Architettiverona 127

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CONSIGLIO DELL’ORDINE • Presidente Matteo Faustini • VicePresidenti Paola Bonuzzi Cesare Benedetti • Segretario Chiara Tenca • Tesoriere Leonardo Modenese • Consiglieri Andrea Alban, Michele De Mori, Andrea Galliazzo, Federica Guerra, Roberta Organo, Fabio Pasqualini, Francesca Piantavigna, Paola Tosi, Enrico Savoia, Alberto Vignolo

Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXIX n. 4 • Ottobre/Dicembre 2021 rivista.architettiverona.it

https://architettiverona.it/rivista/

DIRETTORE RESPONSABILE Amedeo Margotto

DIRETTORE Alberto Vignolo

EDITORE Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 architetti@verona.archiworld.it

REDAZIONE Federica Guerra, Angela Lion, Luisella Zeri, Damiano Capuzzo, Filippo Romano, Leopoldo Tinazzi, Laura Bonadiman, Giorgia Negri, Marzia Guastella, Nicolò Olivieri, Davide Graniti rivista@architettiverona.it

DISTRIBUZIONE La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta all’indirizzo https://architettiverona.it/distribuzione/

ART DIRECTION, DESIGN & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PER LA PUBBLICITÀ Promoprint Paolo Pavan: T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it STAMPA Cierre Grafica www.cierrenet.it

L’etichetta FSC ® garantisce che il materiale utilizzato per questa pubblicazione proviene da fonti gestite in maniera responsabile e da altre fonti controllate.

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CONTRIBUTI A QUESTO NUMERO Luciano Cenna, Michele Coato, Antonella Dell’Orto, Michele De Mori, Davide Fusari, Paolo Galuzzi, Barbara Likar, Andrea Masciantonio, Stefano Pendini, Giuseppe Pepe, Arnaldo Toffali, Nicola Tommasini, Massimiliano Valdinoci CONTRIBUTI FOTOGRAFICI Lorenzo Linthout, Marco Toté SI RINGRAZIANO Davide Maffei, Valeria Nicolis, Federica Provoli

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

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PROGETTO

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Di mattoni, di cemento di Filippo Romano

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EDITORIALE

STORIA & PROGETTO

L’assedio di Alberto Vignolo

Ritorno a Murlongo di Andrea Masciantonio

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PROGETTO

Alla scoperta del Tesoro di Angela Lion

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PROGETTO

A riveder le Stelle di Massimiliano Valdinoci

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PROGETTO

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INTERIORS

Inossidabile spazialità di Laura Bonadiman

Nel gorgo del paesaggio di Leopoldo Tinazzi

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INTERIORS

DOSSIER

ODEON

Spina dorsale di Nicola Tommasini

Verona 2030: il quadro dei piani di Arnaldo Toffali

Una porta sul fiume di Nicolò Olivieri

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DOSSIER

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DOSSIER

Tre Piani

Sostenere la mobilità di Michele Fasoli

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DOSSIER

Un patto per il clima: energia e suolo di Barbara Likar

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DOSSIER

Una strategia per la riqualificazione e la rigenerazione urbana di Paolo Galuzzi, Antonella Dell’Orto, Martina Rossini

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ODEON

QUASI ARCHITETTI

ITINERARIO

Premiatissimi 2021 di Luisella Zeri

Atelier San Giovanni Lupatoto di Stefano Pendini, Giuseppe Pepe

Viaggio in provincia: l’Adige di pianura di Federica Guerra

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ODEON

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ODEON

Ricognizioni: appunti dalla giuria di Davide Fusari

La casa delle carte di Michele De Mori

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PORTFOLIO

Quanti paesaggi? di Marzia Guastella

Una cosa nuova: Verona Renova

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ODEON

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ODEON

Giorgio Ugolini 1938-2021 di Alberto Vignolo

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STUDIOVISIT OFF

London calling: dall’Adige al Tamigi di Michele Coato

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ODEON

Ci mette il becco LC Un Premio alla carriera: è per sempre? di Luciano Cenna

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L’assedio

Un nuovo parco pubblico, uno storico parco della memoria e la necessità di un equilibrio di gesti, azioni e segni

Testo: Alberto Vignolo

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Per chi ha la fortuna di vivere sulle pendici del Garda, che manco a dirlo “digradano dolcemente” – analogamente a quell’altro lago, nella citazione d’obbligo –, o per i moltissimi che ne usufruiscono da un punto di vista turistico in senso lato, non manca occasione di apprezzare la bellezza dei luoghi, assieme alle molteplici occasioni di vita e di sollazzo. All’interno di un sistema paesaggistico così definito, non può che apparire come un fatto positivo anche la realizzazione di un parco pubblico, sulla base del comprensibile presupposto che il luogo in cui sorge parta da una condizione di abbandono, di degrado o semplicemente di vuoto di senso. Può dunque suscitare interesse il sistema di parchi che un’amministrazione locale ha commissionato a un personaggio di spicco tra i paesaggisti operanti in Italia (nomi e luoghi sono facilmente decriptabili). Facile del resto capitarci, se si pensa che nello stesso ambito territoriale si trovano già due meravigliosi parchi, l’uno residenziale – lo “splendido cinquantenne” che ha appena dato ospitalità alla cerimonia del nostro Premio – e l’altro, poco oltre un crinale pieno di svettanti cipressi, destinato a memoriale dei caduti

germanici durante le battaglie in terra italica, qui trasferiti tra gli anni Cinquanta e Sessanta entro una mirabile sistemazione architettonica per una “eterna vacanza” sul lago. Proprio ai piedi di quest’ultimo si trova un anello della nuova “rete di infrastrutture paesaggistiche”, chiamato Parco dell’Amicizia dei Popoli, dove una semplice passeggiata fa però sorgere la sensazione di qualcosa di stridente, seminando interrogativi sul senso di questa presenza. Non si tratta certo dell’intrusione dell’artificio entro un brano di “natura”, perché non vi è nulla di più artefatto del campo agricolo che qui si trovava. Eppure, tutti gli ingredienti disposti

ordinatamente a formare il disegno del parco – il camminamento di legno, il laghetto con tanto di fitodepurazione, panche e panconi, lampioncini a led, cartelloni didattici bilingue... – appaiono come l’espressione di una correttezza manualistica, ma al tempo stesso di una sensibile estraneità al contesto. Perfetto per lo spazio aperto di una qualsivoglia lottizzazione, la nuova attrezzatura verde svisa palesemente il rapporto con il luogo, noncurante dell’intimo valore del cimitero germanico, diventato di fatto un “parco della memoria”. Non è necessario essere tedeschi – qui nei paraggi comunque in maggioranza, tra gli ospiti gardesani

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01-02. Illustrazioni di Isabella Fabris (www.isabellafabris.it).

– per venire a visitarlo: chi lo fa e attraversa i percorsi tra i morbidi cuscini di Erica, scorrendo con raccapriccio le date di nascita e di morte delle migliaia di ragazzini appena ventenni mandati a far carne da macello in tempo di guerra, trova nella ponderata gentilezza e nel profondo rispetto per il paesaggio – dall’orografia al controllo delle viste, dal carattere monomaterico di

« Una battaglia combattuta con armi di costruzione di massa (ci ricordiamo le bombe atomiche dei Piani Casa?) e che, come tutte le guerre, fa sicuramente bene all’economia » edifici e pavimentazioni alla mirabile cura e manutenzione – un senso di civiltà che va ben oltre il significato originario del manufatto. È facile constatare come il nuovo parco rientri in una serie di iniziative legate allo sfruttamento turistico del territorio: i bisnipoti degli ospiti silenti della collina, assieme a molti altri loro concittadini europei, sono infatti gli utenti esigenti – e un po’

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invasivi – di una maniera di abitare i luoghi che non concede tregua. Riempire a tutti i costi un “vuoto” pare essere la ratio imperante: persino un grande slargo a prato del parco, ci informa un cartello informativo, altro non è che uno “spazio eventi” (sic). E ancora, sempre parlando di rispetto perduto, anche le consolidate fasce che impedivano l’edificazione nei pressi dei cimiteri devono essere oramai una cosa da vecchi babbioni: del resto, i silenziosi ospiti delle città dei defunti non si lamentano né inscenano manifestazioni No-Parc. Abituati da anni di legislazioni in deroga a tutto e al contrario di tutto, non c’è in effetti da stupirsi. Chi giunga oggi al belvedere affacciato sul golfo di Garda al culmine del percorso di visita del cimitero – un punto di impagabile bellezza paesaggistica – scoprirà nel bel mezzo del cono visivo le terga di una corposa palazzina in costruzione giusto a ridosso del confine dell’area. “Non c’è più rispetto”, direbbe un canzonettiere. Non vanno meglio le cose sul versante dell’ingresso, dove uno spropositato riporto di terreno – il contrario del rispetto e della gentilezza, se parliamo della maniera di appoggiare gli edifici

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al suolo – vede sorgere un gruppo di Villen zu verkaufen. Poco più in là, una recinzione e un cartellone annunciano la futura costruzione di un ostello, ulteriore episodio di una lunga guerra strisciante: l’assedio del territorio da parte del costruito, nelle sue diverse forme (come può essere anche un parco, per l’appunto). Una battaglia combattuta con armi di costruzione di massa (ci ricordiamo le bombe atomiche dei Piani Casa?) e che, come tutte le guerre, fa sicuramente bene all’economia: l’industria degli armamenti (l’edilizia) tira un sospiro di sollievo, gli ufficiali addetti alle manovre (i professionisti) si appuntano nuove medaglie sul petto, e anche le truppe si sfamano. Alla base di ciò, rimane una contraddizione probabilmente insanabile, vissuta dalla parte degli

architetti: da una parte infatti l’ineludibile desiderio di costruire e lasciare segni sul territorio, istinto basico e primordiale – un bisogno di autoaffermazione sulla “bestia” natura, che da tempo però non risponde più a un bisogno di sussistenza –, dall’altra la necessità di un equilibrio di gesti, azioni e segni. Equilibrio che può essere ricercato, e auspicabilmente trovato, solo attraverso il progetto. Dalla lacustre collina dei dormienti, come una domestica Spoon River, le asciutte voci di chi non può più parlare chiedono sommessamente di non fare chiasso.

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PROGETTO

A riveder le Stelle

Un raffinato apparato illuminotecnico conduce i visitatori passo dopo passo alla scoperta dell’ipogeo di Santa Maria in Stelle, riaperto dopo una stagione di restauri

Progetto: arch. Lorella Marconi, arch. Cinzia Todeschini – Lucearchitettura Testo: Massimiliano Valdinoci Foto: Daniele Cortese

Verona

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Parlare del lavoro di colleghi è sempre difficile e rischioso, ma per questo raffinato progetto di illuminazione di Lorella Marconi e Cinzia Todeschini credo si possa fare un’eccezione. Soprattutto dopo averlo visto nascere, arrivato nel dicembre 2019 in Commissione Diocesana per l’Arte Sacra – della quale il sottoscritto è membro – in quanto bene di proprietà ecclesiastica (fa parte nello specifico della piccola parrocchia di Santa Maria Assunta), e in tale sede da subito apprezzato per l’approccio rigoroso e innovativo. Il tema era complesso e articolato: per le caratteristiche ambientali del luogo ipogeo e la qualità, l’importanza e la delicatezza degli affreschi che vi sono conservati; per la stratificazione storica di quanto doveva essere adeguatamente illuminato; infine per l’attesa che, dopo più di dieci anni di restauri, la riapertura dell’ipogeo paleocristiano aveva generato in tanti. L’ipogeo di Santa Maria in Stelle è una delle rare testimonianze storiche di epoca paleocristiana presenti nel nostro territorio. Situato alle porte di Verona, in Valpantena, nei pressi di una sorgente pe-

01. Cella nord, illuminazione del catino absidale. 02. Ingresso all’Ipogeo posto a destra del sagrato della Chiesa di Santa Maria Assunta, nel borgo di Santa Maria in Stelle (Verona). 03. Acquerello di Giovanni Cristofali, seconda metà del Settecento.

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« Un esempio della qualità e della necessità di un “progetto della luce” quando è necessario mostrare e accompagnare i fruitori all’interno di una narrazione dei luoghi » renne conosciuta sin dalla preistoria, nacque come acquedotto in epoca romana, e nel corso dei secoli ha avuto molte vicissitudini, venendo utilizzato da ninfeo pagano a luogo di culto paleocristiano passando per meta di pellegrinaggio. Da molti anni l’ipogeo si trovava in condizioni critiche, sia per il microclima caratterizzato da un alto tasso di umidità che per lo stato di conservazione precario delle pareti affrescate, che necessitavano di interventi di restauro. Il recupero della cella sud e la conclusione delle operazioni di restauro (condotte dal 2016 al 2019) avevano reso indispensabile ripensare anche il sistema di illuminazione del sito, che versava in con-

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A riveder le Stelle

PROGETTO 04. Concept del progetto illuminotecnico. 05. L’ingresso ottocentesco. 06. Sistema di illuminazione integrato con impianto elettrico, e particolare del proiettore con ottica ellittica per l’illuminazione della statua di Publio Pomponio Corneliano.

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dizioni precarie e non era a norma. Soprattutto era necessario che la nuova illuminazione favorisse non solo la fruizione degli ambienti ipogei, ma doveva consentire la lettura dei reperti, degli affreschi e delle iscrizioni e la loro contestualizzazione rispetto all’epoca cui appartenevano, dal I secolo d.C. all’Ottocento. I vincoli progettuali erano abbastanza stringenti, per l’impossibilità di intervenire sulle murature esistenti e potendo adoperare solo i punti già utilizzati per il vecchio impianto; il tutto in un ambiente posto a quattro metri di profondità, con tutti i parametri necessari alle criticità dal punto di vista microclimatico, e dovendo garantire la qualità e la durata dell’impianto. Vorrei raccontare in prima persona l’esperienza di fruizione di questo spazio storico musealizzato attraverso l’uso della luce: ho potuto infatti visitare l’ipogeo accompagnato dalle progettiste la mattina del Giovedì Santo del 2021, in un momento ancora difficile per la situazione pandemica, e l’esperienza, devo dire, è stata particolarmente significativa e coinvolgente.

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07. Veduta dell’antico ingresso da quello ottocentesco più recente. 08. Dettaglio della commistione tra luce naturale e artificiale nell’ingresso ottocentesco.

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Era una delle prime volte in cui si poteva uscire dopo le restrizioni, sia pur con tutte le precauzioni che il momento prevedeva, ma la bellissima giornata di sole primaverile ci ha aiutato. Sin dall’inizio, pur conoscendo il luogo, sono stato condotto in una dimensione esperienziale che non conoscevo; attraverso i diversi scenari luminosi comandati in successione da un sistema di gestione per il controllo dell’illuminazione basato sulla tecnologia wireless d’avanguardia – Bluetooth Low Energy (BLE) a basso consumo di energia, un sistema avanzato per il controllo dell’illuminazione gestito semplicemente da uno smartphone –, siamo stati condotti attraverso i diversi ambienti dell’ipogeo che le diverse scene luminose ci hanno raccontato. La discesa nel primo ambiente dove si trova la statua di Publio Pomponio Corneliano, funzionario

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romano cui si deve la costruzione iniziale dell’ipogeo, avviene agevolmente, aiutati nel passaggio dalla luce esterna a quella del vano interrato con un’illuminazione misurata dei gradini lasciata alla luce naturale, mentre quella artificiale illumina il soffitto. Proseguendo sulla sinistra si accede all’antico ingresso, che è stato illuminato dall’alto, poiché era originariamente a cielo aperto, mentre due proiettori in successione illuminano il primo con ottica super spot i piedi appartenuti alla statua di Pomponio, mentre il secondo con ottica ellittica illumina successivamente l’architrave con iscrizione, introducendoci così al lungo condotto che porta all’atrio e alle due celle nord e sud. Questo è illuminato con uno strip led a basso voltaggio sul lato destro, che consente di percorrerlo agevolmente fino all’atrio. Lungo il percorso, un

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PROGETTO

A riveder le Stelle

PREMIO AV 2021 ALLESTIMENTO E INTERNI La giuria ha attribuito il Premio ArchitettiVerona per la categoria Allestimento e interni al progetto di illuminazione dell’ipogeo di Santa Maria in Stelle il riconoscimento, con la seguente motivazione. “Per la sensibilità mostrata nel valorizzare l’unicità degli spazi ipogei e la loro storia utilizzando la luce come filo conduttore ed elemento narrativo che accompagna la fruizione del bene monumentale; il disegno attento di apparecchi ed elementi 09 illuminanti realizzati in un unico materiale si accompagna a un uso narrativo della tecnologia”.

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piccolo proiettore con ottica stretta (19°) illumina temporaneamente sulla parete una prima immagine, l’incisione raffigurante il Chrismòn, fatta tracciare dal vescovo Zeno per consacrare il luogo. L’atrio che introduce alle due celle con le scene catechetiche, anch’esso decorato sulle pareti e sul soffitto a pelte contrapposte, è illuminato dal basso con apparecchi collocati sul pavimento a griglia ai quattro angoli del vano, e dotati ciascuno di due proiettori con ottiche diverse a seconda delle scene che devono illuminare, con opportuni accessori per evitare l’abbagliamento diretto dello spettatore. Entrando nella cella a nord – la più ricca di decorazioni, con il pavimento a mosaico, gli affreschi della volta con motivo a tubi fittili, le scene catechetiche dell’antico e del nuovo testamento –, l’illuminazione è garantita da due lampade da terra, appositamente realizzate su disegno delle progettiste, ciascuna recante un certo numero di corpi illuminanti necessari per evidenziare le diverse scene dipinte alle pareti. Interessante infine l’illuminazione della cella sud, la peggio conservata e solo recentemente aperta al

VIDEO https://architettiverona.it/premio-av/ariveder-le-stelle/

09-10. Particolari del progetto illuminotecnico dell’ingresso ottocentesco e dell’atrio. 11. Veduta del condotto con particolare del proiettore per l’illuminazione del Chrismon. 12. Atrio e Cella sud con illuminazione drammatica dell’ara di epoca romana. 13. Veduta del retro dell’ara con illuminazione radente dell’inscrizione gotica.

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COMMITTENTE Parrocchia di Santa Maria Assunta Mons. Don Paolo Dal Fior PROGETTO ARCHITETTONICO LA Lucearchitettura arch. Lorella Marconi arch. Cinzia Todeschini CONSULENTI ing. Luigi Antolini IMPRESE E FORNITORI Claudio Montoli (restauri); Michele Zandonà (realizzazione impianto); Luce&Light (corpi illuminanti); Casambi (sistema di gestione impianto); Gruppo Giovannini (fornitura corpi illuminanti); Daniele Morena per SET servizi (progetto impianto elettrico); SD Corten di Davide Simone (opere da fabbro) CRONOLOGIA Progetto preliminare: 2019 Progetto definitivo e sviluppo sistema di gestione: 2020 Realizzazione: ottobre 2020-gennaio 2021

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PROGETTO

A riveder le Stelle

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pubblico dopo i restauri, dove è stata magistralmente illuminata, con due proiettori a fascio stretto utilizzando una luce drammatica, bilaterale e radente, facendola emergere all’improvviso da un ambiente completamente buio, un’ara di epoca romana. Questo elemento presenta, infatti, sul recto un’inscrizione di epoca latina dedicata alla figlia di Publio Pomponio, e sul verso un testo gotico che documenta la consacrazione del luogo da parte di Papa Urbano III e le indulgenze concesse ai fedeli in pellegrinaggio. Entrando in questo spazio vuoto, l’elemento lapideo isolato e illuminato all’interno provoca in chi entra una profonda emozione, divenendo paradigma e simbolo delle duplici origini del luogo, pagana e cristiana. Un progetto accurato e innovativo, quello delle light designers veronesi, che resterà a lungo come un esempio della qualità e della necessità di un “progetto della luce” quando si deve operare in un luogo storico stratificato, e ancor più quando è necessario mostrare e accompagnare i fruitori all’interno di una narrazione dei luoghi e delle opere che vi sono conservate.

LUCEARCHITETTURA Lo studio Lucearchitettura nasce dalla ventennale esperienza nel settore illuminotecnico di Cinzia Todeschini (laureata al Politecnico di Milano nel 2002) e Lorella Marconi (IUAV, 1999). Le due progettiste provengono da esperienze differenti nel campo della luce: l’architetto Todeschini dal mondo accademico, grazie alle collaborazioni con il prof. Lorenzino Cremonini, l’architetto Marconi dal mondo industriale dello sviluppo del prodotto. Le collaborazioni con i colleghi, progettisti architettonici, sono molteplici e riguardano tutti i settori, dal residenziale al museale al terziario.

www.lucearchitettura.it

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14. Veduta d’insieme di cella nord, atrio e cella sud. 15. Apparecchio di illuminazione realizzato su disegno per l’ipogeo: la sua forma origina dalla decorazione pittorica geometrica che scandisce le scene della catechesi. 16. Studio degli scenari luminosi con indicazione delle caratteristiche tecniche degli apparecchi.

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PROGETTO

Di mattoni, di cemento Variazioni sul tema della residenza di pregio nell’area gardesana, alla ricerca di una identità che combini rapporto con il contesto, quiete per gli abitanti, sapienza costruttiva e modernità del linguaggio

Progetto: Ardielli Fornasa associati Testo: Filippo Romano Foto: Marco Toté

Peschiera del Garda Torri del Benaco

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Due progetti residenziali recentemente completati dallo studio Ardielli Fornasa si inseriscono in un contesto socio-economico che è parte di un processo di transizione del modo di costruire e abitare sul Garda. Parallelamente alla crescita di strutture ricettive temporanee come alberghi, villaggi o case vacanze, oggi stanno nascendo nuovi complessi residenziali, orientati perlopiù a una committenza di alto profilo, sempre più proveniente da oltre confine. Di fatto, è piuttosto evidente come il Garda non rappresenti più solo un bene paesaggistico: la costa del basso lago è oggi un’importante risorsa, dove gli in-

« L’afflusso di figure non necessariamente legate al nostro territorio ha dato vita a una nuova stagione per l’architetura del Garda » teressi del settore turistico sono alla base dell’economia locale. Questa premessa permette di comprendere meglio come il settore edilizio abbia gradualmente attirato l’attenzione anche di figure non necessariamente legate al nostro territorio. Al netto di valutazioni tipicamente immobiliaristiche, è importante pensare che questo afflusso abbia dato via a una nuova stagione per l’architettura del Garda, dove il tema della residenza estiva è tornato a rivestire un ruolo centrale nella produzione edilizia e, al contempo, motivo di riflessione e innovazione riguardo i temi dell’abitare. Le opere prese in rassegna rappresentano due casi che, in modo diverso, esemplificano questi processi e ne indagano le modalità del costruire.

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Villa T

Situata in un quartiere residenziale non lontano dall’area naturalistica del Laghetto del Frassino, ai margini dell’abitato di Peschiera del Garda, Villa T nasce per una committenza privata. Fra gli aspetti più interessanti che contribuiscono alla storia di questo edificio, c’è sicuramente il fatto che questo progetto è il risultato di un concorso a inviti voluto dai committenti, grazie al quale i progettisti sono stati chiamati a pensare a un’abitazione signorile che potesse ospitare una famiglia di quattro persone durante il periodo di villeggiatura estivo. Quest’aspetto è importante innanzitutto per comprendere come fin dall’inizio fosse centrale la volontà di realizzare un’architettura di pregio, che potesse interpretare il giusto equilibrio fra tradizione e innovazione, ma anche perché mette in luce il

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01. Il fronte interno della villa riflesso nello specchio d’acqua della piscina. 02. Planimetria generale di progetto. 03. Veduta aerea della villa nell’area di pertinenza.

