Arte e Luoghi | Gennaio 2020

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mirna manni

viterbo sotterranea

Il Trebbo nel cuore della Tuscania ospita fino al 15 aprile le sculture dell’artista viterbese

Viaggio nel tempo nelle antiche gallerie che racchiudono oltre tremila anni di storia

anno 153 numero 1 gennaio 202 0

Anno XV - n 1 gennaio 2020 -

modigliani

ricordando salinger

i luoghi del cinema

Dieci anni fa, il 27 gennaio 2010, la scomparsa dell’autore del romanzo “Il Giovane Holden”, lo scrittore statunitense era nato il 1 gennaio 1919

Da Imola a Matera “Veloce come il vento” sui set del film diretto da Matteo Rovere liberamente ispirato alla vita del pilota rally Carlo Capone


primo piano

le novitĂ della casa

IL RAGGIO VERDE EDIZIONI

ilraggioverdesrl.it


EDITORIALE

Amedeo Modigliani (Livorno,1884 - Paris, 1920) Fillette en bleu, 1918 olio su tela, 116 x 73 cm collezione Jonas Netter

Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l.

Non potevamo iniziare un nuovo anno, il 2020, con un tema che non fosse la memoria. E non solo per le tante ricorrenze che sembrano concentrarsi in questo mese come il centenario della scomparsa del grande Modì cui abbiamo voluto dedicare la copertina e il decimo anniversario della scomparsa di Salinger lo scrittore statunitense ricordato dal giornalista Raffaele Polo. Non solo per la commemorazione del 27 gennaio giornata della Memoria cui abbiamo dedicato la prima sezione dei Luoghi della Poesia con i versi di Giusy Gatti Parlangeli. Ogni volta che scriviamo, ricordiamo un luogo o un artista esercitiamo la nostra memoria, immagazziniamo dati, emozioni, elaboriamo ricordi e sensazioni ed è questo che ci rende umani. Nel nostro tempo, sempre più veloce e compresso, è utile fermarsi a ricordare, ripristinare, richiamare, come si fa con un file digitale negli archivi che affollano i nostri dispositivi mobili, quel patrimonio immateriale che appartiene al mondo delle idee, al pensiero e anche ai sogni. Magari aiutati dalle pagine dei libri luoghi del sapere capaci di dare un senso alla nostra quotidianità come ci suggerisce, ad esempio, #ladevotalettrice Lucia Accoto. O dalle fotografie come le splendide immagini di Letizia Battaglia che ha raccontato la Storia della nostra Italia. E allora eccoci scorazzare insieme a Stefano Cambò per i set del film “Veloce come il vento” del regista Matteo Rovere che ci porta da Imola a Matera, scendiamo nei sotterranei cunicoli di Viterbo o entriamo nel più antico castello di Brindisi con Sara Foti Sciavaliere che ci fa appassionare sempre più con i suoi itinerari a questo nostro strabiliante BelPaese. Sulle tracce di luoghi misteriosi come il Dolmen Placa di Melendugno o come il curioso Museo del’orologio di Bardino. La ricchezza del nostro territorio sono le storie. Come quella dell’associazione teatrale “La Barcaccia” di Gallipoli e dell’amore per il teatro. Che poi le storie le fanno gli uomini e le donne. E noi di questo vogliamo continuare a parlarvi. Di storie, di luoghi,di pagine. Buon anno e buona lettura! (an.fu.)

SOMMARIO

Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic

Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo

Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Ines Facchin, Sebastiano Iozzia, Sara Foti Sciavaliere, Dario Ferreri, Michela Maffei, Lucio Maiorano, Raffaele Polo, Alessandro Romano, Giuseppe Salerno Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it

luoghi|eventi| itinerari: girovagando i viterno sotterranea 24 | luoghi del mistero il dolmen Placa 36| il castello di brindisi 40 | itinerarte 67 | ! salento segreto 92 arte: modigliani 4| mirna manni 18| michele Piccinno 46 |letizia battaglia 52| musica: stella bassani i giorni della memoria 15 | il più bel fiore di luca tarantino 96 i luoghi della parola: salinger il giovane holder 12 | i luoghi della Parola |Poesia 16 | rileggere guerra e pace 57 | curiosar(t)e: nahoto hattori 60 teatro|danza| la barcaccia di gallipoli 76 cinema: | da imola a matera andando veloce come il vento 85 il mare in una stanza, al via il Premio di narrativa 12

Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.

libri | luoghi del sapere 68-75 #ladevotalettrice 72 i luoghi nella rete|interviste| il museo dell’orologio 34 il concorso: il mare in una stanza 66 Numero 1- anno XV - gennaio 2020


Amedeo Modigliani (Livorno,1884 - Paris, 1920) Elvire au col blanc (Elvire à la collerette), 1917 o 1918 olio su tela, 92 x 65 cm

modigliani e l’avventura di montParnasse Antonietta Fulvio

Inauguratasi lo scorso novembre, la mostra allestita nel Museo della Città fa ritornare “Dedo” con i capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre, nella sua Livorno cento anni dopo la sua morte avvenuta a Parigi il 24 gennaio 1920

Museo della Città è stata allestita la mostra “Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre”. Con affluenze da record nel periodo natalizio, fino al prossimo 16 febbraio si potranno ammirare 14 dipinti e 12 disegni di Modigliani, raramente esposti al pubblico, grazie alla mostra curata dallo storico dell’arte Marc Restellini con il coordinamento di Sergio Risaliti. Un appuntamento fortemente voluto dal Comune di Livorno che l’ha organizzata insieme all’Istituto Restellini di Parigi con la partecipazione della Fondazione Livorno. Una mostra che, al di là della celebrazione per il centenario e a dare il “bentornato a “Dedo” nella città in cui è nato e cresciuto» serve anche, come ha ben chiarito Simone Lenzi assessore comunale alla Cultura, «a mettere fine a quel lungo fraintendimento, generato dai cascami di un romanticismo d’accatto e da leggende posticce, che ha

LIVORNO. Nella presumibilmente gelida notte del 22 gennaio 1920 Amedeo Modigliani, privo di sensi, viene ricoverato all'ospedale della Carità di Parigi. Due giorni dopo morirà stroncato da una meningite tubercolare, malattia incurabile al tempo, che era riuscito, miracolosamente, a sconfiggere vent'anni prima. Ha solo 36 anni. «Il giorno della sua morte Parigi e il mondo intero perdono uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Con il suo stile inconfondibile era riuscito a rendere immortali i suoi amici, le sue compagne e amanti, i collezionisti e i volti ‘eroici’ dei figli della notte parigina.», si legge nel saggio di Marc Restellini storico dell’arte e massimo studioso dell’artista livornese. E in occasione del centenario della morte, Modì come lo chiamavano i francesi ha fatto ritorno nella sua Livorno dove era nato il 12 luglio 1884 da una famiglia borghese di origine ebraica. Dallo scorso 7 novembre, infatti, nel

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Amedeo Modigliani (Livorno,1884 - Paris, 1920) Jeune fille rousse (Jeanne Hébuterne), 1918 olio su tela, 46 x 29 cm

distorto, fino a renderlo irriconoscibile, il profondo rapporto di filiazione fra Livorno e questo suo figlio che era destinato a diventare il pittore più straordinario del Novecento». Partito dalla sua Livorno, Amedeo Modigliani era approdato nei quartieri di Montparnasse e di Montmartre, dove aveva stretto amicizia con Guillaume Apollinaire, Chaïm Soutine, Paul Guillaume, Blaise Cendrars, Andrè Derain e Maurice Utrillo. «Grande rivale di Modì, così era conosciuto Amedeo a Parigi, era Pablo Picasso che il pittore di Livorno ammirava e odiava. Picasso era affascinato dal giovane artista italiano, e dalle sue opere in cui si rispecchiava tutta la bellezza dell’arte rinascimentale espressa con un linguaggio assolutamente moderno.» spiega lo stesso Restellini. La tragedia della morte di Modì, il suicidio della sua giovane compagna Jeanne Hébuterne (sebbene incinta del secondo figlio di Amedeo), turba profondamente l’am-

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Amedeo Modigliani (Livorno,1884 - Paris, 1920) Cariatide (bleue), circa 1913 matita blu su carta, 56,5 x 45 cm

biente parigino e alimenta la nascita della figura leggendaria di Modì artista “maudit”. E non possiamo che condividere la posizione dello storico Marc Restellini quando scrive: «La realtà che questo centenario deve assolutamente ristabilire è quella in cui viene restituito a Modigliani il posto che gli spetta, quello di uno dei cinque geni del secolo, pittore e scultore d’avanguardia, nonché inventore di uno standard per le arti primitive insieme a Picasso e Matisse». Una “restituzione” che non può che passare dalla “visione” (oltre che dallo studio) delle sue opere. In via del tutto eccezionale, come suggerisce il sottotitolo della mostra, sono riuniti nelle sale del Museo della Città i dipinti e disegni appartenuti ai due collezionisti più importanti che accompagnarono e sostennero Amedeo Modigliani nella sua vita. Paul Alexandre, primo fra tutti, che era al centro di un legame tra Livorno e Parigi, che lo aiutò al suo arrivo nella Ville Lumière sostenendo anche il progetto scultoreo delle Cariatidi oltre che i suoi ritorni a Livorno nel 1909 e 1913. E, soprattutto, Jonas Netter, ebreo alsaziano trapiantato a Parigi, tra i collezionisti più importanti e straordinari del XX secolo. Netter entrò in contatto con il poeta e gallerista polacco Léopold

Zborowski e fu così che si innamorò dei dipinti di Amedeo Modigliani tanto da arrivare a possederne alla fine degli anni Trenta, cinquantasei tra i più belli realizzati nella sua breve ma intensa carriera. Tra le opere in mostra è possibile ammirare il ritratto Fillette en Bleu del 1918, opera di grandi dimensioni che raffigura una bambina di circa 8-10 anni il cui vestitino e il muro retrostante sono dipinti di un

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delicato colore azzurro, in un ambiente ricolmo di dolcezza e innocenza; il ritratto di Chaïm Soutine del 1916, suo caro amico durante gli anni parigini più difficili, seduto con le mani appoggiate sulle ginocchia, dove si percepisce la grande sintonia tra i due e la stima che Soutine provava per Modigliani; il ritratto Elvire au col blanc (Elvire à la collerette) dipinto tra il 1918 e il 1919 raffigurante la giovane Elvira, ritratta


Chaïm Soutine (Smilovitchi, 1893 − Paris,1943) L'Escalier rouge à Cagnes, c. 1918 olio su tela, 61,6 x 46,5 cm

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MoĂŻse Kisling (KrakĂłw, 1891 - Bandol, 1953) Portrait d'homme (Jonas Netter), 1920 olio su tela, 116 x 81 cm collezione Jonas Netter

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dall’artista ben quattro volte, due da vestita e due nuda, conosciuta ed ammirata a Parigi per la sua folgorante bellezza e per il suo caldo temperamento italiano. E ancora il ritratto Jeune fille rousse (Jeanne Hébuterne) del 1919, in cui è dipinta la bella e raffinata Jeanne Hébuterne ritratta da tre quarti con suoi profondi occhi azzurri. Tra i disegni in mostra alcune Cariaditi tra cui la Cariatide (bleue) del 1913 che appartiene al secondo ciclo e, a differenza del primo - costituito da studi per sculture ispirate all’arte primitiva - non si tratta di uno schizzo preparatorio ma di un’opera a sé stante dove la figura femminile è più rotonda e voluttuosa con contorni più sfumati e colorati. La mostra espone anche capolavori di altri artisti della collezione Netter, rappresentative della grande École de Paris. Sono circa un centinaio e vi figurano i dipinti di Chaïm Soutine come L'Escalier rouge à Cagnes, La Folle, L'Homme au chapeau e Autoportrait au rideau, eseguite dal 1917 al 1920, che ben rappresentano la poetica dell’artista e la sua maniera di rappresentare la realtà in modo atemporale e come

espressione di tragedia interiore. Tra le opere di Maurice Utrillo ci sono Place de l'église à Montmagny, Rue Marcadet à Paris, Paysage de Corse, dipinti dalle atmosfere calme e silenziose che non lasciano immaginare il tormento dell’artista, i suoi soggiorni negli ospedali psichiatrici e i tentativi di suicidio legati alla dipendenza dall’alcol. Non potevano mancare le opere di Suzanne Valadon come le Trois nus à la campagne, con donne nude in aperta campagna, tema molto caro a Renoir e a Cézanne oltre che ad Andrè Derainche che con Le Grand Bagneuses realizzò un’opera considerata uno dei capisaldi dell’arte moderna e St.tropez e Portrait d’homme (Jonas Netter) le opere dell’artista polacco Moïse Kisling che ci ha lasciato uno dei ritratti più emblematici del collezionista Jonas Netter. Modigliani e l’avventura di Montparnasse Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre Livorno, Museo della Città 7 novembre 2019 – 16 febbraio 2020

Maurice Utrillo (Paris, 1883 − Dax, 1955) Rue Marcadet à Paris, 1911 Olio su tela,54 x 81 cm collezione Jonas Netter

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Suzanne Valadon (Bessines, 1865 − Paris, 1938) Trois nus Ă la campagne, 1909 olio su cartone, 61 x 50 cm collezione Jonas Netter

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Di Bantam - Photo shot by Derek Jensen (Tysto), January 14, 2006, Pubblico dominio,

salinger, il giovane holder e i sogni di una generazione Raffaele Polo

i Luoghi della Parola

Dieci anni fa, il 27 gennaio 2010, la scomparsa dello scrittore americano autore del The Catcher in the Rye tradotto in italiano da Adriana Motti traduttrice tra gli altri di Karen Blixen, Lawrence Durrell, E.M. Forster, Wodehouse, Shikibu Murasaki

Quando, un po' di anni fa, mi sedetti davanti alla titolare della cattedra di 'Letteratura Anglo-americana', sorridevo tra me e me. Perché la mia generazione, grazie a Vittorini, reputava di conoscere tutto, ma proprio tutto, di quello che avveniva di là dell'oceano e che noi europei sintetizzavamo e semplificavamo fra la scelta dei Beatles o dei Rolling Stones. Nella letteratura, nella poesia,

c'era veramente da sbizzarrirsi: si andava dal 'mito' di Kerouac, rafforzato dalla sua prematura scomparsa, nel 1969, a quello di Salinger, passando per le preziose diversità di Saroyan, Kazan e magari Faulkner oppure il 'Capitano, mio capitano' di Witman che, però, era più datato, anche se la poesia non ha età e identificazioni temporali molto rigide.... Era così, presi dall'entusiasmo, mesco-

