno di eroi abbiamo perso di vista l’umano e l’Odissea ci insegna questo: ci insegna che Ulisse non è l’eroe che conquista Troia, è sicuramente un uomo dotato di grande ingegno e astuzia, ma Ulisse è l’uomo che cede davanti alla debolezze della maga Circe, che piange per la morte dei suoi compagni di viaggio, che ha bisogno di tornar ad Itaca e lì trova la sua straordinaria vulnerabilità, deve travestirsi perché non ha il coraggio di mostrarsi a sua moglie al suo popolo. Quale messaggio si fa portavoce Un’Odissea infinita? Questo spettacolo ci insegna quello che è poi un po’ il ruolo del mio teatro: creare dei punti di curiosità, portarci oltre il testo, auspico che la gente vada via portandosi il desiderio intanto di leggere il libro, perché per me quella è già una grande vittoria, e poi delle domande chi è Ulisse oltre il racconto, il luogo comune questo ci aiuta ad entrare nei classici nel messaggio che Omero come Platone come gli altri ci hanno voluto consegnare questi grandi uomini sapevano già che i loro testi sarebbero stati immortali perché cercavano di leggere la società, anche se naturalmente ai tempi di Omero non c’era la sociologia, l’antropologica che sono scienze moderne. Qual è il tuo approccio con la riscrittura? Ogni volta che metto mano ad un classico mi sento intanto piccolissima e insignita di una responsabilità grandissima e quindi ci vado come studentessa e per me è un esercizio bellissimo perché per scrivere questa Odissea ho fatto un lavoro di ricerca enorme. Chi incontra il tuo Ulisse nel suo viaggio di ritorno ad Itaca? In questo viaggio Ulisse non incontra mostri e lestrigoni, ninfe e creature divine, ma “dialoga” con Francesco Guccini, e il suo racconto di Odysseo, incontra Dante e i dannati del canto XXVI dell’Inferno, Lucio Dalla e i versi di Itaca. Incontra la Poesia di Pascoli e di Montale, di Tyson, di D’Annunzio, i versi delle canzoni di Caparezza, la letteratura di Borges e di Kafka e termina nell’infinito di Leopardi. (an.fu.)

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ITACA E LA RICERCA DI SÈ

Nel chiostro cinquecentesco dell’ex Convitto Palmieri Biblioteca Bernardini di Lecce l’attore napoletano Enzo Decaro ha dato voce e corpo ad Ulisse eroe e antieroe, uomo e mito riuscendo a catturare l’attenzione del pubblico che ha assistito a “Un’Odissea infinita”, drammaturgia ispirata al poema omerico, scritta, prodotta e diretta da Alessandra Pizzi. Un classico reinventato che ha mostrato tutta la sua forza e attualità nella tessitura che intreccia i versi dell’Ulisse Dantesco, che si spinge oltre le colonne d’Ercole nel folle volo, con quelli di Eduardo De Filippo alla ricerca di una pace all’inquietudine di vivere (Io vulesse truvà pace; ma na pace senza morte)... e ancora la difficoltà di stare nel mezzo come narra Ovidio quando parla di Icaro ... ma chi è Ulisse? è il navigatore per eccellenza - racconta Decaro - «Ulisse insegna che se errare è umano e perseverare è diabolico “comprendere è divino”. Dal 1990 al 2009 una sonda spaziale della Nasa alla ricerca dello studio dell’atmosfera solare si è chiamata Ulysses e non a caso perché è il più umano degli eroi...» E in un narrare affabulatorio, che coinvolge ed emoziona, si compie la magia del teatro: la ricerca di Itaca si sovrappone alla ricerca di se stessi e il viaggio fisico diventa interiore. Semplicemente straordinaria l’interpretazione di Enzo Decaro che partendo dal poema omerico ha narrato l’Odissea degli uomini del terzo millennio, sfogliando le pagine dell’Ulisse di Joyce, Borges, D’Annunzio fino ad incrociare, come la trama con l’ordito, le parole di brani musicali Caparezza, Lucio Dalla solo per citarne alcuni. Le note di Francesco Mancarella al piano e i suoni della beat box di Filippo Scrimieri hanno scandito la recitazione seguendone il ritmo coinvolgente che non poteva che concludersi con una pioggia di applausi a fine spettacolo. (an.fu.)


Lecce, Fondazione Palmieri reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

L’EREDITÀ DI CARAVAGGIO IN EUROPA Sara Foti Sciavaliere

Le tracce del Merisi nei dipinti del ’600 in collezioni private esposte a Lecce fino al 12 settembre nella sede della Fondazione Palmieri

LECCE. Nella cornice della cinquecentesca ex Chiesa di San Sebastiano, oggi sede della Fondazione Palmieri, nel centro storico di Lecce, in vico dei Sotterranei alla spalle di Piazza Duomo, è visitabile fino al 12 settembre 2021 la mostra “L’eredità di Caravaggio in Europa, dipinti del Seicento da collezioni private” dedicata alla raccolta di dipinti caravaggeschi provenienti da alcune importanti collezioni, la selezione di alcuni dei dipinti esposti ha interessato lo studio di esperti della storia dell’arte da Mina Gregori, a Gianni Papi, Pierluigi Carofano, Nicola Spinosa. Un’esposizione che ripercorre il segno

che l’opera di Caravaggio ha lasciato nell’arte del suo tempo, e non solo.Tra i maggiori caravaggeschi esposti si trovano Orazio Gentileschi, Battistello Caracciolo, Filippo Vitale, Paolo Guidotti, Trophime Bigot, Jacob Jordaens , Ribera, Louis Finson, Matthias Stomer, ma anche Antiveduto Grammatica, Carlo Bononi, Bartolomeo Mendozzi (Maestro dell’Incredulità di San Tommaso), Giuseppe Vermiglio, Agostino Scilla, Pietro Novelli il Monrealese, Jacobus Morelse, Gerard Seeghers, Valentine de Boulogne, Claude Vignon, Van Der Heist, Joachim Von Sandrart, Carl Loth.

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Lecce, Fondazione Palmieri reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

Sarà un giovane Roberto Longhi, che diventerà uno dei maggiori storici dell’arte, con la sua tesi di laurea incentrata sulla figura di Michelangelo Merisi, a rendere onore e merito, a partire dal 1911, all’opera rivoluzionare dell’artista lombardo, caduta nell’oblio, o peggio in una sorta di damnatio memorie dalla fine del XVIII secolo e per tutto l’Ottocento. In negativo aveva contribuito la critica settecentesca di stampo classicistica che apostrofava con commenti taglienti, e talvolta perfino ingiusti, le opere del Caravaggio: ritenute indecorose e anticanoniche, di fatto, sono spesso finite in depositi e scantinati, lasciando a dormire nella polvere non solo le tele ma anche la memoria dello stesso artista, quasi del tutto dimenticato finché Longhi non ne

riscatterà il nome e l’arte. Il critico presenterà Caravaggio non come l’ultimo artista del Rinascimento – “il portiere di notte del Rinascimento”, usando le parole dello stesso Longhi – ma come il primo artista dell’età moderna, capace di dare un nuovo corso alla pittura del suo tempo. Nei suoi spostamenti prima e la sua fuga dopo, tra Roma e Napoli, Malta e Messina, Caravaggio incide profonde impronte di un nuovo percorso pittorico e un nuovo modo di guardare secondo una poetica di fedele adesione al vero, così come appare agli occhi dell’osservatore, quasi cristallizzando un pezzo di realtà come in un fotografia senza filtri. Una realtà autentica, priva di edulcorazioni e non idealizzata, che mostra i suoi lati oscuri, le ombre che emergono, mentre la

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Lecce, Fondazione Palmieri reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

luce, che cade quasi accidentalmente, assume nella teatralità del racconto caravaggesco un valore salvifico.

una più marcata adesione alla maniera del Merisi. Tra questi si può ricordare Louis Finson, amico e collega di Caravaggio a Napoli, che sarà autorizzato dallo stesso Merisi a Da qui in poi l’opera di Caravaggio influen- copiare le sue opere e inviarne copie che zerà più o meno consapevolmente artisti del- determineranno il diffondersi della maniera la penisola ma anche d’Oltralpe. La visione caravaggesca in Francia, e poi nelle Fiandre caravaggesca, le sue scelte stilistiche hanno con la scuola di Utrecht, segnando nuovi suggestionato la pittura del XVII secolo, rav- scenari nella pittura fiamminga e nordeurovisabile a volte in brevi accenni e altre con pea. La mostra intende, quindi, illustrare

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come la nuova maniera del Merisi sia stata rivisitata, reinterpretata, oppure semplicemente emulata dilagando dalla penisola in tutta Europa.

e Valentin De Boulogne che, insieme a pittori fiamminghi, olandesi e tedesche, e alcuni spagnoli, entrati in contatto con l’opera del maestro lombardo , costituirono un primo gruppo di seguaci del Caravaggio che di Nel primo ventennio del XVII secolo soggior- ritorno nelle loro terre avrebbero esportato la nano a Roma vari artisti proveniente dall’Eu- maniera caravaggesca. Ad esempio, Claude ropa settentrionale per approfondire i loro Vignon è presente in questa mostra con un studi e la pratica di bottega nel Bel Paese, tra bellissimo “San Girolamo che legge”, un’opequesti i francesi Simon Vouet, Claude Vignon ra che testimonia la sua predilezione per i

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Lecce, Fondazione Palmieri reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

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contrasti chiaroscurali e una tavolozza con poche variazioni tonali. Vignon, insieme a Vouet, è stato considerato uno degli esponenti di quello che Longhi definì “caravaggismo riformato”, ossia quella corrente che partendo da Genova e da Firenze va diffondendosi in Spagna e nella Francia meridio-

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nale dove i quadri italiani arrivavano in gran numero: si formerà la cosiddetta “scuola mista francese” che coniuga il caravaggismo di matrice romana e la maniera di Bartolomeo Manfredi, uno dei più rappresentativi seguaci del Merisi. Altra opera tra quelle in esposizioni è “Ragazzo morso da un ramarro”,


Lecce, Fondazione Palmieri reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

realizzato da un ancora anonimo pittore fiammingo, probabilmente vicino agli ambienti degli artisti di Utrecht. Il dipinto è un lampante richiamo all’omonima opera giovanile di Caravaggio e testimonia il riscontro e l’interesse per il pittore lombardo presso gli artisti d’Oltralpe. Come si può riscontrare in tutte le opere visibili all’interno dell’esposizione nell’ex Chiesa di San Sebastiano, ciò che attrae della novità introdotta da Caravaggio è il suo naturalismo e la rappresentazione dei moti dell’animo, gli stessi a cui si riferisce già Leonardo Da Vinci nel suo trattato “De Pictura”, esortando gli artisti a guardare “quelli che ridono, che piangono” e “quelli che ira gridano; e così tutti gli accidenti delle mente nostre”. Michelangelo Merisi sarà eccelso interprete di questa visione vinciana, alla quale aderiranno coloro che sapranno cogliere dalle sue opere l’insegnamento caravaggesco.

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IO CURATORE IL LIBRO DI GIUSEPPE SALERNO Sara Di Caprio

i luoghi nella rete | interviste

Per i tipi di Bertoni editore il libro di Giuseppe Salerno con prefazione di Claudio Strinati affronta i grandi temi dell’arte contemporanea

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el Lazio, a metà strada tra Roma e Viterbo, si trova Calcata, considerata oggi uno dei borghi più belli, vitali e attrattivi d’Italia. Condannato a morire nella prima metà degli anni ’70, quando fu abbandonato in massa dai suoi abitanti originari trasferitisi in un nuovo abitato, il Borgo di Calcata risorse a nuova vita grazie all’impegno di Giuseppe Salerno il quale da volontario si adoperò per conferire attraverso l’arte nuova linfa a quel luogo. Critico e curatore, Salerno animò i locali al piano terreno, gli stretti vicoli e le piazzette del borgo con eventi e mostre che richiamarono da ogni parte del mondo artisti che in breve vi si trasferirono con i propri studi. Da allora Calcata divenne meta per visitatori sempre più numerosi

e desiderosi di cogliere ogni opportunità per tornare ad immergersi in quella sua atmosfera davvero speciale. Teorico e promotore in ambito internazionale dell’Arte Telematica, Salerno fu il primo, nella seconda metà degli anni ’80, ad occuparsi in Italia di artisti che, operando con strumenti di telecomunicazione, rivolgevano le proprie attenzioni alle concettualità insite nella comunicazione a distanza. Un agire lungimirante, il suo, che da oltre quarant’anni lo vede impegnato con un gran numero di artisti, animato dalla passione di chi nell’arte riconosce una forma comunicativa capace di travalicare interessi di parte e fini personali. Un amore per l’arte in ogni sua manifestazione, per gli artisti, per il territorio e per una pro-

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La copertina del libro

gettualità in divenire da cui traspare il suo radicato senso della costruzione. Come scrive lo storico dell’arte Claudio Strinati, Giuseppe Salerno «nel borgo di Calcata dove è stato presente e attivo per molti anni, ha impostato una politica culturale che oggi può essere giudi-cata come un punto fermo nella vertiginosa evoluzione delle metodologie creative dell’arte alla fine del ventesimo secolo e all’ inizio del ventunesimo.». Con oltre 400 mostre ed eventi in quarant’anni di volontariato sono stati non meno di 1.500 gli artisti coinvolti. Capacità organizzativa, determinazione e pensiero strutturato caratterizzano il suo operare nell’arte. Dopo “L’Arte senza Barriere” e “Diario di Borgo”, è fresco di stampa “Io Curatore”, il suo ultimo libro pubblicato dall’editore Bertoni. «Un pamphlet, un saggio storico e nel contempo autobiografico nonché un notevole contributo di carattere teoretico e speculativo sulla grande questione dell’arte contemporanea» così come lo definisce lo stesso Strinati. Abbiamo incontrato l’autore per parlare di questa sua nuova pubblicazione . Come nasce questo libro e di cosa tratta? Da molto tempo ho in animo di scrivere del mio ruolo di “volontario dell’arte” rivisitando criticamente le numerose avventure portate a termine. Devo oggi ringraziare il lockdown che, costringendomi ad uno stop nell’operatività, mi ha offerto l’opportunità di concretizzare questo mio desiderio. Venendo al contenuto del libro, la dizione “curatore” è piuttosto vaga ed il suo reale significato è scarsamente dibattuto. Sono tante le necessità e numerose le funzioni che si sviluppano a supporto dell’arte. Il curatore, che etimologicamente è colui che genericamente si prende cura, ne svolge più d’una in relazione al carattere ed alla disponibilità di chi incarna tale figura. Ogni curatore è pertanto unico e fa storia a sé al pari dell’artista che per definizione è chi della propria unicità fa una bandiera. In questo testo ho approfondito la figura del curatore per ciò che io sono, analizzando dunque quelli che sono i caratteri del mio operare.

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i luoghi nella rete | interviste

2007 L'arte seduta al MOA Casa;; The Best in Art

In sostanza è la storia di un percorso curatoriale? Certo! Il mio percorso presentato attraverso la dichiarazione del perché e del come lo abbia realizzato. Non tanto dunque gli avvenimenti nella loro essenzialità, quanto piuttosto le condizioni e le motivazioni profonde che mi hanno spinto ad agire in un certo modo. Il libro intende ripercorrere i soli eventi che sono poi risultati determinanti per l’evoluzione ed il rafforzamento di un pensiero centrale nel mio impegno in arte. Collegare un’azione all’altra mette meglio in luce la filosofia che, attraversandole, attribuisce a ciascuna di esse un senso compiuto. Per rendere ancor più chiaro il mio sentire ho fatto precedere

tale narrazione da una breve esposizione della mia visione del mondo e della mia concezione dell’arte Quale è una tua profonda convinzione? Sono assolutamente convinto del potere relazionale dell’arte che, nata dalla relazione, è essa stessa fonte inesauribile di relazioni. Sono inoltre convinto del potere che gli artisti, individui che esprimono liberamente un libero pensiero, hanno di cambiare il mondo allorché, collettivamente, sollecitano quella visione critica senza la quale c’è solo accettazione. Chi possiamo invitare a leggere questo libro?