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Di mattoni, di cemento

PROGETTO 04. Piante del piano terra e del piano primo. 05. Dettaglio della scala in laterizio al piano interrato. 06. La passerella sospesa dell’accesso principale e particolare della trama muraria al piano terra. 07. Disegno del prospetto est che definisce le grandi aperture verso il giardino.

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fondamentale rapporto di reciprocità vento denuncia poche imprescindiche lega architettura e committenza. bili regole: la prima, di utilizzare un A seguito di opportune valutazioni lessico semplice, dove l’architettura è sulle proposte, è stato lo studio con- il risultato di unico gesto formale; la dotto da Marco Ardielli e Paola For- seconda, di limitare la scelta a un solo nasa a ricevere l’incarico per portare materiale riconoscibile nel territorio. avanti la realizzazione dell’intervento, Il laterizio color sabbia è l’elemento proponendo un progetto che convinse costruttivo utilizzato per tutte le sufin da subito per la spontanea chiarez- perfici dell’edificio, compresa la coza formale. pertura: una scelAll’interno di ta di continuità « La continuità materica un lotto regolarispetto alla tradel mattone faccia a vista re, collegato da dizione, che proenfatizza un gioco una strada privaduce, di fatto, un ta d’accesso, s’inedificio elegante chiaroscurale che nesta un volume e contemporaarricchisce le facciate » dal carattere moneo, proponennolitico, che evido ed esplorando denzia fin da una prima lettura il sem- nuove modalità e tecniche di impiego. plice linguaggio formale usato nella Le accurate trame murarie assumono composizione. Il prisma irregolare, una diversa tessitura in corrispondenche occupa la prima parte del lotto, za degli elementi di facciata, alternanè posto sull’asse est-ovest, favorendo do ampie aperture sul paesaggio ad all’affaccio diretto all’area naturalistica tre nascoste dietro i paramenti murari e cercando maggior privacy dalle case in laterizio, che filtrano la luce all’invicine. terno. La continuità materica del matIn accordo con i progettisti, l’inter- tone faccia a vista, esaltata dalla posa

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COMMITTENTE Privato PROGETTO ARCHITETTONICO E DIREZIONE ARTISTICA Ardielli Fornasa associati arch. Marco Ardielli arch. Paola Fornasa COLLABORATORI arch. Jacopo Pizzini CONSULENTI Studio ing. Roberto Daducci (progetto strutture e dir. lavori) Studio Progetto Energia (progetto e dir. lavori impianti) IMPRESE E FORNITORI Vecchio costruzioni (impresa edile), Terreal Italia (laterizi), Italfrigo (impianti meccanici), Dmax (impianti elettrici), Vitralux (serramenti) CRONOLOGIA Progetto: 2017 Realizzazione: 2018-2019

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PROGETTO

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08. Particolare della copertura in laterizio e del sistema fotovoltaico integrato. 09. Sezione costruttiva della facciata che evidenzia i tre livelli dell’edificio e la passerella di accesso al piano terra. 10. Particolare della tessitura muraria al piano terra che nasconde e filtra gli ambienti interni. 11. Particolare del sistema di raccolta delle acque piovane integrato nella copertura.

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ARDIELLI FORNASA Ardielli Fornasa è uno studio di progettazione con base a Verona impegnato nell’ambito dell’architettura urbana. Costituito da Marco Ardielli e da Paola Fornasa, ha maturato negli anni la capacità di gestire progetti complessi, in Italia e all’estero. Tra i lavori dello studio, ricordiamo la villa a Bardolino che si è aggiudicata il Premio AV nel 2015 (cfr. «AV» 100, 26-31) e, sempre in ambito lacustre, le strutture ricettive e ricreative per la riforma di un camping («AV» 110, pp. 28-35). Nel 2019-2020 Marco Ardielli ha diretto il Master in urban heritage and global tourism presso lo IUAV di Venezia. www.ardiellifornasa.com

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PROGETTO

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PREMIO AV 2021 NUOVE COSTRUZIONI Doppio riconoscimento allo studio Ardielli Fornasa, con il premio a Villa T – “Per la qualità degli spazi domestici, caratterizzati dal recupero di elementi e materiali dell’architettura rurale utilizzati in maniera figurativamente innovativa... l’attento studio del dettaglio costruttivo ha dato luogo all’aspetto monomaterico del volume a capanna, che ripropone in chiave contemporanea la solidità della casa in mattoni” – e la menzione per le ville ad Albisano “Per la capacità di definire un impianto articolato rispetto all’elevato dislivello del terreno, che garantisce autonomia alle singole unità abitative e un doppio fronte anche in chiave micro climatica...”. VIDEO https://architettiverona.it/premio-av/ villa-t/ https://architettiverona.it/premio-av/ ville-albisano/

12. Nell’interno, la doppia altezza del soggiorno e l’affaccio dal piano primo. 13. La zona giorno con la copertura in legno a vista e la grande apertura che inquadra il paesaggio. 14. Una stanza da bagno al piano primo. 15. Il soggiorno visto dallo spazio distributivo al piano terra. 12

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a corsi sfalsati in corrispondenza del piano terra, enfatizza un gioco chiaroscurale che arricchisce le facciate nelle diverse ore del giorno, riconfigurandone l’architettura e dando ritmo alle superfici in laterizio. Anche gli ambienti interni rispecchiano la sintesi formale apprezzabile all’esterno dell’edificio: l’uso misurato di pochi materiali, ampie superfici attrezzate e pochi elementi d’arredo definiscono gli ambienti semplici e domestici. Le due falde scandiscono il volume in due parti con altezze diverse, che contraddistinguono da un lato la zona giorno a doppia altezza, dove al piano terra una grande apertu-

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ra incornicia lo spazio esterno, dall’altro lato due livelli che ospitano la zona notte e i servizi dell’abitazione. Il piano interrato è illuminato grazie a un ampio cavedio ricavato a ridosso dell’edificio, al di sopra del quale una passerella sospesa nel vuoto risolve elegantemente il tema dell’accesso e conduce direttamente all’ampia zona living. All’esterno, la vasca d’acqua posta in continuità con la superficie pavimentata rappresenta il punto di connessione fra la casa e l’ambiente esterno: uno spazio ordinato inserito nel verde, che traccia i confini del costruito e instaura una relazione con il paesaggio.

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PROGETTO 16. Veduta complessiva dall’accesso nella parte superiore del lotto, che mostra il legame con il paesaggio. 17. Nel modello di progetto, i quattro volumi si innestano nel pendio integrandosi con la morfologia del terreno.

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Ville Albisano

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Il complesso di residenze realizzato ai margini del nucleo storico di Albisano e commissionato da un gruppo immobiliare altoatesino, nasce per una committenza di lusso, prevedendo all’interno di un lotto di circa 3.000 metri quadrati la realizzazione di due ville unifamiliari e di otto appartamenti in una delle zone più suggestive del territorio di Torri del Benaco. Il lotto, proteso fra via San Zeno che costeggia la parte bassa del terreno e la strada comunale di località Chinet sulla parte alta del promontorio, si

inserisce in un ambito residenziale a bassa densità in posizione privilegiata rispetto al lago: un contesto dove, a differenza dei più affollati centri storici, si ricercano quiete e riservatezza. Uno dei temi centrali è sicuramente il dialogo e la ricerca di un congruo rapporto fra il costruito e l’intorno. Il ruolo dell’architettura in questi luoghi, se pensiamo ad alcuni celebri esempi, è sempre stato di confronto e valorizzazione del territorio, e di un uso misurato del linguaggio architettonico. La strategia dello studio Ardielli Farnasa è stata quella di organizzare gli alloggi attraverso un incastro tipolo-

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COMMITTENTE Exzelent Re srl PROGETTO ARCHITETTONICO E DIREZIONE ARTISTICA Ardielli Fornasa associati arch. Marco Ardielli arch. Paola Fornasa COLLABORATORI arch. Jacopo Pizzini arch. Elia Molon CONSULENTI Studio Ing. Agosti (progetto strutture e impianti, direzione lavori) IMPRESE E FORNITORI Eurobeton (impresa edile) CRONOLOGIA Concept: 2016 Progetto: 2017 Realizzazione: 2017-2019 18

gico che potesse trarre profitto dal- essere di fronte a un progetto dalla configurazione del terreno, dove la vocazione internazionale; un apla pendenza pronunciata diventa oc- proccio pragmatico che ben risolve casione di progetto. Se da una parte, il rapporto con il contesto attraverso infatti, è chiara l’intenzione di favori- l’innesto di quattro volumi, disposti re gli affacci sull’affascinante panora- planimetricamente su diversi angoli ma, dall’altra emerge come la sequen- di rotazione. za degli spazi di Quello che ne « Passerelle, rampe transizione siarisulta è un luono sapientemengo silenzioso, e passaggi ipogei si te governati. Lo in sinergia con articolano fra le pareti spazio pubblico, l’ambiente esterin calcestruzzo a vista, o meglio semino, dove l’archidando forma a spazi pubblico, che si tettura sembra genera nel sisteottenuti per sottrazione » essere perfettama distributivo mente integrata. degli alloggi appare fluido, e genera Le coperture piane non sono una un’alternanza di ambiti che articolano scelta formale, ma, al contrario, rapla sezione di progetto e valorizzano i presentano la consapevolezza di revani meno esposti degli alloggi. alizzare un complesso coerente e Esternamente, l’architettura si svi- unitario, attraverso un’eterogenea luppa in edifici dall’aspetto solido e continuità tra interno ed esterno. austero, che suscita la sensazione di L’accesso principale avviene nella

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18. Gli ambienti di soggiorno di una delle ville e l’ampia veduta che inquadra il paesaggio. 19. Nei blocchi residenziali si distinguono le diverse finiture delle superfici in calcestruzzo a vista tra i due livelli fuori terra.

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PROGETTO

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20. Dettaglio della scala al piano interrato schermata da pannelli di rete metallica. 21. Planimetrie generali di progetto. 22. Lo spazio distributivo tra le unità immobiliari sul versante a monte degli edifici.

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parte alta del lotto, dove si percepisce tutta la complessità del progetto. Una serie di elementi di connessione a diversi livelli rompe il naturale andamento del terreno e instaura un particolare rapporto con il costruito: passerelle, rampe e passaggi ipogei si articolano fra le pareti in calcestruzzo a vista, dando forma a spazi ottenuti per sottrazione, una sorta di spazio collettivo che si lega al verde, e che, allo stesso tempo, viene modellato sulla morfologia del paesaggio. Si avverte quasi l’intenzione di abbattere barriere e confini, e di costruire un dispositivo volto alla condivisione, dove lo spazio privato e quello collettivo si fondono grazie a un’operazione d’integrazione, piuttosto che alla troppo spesso abusata cultura del recinto. Dal punto di vista planimetrico, il complesso si articola in quattro bloc-

chi quadrati di 11 metri per lato, due dei quali sono ville unifamiliari sviluppate su due livelli e dotate di piscine esterne private poste in asse con i soggiorni. Questo dettaglio fa sì che la zona giorno sia perfettamente permeabile, annullando i confini che delimitano lo spazio esterno e favorendo anche la ventilazione naturale degli ambienti. Gli altri due edifici, pensati per ospitare diversi tagli di alloggi, sono dotati di una piscina comune e di un ampio solarium posto in copertura. Il linguaggio semplice e la scelta di intervenire con pochi materiali, all’interno come all’esterno degli edificio enfatizzano le scelte formali. La struttura è interamente in cemento armato a vista gettato in opera, trattato in modo da distinguere il basamento, con un effetto lavato più materico, dal piano superiore caratte-

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23. Particolare delle scale metalliche che connettono i diversi livelli. 24. Particolare della scala a chiocciola che si articola in uno dei vuoti interni dell’edificio.

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rizzato da una superficie più levigata. Anche altri aspetti del progetto sono attentamente curati: lo studio di un verde “spontaneamente” informale, i corpi aggettanti delle piscine e le ampie vetrate che svuotano la massa dei volumi in calcestruzzo, ricordano la sobrietà e il fascino della tradizione transalpina. La sensazione è di essere di fronte ad un intervento sapientemente commisurato al contesto, dove la vera ricchezza è il risultato di un raffinato modo di costruire il progetto attraverso la convenzionalità di forme e materiali. Un luogo semplice ma altrettanto sofisticato, dove rigore compositivo e cura costruttiva ripongono l’attenzione sulla qualità dell’architettura.

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25. Veduta d’insieme che mette in evidenza l’articolazione planoaltimetrica tra le diverse parti del complesso. 26. La relazione fra i blocchi degli alloggi e il contesto definito dal verde informale, gli affacci interni e il sistema distributivo. 27. Veduta dalla piscina con la successione delle due ville in primo piano e un terzo volume ospitante gli alloggi in secondo piano.

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PROGETTO

Alla scoperta del Tesoro Il restauro di una maestosa opera fortificata sui monti Lessini è condotto con una misura attenta che dal manufatto architettonico estende al paesaggio e all’intera rete del sistema difensivo

Progetto: arch. Fiorenzo Meneghelli Testo: Angela Lion

Foto: Silvino Corso, Fiorenzo Meneghelli

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Un’opera maestosa e consolidata da oltre cent’anni di presenza nel territorio veronese, Forte Monte Tesoro, torna ad assumere un ruolo contemporaneo grazie all’intervento conservativo condotto dall’architetto Fiorenzo Meneghelli assieme all’amministrazione comunale di Sant’Anna d’Alfaedo: un’operazione titanica per una comunità di poco più di 2.500 abitanti, sita nel versante occidentale dell’altopiano lessinico. La cura con cui un tema così complesso e articolato è stato affrontato nasce da un lungo percorso: anni di lavoro di ricerca e di analisi sull’architettura militare, sulle fortificazioni e in particolare sul sistema difensivo della Lessinia, da cui ha già avuto origine tra l’altro il recupero del Forte Santa Viola1 . I forti della Lessinia si distinguono, in relazione alle tipologie costruttive ispirate alle tecniche militari, in due macro periodi: il primo va dal 1880 alla fine del secolo, e il secondo dal 1905 al 1913, vigilia del primo conflitto mondiale. Forte Tesoro (1905-1911) viene costruito in quest’ultima fase sulla sommità dell’omonimo monte, all’interno di un’area boscata di oltre 150.000 metri quadrati. All’epoca, la chimica degli esplosivi (solitamente polvere alla balistite) e il miglioramento dei pezzi di artiglieria, dei materiali, dei sistemi di puntamento e di tiro hanno portato a un consistente aumento delle gittate e del potere esplodente delle granate. Di conseguenza, le strutture di difesa hanno dovuto adeguarsi: il calcestruzzo, il cemento armato e le blindature di acciaio hanno sostituito le strutture in muratura in pietra e le volte in laterizio. Nel forte è utilizzata, solo sul Fronte di Gola, la muratura a vista in pietra locale in quanto parte non esposta al tiro diretto dell’artiglieria avversaria.

01. Il Fronte di Gola visto dal terrapieno di protezione esterna. 02. Veduta aerea del forte che evidenzia la posizione dominante a 360° dai Monti Lessini alle valli laterali che scendono verso Verona e la pianura. 03. Il compendio di Forte Monte Tesoro in sommità dell’omonimo monte, con la strada militare che collega la Caserma, la Polveriera e quindi il forte. 04. Analisi del degrado e piano degli interventi conservativi.

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La progettazione architettonica, curata dal Genio Militare, era di altissimo livello come pure l’esecuzione delle opere. Nel 2013 Forte Tesoro è stato ceduto al comune di Sant’Anna d’Alfaedo in base a un programma di valorizzazione condiviso con la Soprintendenza, il mibact e il Demanio, che prevedeva attività di carattere culturale, ambientale, turistiche e di promozione delle tipicità produttive presenti nel territorio, considerate unitariamente quale fattore di stimolo per lo sviluppo sostenibile dell’area montana. Tema progettuale non facile da condurre a causa della complessità dei manufatti su cui intervenire, soprattutto per la loro reintegrazione in un nuovo contesto sociale. Oltre al recupero del forte e della polveriera, già attuati, il programma prevede anche di intervenire sulle caserme e sulle strutture annesse, poste

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PROGETTO

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05. Progetto di recupero: piante dei tre livelli e della copertura. In evidenza i collegamenti in galleria sotterranea alla trincea verso il fronte e alle postazioni di mitragliatrici su piattaforma telescopica. 06. Sezione trasversale con l’articolazione a scalare dei tre livelli che si appoggiano ai piani del banco roccioso. 05

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07. L’uscita di sicurezza posta al livello delle batterie attraversa lo spessore del muro perimetrale in calcestruzzo e il terrapieno laterale. 08. La galleria in acciaio corten permette ai visitatori di uscire all’esterno del forte e di salire sulla copertura.

lungo la strada di accesso al forte, e la valorizzazione a scala territoriale dell’area boscata del monte. Il forte è un parallelepipedo in calcestruzzo e pietra incastonato sulla sommità rocciosa del monte con l’unico ingresso posto alla base del fossato nel fronte di gola, l’unico visibile; sugli altri tre lati è nascosto alla vista dal terrapieno che raggiunge il piano della copertura, nascondendolo completamente alla vista esterna. Dalla copertura si ha però una vista a 360° dell’intorno, dal lago di Garda e dal Monte Baldo alla Val d’Adige e alle montagne della Lessinia, con Verona in lontananza: un grande abbraccio visivo verso la montagna veronese e il suo straordinario paesaggio. L’approccio a questo luogo è volitivo, devozionale, come se la storia a un tratto riaffiorasse dalle silenti pareti. All’austerità del luogo corrisponde il rigore messo in campo dal progetto di restauro, che ha affrontato diversi aspetti a seconda della natura dei vari elementi, operando scelte puntuali in rapporto allo stato di degrado Alla pulitura e stilatura delle murature in pietra si sono affiancati consolidamenti puntuali di quelle in muratura, e il restauro conser-

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COMMITTENTE Comune di Sant’Anna d’Alfaedo PROGETTO ARCHITETTONICO E DIREZIONE LAVORI arch. Fiorenzo Meneghelli COLLABORATORI ing. arch. Andrea Meneghelli (progetto definitivo polveriera) arch. Renato Peroli CONSULENTI ing. Loris Novarini (strutture); Studio Quattrina (impianti); arch. Silvia Laiti (sicurezza) IMPRESE E FORNITORI Andreola Costruzioni Generali; Ecoscavi; Benedil; System impianti; Forall; Officina Spezia; Falegnameria Benedetti; Tecnoverde CRONOLOGIA Recupero forte: 2016-2017 Recupero polveriera: 2019 FINANZIAMENTO Regione Veneto, Fondo Comuni Confinanti; Fondazione Cariverona; Comune di Sant’Anna d’Alfaedo 09

09. Veduta dall’interno della cupola in acciaio corten nel vano in cui era collocata la postazione di mitragliatrice. 10. Veduta della copertura con le cupole in corten, una ricostruzione evocativa delle cupole corazzate priva dell’inserimento del cannone.

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PROGETTO

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PREMIO AV 2021 RESTAURO E RECUPERO Al restauro del Forte è stato attribuito il Premio ArchitettiVerona nella categoria Restauro e recupero, con la seguente motivazione: “Per il carattere colto e accurato di un intervento condotto con un attento approccio filologico, a partire da un’analisi dell’intera rete difensiva e attraverso il ruolo culturale del progetto nel far scoprire alla comunità questa struttura monumentale; la misura attenta e minimale del recupero, condotto con il coinvolgimento delle maestranze, è aperta a una potenziale valorizzazione che dal forte si estenda all’intero colle”. VIDEO https://architettiverona.it/premio-av/ monte-tesoro/

11, 13. Interno del corridoio all’ultimo livello, da cui si accede con ripide scale alle batterie di artiglieria corazzate intervallate dai locali di deposito dei proiettili. Il restauro è improntato al minimo intervento conservando le murature, gli intonaci, le pavimentazioni, ecc.

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vativo di pavimentazioni, serramenti in legno, ec- metalliche e un cavedio che separa le murature del cetera. Nella definizione degli interventi per l’ac- forte dal banco roccioso, inserendo impianti meccessibilità e la fruizione pubblica del forte, è stato canici solo al piano terra nei locali di accoglienza scelto l’acciaio corten per le necessarie integrazioni. e a servizio dei visitatori. Infine negli spazi esterNei locali interni al prini sono stati ricostruiti mo e al secondo piano, i profili geometrici dei « Il forte è un parallelepipedo destinati a esposizioni terrapieni, poi inerbiti, in calcestruzzo e pietra incastonato e recuperata la trincea in temporanee, sono state sulla sommità rocciosa del monte conservate le superfici calcestruzzo. murarie di pareti e volUna delle scelte di foncon l’unico ingresso posto alla base te, evitando alterazioni do del progetto è la ridel fossato nel fronte di gola » nei materiali e nelle cromozione della copertura mie, inserendo un’imin lastre di pietra locale piantistica a vista in analogia con quella origina- realizzata negli anni Settanta a protezione dalle inria dell’edificio – all’epoca della sua realizzazione, filtrazioni d’acqua; impermeabilizzando l’originale molto avanzata. Analogamente, è stata conservata estradosso in calcestruzzo, si è ridata una corretta la ventilazione naturale dei locali tramite tubazioni lettura storica dell’opera difensiva. Le lastre di re-

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FIORENZO MENEGHELLI

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cupero sono utilizzate nelle copertine dei muri di contenimento dei terrapieni e in altre opere esterne. Sulla superficie in calcestruzzo resa praticabile sono poste sei cupole in acciaio corten in corrispondenza dei pozzi di artiglieria dove erano posti in origine i cannoni, che avevano la possibilità di ruotare a 360°. Al corten è affidato il valore di segno contemporaneo anche per l’inserimento – l’unico, oltre a un elevatore meccanico posto all’estremità del lungo corridoio longitudinale – necessario per garantire la fruizione degli spazi del forte, una uscita di sicurezza che attraversa lo spessore di circa 4 metri della muratura e si protende con una struttura scatolare metallica verso l’esterno, dando forma a un cannocchiale visivo sul paesaggio che per contrasto – sostiene lo stesso Meneghelli – fa comprendere il senso di chiusura e di isolamento che i soldati erano costretti a vivere, dovendo restare per lunghi periodi entro le mura del forte in spazi illuminati solo artificialmente. La metodologia e le scelte progettuali adottate per il recupero del forte valgono anche per il recupero della polveriera, il cui portale monumentale si incontra

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12. Galleria di fucileria in calcestruzzo a vista, parzialmente inserita nel terrapieno del forte: una delle poche esistenti nell’arco alpino, che si è conservata fino ad oggi nella sua nitida e moderna geometria.

Laureato allo IUAV di Venezia, ha svolto attività di ricerca presso il Politecnico di Milano. È membro di istituzioni e associazioni quali l’Istituto Italiano dei Castelli-sezione Veneto (di cui è presidente); ICOMOS/IcoFORT; responsabile del Centro Studi sui sistemi fortificati di Forte Marghera (Venezia), coordinatore della Rete dei Siti Fortificati. Sul recupero delle opere fortificate ha organizzato convegni e pubblicato volumi, tra cui Le Mura e i Forti di Verona (2006) e Verona. Un territorio fortificato (2012). Opera nel campo del restauro di edifici storici e in particolare dell’architettura militare, partecipando a concorsi nazionali e internazionali.