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lavamo date, scrittori, versi famosi, conoscevamo meglio il panorama degli scritti degli States che quelli di casa nostra; pensare che, col passare del tempo, ci saremmo accorti che la nostra letteratura non aveva nulla da invidiare a quella degli Usa, ma è cosÏ, noi siamo cresciuti col mito americano ben saldo dentro, e allora eccoci a non vedere l'ora di parlare di tutto questo con l'assistente di turno, che ci chiede di Poe, uno dei nostri autori preferiti, soprattutto per gli scritti giornalistici, chi conosce la 'Storia letteraria di

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Thingum Bob esq. ' oppure la 'x-atura di un articolo', pezzi mirabili, che non hanno eguali nella intera letteratura... o forse no, ma noi non lo sappiamo, parliamo, parliamo, poi ci chiedono di Emily Dickinson, un grande cuore infranto, romanticismo pessimista, eccone un'altra che non ha eguali, basta, basta, la professoressa sorride e poi, abbassando la voce, quasi a non volersi far sentire dagli altri, ci chiede: 'E di Holden, che mi dice?'. Il Giovane Holden, il libro lo avevamo su comodino, insieme a Big Sur e all'antologia di Spoon River, prima di


i Luoghi della Parola

la copertina della versione originale de Il giovane Holder

addormentarmi prendevo uno di questi autori a caso e leggevo qualcosa, i miei sogni erano poi meravigliosi, altro che Joyce o Solzenitsin, solo negli States c'è la vera emozione di vivere, quante volte ho immaginato, ho sognato di essere io l'acchiappatore nella segale e salvare tutti i bambini incauti che si avventuravano nella campagna piena di pericoli.... E così, siamo andati avanti, con il mito di Salinger che, tra alti e bassi, tra colpi di testa e amori sempre più tempestosi, ci ha lasciato nel 2010, con la curiosa disposizione che i suoi scritti fossero pubblicati solo dopo 50 anni. E qui c'è tutta la orgogliosa supponenza di questi autori che, un po' alla Hemingway, hanno uno smisurato senso di appartenenza alle proprie idee, tanto da rifiutare, come fa Saroyan, il più ambizioso dei premi, affermando con sufficienza che i critici, con lui, si sono sbagliati. Ma Salinger, vita irregolare e ritiro dalle apparizioni in pubblico, forse proprio per alimentare la curiosità verso di lui, assurge sin da subito a simbolo di quella irrequieta presenza che così bene rende sullo schermo Humprey Bogart, che gli somiglia anche un po'... E, come spesso accade per molti famosi scrittori (l'esempio di Conan Doyle è obbli-

gatorio...) i personaggi da loro creati sopravvivono e si impongono al pubblico, offuscando in gran parte la figura del loro creatore. E succede così per il giovane Holden, vera e propria immagine di un Pinocchio americano, dove però la Fata dai capelli turchini è, più esplicitamente, una giovane prostituta... Non vogliamo, con ciò, esaltare il mito di Salinger: non ce n'è bisogno. Ma vorremmo che i giovani leggessero questo suo capolavoro e lo facessero come abbiamo fatto noi, quasi di nascosto, quasi proteggendo un modello di ragazzo, novello Peter Pan, che simboleggia i desideri e gli impulsi di intere generazioni. Non solo americane, ma di tutti i luoghi: come deve essere per i libri più importanti della letteratura mondiale.

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i giorni della memoria canzoni Per non dimenticare

Stella Bassani in concerto il 25 gennaio al Teatro Astra di Calcio CALCIO (BG). Musica per ricordare le vittime dell’Olocausto. Sabato 25 gennaio, il Cinema Teatro Astra ospiterà il concerto di Stella Bassani (nella foto), interprete

internazionale di canzoni popolari in lingua ebraica. Un concerto di ballate popolari, tradizionali e contemporanee, alternate a narrazioni storiche e citazioni letterarie tratte da testimonianze di sopravvissuti alla guerra e alla deportazione nei campi di concentramento come Saralvo, Bassani, Levi ecc. Stella (Iolanda Elena) Bassani inizia fin da bambina a girare con il nonno Cesare Galli, polistrumentista e direttore d'orchestra, nonché fondatore della Fisorchestra di Verona. Gira con lui l'Italia, la Svizzera, la Francia e altri paesi, ben presto imparando anche il significato del palco, del musicista e del pubblico.Crescendo inizia a scoprire il pianoforte, il solfeggio, la chitarra e soprattutto la voce. Soprano, con un'inclinazione naturale verso le note lunghe, inizialmente viene introdotta al canto lirico che, però ben presto, abbandona perché troppo competitivo e rigido. Stella ama anche la danza ma conosce la musica tradizionale ebraica, antica e religiosa grazie alle feste organizzate dal padre Italo che

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dopo essere scampato al genocidio della shoah nel dopoguerra diventò Presidente della Comunità Ebraica di Mantova dal 1973 al 1985. Israele, l'Olocausto, il dolore ancestrale e la rabbia per ogni tipo di genocidio e discriminazione, la portano verso la sua lingua (l'ebraico) e la canzone popolare. Nel gennaio 2012, riceve una targa al Campidoglio, in occasione dell'evento ambientalista "Un bosco per Kjoto” e nel gennaio 2013 pubblica il suo primo album, “I giardini di Israel” presentato con successo nelle maggiori città italiane come Milano, Roma, Siena, Brescia, Mantova e Parma. Ospite nelle maggiori feste tradizionali e ricorrenze nel 2017 e nel 2018 è stata testimonial della Giornata Europea della Cultura Ebraica con concerti presso la Sinagoga di Mantova e Sabbioneta, sui temi “Diaspora: identità e dialogo” e " Storytelling". Nel 2019 ha realizzato il singolo " Vi hu da leolam teshev", cover del brano originale israeliano con arrangiamento di Dave Rodgers. Sipario alle 20.45 con ingresso gratuito.


Auschiwtz, foto di Ines Facchin

i luoghi della Poesia la memoria Giusy Gatti Parlangeli

i Luoghi della Parola | Poesia

I. Se neanche il luogo dove la Morte è morta impedisce alla Poesia di nascere Se un verso si fa largo tra ceneri e macerie e timido spunta esplodendo colori nell'oscurità del silenzio Vuol dire che l'umanità dell'Uomo non soccomberà in eterno dietro il filo spinato dentro i forni nelle fosse dietro i muri nelle trincee Il pregiudizio l'incomprensione l'indifferenza la violenza non la seppelliranno Finché un fiore un sorriso un verso germoglieranno dai cumuli dei resti della barbarie e delle miserie umane.

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II. Il giorno dopo E domani sui campi di Auschwitz Dachau, Bergen Belsen, Fossoli, Buchenwald, Mauthausen e Treblinka il sole sorgerà di nuovo le nuvole si diraderanno i raggi scalderanno timidamente la terra Germoglierà l'erba sui campi di morte dove ogni fiore è un bambino ogni albero una donna ogni ruscello un marito, un padre, un amico Voleranno gli uccelli sui campi di morte e recheranno semi e le api impollineranno fiori che erano bambini Poi scenderà la nebbia nei campi di morte poi il buio della sera e le tenebre torneranno sui fiori gli alberi i ruscelli sulle coscienze indifferenti di chi pensa che oggi è già il 28 gennaio e può dimenticare


III. Senza chi ci ha preceduto non saremmo niente Senza la lezione del passato non c'è speranza di avere un domani

Nella storia ci sono le istruzioni per il futuro Quel futuro sembrerà anni-luce diverso da quel passato Ma per slanciarsi in avanti senza cadere bisognerà fare molti passi indietro

GiusyGatti©tutti i diritti riservati


“sculture al Trebbo”, Tuscania

mirna manni sculture al trebbo Giuseppe Salerno

Fino al 15 aprile 2020 le opere in mostra negli spazi de “Il Trebbo”

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er quanto ci si trovi di fronte a grande preparazione e indiscussa capacità tecnica, sarebbe una grave diminutio appellare come “ceramista” la figura di Mirna Manni relegandola ad un ambito statico e circoscritto, trattandosi piuttosto di un’ar-

tista a tutto tondo la cui visione si sostanzia nel coniugare la creta con altri materiali e nel comporre poi le proprie “forme ceramiche” in installazioni dialoganti con la singolarità dei luoghi ospitanti. La cella di un carcere, i locali di un vecchio mattatoio, una chiesa scon-

sacrata, una grotta ricavata nel tufo, un’antica cisterna medioevale, questi i luoghi prescelti. Impresse nell’argilla, le sue “forme” sono elementi altamente simbolici, radicati nella cultura e nel credo del nostro tempo, ma anche amplificazioni e sublimazioni di

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“Tutto è santo”, Chiesa di S. Maria della Salute, Viterbo

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“Mater in Fusco”, Cattedrale Ex Macello, Padova

elementi vegetali nei quali riconosciamo la ciclicità del processo vitale. Sono sculture che, rifacendosi all’organicità della natura, ci rammentano come tutto sia parte di un unicum inscindibile. Animate da una bellezza interiore che le vedrebbe già perfette nel loro porsi fuori da quel mondo di cui sono sintesi, quelle di Mirna sono opere che l’artista sottrae al piedistallo cui altri le relegherebbero per indurle a dialogare ogni volta con luoghi “unici”, rispondenti alla poetica che ne connota il lungo e intenso percorso artistico. Luoghi che assurgono a paesaggi mentali la cui avvolgenza manda in risonanza le corde più profonde del nostro essere. Quella che Mirna Manni ci regala oggi è una esposizione nel centro storico di Tuscania, in uno spazio caratterizzato dalla presenza di un pozzo medioevale visibile sotto il pavimento di cristallo; un luogo dove, in un’atmosfera accogliente e dialogante, vive il binomio magico tra arte visiva e palato. Mirna Manni nella sua personale ricerca artistica ha scelto la scultura ceramica come mezzo

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“Sculture al Trebbo, Tuscania

espressivo, prediligendo da sempre il rapporto diretto fra le opere e gli spazi che le ospitano. Il suo lavoro tende ad una ricerca di pluralità di forme e sperimentazione della materia per affermare un dialogo tra procedimenti creativi, immaginario, archetipi e contemporaneità. Vive a Tuscania in provincia di Viterbo, dove si dedica alla sua produzione artistica, organizzando mostre e tenendosi sempre pronta a cogliere ogni stimolo creativo. La sua attività artistica personale e collettiva è a tutto campo, anche nella promozione di eventi artistici, come la rassegna biennale di scultura ceramica contemporanea “Keramikos”, organizzata con l’Associazione Culturale “Magazzini della Lupa” di cui è presidente. Ha partecipato a mostre in spazi pubblici, Musei e Gallerie d’Arte. Mirna Manni sculture al Trebbo Il Trebbo Via Torre di Lavello 7 fino al 15 aprile 2020 Orario: dal giovedì al martedì 12.45/14.45 – 19.45/22.45

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“Sculture al Trebbo, Tuscania

“Anemos”, Galleria Artidec, Bracciano

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Viternbo sotterranea, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

viterbo sotterranea viaggio nella memoria

Sara Foti Sciavaliere

Storie l’uomo e il territorio

Secoli di storia nascosta sotto il borgo medievale

VITERBO. La Città dei Papi, con il suo quartiere medievale più grande d'Europa, conserva sotto l'evidenza del suo patrimonio artistico e monumentale i resti di un passato antico e spesso ignorato: la Viterbo Sotterranea. Con i suoi cunicoli scavati nel tufo, si tratta di un vero e proprio labirinto fatto di passaggi segreti che servivano a mettere in comunicazione le

costruzioni strategiche della città dove ha avuto luogo il primo conclave della storia. Un mondo affascinante e sorprendente, testimone del passato di Viterbo, dagli Etruschi al Medioevo fino all'età contemporanea. Un reticolo di gallerie, cunicoli e ambienti ipogei, che si snodano per chilometri nel sottosuolo, testimonianze di vicende strettamente

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Storie l’uomo e il territorio

Viterbo sotterranea, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

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connesse con quelle della Viterbo ancora visibile alla luce del sole. Di questi sotterranei, grazie all'iniziativa di privati, oggi se ne possono visitare un piÚ breve ma suggestivo tratto a Piazza della Morte (poco distante dal Colle del Duomo con la Cattedrale di San Lorenzo e Loggia delle benedizioni) e un percorso monumentale in via Chigi. Personalmente, dopo aver vagabondato per i vicoli del borgo medievale, ho scelto di scendere in Piazza della Morte (sarò sincera... forse sono stata attratta anche dalla toponomastica!). La piazza in origine era chiamata San Tommaso, dalla dedicazione della chiesa vicina, prendendo poi l'attuale denominazione nel XVI secolo quando nell'edificio di culto si insediò la Confraternita dell'Orazione e della Morte, il cui scopo era quello di dare ai defunti una cristiana sepoltura, anche laddove le famiglie piÚ povere non avevano dispo-

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Storie l’uomo e il territorio

Viterbo panorama, foto di Sara Foti Sciavaliere

nibilità economica per occuparsi delle onoranze funebri. Le gallerie di Viterbo Sotterranea hanno origini assai antiche e il loro uso continuativo nel corso dei secoli ne ha permesso uno svariato impiego. Furono gli Etruschi i primi ad avviare lo scavo di una fitta rete di cunicoli per ricercare, conservare e canalizzare l'acqua. Il nome dell'antico abitato, che in epoca etrusca sorgeva sul Colle del Duomo, era Surina, dal nome del dio sotterraneo Suri e grande era la vernazione di questa civiltà per le acque sorgive (si pensi che gli Etruschi erano considerati dei grandi esperti della rabdomanzia, l'arte di scoprire le vene d'acqua nascoste nelle profondità del terreno), inoltre erano maestri nell'arte dell'ingegneria idraulica, di cui i Romani sfruttarono le conoscenze per giungere all'eccellenza di settore per i quali sono molto più noti. La realizzazione di questi antichi passaggi è stata possibile grazie allo strato di tufo su cui Viterbo sorge. Si tratta di una roccia vulcanica

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Storie l’uomo e il territorio

Viterbo, la Logia Colle dei Papi, foto di Sara Foti Sciavaliere

piuttosto resistente e, al contempo, se umida, malleabile: è proprio per questa sua natura che sin dall'antichità il tufo fu usato come materiale di costruzione. Di fatto, è facile ipotizzare che gli Etruschi abbiano concepito i cunicoli della Viterbo Sotterranea non soltanto come sistema idrico, ma anche come una cava da cui, una volta scavate le gallerie, estrarre il tufo da impiegare poi in edilizia. E se si percorre la strada che da Piazza della Morte conduce a Piazza San Lorenzo, superato il Ponte del Duomo e Palazzo Farnese, sono ancora visibili le antiche mura ciclopiche che dovevano racchiudere il pagus etrusco sorto su quel colle, realizzate con massicci blocchi di tufo squadrati, giustapposti a incastro e senza l'uso di malta. Nel Medioevo quegli stessi cunicoli furono ulteriormente scavati per essere trasformati in spazi che potessero permettere il passaggio delle persone. Nelle cavità sotto le case vennero ricavate delle cantine per la conservazioni di alimenti e