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2009 artisti con bagaglio al seguito

Un saggio si scrive per se stessi dal momento che soltanto mettendo nero su bianco riusciamo a vedere più chiaro. Questo mio testo può però essere di aiuto a tanti artisti che, avendo poca conoscenza del ruolo del curatore, si trovano a fare delle non-scelte. C’è poi il pubblico che non sempre percepisce quanto una mostra sia la risultante della collaborazione tra l’artista che mette in scena il proprio rapporto con il mondo ed il curatore che, a sua volta, crea nuovi rapporti tra le opere ed il mondo circostante. E allora dunque buona lettura!

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Nelle foto alcune delle iniziative organizzate da La Scatola di Latta

DA DAIMON ALLO SPAESARIO LE RADICI DELLA RESTANZA Antonietta Fulvio

Intervista a Gianluca Palma fondatore de La Scatola di Latta per valorizzare i patrimoni e le comunità locali del Sud La scatola di latta ha compiuto dieci anni qual è la forza di questo progetto e come è cambiato durante questo periodo di emergenza il lavoro sul territorio. L’esperienza che proverò a raccontare nasce dal desiderio di contribuire al benessere del proprio territorio all'indomani di una laurea in Scienze per la cooperazione e lo sviluppo. Come “applicare sul campo” le teorie e modelli dello sviluppo, in particolare nel Mezzogiorno d’Italia? Nel 2010, dopo gli studi, concepii “La scatola di latta” definendola come uno scrigno di beni comuni, di luoghi, storie e persone “raccolti come fiori, con riguardo e cura”, errando per le vie dei paesi, delle frazioni, periferie e campagne del sud della Puglia. Da una parte ci sono i luoghi, dall'altra le persone e al centro ci sono le storie. Insieme ad un gruppo di amici proviamo a custodire la conoscenza, coltivare le relazioni e praticare la restanza.

Restanza, che bella parola, ma in che modo riuscite a praticarla? Con la Scatola di latta promuoviamo occasioni di coinvolgimento delle comunità locali, attraverso passeggiate spontanee e incontri civico culturali, con un chiaro invito a scoprire la bellezza (e la bruttezza), favorendo un'educazione estetica, critica e poetica fruibili a tutti. Passeggiate ed iniziative itineranti per paesi e paesini, tra paesani e con i paesani, per abilitare i cittadini alla partecipazione culturale a sostegno della valorizzazione diffusa dei patrimoni locali esistenti. Passeggiare per concedersi di “curare lo sguardo”, per scoperchiare prima di custodire, passeggiare per spiare dietro un balcone, per accorgersi di un dettaglio architettonico forse mai davvero osservato. Passeggiare per dare un’alternativa alla “domenica pomeriggio al centro commerciale” o “alle tante solitudini”, perché chissà chi viene stasera, chissà

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i luoghi nella rete | l’intervista

chi spontaneamente leggerà una sua poesia, chi metterà a disposizione la sua arte, chi rivelerà i segreti del suo antico mestiere. Viaggiare insieme nel proprio territorio per ascoltare la spontanea declamazione di un verso di Rocco Scotellaro o per stupirsi, perché accanto ad un noto poeta come Vittorio Bodini, c’è uno scrittore o un’artista locale ancora da scoprire e da svelare. Come si partecipa alle vostre iniziative? Le iniziative sono il più possibili spontanee, ma anche inedite e irripetibili, perché difficilmente si ritorna nello stesso paese e, quando accade, il ritorno comporta l'attivazione di altre energie e competenze ad arricchire nuovi sguardi, nuove sinergie e nuove scoperte. “Comunità provvisorie” di persone si ritrovano spontaneamente per conoscere e conoscersi, per ascoltare e ascoltarsi, per raccontare e raccontarsi di storie di erranza ma anche di restanza. Ad oggi sono circa un centinaio di paesi e frazioni leccesi in “custodia sociale” nella scatola, che si avvia verso il raggiungimento del numero complessivo di paesi battuti a piedi nella provincia leccese che sono 97 comuni e 45 frazioni, senza tralasciare alcune esperienze realizzate fuori dalla regione pugliese, come in Molise, Calabria e in Basilicata, con la prospettiva futura di esportare le storie per condividerle con un pubblico più ampio e imparare dagli “altri”. Le iniziative, libere e senza scopo di lucro, pongono infatti l’accento sul conoscere e sul far conoscere gli usi e costumi del territorio e mirano a stimolare il senso civico, come un approccio “critico” a un certo tipo di turismo, ad una “sana” alimentazione, ai “consumi culturali”, ecc.


Dopo il covid, La Scatola di Latta, prima luogo immaginato, poi luogo diffuso, è diventato un luogo fisico. È la fase adulta, che porta con sé una nuova consapevolezza. È al civico 29 di via Ciro Menotti, a Botrugno, la casa della scatola, una stanza al piano terra, che al suo interno ha anche spazi al seminterrato e sopraelevati, pensata per essere una vetrina del territorio ma anche e soprattutto uno spazio di incontro e condivisione: ci sarà una piccola libreria, i LibrinScatola, e poi immagino esposizioni di opere degli artisti e degli artigiani locali, un luogo dove ci si possa conoscere e confrontare

Inoltre la Scatola da maggio è diventata anche, ufficialmente, associazione di promozione sociale, ma per chi ci segue sin dagli inizi, sa che la socialità è sempre stata al centro degli interessi per quest’avventura. Come nasce l’idea di Diamon la scuola per restare e quali sono i riscontri ottenuti finora? Qualche anno fa, al ritorno dal Molise scrisse questa poesia: Cadono gli ultimi petali dell’estate, / rincasano le luminarie dalla festa / e sfioriscono i paesi / fra saluti ed addii. / Qui rimarranno i

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Don Chisciotte / e i Sancio Panza assieme ai mulini al vento, le torri costiere , / i muretti a secco, / i gatti e gli anziani / a lottare contro l’inquinamento, / l’incuria, lo spopolamento, / la fuga degli ulivi / e l’emorragia della braccia e dei cervelli. I paesi sono i luoghi ideali in cui sperimentare politiche innovative da un punto di vista civico, sociale ed economico, in cui tessere nuove comunità e costruire insieme il futuro. È da questo presupposto che nel gennaio 2020 abbiamo presentato a livello nazionale “Daìmon: A scuola per restare”. Una scuola che non terminerà mai: itinerante, multidisciplinare, inclusiva, gratuita e accessibile a grandi e piccini; senza porte e finestre, senza pagelle e attestati, senza compiti e calendari da rispettare; con “luoghi di apprendimento” disseminati nei campi, nelle cantine e nelle bot-

teghe, diffusa nei paesi e nei paesaggi d’Italia. Una scuola adatta a chi vorrà abitare poeticamente e civicamente i propri territori e a chi vorrà conferire pienezza al proprio re-stare. Da decenni l’Italia è vittima del calo demografico e dello spopolamento per abbandono volontario o forzato da parte dei suoi abitanti. Interi paesi sono diventati – o stanno diventando – luoghi fantasma, mentre le città medio-grandi si apprestano a diventare metropoli prive di spazio vitale. È fondamentale preservare il patrimonio culturale e naturale dei piccoli centri, per tutelarne la produzione agricola, culturale, artigianale, enogastronomica, economica. La nostra idea è che si possa restare anche con un entusiasmo del viaggiatore. Emozionarsi, entusiasmarsi nel vivere il proprio pae-

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Nelle foto alcune delle iniziative organizzate da La Scatola di Latta

se ogni giorno (o quasi), cogliendo l’invisibile, ciò che spesso ci sfugge, trovando nuovi significati, rinnovando con propositività, rispetto e cura per il territorio. I paesi rappresentano una grande risorsa e una grande opportunità. Non sono un residuato del passato o un’eredità di un “piccolo mondo antico” avulso dal presente. Anzi, i piccoli comuni possono essere un luogo dove si possono sperimentare politiche innovative dal punto di vista civico, sociale ed economico, dove si possono costruire nuove relazioni con i luoghi e le comunità, dove si può (e si deve) parlare di futuro immaginarlo e costruirlo insieme. Daìmon, la scuola per restare, si propone di andare a conoscere alcune delle persone che già vivono in maniera responsabile i propri territori, favorendo occasioni di confronto fra diverse comunità, approcci, individualità. Noi vorremmo sensibilizzare le persone a re-stare, con il trattino, cioè a rimanere nel luogo dove vivono - non necessariamente dove sono nati – prima conoscendo poi valorizzando il paesaggio,

la cultura, il cibo, le pratiche, le tradizioni di quel territorio. Non vogliamo però che soprattutto i giovani rimangano in un posto senza davvero volerlo e magari sognando di emigrare. Promuoviamo perciò la consapevolezza anche psicologica del rimanere: chi resta può dare una mano a sviluppare l’economia, la nostra è una filosofia ma vuole far quadrare anche i conti. Non siamo nostalgici né campanilistici, quello lo lasciamo a chi pensa di voler tracciare confini tra noi e gli altri. Abbandoniamo la logica della competizione: tutti i territori hanno qualcosa da dire e da offrire alle persone, in primo luogo a chi ci abita. Dalla pubblicazione del manifesto della Scuola nel gennaio 2020, ad oggi hanno aderito oltre 500 persone/realtà: come docenti, come alunni, come collaboratori da ogni parte d’Italia. Un pescatore offre di fare lezione di mare in barca, un pastore ci aspetta per la transumanza in Molise, una professoressa calabrese vuole organizzare un treno della filosofia. Le possibilità sono innumerevoli e non sempre collegate ai

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Nelle foto alcune delle iniziative organizzate da La Scatola di Latta

I paesi son più belli, / quando li vai a trovare / senza appuntamenti, / una domenica mattina / mentre si fan la barba /o sono ai fornelli. / Una sera qualunque / quando sono in pigiama /e senza trucco. Dopo i mesi di “chiusura” ho lanciato il “progetto di spaesamento” per gruppi di poche persone con l’inedito titolo di “Spaesario Salentino” (Lost in Salento). Non si tratta di una pratica turistica ma di una più profonda azione di conoscenza e coscienza del nostro territorio. Se le passeggiate “comunitarie” della Scatola sono rivolte soprattutto ai nostri “abitanti” con lo Spaesario Salentino l’attenzione si sposta ai “forestieri” e ad instaurare un rapporto più “intimo” fra luoghi e persone. Con lo “Spaesario Salentino” – accompagnato da me - il viaggiatore proverà a comporre il suo “abbecedario sentimentale dei luoghi” fra le pieghe, i vicoli, i racconti, i suoni e i profumi del territorio leccese. Durante il cammino potrà apprendere dai luoghi e dalle persone che incontrerà senza l’utilizzo di mappe o Tra le tante iniziative di promozione del guide. Attrezzatura di viaggio ammessa: tacterritorio sicuramente innovativa è lo cuino, libri, strumenti musicali e macchina Spaesario salentino per proporre un fotografica. La durata dei percorsi varierà in base al vostro umore, tempo e dal fato. Salento non da cartolina... festival o agli eventi speciali poiché l’idea è che tutti i luoghi possiedono ricchezze dal lunedì alla domenica, se solo c’è la voglia di scoprirli. Nel 2020 abbiamo promosso due incontri “in presenza” della scuola: a febbraio a Pasticci e San Mauro Forte in provincia di Matera. E ad agosto in provincia di Cosenza nei comuni di Civita, Longobardi, Fiumefreddo Bruzio e Belmonte Calabro. Sono state due bellissime occasioni per sperimentare una sorta di “turismo civico” dove tante persone e realtà sensibili alle finalità della scuola si sono incontrate e hanno fatto rete. E poi dal maggio 2020 abbiamo promosso oltre 20 incontri “online” con tantissimi ospiti di ogni parte d’Italia, fra cui: Vito Teti, Rossano Pazzagli, Antonio De Rossi, Nicola Grato, Beatrice Zerbini, Marco Bussone, Luca Bertinotti e tanti altri. Ad agosto 2021 abbiamo organizzato la scuola per restare in Molise nei comuni di Capracotta, Pietrabbondante, Guardiaregia, Agnone.

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Per la rassegna Noi siamo paesaggio hai preso in prestito dei versi di Wilma Vedruccio. Chi era e ci racconti il senso di questa rassegna e le tappe che hai realizzato? Wilma Vedruccio è stata per me e per tanti una delle scrittrici ed operatore culturale più importanti che io abbia conosciuto, alla quale devo e dobbiamo molto. Lei metteva al centro la natura e la sua sensibilità ecologica mi commuoveva e mi ha fatto sempre riflettere sul rapporto uomo-paesaggio. Lo storico Rossano Pazzagli scrive: “Siamo in grado di guardare molto e non abbiamo visto niente”. Parlare di paesaggio non significa solo riferirsi ad un panorama, considerarne le caratteristiche geografiche o “ecologiche”. Il paesaggio può essere anche il risultato di una relazione profonda, generatasi nel tempo e in un territorio, tra fattori naturali e fattori psicosocioculturali, divenendo fondamento dell’identità di una popolazione. Da una parte, il Paesaggio è elementi materiali e tangibili, dall’altra elementi immateriali: percezione, sentimenti, emozioni e valori personali che vanno a consolidare le identità

territoriali e che entrano a far parte di diritto di un patrimonio ereditato dal passato e di cui prendersi cura per il futuro di tutti. L’uomo, attore (costruttore di paesaggio) e allo stesso tempo spettatore (osservatore, ammiratore, giudice dello stesso paesaggio), dovrà imparare a scoprire, leggere ed interpretare quanto lo circonda in un’esperienza formativa che, rafforzi il senso di appartenenza territoriale. A tal fine stiamo promuovendo diversi incontri nel capo di Leuca (a Sud del Sud dei Santi) coinvolgendo medici, psicoterapeuti, contadini, artigiani, nutrizionisti, fotografi, architetti, antropologi, storici, contadini, artisti per indagare il paesaggio interiore (mindscape) e il paesaggio esteriore (landscape). Dopo gli incontri tenuti a luglio a Morciano di Leuca e ad agosto a Giuliano di Lecce, Il terzo incontro si terrà il 18 settembre nel paesaggio sacro e rurale di Barbarano e Leuca Piccola.

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MUSIC FOR CHANGE "12TH MUSICA CONTRO LE MAFIE

Cristiano Godano (Marlene Kuntz), Riccardo Sinigallia, Rose Villain sono i "Giudici on stage" dell’edizione 2021. Tanti ospiti per il primo evento musicale europeo a sfondo civile on line e in presenza nella città di Cosenza dal 14 al 25 settembre

COSENZA. Sugar (Bovolone VR), Vybes (Roma), Cubirossi (Pisa), Kumi (Milano), Yosh Whale (Salerno) , Alic’è(Bari), Francesco Lettieri (Napoli), Crania (Berzo Demo - BS) sono gli otto finalisti del Premio "Music for Change" che si svolgerà dal 14 al 25 settembre. La prima settimana di "Music for Change” vedrà i finalisti impegnati nella composizione e produzione del brano che presenteranno nella finale del 24 settembre sul Main Stage presso il Castello Svevo di Cosenza, tra i più suggestivi luoghi del centro storico di Cosenza.