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PROGETTO

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14. La polveriera “in grotta”: l’ingresso con bugnato ad arco è una citazione classica che caratterizza ancora l’architettura militare dei primi del Novecento. 15. Sezione trasversale: dal basso, l’ingresso della polveriera e la

lunga scalinata che conduce alla base del forte. 16 Interno di uno dei due locali della polveriera, con i ruderi di una “casetta” in muratura che serviva a proteggeva le polveri dall’umidita della grotta.

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a una quota inferiore lungo il percorso di accesso al colle, che ha messo in luce anche la vertiginosa scalinata con l’impianto meccanizzato per trasportare le cassette delle polveri dalla polveriera al forte, dove al piano terra venivano confezionati i proiettili di artiglieria, che giungevano poi attraverso elevatori meccanici al piano delle batterie di artiglieria. Anche in questo caso, l’avvio dei lavori è stato preceduto da una profonda indagine preliminare atta a identificare la natura e l’origine di ogni elemento, includendo analisi e rilievi architettonici che non lasciassero spazio a errori. Il lavoro certosino affrontato dall’architetto Meneghelli e dai suoi collaboratori ha tenuto conto di tutte le peculiarità che potessero emergere da un sistema fortificato di tale forza e unicità, lasciando in secondo piano un approccio puramente personale. L’analisi dell’architettura nel suo insieme è a dir poco fondamentale per un lavoro compiuto rispettandone la natura e i principi che hanno portato alla sua costruzione. Per questo alla base vi è un principio di reversibilità dell’intervento, in modo da assicurare un approccio quanto meno invasivo, facendo sì che le aree di lavoro siano riconoscibili a salvaguardia della bellezza delle parti originali. La categorizzazione delle attività di restauro non è, quindi, particolarmente rigida, ma segue questi semplici principi in grado di valorizzare al meglio l’opera storica e la sua ritrovata bellezza.

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Sito nel comune di Grezzana, Forte Santa Viola è stato recuperato negli anni 2005-2014 su progetto degli architetti Fiorenzo Meneghelli e Massimiliano Valdinoci, autori anche del volume Il sistema difensivo della Lessinia, Orion, 2010. Cfr. anche «AV» 87, pp. 87-88).

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PROGETTO

Nel gorgo del paesaggio L’annesso a una cantina vinicola definisce una sceneggiatura di elementi che assolvono alle funzioni richieste e propongono un’interpretazione dello spazio filtro di accesso all’azienda per i visitatori

Progetto: Bricolo Falsarella associati Testo: Leopoldo Tinazzi Foto: Atelier XYZ

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Sommacampagna

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Il brolo è un tipico annesso delle costruzioni di campagna venete. Storicamente, la sua funzione è quella di filtrare il rapporto tra l’interno e l’esterno. Nasce dunque per un’esigenza funzionale e ha un significato che trae la sua origine dal rapporto del costruito con il paesaggio. In questo senso, esso diventa una parte fondamentale della vita nella villa di campagna: uno schermo che si pone come mediatore tra l’uomo e la natura. All’interno della continua trasformazione che ha visto mutare e arricchirsi le attività della Cantina Gorgo a Custoza, l’addizione del nuovo brolo ad opera dello studio Bricolo Falsarella rappresenta l’ultimo capitolo di un racconto architettonico che ha scritto la storia recente di questo luogo. Il ripensamento degli spazi dell’azienda è infatti iniziato con la prima importante ristrutturazione del

anche per il nuovo annesso di un insieme di dispositivi spaziali, che posti sulla scena instaurano un dialogo tra di loro. Il progetto si compone infatti di nove “attori”, elementi che assieme assolvono alle nuove funzioni e propongono un’interpretazione dello spazio filtro di accesso all’azienda. Non sono quindi oggetti a se stanti, ma componenti interrelati che interpretano il proprio ruolo a seconda della funzione e della posizione. La sceneggiatura che ne risulta è un racconto aperto: risulta infatti difficile trovare un punto di inizio. L’intento dichiarato è infatti quello di generare domande, attivando un’interpretazione critica nel visitatore. Il progetto è partito dalla necessità di confrontarsi con le quote naturali del terreno. Il brolo, infatti, è un’estensione rettangolare esterna al gruppo

01. Vista zenitale della cantina con il nuovo intervento sulla sinistra. 02. Schizzo dal quaderno di progetto con i dispositivi o “nove pezzi facili”. 03. Il fronte esterno del padiglione che chiude il brolo.

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« Un palcoscenico privato e protetto ma al contempo aperto verso il paesaggio, filtrato da una serie di quinte di separazione dall’esterno » 2004 (cfr. «AV» 92, pp. 40-49), in cui la corte rurale, convertita a cantina trent’anni prima, è stata riattivata con una serie di interventi riguardanti l’organizzazione della vita e del lavoro. Quest’opera di ridisegno ha principalmente interessato il rapporto tra gli edifici esistenti, riallineandone le gerarchie attraverso alcune demolizioni e l’inserimento di innesti portatori di nuovo significato. Così come in questo primo intervento, la strategia compositiva dello studio Bricolo Falsarella si è avvalsa

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PROGETTO

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04. Il grande camino a disposizione dei momenti enogastronomici ospitati dalla cantina. 05. Veduta del padiglione dall’interno del brolo. 06. Planimetria dell’intero complesso. 07. Particolare della grande trave di copertura del padiglione. 08. Il passaggio (con citazione scarpiana) tra le due quote di progetto.

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di edifici dell’azienda, che raccorda l’edificio di testa della corte agricola con il terreno in discesa da cui i visitatori accedono alla proprietà. La necessità di unire queste due quote ha portato alla creazione di due livelli di progetto. Il livello a monte, dal quale si accede all’interno del recinto, è delimitato dall’alzero (dispositivo 1), un muretto in calcestruzzo che contiene la fascia di terreno a L connessa alla villa e alla strada di accesso carrabile. Questo è lo spazio da cui si gode la vista migliore sul paesaggio e nello specifico verso l’ultima collina morenica a sud, prima dell’inizio della pianura padana. A questa quota si trova anche il grande camino (4), posto come separazione visiva tra l’accesso pedonale e quello carrabile (5 e 7) sul lato opposto. In corrispondenza del camino, una pavimentazione segna il luogo

della convivialità, con un grande tavolo posto al centro di questo piano lapideo. Addentrandosi in profondità verso il giardino, si arriva a dei gradini sfalsati, di memoria scarpiana, che portano al livello inferiore, quello della grande vasca d’acqua (8). In questo specchio rettangolare si trova l’eco della tradizione delle ville venete, con un ritaglio di acqua morta (simulata attraverso il plumbeo rivestimento interno della piscina) che riflette il cielo più che far intravedere le proprie profondità. A chiudere il brolo sul lato più esterno si trova quindi un padiglione (3) rivestito in pietra e sormontato da una copertura piana in calcestruzzo a vista, composta come un’unica grande trave. Questo padiglione, oltre ad accogliere le funzioni connesse alla piscina, si pone come grande cannocchiale visivo sul paesaggio, at-

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COMMITTENTE Azienda agricola Gorgo PROGETTO ARCHITETTONICO E DIREZIONE LAVORI Filippo Bricolo Bricolo Falsarella associati COLLABORATORI Francesca Falsarella (sicurezza), Giacomo Scabbio, Elisa Bettinazzi, Nicolò Garonzi, Filippo Marcolongo, Paolo Zerman CONSULENTI Contec Ingegneria (progetto strutture), Enrico Magagna (collaudo strutture), Michele Leso (geologia) IMPRESE E FORNITORI Edilstasi & CO. (opere edili), Tecnica Verde – San Benedetto Group (giardini e paesaggio), Isola Verde (piscina), Falegnameria Santi (falegnameria), Forme di Luce (illuminazione) CRONOLOGIA Progetto e realizzazione: 2016-2021

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PREMIO AV 2021 SPAZI PUBBLICI E PAESAGGIO Il Premio ArchitettiVerona, categoria Spazi pubblici e paesaggio, è stato attribuito al brolo della cantina Gorgo con la seguente motivazione: “Per la costruzione di un paesaggio rappresentativo del contesto vitivinicolo attraverso l’uso di sequenze narrative composte da elementi vegetali ed elementi costruiti; la misurata qualità sensoriale degli spazi mette in gioco con raffinatezza materiali costruttivi – calcestruzzo armato, ferro, legno – e materiali naturali – acqua, prato, alberi, arbusti – che definiscono l’architettura del luogo”. VIDEO https://architettiverona.it/premio-av/ brolo-gorgo/

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09. Gli infissi scorrevoli aprono la vista dal lavabo sospeso al giardino. 10. Il recto del quaderno di progetto. 11. La zona doccia che, dopo un passaggio coperto, torna a cielo aperto. 12-13. Il lavabo con l’infisso in legno aperto e chiuso. 14. Schizzo del prospetto interno del padiglione.

traverso un’apertura orizzontale che lo attraversa nella parte centrale, in asse con lo specchio d’acqua, e consente il rapporto con l’esterno anche da questa quota. Da qui si coglie il senso fondamentale di questo spazio, ovvero quello di un palcoscenico privato e protetto ma al contempo aperto verso il paesaggio, filtrato da una serie di quinte di separazione dall’esterno. Sui lati lunghi, infatti, il brolo è chiu-

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so da filari verdi, formati da alberi e piccoli arbusti sul lato a monte (6) e da una siepe e un vigneto didattico lungo il lato a valle (2 e 9), quello da cui accedono i visitatori. La frammentarietà di questi margini perimetrali trasmette il senso generale di questa composizione per singoli episodi aggregati, ovvero la rinuncia a una costruzione monumentale dal significato univoco, ma l’invito piuttosto alla scoperta di una serie di esperienze generate da un approccio che fa del ricordo delle atmosfere della vita nella campagna veneta il motivo principale della necessità di progettare. Sono infatti i giochi di luce, le penombre, gli odori e i suoni, le materie prime che, attraverso il progetto, trasmettono a questo giardino contemporaneo il senso dell’essere necessario al racconto del luogo in cui sorge e della vita di chi lo abita.

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BRICOLO FALSARELLA Filippo Bricolo e Francesca Falsarella fondano nel 2003 lo studio BFA, concentrato prevalentemente sul tema del riuso e degli interventi sul patrimonio esistente. Il primo nucleo dell’ampliamento della Cantina Gorgo a Custoza è pubblicato su «AV» 92, pp. 40-47. Filippo Bricolo (1970) si laurea allo IUAV dove consegue il Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica. Ha insegnato a Parma e Venezia e, dal 2012, presso il Polo Territoriale di Mantova del Politecnico di Milano. Dal 2006 al 2009 ha diretto «AV». www.bricolofalsarella.it

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PROGETTO

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15. Il fronte interno del padiglione con la grande vasca d’acqua-piscina. 16. La piscina con la parete verde che separa dal percorso di accesso sul lato sud. 17. Disegni di studio della parete verde che delimita il brolo sul lato sud.

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STORIA & PROGETTO

RITORNO A MURLONGO

Una rilettura del progetto di Angelo Mangiarotti per il parco residenziale costruito nel 1971 su iniziativa di Giancarlo Pederzoli, committente fedele all’architetto milanese Testo: Andrea Masciantonio Foto: Marco Toté

Costermano sul Garda

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A Milano, in via Sant’Orsola 1 si trova la sede dello studio BCV Progetti. Varcato il portone d’ingresso sulla strada, ci troviamo in un edificio silenziosissimo di appartamenti e uffici, che profuma di cicli ormai decennali di detergenti dalle delicatissime fragranze; spazi semplici e razionali nel quale ha trovato riparo una rigogliosissima, isolata ringhiera in ferro battuto, come certe piante ricciute sulle fragilità tetre del calcestruzzo, ci conducono all’ingresso dello studio. L’ingegnere Alberto Vintani ci accoglie molto cordialmente sulla porta e ci introduce in una sala con un grande tavolo su cui sono disposte, in bell’ordine, pubblicazioni, libri, riviste aperte, fotografie: si sta allestendo tutto l’apparato tecnico per l’intervista su Angelo Mangiarotti che rilascerà e di cui noi non siamo che semplici ascoltatori venuti da Verona1. Sarebbe preferibile continuare nella cronaca di questo incontro innanzitutto per onorare giustamente l’ospitale disponibilità di Vintani, ma soprattutto per concederci il lusso, ormai davvero raro, di parlare con un professionista che ha svolto, insieme ai propri colleghi, una carriera di strutturista d’eccellenza accanto a importantissimi progettisti contemporanei (Mangiarotti, appunto, ma anche Aulenti, Bellini, Gregotti…) di cui ricorda la collaborazione con lucida professionalità e sobrio equilibrio intellettuale e verbale. Tuttavia, per ragioni “scientifiche” non meno che geografiche, a seguito di questo nostro incontro a Milano ci limitiamo qui a qualche breve riflessione su due opere di Angelo Mangiarotti che ancora esistono in territorio veronese2 e che videro, appunto, il contributo dell’ing. Vintani per le verifiche strutturali e il dimensionamento delle opere in c.a. e in acciaio. Dopo essere stato a bottega presso lo studio di ingegneria Finzi-Nova, Alberto Vintani, assieme ai propri compagni di apprendistato Giulio Ballio e Giovanni Colombo, aprono nel 1970 un proprio studio non lontano dalla sede dell’atelier Mangiarotti con cui iniziano una attività di collaborazione.

01. Veduta del rapporto strettissimo tra costruito e ambiente naturale: un alloggio a due piani e il suo contesto. 02. La colonia di cipressi come elementi integranti del disegno generale del complesso edilizio. 03. L’ingegnere Alberto Vintani, dello studio BCV di Milano, a fianco di Mangiarotti in molte opere a partire dal 1970. 04. Estratto dal depliant pubblicitario per il Parco di Mur Longo, 1972.

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La prima occasione è, in effetti “la presa visione dei suoi schemi, delle sue indicazioni” per villa Pederzoli a Bardolino; e nella medesima occasione e per il medesimo committente, per il complesso abitativo di Murlongo a Costermano. Le vicende dei due progetti si sovrappongono cronologicamente, almeno nelle fasi di genesi iniziale; e così, iniziamo la nostra passeggiata nell’architettura di Mangiarotti proprio da Murlongo, approfittando della dolcezza autunnale del sito e dell’atmosfera di diporto di cui si può godere lassù, ripromettendoci di accompagnarvi a casa Pederzoli, molto presto. 03

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STORIA & PROGETTO

Parco Mur Longo

05. Pianta generale dell’intervento completo dei due stralci previsti. 06. Dettaglio del rapporto cromatico e materico tra i muri in cls e pietra faccia a vista e l’ambiente. 07. Dettaglio del muro in cls e pietra faccia a vista; in secondo piano il muro prima di un recente “restauro”. 08. Veduta di una terrazza. 05

“Un’architettura di grande prestigio per la casa delle vacanze e di fine settimana”. Così un agile depliant di accattivante composizione grafica, prodotto dalla società ISA Tourist sas con sede a Costermano, chiarisce senza equivoci e colla sintesi violenta e talvolta banalizzante di uno slogan pubblicitario la redditività economica che il Parco Mur Longo – così la grafia in uso allora –, realizzato da Mangiarotti nel 1971, doveva dispiegare a fronte degli investimenti sostenuti dal committente, dottor Giancarlo Pederzoli3. Su un’area di assoluta qualità paesaggistica, posta sul declivio di una dolce dorsale morenica orientata verso lo specchio orizzontale del lago da un lato e sulla campagna interna dall’altro, vengono disegnati 59 alloggi, in parte aggregati e in parte isolati, disposti su uno o due piani, con percorsi esclusivamente pedonali e aree di pertinenza private rigorosamente contenute allo stretto necessario per privilegiare, piuttosto, gli spazi di uso comune ( percorsi e piscina). Il depliant insiste sul repertorio dei materiali utilizzati nonché sulla varietà degli alloggi, riconducibili a una rigorosa modularità combinatoria che si dispiega in tutte le sue variazioni, per offrire il massimo della flessibilità planimetrica. Tale “colonia” di alloggi è avvolta da una tale rigogliosa vegetazione da rendere possibile, per il sito, l’uso del termine parco, segnato dalla monumentalità stiliforme di cipressi neri e da un vegetazione pavimentale di ulivi e altre specie. Tuttavia, prima di proporre qualche riflessione sull’opera, è necessario precisare il “livello” della committenza, e individuare le origini tutt’altro che banali di uno slogan che solo in parte dà ragione della sensibilità e dell’impegno del committente. Pressoché in parallelo all’incarico assegnato a Mangiarotti per la progettazione della propria casa sul sito del roccolo Cavazocca a Bardolino4, infatti, Pederzoli acquistò la quasi totalità delle azioni della società che già aveva avviato un progetto

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di lottizzazione dell’area di Murlongo. La frequentazione assidua con Mangiarotti per il cantiere della casa e la probabile perplessità sulla qualità del progetto acquisito con le succitate azioni spinsero l’imprenditore veronese, secondo la testimonianza di Alberto Vintani, a chiedere un parere all’architetto, che propose un nuovo progetto certo fortemente condiviso anche sul piano culturale dal committente5. Non si tratta infatti di una scelta epidermicamente formale, fondata sulla semplice adesione a un repertorio estetico “firmato”, quanto piuttosto della promozione di una ben precisa idea dell’insediamento collettivo-turistico, talora anche “sperimentale” e antieconomico se ci riferiamo alla semplice logica che associa, in una relazione biunivoca stringente, il massimo guadagno derivante dalla vendita immobiliare al massimo di metratura esclusiva associata a un alloggio. In quegli anni, la progettazione di nuovi insediamenti residenziali si confronta con tensioni politiche, culturali e sociali; la legge Ponte recentemente approvata (1967) cerca di ricondurre a un’ordine l’espansione urbana attraverso l’obbligo di strumenti di pianificazione e controllo. Si dibatte di alloggi sociali e di residenze intensive a basso costo, ma è anche il periodo delle grandi lottizzazioni turistiche, dei “villaggi”, per i quali 07

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STORIA & PROGETTO il rendimento finanziario rimane l’unico obiettivo. Raramente si pone il tema della struttura del paesaggio come dato vincolante la morfogenesi dell’architettura. Il linguaggio, invece, a volte è esibito per aberranti riproposizioni in stile regionale, e non come necessità espressiva per stabilire un colloquio col territorio e tra le parti di esso; poche voci, isolate, affrontano, nel caso “provinciale”, nel luogo non simbolo, tali questioni 6. L’intervento di Murlongo si muove lungo una linea di libera controtendenza e di rigorosa coerenza intellettuale rispetto agli atteggiamenti largamente diffusi in uno dei periodi di maggior aggressione edilizia del territorio italiano. Nel progetto di Mangiarotti gli alloggi vengono distribuiti sul piano inclinato dei due versanti del rilievo rispettandone attentamente l’andamento orografico, limitando al minimo gli sbancamenti di terra e ricorrendo piuttosto a qualche episodio di muro di contenimento. Essi emergono dal terreno su struttura in getto di calcestruzzo, nel quale sono annegate pietre recuperate dai pazienti lavori di dissodatura della terra svolti dai proprietari della campagna circostante. Il trattamento grezzo della superficie dovuta a casseri artigianali, le imperfezioni della texture, la varietà della pietra sanciscono un legame umile (nel senso etimologico di terreno) dell’architettura all’elemento su cui si appoggia7. L’idea di Mangiarotti, che parte dall’osservazione dell’architettura anonima del luogo, compie tuttavia una sperimentazione ulteriore in fase di cantiere: l’aggiunta di terra all’impasto per dare un risultato cromatico più assonante, meno artificiale 8; l’esperimento fallisce, l’inerte non viene trattenuto dal cemento e si ritorna, pertanto, alla ricetta tradizionale. Questo episodio, pur nella sua dimensione di piacevolezza aneddotistica, ci permette di cogliere, anche nell’architettura “umile” di Murlongo, quell’atteggiamento di costante ricerca che sempre accompagnò l’attività dell’architetto, dall’ambito del design alla prefabbricazione fino ai muri in getto nella campagna veronese.

09-11. Il terrazzo-pensilina affacciato sulla zona delle piscine: particolari e veduta d’insieme.

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12-13. Dettagli dei serramenti in legno, delle superfici murarie e dei coronamenti sommitali.

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14. Veduta di un alloggio: la copertura definisce e ritaglia, con la precisione di una “trabeazione” metallica, l’edificio nella ciglio sommitale. 15. Veduta generale: la maglia modulare del congegno planimetrico si dissolve nel medium verde attorno agli alloggi senza recinzioni. 14

paradigma celebrato o anonimo manufatto, Nel libro In nome dell’architettura, uno dei è il punto di partenza, non il fine, della sua pochi scritti da lui pubblicati 9, Mangiarotti ricerca10. Con tali presupposti, emerge sostiene la necessità di abbandonare una visione della storia dell’architettura come chiaramente il pensiero compositivo, artistico successione diacronica di esempi illustri, (nel senso onnicomprensivo del termine, scaturiti da un atto creativo geniale che non certo riduttivo rispetto all’architettura) allontana l’oggetto architettonico dalla di Mangiarotti e la comprensione quotidianità consacrandolo all’ambito del dell’insediamento di Murlongo appare, paradigma inarrivabile di qualche antologia, anch’essa, molto più agevole. e di avviare piuttosto Senza entrare nel un’osservazione dettaglio di un’analisi « Essi emergono dal terreno attenta puntuale, le piante su struttura in getto di calcestruzzo, dei singoli alloggi dell’architettura nel quale sono annegate pietre talora anche anonima, costruite su una ma che contenga in griglia modulare recuperate dai pazienti lavori sé la coerenza di un permettono di di dissodatura della linguaggio sincero, produrre e controllare campagna circostante » scomponibile in al tempo stesso parti, trasmissibile e l’ampia versatilità soprattutto aggiornabile. Non siamo difronte delle soluzioni; la copertura dei manufatti, a una caduta di carattere tecnicistico (nulla concepita come superficie piana con l’unico di più lontano dal pensiero di Mangiarotti), obiettivo di proteggere gli spazi chiusi o di quanto piuttosto a una rivendicazione della ricreare aggetti frangisole, terrazze o pensiline, natura intrinseca dell’architettura, i cui valori non concede nulla o quasi all’obbedienza a un simbolici, formali ed estetici si ritrovano nel paradigma. I profili metallici che avvolgono lo colloquio lineare tra materiali, tettonica e spessore delle coperture in laterocemento, ambiente, e nel coerente assemblaggio di infatti, hanno la funzione di eliminare i canali di parti, unico presupposto per il requisito di gronda come elementi funzionali supinamente esemplarità di un’architettura. L’esempio, accettati, non integrati nel sistema di parti, 15

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16. Estratto dal repertorio iconografico del libro di A. Mangiarotti, M. Luchi, L. Bonesio, L. Magnani, In nome dell’architettura, Jaca Book, 1987. 17-18. La calcolata pulizia geometrica delle coperture piane si protende in porzioni a sbalzo con puntiformi appoggi in tubolare metallico.