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Storie l’uomo e il territorio

Viterbo, il borgo medievale, foto di Sara Foti Sciavaliere

botti di vino, e in molte di queste cantine - e anche nei percorsi della Viterbo Sotterranea - si trovano spesso i cosiddetti "butti", ossia pozzi di scarico scavati nel pavimento nel quale si buttavano, appunto, rifiuti domestici di ogni tipo; quando dopo anni, il butto era colmo veniva svuotato oppure sigillato con la calce. Oggi i butti, usati per secoli, sono un'importante fonte di notizie per gli studiosi, dei veri serbatoi di reperti. Ma una cosa che di certo stupisce spingendosi nelle profondità della Viterbo Sotterrane e trovare la fedele ricostruzioni di strumenti legati all'alchimia: sono infatti in molti a essere convinti che in questi luoghi nascosti si svolgessero pratiche esoteriche, che nel Medioevo erano largamente diffuse. Si racconta ad esempio che a Viterbo esperimenti alchemici venissero praticati perfino da Papa Giovanni XXI. Il pontefice, di origine portoghese, medico e filosofo, morì nel 1227, dopo soli otto mesi dall'elezione, in seguito al crollo del

soffitto della sua stanza nel Palazzo Papale, dove pare avesse allestito una sorta di laboratorio in cui conduceva misteriosi pratiche, qualcuno lo tacciò perfino di negromanzia. I cunicoli della Viterbo Sotterranea ebbero un ruolo determinante nel XIII secolo, quando durante gli scontri tra Guelfi e Ghibellini, Viterbo in lotta con l'autorità pontificia, accolse con grande entusiasmo Federico II di Svevia che riconobbe la città come punto strategico per attaccare Roma, ma una volta insediatosi la fazione guelfa fomentò il malcontento popolare contro la soppressione imperiale e Federico decise di mettere sotto assedio la città per piegare la ribellione. Dopo continui attacchi, i viterbesi compirono l'assalto decisivo alle truppe imperiali, sfruttando proprio gli antichi passaggi sotterranei che permisero di raggiungere, senza essere scorti, Valle Faul, alle spalle del Colle del Duomo, dove era allestito l'accampamento nemico, sorprendendo così gli avversari, che furono

www.ilraggioverdesrl.it

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costretti alla fuga. Quegli stessi cunicoli di Viterbo Sotterranea costituirono nel XIX secolo il rifugio ideale per i briganti, ma soprattutto un fortunato riparo durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la Città dei Papi fu tra le più martoriate dai bombardamenti e gli spazi ipogei servirono sia da bunker che come dimora temporanea per le numerose famiglie sfollate. Su alcuni muri si conservano ancora le tracce di quei terribili anni, nelle date incise chiaramente nel tufo dai rifugiati. Visitare Viterbo Sotterranea è uno straordinario viaggio nel tempo, attraverso oltre tremila anni di storia racchiusi negli anfratti e nei cunicoli nascosti, calpestati a volte in maniera inconsapevole passeggiando per i vicoli del borgo che rievoca le atmosfere medievali di cui è pregna, ma qualche passo nelle sue profondità possono far raggiungere le radici della memoria per conoscere più intimamente la storia di questa città.


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Foto di una sala interna del museo (fonte: sito ufficiale http://www.museodellorologio.it/)

il museo dell’orologio di tovo san giacomo

A Bardino Nuovo, in provincia di Savona, il Museo voluto da Giovanni Bergallo ultimo orologiaio della famiglia

I LuOGHI NELLA RETE

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l bello della rete è anche questo. Imbattersi in una pagina e poi come il gioco delle scatole cinesi scoprire, di rimando in rimando, bellissime realtà che forse avresti ignorato per sempre. Lo sapevate che nella frazione di Bardino Nuovo, in un piccolo comune della Liguria, Tovo San Giacomo, in provincia di Savona esiste un Museo dell’Orologio? Il Museo fu istituito il 3 aprile 1996 con delibera del consiglio comunale e inaugurato il 7 aprile 1997 nell’ex Palazzo Civico di Bardino Nuovo (Piazza Can. Giuseppe Folco). Ma la storia del Museo inizia anni addietro, risale infatti al 1984 la prima esposizione pubblica di alcuni pezzi della fabbrica Bergallo in occasione dell’inaugurazione delle nuove scuole elementari di Tovo S.Giacomo. Furono esposti lancette, quadranti, meccanismi, scritti, foto e filmati e fu proprio in quella occasione che l’ultimo orologiaio, Giovanni Bergallo, dopo aver rifiutato offerte da parte di organismi stranieri (in

particolare un gruppo industriale giapponese), auspicò pubblicamente che nel suo paese venisse creato un museo che raccogliesse le testimonianze dell’arte orologiaia e della tradizione familiare per le macchine del tempo, al quale donare l’insieme della sua opera. I Bergallo costruirono infatti orologi da torre fra il 1861 e il 1980 nella casa-officina dove si svolse tutta la loro attività. I loro orologi furono installati in Liguria, Piemonte, Val d'Aosta, Valtellina e quello più lontano in Patagonia. E con l’apertura del museo e le acquisizioni di nuovi pezzi, via via resero necessario un ampliamento del museo e il restauro della sede, restauro che si concluse nel 2011 con un percorso espositivo rinnovato nell'architettura e nei materiali, realizzato con il sostegno della Regione Liguria e della Fondazione De Mari e curato dall'architetto Luca Forno di Genova. L’attività del Museo ha trovato riconoscimento anche nell’ammis-

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sione alla Associazione MuseImpresa, insieme alle piĂš importanti raccolte delle fabbriche Piaggio, Zucchi, Ferrari, Campari, Ducati, Barilla ed altre di livello nazionale. Visitare il museo significa trovarsi ad ammirare esemplari autentici (il piĂš antico risale al XVI secolo) raccolti dalla famiglia Bergallo stessa e provenienti da donazioni di col-

lezionisti, chiese ed altri enti. Oltre agli orologi troverete quadranti, lancette, "stranezze" provenienti da campanili, carrucole, tutti oggetti attestanti una ricca storia della tecnica e della meccanica orologiaia ormai irripetibile. E per fare un tour virtuale http://www.museodellorologio.it/ info@museodellorologio.it

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Melendugno, Dolmen Placa, foto di Alessandro Romano www.salentoacolory.it/

il dolmen Placa meraviglia del salento Raffaele Polo

Girovagando nel Salento

I LuOGHI DEL MISTERO

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i invito a sperimentare, senza preconcetti per partito preso. Recatevi sulla strada che collega Melendugno a Calimera. Adesso c'è anche qualche indicazione per 'Dolmen Placa'. Inoltratevi per il viottolo che si snoda verso l'interno e che vi porta, dopo un po', ad una serie di appezzamenti, tenuti ottimamente, delimitati da splendidi muretti a secco. All'improvviso, sulla destra, proprio al centro di uno spiazzo naturale, circondato dagli ulivi, noterete un ammasso di pietre. Avvicinatevi e quell'ammasso diventerà presto uno splendido 'dolmen' ovvero uno di quei misteriosi reperti architettonici, datati in migliaia di anni, che sono nelle nostre campagne e che, ancora, cercano una sicura collocazione in civiltà troppo lontane per essere studiate ed approfondite... Pare che l'ipotesi più suffragata sia la ricerca religiosa di un onore verso i defunti. Ma l'idea di un complesso calendario legato agli spostamenti dei

corpi celesti, non risulterebbe peregrina. Del resto, quando non si sa cosa ipotizzare, le idee sono sempre le stesse: un calendario regolato dai raggi del sole, ovvero un luogo di estremo saluto per i defunti... Stesso discorso per i menhir, per Stonehenge, per i colossi dell'isola di Pasqua, tutte meraviglie che ci fanno capire quanto poco sappiamo, in realtà, della nostra antica storia. Ma torniamo al dolmen Placa. Tutto sommato, è ben conservato e pieno di segnali di una attività mai cessata completamente. E qui iniziano le sensazioni 'misteriose' che circondano la struttura. Anzitutto, l'aria. Se il cielo è sereno e non ci sono perturbazioni, fermatevi ad ascoltare. Ma non per qualche secondo, intendiamoci. Avvicinatevi alle pietre, mettete una mano sulla lastra orizzontale e chiudete gli occhi. Dopo qualche secondo, vi accorgerete che c'è 'qualcosa' che, attorno al dolmen, rende l'atmosfera diversa. è

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Melendugno, Dolmen Placa, foto di Alessandro Romano www.salentoacolory.it/

come se si presentisse un cambiamento sostanziale, fatto da sospiri e rumori ovattati che, indubbiamente, vengono da lontano, da molto lontano. Suggestione, dite? Aprite gli occhi e tornate nella realtà, guardate il telefonino e vedrete che non c'è campo. Nulla di straordinario, anche se fino ai muretti a secco, il campo c'era, eccome. E allora guardatevi attorno: un silenzio innaturale, un'attesa eterna, una sospensione del tempo, da quanto state con la mano sulla lastra, un minuto, pochi secondi, un'ora? La dilatazione del tempo pare evidente, sorridete perché capite che è, veramente, una grande suggestione. O no? Allontanatevi dal dolmen e vi sembrerà piccolo, piccolissimo, a stenti potete notarlo nella campagna. Eppure, da vicino era solido e immenso, avete spiato all'interno? E quel cumulo di pietre erano già

qui, com'è che non l'avevamo notato? C'è un arbusto che si ostina a crescere proprio dall'interno della costruzione. Qualcuno, ogni tanto, lo taglia. Ma la pianta ricresce, ostinata. Solo lì, non ce ne sono altre, attorno. E poi lo sentite: un leggero ansito, come un soffio senza vento, qualcosa che vi avvolge e vi dà l'impressione del movimento. Del sole, delle ombre, degli alberi. Vi sentite partecipe di una Natura che non è stata ancora inquinata, che mantiene la sua valenza antica. Va bene, possiamo andare. Notiamo la fessura centrale sulla lastra, ci hanno detto che serviva a contenere l'acqua. Ma non si sa per che cosa; vorremmo entrare nel dolmen, sederci allo scuro e sentire... Ma non ce la facciamo, ce ne andiamo a passi svelti, scavalchiamo il muretto, il dolmen scompare alle nostre spalle, guardiamo il telefonino, il campo è tornato...

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Le foto sono di Sara Foti Sciavaliere tranne quella della Catena angioina (fonte sito ufficiale)

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il castello svevo il Più antico di brindisi Sara Foti Sciavaliere

Girovagando nel più antico maniero di Brindisi

BRINDISI. In una mattina di metà novembre ho avuto l’opportunità di fare una visita per il castello più antico di Brindisi all’estremità del seno di Ponente, oggi sede della Brigata San Marco della Marina Militare. Si tratta del Castello Svevo, detto anche “castello grande” o “di terra”, per distinguerlo da quello Alfonsino o “di mare”, collocato invece sull’isola di Sant’Andrea all’imboccatura del porto esterno. Di forma trapezoidale, presenta un nucleo centrale federiciano su una probabile roccaforte bizantina e intorno l’antemurale del periodo di Carlo V d’Asburgo. È stato voluto nel 1227 da Federico II come residenza fortificata propria e per le sue guarnigioni – soldati saraceni e cavalieri teutonici – , come difesa contro brindisini ancora filonormanni e ostili agli

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Svevi ai quali frequentemente si ribellarono. È a Brindisi che lo Stupor Mundi, nel 1225, con cerimonia solenne celebrata nel Duomo e con grande fasto, ha sposato in seconde nozze Isabella di Brienne, figlia di Giovanni di Brienne, erede del Regno di Gerusalemme. Ed è dal porto di Brindisi che salpò Federico, nel 1228, verso la Terrasanta a capo della sesta crociata, quella cosiddetta “degli scomunicati”. Per la costruzione del ponte d’accesso, che scavalca il fossato cinquecento, furono impiegati materiali derivanti dalle vecchie mura e dai monumenti cittadini in rovina. Nel 1488 infatti viene costruito dagli Aragonesi un antemurale che circondava la parte a terra del castello, in questo modo fu conservato il nucleo svevo originale. La

Storie l’uomo e il territorio


nuova cinta muraria, più bassa delle torri sveve, venne rinforzato da quattro torri circolari, quattro baluardi che meglio rispondevano alle esigenze dell’architettura militare dell'epoca data la diffusione delle armi da fuoco. Fu quindi scavato un nuovo e più ampio fossato e aperto un nuovo ingresso da ovest. Abbandonato da tempo dopo che era stato dismesso dagli Spagnoli , fu Gioacchino Murat a trasformare nel 1814 il Castello Grande in “bagno penale”, funzione che svolse anche sotto i Borboni e i Savoia fino ai primi anni del Novecento. Nel 1879 il castello ospitava 800 forzati. Dal 1909 è utilizzato dalla Marina Militare come stazione torpediniere e l'anno successivo venne attivato il comando dei sommergibili. Qui inoltre, dal 1916, la flottiglia MAS ha avuto un importante riferimento. Attraversato l’arco d’ingresso, sull’angolo di sinistro del nucleo centrale, svevo, tro-

viamo una torre quadrangolare che fu usata come prigione di personaggi illustri. Tra i suoi ospiti noti si ricorda Alexandre Dumas. Il 7 marzo 1799 il generale francese Thomas Alexandre Dumas, padre del famoso romanziere Alexandre Dumas, dopo aver partecipato alla campagna napoleonica d’Egitto, s’imbarcò per la Francia a bordo della corvetta Belle Maltaise, ma dopo qualche giorno di navigazione, le precarie condizioni della nave e il mare in tempesta lo costrinsero a cercare rifugio nel porto di Taranto, convinto d’incontrare accoglienza amica. Presto però dovette ricredersi: tutti i francesi a bordo furono catturati dai sanfedisti del cardinale Fabrizio Ruffo che, per sfortuna di quei naufraghi, da qualche giorno avevano ricondotto la città sotto il controllo borbonico. Per il generale Dumas iniziò così una lunga e penosa prigionia, prima nel Castello Aragonese di Taranto per essere trasferito poi in quello Svevo di Brindisi. In

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pochi sanno che Dumas figlio si ispirerà proprio alla prigionia del padre in Terra d’Otranto per una delle sue opere immortali, il “Conte di Montecristo”. A levante e al centro tra le altre due torri quadrangolari fu impostata una torre pentagonale. Da qui ci si sposta verso il cuore della fortezza, la piazza d’armi. Sull’arco interno del vano a piano terra della Torre Magistra, che introduce al piazzale, è collocata la catena angioina che serviva a chiudere l’ingresso al porto interno nel XIV secolo. La tipica conformazione naturale del porto di Brindisi ha sempre avuto un ruolo determinante nella storia della città, sia dal punto di vista economico-commerciale che da quello difensivo. La singolare forma del porto, che richiama la testa di un cervo, si è creata a seguito di numerose alluvioni che generavano fiumi che partendo dalle colline delle Murge, defluivano nel porto di