I candidati saranno seguiti da quattro coach: Cecilia Cesario, Stefano Amato, Dinastia e Vladimir Costabile; e da quattro tutor: Cance, Sir & theivanoe, Alfredo Bruno e Francesco Malizia. Durante la residenza artistica, i finalisti dovranno comporre brani e testi che poi saranno resentati nella finale live intorno agli otto temi indicati dalla direzione artistica: Resistenze e Democrazia, Ambiente ed Ecologia, Cittadinanza Digitale (e Derive), Parita di Genere e Diritti Lgbt+, Lavoro e Dignità, Migrazione e Popoli, Disuguaglianze e Marginalità Sociale, Rigenerazione e Futuro.

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«Sui diritti si gioca una partita decisiva per l'esistenza umana» - dichiara il Presidente Gennaro de Rosa che spiega come la manifestazione “Music for Change -12th Musica contro le mafie Award”, che gode del supporto del Ministero delle Cultura rientrando tra i 24 progetti speciali scelti direttamente dal Ministro Franceschini, da quest’anno cambia il proprio nome in Music for Change fondendo le sue tre principali attività: il premio Musica contro le mafie (arrivato alla sua 12 edizione), la 5 giorni di Musica contro le mafie (che per 5 anni ha reso la città di Cosenza in dicembre importante teatro dell’unione tra musica e impegno civile con migliaia di studenti provenienti da tutta Italia) e "Sound Bocs" la Music Farm a sfondo civile che ha fatto da spartiacque tra il vecchio e il nuovo format. Nella scorsa settima-

na la manifestazione nazionale, che si svolge da dodici anni a Cosenza, ha reso noti i primi dettagli del ricco programma confermandosi come il primo evento musicale Europeo a sfondo civile. Tantissimi gli iscritti, 734, ma come annunciato solo otto di loro sono stati ammessi alle fasi live “Sound Bocs”. Ricchissimo il programma di questa nuova edizione scaricabile direttamente dal sito della manfestazione che punta a un pubblico in presenza ma anche e soprattutto si rivolge a “chi non c’è e non può esserci”. Un vero e proprio palinsesto Web/tv vedrà tutti gli incontri in diretta sui social ufficiali di Musica contro le mafie e di una reta di partner e sostenitori ad essi connessa. L’intero palinsesto sarà inoltre trasmesso da “Casa Sanremo TV” e sui canali ufficiali

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YouTube della manifestazione sarà possibile seguire in diretta h24 quello che accade nei BOCS dove gli otto finalisti vivranno e comporranno. Mercoledì 22 settembre, dopo uno speciale “Tenco Ascolta con Musica contro le mafie” nel quale il direttivo del Club Tenco ascolterà in tre differenti serate gli otto finalisti di "Music for Change”, si esibirà Avincola (22 settembre) che si aggiunge ai già annunciati Fast Animals and Slow Kids (25 settembre). La finale di venerdì 24 settembre vedrà gli otto finalisti confrontarsi con un pubblico di giovanissimi Giurati “Alpha Zeta”, inoltre sul palco ci saranno i tre "Artist Decider” - il musicista e scrittore, frontman della rock band “Marlene Kuntz”: Cristiano Godano, il cantautore musicista nonché autore e produttore Riccardo Sinigallia, la cantante e rapper italiana Rose Villain - affiancati da un quarto giurato, il presidente di A.F.I. Sergio Cerruti. A loro il compito di decidere sulla performance di ogni singolo finalista e di assegnare un voto che influirà sulla vittoria di “Music for Change - 12^ edizione del Premio Musica contro le mafie”. Nel programma generale troviamo illustri personaggi del mondo del giornalismo e della letteratura, affermati produttori discografici e di eventi, esperti in comunicazione musicale e artisti nazionali: Lo Stato Sociale, Fast Animals and Slow Kids, Avincola, Ministri, Cristiano Godano (Marlene Kuntz), Rose Villain, Riccardo Sinigallia, Maurizio Capone (artista, Eco Music Pioneer), Le Cose Importanti, Kento, Poesia Potente e Chitarra Tonante, Villazuk, Gaianè Kevorkian (KeepOn Live), Massimo Bonelli (iCompany), i direttori artistici Cesare Liaci e Fulvio De Rosa, Emanuela Teodora Russo di Note Legali, Giordana Santoro e Cesare Frignati di Smart, Federica Torchia (Booking&Management Machete Production e Me Next srl), Nicolò Zaganelli (Exploding Bands), Alessandro Angrisano (ACEP,

Get Sound) e Giuseppe Pipitone di TIMMUSIC. E ancora: Don Luigi Ciotti, Padre Alex Zanotelli, Annalisa Cuzzocrea, Gaetano Pecoraro, Marcello Ravveduto, Pietro Comito, Arcangelo Badolati, Nello Scavo, Antonio Mattone, Stefano Liberti, Adriana Battaglia, Elvira Frojo, Luca Trapanese, Michele Gagliardo, Giuseppe Parente, Elisa Crupi, Noemi Caputo, Chris Richmond Nzi, Gen. Sergio Costa (Generale Carabinieri

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Forestali), Stefano Ciafani (Presidente Legambiente), Alessandro Giannì (Direttore Campagne Greenpeace Italia), Marco Valerio Cervellini (Polizia Postale), Giovanni Impastato, Paolo Picchio, Ivano Zoppi, Aboubakar Soumahoro (attivista sociale e sindacale. Presidente Ass. Lega Braccianti), Yvan Sagnet (Presidente Ass. NoCap, attivista contro il caporalato), Gisella Mammo Zagarella (Imprenditrice), Sabrina Garofalo (Sociologa, Saggista), Sandrino Gra-

ceffa (ricercatore Scienze Sociali - Lise Cnam Cnrs - Parigi, Fondatore di Smart Coop - Bruxelles) e il Club Tenco con "3 date de Il Tenco Ascolta". Lo storico, saggista Antonino Nicaso e il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri. Conducono le finali e le dirette video streaming la cantautrice Gabriella Martinelli e l'attore e comico Roberto Lipari.

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La Cripta bizandina

VIAGGIO IN 3D A CARPIGNANO E SERRANO

Alla scoperta dei monumenti e della storia di Carpignano Salentino e la sua frazione Serrano. Basta un click dal sito istituzionale

I luoghi nella rete

Un clic. Dal sito istituzionale del Comune di Carpignano salentino per aggirarsi tra monumenti e chiese. Basta accedere, alla sezione dedicata al Museo virtuale e, per ciascuno dei dieci monumenti rappresentanti, oltre alla descrizione storica degli stessi, sarà possibile visitare l’ampia rassegna fotografica, beneficiare dei dettagliati video realizzati anche con l’utilizzo delle ricostruzioni laser ed esplorarli attraverso un virtual tour a 360°. L’utente potrà visistare nel dettaglio per esempio la Cripta bizantina di "Santa Cristina" o il Frantoio ipogeo o la torre colombaia o la cripta del Santuario e la chiesa di “Maria SS della Grotta” , la Chiesa di “Santa Marina” in località Stigliano e persino immaginare di camminare nel centro storico. L'Amministrazione comunale di Carpignano Salentino, guidata da Mario Bruno Caputo, sin dal suo insediamento ha posto

grande attenzione alle tematiche della promozione turistica e sviluppo economico del territorio ed intende implementare ogni iniziativa per raggiungere risultati in questo settore. Nell’ambito di un vecchio progetto del 2012 per la realizzazione del “Museo “palazzo Ducale Ghezzi” – eco-museo della natura, della cultura, della storia dell’arte e delle tradizioni”, finanziato con risorse FESR 2007-2013, sono stati realizzati dei rilievi laser, nonché un molteplice materiale video e fotografico, dei più importanti punti di interesse culturale del territorio di Carpignano e della frazione di Serrano. «Materiale, spiega il primo cittadino- realizzato dalle passate amministrazioni a cui va il mio riconoscimento e la gratitudine di tutti, ma che di fatto non era mai stato usato, che ha permesso, oltre al riordino e alla “musealizzazione”, di realizzare

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sito, ho invitato, i visitatori di tutto il mondo, ad un viaggio esperienziale nei centri abitati di Carpignano e Serrano, per immergersi attivamente nella nostra storia, per conoscere le persone, la cultura, il cibo, l’ambiente e il mondo rurale di due tra i borghi più autentici del Salento, il tour virtuale preparerà il visitatore all’incanto, che, una volta arrivato in terra grika si troverà davanti ammirandolo dal vivo».

I luoghi nella rete

un museo virtuale, con cui è possibile collegarsi ad internet, da ogni parte del mondo, e fare un viaggio gratuito in 3D, tra le bellezze, i monumenti e la storia di Carpignano e Serrano». «Siamo felici di portare a termine uno dei principali obiettivi amministrativi - dichiara il sindaco Mario Bruno Caputo- questo è solo un importante inizio di un percorso molto più ampio di musealizzazione delle bellezze del territorio comunale, che continuerà nei prossimi anni attraverso la ricostruzione virtuale dei palazzi nobiliari di Carpignano e Serrano, delle torri degli orologi, dei megaliti e delle masserie. Il museo virtuale si propone innanzitutto come un formidabile strumento di promozione territoriale ed infatti, nella presentazione del lavoro sulla homepage del

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I MALINCONICI DIPINTI DI ERIC LACOMBE Dario Ferreri

Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea

«Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso»

" “C'è una malinconia che nasce dalla grandezza” Nicolas Chamfort

CURIOSAR(T)E

Albert Einstein

E

ric Lacombe, francese, classe 1968, è grafico, artista digitale e pittore autodidatta al centro di un universo, sospeso tra fantasia e taumaturgia, permeato dalla malinconia, intesa come modus vivendi negativo eppure inevitabile, sovente accompagnato

anche da sentimenti di paura, ansia e tristezza. Le opere dell'artista sono concepite per indagare gli angoli più reconditi della mente umana, e sono popolate da rappresentazioni e trasfigurazioni di visi e corpi umani o animali, collocati sempre in uno scenario metafisi-

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Eric Lacombe, G007

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CURIOSAR(T)E

Eric Lacombe, CR012

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Da destra: Eric Lacombe, G010 e P1000202BD

co, semplice e disadorno, che, al termine del processo creativo, riesce però a trasmettere armonia: Eric Lacombe, infatti, per evidenziare le qualità tridimensionali dei soggetti cui da vita nelle sue composizioni, li decostruisce meticolosamente, ed invita lo spettatore al rispecchiamento emotivo ed a proporre una propria interpretazione dell'opera: i suoi non sono ritratti, ma rappresentazioni di identità nascoste, tutte alla ricerca di un bagliore nel buio, sia fisico che mentale. I protagonisti dei suoi lavori hanno sofferto e portano profonde cicatrici come se fossero medaglie; sanno che la libertà di comunicare ed esprimersi ha un prezzo alto quanto quello della schiavitù dei pregiudizi, e sono consapevoli che occorra morire in una vita pri-

ma di poter entrare in un'altra, lasciandosi dietro una parte di se stessi; ma sono anche esseri che sognano ed hanno negli occhi un velo di tristezza, e, come ha scritto qualcuno, "hanno la malinconia addormentata agli angoli della bocca, hanno l'aria di chi cerca ma non trova. Sognare è faticoso, sognare non è da tutti: è per le persone coraggiose, sognare”. Personaggi coraggiosi di un artista malinconico e coraggioso, in grado di generare bellezza, una bellezza che non ci può essere senza maliconia, malinconia che manca senza la cognizione che tutto è destinato a dissolversi e ritornare polvere, proprio come nei suoi dipinti. I suoi lavori, realizzati congiuntamente e/o

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Eric Lacombe, TWOS_001,

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Eric Lacombe, 0X002; P1000202BD; GA027

alternativamente con acrilici, carta, olio, penne, carta mescolata a colla ed acrilico, e varie altre tecniche e materiali, sono caratterizzati da un'accostamento ben ponderato di elementi figurativi e pennellate, spesso materiche, dalla forte valenza espressiva. L'artista espone regolarmente in Francia, Spagna, America, e talvolta ha esposto /espone anche in Italia, Germania, Inghilterra, Canada, Danimarca, ecc. Le opere di Eric Lacomb si trovano in molte collezioni private. Attualmente vive e lavora a Lione, in Francia. Su Facebook ha oltre 240.000 follower (https://www.facebook.com/ericlacombe/) e su Instagram oltre 95.000 (https://www.instagram.com/eric_lacombe/?hl=it). Il suo sito lo trovate al seguente indirizzo: www.ericlacombe.com

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1@Archivio fotografico Fondazione Carlo Levi

CARLO LEVI (1902-1975) PITTURA, SCRITTURA E POLITICA Sara Di Caprio

I luoghi nella rete

On line dal 26 luglio sul sito carlolevifondazione.it l’Archivio fotografico della Fondazione Carlo Levi, un fondo fotografico inedito raccolto in vita dallo scrittore di cui nel 2022 ricorreranno 120 anni dalla nascita. Il 29 settembre nella sede della Fondazione si inaugurerà la mostra “Uno scatto che ci somiglia: la raccolta fotografica di Carlo Levi” Il 22 ottobre una giornata di studi

L’imponente fondo fotografico che l’artista e scrittore Carlo Levi (1902-1975) raccolse in vita, parliamo di diecimila fotografie, grazie alla Fondazione creata dallo scrittore per volontà testamentaria e riconosciuta come Ente morale nel 1979, dal 26 luglio 2021 è ufficialmente online sul sito carlolevifondazione.it L’Archivio fotografico della Fondazione Carlo Levi, attualmente conservato presso l’Ar-

chivio Centrale dello Stato di Roma, è fruibile a quanti vorranno approfondire, studiare luoghi e persone, pagine di vita che raccontano principalmente il lato pubblico dell’artista con alcuni accenni al mondo privato e familiare coprendo un arco temporale che parte degli inizi del Novecento fino ad arrivare alla fine degli anni Settanta. La selezione delle oltre 1500 fotografie messe on line è pro-

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posta come una mostra di fotografia nella quale vengono presentati i nuclei tematici più significativi fra i molti inclusi nel fondo: il “diario” dei suoi viaggi compiuti, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, nei luoghi e tra

le genti del Sud d’Italia: Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna; la serie di reportage fotografici firmati da fotografi internazionali come David Seymour (130 scatti) e Hanry CartierBresson (soggetti romani contenenti 25 foto-

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grafie) che, oltre ad essere amici dell’artista, lo ritenevano un punto di riferimento per la documentazione e la denuncia del disagio sociale; l’utilizzo della fotografia, attraverso fotografi professionisti, come strumento per impostare i soggetti da ritrarre, per annotare particolari situazioni ambientali che avrebbe ripreso nei suoi quadri come il rilevante materiale fotografico realizzato da Mario Carbone per il grande telero Lucania’ 61 eseguito da Levi in occasione delle celebrazioni torinesi del Centenario dell’Unità d’Italia (il servizio originale conservato nell’Archivio di Carbone è di oltre 400 fotografie, mentre il fondo Carlo Levi ne conserva circa la metà). All’interno della selezione un nucleo di parti-

colare interesse è la serie di “Ritratti” di Levi realizzate da numerosi fotografi professionisti tra cui Arnold Newman, Marilyn Gerson, Carl Van Vechten, Erich Hartmann e Anatole Saderman, per citarne alcuni, che testimoniano l’interesse che la figura del nostro intellettuale suscitava anche in campo internazionale; alcuni di questi scatti lo riprendono nel suo atelier durante la realizzazione di opere pittoriche e in alcuni casi con il modello in posa (assai spesso celebri, come Alberto Moravia, Silvana Mangano, Anna Magnani). In questa prima selezione dal fondo, non poteva mancare il Levi impegnato nella politica e nel sociale (senatore della Repubblica per due legislature), sempre presente nei