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e ricordano – solo formalmente a nostro avviso – il bordo della copertura della Neue Nationalgalerie realizzata da Mies van der Rohe11. Di natura e con funzione ben diversa, il dettaglio di Mangiarotti, che segnerà anche il progetto di casa Pederzoli, sviluppa il “presunto modello” e consente di definire gli edifici nel loro rapporto con l’aria e il cielo, attraverso un elemento di assoluta precisione volumetrica, una sorta di trabeazione che carica di una tensione iconica, “classica”, anche il più semplice volume realizzato con murature “imperfette”. La sobrietà degli allestimenti interni deriva, almeno nella funzionalizzazione planimetrica, dalla medesima griglia modulare, e si integra perfettamente alla qualità cromatica, materica e spaziale degli ambienti. Ma ciò che proietta il Parco di Murlongo in un ambito davvero sperimentale è la composizione degli spazi attorno alle architetture: si tratta di percorsi esclusivamente pedonali, che si muovono attraverso le varie unità, non delimitate da recinzioni. L’assenza di barriere fisiche

e il veto a tagli viarii carrabili deve spingere l’osservatore a intravvedere la vera riflessione di Mangiarotti (il prodotto di una ulteriore ricerca) nell’insieme delle singole architetture: pur considerato che del progetto previsto non si realizzò che il primo stralcio12 , l’insieme conserva una forte autonoma unità. Alla scala paesaggistica, Mangiarotti abbandona la griglia riconoscendone l’inopportunità come mezzo, ma non abbandona i propri obiettivi. Cambia semplicemente lo strumento, usandolo quasi in un processo inverso: qualsiasi traccia, allineamento o recinzione che avrebbero potuto alludere a una regolarità geometrica dell’impianto generale vengono aboliti. Lo spazio sembra formarsi da sé, è suggerito dal contesto; ogni alloggio, rigorosamente modulare a un test planimetrico, sembra abolire tale principio all’esterno, dove la natura libera, le viste oblique, assiali, di scorcio o in ogni caso dinamiche, sembrano completare perfettamente questi oggetti dalla volumetria chiara, logica, aritmetica. Il vuoto (che non è

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tale, in realtà, perché è natura), assembla, lega assieme tutti questi elementi, diventandone il medium vitale. È lo spazio non privato a determinare la qualità del sistema di alloggi. E ritornando ora alla necessità di una corretta inquadratura del committente, ciò che maggiormente dà la misura della visione ampia del dott. Pederzoli è l’accettazione (ma potremmo piuttosto dire la propugnazione) di una architettura di sistema, con forti implicazioni sociali e inaggirabili ricadute sull’abitare. Se per Mangiarotti i singoli alloggi riuniti in grappoli o isolati assegnano alla varietà planimetrica disponibile la proiezione della varietà delle parti di cui ogni sistema deve comporsi (che non sia semplice iterazione seriale); se la condivisione del tipo costruttivoformale, la condivisione degli spazi aperti e soprattutto, l’abolizione della recinzioni, proiettano quel senso di destino e necessità comune che sempre esiste tra le parti del medesimo sistema, emerge chiaramente un atteggiamento intellettuale certo non meramente speculativo come lo slogan iniziale poteva far supporre. Finanziare un’operazione di questo tipo, con tali presupposti, non può che implicare una visione complessa e profonda dell’architettura, del suo ruolo e del suo destino anche da parte del committente. Da parte dell’architetto, disegnare un insediamento di questo tipo significa estendere e approfondire la ricerca sulla tettonica dell’assemblaggio12 all’architettura intesa come “sorella” minore del paesaggio in un rapporto di reciproco riconoscimento. Ulteriori sviluppi e nuove riflessioni li ritroveremo in casa Pederzoli a Bardolino: “Quand tu voudras un beau drame, avise une maison bien bourgeoise, à la façade aussi honorable que possible… Entre là-dedans... C’est en vain que tu essayeras de trouver mieux que la réalité!” (G. Simenon, L’enigme de la Marie-Galante). Ma sarà tutt’altro che un dramma!

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STORIA & PROGETTO

19. Le coperture di alcune residenze aggregate sul versante che guarda di lontano verso il Garda. Le riprese, effettuate il giorno 30/10/2021, fanno parte di un progetto documentaristico di Davide Maffei in collaborazione con la Fondazione Angelo Mangiarotti, in corso di realizzazione. 2 Gli edifici di Mangiarotti nella provincia di Verona sono quattro: Concessionaria Fiat a Domegliara (1968, demolita); alloggi di vacanza a Murlongo (1971); Villa Pederzoli a Bardolino (1971); Concessionaria FIAT a Bussolengo (1976). 3 L’incontro tra Pederzoli e Mangiarotti è già stato raccontato in «AV» 83, pp. 106-110. 4 La villa fu pubblicata per la prima volta su «Domus» 511, giugno 1972. Una lettura condotta in parallelo a casa Ottolenghi di Carlo Carlo Scarpa, sempre a Bardolino, è condotta da chi scrive in Due case sul Garda: architettura e luogo, in A. Vignolo (a cura di), Architettura Bardolino. la costruzione di un’identità per il territorio gardesano, Cierre Edizioni, 2019, pp. 80-133. 5 Ricordiamo qui il pensiero di G. Pederzoli riportate in «AV» 83, cit., secondo cui Mangiarotti, come prima impressione avuta dal sito, propose l’idea di allestire una esposizione di sculture 1

a cielo aperto. Tra tutti ricordiamo Pier Paolo Pasolini che nel 1974, in La forma della città, denuncia la totale e colpevole mancanza di attenzione nello sviluppo delle città italiane contemporanee, grandi e piccole, al rapporto del nuovo (inevitabile e necessario) col paesaggio. 7 Un muro in pietra a vista come base di un’aerea costruzione trasparente è già usato nella chiesa Mater Misericordiae di Baranzate realizzata con Bruno Morassutti nel 1957, analogamente alle coeve residenze a San Martino di Castrozza. 8 È Vintani stesso a ricordarci ancora questo episodio. 9 A. Mangiarotti, M.Luchi, L. Bonesio, L. Magnani, In nome dell’architettura, Jaca book, 1987. 10 “Nel 1951, prima di partire per un’esperienza negli Stati Uniti come visiting professor all’Institute of Design dell’IIT di Chicago, l’amico Rogers, con cui avevo collaborato per alcuni anni, mi diede una lettera di presentazione per Mies van der Rohe, che dirigeva la scuola di Chicago. Quando giunsi nella città dedicai la maggior parte del mio tempo libero a osservare la parte anonima di Chicago – le applicazioni della Ballon Frame – e 6

riassumevo questa esperienza in un articolo pubblicato poi su Forum intitolato “Chicago behind the fade”; intanto la lettera per il grande maestro, che ho sempre ammirato, si sgualciva nelle mie tasche. Questo accadde perché già allora mi apparve evidente che proprio l’ammirazione che provavo avrebbe condizionato in maniera irresistibile il mio approccio alla realtà americana in genere. La mia scelta, discutibile quanto si vuole, fu allora – ma oggi lo rifarei – di cercare la mia propria via fuggendo quasi quella del maestro, la cui emulazione non mi avrebbe permesso di sviluppare una posizione diversa”. A. Mangiarotti et al., cit., pp. 17-18. 11 Tale accostamento è emerso nella conversazione con l’Ing. Vintani. 12 Un secondo stralcio, già visibile nel nostro depliant e mai realizzato avrebbe incluso anche strutture alberghiere ricettive.

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Inossidabile spazialità

L’allestimento di un piccolo showroom all’interno di un capannone industriale definisce una spazialità articolata Progetto: Quiet Architecture Testo: Laura Bonadiman Foto: Marco Zanta

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Protagonista già nel 2013 di un recupero per mano dell’architetto Alberto Salvadori di Quiet Architecture, che aveva visto la nascita dello spazio eera (cfr «AV 96» pp. 12-19), con un’addizione realizzata nel 2016 («AV» 111, pp. 48-51), l’edificio industriale posto in continuità con lo spazio produttivo di Marmi & Graniti cev, situato nel tratto di strada che dal passaggio Napoleone porta ad Affi, torna con un nuovo intervento a suscitare il nostro interesse.

« I toni chiari delle pareti e dei rivestimenti si contrappongono al colore nero utilizzato per la struttura metallica »

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Nel medesimo contesto della sede di eera – una formula innovativa che non si limita all’esposizione di pietra e arredo bagno, ma si propone come un laboratorio di progettazione per professionisti e clienti – il nuovo showroom h2ostyle prosegue l’opera di recupero del grande volume industriale, e nuovamente il progetto è affidato ad Alberto Salvadori. In questa occasione siamo proiettati nel mondo delle piscine di design, con la particolarità dell’utilizzo dell’acciaio inossidabile: questo permette di contraddistin-

guersi dalle tradizionali piscine per caratteristiche estetiche, tecniche e di sostenibilità. L’acciaio consente la progettazione su misura delle vasche con forme personalizzate e la possibilità di utilizzo di qualsiasi tipo di rivestimento e accessori; la stabilità di questo materiale alle varie temperature garantisce la sua lunga durata nel tempo. Oltre a questo, trova vantaggio anche nella velocità di montaggio; si tratta infatti di elementi prefabbricati e autoportanti, assemblati in loco. Questi i valori da trasmettere nel progetto di questo spazio. Entrando nell’edificio, il visitatore si ritrova nell’area di produzione, che permette di avere subito la visione delle vasche grezze ancora in lavorazione. Da lì si viene condotti, tramite un percorso ribassato, all’ingresso dello showroom. Questo si configura come una piccola scatola accogliente e intima, inserita quasi in contrapposizione alla grande struttura industriale che la ospita. Nel momento in cui si varca la porta, la fa da padrone il suono dell’acqua e null’altro, accompagnato da luci soffuse e dai materiali utilizzati – acqua, legno e pietra – accostati al telaio in tubolari metallici a vista che definiscono una ‘scatola nella scatola’. Il progetto dà così forma a un percorso articolato di gallerie, soppalchi, nicchie e doppie altezze, che nonostante le dimensioni con-

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tenute amplifica la percezione degli spazi e le possibilità d’uso. Il primo livello a cui si accede accoglie l’esposizione delle piscine che, comprensive degli accessori e delle dotazioni tecnologiche annesse, possono essere visionate dai clienti, perfino “provate”, così da poter testare in pieno la validità del prodotto. Mediante un ulteriore livello ribassato, viene dato spazio non solo al design, ma anche alla parte tecnologica, di pari importanza, con i meccanismi di funzionamento dell’impianto lasciati a vista ed enfatizzati dall’illuminazione. Infine, nel livello più elevato, un grande tavolo destinato al dialogo con i

COMMITTENTE H2Ostyle PROGETTO ARCHITETTONICO Quiet Architecture arch. Alberto Salvadori, arch. Moris Valeri CRONOLOGIA Progetto e realizzazione: luglio 2020-febbraio 2021

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01. Dall’ingresso, veduta dei percorsi articolati alle diverse quote. 02. Dettaglio della zona riunioni con doppio affaccio. 03. Sezioni di progetto. 04. Veduta d’insieme dello show-room e dei percorsi di collegamento. 05-06. Fasi di montaggio della struttura metallica durante il cantiere.

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Inossidabile spazialità

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clienti domina lo spazio nella sua interezza, affacciandosi sull’esposizione da una parte e sull’esterno dall’altra. I toni chiari delle pareti e dei rivestimenti si contrappongono al colore nero utilizzato per la struttura metallica, i corpi illuminanti e il soffitto. Da quest’ultimo calano dei riquadri tridimensionali di colore azzurro, che ripropongono, come in un gioco di specchi, la sagoma delle vasche d’acqua. L’illuminazione crea giochi di luci e ombre, e gioca un ruolo fondamentale nella definizione atmosferica dell’interno, unitamente ai riflessi dell’acqua. Lo showroom acquista così non solo una pura funzione di spazio espositivo, ma anche quella di un’esperienza emozionale.

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07. Pianta alla quota superiore. 08. L’area espositiva e lo sviluppo su differenti livelli. 09. Accostamento dei materiali utilizzati. 10. Gli alloggiamenti degli impianti sono resi visibili ed enfatizzati da un’illuminazione scenografica.

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Spina dorsale

Un corpo alieno si inserisce in maniera dinamica in un comune appartamento ridefinendone spazi, funzioni e carattere. Progetto: Padiglione B studio associato Testo: Nicola Tommasini Foto: Federico Villa

Il tema è abbastanza comune: la riprogettazione di un interno di un appartamento, decisamente anonimo e comune, in un condominio residenziale nella profonda provincia veronese. Siamo a Bovolone, dove Alberto Bassi e Chiara Tenca, anime dello studio Padiglione B, hanno risposto efficacemente alle richieste della committenza muovendo il progetto con modalità inusuali. Anziché infatti ricercare idee, appigli o temi nel

conformazione e il suo colore di organizzare gli spazi, di essere simultaneamente divisorio e presenza scenica fissa, di assolvere a tutte le funzioni domestiche richieste, di condizionare a cascata tutte le altre scelte compositive. Il nuovo elemento è di fatto un corpo estraneo, per molti aspetti alieno, dal colore elettrico inusuale, quasi infilato con forza in uno spazio troppo piccolo per accoglierlo completamente, e

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« Il progetto sembra bandire qualsiasi texture apertamente materica in favore di un uso del colore pieno e saturo » contesto o in qualche elemento peculiare o caratterizzante l’oggetto di intervento, lo studio ha trovato il senso nel farsi del progetto stesso, che ha quindi rivolto l’azione su se stesso, con uno sguardo introspettivo solo in apparenza autoreferenziale, perché capace di dialogare in maniera attiva e positiva con la composizione, i materiali, le funzioni richieste dalla residenza. Il progetto è risolto in un solo colpo: un gesto isolato, un unico elemento capace con il suo peso visivo, la sua

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01. La spina dorsale vista dall’ingresso. 02. La zona living. 03. Planimetria di progetto.

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04. Schema assonometrico della spina dorsale. 05. La zona cucina. 06. La porta nascosta che conduce alla zona notte.

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quindi costretto a piegarsi su sé stesso e a rannicchiarsi fino a cristallizzarsi in una posizione che ne fa la spina dorsale addosso e attorno a cui tutto (spazi, percorsi e funzioni) si vincola e si organizza. Il nuovo elemento è un lungo serpentone blu e arancio che taglia con un andamento a L l’intero appartamento in due metà, collegando la parete d’ingresso con la parete esterna. È un elemento vario, mutevole nella forma e nella funzione, uniforme solamente nell’opacità della materia (pannelli in mdf) e nei due colori scelti: un blu e un arancio carichi di elettricità e di energia. Il lungo mobile è dapprima il guardaroba di ingresso, diventa nicchia con piccola seduta, è porta – invisibile – che collega la zona notte, è il lungo vuoto che ospita lo spazio della cucina. Nella zona giorno, è l’unico protagonista e l’unico elemento fisso.

Tutti gli altri elementi di arredo (il divano e i coffee-table, il tavolo da pranzo, il frigorifero) si staccano da questo elemento e sono liberi di fluttuare nello spazio per trovare le posizioni più conformi agli usi della famiglia. L’effetto di libertà di movimento è esaltato dal pavimento uniforme in resina, dove non c’è nessuna fuga o segno a disegnare griglie e possibili punti di ancoraggio per gli arredi. Attraversato il passaggio quasi invisibile – un’anta liscia nella parete blu – gli spazi della zona notte sono tutti vincolati e in qualche modo condizionati dalla traiettoria della spina dorsale, ma riprendono uno schema distributivo abbastanza usuale, con una piccola camera singola, un bagno e una camera matrimoniale fusa con uno spazio di servizio e un ulteriore piccolo bagno.

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Tutti gli ambienti della zona privata sono uniformati da un senso di estrema chiarezza e semplicità compositiva, mai banale o semplicemente minimalista, ma con un forte e interessante uso grafico dei blocchi di colore e delle linee. Il progetto sembra quasi bandire, dai materiali di costruzione e di rivestimento, qualsiasi texture apertamente materica, tutto in favore di un uso del colore pieno e saturo (l’unica concessione all’esposizione della natura del materiale sono solamente alcuni pannelli in betulla dei mobili su misura dei bagni). La camera matrimoniale, molto semplice, trova ad esempio il suo elemento caratterizzante nella parete dietro la testata del letto, con un’opera grafica di Eugenio Filippi. L’effetto che si ha accedendo ai due bagni è quello di entrare in piccole “scatole dentro la scatola”, accentuato dalla presenza

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di griglie dal forte gusto grafico disegnate dalle fughe dei rivestimenti ceramici – una volta bianche su fondo blu notte lucido, una volta nere su fondo bianco opaco –, espediente che dimostra, ancora una volta, il raffinato senso estetico dei progettisti, coraggioso e mai banale.

PROGETTO ARCHITETTONICO Padiglione B studio associato arch. Chiara Tenca, arch. Alberto Bassi COLLABORATORI arch. Francesco Zardini, Chiara Girelli

IMPRESE E FORNITORI B2 Costruzioni (impresa edile), TecnoBitre di Damiano Borin (pavimenti), PDM Falegnameria (arredi), PM Service (impianti), Forme di Luce/Stab Luce (illuminazione), Svai Service (sanitari e piastrelle), Conati e Interior Project (complementi d’arredo), Marsotto Edizioni (elementi in marmo) 09

07. La dinamica opera pittorica di Eugenio Filippi nella camera matrimoniale. 08. Dettaglio del bagno “bianco”. 09. Dettaglio del bagno “blu”.

CRONOLOGIA Progetto e realizzazione: 2020

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DOSSIER

Tre Piani Il varo di una Variante urbanistica generale – la numero 29 al Piano degli Interventi – rappresenta per Verona un momento importante, in quanto sintesi delle aspettative che combinano da una parte le linee d’azione di un’amministrazione, dall’altra il momento congiunturale espresso dalle richieste dei privati e degli operatori immobiliari. Il tutto secondo le modalità che i tempi e gli strumenti legislativi correnti richiedono, e cioè sostanzialmente verso la riqualificazione urbana, nelle diverse declinazioni che tale espressione, diventata “salvifica”, può accogliere. Abbiamo chiesto ai progettisti della Variante di sintetizzare il percorso metodologico che sostanzia il nuovo strumento urbanistico con il quale la città si dovrà confrontare negli anni a venire. Risaltano in questo quadro i nove Masterplan di coordinamento, telai-guida definiti per irregimentare a scala urbana le proposte raccolte attraverso le Manifestazioni di interesse. Strumento che dovrà misurarsi con una necessaria capacità adattativa, di pari passo con l’affinamento delle proposte e la maturazione dei progetti: una sfida che sollecita fortemente gli uffici comunali, depositari del futuro della città, sulle cui risorse sarebbe 123 127

ragionevolmente necessario investire . Si affiancano alla 29 due strumenti che la anticipano e affiancano al tempo stesso. Il Piano per la Mobilità sconta la drammatica arretratezza delle condizioni attuali, con annosi temi viabilistici e trasportistici ancora lontani da una effettiva soluzione. Le proposte avanzate sono lungimiranti, ma l’effettiva cogenza di quanto previsto misurerà la validità di questo bel libro dei sogni per una città moderna. Analogo discorso può valere per il quadro ambientale ed energetico espresso nel PAESC: temi cruciali che non si possono certo ignorare, ma rispetto ai quali ci si chiede che ruolo possa avere per il bene del pianeta una piccola città, di fronte ai tentennamenti globali delle superpotenze. È certo un ideale verso cui tendere, una sorta di Super-Io – prendendo a prestito le categorie freudiane – che si affianca all’Io (PUMS) con il compito di mediare pulsioni ed esigenze sociali, regolandone i movimenti; mentre l’Es (Variante) comprende le istanze “erotiche” dell’agire umano verso il territorio. Con un buon regista, ne uscirebbe anche un bel film.

Una strategia per la riqualificazione e la rigenerazione urbana I processi e le azioni metodologiche poste alla base della Variante 29 a partire dalle trasformazioni urbane e dal nuovo ciclo immobiliare che interessa Verona

Verona 2030: il quadro dei piani

Per un nuovo ciclo di trasformazioni a partire dalla riqualificazione urbana: il quadro normativo vigente e gli adempimenti preliminari e paralleli

Sostenere la mobilità

Il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile affianca e si intreccia con i piani e i progetti in corso

Un patto per il clima: energia e suolo L’adesione al Patto dei Sindaci per l’Energia Sostenibile ha portato Verona a elaborare uno strumento di pianificazione volontario, il PUMS

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DOSSIER

Una strategia per la riqualificazione e la rigenerazione urbana I processi e le azioni metodologiche poste alla base della Variante 29 a partire dalle trasformazioni urbane e dal nuovo ciclo immobiliare che interessa Verona

Testo: Paolo Galuzzi, Antonella Dell’Orto, Martina Rossini *

* Studio FOA Architetti

Il persistere della crisi economica, che si è acuita nella recente situazione di emergenza sanitaria, sta spostando, in tutte le realtà urbane del Paese, le dinamiche del settore immobiliare e delle costruzioni verso una sempre più spinta riqualificazione diffusa e molecolare della città esistente, investendo ambiti urbani che necessitano di adeguamenti puntuali, diffusi e circoscritti, principalmente di carattere edilizio, urbanistico, ambientale e energetico. Ciò indirizza ancor più l’interesse sulla “città consolidata e addensata” e chiede all’urbanistica di interpretare e sostenere piani, politiche e progetti, segnando un cambio di passo nell’elaborazione del progetto urbanistico, che sappia coniugare in modo convincente la fattibilità economica ai principi della sostenibilità e che sappia esprimere progettualità integrate volte al contenimento del consumo di suolo, all’attribuzione di valori condivisi alle qualità della città e del suo territorio, alla cura della città pubblica e privata in quanto beni comuni preziosi; una manovra che sappia orientare la città futura Verona 2030 verso la sostenibilità ecologica e ambientale, affrontando il tema sempre più attuale dei cambiamenti climatici. Se la riqualificazione urbana è stata, fino ad ora, un progetto disciplinare, la rigenerazione urbana diffusa consiste in un progetto più ampio, sociale ed economico, prima che urbanistico. Un progetto che tiene assieme, alle diverse scale in cui si manifesta, una pluralità di dimensioni: insediativa, ma anche economica, sociale, energetica,

Associati co-progettisti Variante 29

01. Quadro d’insieme degli ambiti urbani degradati (ai sensi dell’art. 3 lettera g della LR 14/2017). 02. Mappa con indicazione delle manifestazioni d’interesse pervenute. 01

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ambientale, paesaggistica, istituzionale, partecipativa. Sempre più spesso, la rigenerazione diffusa e reticolare si concretizza anche attraverso una molecolarità di piccoli interventi alla scala urbanistica ed edilizia che, spontaneamente o accompagnati da esplicite strategie urbane, si concretizzano in ambiti marginali e degradati della città, introducendo nuovi contenuti innovativi, nuove forme di intervento, nuova vitalità urbana, assicurando cura dei luoghi e presidio attivo degli spazi collettivi. Rispetto al recente passato, il progetto urbanistico sulla città esistente deve saper cogliere i nuovi legami e le relazioni tra competitività e resilienza, adattività

« L’obiettivo è stato quello di far emergere specifici programmi urbanistici rigenerativi per parti degradate della città » e temporaneità, welfare urbano e produzione, reperimento e risparmio delle risorse, tempo breve e tempo più lungo. La riqualificazione urbana in chiave rigenerativa è un processo continuo che non si ottiene per semplice sostituzione edilizia e con cambi di destinazioni d’uso ed interventi fondiari. Si ottiene e si persegue attraverso politiche e dispositivi capaci di mettere in campo un nuovo design urbano, confrontandosi con le sfide del reperimento e del risparmio delle risorse, della riqualificazione dello spazio pubblico, con riferimento ai modi con cui ci si muove e alle alternative offerte dalla mobilità attiva o dolce, ma che deve trovare connessioni robuste con le politiche ambientali comunali di risparmio energetico e adattamento climatico. Non richiede solo di abilitare nuove trasformazioni urbanistiche ed edilizie, ma di accompagnare processi di trasformazioni, grandi e piccoli, concentrati e diffusi, semplici e complessi, con politiche di intervento sulla città, attraverso una regia pubblica capace di attivare, sostenere e accompagnare.