Brindisi, formando così un vero e proprio delta. Successivamente questo fiume prosciugandosi conferì la tipica forma al porto, con i due ampi bacini – Seno di Levante e Seno di Ponente – che abbracciano il centro storico e che si aprono verso l’esterno attraverso un canale, oggi chiamato Canale Pigonati. Nel 1301, lungo le due sponde del canale, furono realizzate da Carlo II d’Angiò due torri. La torre maggiore era posta sul lato di ponente, ed era collegata da una catena di ferro con quella minore. Le due torri avevano degli ingranaggi che permettevano di tendere la catena e chiudere l’ingresso nel porto interno, la stessa veniva mollata in acqua quando una nave si apprestava ad accedere o ad uscire. Nel XVIII secolo però le mura, le porte, le torri e i bastioni, che non venivano più utilizzate per la difesa della città, furono in parte demoliti e tra questi le due torri angioine. Tuttavia la

Brindisi, Castello Svevo, Catena angioina

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catena fu salvata e conservata prima nel Tempio di San Giovanni al Sepolcro, per poi trasferirla all’interno del Castello Svevo di Brindisi. Nella piazza d’armi si potevano ritrovare cisterne (dove l’acqua si convogliava grazie a canaline di terracotta ancora visibili nelle murature compatte) e un granaio per le provviste in caso di assedio, come i locali sotterranei ricavati dall’antico fossato medievale chiuso in superficie con gli interventi di fortificazione del Cinquecento. E durante un assedio anche gli abitanti della città vecchia potevano trovarvi rifugio. Nell’antico granaio – oggi Sala Federico II – si possono vedere su una parete tre dipinti del pittore ateniese Giovanni Papagiorgio, mandurino di adozione: “Estasi di S. Francesco confortato dalla musica dell’Angelo”, “Santa Barbara” e “SS. Cosma e Damiano”. Sulla piazza d’armi si affaccia anche la sala storica che ospita una mostra permanente che condensa la storia della Marina e della Brigata, dalla prima guerra mondiale alla Ricostituzione del San Marco nel 1965. Ricordiamo che il Castello Svevo attualmente è sede del comando della Brigata Marina San Marco. La prima “Brigata Marina” venne costituita in via non ufficiale all’inizio della prima guerra mondiale. Inserita nei ranghi della terza Armata del duca d’Aosta, fu

impegnata nella difesa di Venezia, città che subì diversi attacchi dagli austriaci con assalti: vista l’importanza strategica della città, e il grande pericolo che correva, vennero raccolti alla difesa tutti i marinai distaccati nella zona di Venezia, per costituire una brigata di fucilieri di marina; a fine conflitto, furono riconosciuti i meriti della Brigata Marina e a partire dal 17 marzo 1919, con decreto di Vittorio Emanuele III di Savoia la Brigata fu costituita come Reparto di Fanteria di Marina, e il successivo 25 marzo il reparto ebbe il nome di San Marco, patrono della città di Venezia. Il giro del castello “di terra” prosegue sulla terrazza del baluardo della Campanella che affaccia sul porto interno del Seno di Ponente, dove è schierata la flotta militare. Si ricorda che il castello è stato utilizzato come importante base navale nelle due guerre mondiali, dove venne ospitato nel 1943 il re Vittorio Emanuele III e vennero dislocate le funzioni di comando per i cinque mesi in cui Brindisi è capitale d’Italia, dal settembre del 1943 al febbraio 1944. Nel

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pomeriggio del venerdì 10 settembre, il comandante della marina di Brindisi, l’Ammiraglio Luigi Rubartelli, ricevette un messaggio via radio che lo invitava ad andare incontro alla corvetta “Baionetta” ormai prossima al porto. L’ammiraglio non immaginava però che a bordo della nave ci fossero il re Vittorio Emanuele III con la regina Elena, il principe umberto, il capo del governo maresciallo Badoglio ed alcuni dei ministri e ufficiali italiani.


Lasciata Roma per evitare l’eventuale cattura tedesca, possibile dopo l’armistizio che il governo italiano aveva firmato appena due giorni prima con gli angloamericani e una volta verificato l’assenza dei tedeschi in città, Vittorio Emanuele decise di sbarcare e stabilirsi a Brindisi, dove fu ospitato nei locali dell’ammiragliato, al primo piano del Castello Svevo. Sul lato nord-ovest della fortificazione, lasciandoci il mare alle spalle, tra le due

torri cilindriche, reimpostate in epoca angioina, fu realizzato il Dongione o Mastio svevo, dove al piano terra vi era l’ingresso alla rocca. Dallo studio del mastio, si è ipotizzato che sia quello la struttura più antica del castello in quanto fa pensare che nasca su una rocca fortificata del periodo bizantino. Si nota ad esempio l’uso del cosiddetto “piede bizantino” come unità di misura nella costruzione. La struttura inoltre non è perpendicola-

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re rispetto alla cortina. Sicuramente molto altro c’è da scoprire e vedere di questo castello, come i sotterranei con le prigioni. Per ora però ci accontentiamo della possibilità di aver dato un’occhiata più da vicino a uno delle opere di difese più significative del territorio e tutte le microstorie a esse collegate, e che con voi abbiamo voluto condividere.


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michele Piccinno foto che raccolgono il temPo Lucia Accoto

Grande successo per la mostra “Guardami” di Michele Piccinno. Partita dal Must di Lecce il fotografo ha esposto di recente a Treviso nell’ambito della manifestazione “5 idee di Fotografia” allestita nel palazzo dei Trecento

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i piace osservare e sono curiosa, di novità. Mi piace anche la bellezza. Se ci fosse più bellezza avremmo più rispetto, per tutto. Per la natura, per le città, per l'arte, per i monumenti, per la stessa vita. A volte la bellezza si nasconde agli occhi di chi non sa guardare. È come se decidesse di rimpicciolirsi per non dare fastidio. Amo molte cose nella vita: la scrittura, i libri, lo stile, la fotografia. Ecco,

le foto mi piace guardarle a lungo. Tutto è venuto d'istinto osservando le foto in rete. Delle belle foto, di quelle che parlano, che ti dicono tante cose in un colpo solo, che raccontano storie in un attimo. Sono andata avanti osservando. Ho capito che questo mi apparteneva. Su Facebook ho pescato respiri, sguardi, malinconia, negli scatti di gente che non fa il fotografo di professione, ma che ha l'amore negli occhi,

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la sensibilità nella mente. Fotografi che avvertono che quell'attimo è loro. Che hanno occhi trasparenti, grandi dentro, che hanno l'obiettivo della grammatica delle emozioni. Allora, non ce l'ho fatta a resistere, a stare ferma, zitta. Ho dovuto scrivere per un capriccio di un pensiero balordo. Nelle mie dita è scivolato un teatro continuo di

sensazioni, stati d'animo che dovevano uscire in ordine. Perché tenerli sconosciuti, aggrovigliati dentro, significa perdere il profumo della bellezza. Così è diventata scrittura corrente, la mia. Circa tre anni fa scoprì il profilo Fb di Michele Piccinno. Non lo conoscevo, non sapevo niente di lui. Solo che faceva belle foto e le

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pubblicava. Lui, insieme a pochissimi altri, denuda i contorni, cancella il superfluo, raccoglie il tempo e ferma le parole che restano in uno scatto. Anche quella è scrittura. Dovevo lastricare gli attimi che passano e resistono negli istanti di un flash. Nessuna certezza mi assicurava ciò che vedeva veramente o sentiva Michele mentre fotografava. Cosa mi è servito osservare? A sfiorare le storie negli occhi degli altri, a sfiorare la bellezza. A sentire la caligine delle stelle, la vampa di ciò che non è mai perduto, lontano senza tempo. Ho trovato questo nella fotografia di Michele Piccinno, nei racconti di luce, di filtri, di trasparenza, dove niente svanisce. Gli chiesi se potevo usare i sui scatti per i miei post di scrittura citandone la fonte. Acconsentì. Poi un giorno mi chiese di scrivere un racconto che accompagnasse le sue foto, di un Salento ormai inesistente, per il suo libro fotografico. Nacque così, Guardami. Il libro dalla veste grafica raffinata, elegante, edito da Il Raggio Verde. Ho firmato il testo ma non ho potuto seguire il percorso di Guardami, dalle pre-

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sentazioni in tutta Italia, alle mostre itineranti. E questo mi è mancato, perché è come se avessi tolto qualcosa che a Guardami doveva appartenere. Ieri Michele ed Antonietta Fulvio mi hanno girato in privato il video di “Guardami” per la nuova mostra a Treviso. Sono stata ore lontana dal cellulare, spento. Oggi però voglio mettere le cose al loro posto, avendole trascurate. Auguri Michele. “Idee di Fotografia” è una mostra, curata da Giancarlo Torresani per Veneto Fotografia, da leggere come metafora del turbine delle cose che accadono quotidianamenteo o delle cose che vorremmo accadessero , attraverso cinque diversi sguardi che propongono: frammenti di realtà (Santina Pompeo), frammenti di parole (M. Piccinno e M. Cescati), frammenti di ricerca esistenziale (Roberta Cuzzolin), frammenti di Anti-realtà (A. Privitera)

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Il Tempio di Segesta, 1986ŠLetizia Battaglia

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letizia battaglia. storie di strada il valore etico della fotografia

A Palazzo Reale di Milano fino al 19 gennaio una retrospettiva con oltre 300 fotografie racconta la carriera artistica della fotografa siciliana

MILANO. Il volto teso di Pierpaolo Pasolini al Circolo Turati, i festeggiamenti per incitare l’uscita della statua di San Michele patrono di Caltabellotta, il magistrato Roberto Scarpinato in aula al processo contro l'ex - primo ministro Giulio Andreotti. Sono solo alcuni degli scatti di “Storie di strada” la mostra fotografica di Letizia Battaglia visitabile fino al 19 gennaio 2020, negli spazi espositivi di Palazzo Reale a Milano. Oltre 300 fotografie per riscostruire non solo i temi della straordinaria vita professionale della

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fotografa siciliana ma vere e proprie pagine di storia del nostro Paese. Nel bene e nel male. «La fotografia l'ho vissuta come documento, come interpretazione e come altro ancora [...]. L'ho vissuta come salvezza e come verità». Così ha parlato di sè e della sua arte, Letizia Battaglia una professionista di grande talento, una donna con una vitalità e una forza invidiabili. Vulcanica come la terra da cui proviene, una terra martoriata dalla mafia e gli eventi tragici e dolorosi lei con le sue foto li ha saputi cristallizzare


e mostrare al mondo intero. Da insider ha raccontato tutta Palermo, per non parlare del contributo dato al teatro, all’editoria e alla promozione della fotografia come disciplina. è riconosciuta come una delle figure più importanti della fotografia contemporanea non solo per le sue foto saldamente presenti nell’immaginario collettivo, ma anche per il valore civile ed etico da lei attribuito al fare fotografia. «Le due parole che compongono il suo nome scrive Francesca Alfano Miglietti curatrice della mostra sono esattamente la sintesi del suo approccio alla vita, della sua capacità di partecipare alle vicende del mondo e della sua relazione con gli esseri umani. Con tutti gli esseri umani.

Letizia è un’attivista e una fotografa che non ha mai cercato la “bella” immagine, ma ogni sua immagine è pervasa da un irrinunciabile rispetto per la verità: quella che lei fotografa, e che ha sempre fotografato, è la realtà e quella deve apparire.» Abilità tecnica e capacità di raccontare con inquadrature semplicemente straordinarie, nella mostra a Palazzo Reale si possono ammirare in sequenza una selezione di ritratti di donne, di uomini o di animali, di bimbi e poi gli sguardi sulle città, la sua Palermo in primis, e ancora sulla politica, sulla vita, sulla morte e sull'amore. Completano la rassegna due filmati che approfondiscono la sua vicenda umana

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Domenica di Pasqua, Festeggiamenti per incitare l’uscita della statua di San Michele patrono di Caltabellotta, 1984 Š Letizia Battaglia

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e artistica. Il percorso espositivo si focalizza sugli argomenti che hanno costruito la cifra stilistica ed espressiva di Letizia Battaglia quel suo modo di fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea. Quello che emerge è il ritratto di un’intellettuale controcorrente, di una fotografa che sa essere poetica e politica. «Quelle che il progetto della mostra si propone di esporre - ricorda ancora Miglietti - del percorso di Letizia Battaglia, sono ‘forme d’attenzione’: qualcosa che viene prima ancora delle sue fotografie, perché Letizia Battaglia si è interrogata su tutto ciò che cadeva sotto al suo sguardo, fosse un omicidio o un bambino, uno scorcio o un raduno, una persona oppure un cielo. Guardare è stata la sua attività principale, che si è ‘materializzata’ in straordinarie immagini». Una fotografia vicina agli ultimi, all’umanità

sofferente colta nei momenti ludici come quelli di una gita fuori porta o tra i vicoli di strade pronte a passare da scenario di festa a scene delittuose. Un’umanità - si legge nella presentazione di Domenico Piraina, direttore del Palazzo Reale «narrata con compostezza, senza cedimenti ad ipocrisie e false coscienze; per cui, le sue fotografie appaiono, quanto alle atmosfere, come trasposizioni fotografiche di uno sguardo caravaggesco e, quanto alla composizione, rimandano a quella nobile semplicità di evocazione neoclassica. (...) La fotografia della Battaglia ha una coscienza, perché non si limita a registrare ma anche a denunciare, a scuotere le menti di chi non ha visto o di chi fa finta di non vedere. Davanti alle sue immagini, non si puo’ restare indifferenti.». Meglio non si poteva dire. (an.fu.) Letizia Battaglia. Storie di strada Milano, Palazzo Reale 5 dicembre 2019 – 19 gennaio 2020

Pier Paolo Pasolini al Circolo Turati, durante il dibattito " Libertà d'espressione tra repressione e pornografia", dedicato alle censura e alla vicende processuali del film “I Racconti di Canterbury" 1972, Milano © Letizia Battaglia


Michela Maffei

La lettura dei classici, il luogo della parola che non scolora...