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convegni e nei raduni a sostegno dei grandi temi come la pace e la lotta alla mafia, o ancora durante le manifestazioni per i diritti civili nazionali e internazionali. Furono tre infatti le grandi passioni di Carlo Levi: la pittura, la scrittura e la politica, attività che si intersecarono durante tutto l’arco della sua vita. Laureatosi in medicina, sin da giovanissimo si interessò alla pittura; e a partire dal 1923 e partecipò ad eventi nazionali e internazionali con rassegne collettive e personali. Levi trascorse lunghi periodi a Parigi e nel 1929 espose con il gruppo dei Sei di Torino, sostenuti dal critico Edoardo Persico e dallo storico dell'arte e critico Lionello Venturi. Fra i fondatori di Giustizia e libertà (1929)

fu arrestato nel 1934 e inviato al confino in Lucania dal 1935 al 1936. Da tale esperienza nacque la stesura del suo scritto più famoso, “Cristo si è fermato a Eboli”, pubblicato nel 1945, che fece conoscere al mondo la condizione della civiltà contadina del Sud Italia. L'attività artistica proseguì intensa per tutti gli anni del dopoguerra fino alla morte con mostre personali in Italia e all’estero, intrecciata alla sua costante produzione letteraria e alla sua presenza sulla scena politica. Instancabile la sua produzione artistica e letteraria non fu fermata nemmeno quando nel 1973 subì distacco della retina che lo obbligò a due interventi chirurgici. In stato di temporanea cecità, realizzò 140 disegni e scrisse,

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con l'ausilio di uno speciale telaio, il “Quaderno a cancelli” opera che fu pubblicata dopo la sua morte che lo colse a Roma il 4 gennaio 1975. La consultazione dell’archivio aiuterà i fruitori a recuperare la memoria storica di eventi e il profilo di un intellettuale straordinario. La realizzazione dell’Archivio on line è firma-

ta da Roberto Salvoni, e si basa sulla piattaforma open source xDams, che ha permesso di affrontare con rigore scientifico la descrizione di dati e metadati (utilizzando la scheda F-ICCD), e allo stesso tempo di compilare dei campi descrittori e di inserire parole chiave così da mettere in relazione tra loro temi, luoghi, persone, istituzioni presenti nel-

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3 @Archivio fotografico Fondazione Carlo Levi

le varie fotografie rendendo così la ricerca più dettagliata e veloce. Il lavoro di valorizzazione e diffusione dell’archivio fa parte del progetto “L’archivio fotografico di un protagonista del Novecento: Carlo Levi”, a cura di Daniela Fonti e Antonella Lavorgna per la Fondazione Carlo Levi, vincitore dell’avviso pubblico “Strategia Fotografia 2020” e promosso e sostenuto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Un progetto più ampio che oltre all’Archivio digitale prevede la Mostra fotografica intitolata “Uno scatto che ci somiglia: la raccolta fotografica di Carlo Levi”. L’inaugurazione fissata per il prossimo 29 settembre nelle sale della Fondazione (via Ancona, Roma) vedrà in esposizione 60

originali, accompagnati da diverse videoproiezioni, per esplorare la centralità della fotografia nella restituzione di eventi della cultura storica italiana (il confino in Lucania, le proteste dei contadini, i personaggi coinvolti nella lotta alle mafie, grandi manifestazioni politiche internazionali), e indagherà l’importanza per Carlo Levi di servirsi di appunti fotografici in molti momenti della sua creazione artistica: dall’esecuzione di grandi quadri paesaggistici alla “ripresa” di interni con personaggi per la sua pittura ispirata al Sud. Infine, una Giornata di studi, il 22 ottobre, sul tema “In primo piano luoghi e gente d’Italia” (presso la Temple University, lungotevere Arnaldo da Brescia, 15 Roma).

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4 @Archivio fotografico Fondazione Carlo Levi

L’obiettivo dell’intero progetto è ripercorrere la memoria storica del nostro paese attraverso gli occhi di uno dei protagonisti del Novecento, artista, scrittore, uomo politico fra i più completi, complessi e multiformi che l’Italia abbia espresso nel XX secolo. Promuovere al contempo la comprensione dell’integrazione del linguaggio fotografico con quello pittorico e letterario leviano, ma anche di far emergere un tessuto di professionismo locale minore, sia a Roma che in vari centri del sud come la Lucania, di notevole interesse storico e artistico. Inaugurazione Mostra fotografica “Uno scatto che ci somiglia: la raccolta fotografica di Carlo Levi”

In mostra 60 originali accompagnati da videoproiezioni 29 settembre 2021 Fondazione Carlo Levi Via Ancona 21 Roma Giornata di studi “In primo piano luoghi e gente d’Italia” 22 ottobre 2021 Temple University Rome Lungotevere Arnaldo da Brescia 15 Roma Fondazione Carlo Levi Via Ancona 21 – Roma carlolevifondazione@gmail.com - www.carlolevifondazione.it

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Marina di San Cataldo, Lecce (foto A.F)

UNA CHIESA DI EPOCA ROMANA SUL FONDALE DI SAN CATALDO Raffaele Polo

Nella marina leccese di San Cataldo il mare custodisce antiche testimonianze

I LUOGHI DEL MSITERO

Adesso c'è una spiaggia, un lido specializzato, tra l'altro, ad offrire anche agli amici dell'uomo, ai cani, la possibilità di sostare sull'arenile, con adeguate strutture. Sembra una combinazione che, proprio nel mare davanti allo stabilimento Soleluna, sia celato un grande, importante segreto che fa parte della storia della nostra terra ma che è quasi totalmente ignorato. Quasi... Perché, in realtà, leggende, dicerie e quelle storie sospese tra realtà ed invenzione, tipiche dei luoghi marini che non lesinano in quanto a fatti oscuri, ve ne sono parecchie e tutte rivestite di particolari diversi che, però, ruotano attorno ad un elemento di imprescindibile realtà. A circa trecento metri di distanza dalla attuale spiaggia, ci sono i resti di una 'chiesa', sprofondata nel mare e risalente, sicuramente, all'epoca romana. Un completamento, una sorta di costruzione coeva al molo di Adriano, che ancora si può vedere, nonostante secoli di abbandono e il lavorio delle acque... Ma i romani sapevano costruire, eccome. E allora, seppure con una denominazione che è tra virgolette, la 'chiesa' si conserva nelle sue parti essenziali, da

secoli sotto il mare. E le fanno compagnia, nei dintorni, tante testimonianze del trascorrere del tempo: dai carichi di olio e vino presenti su navi incappate in secche e scogli pericolosi, alle grosse sfere di pietra che servivano per essere lanciate o sparate dai bastimenti verso la terraferma. C'è anche chi giura sulla presenza di un galeone carico di preziosi, arenatosi al largo e poi affondato. Testimonierebbero a favore di questa presenza alcune lamelle di oro rinvenute nei fondali vicini alla riva. La 'chiesa' è in realtà una costruzione regolare, suddivisa in due grandi spazi e priva di stanze, vere e proprie. Logico supporre che fosse un edificio presente sulla spiaggia che il moto delle onde e una non perfetta stabilità nella costruzione, ha trascinato nelle acque. Poteva essere un tempio, magari un edificio civile. Ma qualcuno parla di un calice (d'oro?) rinvenuto in loco e questo ha dato credito all'idea di una 'chiesa' protocristiana. Del resto, nella agiografia di Sant'Oronzo, non si parla di uno sbarco proprio a San Cataldo? Tante le ipotesi e le illazioni ma, di sicuro, c'è soltanto che la costruzione sottomarina è ben radicata nel fondale, custodendo il suo segreto e la sua vera identità.

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E un po' tutta la zona, ancora, nasconde segreti e ipotesi che ci confermano, peraltro, quanto fosse importante questo tratto di costa, nell'antichità che dava lustro e grandezza proprio a quelle realtà oggi trascurate e abbandonate a sé stesse... La 'chiesa' dunque c'è: ma, attenzione, ancora una volta non mancano le leggende e le ammonizioni di chi parla di una sorta di maledizione per chi volesse saperne di più e cercasse di 'visitare' il luogo, approfittando dei moderni mezzi sub. Il segreto, l'eventuale tesoro, sono protetti da secoli e sicuramente

avrebbe la peggio l'incauto ed avido esploratore subacqueo... Meglio, molto meglio, sostare in pace sulla spiaggia, magari col proprio cane, approfittando del lido attrezzato. E scrutare con attenzione il calmo mare che, magari, potrebbe far affiorare qualche sorprendente indicazione... Non si sa mai, magari un relitto di galeone o un pinnacolo di bastimento. E non la solita mareggiata di alghe che paiono voler, beffardamente, ricoprire la spiaggia e i nostri interrogativi.

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Nicola Genco, Papaveri bianchi

PASSI FALSI. RIFLESSIONI SULL’ANTROPOCENE Lia De Venere

Dal 29 luglio al 1 agosto il chiostro delle Clarisse a Noci ha ospitatol’installazione di Nicola Genco nell’ambito della seconda edizione del Festival Chiostri, inchiostri e claustri. Letture di mezza estate organizzato da Formiche di Puglia Parco letterario “Tommaso Fiore”, con il patrocinio del Consiglio Regionale della Puglia e del Comune di Noci. La mostra è stata realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale ETRA E.T.S.

N

ell’epoca geologica attuale che, con un termine puntuale ed efficace nato vent’anni fa, ma ancora non unanimemente condiviso a livello scientifico, viene definita Antropocene, l’azione dell’uomo sull’ecosistema, in particolare nell’ultimo secolo, è divenuta

sempre più invasiva e dannosa, provocando gravi effetti immediati e a lungo termine, come i cambiamenti climatici, il riscaldamento degli oceani, la riduzione delle foreste, la modifica dell’equilibrio idrogeologico naturale, il decremento progressivo della biodiversità. I cicli del

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Nicola Genco, isola uomini

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carbonio, del fosforo e dell’azoto sono stati stravolti, l’anidride carbonica e il metano hanno raggiunto altissime concentrazioni nell’atmosfera. Scorie nucleari e grandi quantità di particelle di calcestruzzo, plastica, acciaio sono oggi massicciamente presenti nel suolo, nei mari e nell’aria. Con la consueta levità espressiva, frutto di un’attitudine narrativa affinata dalla capacità di trasfigurare poeticamente la realtà, attraverso questa complessa installazione Nicola Genco ci attrae all’interno di una toccante prefigurazione di un futuro non troppo lontano. Davanti a nostri sguardi, costruiti con assiduo esercizio di sintesi, Genco appronta scenari inquietanti, indizi eloquenti delle infinite e molteplici sofferenze odierne del pianeta Terra, di quella Madre Terra, che

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i suoi figli sembrano aver dissennatamente deciso di condannare a una morte lenta. Un’umanità minacciata da se stessa, dunque, da tutto quanto in un lasso di tempo non superiore al secolo e mezzo è riuscita a fare ai danni dell’ecosistema, rendendolo – progressivamente e in maniera in alcuni casi irreversibile – in molti casi inospitale. Su formelle di argilla cruda, solcata da crepe profonde, quasi fosse aggredita da un’ineluttabile siccità, Genco ha posto degli uomini, seduti o in ginocchio, con le braccia conserte, pensosi e come in attesa di qualche evento. A fianco le foglie cadute, ma ancora vitali di specie diverse, a dare testimonianza delle serie minacce che subisce la biodiversità naturale e, poco più in là, un piccolo stormo di volatili


veduta insieme della mostra di Nicola Genco

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in sosta, come sopravvissuti all’ennesima catastrofe ambientale, ma ancora capaci di aprire le ali e librarsi in volo. E a suggello di una messa in scena struggente e affascinante al tempo stesso, che si può leggere come un’oggettiva presa d’atto e insieme come un accorato invito alla speranza, l’artista ha posto – deliberatamente e opportunamente – un piccolo campo di papaveri ancorati alla pietra e con i petali e gli steli arruffati dal vento. Il papavero, simbolo di fertilità, sacro alla dea

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Demetra (Madre Terra), che nella mitologia greca è la dea dell'agricoltura, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte, è una pianta selvatica che si adatta a qualsiasi terreno, pur prediligendo quelli calcarei e asciutti, ma soprattutto – e qui, a mio avviso, risiede verosimilmente il motivo principale della scelta dell’artista – è una specie pioniera, tra le prime a ripopolare le terre incolte. Uno scenario - quello ideato da Genco – realizzato interamente con la terra cruda o cotta e giocato esclusivamente


Alcuni particolari dell’allestimento della mostra di Nicola Genco

sui toni del bianco e del grigio, in cui colori sono spariti, forse accantonati per un futuro diverso. E i papaveri hanno perso il loro seducente rosso vermiglio per farsi bianchi, come nelle specie rare della pianta, in alcuni luoghi considerate simboli di sventura e di sonno eterno, in altri invece metafore di felicità e di purezza e capaci di risvegliare in cuori insensibili il palpitare dei sentimenti. “Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un gigantesco passo per l’umanità”: sono le prime parole pronunciate il 21 luglio 1969 da Neil Armstrong, mettendo piede sulla superficie lunare. Un momento importante nella storia dell’umanità, di cui dopo oltre cinquant’anni si conserva un ricordo

vivido e ancora emozionante. Ai tanti e irragionevoli “passi falsi” impressi nell’ultimo secolo dagli uomini nel corpo vivente del nostro pianeta in nome di un’idea di progresso non sempre lungimirante, allude qui l’artista. Ad essi va imposto al più presto un saggio e perentorio dietro front, per avviare un indispensabile cambiamento epocale che possa rimettere in equilibrio virtuoso il rapporto tra la terra e l’umanità. Perché, come aveva scritto François Mauriac: “È inutile per l’uomo conquistare la Luna, se poi finisce per perdere la Terra” (Blocnotes, 1952-1970).

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NICOLA GENCO Putignano (BA), 1959. Vive e lavora a Putignano. Grafico, designer, pittore, scultore, fotografo, Genco è un artista visivo a tutto tondo. In tutte le sue creazioni è sempre palese l’interesse per i diversi aspetti della natura, così come il rapporto vivo e forte con la materia; frammenti di mondi diversi attraverso la sintesi creativa danno vita a opere d'arte caratterizzate dalla ibridazione di più materiali. Tra le più recenti personali figurano: 2021 Promenade - KIR, Palazzo del Consiglio Regionale della Puglia, Bari 2020 Exodus, Museo Sigismondo Castromediano, Lecce Meravigliosa, PiiiL Cultura Regione Puglia. Fiera del Levante, Bari 2019/2020 L’altro mare, a cura di Apulia Stories, Faro di Punta Palascìa, Otranto (Le) 2019 Promenade, a cura di Lia De Venere, Museo Archeologico Museo F. Ribezzo, Brindisi Trattato di entomologia aliena, nell’ambito del progetto “Le parole del cibo, le suggestioni dell’arte”, a cura di Lia De Venere, Palazzo Marchesale, Cavallerizza, Laterza (TA) 2018 Sacra Famiglia – Omaggio ad Antonello da Messina. Castello Normanno Svevo, Cappella, Bari Dalla natura nella storia, a cura di Lia De Venere, Antiquarium e Parco archeologico di Canne della Battaglia (Barletta) 2017 Installazioni in occasione del Festival Tra i vicoli della mente, Centro storico, diversi luoghi, Noci (BA) 2016-2017-2018-2019 Installazioni in occasione di Cortili Aperti, a cura dell’ADSI, Associazione Dimore Storiche Italiane. Sezione Puglia, Centro storico, Lecce

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IL MUSEO DEL FUTURO LA CALL DEL MARINO MARINI DI FIRENZE

Al via la terza edizione dell’iniziativa Playable Museum Award. Si potrà partecipare fino al 30 settembre 2021

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are forma al museo del futuro coniugando creatività e tecnologia. In poche parole: “Playable Museum Award”: una “call for ideas”, vale a dire una sfida a creativi e visionari da tutto il mondo per sviluppare un’idea di Museo del Futuro. Per ripensare la connessione tra le persone, le opere e l’istituzione museale. A lanciarla è il Museo Marino Mari-

ni di Firenze che ha avviato l’iniziativa nel 2017 grazie alla collaborazione ideativa del creativo e Game Designer Fabio Viola e che si avvale di una commissione di esperti a livello internazionale provenienti da istituzioni prestigiose italiane e straniere e dedicata non solo alla valutazione del lavori ma anche ad accompagnare i vincitori nella realizzazione del proprio proget-