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UNA DIFFERENTE STRATEGIA URBANISTICA: PROCESSO CONDIVISO E CONCERTATO DA UNA ESPLICITA REGIA PUBBLICA Con il Documento del Sindaco sulla “Pianificazione strategica ed operativa 2020-2022”, Verona ha lanciato la sfida di avviare un processo di recupero degli ambiti degradati e abbandonati della città consolidata, attraverso un progetto urbanistico di riqualificazione urbana e ambientale diffusa e puntuale che avesse come oggetto contesti collocati entro il perimetro dell’Ambito di urbanizzazione consolidato (AUC); aprendo di fatto il processo di partecipazione e concertazione propedeutico alla formazione della Variante n. 29 al PI. Una differente strategia urbanistica rispetto al passato, che mira a promuovere la riduzione del consumo di suolo e la riqualificazione ambientale attraverso azioni di rigenerazione diffusa dei tessuti esistenti, di progressivo recupero e riuso di luoghi dismessi e abbandonati, anche abbracciando una scala di interventi minuti di riqualificazione, in grado

comunque di valorizzare il capitale fisso della città esistente. La Variante ha cercato di conseguire e selezionare non solo una lista di interventi strategici, per disponibilità, utilità, sostenibilità e fattibilità, ma tra loro indipendenti e autonomi. L’obiettivo, invece, è stato quello di far emergere specifici programmi urbanistici rigenerativi per parti degradate della città, da sviluppare attraverso l’apporto partecipativo dei protagonisti pubblici e privati alla progettazione, attuazione e gestione di interventi di riqualificazione, recupero e riabilitazione del tessuto urbano, sociale, economico. La multidimensionalità della riqualificazione urbana in chiave rigenerativa richiede, pertanto, una regia pubblica unitaria che aiuti a superare la frammentazione di piani, progetti e procedure, nonché un ripensamento della stessa articolazione organizzativa amministrativa: tutti aspetti che tendono, quando non guidati, a mantenere disarticolata l’azione di pianificazione nel suo complesso.

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03. Localizzazione dei nove Masterplan di coordinamento urbanistico.

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La Variante, quindi, costituisce la piattaforma abilitante di azioni e politiche di rigenerazione urbana, capace di armonizzare gli eventuali programmi all’interno della propria cornice strategica e regolativa, valutandone la coerenza e la fattibilità, da diversi profili, in rapporto ai sistemi infrastrutturali, ecologico-ambientali, paesaggistici, che costituiranno il telaio aggiornato della più recente pianificazione territoriale e di area vasta. Rilanciando, così, una nuova attenzione alla dimensione dell’accompagnamento e al montaggio delle operazioni urbanistiche e promuovendo il progetto della rigenerazione urbana e territoriale inteso come cura, manutenzione e riuso dello spazio di vita quotidiano.

IL DOCUMENTO METODOLOGICO E IL BANDO COMUNALE PER LA RACCOLTA DELLE MANIFESTAZIONI DI INTERESSE Per concretizzare questi obiettivi strategici di rigenerazione l’Amministrazione comunale ha pubblicato un bando con carattere essenzialmente ricognitivo con lo scopo di raccogliere e selezionare le disponibilità di soggetti privati o pubblici ad

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intraprendere interventi di riqualificazione urbana, edilizia ed ambientale o ad attivare forme di rigenerazione urbana diffusa, attraverso azioni di riuso temporaneo, ai sensi della Legge Regionale 14/2017. L’intento era quello di selezionare disponibilità di intervento con un’operatività temporale relativamente breve che fossero in grado di avviare il percorso di riqualificazione urbana e ambientale nel corso del quinquennio di efficacia della Variante. Le manifestazioni di interesse sono state raccolte con riferimento a quattro tipologie di intervento, rispettivamente classificate come segue: riqualificazione urbana negli ‘Ambiti di degrado Urbano’, riqualificazione ambientali con demolizioni integrali di opere incongrue o di elementi di degrado con ripristino del suolo naturale o semi-naturale, riuso temporaneo di immobili esistenti dismessi o inutilizzati, oltre alla segnalazione di episodi e ambiti degradati anche dove non emergevano azioni specifiche di recupero. Nel Documento Metodologico che accompagnava il Bando sono stati enunciati gli obiettivi generali della manovra e le prestazioni specifiche richieste agli interventi. Le Manifestazioni di interesse pervenute ritenute idonee nell’istruttoria preliminare sono state

approfondite tecnicamente al fine di precisarne contenuti, prestazioni e eventuali incentivi/premialità. Tale valutazione tecnica ha permesso di evidenziare e prendere atto di una casistica di soluzioni riferite ai progetti di riqualificazione di manufatti esistenti o aree degradate che necessitava di una riconsiderazione e un affinamento della disciplina urbanistica che oggi sovrintende il recupero dell’esistente, in modo da facilitare tali interventi, se correttamente indirizzati progettualmente sotto il profilo delle ricadute ambientali e dell’interesse pubblico. Con una attenzione particolare per quegli interventi meno complessi e problematici sotto il profilo ambientale di partenza che consentisse di ricorrere come modalità attuativa al titolo abilitativo convenzionato in alternativa allo strumento urbanistico attuativo, oggi prescritto per ogni trasformazione. A seguito della positiva conclusione di questo confronto collaborativo con i proponenti, l’Amministrazione Comunale ha richiesto in alcuni casi un approfondimento progettuale tale da precisare i contenuti essenziali necessari alla redazione delle Schede norma del PI e degli Atti unilaterali d’obbligo, da sottoscrivere preliminarmente.

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I MASTERPLAN DI COORDINAMENTO La prima fase istruttoria delle Manifestazioni di interesse pervenute ha maturato la necessità di progettare, per alcuni ambiti particolarmente critici dal punto di vista ambientale, del degrado urbano o della fragilità paesaggistica, Masterplan di coordinamento, con il compito di offrire indicazioni strategiche e programmatiche, sia a scala territoriale che locale, per le progettazioni future, operando una ricognizione dei valori presenti e declinando, in ragione dei differenti contesti, un insieme integrato di azioni e obiettivi da conseguire. Attraverso un telaio–guida, da attuare anche in tempi differenti, si delineano così le linee di forza e resistenza, la struttura portante e la figura spaziale principale da conseguire, con quella flessibilità capace di accogliere le trasformazioni nel mentre del loro sviluppo. Una cornice-armatura, su cui innestare interventi puntuali, radicati nei contesti, adattativi, che concorrono alla realizzazione, di misure integrate, differentemente volte al riordino urbano e alla qualità architettonica, alla implementazione di nuove centralità di quartiere e urbane, alla sostenibilità ed efficienza ambientale.

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04-05. Masterplan Croce Bianca: inquadramento territoriale e proposta nuovo assetto urbano. 06. Masterplan di coordinamento urbanistico: legenda Sistema insediativo, Sistema ambientale e Sistema della mobilità. 06. Basso Acquar: inquadramento territoriale.

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PIANO DEGLI INTERVENTI VARIANTE 29 PROMOTORE Comune di Verona Direttore Area Gestione del Territorio: arch. Arnaldo Toffali Responsabile del Procedimento: dott.ssa Donatella Fragiacomo PROGETTO arch. Arnaldo Toffali co-progettista: Studio FOA Architetti Associati Team di progettazione: dott. Ernesto Caneva, arch. Roberto Carollo, arch. jr Marco Ceschi, dott.ssa Silvia Ederle, arch. Andrea Zenatto Collaboratori amministrativi: geom. Daniele Iselle Collaboratori tecnici: dott. Luciano Bertinato, Stefania Cerchia, dott.ssa Jodie Pavan, dott. Andrea Tarana, arch. Roberto Tosoni VINCA e VAS - Procedura di Verifica di Assoggettabilità: dott. geol. Nicoletta Toffaletti Geologia e compatibilità idraulica: dott. geol. Nicoletta Toffaletti CRONOLOGIA Adozione: luglio 2021

08. Montorio: proposta nuovo assetto urbano. 09. Tiberghien-Croce Verde: proposta nuovo assetto urbano.

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interventi e una descrizione delle azioni che orientano I Masterplan hanno interessato in particolare i la trasformazione. seguenti ambiti: Chievo, Villa Pullè-Forte Parona; Oltre a offrire indicazioni programmatiche di Diga, Lungadige; Croce Bianca; Bassona; Pestrino; coordinamento territoriale o locale per le progettazioni Basso Acquar; Tiberghien-Croce Verde; M1 51-via future, i Masterplan contengono inoltre direttive e de Betta; Montorio. Nove ambiti molto differenti fra prescrizioni e vincoli che dovranno essere recepiti e loro, per dimensioni, caratteristiche e contesti che applicati all’interno delle Schede Norma e prefigurare comprendono il ridisegno e la rifunzionalizzazione di soluzioni coordinate aree industriali dismesse, « Attraverso un telaio–guida per gli interventi diretti la riqualificazione convenzionati. ambientale e il recupero si delineano così le linee di forza Si tratta, in generale, paesaggistico. e resistenza, la struttura portante di un lavoro di avvio di Per ognuno dei nove e la figura spaziale principale carattere sperimentale contesti urbani individuati, da conseguire » per una nuova stagione è stata proposta una dell’urbanistica di Verona rilettura del territorio dedicata alla cura e alla riqualificazione della città attraverso il sistema delle relazioni che si sviluppano esistente, che dovrà trovare un consolidamento e con il contesto, in cui vengono messi in risalto una continuità nel tempo, per imporsi come strategia gli elementi fisici rilevanti sulla base del sistema generalizzata capace di valorizzare qualità e palinsesti insediativo, ambientale e della mobilità, in modo da di un territorio urbano che deve definitivamente poter restituire uno scenario coordinato e organico trovare le modalità corrette di disaccoppiamento tra degli interventi. Inoltre si sono suggerite visioni sviluppo e crescita fisica, tornando a concentrarsi di trasformazione da perseguire e approfondire sulla trasformazione e rigenerazione dell’esistente. attraverso una rappresentazione sintetica degli

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Verona 2030: il quadro dei piani

* Dirigente Area Gestione del Territorio, Comune di Verona

Per un nuovo ciclo di trasformazioni a partire dalla riqualificazione urbana: il quadro normativo vigente e gli adempimenti preliminari e paralleli Testo: Arnaldo Toffali *

La Variante 29 al Piano degli Interventi (PI) del Comune di Verona ha tra gli obiettivi prioritari la rigenerazione e riqualificazione dell’esistente, lo stop al consumo di suolo, la multidisciplinartietà, quindi il raccordo con strumenti quali il PUMS e il PAESC. La caratterizzazione di questi obiettivi prioritari si esplica attraverso la definizione di strategie per cogliere le opportunità di trasformazione, e riportare al centro il progetto urbanistico attraverso la definizione di una serie di Masterplan abilitanti le trasformazioni stesse. Gli adempimenti preliminari e paralleli all’adozione della Variante 29 hanno comportato l’adeguamento del Piano di Assetto del Territorio alle disposizioni sul contenimento di consumo di suolo previste dalla Legge regionale 14/2017, l’adeguamento del Regolamento Edilizio Comunale (REC) al Regolamento Edilizio Tipo (RET)1, la variante al PI “Regole, misure applicative ed organizzative per la determinazione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione”2. Sono state attivate le procedure a evidenza pubblica cui hanno partecipato proprietari di immobili nonché operatori pubblici e privati interessati, per valutare proposte di intervento che, conformemente alle strategie definite dal PAT, risultassero idonee in relazione ai benefici apportati alla collettività in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, di efficienza energetica, di minore consumo di suolo, di soddisfacimento degli standard di qualità urbana, architettonica e paesaggistica. Le condizioni per l’accoglimento delle proposte di intervento richiedevano il rispetto del

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dimensionamento del PAT e di ricadere negli “ambiti di urbanizzazione consolidata”, ovvero “l’insieme delle parti di territorio già edificato comprensivo delle aree libere intercluse o di completamento destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa, delle dotazioni di aree pubbliche per servizi e attrezzature collettive, delle infrastrutture e delle viabilità già attuate, o in fase di attuazione, nonché le parti del territorio oggetto di un piano urbanistico attuativo approvato e i nuclei insediativi in zona agricola”. Tali ambiti non coincidono necessariamente con quelli individuati dal PAT3. Per “ambiti urbani degradati” si devono intendere le aree ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata, assoggettabili agli interventi di riqualificazione urbana, contraddistinti da una o più delle seguenti caratteristiche: “degrado edilizio”, riferito alla presenza di un patrimonio architettonico di scarsa qualità, obsoleto, inutilizzato, sottoutilizzato o impropriamente utilizzato, inadeguato sotto il profilo energetico, ambientale o statico-strutturale; “degrado urbanistico”, riferito alla presenza di un impianto urbano eterogeneo, disorganico o incompiuto, alla scarsità di attrezzature e servizi, al degrado o assenza degli spazi pubblici e alla carenza di aree

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libere, alla presenza di attrezzature ed infrastrutture non utilizzate o non compatibili, sotto il profilo morfologico, paesaggistico o funzionale, con il contesto urbano in cui ricadono. Gli interventi di riqualificazione urbana rispondono alle finalità di “contenimento del consumo di suolo, riqualificazione, rigenerazione e miglioramento della qualità insediativa”, e sono realizzati negli ambiti urbani degradati, nel rispetto del dimensionamento del PAT. Il Piano degli Interventi individua il perimetro degli ambiti urbani degradati da assoggettare a interventi di riqualificazione urbana, e li disciplina in una apposita scheda precisando: i fattori di degrado; gli obiettivi generali e quelli specifici della riqualificazione; i limiti di flessibilità rispetto ai parametri urbanistico-edilizi della zona; le eventuali destinazioni d’uso incompatibili; le eventuali ulteriori misure di tutela e compensative, anche al

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fine di garantire l’invarianza idraulica e valutando, ove necessario, il potenziamento idraulico nella trasformazione del territorio. Il PI può prevedere il riconoscimento di crediti edilizi per il recupero di potenzialità edificatoria negli ambiti di urbanizzazione consolidata, premialità in termini volumetrici o di superficie e la riduzione del contributo di costruzione. Gli interventi di riqualificazione urbana possono essere attuati mediante piani urbanistici attuativi4, comparti5 o permessi di costruire convenzionati 6. Allo scopo perseguire gli obiettivi della Variante, il Comune può inoltre consentire l’utilizzazione temporanea di edifici e aree per usi diversi da quelli previsti dal vigente strumento urbanistico7. L’uso temporaneo può riguardare immobili legittimamente esistenti e aree sia di proprietà privata che pubblica, purché si tratti di iniziative di rilevante interesse pubblico o generale correlate agli obiettivi urbanistici e socioeconomici. È prevista la preferenza per i progetti di riuso che mirano a sviluppare l’interazione tra creatività, innovazione, formazione e produzione culturale in tutte le sue forme, creando opportunità di impresa e di occupazione (start up). Il riuso temporaneo è consentito per una sola volta e per un periodo di tempo non superiore a tre anni, prorogabili per altri due, previa presentazione di un progetto di riuso e la sottoscrizione di una convenzione approvata dal Consiglio comunale, nella quale sono precisate: le condizioni per il rilascio degli immobili alla scadenza del termine fissato per l’utilizzo temporaneo; le sanzioni a carico dei soggetti inadempienti; le eventuali misure di incentivazione, comprese quelle di natura contributiva, nel caso di immobili privati messi a disposizione dal Comune; le dotazioni territoriali e infrastrutturali minime necessarie e funzionali all’uso temporaneo ammesso, con particolare riferimento all’accesso viabilistico e ai parcheggi; le altre condizioni e modalità necessarie a garantire il raggiungimento delle finalità della norma. I Comuni pubblicano l’elenco dei “Luoghi del Riuso”, in cui sono riportate le aree e i volumi autorizzati al riuso temporaneo, con i progetti e le relative convenzioni, e lo trasmettono alla Giunta regionale entro il 31 dicembre di ogni anno.

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10. Variante 29: stralcio da una tavola della Disciplina Operativa-Zonizzazione.

Sostenere la mobilità Il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile affianca e si intreccia con i piani e i progetti in corso Testo: Michele Fasoli *

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Ai sensi dell’art.4, comma 1-sexies del DPR 6 giugno 2001, n.380. In attuazione dell’allegato A della DGR n. 263 del 2 marzo 2020, Legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 art. 4, comma 2, lett. d), Legge regionale 4 aprile 2019 n. 14 art. 4 c. 1. 3 Ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera o della Legge regionale 23 aprile 2004 n. 11. 4 Ai sensi degli articoli 19 e 20 della Legge regionale 23 aprile 2004, n. 11. 5 Ai sensi dell’articolo 21 della Legge regionale 23 aprile 2004, n. 11. 6 Ai sensi dell’articolo 28 bis del DPR 6 giugno 2001 n. 380. 7 Ai sensi del Decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, art. 23-quater (usi temporanei) e Legge regionale 6 giugno 2017 n. 14 Art. 8, Interventi di riuso temporaneo del patrimonio immobiliare esistente. 1

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La società Sintagma di Perugia si è aggiudicata tramite gara pubblica la redazione del nuovo Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS). Un piano strategico di mobilità sostenibile in grado di tenere insieme piani e i progetti in corso, con temi che affiancano al disegno dei nuovi profili di accessibilità l’attenzione ai diversi sistemi “ambientali veronesi” e ai corridoi ecologici (anche da legare alla rinnovata attenzione alla mobilità dolce). Una attenzione particolare è stata posta all’intreccio tra mobilità-trasporti e disegno dello spazio, con una approfondita analisi delle ultime varianti urbanistiche e i loro riflessi nel sistema della mobilità. Il PUMS, nella sua veste di Piano Strategico, si muove su due orizzonti temporali, uno sul brevemedio periodo (2025) e l’altro su medio-lungo termine (2030). Allo scenario attuale (2020) sono quindi affiancati lo scenario di riferimento (tutto ciò che è programmato e finanziato con certezza dei finanziamenti e dei tempi di realizzazione) e i due scenari progettuali 2025 e 2030. La redazione del PUMS è stata anche l’occasione per una completa rivisitazione/aggiornamento del modello multimodale della mobilità urbana. Il modello, calibrato e aggiornato al 2020, ha permesso di valutare e comparare per i diversi scenari di progetto le azioni più efficaci, configurando per gli orizzonti 2025 e 2030 il giusto mix di linee di intervento e politiche di mobilità sostenibile. Il PUMS di Verona è stato elaborato perseguendo, in modo integrato e interdisciplinare, i seguenti obiettivi:

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* Dirigente Area Strade

Giardini Mobilità Traffico Tecnico Circoscrizioni Arredo Urbano, Comune di Verona

11. Biciplan: un passo verso il riequilibrio modale. 12. Quadro delle “cerniere di mobilità” secondo il PUMS. 12

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– modificare l’attuale riparto modale, oggi completamente sbilanciato verso l’auto privata, a favore di spostamenti sostenibili, travasando la mobilità da mezzi privati verso la mobilità dolce e il trasporto pubblico, puntando a raggiungere i target delle principali città europee; – ridurre le emissioni climalteranti secondo quanto indicato dalla Comunità Europea, anche favorendo l’uso di mezzi elettrici e la micromobilità, il tutto monitorato nel tempo, attraverso indicatori e target; – ridurre l’incidentalità e rendere la città più sicura, anche attraverso la moderazione del traffico e una maggiore qualità dello spazio pubblico; – favorire la mobilità dolce, specie per gli spostamenti di corto raggio, entro i 4 km; – promuovere un turismo ecosostenibile per una nuova accessibilità che fa ricorso a politiche e leve tariffarie; – favorire le modalità di condivisione dei vari mezzi utilizzati per lo spostamento, incentivando il

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passaggio dalla proprietà al possesso; – massimizzare l’utilizzo delle tecnologie di smart mobility con un diffuso uso di sistemi ITS per orientare i comportamenti e dirottare gli spostamenti (in modo totale e/o parziale) su modalità sostenibili; – sostegno al sistema produttivo con una nuova politica di distribuzione delle merci in aree e comparti particolarmente delicati; – promuovere e incentivare l’integrazione modale e tariffaria anche attraverso l’uso delle cerniere di mobilità; – una pianificazione attenta alle risorse da impegnare e dei soggetti da coinvolgere, anche attraverso l’uso di tecniche avanzate di partecipazione, per una concreta attuazione delle azioni e delle linee di intervento del PUMS. Particolare attenzione è stata dedicata agli interventi di mobilità, pubblica e privata, che dovranno accompagnare la trasformazione dell’ex scalo ferroviario, destinato a diventare un grande parco urbano affiancato da nuove infrastrutturazioni (stazione Alta Velocità, nuovo anello viabilistico con sottopassi e nuovi raccordi, collegamento in sede propria Stazione –Fiera-Aeroporto, diffuso

potenziamento della mobilità dolce all’interno dell’area di trasformazione e al suo contorno). La grande opportunità, per una nuova mobilità sostenibile, è intrecciata con il progetto Alta Velocità/ Alta Capacità Milano-Venezia e il nuovo nodo di Porta Nuova. Con l’inserimento di due nuovi binari si ottiene un fascio complessivo di quattro binari e la possibilità di destinarne due al nuovo servizio metropolitano, organizzato in parte su fermate esistenti (Porta Vescovo, fermata Parona attualmente dismessa) e su una serie di nuove fermate in corrispondenza di grandi poli attrattori. Il nuovo servizio ferroviario, di tipo metropolitano, viene incardinato su 14 nuove fermate e armonizzato al servizio filobus che taglia lungo le quattro direttrici cardinali tutto il territorio di Verona. Il PUMS di Verona introduce inoltre, per la prima volta, il cosiddetto “attrezzaggio”. In luoghi ben determinati del territorio vengono create delle cerniere di mobilità, dove si concentrano le più importanti attrezzature (parcheggi di scambio, linee di pubblico trasporto, servizi sharing, dotazioni hardware e software per la smart mobility, servizi MaaS, mobilità elettrica, micro attività per il

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presenziamento commerciale dei luoghi) di mobilità pubblica e privata. In sintesi, attraverso le cerniere di mobilità si devono mettere nelle condizioni i cittadini “sistematici” (soprattutto coloro che si spostano giornalmente e con ripetitività, o che dai comuni limitrofi entrano nel comune di Verona) di parcheggiare gratuitamente la propria auto e proseguire con un trasporto veloce. Analogamente, anche per gli eventi sportivi, i grandi eventi fieristici e gli spettacoli dell’Arena di Verona i flussi entranti in città devono essere indirizzati alle cerniere di mobilità, dalle quali raggiungere il centro facendo ricorso ai sistemi di mobilità sostenibile proposti dal Piano. Altra parte integrante del PUMS è quella del Biciplan, che prevede il raddoppio della rete ciclabile (dalla rete esistente di 97 km a oltre 200 km), e l’istituzione di “Zone 30” in grado di favorire la coesistenza tra ciclisti e automobilisti. Ha come obiettivo quello di sviluppare una rete ciclabile urbana che favorisca

« Il PUMS introduce il cosiddetto “attrezzaggio”, cerniere di mobilità dove si concentrano le più importanti attrezzature » gli spostamenti degli abitanti legati al lavoro, alla scuola e al tempo libero, e una rete extra-urbana integrata con quella più ampia a livello nazionale e internazionale che favorisca lo sviluppo turistico e valorizzi il territorio attraverso la conoscenza culturale e ambientale. Il Biciplan ha come priorità quella di creare percorsi omogenei e facilmente individuabili, che si distaccano dalla viabilità veicolare per renderli più sicuri e più godibili incentivandone l’uso: ciò sarà possibile attraverso un sistema di accorgimenti e di scelte che influenzeranno il piano della mobilità dell’intera città. Nel caso in cui le aree edificate non permettono la realizzazione di nuove piste ciclabili si procede con l’introduzione di Zone 30, per garantire la continuità dei percorsi in sicurezza. •