Leggere Guerra e pace significa entrare nella storia. Tolstoj ci porta in un'altra dimensione, nella vita di un secolo distante dal nostro per mentalità, modi di vivere, condizioni materiali. Sembra tutto così differente, la famiglia dei conti Rostòv e dei principi Bolkonski, il conte Pierre Bezuchov, i membri dell’alta aristocrazia che parlano in francese, impegnati in discorsi di onore, di coraggio, di senso del dovere e della patria, nella Russia sconvolta dalle guerre napoleoniche. Essi si trovano al centro di un turbinio di eventi e di passioni, si incontrano, si lasciano, si scontrano, non si accorgono di centinaia di altre vite che si dipanano con necessità, si intrecciano, si separano e proseguono. Ma la distanza temporale viene annullata dalla capacità di Tolstoj di proiettarti lì in mezzo, nei saloni lussuosi, al centro delle battaglie sanguinose, accanto ai soldati che durante ogni attacco guardano in faccia la morte con sorpresa e stupore: ti sembra di respirare accanto a quelle persone, di sentirne i battiti e di pensare i loro intricati e complessi ragionamenti. In quegli stati d’animo, nell’improvviso mutamento di decisioni, nelle esitazioni, nelle rabbie e negli scoppi di collera, nella descrizio-

ne dettagliata, quasi lentissima, che Tolstoj ci offre dei sentimenti eppure immediati di ogni personaggio, riconosci una persona che ti è familiare, ti spieghi meglio un comportamento, ritrovi te stesso. Questo è il vero senso, il motivo per cui Guerra e pace ti cattura e ti assorbe fino a farti vivere accanto ai protagonisti vite simili alla tua: l’universalità dei sentimenti, delle emozioni, degli impulsi, cosicché ti consola e ti rassicura la certezza di essere parte di una stessa umanità che soffre e gioisce alla ricerca di senso autentico della vita. Grazie al delicato lavoro di introspezione psicologica effettuato da Tolstoj, puoi sentire i respiri del Principe Andréi che ritrova l’amore in punto di morte e se ne distacca per ritrovare se stesso nel distacco dal mondo; i sospiri del conte Pierre Bezuchov che quando ha perso tutto, lacero e scalzo, trova la serenità interiore che non ha mai provato; la gioia incontenibile di Nataša insonne di fronte ad una luna misteriosa che si staglia in una magnifica notte di primavera. In Guerra e pace Tolstoj ritrae l’immutabilità della sostanza umana; la famiglia Bolkonski, la famiglia Rostòv, i ricevimenti, i contadini, i servi e le battaglie: qui non ci sono solo la Russia e la Francia, qui c’è l’umanità intera che vive ponendosi o sfuggendo ad un’uni-

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I LuOGHI DELLA PAROLA

rileggere “guerra e Pace” di tolstoj


Vittorio Gassman e Audrey Hepburn ina scena del film Guerra e pace 1956 diretto da King Vidor, tratto dall'omonimo romanzo di Lev Tolstoj. Alcune scene furono dirette da Mario Soldati.

I LuOGHI DELLA PAROLA

ca, appassionata, millenaria domanda: perché la vita, cos’è la morte? è questo senso del mistero della morte che attraversa Guerra e pace, come tutte le opere tolstojane, che conferisce al romanzo la sua autenticità e la sua forza di attrazione, assieme alla convinzione del significato religioso della vita. Le riflessioni sul divino e sulla morte si intrecciano a quelle sulla storia e sull’umanità: non esistono grandi condottieri che decidono delle sorti del mondo, ma tutti gli uomini insieme costituiscono un’unica forza grazie alla quale il mondo continua a procedere; non esistono spiegazioni storiche e scientifiche, ma una serie di situazioni volute dal destino, una serie di cause che tutte insieme determinano la storia. Per cui non fu Napoleone a decidere di invadere la Russia, ma le volontà e i progetti di centinaia di persone che determinarono un unico movimento in quella direzione; non fu il generale Kutuzov a salvare la Russia, stabilendo la ritirata degli abitanti da ogni città, ma la spontanea reazione popolare di fronte all’avanzata del nemico, cosicché Kutuzov si limitò a non creare ostacoli, a lasciare che il mondo procedesse. La storia non è più come pensiamo che sia, non ci sono piani strategici geniali, intelligenze superiori, ma imprevedibili situazioni fortunate, sviluppi favoriti dal destino. La descrizione della sanguinosa battaglia di Borodino, che viene vinta dai francesi, ma fatalmente costituisce l’inizio della loro disfatta, possiede un’intensità sconvolgente: si massacrano, resistono, pregano e attendono migliaia di soldati che compiono un’esperienza fondamentale: la morte. Nessuno ha il tempo di capire, come non si capisce la vita, ma ciascun soldato lottando insegna il valore del coraggio, del dovere, del sacrifico per qualcosa di più alto e nello stesso tempo mostra l’inutilità, la ferocia, l’insensatezza della guerra. In tutte le battaglie descritte da Tolstoj, da quella di Austerlitz a quella della ridotta di Borodino, incombe anche un senso di smarrimento: non esistono più ordini dati ed ordini eseguiti, tutti i piani militari si sfasciano, ogni azione viene improvvisata ed adattata

alle esigenze, perché è tutto confuso da ritardi, anticipi, errori di valutazione e poi la polvere e il fumo degli spari, il crepitio delle pallottole e il frastuono dei cannoni, le grida e il sangue. Neanche i soldati sanno dire cosa accade attorno a loro, perfino se stanno vincendo o perdendo: ci sono solo migliaia di uomini concitati sparsi su alcune verste di terreno pressati dalla paura della sofferenza e del disonore, che si dibattono per stabilire se è vita o se è morte. Il soldato Karataiev si imprime nella memoria per il suo modo pacato, sensato, sereno di vivere, come se avesse capito tutto il mondo, come se dentro di sé portasse inconsapevole secoli di saggezza contadi-

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memoria di Pierre Bezuchov, dandogli una serenità mai sentita prima malgrado le piaghe, il freddo, gli stenti, nonostante sia prigioniero dei nemici, che non sono più tali, ma solo uomini provati e stanchi. Le vicende narrate da Karataiev insegnano a Pierre la calma e la pace, donandogli una quiete interiore che aveva invano cercato, nei lussi, nell’amore delle donne, nella massoneria. I personaggi storici, lo zar Alessandro I, l’imperatore Napoleone e il generale Kutuzov, non sono descritti come eroi, ma come uomini, con i loro limiti, le loro paure, che parlano e agiscono come le persone comuni, provando stanchezza, fame, disagio. Il generale Kutuzov emoziona per questo suo modo di sentire la Russia, di essere in intima sintonia con il popolo che ama e comprende: egli attira gli odi dello stato maggiore fatto di generali in cerca di gloria, vietando battaglie inutili contro i francesi e ordinando la ritirata oltre Mosca. Tempo e pazienza sono le armi di questo vecchio stanco, pesante, che ama leggere, scrivere lettere alle figlie e a Madame de Staël, di quest’uomo saggio che non ascolta i rapporti degli ufficiali, ma li scruta attentamente in viso per cogliere nelle loro espressioni la vera descrizione dei fatti, di questo esperto militare e uomo di corte che si è assunto un unico compito: salvare la Russia e il popolo russo. Ed egli esegue con ostinazione ogni passo per portare a compimento questo compito, attenendosi alla strategia del tempo e della pazienza, seguendo con umiltà il flusso degli avvenimenti. Con una scrittura densa, copiosa e tuttavia agile, come un gomitolo semplicemente da svolgere, Guerra e pace ci mostra noi stessi nell’umanità: le passioni, le sofferenze, la ricerca del vero senso della vita, per dare un significato a ciò che facciamo in un lento dipanarsi che si svolge nei cuori velocemente e senza sosta. Capisci che siamo tutti uguali, mossi dalle stesse speranze, le stesse paure, le stesse attese. Guerra e pace si presenta come un fuoco sempre acceso che ti invita a sedere, porgendoti con grazia le risposte che non trovavi e ti spinge a cercarne altre da te.

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I LuOGHI DELLA PAROLA

na, abbandonandosi dolcemente al flusso dell’esistenza voluta da un’entità onnipotente e misericordiosa. è con questo spirito che non si lamenta delle privazioni durante la prigionia in mano dei francesi, che pure si comportano in modo amichevole con i russi; è con la stessa dolcezza che sfinito dagli stenti si lascia uccidere perché non riesce più a camminare durante la lunga e massacrante marcia a ritroso, la ritirata, dell’esercito francese. Karataiev è un uomo del popolo, capace di svolgere qualsiasi lavoro in maniera discreta, serba un animo umile e semplice, è tondo e buono come le storie che racconta la sera. Questi aneddoti si imprimono nella


la miniature PoP surrealiste di naoto hattori Dario Ferreri

Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea «L'uomo è un mondo in miniatura.» Severino Boezio

CuRIOSAR(T)E

N

aoto Hattori, classe 1975, è un artista pop surreal giapponese noto ormai a livello internazionale. Nato a Yokohama, dopo aver studiato Graphic design presso il Tokio Designer College, si è perfezionato presso la School of Visual Arts di New York dove ha conseguito il Bachelor of Fine Arts. è una sorta di visionario Bosh contemporaneo che distorce, assembla e crea figure ed esseri surreali, fantastici ed imprevedibili che attingono elementi e dinamiche visuali dallo sconfinato immaginario surreale pop che è il brodo primordiale di cui l'artista si è nutrito. Per quanto riguarda il processo creativo alla base delle sue opere, è un pò quello di un "bambino" che non si autocensura e lascia

libero sfogo alla propria ordinata creatività; lo stesso Hattori, in una recente intervista ha dichiarato: "la mia visione è come un sogno, che si tratti di un sogno dolce, un incubo o un sogno allucinato. Cerco di vedere cosa succede davvero nella mia mente e questa è una pratica per aumentare la mia consapevolezza in una creatività che deriva da un flusso di coscienza. Cerco di non etichettare o di non pensare troppo a quello che dovrebbe essere, mi limito a prenderlo così come viene e dipingo qualunque cosa vedo nella mia mente, senza compromessi. In questo modo creo la mia visione". Le sue creature sono vivide come la realtà ed al contempo esseri onirici, innocenti e

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Naoto Hattori, Planimal

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In questa pagina: Naoto Hattori, Mind gazing e Mind universe e Conductor

strani, disturbanti o divertenti e mai banali, unici nel loro genere e popolano dimensioni dove nessun altro o nessuna altra cosa esiste ad eccezione delle loro straordinarie individualità. Naoto Hattori dipinge con colori acrilici e con un livello di dettaglio maniacale

che rasenta la perfezione (usa spesso speciali minuti pennelli le cui setole entrano nella cruna di un ago!). I suoi lavori sembrano elaborati digitalmente tanta è la perfezione tecnica che l'artista mette in campo; è oltretutto uno stacanovista e, spesso, seguendo i

propri personali e ricchi flussi creativi, oltrepassa le 12 ore giornaliere di lavoro con i pennelli in mano. La maggior parte delle sue creazioni sono di minute dimensioni e vanno rapidamente a ruba tra i collezionisti in tutto il mondo. Ciascun dipinto lo fa incorniciare personalmente con cornici di sua scelta, spesso anche molto più grandi del dipinto stesso ed è anche questa una caratteristica delle sue opere. Epigoni di ispirazione dell'artista sono i grandi maestri del passato; ebbe infatti a dichiarare che: "Sebbene i miei lavori si basino sulla mia immaginazione, ammetto di ricevere costantemente ispirazione da altre persone.

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Naoto Hattori, Inner Eye

Sebbene molti artisti contemporanei siano in grado di dipingere dipinti fotorealistici ed emulare grafica computerizzata, sono più impressionato dai pittori che hanno vissuto qualche centinaio di anni fa e hanno fatto del loro meglio per dipingere nel modo più realistico possibile, perfino meglio di quanto possano ritrarre macchine fotografiche e tecnologia moderna Più guardo le loro opere, più riesco a percepire i loro sforzi e le loro passioni. Quando ho visto i loro lavori al Louvre, ho potuto percepire la bellezza, il potere, l'a-

gonia, la tenacia e la dinamica delle loro opere. è allora che mi rendo conto di cosa sia la vera arte". Il suo preferito tra gli "antichi maestri" è Jan van Eyck, dei cui dipinti ha sempre ammirato la sorprendente quantità di intricati dettagli, le composizioni e le selezioni di colori: ciò che impressiona maggiormente l'artista è il fatto che nei lavori di van Eyck si può percepire l'atmosfera del dipinto, le luci soffuse che illuminano la pelle del soggetto, la consistenza dei vestiti, l'umidità della stanza: sono, que-

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Naoto Hattori, The frog prince e Kirin

sti, primari elementi che il grande maestro olandese riesce a comunicare attraverso i suoi dipinti, e come disse Hattori sul tema . " è come se le persone che dipingesse respirassero e potessero sbattere le palpebre in qualsiasi momento e, pur se i suoi dipinti non sembrano fotografie, e la prospettiva di alcuni non è neanche corretta, per me i dipinti di van Eyck sono molto più realistici delle fotografie". Jan van Eyck o meno, Naoto Hattori è una delle stelle del firmamento pop surrealista internazionale. Ha vinto numerosi premi e riconoscimenti dalla

Society of Illustrators, dal New York Directors Club, dalla Communication Arts, solo per citarne alcuni, ed è stato pubblicato su numerose riviste d'arte internazionali. Espone in tutto il mondo; su Instagram (https://www.i nstagram.co m/naoto_hattori/) ha quasi 170.000 follower e su Facebook (https://www.f acebook.com/ naoto.hattori/) oltre 40.000. Il suo sito web https://www.w wwcomcom.c om/ è accattivante ed aggiornato in tempo reale. Che altro dirvi? Sayonara, anzi, arrivederci al prossimo articolo.