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to. Sarà possibile partecipare fino al 30 settembre 2021 e vede in palio un un grant di 10.000 euro ed il supporto per l’implementazione del progetto vincitore. “Siamo particolarmente orgogliosi – dichiara Patrizia Asproni, Presidente del Museo Marino Marini di Firenze – di poter lanciare una nuova edizione del Playable Museum Award in un momento così complesso in cui, ai nostri musei, è richiesto un cambio di paradigma quanto mai significativo. Da luoghi dedicati alla contemplazione e al mero “consumo” culturale, i tempi sono maturi affinché le istituzioni museali diventino spazi di azione e interazione in cui immaginare nuovi scenari e coinvolgere le giovani generazioni, grazie alle infinite possibilità offerte dalla proficua sinergia fra creatività e tecnologie digitali. Il Museo Marino Marini – prosegue Asproni - si posiziona come laboratorio di futuro, luogo in cui si sperimentano idee, in cui l'arte e l'architettura si coniugano, appunto, alle innovazioni tecnologiche per una fruizione più ‘playable’ del museo, più coinvolgente e inclusiva”. Vincitori della prima e della seconda edizione sono stati Arvind Sanjeev e Greta Attademo, con i progetti “Lumen” e “Origaming”, due

lavori ad alto contenuto innovativo in cui la tecnologia è a supporto della creatività. Lumen del designer e ingegnere indiano è una piattaforma che consente al pubblico di immergersi in una realtà alternativa AR/VR – creando e raccontando le proprie storie attraverso interazioni magiche con l’ambiente e lo spazio circostante. Originaria di Napoli l’architetto con Origaming, ispirandosi all’antica arte giapponese della carta, ha realizzato una guida interattiva che, aperta nel corso dell'esposizione, rivela nuovi significati e conoscenze relative alle opere culturali. Per candidarsi alla call c’è tempo fino al prossimo 30 settembre e basterà collegarsi sul sito del museo e compilare l’apposito . L’annuncio del vincitore è previsto per ottobre 2021; tutti i progetti partecipanti riceveranno comunque visibilità attraverso la specifica comunicazione collegata all’evento e, in particolare, la pubblicazione sul sito ufficiale dell’iniziativa: un data bank di idee e creatività a cui attingere liberamente, un luogo per far incontrare le idee creative e i musei che volessero realizzarle.form Il Museo Marino Marini è nato dalla volontà di Marino e Marina Marini che, alla

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fine degli anni Settanta del Novecento, individuarono l’ex chiesa di San Pancrazio di Firenze come luogo ideale al quale legare la donazione di opere che l’artista, poco prima di morire, aveva fatto alla città. La ristrutturazione della chiesa, recupe-


rata dopo secoli e ridestinata a una funzione pubblica, è stata realizzata dagli architetti Lorenzo Papi e Bruno Sacchi che hanno saputo creare un allestimento a immagine e somiglianza di quel mondo così affascinante di Marino Marini, uno dei personaggi più significativi della cultura figurativa del Novecento. Il museo ospita 183 opere di Marino Marini: disegni, litografie, dipinti, sculture,

tutte esposte al pubblico sui quattro livelli del museo. Parte integrante del museo, recuperata alla visita del pubblico dopo un lungo restauro, è una delle meraviglie del Rinascimento fiorentino: la Cappella Rucellai, capolavoro assoluto dell’architetto Leon Battista Alberti, con il Tempietto del Santo Sepolcro.

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Enzo Sanapo, Equinozio d'autunno, 2021

SE IL PUNTO È LUCE, OVVERO IL PUNTO LUCE DI EZIO SANAPO Francesco Pasca

Nell’atelier dell’artista...

Come può la luce in un ricordo frantumarsi e ricomporre in una forma per il colore; oppure come disegnarsi in una parola e rendersi suono comprensibile nella visione o ancora come può predisporre l’accettazione di quel suono in un gesto con la probabile soluzione in una somma da condursi alla sua definitiva descrizione. È mio rovello, il riflessivo, da sempre. La richiesta del com’è e del come l’ho divorata nel quotidiano in un istante ma non è mai diventata, in un pensiero, la mia carta identificatrice e risolutrice. Leggero mi è stato il percorso di quella luce, ma altrettanto leggero ha continuato a tornare sui miei versi, sui capoversi, sulle mie parole con l’intento di descrivere quel colore, quella luce. Ne è stata riprova l’articolarsi, graficamente e continuamente dell’uso in scala di grigio e con il

rendere ancora più evidente l’assistere melanconico al rafforzarsi nella molteplicità di una visione per la complessità degli interrogativi che si susseguono e per il valore da dare all’immagine, poi farla diventare parola e infine giungere alla sua luce nella memoria. Nella memoria, ho pensato, la luce darà luogo al tempo da cui proviene e darà anche al luogo il tempo di riflettersi con: “ognuno (anche le immagini) ha il diritto di scegliere per continuare a vedere la propria soluzione.” Da sempre ho chiesto al meraviglioso miscelatore di fantasie, in questo caso al pittore, se mi sapesse dipingere la luce in un ricordo, se conoscesse e accorgersi, immediatamente che, la fantasia di una luce da sola non esiste, che la stessa luce sia e debba essere la scelta dettata dalla visione. Ho cercato con la certezza di un

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racconto come trovare, dare un Luogo alla luce. Cercando accade! M’è accaduto incontrando l’Arte e l’Artista Ezio Sanapo. Si è definito lineare l’accaduto paragonando il silenzioso amare il racconto disegnato al delicato suo particolare sociale, poi dedicarne anche l’attenzione. Spazio, (Luogo), Tempo ne hanno fatto cornice con l’amare quel silenzio e la contemplazione. Il rappresentato (Cose animate e non) ha avuto, nella sostanziata visione, tutte le caratteristiche rigorosamente appartenenti alla stessa filosofica esistenza di un universo tra immaginario reale e vissuto fantasticato, per l’esigenza primaria, per il sogno. Nelle opere del mio amico Ezio, dipanate nella visione, si è delineato l’amore per l’Arte del rappresentare. La mimesi l’ho veduta nel rapporto intimo fra realtà e corrispondenza di rappresentazione, a volte anche nell’uguale somiglianza tra empirico ed idea, in piena identificazione. Tutte le immagini le ho vedute legate intimamente alla natura e hanno preso il loro particolare contorno tanto da sentirne l’appartenenza al luogo in cui erano immersi ed essere e diventare sostanza di terra, leggerezza di cielo e tormento di mare. L’Artista è divenuto il particolare Punto di Visione per la Luce e, in Ezio Sanapo, ho veduto che ne è il solitario abitatore con i suoi personaggi che si auto-descrivono. Sono stato nel suo studio in Tricase di via Urbano Rattazzi al n.44, nonché, ora che ne scrivo,

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Enzo Sanapo, L'albero delle noci, 1988 Canneto. cacciata dal paradiso.., 2021

m’è tornato dalla memoria il piacere di averlo presentato con il compianto don Giuseppe Colavero presso il santuario di Carpignano Salentino in occasione di una silloge pittorica di opere dedicate a: “una donna di nome Maria”. Di quelle meraviglie pittoriche ne descrissi la particolare propensione al racconto evangelico in chiave molto più umana e meno trascendentale. Dell’aneddoto appena citato ricordo l’ostilità della Chiesa riguardo al rappresentato. In quell’occasione, i più, lasciatesi trasportare dai dogma non vollero ascoltare il suo colore che andava ben oltre le sole aspettative ecclesiastiche. È la storia di sempre per le grandi verità diversamente raccontate. Nel recente ho visionato le sue cinquanta opere presso le sale del castello o palazzo dei principi Gallone di Tricase(Lecce). Mi rincorre ancora come da sempre l’ugual stato d’animo e la volontaria accessibilità alle Cose del mondo così come descritte da Ezio Sanapo. I titoli accompagnano le sue opere e spesso sono anch’essi le immagini di una Poesia Visiva in sovrapposizione simbolica di altrettante immagini. L’arte pittorica nel segno del bianco ch’è somma di colori ancora una volta assegna i suoi personaggi alla Poesia e alla Storia. Nel trascorrere la visione delle opere di Ezio le sue Opere (vi assicuro, lo sono non per unica esigenza di sogno) si evidenzia la Luce che diventa di sostanza pittorica per essere nata dal suo trasparire e riflettersi semplice e raccontare, come lui stesso ama definirle in: “Artista non è un titolo è solo uno stato d’animo”. Del suo stato d’animo ci si accorge immediatamente parlandoci e nell’ascoltarlo è come fossimo noi gli accorti affabulatori di Cose che ci circondano. Nelle grandi dimensioni le opere svolgono il compito di avvolgere i personaggi spesso in due e per essere due o molteplici. I personaggi sono gli abitanti di quel luogo e sono Natura maschio e femmina con il loro verde. Il manufatto recita l’importanza del lavoro dell’uomo. Ancora una volta è la fantasia della realtà che diventa la sua scelta e la sua ragione di vita, anche ecologista.

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Era questo che andavo cercando come certezza di un racconto, dare un Luogo alla Luce nonché stabilire che Ezio è proprio il suo inconfondibile Punto Luce.

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ARTE E AMBIENTE. A SERMONETA IL FESTIVAL DEL TEMPO

La seconda edizione dal 25 al 26 settembre

S E R M O N E T A  ( L T ) . Mostre, installazioni e performance finalizzate a percepire il tempo e lo spazio con un occhio particolare al legame tra tempo e ambiente, tra le tematiche più attuali degli ultimi anni. Tutto questo è il Festival del Tempo che ritorna per il secondo anno a Sermoneta, in provincia di Latina, il 25 e 26 settembre 2021. Il Festival, con la direzione artistica di Roberta Melasecca, vuole essere un’indagine multidisciplinare e interdisciplinare sul Tempo, sul Passato, sul Presente e sul Futuro, un luogo dove “Costruire Pensieri, Generare l’Arte, Vivere il Tempo”. Fino al 16 ottobre 2021 la Chiesa di S. Michele Arcangelo ospiterà una mostra collettiva con circa cinquanta artisti che proporranno opere e installazioni incentrate sull’interconnessione tra tempo e natura, partendo dal concetto di base che occorre una rivoluzione delle coscienze che possa condurre a un reale cambia-

mento nello stile di vita e nelle abitudini, spiega la curatrice che aggiunge: «L'uomo deve aprirsi alla compassione, e ritornare a dialogare con la natura, in un ascolto attento. È ora più che mai necessario agire con lentezza: acquisti consapevoli, abitudine al riciclo, riduzione di materiali plastici, uso rispettoso delle risorse, preservazione delle specie, alimentazione etica, battendosi contro l’inquinamento, lo scioglimento dei ghiacciai, e coltivando relazioni di vicinanza nel supporto, nella condivisione e nell'inclusione. Gli Artisti aderenti si pongono come fine il destare l'attenzione per sensibilizzare verso tematiche così importanti ed urgenti». Oltre alla mostra, il Festival del Tempo proporrà al pubblico un ricco itinerario di installazioni e performance artistiche sparse in tutto il Comune di Sermoneta e visitabili fino al 30 ottobre. (calendario completo è disponibile sul sito www.festivaldeltempo.it).

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IL MITO DI VENEZIA. DA HAYEZ ALLA BIENNALE Novara, Castello Visconteo Sforzesco 30 ottobre 2021 – 13 marzo 2022 a cura di Elisabetta Chiodini UN ATLANTE DI ARTE NUOVA. EMILIO VILLA E L’APPIA ANTICA Parco archeologico dell'Appia Antica Complesso di Capo di Bove sull’Appia Antica 19 settembre 2021 RAFFAELLO E LA DOMUS AUREA L’INVENZIONE DELLE GROTTESCHE 23 giu 2021 – 07 gen 2022 Domus Aurea via Serapide nel parco del Colle Oppio Roma raffaellodomusaurea.it IDEE VISUALI GIUSEPPE CALONACI Galleria GERMINAZIONI IVª.0 Otranto 10-25 settembre 2021 TEL. 328.1711547/339.1581453 VERONA, GAM Galleria d’Arte Moderna Achille Forti – Palazzo della Ragione Cortile Mercato Vecchio 6 – Verona Tel. 045 8001903 www.gam.comune.verona.it Facebook @GAMverona Instagram @museiciviciverona YouTube http://bit.ly/YouTubeIMUV Orarida martedì a domenica, dalle 10 alle 18 ultimo ingresso alle 17.15 chiuso il lunedì, biglietto: Intero: 4,00 €

FUORI DAI CORI TRE "QUADRI DI TARSIA" DI FRA DAMIANO ZAMBELLI DA BERGAMO (1480 CIRCA - 1549) A cura di Mark Gregory D'Apuzzo, Lorenzo Mascheretti, Massimo Medica Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini Strada Maggiore 44, Bologna 2 ottobre - 5 dicembre 2021 Inaugurazione venerdì 1 ottobre 2021 h 17.30 (prenotazione obbligatoria) A.R. PENCK Museo d’arte Mendrisio Mendrisio, Piazzetta dei Serviti 1 24 ottobre 2021-13 febbraio 2022 www.mendrisio.ch/museo museo@mendrisio.ch tel. +41. 058.688.33.50 Orari: ma-ve: 10.00 – 12.00 / 14.00 – 17.00; sa-do e festivi: 10.00 – 18.00 lunedì chiuso, tranne festivi. Chiuso 24/25 dicembre 2021 e 1 gennaio 2022 PAESAGGI POSSIBILI. Da De Nittis a Morlotti, da Carrà a Fontana Lecco, Palazzo delle Paure Villa Manzoni lunedì chiuso; martedì 10-13; mercoledì e giovedì 14-18; venerdì,sabato e domenica, 10-18 Villa Manzoni lunedì chiuso; martedì, 14-18; mercoledì e giovedì, 10-13; venerdì, sabato e domenica, 10-18 Biglietti: Intero: €10,00; Ridotto: €8,00; www.vivaticket.com Tel. 0341 286729 ACADEMY YOUNG Gallarate (VA), Museo MA*GA( via E. de Magri 1) 8 settembre – 3 ottobre 2021 Orari martedì – venerdì 10.00 – 18.00 sabato – domenica 11.00 – 19.00; lunedì chiuso Tel. +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it

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ARTE È. 25 anni di Merano Arte KUNST MERAN MERANO ARTE, portici 163, 39012 Merano fino al 24 ottobre 2021 www.kunstmeranoarte.org

IL MITO DI VENEZIA. DA HAYEZ ALLA BIENNALE Novara, Castello Visconteo Sforzesco 30 ottobre 2021 – 13 marzo 2022 a cura di Elisabetta Chiodini

OTTAVIO MISSONI (11 febbraio 192111 febbraio 2021) Museo MA*GA Gallarate, Via E. de Magri 1 Tel. +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it Orari: dal martedì al venerdì, dalle ore 11.00 alle ore 16.00 Per visitare le mostre è preferibile prenotare al numero tel. 0331.706011. ITALIAE. DAGLI ALINARI AI MAESTRI DELLA FOTOGRAFIA CONTEMPORANEA fino al 10 ottobre 2021 IERI, OGGI, DOMANI. ITALIA AUTORITRATTO ALLO SPECCHIO Firenze, Forte di Belvedere Info e prenotazioni Tel. 055 2768224 SANTIAGO CALATRAVA - NELLA LUCE DI NAPOLI - Chiesa di San Gennaro fino al 24 ottobre 2021 Reggia (secondo piano), tutti i giorni (chiuso il mercoledì) dalle ore 10 alle ore 17.30 Cellaio nel Real Bosco (venerdì, sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 16.00 ultimo accesso alle ore 15.30) / gratuito Chiesa di San Gennaro, Real Bosco (venerdì, sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 16.00 ultimo accesso alle ore 15.30) / gratuito Chiesa di San Gennaro via Miano 2, Napoli

ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...