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Un patto per il clima: energia e suolo L’adesione al Patto dei Sindaci per l’Energia Sostenibile ha portato Verona a elaborare uno strumento di pianificazione volontario, il PUMS Testo: Barbara Likar *

Il Comune di Verona ha aderito nel 2018 al Patto dei Sindaci per l’Energia Sostenibile e il Clima (D.C.C. n. 38 del 19.07.2018), impegnandosi nel perseguimento di politiche finalizzate al risparmio energetico e all’adattamento agli effetti del cambiamento climatico sul proprio territorio. L’obiettivo è contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera del 40% entro il 2030, attraverso la predisposizione e l’attuazione del Piano di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (PAESC). Si tratta di uno strumento di pianificazione volontario, non previsto dalla vigente normativa nazionale e regionale, che gli aderenti al Patto dei Sindaci si impegnano a redigere, approvare e attuare al fine di prevenire e gestire gli effetti negativi delle attività umane sull’ambiente, integrando azioni per la mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, per contribuire, in sinergia con le caratteristiche e le peculiarità del territorio e con le esigenze e la partecipazione della comunità che in esso vive, al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi nazionali ed europei. A questo proposito, la Commissione europea ha recentemente presentato (COM-2018-773) la sua visione strategica a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra, evidenziando come raggiungere l’obiettivo di azzerare le emissioni di gas climalteranti al 2050, attraverso azioni che interessano tutti i principali settori economici (energia, trasporti, industria e agricoltura) e definendo sette elementi strategici principali: 1. ottimizzare i benefici dell’efficienza energetica, inclusi gli edifici a zero emissioni;

2. ottimizzare l’impiego delle energie rinnovabili e l’uso dell’elettricità per “decarbonizzare” completamente l’approvvigionamento energetico dell’Europa; 3. adottare una mobilità pulita, sicura e connessa; 4. riconoscere la competitività dell’industria europea e l’economia circolare come fattori chiave per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra; 5. sviluppare un’infrastruttura di rete intelligente e interconnessioni adeguate; 6. sfruttare al massimo tutti i benefici della bioeconomia e creare i pozzi di assorbimento del carbonio necessari; 7. contrastare il resto delle emissioni di CO2 tramite il processo di cattura e sequestro del carbonio (CCS). Nella stessa strategia, viene ricordato come le città siano “già diventate laboratori di soluzioni sostenibili e trasformative. La rigenerazione urbana e una migliore pianificazione dello spazio, inclusi gli spazi verdi, possono essere motori importanti per ristrutturare abitazioni e attirare persone disposte a vivere, come un tempo, più vicine ai luoghi di lavoro, offrendo migliori condizioni di vita, tempi di pendolarismo ridotti e minor stress accessorio. Per proteggere i cittadini europei dagli effetti negativi dei cambiamenti climatici, bisogna assolutamente privilegiare l’opzione di pianificare e costruire infrastrutture pubbliche in grado di far fronte a fenomeni meteorologici estremi (…)”. E a tale riguardo, la strategia ricorda l’importanza del Patto dei Sindaci che, nell’Unione Europea, coinvolge 200 milioni di cittadini e costituisce un esempio di piattaforma collaborativa che consente alle autorità locali di imparare reciprocamente. In estrema sintesi, si riassumono così i contenuti del

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* Dirigente Area

Ambiente, Comune di Verona

13. Analisi climatica del contesto: Carta della Natura e degli habitat del Veneto (ISPRA_ Arpav). 14. Valutazione della vulnerabilità: pericolosità idraulica nel Comune di Verona (elaborazione Ambiente Italia). 14

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PAESC in fase di approvazione. Il primo documento illustra, mediante indicatori, l’ “Analisi climatica e di contesto”, ovvero sviluppa una descrizione dell’inquadramento territoriale e settoriale che comprende la struttura demografica comunale e la relativa struttura insediativa, l’articolazione del suo sistema produttivo e dei servizi, il patrimonio culturale e paesaggistico, l’agricoltura, gli usi del suolo, la presenza di aree protette e Aree Natura 2000 e il sistema infrastrutturale, analizzando anche i principali fattori di rischio legati al cambiamento climatico. Nel documento “Il Sistema energetico comunale: Bilancio Energetico e Inventario Base delle Emissioni” viene riportata un’analisi finalizzata a definire e tenere monitorata la struttura, passata e presente, sia della domanda che dell’offerta di energia locali e degli effetti ad esse correlati in termini di emissioni di gas serra, per consentire di definire le azioni necessarie a cambiare gli attuali schemi di sfruttamento delle risorse energetiche di un territorio, ridurne gli impatti ed incrementarne la sostenibilità complessiva. L’analisi del sistema energetico comunale è realizzata attraverso la ricostruzione del bilancio energetico

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e la predisposizione dell’Inventario delle emissioni di gas serra all’anno 2018, e rappresenta un importante strumento di supporto operativo per la pianificazione energetica comunale, non limitandosi a “fotografare” la situazione energetica attuale, ma fornendo strumenti analitici e interpretativi che consentano di indirizzare opportunamente le azioni e le iniziative finalizzate all’incremento della sostenibilità del sistema energetico nel suo complesso . L’identificazione dei rischi climatici e dei probabili impatti, dei settori vulnerabili, della capacità di adattamento nonché dei gruppi vulnerabili della popolazione sono descritte nel documento “Adattamento-Valutazione della Vulnerabilità e del rischio”, in cui viene esaminato il contesto territoriale e climatico, fornendo elementi di conoscenza sulla situazione climatica attuale e sugli aspetti demografici, ambientali e socioeconomici, esplicitando i risultati dell’analisi della vulnerabilità e del rischio, con riferimento ai singoli impatti climatici e riportando la valutazione qualitativa del livello d’impatto e della classe di rischio. Nel documento “Obiettivi, Azioni e Strumenti per l’adattamento”, tenendo conto dei criteri generali di riferimento contenuti nella proposta del Piano

Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, sono definiti gli obiettivi generali e puntuali per il PAESC. Inoltre, sono individuate e descritte le azioni locali di adattamento, considerando sia gli obiettivi locali e i risultati della Valutazione della Vulnerabilità e del Rischio, sia le indicazioni emerse con il questionario sulla mitigazione e adattamento climatico appositamente utilizzato per coinvolgere gli attori locali e definendo un ordine di priorità in relazione alla rilevanza degli impatti e alle competenze proprie dell’amministrazione comunale. Nel documento “Obiettivi, azioni e strumenti per la mitigazione” viene presentata la strategia di mitigazione 2030 che l’amministrazione di Verona intende promuovere e implementare sul proprio territorio per garantire il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti previsti dall’adesione al Nuovo Patto dei Sindaci per l’Energia e il Clima. Infine, il Piano di Monitoraggio del PAESC di Verona è stato articolato funzionalmente per soddisfare il duplice obiettivo di supportare la futura governance del Piano, nel controllo dell’attuazione delle azioni e del raggiungimento degli obiettivi specifici, e di consentire l’analisi e la valutazione degli effetti ambientali derivanti dall’attuazione del Piano. •

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Il riconoscimento assegnato ai vincitori del Premio ArchitettiVerona (foto di Michele Mascalzoni)

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Premiatissimi 2021

Ci mette il becco LC Un Premio alla carriera: è per sempre?

La casa delle carte

L’atteso ritorno del Premio ArchitettiVerona, riconoscimento pluriennale entrato a pieno titolo tra le attività della rivista, attraverso la cronaca della cerimonia di assegnazione

Note a margine del riconoscimento tributato da «AV» al sodalizio Calcagni-Cenna

104. Una porta sul fiume Un’opera d’arte dall’evidente assonanza scarpiano ritorna in città a suggellare l’uso temporaneamente espositivo degli spazi della Dogana d’acqua affacciati sull’Adige

Per una storia industriale di Verona, tra passato e innovazione: l’apertura di Casa Fedrigoni.

107. Quanti paesaggi? Un’esposizione fotografica ha proposto una riflessione sul paesaggio/sui paesaggi a partire dal lavoro di Gabriele Basilico incentrato sugli ex Magazzini Generali

109. Giorgio Ugolini 1938-2021

101. Ricognizioni: appunti dalla giuria

A ricordo di uno degli esponenti di rilievo della generazione di architetti veronesi entrata nel mondo della professione a metà degli anni Sessanta

La testimonianza di uno dei componenti della giuria del Premio in una riflessione sulle dinamiche e sulle poetiche dei progettisti selezionati

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Premiatissimi 2021 L’atteso ritorno del Premio ArchitettiVerona, riconoscimento pluriennale entrato a pieno titolo tra le attività della rivista, attraverso la cronaca della cerimonia di assegnazione

Testo: Luisella Zeri

Foto: Michele Mascalzoni

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PREMIO ARCHITETTIVERONA 2021 - 6° EDIZIONE ALLESTIMENTO E INTERNI Illuminazione ipogeo di Santa Maria in Stelle, Verona progetto: LA Lucearchitettura arch. Lorella Marconi, arch. Cinzia Todeschini

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l Premio Architettiverona, giunto quest’anno alla sua sesta edizione, è un appuntamento ormai consolidato nella vita multiforme della nostra rivista. La cerimonia del 24 settembre 2021, in cui sono stati ufficialmente consegnati la statuetta alla carriera e i cinque riconoscimenti alle opere segnalate dalla giuria, ha rappresentato l’evento che gli architetti veronesi meritavano dopo che la pandemia mondiale ha interrotto la cadenza biennale del premio, la cui precedente edizione risale al 2017. L’isolamento a cui siamo stati costretti ci ha mostrato i limiti del nostro status abitativo, e sempre più spesso ha portato a domandarci chi siamo e cosa vogliamo per il nostro futuro, consegnando alla professione il compito di ricostruire la cultura architettonica proprio da queste macerie. La risposta a tale condizione non è certo arrivata dalla politica, che, come sempre, ha messo in mano agli architetti i soliti escamotage finalizzati a fare leva sul portafoglio dei contribuenti: bonus fiscali, cappotti, e pannelli solari sono pronti a cambiare nuovamente il volto delle nostre città nel bene e nel male. Cosa ne sarà degli skyline italiani in balia di questi strumenti? Non possiamo dirlo con certezza, ma il Premio Architettiverona è arrivato proprio a ricordarci di quale potenziale è portatrice l’architettura. Lo hanno ben articolato le parole di saluto della vice presidente del nosto Ordine, Paola Bonuzzi, in apertura della cerimonia: il nostro compito è quello di valorizzare la qualità delle trasformazioni del territorio dando voce a modelli progettuali innovativi e sostenibili, puntando alla qualità dell’architettura come qualità del vivere. Ecco, quindi, che la cerimonia, benedetta dalla luce di un tramonto di fine estate, si è inserita in un momento storico che è punto di ripartenza dalla crisi economica e culturale post covid, facendo però memoria della storia passata e dei suoi modelli virtuosi. Primo fra tutti i rimandi, il luogo scelto per ospitare la serata, ovvero

NUOVE COSTRUZIONI Villa T, Peschiera del Garda progetto: Ardielli Fornasa associati arch. Marco Ardielli, arch. Paola Fornasa Menzione: Ville ad Albisano, Torri del Benaco progetto: Ardielli Fornasa associati RESTAURO E RECUPERO Restauro di Forte Tesoro, Sant’Anna d’Alfaedo progetto: arch. Fiorenzo Meneghelli Menzione: Casa di campagna al Chievo, Verona progetto: Wok architetti associati arch. Marcello Bondavalli, arch. Nicola Brenna, arch. Carlo Alberto Tagliabue 02

SPAZI PUBBLICI E PAESAGGIO Brolo Cantina Gorgo a Custoza, Sommacampagna progetto: Bricolo Falsarella associati arch. Filippo Bricolo, arch. Francesca Falsarella

01. Ritratto di gruppo di premiati e premiatori al termine della cerimonia del 24 settembre 2021. 02. L’immagine grafica del Premio è curata dal 2015 da Happycentro. 03. Una lettrice alle prese con il volantino-catalogo.

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PREMIO AV 2021 LA CERIMONIA Le immagini della serata del 24 settembre 2021, con i festeggiamenti dei vincitori del Premio e contestualmente un omaggio per i cinquant’anni del parco Murlongo che ha splendidamente accolto la cerimonia, si accompagnano ai commenti dei protagonisti, raccolti in una serie di “pillole” GALLERY https://architettiverona.it/premio-av/ cerimonia-2021/ VIDEO https://architettiverona.it/video/ premiatissimi-2021/

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il parco del residence Murlongo. Il complesso per vacanze adagiato sulle colline di Costermano ha festeggiato proprio quest’anno il cinquantesimo anniversario dell’inaugurazione e, insieme alle altre opere veronesi del suo autore, valse nel 2009 il conferimento della prima edizione del Premio ad Angelo Mangiarotti. La motivazione era quella di un esempio di architettura capace di rispondere con creatività e misurata razionalità alle necessità dell’uomo, un riferimento che ha fatto da apripista ai progetti premiati per le successive edizioni, a cui si sono aggiunti i riconoscimenti di questo 2021. All’interno delle categorie individuate, quattro sono stati i progetti premiati più due menzioni speciali, su un totale di 41 aderenti al bando. Li troviamo in questo stesso numero della rivista, fatta eccezione per la casa di campagna al Chievo (menzionata) che già ha trovato ampio risalto su «AV» (cfr. n. 117, pp. 20-27). Il trofeo in legno di abete, realizzato da Rabatto e raffigurante la caratteristica “A” della rivista, è stato assegnato dalla giuria composta dagli architetti Mariano Zanon, Maura Manzelle, Davide Fusari,

Laura De Stefano e Alberto Vignolo. Fra i nominati vi sono professionisti già noti al palco del premio e una doppia assegnazione, questo perché il riconoscimento va agli architetti, ma è prima di tutto l’occasione per dare lustro e importanza alle architetture, che evidentemente, come sottolineato dal nostro direttore Alberto Vignolo “non possono salire sul palco e quindi sono gli architetti-autori che le raccontano al pubblico”. Dalla narrazione dei professionisti premiati traspare ciò che accomuna le opere vincitrici, ovvero il ruolo fondamentale delle persone, nelle figure di committenti privati e amministrazioni comunali lungimiranti, le maestranze e gli artigiani che si lasciano coinvolgere e diventano parte integrante del lavoro di squadra. Ma anche la ricerca tecnologica e l’attenzione al dettaglio che aprendo la mente incontrano un concetto di sostenibilità che abbraccia tutto il progetto andando oltre gli abituali stereotipi dei materiali da costruzione. Lascia un po’ di amaro in bocca una grande assente fra i premiati, ovvero la categoria dedicata ai giovani emergenti. Non è

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Ricognizioni: appunti dalla giuria La testimonianza di uno dei componenti della giuria del Premio in una riflessione sulle dinamiche e sulle poetiche dei progettisti selezionati

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04. Una fase della cerimonia con il palco ricavato al di sotto della copertura mangiarottiana nell’area piscina di Murlongo. 05. Momento conviviale e brindisi per festeggiare i premiati. 06-07. Fermo immagini dai sopralluoghi effettuati dalla giuria alle opere poi premiate.

Testo: Davide Fusari

stato infatti assegnato il riconoscimento “Opera Prima” destinato a interventi firmati da progettisti under 35, confermando ancora una volta che la nostra, forse, non è (ancora) una professione per giovani architetti. A chiudere il cerchio fra passato e presente, il riconoscimento alla carriera che durante ogni edizione viene assegnato alle personalità che si sono particolarmente contraddistinte durante il loro percorso professionale. Ci eravamo lasciati nel 2017 con il tributo a Libero Cecchini, che quest’anno in un simbolico passaggio di consegne è stato assegnato a Luciano Cenna e – alla memoria – a Luigi Calcagni. L’omaggio di tutti gli architetti veronesi è andato a due professionisti che, ridisegnando il profilo costruito della nostra città in un sodalizio umano e professionale lungo 65 anni, hanno contemporaneamente riscritto la cultura del nostro tempo. Cenna e Calcagni sono stati fra i fondatori della nostra rivista e Cenna stesso, che ha ritirato il premio anche a nome del compianto collega, ancora oggi firma su queste pagine una rubrica dal nome “Ci mette il becco LC”. Un titolo che la dice lunga su quanto sia lucida la visione sul tema delle trasformazioni architettoniche e urbanistiche del nostro tempo e che dimostra l’umanità di chi preferisce scrivere, piuttosto che parlare: tanto che Cenna, durante la premiazione, ha brevemente ringraziato al microfono ed è tornato schivo al suo posto, tra gli applausi del pubblico. La serata è terminata con un brindisi conviviale, che ha permesso di salutarci dandoci appuntamento all’edizione numero sette del Premio ArchitettiVerona.

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’opportunità di prendere parte alla giuria del premio ArchitettiVerona 2021 ha costituito, per me e per la rivista dell’Ordine degli Architetti di Trento che rappresento, un onore e insieme un onere. Il confronto con una realtà e con un bilancio della sua attività professionale nell’ambito del progetto e della costruzione ha reso infatti necessario definire criteri e modalità di lettura a sostegno del punto di vista proposto con tutte le implicazioni che questo comporta. D’altra parte, fondando il parere su una base eterogenea di auto candidature, tali criteri possono essere forse letti a posteriori incrociando i dati disponibili circa il processo, il progetto e la costruzione dei lavori stessi con il portato di ciascuno dei giurati. Non mi è consueto esprimermi su un compendio di opere costruite, essendo piuttosto abituato a farlo su progetti. Il dato della costruzione aggiunge un fattore di notevole limitazione all’immaginazione e impone di concentrarsi sulla realtà delle cose. Se il progetto permette alla futura esecuzione determinati gradi di libertà, la costruzione è in qualche modo definitiva perché risolve in se il processo che la ha preceduta. Del resto, la possibilità di conoscere il processo costituisce un significativo valore aggiunto perchè permette di contestualizzare le opere entro il più ampio scenario che sostanzia la professione e le sue interrelazioni, fatto importante dato che il Premio è stato bandito da un Ordine degli Architetti. E proprio questo è stato, a parere di chi scrive, uno degli aspetti di maggior interesse di questa esperienza. Abbiamo conosciuto architetture restitutive di dinamiche di grande interesse, avvicinandoci alle poetiche dei rispettivi progettisti

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e dando uno sguardo al modo in cui ciascuno di loro affronta il progetto e, appunto, la costruzione. Provo a fare alcuni esempi. Il tema delle dinamiche contiene in se, chiaramente, un discorso sulla committenza. Che sia committenza pubblica e privata; civile ed ecclesiastica; che l’incarico avvenga per affidamento diretto, gara o concorso non è indifferente: questo dato evidenzia il ruolo attribuito all’architetto entro i processi in questione e, d’altro canto, ci introduce al valore della sua professionalità nell’interpretarli.

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08. Davide Fusari nelle vesti di premiatore consegna il riconoscimento per la categoria Spazi pubblici e Paesaggio. 09. Luciano Cenna riceve dalla vice presidente dell’Ordine Paola Bonuzzi il Premio AV.

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Mi sembra interessante sottolineare la presenza di due chiese, esito di un concorso bandito dalla locale Diocesi ormai molti anni, fa e di una casa privata, anch’essa realizzata a seguito di un concorso a inviti. Abbiamo visto opere che sono la tappa di processi culturali che si snodano nel tempo e che vanno ben al di là della sola costruzione di un manufatto e che quindi impegnano committenza e progettisti in una relazione particolarmente complessa. Abbiamo visto opere che nascono dalla fiducia risposta da un committente in un architetto anche nello scorrere del tempo, con più fase successive che dimostrano anche la rispettiva maturazione e crescita. Ma il tema delle dinamiche porta con sè anche un racconto del territorio e delle sue vocazioni. L’architettura del lago con le sue implicazioni economiche, l’architettura della campagna e di come oggi può corrispondere a nuovi e diversi usi e vocazioni, la valorizzazione della storia e dei segni che ha lasciato nel paesaggio, le numerose preesistenze da riattivare e reinterpretare... Varie le destinazioni d’uso delle opere analizzate. Tra queste mi sembra significativo risaltare il progetto di un campeggio che ne declina le esigenze funzionali in modo architettonico con una riflessione non scontata sulle potenzialità di un

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pattern di piccole unità a L aperte attorno ad un patio e ordinate da un sistema di assi quasi a configurare un mat-building balneare. C’è poi il discorso relativo alle poetiche dei progettisti. Nell’opera costruita la ricerca della cifra del progettista può far risaltare diversi livelli non sempre evidenti e non sempre uguali. Abbiamo visitato architetture dove la cifra era nell’impianto morfologico, altre nella forma, nella costruzione, nell’astrazione e nella luce, altre ancora nella citazione. Altre, infine, nell’interazione di alcuni dei fattori citati. Non per questo il resto era trascurato, beninteso, ma non costituiva il principale dato espressivo della singolarità e della qualità dell’intervento e, soprattutto, della capacità dei progettisti di “problematizzare” il tema di progetto indagandolo e offrendo la rispettiva personale risposta alle questioni in gioco. La possibilità di incontrare i progettisti o di leggere i documenti relativi al progetto ha costituito un dato particolare di questa esperienza arricchendo il lavoro della giuria dell’umanità e della specificità con cui chi progetta interpreta come si è architetti e come si fa (e si racconta) l’architettura. La scelta dei materiali costituisce una chiave significativa del rapporto tra processo e progetto, evidenziando spesso le caratteristiche della

committenza e la destinazione d’uso degli edifici. E’ stato interessante in tal senso poter visitare le opere per esperirne con i sensi l’”atmosfera” e la tattilità delle superfici provando come, talvolta, vi sia una discrepanza -oppure una corrispondenzatra quanto le immagini trasmettono e quanto l’esperienza diretta fa vivere. Ricorrente è stato il tema della citazione. Molti progettisti hanno ribadito il loro riferirsi a maestri o a opere di diversa natura nel “prendere in prestito” segni, elementi o modi di progettare o intendere il progetto. A mio modo di vedere la citazione funziona anche senza sottolinearla, nel suo diventare qualcosa che inconsciamente e armonicamente arricchisce un progetto. Un discorso particolare merita il rapporto con il contesto, spesso assente nei materiali consegnati che si è rivelato, invece, in sede di sopralluogo mostrando l’importanza di inserimenti di qualità in luoghi alle volte di scarso valore oppure in continuità con sistemi paesaggistici di grande complessità oppure ancora dentro scenari di grande bellezza e per questo molto delicati. Sintetizzando il lavoro fatto, mi sembra che il criterio da noi adottato sia stato quello della coerenza – del progetto rispetto al discorso, dell’opera rispetto al progetto, della parte rispetto al tutto, dell’edificio rispetto al contesto, ecc. – alla ricerca di un parere equilibrato che mettesse a sistema quanto visto e sentito. Chiaramente in questo entra in gioco una componente soggettiva riferibile alle personali inclinazioni e punti di vista dei commissari ma che, come è avvenuto, può trovare composizione in un discorso corale fondato sulla comprensione dei nessi che legano tra loro le diverse parti del discorso che ciascuna delle opere analizzate ci ha trasmesso. Infine, vorrei formulare un sincero ringraziamento a Alberto e a tutta la redazione; ai commissari compagni di viaggio; all’Ordine degli Architetti per il valore attribuito a uno strumento di cultura della professione e del progetto come la rivista e il Premio. Ma soprattutto vorrei ringraziare tutti i colleghi che hanno candidato il loro lavoro – a tutti, non solo ai premiati e ai menzionati – per lo sforzo e l’energia che quotidianamente investono in un fare vocato alla qualità.