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I LuOGHI NELLA RETE | IL CONCORSO

1.I partecipanti dovranno inviare una prova di narrativa, racconto o novella, con il mare protagonista “in una stanza”. Il limite massimo di scrittura è di quattro cartelle, spazio due (2), con rigo di cinquanta battute, tipo di carattere Times New Roman, dimensione 12, entro e non oltre la data del 10 giugno 2020. Non è consentito l’invio del cartaceo, con qualsiasi mezzo. 2.Alla domanda di partecipazione, ogni concorrente allegherà una scheda, max 10 righe, con le note biografiche. 3.Il lavoro deve risultare inedito e mai premiato (e tale deve restare fino alla prima presentazione pubblica). 4.Possono partecipare al Concorso Nazionale di narrativa “Il mare in una stanza” i cittadini italiani, civili e militari, che abbiano compiuto la maggiore età alla data della pubblicazione del presente bando. 5.Tutti i racconti in concorso dovranno pervenire entro la data stabilita tramite una mail che sarà di seguito indicata. 6.I racconti selezionati saranno pubblicati su apposita pubblicazione. 7.La partecipazione al Concorso non prevede quota di iscrizione. Sarà cura di ogni concorrente, provvedere all’acquisto di un minimo di 3 (tre) copie, senza obbligo di collaborazione futura. 8.I premi consistono in: coppe, targhe e pergamene, oltre alla pubblicazione come già

indicato. Sono previsti premi speciali e segnalazioni. 9.Il giorno e il luogo della presentazione ufficiale dei vincitori sarà tempestivamente comunicato tramite mail a ciascun concorrente. 10. La giuria sarà formata da appartenenti al mondo della cultura, del giornalismo, dell’ANMI, della Lega Navale, della Scuola Navale Militare "F. Morosini” e dell’Associazione Nazionale Scuola Navale Militare “F. Morosini”. I loro nomi saranno resi pubblici durante la cerimonia di premiazione. Il giudizio della giuria è insindacabile. 11. La partecipazione al concorso comporta la piena accettazione del presente Regolamento; l’inosservanza di una qualsiasi norma qui espressamente indicata, comporta l’esclusione dalla graduatoria. 12. La cerimonia di premiazione si svolgerà il 26 settembre in una location istituzionale di prestigio che verrà comunicata in occasione della conferenza di presentazione della manifestazione. Info e contatti Segreteria organizzativa Associazione culturale ICARUS e-mail ilmareinunastanza@ilraggioverdesrl.it mobile. +39.3495791200

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obiettivi su burri. fotografie e fotoritratti di alberto burri dal 1954 al 1993 Città di Castello (Pg), Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri – Ex Seccatoi del Tabacco 2 Marzo 2019 - 06 Gennaio 2020 Info: Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri 075 8554649 riccardo zangelmi. forever young MAR - Museo d’Arte della città di Ravenna 05 Ottobre 2019 - 12 Gennaio 2020 Orario:9-18 dal martedì al sabato, 11-19 alla domenica e festivi, lunedì chiuso (il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura) Ingresso: intero 9 €, ridotto 7 €, studenti Accademia e università 5 €, omaggio bambini fino ai 14 anni e tutte le categorie aventi diritto

leonardo da vinci: visions le sfide tecnologiche del genio universale Sansepolcro, Museo Civico fino al 24 febbraio 2020 inge morath la vita. la fotografia Roma, Museo di Roma in Trastevere Piazza S. Egidio,1/b Apertura al pubblico 30 novembre 2019 – 19 gennaio 2020 Orari da martedì a domenica 10-20 La biglietteria chiude alle 19.00 24 e 31 dicembre 10.00 – 14.00. Chiuso lunedì, 25 dicembre, 1 gennaio. Info Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00) www.museodiromaintrastevere.it

i macchiaioli storia di una rivoluzione d’arte Lecco, Palazzo delle Paure (piazza XX Settembre) 4 ottobre 2019 – 19 gennaio 2020 Orari: Lunedì chiuso Martedì - venerdì: 09.30 – 19.00 Sabato domenica e festivi: 10.0019.00. Natale chiuso; 26 dicembre (Santo Stefano) e Capodanno dalle ore 14.00 alle ore 19.00. Ingresso: Intero: €10,00mRidotto: €8,00 Ridotto speciale scuole e bambini: €5,00

giulio romano a mantova Mantova, Complesso Museale Palazzo Ducale Lunedì 6 Gennaio 2020 Il servizio di prevendita dei biglietti per la mostra sarà disponibile a breve su www.ducalemantova.org o tramite call center 041.2411897.

donne nell'arte. da tiziano a boldini Brescia, Palazzo Martinengo (via dei Musei 30) 18 gennaio - 7 giugno 2020 Orari: mercoledì, giovedì e venerdì, dalle 9:00 alle 17:30; sabato, domenica e festivi, dalle 10:00 alle 20:00 lunedì e martedì chiuso. www.donnenellarte.it

natura in Posa capolavori dal Kunsthistorisches museum di vienna in dialogo con la fotografia contemporanea Treviso - Museo Santa Caterina Dal 30 novembre 2019 al 31 maggio 2020

milano anni 60. storia di un decennio irripetibile Palazzo Morando | Costume Moda Immagine, spazi espositivi piano terra, via Sant’Andrea 6, Milano 6 novembre 2019 - 9 febbraio 2020

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luca missoni moon atlas Museo MA*GA Gallarate, Via E. de Magri 1 24 novembre 2019 – 19 gennaio 2020 Orari: Lunedì chiuso; martedìvenerdì, 10|13.00 - 14.30|18.30; sabato e domenica, 11.00|19.00 Ingressi € 7,00 intero;€ 5,00 ridotto Tel. +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it hoKusai, hiroshige, utamaro. caPolavori dell’arte giaPPonese Pavia, Scuderie del Castello Visconteo (viale XI Febbraio, 35) 12 ottobre 2019 – 9 febbraio 2020 Orari: dal martedì al venerdì: 10.0013.00/14.00-18.00; sabato, domenica e festivi: 10.00 - 19.00 Intero: €12,00 Ridotto: €10,00 Info e prenotazioni:Tel.02.36638600; info@scuderiepavia.com da artemisia a hacKert. storia di un antiquario collezionista alla reggia Caserta, Reggia di Caserta 16 Settembre 2019 - 16 Gennaio 2020 PomPei e santorini l’eternità in un giorno Roma, Scuderie del Quirinale via Ventiquattro Maggio, 16 11 ottobre 2019 - 6 gennaio 2020 Orari: da domenica a giovedì dalle 10.00 alle 20.00. Venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30

dagli imPressionisti a Picasso. capolavori della johannesburg art gallery 11 Ottobre 2019 - 02 Febbraio 2020 Conegliano (TV), Palazzo Sarcinelli Via XX Settembre 132 Gli orari di apertura sono dal martedì al venerdì, dalle 10.00 alle 19.00. Sabato, domenica e festivi dalle 10.00 alle 20.00. Tel: 351 8099706 www.artika.it

ITINER_ARTE...DOVE E QuANDO...

la collezione franco farina. arte e avanguardia a ferrara 1963-1993 Ferrara, Padiglione d’Arte Contemporanea 21 dicembre 2019 – 15 marzo 2020 Orari 9.30 – 13.00 / 15.00 – 18.00 Chiuso il lunedì Info e prenotazioni www.palazzodiamanti.it; tel. 0532 244949


LuOGHI DEL SAPERE

vite nel Kaos. quindici racconti Per due autori un luogo, sguardi e la scrittura come catarsi

GABRIELE BIANCARDI LORETA FAILONI Vite nel Kaos Curcu Genovese 2019 ISBN-978-88-6876-239-1 pp.112 15,00 €

“Vite nel Kaos”, quindici racconti per due autori: Loreta Failoni e Gabriele Biancardi che hanno dato vita a “Storie, voci, volti ai tavoli di un bar” come recita il sottotitolo intrigante almeno quanto il titolo che rimanda con il pensiero al kaos nietzschiano. Non a caso è Kaos il nome dato al bar luogo d’incontro per eccellenza ma spazio metaforico per far incontrare quindici protagonisti e far gravitare storie di ordinaria quotidianità che appartengono alle comunità, senza distinzione di razza, livello sociale o religione… narrazioni capaci di dar voce al comune sentire. E già questa premessa vale la lettura del libro, edito da Curcu Genovese, con la copertina di Fabio Monauni e illustrato dall’artista Rudi Patauner capace di tramutare in segni graffianti e incisivi la vitalità degli episodi che si succedono nell’arco di una giornata. “Vite nel Kaos”. Chi nella vita, almeno una volta, non si è trovato nella situazione di Emma, di Dazim …. Lele o Chiara? Prima osservazione – cercando di non svelare nulla per carità – ad ogni capitolo è stato attribuito il nome del protagonista; che cosa hanno in comune? Il passaggio dal bar Kaos che rappresenta per Dazim più di un’occasione di riscatto, l’inizio di una nuova vita che ha il gusto del caffè e della fiducia che Ulisse, originario proprietario dell’esercizio commerciale, dimostra a lui, giovane albanese che inizia dalla gavetta e finisce per rilevare lo stesso bar a cui dà il nome Kaos perché «Secondo la mitologia greca era lo spazio aperto, il vuoto da cui tutto ha avuto inizio. Prima di tutto ci fu il caos, ha scritto Esiodo.» E pensando agli antichi e alla loro saggezza l’immagine del bar rimanda a quella di un approdo dove fermare pensieri e sentimenti. Rabbia, dolore, tristezza, gioia, insicurezza, frustazione, pronti ad evaporare tra le bollicine di una bibita o a condensarsi nella posa di un caffè consumato nello spazio di un attimo o catturati assaporando un the freddo alla pesca. Come capita ad Eveline la badante straniera che ama i libri, unica via di fuga da una vita grigia. Grigia come quella di Matteo che non ha ancora imparato a volersi bene ma sa che solo l’amore può salvarlo …Grigia come quella di Nora che si vede imprigionata in un corpo che non riconosce ma non è l’unica cosa su cui ha perso il controllo ed è così dannatamente semplice a volte perdere di vista le cose che poi davvero contano. Pagina dopo pagina, prendono forma davanti agli occhi del lettore le esistenze comuni dei personaggi che delineano come schizzi d’autore uno spaccato della nostra società contemporanea tra vizi e virtù. E allora sembra di vederla frazionata, a piccole dosi, come

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frame di un film in fase di montaggio, svelarsi e rivelarsi con il suo carico di problemi e di sogni questa umanità in cui è possibile riconoscersi. Inseguirsi. Perdersi. Sedersi ad un tavolino del bar Kaos il venerdì sera rappresenta per Paolo la trasgressione, lì si manifesta la sua isola felice, il luogo in cui può attivare la sua modalità segreta e osservare il mondo cambiando più che il punto di vista la messa a fuoco. Qui, al bar Kaos arriva Giulia per aprire una busta e leggere un responso che può cambiare per sempre la sua vita. Bene e male, vittoria e sconfitta, sogno e realtà, ragione e sentimento si intersecano nelle pagine di “Vite nel Kaos” su cui aleggia, come nella vita, prepotente il Caso. Come nel racconto di Claudia il ritrovamento casuale di un portafogli le presenterà l’uomo della vita, l’anima gemella con cui pensare di invecchiare… Strade che si incrociano e destini che si incontrano. Come si intrecciano la vita e la morte fonte del più drammatico dei conflitti: come si può accettare il dolore e l’assenza delle persone che ami? Dove va a finire l’anima di chi ha riempito d’amore la tua vita? Probabilmente nel cielo, tra le nuvole lassù mescolandosi al fumo bianco di un corpo durante la cremazione, prova a darsi una risposta Amelia per riprendere in mano la propria vita. Non ci sono risposte invece per un dramma peggiore che vive Luigi, se è disumano sopravvivere ai propri figli lo è ancora di più il pensiero di non aver saputo cogliere segnali per fermare in tempo la sua mano prima che potesse trasformarsi nel mostro sbattuto in prima pagina per l’ennesimo caso di femminicidio. Ci sono conflitti irrisolti, la vita ne è piena, ma ci sono alcuni che sono davvero irrisolvibili. Ci sono storie permeate di rimpianto come quella di Elena che il tempo della crisi ha sconvolto lasciandola precipitare in un vortice, dalle stelle alle stalle il passo è breve talvolta eppure Elena da sola tenta la risalita in ogni caso ci prova ed è questa la sua forza e anche il significato della speranza che diventa resistenza alla resa. E per chiudere il cerchio, la storia di Chanya in fuga dall’Etiopia per sfuggire all’orrore e ritrovarsi in Libia venduta come schiava a soli 12 anni. Ci sono persone che l’inferno lo hanno visto con i loro occhi e le pene le hanno vissute sulla propria pelle. Altro che chiacchiere da bar. E se a volte la vita restituisce la speranza, ci sono cicatrici invisibili, quelle dell’anima e della dignità violata, che non guariranno mai. L’estraneo fa paura. Come fa paura il diverso. Lele con la sindrome di Asperger con la sua storia ci mostra la vacuità del pregiudizio che è la massima attestazione di una sconfitta sociale e umana. L’isolamento quando non è una scelta è sempre una forma di fallimento. Diversamente è il caso della solitudine, cercata e ottenuta da Margherita che vive in cima ad una montagna una insolita favola senza principi azzurri. Che poi lo sappiamo che i principi azzurri non esistono, lo ha scoperto anche Chiara a soli 17

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LuOGHI DEL SAPERE

anni e già incinta consapevole che quella vita che scalcia dentro di lei però ha già cambiato inevitabilmente la sua. Quindici persone hanno affollato i tavolini del bar Kaos e mentre ci sembra quasi di sentire il rumore della saracinesca che Dazim abbassa in chiusura, il rumore fa tornare in mente quello di un sasso che rotola giù per una scarpata e immaginiamo Emma, la giovane donna in preda alla disperazione, sull’orlo di un baratro, che abbiamo incontrato nelle prime pagine del libro. è lei che apre la raccolta, frutto dell’invenzione letteraria con una storia lasciata a metà perché dietro le storie c’è l’autore deus ex machina che muove i suoi personaggi, li anima, li lascia sospesi a mezz’aria perché magari non è ancora il momento. Sì, il volto di Emma, bagnato dalle lacrime della disillusione, ritorna prepotentemente anche nella parte finale del libro come un medio proporzionale… strizzando l’occhio alla scrittrice, docente di matematica Loreta Failoni, immaginando una proporzione del tipo “il Kaos sta ad Emma come ad Emma sta il Kaos” mentre la quadratura del cerchio la affidiamo a Gabriele Biancardi musicista, star della radio di Trento e autore per il teatro che firma anche lui questo esperimento editoriale, a nostro avviso, perfettamente riuscito. Curiosi? Beh, il libro è davvero coinvolgente, finita una storia impossibile non continuare nella lettura, nella scoperta di quel legame che in alcuni punti è come per i francesi una liaison e poi “Bisogna avere un kaos dentro di sé per partorire una stella danzante”. L’eterno conflitto tra istinto e ragione, così ben sintetizzato nella nota frase che il filosofo tedesco Nietzsche fa pronunciare a Zarathustra, sembra aderire alle pagine di “Vite nel kaos”. Quel kaos che corrisponde all’autenticità della forza creativa che genera una stella danzante che ci piace associare, in questo caso, alla genesi della scrittura, alla sua forza catartica, al potere salvifico e immaginifico insieme, capace di vestire di senso la quotidianità delle nostre vite. Vite nel Kaos. Antonietta Fulvio

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resta l’amore intorno dedicato a Pino daniele, l’uomo, il Padre

FABIOLA SCIABBARRASI MAPI DANNA Resta l’amore intorno La mia vita con Pino Sperling & Kupfer. pp.192 2019 ISBN 9788820066703

Resta l’amore intorno è il libro di Fabiola Sciabarrassi e Mapi Danna che racconta un Pino Daniele intimo, marito, padre, figlio. Racconta l’artista partenopeo prematuramente scomparso il 5 gennaio 2015 attraverso lo sguardo intenso e potente di Fabiola, sua moglie, mamma di tre dei suoi cinque figli. Fabiola e Pino si incontrarono una sera a casa del fraterno amico Massimo Troisi. Nelle pagine del libro edito da Sperling & Kupfer. si sonocciola la storia d’amore nata da quell’incontro, la famiglia, i valori condivisi, un progetto che si è riempito di eventi intimi e quotidiani, quelli di Pino Daniele uomo ma anche di successi straordinari, di dischi, di tour, di collaborazioni, di America. Fabiola riesce, con estrema lucidità, a svelarsi attraverso la narrazione di tutta la bellezza, la fragilità, la dedizione, l'entusiasmo e il privilegio dell'essere stata accanto a Pino, ogni giorno, per vent'anni. Qui c'è la nascita delle canzoni, ma anche il tempo dedicato ai figli, agli amici, al mare. Il suo tempo intimo con la chitarra, con la scrittura, con il desiderio che lo ha portato a fare della sua vita, privata e pubblica, una continua ricerca, un continuo esperimento. Qui c'è Napoli, l'amore di e per questa città, da cui Pino non se n'è mai andato davvero. C'è Troisi, ci sono Lorenzo ed Eros, Gigi D'Alessio e Alessandro Siani, il maestro Pavarotti ed Eric Clapton. Ci sono Giorgia, Fiorella Mannoia ed Emma. E c'è la musica. C'è Sara con papà, sulla spiaggia a Sabaudia, Sofia, che con Pino la sera ripassa storia, Francesco, con lui, sul trattore in Toscana. E c'è anche la crisi, la rabbia, il dolore, la presa di coscienza di un dolore grande che deve essere attraversato per intero. C'è, soprattutto, quello che resta della bellezza di una musica che è energia e poesia e l’eredità più grande che ha lasciato, la musica e la sua voce che continua a scaldarci perché appunto, nonostante tutto, resta l'amore intorno.