OMAGGIO A VIRGILIO GUIDI con uno sguardo alla collezione Sonino 17 settembre 2021 - 7 gennaio 2022, Venezia Fondazione Bevilacqua La Masa San Marco, Palazzo Tito, Ca d’Oro


VIA LE MANI DAGLI OCCHI IL ROMANZO DI SANDRO MOTTURA

SANDRO MOTTURA Via le mani dagli occhi Il Raggio Verde edizioni p.70 2021 ISBN 979-12-80556-05-9 12€

Quanti volti ha la violenza? Tanti come i tentacoli della Medusa e come l’essere mitologico pietrifica corpo e cuore. E purtroppo come spesso accade, il mostro ci vive accanto. L’orco è colui che mai avremmo immaginato potesse farci del male. La persona di cui ci fidiamo. Come accade alla giovane Miriam a cui viene rubata l’innocenza e strappato il sorriso, abbandonata ancora una volta e da chi avrebbe dovuto proteggerla da tutto e da tutti. È davvero difficile immaginare cosa può passare nella mente di chi subisce violenza, il dolore che oltrepassa la soglia fisica per diventare sanguinante pur se invisibile ferita che non cicatrizza mai. Perché chi subisce violenza se la porta dentro per sempre. Può imparare solo a gestirla con il tempo e solo un amore vero può essere in grado di portare via le mani dagli occhi lasciando che lo sguardo possa proiettarsi in avanti e immaginarsi nuovamente il futuro. Nella narrazione di Mottura, ambientata tra Milano e il Salento, si ripercorrono le atmosfere degli anni Sessanta, quelli del boom economico fino ad arrivare al concerto del 13 luglio 2013 a San Siro dei Negramaro (dal cui repertorio viene preso in prestito un famoso brano per intitolare il romanzo). Non c’è solo la violenza fisica però. Attraverso la storia della protagonista Miriam, si affronta il tema del tradimento la cui scoperta sconvolge nuovamente le carte di un destino di felicità che sembrava finalmente raggiunto causando disorientamento e dolore. Ma anche quando tutto sembra perso c’è sempre la possibilità di rinascere e ricominciare a vivere. Non a caso quando Pandora libera la speranza, rimasta sul fondo del vaso, il mondo si rianima. L’io narrante, dietro cui si nasconde il nostro Autore, vuol mettere in guardia il lettore: anche una voce che nega l’amore per paura di soffrire ancora può generare a sua volta violenza e frustrazione. Ma per uscire dalla spirale del male c’è sempre e solo un modo, lasciar andare via le mani dagli occhi e guardare la realtà per quella che è. Allontanarsi talvolta è l’unica via possibile, così come è indiscutibile combattere per affermare e non lasciare mortificare la propria dignità. Ma se portando via le mani dagli occhi si scopre l’amore allora bisogna avere il coraggio di lasciarsi avvolgere perché si vive una volta sola. Antonietta Fulvio


LA TARANTOLA DI PIETRO IL NUOVO ROMANZO DI DEDO DI FRANCESCO

DEDO DI FRANCESCO La tarantola di Pietro Il Raggio Verde edizioni 2021 p. ISBN 979-12-80556-011 €15

La tarantola di Pietro di Dedo di Francesco è un romanzo leggero, dalla leggerezza di un passo di danza, ma è anche denso di storia, di cultura, di mistero che, pagina dopo pagina, segue i pensieri, li trasicna e li coinvolgesi hala voglia,soltanto, di seguireil suo profumo. Perché è ricco di profumi, questo romanzo, profumi di terra salentina quelli che infiniti e indefiniti accarezzano e coccolano lo straniero, profumi di leggende e di memorie che non abbandonano mia, profumo di caffè e limoncello, che se non c’è caffè e limoncello, non comincia dialogo. Ed è profumo di amicizia complice, perché qui in terra salentina questa è l’amicizia, complicità condivisa sempre. Ed è il romanzo di Galatina, ma è riduttivo io penso, leggerlo così; Glalatina è solo il palcoscenico; poi si allargano gli orizzonti perché non ha orizzontali mistero, come non ha confini l’amore, né tempo né spazio. Vince ogni cosa l’amore e comunque questo romanzo è un romanzo d’amore. Profumo d’amore, allora dall’inizio sino alla fine, seguendo danza lieve di taranta. Grazie Dedo, per questo tuo dono. Giuliana Coppola

CONTRADDIZIONI IN MOVIMENTO ALLA RICERCA DELLA LIBERTÀ

MARTIN ANGIULI Contraddizioni in movimento Il Raggio Verde 2021 pp. 80 € 12,00 ISBN 9791280556103 La foto di copertina è uno scatto di Oliver Röckle © tratto da “Ohne Giovanni aber mit Mozart” di Tanztheater Katja Erdmann-Rajski

Contraddizioni in movimento è la raccolta di pensieri in libertà del coreografo brindisino Martin Angiuli, artista poliedrico, video maker, fondatore del collettivo "ConTrust Collective M.A.". Un lungo viaggio introspettivo scavando tra i dubbi esistenziali di sempre “Chi sono? Dove vado?” al tema del viaggio, dell’inevitabile scorrere del tempo, al pantarei di eraclitea memoria perché tutto intorno a noi muta incessantemente. Spendere il proprio tempo in modo utile, amare senza pensare lasciando da parte la razionalità che finisce sempre con creare incertezza perché amore e passione sono istinto puro… intorno a questi assiomi sembra ruotare il pensiero di Martin, pensieri in libertà che viaggiano sul treno che da Brindisi lo conduce a Wiesbaden in Germania dove vive e lavora, figlio di una terra dove “la meraviglia dei colori si combina perfettamente con i sapori” ma che sa essere amara per chi è costretto ad andare via, e lasciarsi alle spalle insieme agli affetti più cari. In un crescendo di sensazioni, di ricordi e di considerazioni in cui è facile cadere in contraddizioni quando l’identità si perde quasi risucchiata da un sistema e da una società che sgretola e stritola anima e corpo. Un corpo quello del danzatore che si insinua come filigrana tra le pagine del libro, accompagnando i pensieri con il suo movimento. Alla bellezza delle stagioni, come quella autunnale che sveste la natura ed emblema di transizione e intrinseca di magia. Come il tempo che passa. Come la Terra che vita chiede e vita si merita. Considerazioni infine sull’armonia che può esser totale solo nella condivisione, sulla violenza che nasce dalla mediocrità, sul desiderio di rallentare il nostro correre compulsivo… sul dualismo che sembra determinare le nostre esistenze e le nostre scelte e, infine, sul bene più prezioso: la libertà. Libertà di essere se stessi. Di sentire. D’amare. (an.fu.)


LUOGHI DEL SAPERE

NESSUNO BACIA BIANCANEVE I VERSI DI GIANLUIGI COSI

GIANLUGI COSI Nessuno bacia Biancaneve Il Raggio Verde 2021 pp. 80 € 12,00 ISBN 979-12-80556-12-7

È suddiviso in due settori questo 'Nessuno bacia Biancaneve': prima le poesie e poi le canzoni. Ma sono, chiaramente, frutti simili della produzione poetica di Gianluigi Cosi, trattano gli stessi temi e lo fanno nell'identico, caratteristico modo di procedere del Nostro. Che s'inventa una maniera unica di scrivere e fare versi, sotterrando volentieri le maiuscole, limitando la punteggiatura proprio all'essenziale e facendo scorrere con fluidità titoli di canzoni, di film e frasi che fanno parte dell'immaginario collettivo, donando loro la stessa dignità di versi sovente emblematici come quando il poeta ci avverte che 'bisogna cogliere l'attimo/ di una maglietta'. Ci ha ricordato il pittore Domenico Gnoli che ha dedicato la sua (peraltro breve) vita a studiare ed esaltare gli oggetti più umili, indicando nella loro limitata essenza il 'perché' di ogni altra cosa... Cosi inserisce, nella chiara tematica amorosa, la sua visione del mondo che ci circonda, una visione piena di speranza e di stupore, che rigetta in toto le brutture e le cose negative, convinto più che mai che la bellezza ci salverà. E lo fa con garbo, sfiorando una chiara vena 'naif' che, peraltro, sa gestire benissimo, allontanando ogni sia pur minimo accenno alla pedanteria o allo scontato lamentarsi dei tempi presenti, pieni di problematiche e di 'Covid'. Ecco, nel mondo poetico di Cosi si intuisce come sia la presenza esorbitante di una pandemia a limitare le più elementari azioni del genere umano, come può essere l'abbraccio, il bacio, lo stare assieme. Ma, non facendone un chiaro riferimento, non nominando mai il nemico della nostra contemporaneità, il poeta riesce a creare un'atmosfera che, basata sulla sofferenza e sulla limitazione, dà maggior forza alla sua proposta, incentrata, come facevano gli antichi 'trovatori', nell'offerta e nella ripulsa dell'amata. Gianluigi, insomma, ci porta, senza parere, in un mondo simile ma diverso a quello che abbiamo sotto gli occhi, mescolando ricordi, speranze e aneliti d'amore, in una dose giusta e piacevole, che fa superare la sorpresa di un discorrere privo completamente di orpelli grammaticali e forme poco naturali di colloquialità. È proprio come se ci stesse raccontando il suo vissuto, con un pizzico di orgoglio, soprattutto nelle canzoni, che si giovano, intuibilmente, di un supporto musicale che si riesce ad immaginare simile e adatto alla parola scritta. Se poi qualcuno si chiede il perché del titolo, basterà scorrere i refrain delle canzoni e scoprire la più impegnata, la più sentita forse, dedicata proprio alle 'donne' nostre contemporanee che il saggio Groucho Marx, quello dei fratelli, per intenderci, ha mirabilmente sintetizzato, affermando: «Gli uomini sono donne che non ce l’hanno fatta». Raffaele Polo


MELISSA TURCHI La casa di Teresa Augh! edizioni 2020 ISBN 978-88-9343-292-4 pp.232 € 13

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Il silenzio fagocita le distanze. Più si tace più si dilatano le incomprensioni. Stando zitti ci si allontana. Soprassedere su tutto tacendo alla lunga sfianca i rapporti, soprattutto di coppia, sbrindellandoli come pezze vecchie. Tenere la bocca chiusa e la lingua a freno non è mai una soluzione giusta per risolvere i problemi o per far andare bene le cose. Tenersi tutto dentro, incassare, subire i silenzi e gonfiarli con i propri, guasta la misura dei sentimenti. Possono essere forti, solidi, si sgretolano sempre quando il silenzio perdura. Arriva un momento in cui non ce la fai più, sbotti, dici tutto quello che hai taciuto e anche di più. Non pensi al dopo, ti interessa il momento, l’istante in cui ti liberi da ciò che ti urta per poi sentirti meglio. Il dopo si creerà come ogni cosa, dal nulla. Certo, si romperà qualcosa ma meglio dire in faccia quello che si prova, quello che si deve dire una volta per tutte, per rimettersi in piedi. L’animo di chiunque può guastarsi con niente, ripartire da se stessi è sempre più difficile. L’importante è cominciare, poi tutto viene da sé. Anche la forza per farlo, essa stessa ti darà la carica non la rabbia che fa esplodere i nervi. A darti la spinta sarà la forza, inaspettata, che sale fino ad issarti sulle scelte da fare. E diventa tutto perentorio, improvviso, immediato, urgente. La scelta equivale al bene di te stesso senza compromessi, silenzi, promesse e minacce. Per te stesso, per le parole da dire, per le ore da riempire, per le paure da cancellare e per quelle a cui fare spazio. In La casa di Teresa di Melissa Turchi respiri il silenzio che cala su una coppia di sposi. Senti addosso i loro sguardi, taglienti, respiri le loro colpe ed eviti i loro affanni. Un marito e una moglie che si ritrovano ad essere sconosciuti tra loro per conoscere se stessi. Qualcosa si inceppa, inutile fare finta di niente quando uno dei due desidera ciò che l’altro non vuole. A riempire gli spazi c’è il silenzio che inganna le aspettative e rimanda le decisioni. Intimistica la prosa. Il lettore diventa un tutt’uno con la storia. La vive, la sente, diventa partecipe dei tormenti emotivi, di lui e di lei. La narrazione ha anche picchi di suspense dati da alcuni colpi di scena che emergono come i messaggi nelle bottiglie che arrivano a riva come una sorpresa. Ordinato lo stile narrativo, pulito nei messaggi e nelle riflessioni.

Per l’invio di libri da recensire scrivere a redazione@arteeluoghi.it

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#LADEVOTALETTRICE | LE RECENSIONI DI LUCIA ACCOTO LA CASA DI TERESA


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#LADEVOTALETTRICE | LE RECENSIONI DI LUCIA ACCOTO UNA LAVAGNA DI CANDIDA PELLE DI ROMANO GRECO

ROMANO GRECO Una lavagna di candida pelle Independently published 2020 pp.323 €13,90 ISBN 979-8672914671

La crudeltà ha occhi penetranti, è camaleontica. Ti osserva, ma non si fa vedere, poi esplode. A volte, ha anche modi gentili per arrivare allo scopo, per depistare le vere intenzioni. E quella gentilezza ti fa abbassare le difese e ti incastra, ti mette con le spalle al muro rivelandoti ciò che appare inaspettato. La crudeltà, se non conosci appieno la paura, non riesci a fiutarla. Succede così che ti assale privandoti anche del nome. Il terrore negli occhi è il risveglio nell’incubo. Ci sei finito dentro ascoltando la voce che poi è diventata fredda e tagliente come un coltello. Cerchi di ricordare dove hai sbagliato e preghi Dio di salvarti. Ci sono vittime che finiscono nelle mani di crudeli, di folli. Possono essere assassini, stupratori, psicopatici, serial killer, hanno la violenza, il sadismo, la crudeltà in corpo. Soggetti del genere hanno tante facce, alcune anche familiari. Pensano di essere onnipotenti, scaltri, unici. Mentono, lo sanno fare come anche soggiogare le vittime. Forse, pensano anche di avere un che di sacro. Forse hanno anche la voce sommessa, per gentilezza e mollezza della crudeltà. Di certo, avranno occhi che da soli tengono su le vittime per il terrore. Due cerchi iniettati di rosso da una lingua sconosciuta che fa paura. Nel romanzo Una lavagna di candida pelle di Romano Greco ti muovi in punta di piedi per non far sentire il tuo respiro. Ci sei, ma ti nascondi tra le pagine e aspetti di sapere come va a finire. Segui i ragionamenti ed i percorsi di un criminologo, Enzo, a cui uno psicopatico ha ridotto quasi a fin di vita la sorella. Sospetti, piste, certezze, prove, sono tutte le mosse di menti eccezionali, nessuna esclusa, ed entrare nel lato oscuro dello psicopatico è come giocare una partita a scacchi. Lui ha una fissa, una mania ed una firma. Qualcuno sceglie la strada più semplice, quella sbagliata, per chiudere il caso perché vede attraverso una miopia di comodo e di comando. Ma la verità è un’altra cosa e sta da tutt’altra parte. Bellissimo lo stile narrativo. Lo scrittore mette in piedi un romanzo noir potente, denso. Crea personaggi dalla psicologia interessante, dalla personalità forte. Tutti, principali e secondari, hanno carattere. Il lettore va avanti, ha voglia di scoprire la realtà. I colpi di scena sono ben equilibrati e distanziati. Le componenti criminologica ed investigativa sono ben studiate e collocate in una scrittura semplice ed avvincente. Il lettore entra appieno nella storia tenendo sempre alta la curiosità.