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Ci mette il becco LC Un Premio alla carriera: è per sempre? Note a margine del riconoscimento tributato da «AV» al sodalizio Calcagni-Cenna

Testo: Luciano Cenna

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iù del solo becco questa volta ci ho messo l’intera faccia, e forse oltre... È accaduto alla cerimonia del 6° Premio ArchitettiVerona, ripreso dopo la sospensione per Covid e assegnato ad alcuni giovani architetti veronesi per i loro progetti e a Calcagni e Cenna come riconoscimento della attività svolta nell’arco di 65 anni di collaborazione. Devo ammettere che ero giunto al Parco Murlongo, dove si teneva la cerimonia, un po’ teso. Me lo aspettavo, conoscendo i mie punti deboli – l’ossessiva timidezza (non ho detto umiltà) che assomiglia alla superbia. In effetti nei giorni precedenti, il pensiero mi era andato spesso a quei momenti che precedono la prova, in cerca di una formula tranquillizzante in grado di non farmi fare la faccia e la figura del babbeo, come spesso mi succede. Giunto ai bordi della piscina dove si sarebbe svolta la cerimonia di lì a poco, e dove erano già riuniti molti colleghi, mi vennero incontro alcuni amici, una giornalista per una breve intervista che avrei dovuto superare con spirito, Vignolo e altri. In questi casi dò il meglio di me, o forse

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il peggio, tanto che butto lì un “non capisco se questo riconoscimento sia tardivo o prematuro”. Intendendo alludere al fatto che Gigi era morto da circa un anno e io non ancora, e quindi... Ovviamente la mia sortita poteva essere intesa come un rimprovero per il tardivo riconoscimento, non tanto nei riguardi di Gigi ma di entrambi; ed era ciò che nel mio intimo pensavo. Mi sono rimesso in carreggiata subito dopo facendo notare ai presenti che i 75 anni di collaborazione tra me e Calcagni, indicati nella motivazione del premio, erano solo 65 e che pertanto mi si concedevano altri dieci anni di attività. Ma quando poco dopo sono stato invitato a salire sul palco per ritirare il premio e dire due parole non mi venne se non un rauco ringraziamento alla rivista, a Vignolo e a Gigi riconoscendogli il merito del 50% del premio. Non era un pensiero generoso il mio, era un modo per ricordarne la figura, assente nell’unica occasione in cui, della nostra collaborazione di studio di oltre 65 anni, veniva celebrata la qualità. L’intera cerimonia si era comunque svolta in un clima particolarmente sereno e amichevole durante il quale avevano parlato Vignolo, i relatori dei premi, i premiati, il presidente dell’Ordine e Bricolo, in particolare, che con accenti direi affettuosi aveva attribuito a Calcagni e Cenna il merito di aver dato l’avvio, con le loro architetture pubbliche, all’affacciarsi a Verona del “fare l’architettura” dopo i confusi primi anni del dopoguerra. Devo confessare che lì per lì ho pensato che le dichiarazioni benevole di Bricolo fossero state influenzate dall’atmosfera cordiale che aveva investito la scena di quel sito progettato da Mangiarotti cinquant’anni fa, ancora architettonicamente così attuale. Ma è come quando si va a visitare una buona architettura, non importa se antica o di questo secolo: ne sei

preso come se fosse una tua opera. E così è stato per me, tanto che, sedotto da quell’ambiente, mi sono arrischiato a riconoscere al mio interlocutore di quel momento che alla lista di una dozzina di buoni architetti veronesi ne aggiungevo altrettanti (udite, udite!) compresi i premiati. Mi ci è voluta una occasionale visita nei giorni scorsi ad un amico che vive in una casa progettata da Calcagni e Cenna a metà anni Settanta per comprendere meglio il giudizio di Bricolo quando, di fronte ad un dettaglio che non ricordavo, mi sono convinto della grazia di quegli anni. E mi sono chiesto: adesso che forse ho perso quella grazia, con cosa ho supplito? Non rispondetemi: “con l’esperienza”, perchè mi offenderei.

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Una porta sul fiume

Un’opera d’arte dall’evidente assonanza scarpiano ritorna in città a suggellare l’uso temporaneamente espositivo degli spazi della Dogana d’acqua affacciati sull’Adige

Testo: Nicolò Olivieri

Foto: Michele Alberto Sereni (courtesy Studio la Città)

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hi abbia varcato la soglia del recinto abitato dell’antica Dogana d’acqua (cfr. «AV» 126, pp. 36-41) nel periodo che ha visto il ritorno di ArtVerona e delle molte iniziative collegate alla manifestazione fieristica, avrà potuto cogliere già al primo sguardo una figura al tempo stesso familiare e inconsueta. Spingendosi verso la magnifica terrazza sull’Adige, ecco rivelarsi l’installazione di Orizzonte, opera dell’artista greco Costas Varotsos: due anelli intrecciati che subito portano alla memoria l’uso che ne ha fatto Carlo Scarpa come fuoco prospettico nel percorso di accesso alla Tomba Brion, a San Vito di Altivole. Esposta a lungo nel cortile di Castelvecchio, dove il trait d’union scarpiano è evidente, in questa nuova collocazione temporanea l’opera ha trovato una particolare risonanza con il luogo. In questa opera, infatti, Varotsos ha lavorato con la luce filtrata dalle sezioni di vetro che occupano la metà inferiore dei due anelli, creando una suggestiva relazione con il fiume retrostante. Mostrando riflessi che virano dal blu al verde, il vetro si comporta come un liquido che per gravità riempie le sezioni circolari, un gesto minimale come la linea dell’orizzonte che divide cielo e

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terra. Nell’essenzialità di tale opera e nella semplicità dei materiali utilizzati (ferro e vetro) si legge la forte spinta che l’artista ricerca nel difficile equilibrio tra uomo e natura, e la riflessione su temi essenziali: spazio, tempo, natura ed energia. Un’opera da apprezzare dalle diverse angolazioni che il luogo ha offerto anche al calare del sole, offrendo un incantevole gioco di riflessi sull’acqua

01. Il percorso assiale di accesso alla riva della Dogana inquadra l’opera Orizzonte di Costas Varotsos (foto di Silvia Marchesini). 02. Veduta serale dell’installazione dal lungadige Pasetto, con le proiezioni delle sagome delle opere sulla facciata della Dogana. 02

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ODEON UNA PORTA SUL FIUME Herbert Hamak, Costas Varotsos ESPOSIZIONE 14 ottobre - 23 ottobre 2021

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e sulla facciata della Dogana, apprezzabili, anche dal lungadige prospiciente: grazie all’installazione, il genius loci non può che essere evidenziato e rafforzato. Ma la passeggiata sulla terrazza della Dogana non è finita: guardando verso Ponte Navi, l’attenzione è catturata da un gruppo di colonne colorate che si slanciano verso il cielo. La deformazione dello sguardo dell’architetto ci porta in Centro America, precisamente sull’Anillo Periférico di Città del Messico, dove nel 1958 Luis Barragan realizzò le Torres de Satélite, cinque scultorei prismi triangolari di diversi colori e altezze, che hanno assunto il ruolo di guardia verso l’entrata nord della città. Analogamente, le tre “torri” in resina e pigmenti realizzate da Herbert Hamack e qui esposte (SH 1461 N del 2005, Untitled del 2004

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e Untitled del 2007), sembrano sorvegliare l’accesso fluviale alla città. Nei lavori di Hamack, ben noti ai veronesi – molti ricorderanno in particolare l’installazione del 2007 tra i merli di Castelvecchio –, la relazione con l’esistente (naturale

« Una nuova identità anche come spazio espositivo, valorizzando il suo ruolo storico di interfaccia tra il fiume e la città »

Dogana, demolito per la costruzione degli argini del fiume e oggi conservati al Museo degli Affreschi. Con questa esposizione, promossa dalla Galleria Studio la Città in collaborazione con i Musei Civici, la Galleria Giorgio Persano di Torino e il Canoa Club Verona, la Dogana d’acqua ha trovato una nuova identità anche come spazio espositivo, valorizzando il suo ruolo storico di interfaccia tra il fiume e la città.

Studio la Città, in collaborazione con i Musei Civici diVerona Museo di Castelvecchio e la Galleria Giorgio Persano di Torino, ha definito un progetto di collaborazione con il Canoa Club Verona che “custodisce” l’antica Dogana di Fiume. Eretta nel 1792, è uno dei luoghi più suggestivi di Verona che, al calare del sole, offre un incantevole gioco di riflessi sull’acqua,visibili anche dal Lungadige Pasetto e da Ponte Navi. Per la valorizzazione di questo luogo, Studio la Città ha avviato un ciclo di eventi articolato in più puntate e intitolato Una Porta sul Fiume. www.studiolacitta.it www.canoaclubverona.it

03. Veduta d’insieme dell’esposizione con i lavori di Herbert Hamak, sulla sinistra, e l’installazione di Varotsos sulla destra.

o artificiale) è palpabile; la purezza dei colori, esaltata dalla luce rifratta dalle resine di cui sono composte le opere, rievoca in questo caso quelli degli affreschi dell’antico Palazzo Fiorio della Seta, che si affacciava sull’Adige poco distante dalla

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La casa delle carte

Per una storia industriale di Verona, tra passato e innovazione: l’apertura di Casa Fedrigoni Testo: Michele De Mori

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a nascita e lo sviluppo dell’industria moderna a Verona sono segnati da grandi difficoltà e lunghi conflitti. Primo tra tutti, per la forte presenza militare nella città, piazzaforte di primaria importanza per la sua posizione strategica; ma anche per un mondo legato all’agricoltura che non vedeva positivamente l’impianto di grandi complessi produttivi. Questi fattori, uniti alla scarsità e alla difficoltà di approvvigionamento di forza motrice, ne limitarono fortemente l’avvio. Non a caso, infatti, il primo importante nucleo industriale della città trovò sede a Montorio dove, grazie all’ampia disponibilità di acqua si installarono le prime ruote idrauliche Poncelet, ancora nel 1844. Solo trent’anni più tardi, grazie all’impegno del sindaco Giulio Camuzzoni e alle competenze tecniche dell’ing. Enrico Carli, che Verona inizierà a sognare la grande industria. Reso operativo nel 1887, il canale industriale, andò a delineare due grandi aree adibite a scopi industriali. Nella prima, posta sul lato sinistro, nella depressione del Basso Acquar, oltre all’acquedotto cittadino, trovarono sede stabilimenti locali come il cartonificio Franchini. Mentre, alla destra del canale, in zona sopraelevata, si insediarono imprese di dimensione maggiore, quali i molini Consolaro, il cotonificio Crespi e la cartiera Fedrigoni. Fondamentale sarà, inoltre, l’insediamento della prima centrale idroelettrica di Verona, nata per fornire energia alle piccole industrie. Oggi, a distanza di più di un secolo, di questo grande impulso industriale nella zona del Basso Acquar rimangono solo confusi vuoti urbani e sporadici elementi di archeologia industriale

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privati del loro contesto originale. Ma vi è anche un’importante eccezione: la Cartiera Fedrigoni, fondata dal trentino Giuseppe Antonio nel 1888. A differenza delle altre fabbriche, la cartiera, negli anni andò a espandere sempre più i suoi impianti, inglobando il vicino cotonificio e, successivamente, la palazzina uffici dei Consolaro, assicurandosi così buona parte della fascia a destra del canale. Ancora in forte attività, la cartiera è diventata una delle più importanti e longeve attività industriale della città, nonché leader mondiale nella produzione di carte speciali per packaging, editoria e grafica. Questa straordinaria storia imprenditoriale è raccontata oggi grazie all’impegno della vice presidente del Gruppo e Presidente della Fondazione Fedrigoni Fabriano, Chiara Medioli Fedrigoni, e alle competenze tecniche della professoressa Giorgietta Bonfiglio Dosio, con la collaborazione di Ilaria Montin, all’interno di “Casa Fedrigoni”. Descritta come il contenitore

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01. Veduta complessiva dell’area innervata dal canale Camuzzoni dove si insediò già a fine Ottocento la cartiera Fedrigoni. 02. L’edifico che ospitava l’abitazione del direttore della cartiera, oggi adibito a sede dell’archivio aziendale. 03. Un esempio delle produzioni presentate al Fedrigoni Top Award. 04. Antichi strumenti per la lavorazione della carta e documenti d’archivio allestiti all’interno di Casa Fedrigoni.

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Un’esposizione fotografica ha proposto una riflessione sul paesaggio/sui paesaggi a partire dal lavoro di Gabriele Basilico incentrato sugli ex Magazzini Generali

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Quanti paesaggi?

Testo: Marzia Guastella

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di “un piccolo ma significativo archivio industriale”, la Casa è in realtà molto di più. Un percorso allestito in quella che era l’abitazione del direttore dello stabilimento, ci permette di esplorare i documenti prodotti in 130 anni di attività della cartiera veronese ma anche di quelle trentine di Varone e Arco, facenti parte del gruppo. Documenti attentamente catalogati, tra i quali troviamo foto d’epoca, disegni tecnici e campionari, ma anche diverse strumentazioni utilizzate nel passato per la lavorazione e il controllo della qualità della carta. Il ricordo e lo studio del passato è solo una parte del nuovo centro. Qui sono raccolte ed esposte le migliori produzioni presentate al Fedrigoni Top Award, concorso internazionale biennale che premia le creazioni e i progetti più originali realizzati con carte Fedrigoni. Nata principalmente quale raccoglitore della storia e dell’identità della cartiera, nonché punto di incontro per clienti e operatori del settore, Casa Fedrigoni aspira infatti a diventare un laboratorio di innovazione e ispirazione nell’industria cartaria. Perché, citando le parole di Medioli Fedrigoni, “la carta è questo: un materiale versatile e affascinante, di uso quotidiano ma anche raffinato, espressione di cultura, tecnologia, emozioni e arte”.

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iamo abituati a osservare il paesaggio con l’occhio convenzionale di chi scorge un luogo di trasformazione, esito delle azioni naturali e antropiche, dimenticando le molteplici chiavi di lettura immateriali e soggettive alle quali esso si presta nei diversi ambiti culturali e artistici. La domanda sorge spontanea: “quanti paesaggi possiamo vedere e in quanti modi possiamo presentarli?”, citando le parole del curatore Carlo Sala durante la presentazione della mostra. La risposta non è facile e tanto meno immediata, ma un suggerimento è arrivato dalla mostra How Many Landscapes?, inaugurata lo scorso 16 ottobre nella sede di Fondazione Cariverona, che ha proposto una riflessione sui linguaggi della contemporaneità utilizzando il mezzo fotografico per descrivere le nuove visioni sul tema paesaggistico. Il legame tra fotografia e paesaggio è ampiamente consolidato già alla fine del Novecento con l’attività di importanti autori che hanno illustrato le trasformazioni del paesaggio contemporaneo e i cambiamenti sociali, politici e culturali. Si tratta di una fotografia analitica e documentale che si ritrova, ad esempio, nel lavoro di Gabriele Basilico (1944-2013), tra i più importanti artisti di quel periodo nonché pilastro dell’intera mostra. I suoi scatti degli ex Magazzini Generali di Verona, realizzati tra il 2005 e il 2006 su commissione della Fondazione Cariverona, appartengono alla serie Architettura e Memoria, immagini che riproducono la complessità urbana attraverso le forme dello spazio costituite perlopiù da architetture periferiche, rigorosamente prive della presenza umana. L’opera di Basilico ha segnato il punto di partenza nella ricerca di nuove espressioni del paesaggio, che ha coinvolto otto

01. Allestimento dell’opera di Gabriele Basilico, Ex Magazzini Generali, Magazzino 28, Esterno (n.1), 2006.

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HOW MANY LANDSCAPES? Gabriele Basilico / Paola De Pietri Francesco Jodice Silvia Mariotti Filippo Minelli Alessandro Sambini Alberto Sinigaglia Davide Tranchina Jacopo Valentini a cura di Carlo Sala un progetto di Fondazione Cariverona in collaborazione con Urbs Picta direzione artistica Jessica Bianchera Mostra e programma pubblico: ottobre-dicembre 2021

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02. La serie Spelling Book–Learning from Caltech 256 di Alessandro Sambini, 2018 conclude l’allestimento della Sala Polifunzionale. 3. Alcune immagini di Paola De Pietri, Improvvisamente, 2017-2018 nella Sala Basaldella.

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artisti contemporanei in un itinerario tra il reale e l’immaginario. È proprio il dialogo tra Gabriele Basilico e Paola De Pietri ad aprire il percorso espositivo: due lavori apparentemente lontani, realizzati in periodi diversi, che convergono nella percezione di paesaggi urbani feriti con potenzialità rigenerative celate nel vigore dei manufatti architettonici. Un confronto in bianco e nero ancora del tutto realistico con un cambio di rotta scandito, nel prosieguo della mostra, da una ripartizione ideale e graduale fino all’inaspettato. Le immagini di Jacopo Valentini accolgono poi il visitatore in un’atmosfera polimorfa; al paesaggio reale, indagato attraverso la morfologia della Pietra Bismantova, l’artista ha combinato un paesaggio culturale con intermezzi simbolici, letterari e scientifici. Al contrario, nei paesaggi immaginari di Davide Tranchina la realtà è totalmente decostruita, e la fotografia è utilizzata per evocare luoghi e vicende umane che l’autore ha ricostruito nel suo studio attraverso la memoria. Il paesaggio alterato di Filippo Minelli è invece il risultato della sovrapposizione di immagini reali, raffiguranti spazi pubblici, e immagini digitali scaricate dal web; mentre la visione criptica di Alessandro Sambini mostra il paesaggio attraverso l’occhio artificiale di un dispositivo che, utilizzando un

processo di machine learning, genera forme e immagini slegate dal reale. Una nuova suggestione ripropone Gabriele Basilico a confronto con Francesco Jodice per un approfondimento sul legame tra fotografia e geopolitica; il paesaggio neutrale di Jodice, senza valore descrittivo, indaga la storia di Venezia andando oltre i cliché. L’ultima tappa accosta fotografia e scultura con un cambio del ritmo espositivo. Così, insieme al dialogo tra forma e immagine concepito da Silvia Mariotti nelle sue ambientazioni ispirate alla natura in bilico tra realtà e finzione, ecco la riflessione di Alberto Sinigaglia su un paesaggio filtrato dall’immaginario social attraverso delle sculture: combinazioni di elementi naturali del luogo e materiali dello smartphone che sembrano produrre stratigrafie geologiche, unico elemento reale di un paesaggio ridotto a una semplice immagine di sfondo. La mostra è stata inserita all’interno di un progetto finalizzato alla formazione dei giovani, che ha coinvolto l’Università di Verona, l’Accademia di Belle Arti di Verona e l’Istituto Iusve; attraverso un interessante programma sono stati organizzati workshop e momenti d’incontro che hanno approfondito il tema e le opere degli artisti.

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Giorgio Ugolini 1938-2021 ODEON

A ricordo di uno degli esponenti di rilievo della generazione di architetti veronesi entrata nel mondo della professione a metà degli anni Sessanta 01

Testo: Alberto Vignolo

“M

i chiamo Giorgio Ugolini e sono un architetto”. Così nel 2018 si apriva il racconto, condotto in prima persona, che «AV» aveva dedicato alle esperienze progettuali dello stesso Ugolini “e soci”, come aveva tenuto a precisare: un’ampia rassegna di opere, molte delle quali fortemente radicate nel tessuto urbano e nell’immagine di Verona, assieme ad altre impegnative realizzazioni sparse per l’Italia (cfr. «AV» 113, pp. 94-99). Schivo e restio a manifestarsi in pubblico, tanto da stemperare il proprio nome nella formula un po’ anonima dello studio Architetti Associati, Ugolini aveva costruito una sorta di manifesto (un autoritratto?) nella casa-studio di via Cigno, realizzata nel 1979: un’affascinante opera di sottrazione, introversa ma articolata ed esplosiva nella spazialità interna (cfr. «AV» 91, pp. 40-45) . A rileggere oggi quell’articolo, c’è già tutto il bilancio di più di cinquant’anni di carriera, dal periodo degli studi senza grande slancio agli esordi in un momento di grande fervore. La sua iscrizione all’Albo porta il numero 78: siamo a metà degli anni Sessanta, e “a quei tempi la professione garantiva opportunità, oltre al fatto che eravamo in pochi... Ricordo bene con quale frenesia si lavorava, quasi nevrastenica, senza

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orari, sabato o domenica compresi. Lavori privati, grandi e piccoli, lavori pubblici, prefabbricazione, scuole, case di cura, concorsi, concorsi appalto – tanti concorsi – sport, edifici per il culto, un po’ di urbanistica, ville e villini, restauri, ristrutturazioni e così via. Grande era l’impegno, quasi ossessivo: era facile sentirsi parte di un mondo che sembrava chiederti prestazioni straordinarie al suo servizio”. Chissà cosa potrà raccontare in

futuro un giovane architetto di oggi, su questi nostri anni Venti non proprio ruggenti? Sono ancora le sue parole a calarci nella realtà di quel tempo: “In studio eravamo una decina, più due ingegneri. Indimenticabili e insostituibili furono l’architetto Giangiacomo Gabrieli e il professor Sandro Marconi. Si circolava per gli uffici con incedere sicuro. I committenti, quand’anche rupestri, portavano rispetto, e l’arroganza

del denaro non si imponeva sulla professionalità, vera o fasulla che fosse”. Inevitabile una certa dose di sommessa nostalgia: oggi “l’artigianato professionale sembra destinato a sparire così come le botteghe alimentari”. Nostalgia che, nel momento in cui ricordiamo e salutiamo Giorgio Ugolini, scomparso a novembre a 83 anni, diventa la maniera di riflettere sulla figura dell’architetto attraverso l’eredità ideale di chi ne ha incarnato a pieno titolo il ruolo. “Nell’ultimo decennio sono entrate in crisi parecchie illusioni: certi miti sono crollati, la visione prospettica si è ridotta, e sia il lavoro che le opportunità hanno dovuto attestarsi sul segno meno. Fortunatamente penso che questa contrazione abbia inciso senz’altro sulla mia attività, ma assai meno sulla mia identità; ha piuttosto consentito una pausa, magari un po’ forzata, ma comunque del tutto nuova, sul lavoro e sul resto. Ora mi sento attirato dal ‘piccolo’, il tempo a disposizione consente di cercare senza frenesia. Da questo punto di vista mi è andata bene”. Una nuova, lunghissima pausa consentirà ora all’architetto di proseguire la sua ricerca.

01. Casa-studio a Santo Stefano, Verona (1979): veduta dall’alto dell’intercapedine tra la nuova e la vecchia costruzione.