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con le scarPe di cartone sulla strada di dubbi e sconfitte

LuOGHI DEL SAPERE

#LADEVOTALETTRICE | LuCIA ACCOTO

WALTER CERFEDA Con le scarpe di cartone Il Raggio Verde Edizioni 2019 PP.107 ISBN: 978-88-99679-69-9 12€

I libri non finiscono con la lettura, forse non finiscono mai. Dopo averli letti, te li racconti. Nel mentre li leggi, pensi. A lettura conclusa, rifletti. E la riflessione non sai quanto possa durare, succede anche che possa riprendere dopo anni. Per un ricordo, una parola, un’assonanza di idee. I libri servono, soprattutto a chi ha testa per mettersi in discussione. è come un tacito colloquio tra lettore e scrittore. Le domande e le risposte le devi trovare tra le righe, sopra le righe, con il ragionamento. Ma ti devi andare a cercare tutto, da solo, nel cuore, nell’anima, nella testa. Con le scarpe di cartone di Walter Cerfeda sei messo al muro, di fronte alle responsabilità di lettore. Non puoi fare finta di niente, leggere e basta. Perché è importante sapere da che parte stare. E lo sapevano meno gli italiani durante il fascismo. “Noi italiani siamo gente furba. L’unica bandiera che abbiamo è quella personale. Siamo un popolo di egoisti ed individualisti. Nella testa di ciascuno l’unica cosa che c’è è solo il proprio interesse e di come fare per arrivarci. E se tu lo ostacoli, dalla sera alla mattina, da amico diventi nemico. Sai che mio padre un giorno mi ha detto una cosa che ci ho messo un po’ a comprendere? Lui mi ha detto: Mario, nessuno al mondo ha ancora capito quale sia la natura vera di un italiano e speriamo che ciò non avvenga mai, perché da quel momento sarebbero guai. E sai perché? Perché siamo inaffidabili. Diciamo una cosa, ma non ci crediamo davvero, pronti a cambiare bandiera e dire l’esatto opposto, solo se capiamo che ci conviene di più. ora tutti fascisti ma domani pronti a tirarli una coltellata. Oggi con la camicia nera e gli stivali e domani con quella rossa o bianca. Come le banderuole o i girasoli. è così che siamo, credimi. D’altronde basta leggere la nostra storia.”

Tutti i nostri libri è possibile acquistarli direttamente dal nostro sito

ilraggioverdesrl.it

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Cosimino, Mino per tutti, questo l’ha capito sulla sua pelle. Figlio di una nobile famiglia del sud Salento, per amore insieme a Lucia se n’è andato a Roma. Le sue mani non avevano mai lavorato, ma nella capitale si è spaccato la schiena in cantiere per portare il pane a casa. il fascismo incombeva, avanzava la paura della guerra e le bombe su Roma iniziarono a cadere a pioggia. Cosimo e la sua famiglia vennero risparmiati dalla morte, il resto restava tutto: fame, miseria, incertezza. Due cose lo salvarono, l’amore di moglie e figlia ed il lavoro. Lui era fascista, partecipava al sabato fascista, alle adunate fasciste, eppure era mosso dal dubbio. E ricordava lo zio Pippi che diceva: “Che la cosa che proprio non riesco a sopportare è questa loro arroganza, come se gli altri non capissero mai niente ed il mondo l’avessero creato loro. Cognata mia, so’ ciucci e presuntuosi. Ignoranti come le capre. Dagli un libro e quelli sono capaci di farci le barchette di carta. Però sanno tutto loro e guai a contraddirli.” Informarsi è importante. Leggere, studiare, è importante, perché nessuno possa trovare terreno fertile per assoggettarti, sottometterti. Puoi cavartela da solo. E questo Cosimo l’aveva compreso, con il tempo. “Chi aveva giocato sul rancore e sull’odio? Chi aveva investito sull’istinto e l’arroganza?” ad ognuno la sua risposta, senza barare. Ho amato questo libro.

IL MAESTRO DI BLu IL ROMANZO DI OLIVIER BLEyS

OLIIER BLEyS Piemme edizioni p347 2011 ISBN 978-8856616873

Francia, XV secolo. Mastro Lucas è un rinomato tintore. La sua famiglia, come da tradizione, è specializzata in un colore, i cui segreti vengono tramandati da generazione in generazione come una preziosa eredità. Il destino di suo figlio Simon, quindi, era il rosso. Mastro Lucas non potrebbe accettare che il figlio diventi un tintore di blu. Il blu è freddo, è il colore delle nuvole che portano grandine, blu è la pelle dei naufraghi restituiti dal mare. Ma Simon pensa che il colore che viene dal cielo non poteva essere cattivo. E quando il destino un giorno lo mette sulla strada di un commerciante di pastello, si decide a seguirlo. L'uomo però non è quello che appare. è un avido manipolatore, capace fi qualunque cosa per il proprio interesse. Simon arriva a vendergli il suo talento e la sua anima. Un giorno, dopo centinaia di tentativi, ottiene il blu perfetto, ma sarà costretto a fare i conti con la scia di rosso sangue che il commerciante lascia alle sue spalle. Ve lo consiglio *****

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DIAVOLO DI uNA CAPRA, IN uN LIBRO LA STORIA E LA DIATRIBA TRA CREDO RELIGIOSO E POLITICO

LuCA BORRELLO Diavolo di una capra Il Raggio Verde edizioni 2019 pp. ISNBN € 15,00

Quando si inizia a leggere “Diavolo di una capra. Una storia dell’Italia fascista” di Luca Borrello (edito da Il Raggio Verde Edizioni di Lecce), sembra di ritornare indietro nel tempo ad un momento ben preciso del Novecento. è infatti il mese di settembre del 1939 e la vita scorre sui soliti binari in un piccolo paese del Meridione, molto simile per aspetto e morfologia ai tanti borghi sparsi sul territorio salentino, dove le case sono bianche e il sole bacia con i suoi raggi i tetti. All’apparenza tutto sembra immobile, con gli uomini che lavorano nei campi e le donne affaccendate con le mansioni di casa mentre i ragazzini scorrazzano per le strade del paese, ma in realtà, scavando a fondo, si sente l’arrivo imminente di una tempesta. Perché il 1939 non è un anno qualunque… Non in Europa, né tanto meno in Italia. Dove il regime fascista ormai consolidato continua la sua opera di indottrinamento alle regole e ai dogmi del suo credo politico, fomentando soprattutto le nuove generazioni attraverso una serie di esercitazioni settimanali a cui tutti i ragazzi devono sottostare. Ed è proprio durante una di queste esercitazioni che Oreste, un giovane appena diciottenne, si lascia andare ad un piccolo gesto di ribellione, dettato più dall’impulso che dalla ragione, contro le imposizioni del regime fascista. Sembrerebbe di fondo una sciocchezza, eppure quell’atto di libertà non passa inosservato, tanto da scatenare nel proseguimento della lettura un vero e proprio effetto domino a catena, dove oltre al povero Oreste entreranno in scena altri personaggi legati alla vita sociale, culturale e soprattutto politica del paese. E come in un vecchio film in bianco e nero, che ricorda i mitici Peppone e Don Camillo, si incattivisce man mano che le pagine scorrono, la diatriba mai del tutto assopita tra il credo religioso e quello politico. Perché se da un lato c’è il parroco del Paese convinto della buonafede del ragazzo, dall’altro c’è il segretario politico intento come non mai a far rispettare le regole del partito fascista e pronto a spedire al confino chiunque non rispetti la disciplina. E così suo malgrado, il giovane Oreste si ritrova ad essere l’ago della bilancia di un conflitto d’interessi e di posizioni tra la Chiesa cattolica e il regime fascista, nonostante tutta la vicenda si snodi in un piccolo paese di campagna lontano anni luce dai palazzi di Roma. Il finale della storia è pirotecnico, con addirittura un processo di piazza dove si mette in ballo il destino e la vita del ragazzo ormai del tutto incredulo e spaventato, ma nonostante questo sempre pronto a vendere cara la pelle. Perché di fondo Oreste (come gli suggerisce il saggio amico pastore ad inizio romanzo) è diventato metaforicamente parlando una capra. Sempre pronto ad osare e attento a non cadere mai! Stefano Cambò

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LA PATRIA ESPOSTA. ARTE E STORIA NELLE MOSTRE E NEI MuSEI DEL RISORGIMENTO

GIuLIO BREVETTI La patria esposta. Arte e Storia nelle mostre e nei musei del Risorgimento Palermo university Press 2018 pp. 354 978-8831919876

Manoscritti, giornali, stampe, proclami, lettere, manifesti, libri, fogli volanti. E poi dipinti, sculture, tempere, acquerelli, disegni, xilografie, litografie, fotografie. E inoltre armi, uniformi, bandiere e cimeli militari. Questo e altro ancora è il materiale che usualmente costituisce una mostra dedicata al Risorgimento, ideata, progettata, allestita al fine di ricostruire e ricordare un determinato episodio o la presenza di uno o più personaggi, in forma permanente, come nei musei dedicati e civici, o temporanea, allestita generalmente allo scadere di un anniversario o di una specifica ricorrenza. Questa tipologia espositiva ha da sempre costituito il mezzo più efficace per servire la pedagogia del Risorgimento rivolta dalla Patria al popolo da educare, adottata in tutte le regioni e le province del Paese che conservano oggetti e cimeli di quel periodo, specialmente in occasione di Celebrazioni nazionali, come accaduto per il 150ºdell’Unità d’Italia. Questo volume – che intreccia saperi diversi ma strettamente legati tra loro – ambisce dunque a ricostruire e ad analizzare il fenomeno espositivo a tematica risorgimentale dalla prospettiva storicoartistica prediligendo, contrariamente agli studi storici, le mostre piuttosto che i musei. Il lavoro è suddiviso in quattro parti che, al loro interno, racchiudono una scansione temporale dei principali allestimenti secondo un ordine diacronico che tiene sempre in debita considerazione il periodo storico, sociale e politico nel quale essi si collocano. La parte iniziale ricostruisce le primordiali forme espositive di Storia risorgimentale, focalizzandosi in larga parte sulla prima vera esperienza di tal genere, il celebre padiglione allestito all’interno della grande Esposizione Italiana di Torino nel 1884, e sullo sviluppo del fenomeno durante l’Italia monarchica. La seconda parte si riferisce alla lunga stagione dei Centenari (1943-1982), segnato da un avvicendarsi ininterrotto di scadenze celebrative. La terza parte è dedicata alla stagione, corrispondente all’ultimo ventennio del Novecento e al primo decennio del Duemila, marcata da una crescente sensibilità nei riguardi degli aspetti culturali e artistici dell’epoca risorgimentale, e alla conseguente nascita delle mostre storico-artistiche. La quarta e ultima parte è infine dedicata al più recente evento celebrativo, il 150ºdell’Unità d’Italia, che ha segnato la vita sociale e culturale del Paese per tutto il 2011. Giulio Brevetti dottore di ricerca in Storia della Critica d’Arte, si occupa prevalentemente del dibattito storiografico tra Settecento e Ottocento. Ha studiato l’iconografia dei Borbone delle Due Sicilie e di Giuseppe Garibaldi, le tematiche risorgimentali nella pittura meridionale, il rapporto tra pittura e fotografia, nonché la cinematografia di autori quali De Sica, Fellini e Polanski. Ha collaborato alla realizzazione di mostre e al riallestimento di sale museali. Ha all’attivo diverse pubblicazioni in cataloghi e riviste specializzate

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la barcaccia di galliPoli il teatro come Passione

Riflettori sull’associazione culturale e teatrale che porta sul palco i grandi temi dell’attualità e della storia

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un trio perfetto, Lola Giuranna, Luigi Bottazzo e Sandro Mottura, il cuore de La Barcaccia associazione culturale e teatrale nata due anni fa a Gallipoli. Ma lì , nella perla dello ionio, l’associazione muove i passi mettendo insieme quelli ventennali di un percorso che vede accomunati i singoli componenti del direttivo. Passione infatti è la parola d’ordine. Quella per il teatro, la cinematografia e lo spettacolo in generale spiega la presidente Lola Giuranna: «Sin da subito abbiamo portato sui vari palcoscenici della Provincia rappresentazioni sia comiche che di carattere sociale, collaborando più

volte con le scuole trattando temi come la Shoah, il 70esimo anniversario della nostra Costituzione, la strage di Capaci». Argomenti di pregnante attualità che contraddistinguono un’associazione molto radicata sul territorio e apprezzata anche per presentazioni di libri, concerti di musica classica e soprattutto per le rappresentazioni teatrali di cui curano tutto a partire dalla scrittura dei testi. «La caratteristica che ci contraddistingue è proprio l'essere autori di tutto ciò che portiamo in scena e nel logo non poteva mancare il simbolo che rappresenta tutto ciò, la penna, oltre ad omaggiare con le

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iniziali del nome dell'associazione il vice-presidente della stessa Luigi Bottazzo, mente e cuore pulsante di ogni progetto.» Con i loro spettacoli La Barcaccia cura sempre gli aspetti sia di natura sociale che didattica. Tra i titoli ricordiamo “Aspettando la vita”, un singolare racconto intessuto sul dramma di un uomo caduto in disgrazia, la cui sofferenza lo porterà a riconciliarsi con Dio; “La luce della dignità” in cui sono messi a fuoco momenti e memorie sui fatti ed eventi storici che hanno drammaticamente caratterizzato il XX secolo, tra i quali gli

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eventi storici del secondo conflitto mondiale; “Se…Renata di Primavera” : musica e parole in memoria di tutte le vittime della mafia la cui seconda edizione è prevista per il 28 marzo 2020. Nell’agosto 2019 la città di Galatone nell’ambito della quarta edizione della manifestazione “Music an Night” ha assegnato all’associazione un riconoscimento speciale per le capacità di portare in scena volti e storie del Novecento, definendo il loro modo di fare teatro uno strumento di educazione dell’anima.