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PAOLO MARCOIONNI Mare controluce Porto Sicuro editore 2020 pp.136 € 14,00 ISBN 9788855462938

Bisogna avere anima per la poesia. Anima tremolante per quelle parole che restano noce. Le senti, le ami, le apprezzi e le metti al sicuro, nell’anima. Sai che quella noce non la spaccherai perché qualcuno ha voluto che ti arrivasse integra nella sua bellezza. La poesia è bellezza. È quell’alito del respiro lieve che con le nervature dell’esistenza cogli come i tramonti che non puoi perdere. Nella vita c’è anche la poesia, che è vita essa stessa. Approcciarsi alle rime non è facile, ma neanche complicato. Bisogna essere leggeri. Occorre anche lasciare nel dimenticatoio i pregiudizi che ci infarinano la mente che la poesia non è per tutti. Il poeta sente, vede e scrive come gli scrittori. I versi sono la sintesi di pensieri profondi, nella lettura puoi metterci tutto dentro. D’impatto ti arriverà la scossa di versi ben piazzati. Ti senti tremare per la capacità che hanno i poeti a scrivere in un altro modo. Fuochi d’artificio che sparati in ariaimbambolano il lettore tra ritmo, successione di parole e sospensione di bellezza. In Mare Controluce di Paolo Marcoionni sei una fronda che ascolta il vento e se manca il soffio ti muovi seguendo le parole. Sei anche onda, mare, acqua e luce. Vedi quello che ti sei negato, ti concedi il naturale passo lungo l’asciutta realtà prendendo quello che essa ti offre controluce. Sei anche spazio e risvegli. È indiscutibile, le parole e quindi i versi hanno la forza di risvegliare emozioni. Sta a te, lettore, colmarli di ciò che non venga sciupato per questo hai bisogno di spazio. La dimensione delle rime potrai misurarla sulla base della bellezza che percepisci. La senti, l’annusi e la fai tua. Sei in mare aperto sicuro di essere salvo perché la poesia non ti remerà contro. Sarà il tuo sospiro. Belle le rime di Paolo Marcoionni. Il poeta conosce il valore delle parole, le usa come se fossero un dono. In fondo, lo sono. La sua penna è d’impatto, emotiva, brillante. Controluce si devono le sfumature della bellezza.

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#LADEVOTALETTRICE | LE RECENSIONI DI LUCIA ACCOTO MARE CONTROLUCE


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DALSALENTOCAFÉ | LE RECENSIONI DI STEFANO CAMBÒ LO STRANO CASO DI VILLA KELLER

MICHELANGELO MAGGIULLI Lo strano caso di Villa Keller Masciulli Edizioni pp.182 €15,00 ISBN 9791280428103

Dopo Dimmi chi sei, ritorna Michelangelo Maggiulli con un nuovo giallo tutto da scoprire. Con Lo strano caso di Villa Keller (pubblicato con Masciulli Edizioni), il giovane e talentuoso autore di Muro Leccese ci porta per mano in una storia dai contorni sinistri ambientata in Svizzera. Ben presto facciamo la conoscenza di Jean Erward, brillante avvocato caduto in disgrazia dopo un periodo di gloria ed eccessi, che prova a rialzarsi prendendo a cuore l'indagine che vede implicata sua cugina Liza, ingiustamente accusata dei famosi delitti di Villa Keller, avvenuti sei anni prima. Da questo incipit, si sviluppa l'intreccio narrativo che porta per mano il lettore in una storia che punta tutto sulla scorrevolezza e i colpi di scena, attraverso uno stile fluido che gioca bene le sue carte, grazie anche ad una serie di slittamenti temporali che permettono di far salire il pathos e la tensione man mano che la trama corre verso il finale. Un finale che non delude, come nella miglior tradizione del genere. Quindi, se vi piacciono i gialli d'ambientazione in stile Joël Dicker (sopratutto La verità sul caso Harry Quebert) o alla Twin Peaks, solo per citare un vecchio telefilm del maestro David Lynch che ha tenuto incollato allo schermo milioni di telespettatori, allora Lo strano caso di Villa Keller di Michelangelo Maggiulli è proprio il libro che fa al caso vostro.

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VALENTINA PERRONE Nel mio domani self publishing 2021 ISBN 979-8585865978 pp.200 € 12

Quando una città diventa l'anima di un romanzo. E trova nell'amore dei due protagonisti l'essenza per mostrarsi in tutto il suo fascino e la sua bellezza. Con Nel mio domani, la scrittrice e giornalista Velentina Perrone ci riporta tra le strade e i vicoli di Lecce grazie anche a Veronica, una ragazza che gestisce insieme a un'amica un bed and breakfast non lontano dal centro storico. La sua vita quotidiana viene all'improvviso stravolta dalla comparsa di Enea, un uomo misterioso che decide di soggiornare nella struttura che gestisce. Nonostante un avvio piuttosto difficile, complice le meraviglie barocche del capoluogo salentino, tra i due si instaura con il passare del tempo un rapporto di fiducia che porterà per mano il lettore in una storia che pone tutta la sua forza narrativa nella caratterizzazione dei personaggi e nell'ambientazione scelta con cura dall'autrice. Colpisce, in particolar modo, lo stile fluido e scorrevole di una trama che sembra far toccare con mano i posti che fanno da cornice alle vicende dei due protagonisti. Infatti, sfogliando le pagine del romanzo, si ha come l'impressione che Veronica ed Enea, siano lì da qualche parte, nascosti in una viuzza del centro storico di Lecce a parlare e a raccontarsi delle loro paure e delle loro fragilità, racchiuse nei piccoli gesti quotidiani di una vita che riserva sempre sorprese. Specie a chi come loro… Ha il cuore puro e la voglia di amare!

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DALSALENTOCAFÉ | LE RECENSIONI DI STEFANO CAMBÒ NEL MIO DOMANI IL NUOVO ROMANZO DI VALENTINA PERRONE


Il maestro Pino Cordella

PINO CORDELLA E IL REVER D’ORO NELL MODA Francesca Pastore

Tra gli stilisti più apprezzati al mondo e fondatore del Centro studi Cosimo Cordella è scomparso il 29 giugno 2021

“L'amor che move il sole e l'altre stelle”, come descrivere se non con l'ultimo verso del Paradiso e della Divina Commedia di Dante Alighieri, il significato e le emozioni di una serata magica. Perché l'amore è forza, speranza nonostante l’assenza. Emozioni, attimi lucenti che si colorano di eleganza, raffinatezza, cura e bellezza. Una storia che si tramanda di generazione in generazione e che porta la firma di un nome che è professionalità, impegno, desideri, fiducia nel futuro. Quel nome è Cordella, una grande famiglia di sarti, stilisti e fashion designer. Era una calda mattina di maggio quando, entrando in quello è sempre stato uno dei negozi più raffinati ed eleganti di Lecce, mi ritrovai immersa nei colori e nei profumi di giovani ragazzi desiderosi di disegnare la loro vita nel mondo della

moda. Le macchine da cucire antiche, le forbici, i ferri da stiro, la collezione di abiti creati dalle generazioni Cordella dall’800 ai giorni nostri: tutto nella scuola Cordella profuma della magia del taglio e del cucito, di disegno e raffinatezza. Fu un onore per me conoscere il Maestro Pino Cordella, di lui avevo sempre sentito parlare in famiglia, dai miei genitori che lo consideravano l’eccellenza del vestir bene a Lecce. Il Maestro Pino Cordella, il suo esempio, la sua grandezza professionale e l’anima gentile, erano presenti in tutta la loro magnifica essenza anche alla ventiquattresima edizione di “Giovani Stilisti in passerella” e Premio “Rever d’Oro Pino Cordella”. Era la stella più luminosa nel cielo, era presenza preziosa. Il cuore della città barocca ha

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ospitato la manifestazione il 30 luglio scorso, nella sua accogliente villa comunale. Manifestazione organizzata con la solita passione precisione dall’Istituto Cordella International Fashion School Lecce-Roma e dai suoi dirigenti Carol, Christian e Manuel Cordella.

Un’edizione speciale, sull’onda del desiderio annuale mai sbiadito del compianto ed indimenticabile Maestro Pino Cordella. Una sedia vuota al lato del palco, accanto all’amore della sua vita, la signora Anna Rita. Il Maestro Pino era lì, a seguire la serata con

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l’incanto di sempre negli occhi. Con la sua eleganza e la sua insostituibile umiltà. Maestro di Moda, maestro di Vita. Uomo di fede, aveva affidato a Dio la sua esistenza e trasmesso ai figli i valori della solidarietà verso il prossimo e della fratellanza, del rispetto e del bene. E la sfilata, sapientemente diretta da Stefania Della Tommasa e Pino Lagalle, non poteva non aprirsi con un suo messaggio, parole intense che dolcemente si udivano nell’aria: “A voi giovani

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dico, rinnovatevi continuamente, formatevi e studiate senza avere mai paura del futuro”. La prima uscita, una collezione di abiti del Maestro Pino, opere d’arte che avevano già solcato le passerelle più importanti d’Europa e che hanno lasciato tutti i presenti senza fiato. Saluti istituzionali affidati all’assessore regionale Alessandro Delli Noci e all’assessore al Turismo del Comune di Lecce Paolo Foresio. Poi si è partiti con le sorprese. Per ricordare il Maestro Pino gli allievi del II anno hanno infatti pensato ad un tributo, che ha visto la partecipazione e un videomessaggio, direttamente da Roma del modello Massimo Gradini, il primo modello di Pino Cordella. I fashion designers dell’Associazione Culturale Sartorie Cordella, dopo mesi di intenso lavoro, hanno portato in scena la sfilata incentrata sul tema The Power of life, una collezione dedicata alla vita e a tutte le sue sfumature,

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all’arte, ai colori, alla natura. Tre collezioni realizzate secondo la tradizione del Made in Italy: “New Era Collection”, nata durante il primo lockdown, un inno alla natura e alla voglia di ritrovare la purezza nelle linee e nelle cose. La collezione è stata selezionata per la Serbia Digital Fashion Week, con il fashion film diretto da Carol Cordella e Mauro Lorenzo; “The Great Beauty Collection”, dalle glorie e dalla grandezza delle strutture romane, un nuovo neo-classicismo tra oro e total white ed oggetto di un editoriale di moda scattato a Roma nel mese di giugno scorso; “The power of colors collection”, il progetto realizzato dalle allieve di I anno, le quali hanno lavorato sulla forza dei colori puri, tra forme e linee, per richiamare il glamour della moda italiana degli anni ’80. La sfilata ha visto la collaborazione dell’Accademia Internazionale di Trucco Make up Art Pro e Wella Professional Italia, che si sono presi cura del-


la bellezza e della cura dei dettagli delle incantevoli modelle. Poi luci al cielo ancora una volta, in occasione del momento della consegna del Premio “Rever d’oro Pino Cordella” 2021, assegnato quest’anno al fashion editor Miguel Arnau, che annovera editoriali su testate di moda mondiali, tra cui Vogue Japan, GQ. Arnau collabora con i più importanti fotografi di

moda, solo per ricordarne alcuni: Giampaolo Sgura, David Bailey, Txema Yeste. Per rendere omaggio alla sua Terra di adozione, la Puglia, il fashion editor ha dato vita al brand Marnau Projetc. Un premio che non a caso premia la costanza, lo studio, la valorizzazione del nostro territorio, proprio come desiderava il maestro Pino.

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l Maestro Pino Cordella è scomparso alle luci dell’alba del 29 giugno 2021, circondato dall’amore immenso della moglie Anna Rita e dall’affetto dei suoi cari. Professionista dello stile e della ricerca del dettaglio, della finezza nell’arricchimento della bellezza maschile e femminile, Pino Cordella era tra gli stilisti più apprezzati nel mondo. Considerato una mente geniale, uomo colto, buono, intelligente. Attento ed impegnato da sempre per la valorizzazione del territorio salentino, delle sue amate Lecce e Copertino e dei giovani stilisti che Pino Cordella accompagnava nel percorso di studio e formazione insieme ai figli Carol, Manuel e Christian, nelle sale dell’Istituto Cordella Fashion School - Scuola di Moda. Sessantacinque anni di attività, stilista e, soprattutto figlio d’arte, Pino Cordella è stato considerato come il creatore di moda dalla persona estrosa e brillante. Con la guida di Maestro Pino Cordella tanti giovani stilisti si sono formati negli ultimi anni e grazie alla sua capacità di ascolto hanno conquistato un bagaglio di formazione e crescita umana e professionale che custodiranno per sempre nel cuore. Una carriera e una vita costellata di impegno, sogni e determinazione, quella di Pino

Cordella. Si diploma giovanissimo presso gli Istituti “Marangoni” e “Secoli” di Milano. Ben presto diviene titolare dell’omonima e storica sartoria, fondata nel 1783 da Leonardo Cordella e che ormai da sette generazioni tramanda “L’arte del vestire elegante”. Le più grandi sfilate a livello europeo e mondiale lo hanno visto protagonista. Solo per ricordarne alcune, nel 1969 firma la linea “Tre petti” a Sanremo, nel 1984 firma una collezione da cui si evince il “seno nudo”, apparso così per la prima volta sulle passerelle di moda, nel 1993 a Budapest per “Lo sposo vestito di pelle bianca”, nel 2000 a Parigi per la 29° “Biennale Mondiale dei Maestri Sarti”, evento in cui Cordella rappresenta l’Italia con un abito di impostazione nazionalistica. Nel 2002 sfila al Pincio, a Roma, con l’Accademia Nazionale dei Sartori, di cui egli stesso è Consigliere Nazionale dal settembre 2003. Ha fondato il “Centro Studi Cosimo Cordella” ed organizzato negli ultimi anni l’evento “Giovani stilisti in passerella”. La firma di Pino Cordella appare anche in tv: egli firma infatti gli abiti per la fiction televisiva Madre come te, con Nino Frassica e Ida Di Benedetto. Pino Cordella ha realizzato inoltre abiti esclusivi per importanti personaggi del cinema, della musica, dello spettacolo e dell’arte. In particolare, nel 1994 gli viene commissionata la casula per il Papa Giovanni Paolo II in occasione della storica visita a Lecce e per Benedetto XVI per la visita a S. Maria di Leuca. Nel 1991 è stato promotore di iniziative culturali per giovani stilisti e per enti pubblici con grandi mostre nei musei più prestigiosi. Notevoli anche i riconoscimenti che lo stilista ha ricevuto nel corso della sua lunga carriera, tra questi: Laurea Honoris Causa alla Columbia University di New York, nomina di Cavaliere di Malta a Gerusalemme e Commendatore dell’ordine Equestre del Santo Sepolcro.