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da imola a matera andando “veloce come il vento” Stefano Cambò

Per i luoghi del cinema a spasso tra i set del film del regista Matteo Rovere liberamente ispirato alla storia del pilota rally Carlo Capone

diretto da Matteo Rovere liberamente ispirato alla vita del pilota rally Carlo Caponediretto da Matteo Rovere liberamente ispirato

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pesso la strada del cinema s’incrocia con quella delle corse automobilistiche per raccontare e far rivivere sugli schermi la vita e le vittorie dei grandi piloti il cui nome è divenuto leggenda nel cuore dei tanti tifosi che gli hanno amati. Questo è accaduto nel 2016 con il film Veloce come il vento di Matteo Rovere, che per il soggetto si è ispirato alla vita del campione di rally Carlo Capone, conosciuto da tutti gli esperti con il soprannome di ballerino, per il modo agevole di guidare la sua autovettura durante le gare. Interpretata da Stefano Accorsi (premiato meritatamente con il David di Donatello come migliore attore e perfetto nel ruolo del vecchio campione caduto nella tossicodipendenza) e dalla giovanissima e talentuosa

Matilda De Angelis, la pellicola ripercorre la vita di una ragazza, Giulia De Martino, che a soli diciassette anni partecipa al prestigioso campionato italiano GT. Durante una tiratissima gara il padre della pilota muore per un infarto nonostante i tempestivi soccorsi dei suoi meccanici, lasciando la ragazza da sola e allo sbando. Al funerale si presenta il fratello maggiore Loris, campione di rally in un lontano passato e ora tossicodipendente, che pretende assieme alla sua compagna di ritornare a vivere nella vecchia casa di famiglia. Giulia e il fratellino Nico, accettano malvolentieri in quanto minori e a rischio di assistenza sociale. Per la prima gara senza il padre, la ragazza decide di portarsi dietro Loris come semplice

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I luoghi del cinema

Matilda de Angelis in una scena del film

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aiutante, il quale però venuto a sapere dei debiti contratti dalla sorella con un famoso produttore, si farà carico del suo allenamento e della sua preparazione atletica e mentale. Da quel momento, Giulia migliora di gara in gara, riuscendo a scalare la classifica generale, tanto che il produttore a cui deve dei soldi, le propone di partecipare ad una corsa clandestina molto pericolosa. La ragazza rifiuta, convinta di poter ancora acciuffare il titolo, nonostante la vittoria nella manifestazione illegale avrebbe determinato l’annullamento di tutti i suoi debiti. Purtroppo alla vigilia dell’ultima gara, Loris si va ad immischiare in una rissa e la sorella accorsa in suo aiuto, finirà vittima di un brutto incidente stradale, perdendo definitivamente ogni occasione di riscatto. Il fratello disperato e in preda ad una profonda crisi di coscienza, va dal produttore a cui Giu-

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Imola, Rocca sforzesca, foto di Sebastiano Iozzia (Fb | email: Iozziasebastiano@yahoo.it)

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Imola, Rocca sforzesca, foto di Sebastiano Iozzia (Fb | email: Iozziasebastiano@yahoo.it)

lia deve dei soldi e li propone di partecipare lui alla gara clandestina con la sua vecchia macchina da rally. In caso di vittoria tutti i debiti contratti dalla sorella sarebbero stati saldati per sempre. E così Loris prende parte alla corsa illegale, che viene disputata tra le campagne e le strade di Matera, riuscendo nell’ardua impresa di vincere nonostante un finale al cardiopalma che lo vede mettere a repentaglio la sua stessa esistenza. Oltre che un film sulla vita di un grande pilota, quello di Matteo Rovere è un sentito omaggio al mondo delle corse e soprattutto ad una terra che di quel mondo è la regina incontrastata. Mi sto riferendo naturalmente all’Emilia Romagna ed in particolare alla città di Imola. Questa bellissima località offre il meglio di sé durante un inseguimento in pieno centro storico tra Loris e alcuni teppisti, che risveglia l’adrenalina nello spettato-


Imola, Porta Montanara, foto di Sebastiano Iozzia (Fb | email: Iozziasebastiano@yahoo.it)

re incollato allo schermo e fa comprendere quanto sia difficile e allo stesso tempo complicato spingere il pedale del gas tra strade strette, deputate normalmente al traffico. è innegabile che tra Imola e il mondo delle corse ci sia un legame indissolubile, reso ancora più stretto dal famoso autodromo che ha visto sfrecciare le monoposto della Formula 1 fino al 2006 e il cui nome è spesso tristemente associato alla morte del grande pilota brasiliano Ayrton Senna. Ma a parte l’aspetto sportivo, la città più occidentale dell’Emilia Romagna, ha molto altro da offrire come per esempio la Rocca Sforzesca, costruita durante il Medioevo, e modello di architettura militare piuttosto diffusa in questo angolo di territorio, oggi resa più aggraziata dalla presenza al suo interno della presti-


I luoghi del cinema

Matera, foto di Lucio Maiorano


giosa Accademia Pianistica Internazionale. Procedendo verso il centro (proprio come fa il protagonista a bordo della sua vettura durante l’inseguimento), ci imbattiamo nei bellissimi e imponenti palazzi signorili, tra i quali si trova in via Fratelli Bandiera, la casa di Benvenuto Rambaldi, noto per essere stato il primo commentatore della Divina Commedia. Già che stiamo, ci soffermiamo nei dintorni per ammirare il Teatro Ebe Stignani, la settecentesca Farmacia dell’Ospedale e quello che resta del vecchio albergo El Cappello, voluto nel 1484 da Girolamo Riario, poi trasformatosi con il tempo nel più conosciuto Palazzo della Volpe. Proseguendo con il giro, c’è da visitare la Chiesa di San Domenico, con il suo prestigioso portale d’impostazione gotica e la bellissima piazza Matteotti, il cuore pulsante di Imola, ben visibile anche durante alcune scene del film che si rifanno all’inseguimento citato prima. Da qui, percorrendo a piedi solo un centinaio di metri, si può proseguire verso il Duomo, il Museo Diocesano per concludere la visita con Porta Montanara, l’ultimo esempio della cinta muraria fatta erigere dalla Signoria dei Manfredi.


I luoghi del cinema

Matera, Il fiume che divide in due i Sassi , foto di Lucio Maiorano

Per quanto riguardo l’aspetto puramente automobilistico legato al mondo delle corse, oltre all’autodromo di Imola, nel film alcune scene sono state girate anche nei circuiti di Vallelunga e Monza. Il primo, nato nel 1951 dalla trasformazione di un ippodromo, è stato intitolato nel 2006 al pilota Pietro Taruffi e rientra nel comprensorio del comune di Campagnano di Roma, conosciuto anche per essere meta della Via Francigena di Sigerico, uno dei percorsi di pellegrinaggio più conosciuti in Europa. Per il secondo, l’autodromo di Monza, il suo debutto in

Formula 1 è avvenuto addirittura nel lontano 1922. I primi a praticarne la pista furono Pietro Bordino e Felice Nazzaro a bordo di una Fiat 570. Secondo una stima della federazione internazionale, il circuito dove si svolge ogni anno il Gran Premio d’Italia, è il terzo al mondo per longevità dietro a quello di Brooklands (ormai in disuso) e a quello leggendario di Indianapolis. Ultimo luogo da visitare è la bellissima città di Matera, sede nel film della gara clandestina a cui Loris prende parte per saldare i debiti contratti dalla sorella. Dall’aeroporto di Basilicata

presso Pisticci (il cui suggestivo centro storico assomiglia molto ai borghi dell’Andalusia), la corsa percorre la strada stretta che sale sui calanchi e che attraversa in seguito il corso principale che conduce ai famosi Sassi, riconosciuti dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità nel 1992. E con le immagini da cartolina di Matera al tramonto, ci lasciamo trascinare dall’adrenalina e dalle suggestive emozioni di un film che ci ha fatto conoscere ed ammirare alcuni dei luoghi e delle città più caratteristiche del nostro amato Paese.

Pisticci, Pista Mattei, fonte sito istituzionale, www.comunedipisticci.it

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Foto di Mario Cazzato

la città Parlante/la città muta omaggio a michelangelo verri Mario Cazzato

Salento Segreto

a cura di Mario Cazzato

A proposito di memoria

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hi è Michelangelo Verri? Leccese (1817-1886) di umili origini, amico del Castromediano e di altri patrioti, Michelangelo Verri fu condannato a 12 anni di carcere nel 1848 e tradotto nelle carceri della Regia Udienza dal luogo di residenza, palazzo D'Anna (attuale Hotel Patria). Morì quasi dimenticato in casa del fratello, al civico 20 di Viale della Stazione dove solo nel 1896 in occasione delle feste del Gonfalone, il sindaco Pellegrino fece collocare una memoria epigrafica, ancora

esistente ma illeggibile. Al momento dell'inaugurazione il sindaco Pellegrino «ricordando il nobile carattere e la grande virtù di Verri, disse “che quel marmoreo ricordo murato lì in via della Stazione avvertirebbe il forestiero appena arrivato che Lecce ancora venera il patriottismo dei suoi figli, abbiano essi vestito seta o cenci, senza crudele discernimento fra il martirio dei grandi e quello degli imi». L’iscrizione incisa sulla lastra era stata dettata già nove anni prima da Luigi Tinelli valoroso patriota e insigne letterato.

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La città antica era così, carica di memorie che costituivano l'identità del luogo, il riconoscimento di un'appartenenza. Era perciò una città parlante di contro a quella moderna che esibisce solo se stessa e non si cura di queste testimonianze. Ma chiedere che almeno tali memorie siano salvaguardate è forse chiedere troppo ad una città che non riesce a collocare neanche indicazioni turistiche per i "forestieri"?


Hotel Patria un tempo Palazzo D’Anna


Salento Segreto a cura di Mario Cazzato

foto di Mario Cazzato

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Luca Tarantino fotografato da Maurizio Buttazzo

il Più bel fiore il nuovo disco di luca tarantino

Prosegue il tour del disco di debutto da solista del liutista salentino, ospite a Lecce del Xmas Guitar Contest

È stato presentato lo scorso dicembre nell’ambito della dodicesima edizione di XMas Guitar Contest, diretta da Stefano Sergio Schiattone, Il Più Bel Fiore, disco strumentale per arciliuto a 14 cori di Luca Tarantino. Liutista, compositore, chitarrista e produttore leccese, Luca Tarantino è specializzato nella ricerca e nella riproposta della musica antica, prodotto dall'etichetta discografica del Canzoniere Grecanico Salentino con il sostegno di Puglia Sounds Record 2019 (Regione Puglia Fsc 2014/2020 - Patto per la Puglia - Investiamo

nel vostro futuro). Il disco racconta l’avvento del barocco italiano, attraverso le opere dei maestri collegati alla corte di Papa urbano VIII Barberini. Le musiche, tratte da un anonimo quaderno di liuto, sono composte, infatti, nella prima metà del '600 da alcuni dei più grandi autori dell’epoca: il napoletano Andrea Falconieri (su youtube disponibile il video del brano Eco), il reggiano Pietro Paolo Melii, il veneziano Johann Hieronymus Kapsperger, il romano Arcangelo Lori e Giuseppe Baglione, figlio del celebre pittore lombardo Cesare. un

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disco/concerto - registrato in presa diretta da Valerio Daniele nelle sale del Castello "Volante" De' Monti di Corigliano d'Otranto, in provincia di Lecce - che prova a restituire all'ascoltatore contemporaneo la suggestione di rivivere un momento storico di grande fermento artistico, il nascere di quell'intensa stagione culturale che gli storici ottocenteschi chiameranno l'Epoca Barocca. Il titolo “Il più bel fiore” è un frammento del motto dell’Accademia della crusca («Il più bèl fiór ne còglie»), adattamento di un verso di Francesco Petrarca («E ’l più bel fior ne colse», Canz. LXXIII, 36)e rende perfettamente lo scopo dell'anonimo compilatore del manoscritto di Doni: raccogliere in un unico volume la vetta più alta delle composizioni del nuovo stile dei grandi liutisti della sua epoca e della sua terra. Fu il celebre musicologo pugliese Dinko Fabris nel 1984 a pubblicare un articolo sul ritrovamento del manoscritto conservato nell’archivio di stato di Perugia. Redatto da almeno tre mani diverse in periodi anche distanti tra loro, il “Libro di Leuto” di Gioseppe Antonio Doni conteneva musica per solo liuto attiorbato (arciliuto a 14 cori), in gran parte databile attorno al secondo ventennio del '600, composta da vari autori tra loro coevi. In studi ulteriori Fabris ha in seguito fornito nuovi dati circa gli uomini e i luoghi che potrebbero essere all'origine della compilazione del libro. un'opera di notevole importanza anche per la ricchezza con cui testimonia lo sviluppo del nuovo linguaggio verso cui la musica strumentale stava evolvendo, partendo dalla rivoluzione in atto nella musi-

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ca vocale già dalla fine del secolo precedente: il graduale passaggio dalla prima prattica - la composizione osservante le regole del contrappunto e della polifonia severa – alla seconda prattica – il nuovo gusto fiorentino, e poi veneziano e romano, per il canto fiorito accompagnato. Luca Tarantino ha studiato Musicologia storica e paleografia al D.A.M.S. di Bologna e dopo anni di apprendistato chitarristico con Oronzo Persano, si è diplomato in Chitarra Classica con Eugenio Becherucci, in Musica Elettronica con Agostino Di Scipio e, con lode, in Liuto con Franco Pavan. Ha frequentato corsi e masterclass di perfezionamento e davvero ricca la sua attività concertistica e discografica con le formazioni Concerto de' Cavalieri, Cantarlontano, Ensemble Terra d'Otranto, Cappella della Pietà dei Turchini, I Barocchisti, Dramatodìa. Ha collaborato con il Centro di Musica Antica Pietà dei Turchini di Napoli alla preparazione dell’orchestra giovanile Talenti Vulcanici, diretta da Stefano Demicheli, per la riscoperta e l’esecuzione di partiture inedite di compositori del settecento napoletano. Ha realizzato colonne sonore e partecipazioni musicali per film, balletti, spettacoli teatrali, siti internet, sonorizzazioni ambientali, in particolare per Cantieri Teatrali Koreja & Raiz, Astragali Teatro, Elektra Ballet, Ferzan Ozpetek, Magnitudo Film, Passion Italy - Alessandra Poli. Ha inciso per SONy - Deutsche Harmonia Mundi, EMI Classica, CPO, Brassland, Ponderosa, IRMA, Anima Mundi, Grifo, Argo, Velut Luna, Baryton, Brilliant Classics.


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