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Amalfi , foto di Stefano Cambò

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QUANDO HOLLYWOOD SCEGLIE LA COSTIERA ITALIANA Stefano Cambò

Per i luoghi del cinema itinerari meravigliosi da Nord a Sud

Da sempre i grandi registi americani hanno avuto un occhio di riguardo per la nostra bellissima penisola. Vuoi per le città d’arte che ne custodiscono l’immenso patrimonio culturale e vuoi anche per i paesaggi naturalistici, unici per bellezza e fascino. Eppure, negli ultimi anni, un altro tipo di location

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sembra aver attirato l’attenzione dei grandi produttori d’oltreoceano e di conseguenza anche quella dei grandi nomi del cinema mondiale. Una location un po’ inusuale per i film americani, se non altro per il tipo di scelta che dimostra ancora una volta, quanto il nostro Bel Paese sia sempre molto apprezzato, anche se al centro

I luoghi del cinema


Portofino, foto di Stefano Cambò

della scena non compaiono il Colosseo o le Alpi, solo per fare due classici esempi. Perché, può sembrare strano, ma le ultime trasferte di Hollywood sul suolo italiano hanno privilegiato e non poco alcune delle bellezze costiere più suggestive e affascinanti. Ma partiamo con ordine e celebriamo il primo grande film della serie. Era il 2013 quando il mitico Martin Scorsese decide di girare The Wolf of Wall Street. La pellicola, prendendo spunto dall’omonima autobiografia, narra l’ascesa e la caduta di Jordan Belfort (interpretato dal sempre bravissimo Leonardo Di Caprio), spregiudicato broker che negli anni Novanta si arricchì sulle spalle degli investitori che gli avevano dato fiducia. Ebbene, per alcune immagini in trasferta, la produzione scelse una famosa località costiera italiana. Si tratta infatti, della elegante Portofino in Liguria, che fa spolvero della sua bellezza durante una vacanza in yacht del protagonista. In quel particolare momento, le facciate quadrate e colorate del borgo marinaro insieme al famo-

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I luoghi del cinema

so golfo fecero da sfondo alle vicende raccontate sulla pellicola. Per chi volesse trascorrervi una giornata, oltre al caratteristico centro storico, si consiglia una passeggiata sul Lungomare Amisani dedicato alla memoria del pittore Giuseppe Amisani che qui usualmente amava dipingere i suoi quadri, per poi arrivare alla celebre piazzetta immortalata anche in altri film più o meno conosciuti. Se avete ancora fiato e voglia, attraverso un percorso pedonale è possibile raggiungere il pittoresco Castello Brown arroccato sopra la collina che sovrasta il paese e che vi da la possibilità di godere di un panorama unico su tutta la baia. Inoltre, è giusto ricordare che per arricchire le inquadrature e gli sfondi, la produzione ha scelto in seguito di riprendere alcune località delle famosissime Cinque Terre, uno dei tratti di costa italiani più celebri e conosciuti al mondo, diventato nel 1997 un sito Patrimonio dell’Unesco. Oltre alla frastagliata scogliera, la fanno da padrone qui i borghi che si affacciano direttamente sul mare con le loro case colorate e i vigneti aggrappati ai ripidi appezzamenti. Per chi fosse in zona, è d’obbligo la passeggiata sul Sentiero Azzurro, un percorso escursionistico che compren-


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I luoghi del cinema


Baia di Portofino, foto di Stefano Cambò

de tutta la costa e che collega tra loro le Cinque Terre offrendo dei panorami mozzafiato a picco sul mare. E dopo la Liguria, è il momento di andare in un’altra bellissima località costiera italiana per parlare di un nuovo film americano molto conosciuto. Era in fatti il 2015 quando esce nella sale il remake di un cult del cinema d’azione. Si tratta infatti di Point Break, che gli appassionati del surf e dell’adrenalina hanno amato e ammirato negli anni novanta grazie alla regia pirotecnica di Kathryn Bigelow e alle interpretazioni muscolari di Keanu Reeves e del compianto Patrick Swayze. Per l’occasione la produzione ha scelto di girare alcune scene nel Salento e più precisamente al porto di Castro Marina. Per chi avesse voglia di passarvi una giornata, oltre a un tuffo in uno dei mari più azzurri d’Italia, si consiglia una capatina al borgo arroccato sopra la baia per visitare il caratteristico centro storico medievale con annesso castello aragonese perfettamen-

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I luoghi del cinema

te conservato. Se poi si vuole continuare con il giro e ammirare un altro luogo che ha fatto da sfondo ad alcune scene del film, c’è anche la città di Brindisi con la suggestiva diga di Punta Riso, sfruttata dalla produzione per girare la parte riguardante la festa sullo yacht. E finiamo il tour delle località costiere più belle d’Italia, con l’ultimo grande film americano. Come per Martin Scorsese, anche in questo caso il nome del regista è di quelli che hanno fatto scuola perché nel 2020 esce nelle sale l’adrenalinico Tenet di Christopher Nolan (quello della trilogia de Il Cavaliere Oscuro e di altri capolavori come Dunkirk, Inception e Memento solo per citarne alcuni). Ebbene, come successo per le altre due pellicole analizzate in precedenza, la produzione ha scelto di girare molte scene nella nostra bella Penisola, soffermandosi a lungo sulla Costiera Amalfitana e in particolare modo

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Castro, foto di Stefano Cambò

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I luoghi del cinema


Castro, foto di Stefano Cambò

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Il Duomo di Amalfi, foto di Stefano Cambò

proprio nella bellissima Amalfi, uno dei tanti borghi diventati fiore all’occhiello di questo lembo di terra bagnato dal mar Tirreno e inserito a pieno titolo nella lista dei Beni Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Per chi fosse in viaggio e volesse trascorrere una giornata in questa ridente località campana si consiglia prima la visita al famoso Duomo, e poi una passeggiata per le stradine e i vicoli del centro storico, lasciandovi possibilmente catturare dalle botteghe di souvenir sparse qua e là e dai profumi e i sapori della tante prelibatezze che fanno parte della cultura culina-

ria del territorio. E con le immagini ancora negli occhi di queste bellissime località costiere italiane, lasciamo che anche quest’ultimo film scorri verso i titoli di coda, ringraziando ancora una volta il cinema americano e i suoi grandi registi per aver riscoperto negli ultimi anni alcuni dei luoghi più suggestivi e a ff a s c i n a n t i del nostro Bel Paese.

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Agrigento, la spiaggia della scala dei Turchi, foto by Dario Bottaro e Giacomo Vespo di Gira con noi Sicilia

NELLA SICILIA DI MALÈNA L’OMAGGIO AD ENNIO MORRICONE Stefano Cambò

Per i luoghi del cinema scopriamo la magia e la bellezza della Sicilia

I luoghi del cinema

Tra tutti i film girati in Sicilia dal grande Giuseppe Tornatore con l’immancabile colonna sonora del maestro Ennio Morricone, Malèna è sicuramente quello più tormentato e difficile se non altro per il taglio della vicenda raccontata in maniera a volte troppo esplicita nonostante poggi gran parte della sua energia narrativa sulla bellezza della protagonista. Infatti, mai come in questa pellicola, il titolo si lega perfettamente al viso e alla fisionomia dell’artista che vi recita e che da vita al personaggio principale. Perché, volente o nolente, tutta la storia si regge sulla prova di Monica Bellucci.

Seducente e allo stesso tempo malinconica nell’interpretare il ruolo di Maddalena Scordia, soprannominata per l’appunto Malèna. Una donna di ventisette anni che abita da sola con il padre a Castelcutò, un paese immaginario dell’entroterra siciliano, perché il marito Nino è dovuto partire da poco per il fronte. La bellezza mediterranea della protagonista è il perno su cui ruota l’intera vicenda, in quanto quello che può sembrare all’apparenza un dono, in realtà si trasforma in un incubo diventando con il passare dei minuti il sogno proibito per gli uomini e un oggetto d’invidia e di odio per le donne del posto.

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Noto, ingresso dell'antico sito di Noto antica distrutta nel terremoto del 1693, a lato la Cattedrale, foto by Dario Bottaro e Giacomo Vespo di Gira con noi Sicilia

A fare da contrappeso in questo strano gioco ci pensa Renato, un ragazzo di tredici anni che si innamora perdutamente della donna, nonostante la sua giovane età. Il sentimento per lui si trasforma ben presto

in ossessione tanto da arrivare, in sella alla sua bicicletta malandata, ad inseguirla e a spiarla continuamente. La storia inizia a subire una nuova piega quando, oltre alla notizia non fondata della

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dipartita del marito al fronte, Malèna dovrà assistere alla morte del padre ormai vecchio. Rimasta sola e senza soldi, la ragazza usa la sua bellezza come unica dote da offrire per riuscire a sopravvivere durante gli anni orribili

della Guerra. Costretta dalle altre donne ad abbandonare il paese, vi rientrerà alla fine del film insieme al marito Nino, riuscito a scampare ad un bombardamento e ritornato nella sua terra natia

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I luoghi del cinema

Siracusa, scorcio di via Roma; ingresso dell'orecchio di Dionisio, nel Parco archeologico della Neapolis foto by Dario Bottaro e Giacomo Vespo di Gira con noi Sicilia

con il solo scopo di cercarla per ricongiungersi. Sarà il giovane Renato ad aiutarlo con una lettera in cui spiega quello che è successo alla donna. La coppia, dopo un anno passato a Messina, farà la sua ricomparsa a Castelcutò passando sottobraccio per la piazza centrale del paese, davanti gli occhi increduli della gente. Ma il tempo e le vicissitudini della vita hanno reso meno bella e aggraziata Malèna che non viene vista più come una minaccia, ma come una donna fragile e dall’animo ferito. Rimane alla fine del film, il ricordo di Renato ormai cresciuto che nonostante le tante donne avute negli anni non si è mai dimenticato del suo grande amore adolescenziale. Oltre ad essere una storia cucita addosso a Monica Bellucci, quella di Malèna è stata anche una fedele ricostruzione storica e sociale di ciò che successe in Sicilia durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando l’isola venne prima occupata dai tedeschi e poi liberata dagli Alleati che la scelsero come punto di partenza per la loro campagna militare in suolo italiano. Non solo… Ma è anche un omaggio ad una terra a cui Giuseppe Tornatore è profondamente legato, non tanto per le sue ori-

gini, quanto per quella voglia di raccontarne attraverso i suoi film, le vicende di un tempo che fu, imperniato per lo più su ricordi ed emozioni che rimangono impresse nella memoria nonostante lo scorrere inesorabile degli anni. Ecco allora che in Malèna vi è, non solo l’amore per il cinema, ma anche quello per i luoghi… Incastonati per sempre nelle immagini diventate ormai dei veri momenti cult che tutti saprebbero riconoscere. Come la passeggiata in solitaria di Monica Bellucci nella piazza di Castelcutò, con gli occhi degli uomini incollati ai lati che ne fissano il corpo viaggiando con la fantasia. Ebbene… Quella scena non sarebbe di così forte impatto visivo se non fosse stata girata in una delle città più belle e suggestive della Sicilia. Stiamo parlando naturalmente di Siracusa e soprattutto del suo bellissimo centro storico Patrimonio Mondiale dell’Unesco dal 2005, incastonato in tutta la sua magnificenza scultorea all’interno della famosa Isola di Ortigia. Da visitare assolutamente oltre alla piazza della scena citata prima, anche il Duomo che è l’elemento più importante se non altro per la sua bellissima facciata che racchiude nel fascino di un’architettura unica, i passaggi storici di tutti i

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Siracusa, lungomare di Ortigia e veduta del Castello di Maniace, foto by Dario Bottaro e Giacomo Vespo di Gira con noi Sicilia

popoli che hanno stanziato qui. Infatti, nei secoli della sua millenaria storia, è stato un tempio Jonico, poi dorico dedicato al culto della dea Atena, romano durante gli anni dell’Impero, per trasformarsi in Moschea nel periodo della dominazione araba e diventare alla fine la prima Chiesa cristiana d’Europa in stile Normanno. Nella stessa piazza, poco più avanti e precisamente nella piccola Chiesa alla Badia è conservato il bellissimo l’affresco di Santa Lucia. Si tratta dell’ultima tela dipinta da Caravaggio, che in questa città trovò riparo dopo essere scappato da Malta con l’accusa di omicidio, e che rappresenta proprio il seppellimento della Santa a cui il popolo siracusano è profondamente devoto. Da non perdere, per chi fosse in viaggio e avesse a disposizione un paio di giorni, il Parco Archeologico con il famoso Teatro Greco e l’imponente Orecchio di Dionisio, il Castello Maniace con il suo bellissimo lungomare e le Latomie dei Cappuccini (luogo affascinante a cui era legato profondamente il primo ministro inglese Winston Churchill). Da Siracusa ci spostiamo a Noto, un'altra città della Sicilia che lega il nome alla bellezza del suo impianto urbanistico, conosciuto in tutto il mondo per il suo barocco e per la magnificenza della sua Cattedrale (Patrimonio dell’Unesco dal 2002 assieme ad altre chiese della zona).

Molte scene del film sono state girate nel centralissimo Corso Vittorio Emanuele. Per chi fosse in viaggio, oltre alla maestosa cattedrale che domina la piazza e che da il meglio di sé soprattutto poco prima del tramonto con il colore della pietra che si trasforma e diventa quasi rosa grazie al gioco di luci e ai raggi del sole, c’è da vistare la Chiesa di Santa Chiara, il Convento della Benedettine e il famoso Palazzo dei principi Nicolaci. Inoltre… È giusto ricordare che le scene che vedono Malèna camminare non lontano dal mare mentre Renato la insegue di nascosto in sella alla sua bicicletta, sono state filmate nella Marina di Noto con alcuni passaggi addirittura sulla Scala dei Turchi, un’imponente parete rocciosa che si erge a picco sul mare lungo la costa di Realmente (provincia di Agrigento) e conosciuta soprattutto per il colore bianco della pietra che ne dona un paesaggio unico. E con questa meraviglia della natura ancora impressa nei nostri occhi, lasciamo che il film scorra verso i titoli finali, accompagnati ancora una volta dalla bellezza di Monica Bellucci e dalla colonna sonora del maestro Ennio Morricone che, insieme al suo amico Giuseppe Tornatore, è riuscito come pochi a farci innamorare completamente della Sicilia. Una terra bellissima sempre da scoprire!

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Basilica di Santa Croce Lecce, foto di Mario Cazzato

I MISTERI DELLA BASILICA DI SANTA CROCE Mario Cazzato

Passeggiando nel cuore antico tra vicoli e pagine di storia

Salento Segreto

I

l bellissimo libro di Chastel ci ricorda, tra l'altro, l'invasione del 1527 dei Lanzichenecchi, luterani convinti, a Roma e lo scandalo che provocò in tutta la cristianità anche se molti ritennero che quella fu la giusta punizione divina per la corruzione della curia romana. I lanzichenecchi erano mercenari dell'impero ma Carlo V rinnegò sempre qualsiasi responsabilità nel sacco. Non meraviglia quindi vedere un lanzichenecco p vosottomesso e vinto nella

parata di simboli anticristiani del balcone figurato di Santa Croce. Ma in questa fase avviene un fatto che sconvolge il primitivo programma simbolico che ruotava intorno alle qualità dell'imperatore come, tra l'altro, si evincono dalle epigrafi dedicatorie in suo onore leggibili sull'arco di porta Napoli. L'evento clamoroso fu la battaglia di Lepanto, che ovviamente non poteva essere prevista in anticipo, che riuscì a risimbolizzare tutta la facciata sul tema della

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Bailica di Santa Croce, particolari foto di Mario Cazzato

Salento Segreto

croce trionfante. La cosa è da approfondire, radicale sterzata dell'apparato simbolico ma è certo che ad una variazione simbolica della facciata della chiesa incentrato sul si contrappone la persistenza di un proget- trionfo della croce. Da approfondire anche to originario che fu tenuto presente almeno andando a studiare la Battaglia di Lepanto, dal1549 alla fine del Seicento come sem- magari leggendo il libro di Alessandro Barbrerebbero dimostrare i rapporti proporzio- bero. nali della facciata come si evince da questi due disegni. Un monumento che comunque continua a stupirci. Se osserviamo, ad esempio, al centro della balaustra del grande balcone della facciata della Basilica di Santa Croce l'anonimo scultore raffigurò la Vergine del Rosario, inequivocabilmente. Ora sappiamo che la devozione al Rosario e in particolare la sua iconografia esplose letteralmente dopo la battaglia di Lepanto, 1571, nella quale la cristianità sembrò aver sconfitto per sempre l'impero ottomano. Da allora tutte le chiese, specialmente quelle domenicane, si dotarono di questa nuova iconografia, fenomeno ampiamente studiato. Anche i Celestini vollero onorare questa ricorrenza con questa immagine che deve essere stata scolpita intorno al 1571-72. Data che coincide, come abbiamo in precedenza notato, con una

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