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QUASI ARCHITETTI

Atelier San Giovanni Lupatoto Un laboratorio di indagine in forma di progetto per ripensare gli spazi della produzione e del lavoro entro la prospettiva di una transizione socio-ecologica

Testo: Stefano Pendini, Giuseppe Pepe Cura: Laura Bonadiman

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Nel corso degli anni accademici dal 2018 al 2021, il Laboratorio di Urbanistica del Politecnico di Milano-Polo territoriale di Mantova coordinato dai professori Stefano Pendini e a Corinna Nicosia ha svolto, in collaborazione con la municipalità di San Giovanni Lupatoto, una esplorazione progettuale relativa agli spazi della produzione e del lavoro. L’attivazione di un vero e proprio laboratorio della transizione si confronta con una nuova condizione di interpretazione e azione del progetto della città e del territorio, entro il mutamento indotto da una serie di crisi epocali e la necessità di una transizione socio-ecologica. Atelier San Giovanni Lupatoto, forma data al Laboratorio nel corso della elaborazione della ricerca progettuale all’interno di un percorso didattico, ha costruito un continuo contesto di confronto tra saperi e pratiche diffe-

« Un parco urbano agro-sociale costituisce un grande ambito di centralità a supporto di una rete di pratiche legate al tempo libero » renti, in termini transdisciplinari, a partire da uno sguardo specifico alle forme di abitabilità, all’incrocio tra spazio e società. L’approccio seguito si è declinato entro un processo di research by design, che ha guardato al progetto urbano come strumento di indagine, di riconoscimento di problematiche e di prefigurazione di possibili itinerari di evoluzione per il territorio urbano di San Giovanni Lupatoto. Le letture e le esplorazioni progettuali compiute hanno precisato visioni territoriali di lungo periodo, a

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partire da una individuazione contestuale di criticità e nuove sfide, l’elaborazione di scenari di evoluzione e la proposizione di strategie capaci di guidare verso una società e un territorio più sostenibili. Lo spazio della produzione e del lavoro ha costituito l’oggetto principale della ricerca. L’insieme di questi spazi è al centro di un processo di revisione delle proprie modalità di gestione

e organizzazione in coincidenza con una riconsiderazione in termini rigenerativi del proprio patrimonio edilizio, a seguito del perdurante stato di crisi socio-economica che ha comportato nel corso dell’ultimo decennio fenomeni di dismissione e spinte alla riqualificazione e al riuso. A partire dalla lettura e dalla possibile trasformazione di questi spazi, l’attenzione dei progetti si è estesa

01. Lo spazio della produzione nel territorio veronese. 02. Due città interconnesse, strategie.

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QUASI ARCHITETTI

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03. Due città interconnesse, strategie. 04. San Giovanni Lupatoto ortogonale, la strada dello sport.

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al ripensamento a una scala più vasta del territorio, con lo scopo di costituire occasione per la costruzione di una nuova abitabilità dello spazio entro esercizi di ri-composizione e rigenerazione urbana. All’interno di un complessivo sforzo di immaginazione, nella riconsiderazione dei lavori compiuti dagli studenti nel corso di tre anni, è possibile rintracciare tre principali ambiti tematici che hanno caratterizzato il nostro percorso, sovrapponendosi all’interno delle diverse esplorazioni progettuali: un ripensamento delle forme di abitabilità dello spazio urbano, per consentire una maggiore inclusività sociale e riflettere sulle possibilità di una giustizia spaziale, a partire dalla considerazione dello spazio aperto; possibili risposte, in termini mitigativi e adattativi, alle necessità imposte dalla crisi climatica alla costruzione dello spazio urbano, entro una diversa etica ecologica; l’individuazione di nuove possibili sinergie tra forme di economia e contesto urbano, con lo scopo di coinvolgere forme diverse di produzione e attivare nuove tipi di economie e forme di lavoro entro nuove catene di valore.

NUOVE FORME DI ABITABILITÀ

Il recente intreccio di crisi economiche, sociali e ambientali e le conseguenze prodotte a livello spaziale hanno costituito la cornice di senso entro cui abbiamo tentato di immaginare nuove forme di abitabilità per il territorio di San Giovanni Lupatoto. L’individuazione di nuove condizioni di comfort urbano ha posto al centro le relazioni tra abitanti e territorio, tra corpi e spazio, tra pratiche d’uso e materialità dei luoghi. I progetti esplorativi hanno declinato questi rapporti a partire dalla reinterpretazione dello spazio aperto, collettivo e pubblico, inteso come supporto di relazioni per molteplici pratiche sociali e come contesto di possibili processi di interazione in grado di produrre nuovi significati per lo spazio urbano. Nel progetto “Due città interconnesse. Quattro infrastrutture come nuova forma di relazione”, a partire dalla criticità di una non risolta forma di relazione tra San Giovanni Lupatoto e Verona sud, un sistema integrato di “infrastrutture abitate” potenzia le

connessioni entro una articolata forma di permeabilità che attiva itinerari e nuovi paesaggi di una rigenerata economia locale. Un Parco urbano agro-sociale, sorta di Central Park metropolitano, costituisce un grande ambito di centralità e costruisce il supporto di una rete di pratiche legate al tempo libero e a nuove forme di economia sostenibile. Il carré produttivo a nord di San Giovanni Lupatoto viene ripensato come grande filtro di ingresso al centro urbano e come un nuovo parco del lavoro. Nel progetto “San Giovanni Lupatoto ortogonale. Una nuova città trasversale”, la costruzione di una nuova figura strutturante, costituita da una serie di percorsi di attraversamento trasversale perpendicolari all’asse urbano centrale, connette tematicamente sequenze di spazi aperti, definendo i caratteri di una diversa città connotata da forme di mobilità lenta e nuove relazioni con spazi di prossimità. I tre itinerari che re-infrastrutturano il territorio urbano costruiscono linee di attrazione dedicate a economie legate allo sport, al cibo e alla cultura, come luoghi di densifi-

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ATENEO Politecnico di Milano Polo territoriale di Mantova Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni Corso di studi in Progettazione dell’Architettura LABORATORIO DI URBANISTICA Nuovi territori della produzione Un progetto per gli spazi contemporanei del lavoro DOCENTI prof. Stefano Pendini prof. Corinna Nicosiai TUTOR arch. Mariasilvia Agresta arch. Giuseppe Pepe ANNI ACCADEMICI 2018-2019 2019-2020 2020-2021 LINK Gli esiti prodotti all’interno del percorso didattico sono consultabili all’indirizzo: https:// ateliersangiovannilupatoto. squarespace.com

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cazione di pratiche e attività che si agganciano, agli estremi dei loro percorsi, alle estese risorse ambientali del Parco dell’Adige e del territorio agricolo.

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UNA NUOVA CONDIZIONE CLIMATICA

L’emergenza climatica, legata a processi di emissione di gas climalteranti, ci obbliga a scelte radicali circa i modi in cui è necessario ripensare lo spazio urbano, orientando ad azioni di mitigazione e adattamento come risposta integrata nei confronti della

capacità di ridurre e la possibilità di convivere con il rischio dato da eventi climatici estremi. Gli spazi della produzione e del lavoro, all’interno di processi di rigenerazione urbana, possono costituire un campo di sperimentazione rilevante, entro una riconsiderazione del ruolo dei servizi ecosistemici attivabili e attraverso la realizzazione di specifici dispositivi di resilienza urbana.

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QUASI ARCHITETTI 05. San Giovanni Lupatoto X2, strategie.

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Nel progetto “San Giovanni Lupatoto X2”, un grande anello ambientale verde e blu, come principio di continuità ecologica, attraversa idealmente una serie di luoghi della produzione e del lavoro del territorio esteso, contaminandone i caratteri e riconfigurandone i ruoli. Il settore produttivo a Nord di San Giovanni Lupatoto viene ripensato, nella rigenerazione del suolo urbano, attraverso operazioni di de-specializzazione, densificazione delle essenze vegetali e desigillazione delle superfici minerali dello spazio aperto, per consenti-

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re una migliore permeabilità e nuove forme di biodiversità. Vengono introdotti dispositivi di resilienza, in grado di consentire una migliore gestione delle acque, e una nuova forma di produzione di energia locale, con l’attivazione di comunità energetiche.

VERSO NUOVE RELAZIONI TRA ECONOMIE E TERRITORIO

Guardare al territorio come flussi di materia ed energia, all’interno di una considerazione del metabolismo urbano, conduce a ripensare l’uso delle risorse entro i nostri processi di produzione e di consumo. Forme di “economia di prossimità”, capaci di ridurre i circuiti economici e valorizzare i contesti locali, e l’attivazione di forme di economia di tipo “circolare”, che possano condurre a un

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06. Agro-city, un nuovo parco della produzione, scenario 2: una nuova forma di economia circolare. 07. Campagna come infrastruttura. Un mare solido per Raldon. Economia di prossimità, Catene brevi di valore.

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utilizzo più efficiente delle risorse, attraverso processi di gestione e valorizzazione dei prodotti di scarto, costituiscono possibili percorsi di ripensamento dei modi di relazionare economia e territorio. Il progetto “Agro-city. Un nuovo parco della produzione” propone due possibili scenari di evoluzione del territorio agricolo a ovest di San Giovanni Lupatoto, verso le opposte prospettive di una “economia circolare” e di una “ecologia profonda”: da un lato il ripensamento del territorio come un nuovo paesaggio del produrre e del lavoro che mira a chiudere e ridurre in scala i cicli di produzione entro una logica di riciclo e di imprese integrate in simbiosi; dall’altro l’ipotesi di una corrispondenza tra dimensione produttiva ed ecologica all’interno di un territorio che tenderà a ri-naturalizzarsi e a sollecitare nuove forme di lavoro e produzione locale, entro un principio di mobilità lenta e di nuove forme di turismo urbano eco-sostenibile. Nel progetto “Campagna come infrastruttura. Un mare solido per Ral-

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don” vengono attivate nuove forme di “economia di prossimità”, da un lato attraverso la costruzione di un grande parco agricolo, in grado di integrare le attuali produzioni intensive con nuove

forme di agricoltura bio-rigenerativa e sostenibile, sostenute dall’attività di un living lab sperimentale; dall’altro mediante il rafforzamento delle relazioni delle forme di agricoltura con i

margini urbani e la costruzione di una rete di poli di attrazione interni al nucleo di Raldon che, in forma di nuclei logistici e culturali, possono innescare catene di valore a scala più estesa.

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Architetti veronesi raccontano la loro esperienza professionale “fuori dalle mura”

London calling: dall’Adige al Tamigi La ricerca di un respiro internazionale nella metropoli britannica e di nuove opportunità professionali nell’esperienza di Michele Coato

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Testo: Michele Coato

Cura: Alberto Vignolo

Michele Coato, ingegnere edile-architetto originario del basso Garda veronese, dal 2019 vive e lavora a Londra. I panorami urbani e gli scenari architettonici che Michele cattura attraverso le sue fotografie principalmente una passione e impegno del tempo libero - sono la cartina tornasole di una grande fascinazione per la City britannica, motivo che lo ha portato a inseguire con determinazione il sogno di mettersi alla prova in uno degli epicentri dell’architettura mondiale. Dopo un paio di anni tumultuosi, tra post Brexit e pandemia, la sua esperienza nella scena professionale londinese è ancora in itinere, e sicuramente destinata ad altre future tappe. Ma iniziamo col chiedergli da cosa ha avuto origine questo balzo oltre Manica.

Mi sono trasferito a Londra all’inizio del 2019, dopo quasi dieci anni di attività professionale a Verona. La mia non è stata una scelta maturata in un giorno, bensì nell’arco di un paio d’anni, nei quali ho infatti sviluppato l’idea di mettermi in gioco in una realtà di respiro più ampio rispetto a quella italiana. Nonostante conoscessi bene la lingua tedesca e un po’ meno quella inglese, la scelta è ricaduta su Londra principalmente per due motivi. Il primo era quello di approdare in una città il più fertile possibile dal punto di vista delle opportunità lavorative: come ben noto, Londra è oggi sede di studi e società di progettazione tra i più importanti a livello internazionale, ma anche di significativi

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01. Masterplan per un complesso residenziale a Henley on Thames, Oxfordshire (Nick Baker Architects). A destra: ritratto di Michele Coato. 02-04. Progetto per un edificio residenziale nei pressi di Crystal Palace Park, Londra.

Prospetto, pianta piano terra e vista 3D (Pinchin Architects). 05. Progetto per l’ampliamento di un cottage nella campagna dell’Hertfordshire a nord di Londra. Vista 3D. (Pinchin Architects).

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interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana, che dall’Italia seguivo con grande curiosità sulle riviste di architettura. In secondo luogo, mi affascinava il mondo della progettazione tecnica in ambito bim (Building Information Modeling), tema di cui in Italia si parla ma sempre con la “dovuta calma”. Al contrario, nel Regno Unito questa tecnologia è ormai consolidata e utilizzata da anni, sia in fase progettuale che costruttiva. Non volevo però arrivare in questo paese impreparato, tanto meno con un livello di inglese scolastico del tipo “the pen is on the table”. Con impegno e determinazione, ho quindi investito il tempo libero nel miglioramento della lingua e della pronuncia, nonché nella frequentazione di corsi di progettazione bim. A questi ho affiancato inoltre alcuni seminari, organizzati dalla Camera di Commercio di Verona, dedicati alla mobilità internazionale, i quali sono stati di fondamentale importanza dal punto di vista pratico. Quando mi sono sentito pronto, o meglio “all’altezza”, ho concretizzato la mia idea, e poco più di un mese prima dello scattare della Brexit ho varcato la Manica per cercare un lavoro e ricominciare da zero. La scelta di partire in quel momento, effettivamente, è stata un po’ azzardata. Il clima di incertezza in cui navigavano la politica e l’economia del Regno Unito, assieme alla mia

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mancanza di esperienza in questo paese, hanno fatto sì che la ricerca di un lavoro non fosse proprio una passeggiata. Tuttavia quel coraggio, assieme a tutti i miei sforzi, alla fine sono stati premiati, e a poco più di un mese dal mio arrivo ho firmato il primo contratto di lavoro a Londra. Una volta approdato in riva al Tamigi hai avuto modo di fare esperienza in alcune realtà lavorative. Ci racconti quali? La prima esperienza è stata in una delle società leader nel settore della progettazione di architettura residenziale nel Regno Unito. Prima come Architectural Designer e poi come Senior Architect, mi sono ritrovato in poco tempo a gestire autonomamente alcuni clienti e i rispettivi

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06-09. Progetto per un complesso residenziale a Henley on Thames Oxfordshire (Nick Baker Architects): vista d’insieme, schemi compositivi di studio, vista della Clubhouse e degli edifici residenziali, prospetti di alcuni degli edifici di progetto.

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progetti, dal concept fino alla “Planning Application” (più o meno l’equivalente del Permesso di Costruire). Si trattava di progetti dislocati per lo più a Londra, ma anche nel resto del Regno Unito. Questa esperienza, oltre a permettermi di rompere il ghiaccio, mi ha aiutato a conoscere meglio la cultura dell’abitare di questo paese, nonché i principali regolamenti tecnici in ambito architettonico e urbanistico. Alcuni di questi progetti ricadevano inoltre nelle cosiddette “Areas of Outstanding Natural Beauty”, che potremmo paragonare alle nostre aree sottoposte a vincolo paesaggistico. Tra queste, ad esempio, l’area del Cotswold e la penisola di Gower, nel Galles. Questo presupponeva una duplice sfida, sia per quanto riguardava l’inserimento progettuale nel contesto di riferimento, che nel garantire alla committenza l’approvazione della Planning Application. Dal punto di vista delle competenze, sia professionali che tecniche, questa esperienza mi ha dato modo di interfacciarmi con autorità locali,

tecnici e consulenti esterni, ma anche di gestire autonomamente un team di architetti e designers, e di utilizzare software di progettazione bim a livello pratico. Infine, credo sia interessante come questa company, che potremmo definire una start-up, in meno di cinque anni sia diventata una delle aziende di progettazione leader del Regno Unito, grazie a un’organizzazione efficiente e in continua evoluzione, della quale ho avuto l’onore di far parte. Dopo circa un paio d’anni, ho iniziato a sentire la necessità di lavorare su progetti più grandi e complessi, ma anche di sviluppare maggiori competenze nelle fasi di dettaglio e di cantiere. Così, in piena pandemia e lockdown, ho iniziato a candidarmi per le poche posizioni che il mercato londinese offriva, e sono così arrivato allo studio dove lavoro tutt’ora, che si occupa prevalentemente di architettura residenziale, scuole e uffici, ma allo stesso tempo di interior design e progettazione urbana. Oltre ai grandi studi delle archistar, com’è strutturato il sistema degli studi a Londra? A Londra si trova una grandissima varietà di studi e società che operano nel settore della progettazione tecnica, ognuna con una struttura diversa e ben precisa, a seconda anche del mercato di riferimento. La Company dove lavoravo in precedenza conta attualmente circa 120 dipendenti, la metà dei quali costituisce il dipartimento di progettazione tecnica e

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10. Ampliamento di un edificio residenziale nel Kent, a sud-est di Londra. Prospetto (Resi Architectural Design). 11. Residenza privata realizzata nell’ambito di un’Area of Outstanding Natural Beauty nel Buckinghamshire, veduta esterna (Nick Baker Architects). 12. Passive House realizzata a Ealing Broadway, a ovest di Londra. Veduta esterna (Nick Baker Architects).

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architettonica. A questo fa capo un Director, che affiancato da Studio Managers coordina i diversi team di progettazione, ai quali vengono affidati la gestione di uno specifico portfolio clienti, lo sviluppo e completamento dei relativi progetti e delle rispettive Planning applications. La rimanente metà del team è costituita da professionisti che si occupano principalmente di rilievi architettonici e topografici 3D, marketing, vendita dei servizi di architettura, assistenza al cliente sia per il finanziamento del progetto che per la ricerca dell’impresa costruttrice. Diversamente, lo studio dove attualmente lavoro, ha una struttura

«A Londra si trova una grandissima varietà di studi e società che operano nel settore della progettazione tecnica, ognuna con una struttura ben precisa a seconda del mercato di riferimento » che riflette lo schema classico britannico. Dal punto di vista professionale, si lavora nell’ambito di otto diverse fasi, così come definite dal riba (Royal Institute of British Architects) e che spaziano dal concept al dettaglio fino alla fase di cantiere e uso finale dell’edificio. Dal punto di vista organizzativo, lo studio è in genere guidato da uno o più Directors, affiancato/i da un team di Associates, Senior Architects ed Architectural Assistants (disegnatori). Nella mia personale esperienza questo schema, benché gerarchico, lascia spazio ad ognuno di contribuire

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e partecipare in prima persona alla definizione e sviluppo delle scelte progettuali, a relazionarsi con il cliente, le autorità locali e i consulenti esterni. Al professionista, di qualsiasi livello, età, o genere esso sia, vengono date fin da subito fiducia e responsabilità. Dal punto di vista tecnico, infine, la maggior parte degli studi e società di progettazione qui lavora in ambito bim. Questo significa che tra professionisti non ci si scambiano più disegni o elaborati “statici”, ma modelli tridimensionali e parametrici, che ognuno va a integrare a seconda del proprio ambito di competenza. Talvolta anche le imprese costruttrici utilizzano i medesimi software e modelli interattivi per gestire la fase di cantiere, e credo che questa sia la strada da seguire per chi opera oggigiorno nella filiera progettuale dell’edilizia. Questa tecnologia richiede sicuramente qualche sforzo in più nella fase iniziale, ma i benefici diventano tangibili man mano che il progetto prende forma, soprattutto in termini di efficienza, ottimizzazione dei tempi e riduzione degli errori, sia progettuali che costruttivi. Cosa di quello che hai portato da Verona, nel tuo “bagaglio” formativo e lavorativo, è stato apprezzato nel mercato della professione? In generale, si potrebbe dire che la cultura

professionale anglosassone, rispetto a quella italiana, tende ad essere più a “compartimenti stagni”. Mentre in Italia architetti e ingegneri devono spesso calarsi nei panni di giuristi, avvocati o consulenti finanziari, qui ci si occupa specificatamente di un certo settore, senza uscire troppo dal proprio ambito di competenza, affidandosi a specialisti esterni per la risoluzione di questioni specifiche. Gli aspetti che principalmente porto con me dalla precedente esperienza professionale in Italia – ma anche dal mio essere italiano – sono la precisione e la costante ricerca della qualità. Questi sono punti di gran lunga apprezzati e valorizzati in questo paese, dove spesso i ruoli che richiedono

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13-16. Edificio a uso misto residenziale e direzionale realizzato nel quartiere di Camden, Londra (Nick Baker Architects): veduta esterna, dettaglio della facciata e dei balconi centrali, schema di studio della facciata in relazione all’esposizione solare, pianta piano primo.

Santa Marta e Passalacqua, è stato un valore aggiunto alla mia candidatura.

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accuratezza, meticolosità e cura del dettaglio, vengono affidati a tecnici provenienti dal Bel Paese o dall’area mediterranea. Per quanto riguarda il percorso formativo, la mia esperienza all’Università degli Studi di Trento nel corso di Ingegneria Edile-Architettura, talvolta definito “né carne, né pesce”, mi ha aperto alcune opportunità professionali non indifferenti. Dopo un mese dall’arrivo da Londra, sono stato infatti chiamato da Foster+Partners per un colloquio, dove era richiesta una figura

che coordinasse i progetti di architettura con il team di ingegneria. Anche il mio attuale ruolo è in parte legato al mio “doppio” background, in quanto sto gestendo un progetto integrato che coinvolge non solo la progettazione architettonica, ma anche quella urbana, paesaggistica e stradale, e dove quindi il coordinamento tecnico con altri professionisti è di fondamentale importanza. In questo caso specifico, il fatto di aver lavorato a Verona a un progetto complesso e multidisciplinare come la riqualificazione dell’area delle ex caserme

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Ccosa pensi che potremmo imparare dalla realtà lavorativa che stai vivendo, fatte le debite differenze? Un tema che sta coinvolgendo attivamente la città di Londra negli ultimi anni, è quello della riqualificazione e rigenerazione di ex siti industriali, aree ferroviarie e luoghi degradati o privi di identità urbana in genere. Tra gli interventi già ultimati, vi sono la riqualificazione dell’area attorno alla stazione di Paddington, e ancora l’area circostante alla storica stazione ferroviaria di King’s Cross, che da molti anni giaceva in uno stato di abbandono e degrado sociale. Oggi l’area è diventata uno dei luoghi più cosmopoliti della città, presentandosi come un vibrante centro animato da negozi, ristoranti, uffici, edifici residenziali e universitari, dove oltre al recupero di importanti esempi di architettura vittoriana e industriale trovano spazio edifici contemporanei che vantano la firma di importanti studi di architettura. Un altro intervento simile a questo, tutt’ora in itinere, è la riqualificazione dell’area circostante l’ex centrale elettrica di Battersea, il quale mira a creare un nuovo quartiere autosufficiente e ecosostenibile, con edifici rispondenti alla certificazione di sostenibilità breeam, numerosi spazi pubblici, negozi e vaste aree verdi. Fatta questa premessa, credo che in Italia si dovrebbe imparare da interventi come questi, per restituire alle nostre città quei frammenti urbani che nel corso degli anni sono andati persi o caduti in disuso, il tutto senza aver timore di accostare lo storico al contemporaneo. L’architettura del passato va sicuramente protetta e valorizzata, ma questo non significa tenerla immobile sotto una campana di vetro. Dal punto di vista invece della professione, credo che nel nostro paese si dovrebbe dare più spazio e fiducia alle nuove generazioni, che sicuramente hanno meno esperienza, ma di certo hanno idee fresche ed entusiasmo. Infine, credo che qui la meritocrazia si riesca ancora a trovare. Il professionista viene visto come una sorta di “investimento”, che va fatto crescere

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17. Lo skyline di Londra immortalato da uno dei numerosi rooftop affacciati sulla city (foto di Michele Coato). 18. Dettaglio della struttura metallica del Millennium Bridge. Sullo sfondo, la cupola della cattedrale di St. Paul (foto di Michele Coato). 19. Alcuni degli iconici grattacieli che dominano la city di Londra, fotografati al tramonto. (foto di Michele Coato).

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e fruttare, in quanto la sua crescita rappresenta un benefit per l’azienda stessa.

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Per chiudere, ti chiediamo di portarci brevemente a spasso per la città per come la vedi oggi, per aprire una finestra fuori dalle mura ai lettori di «AV». Nel tempo libero la passione per la fotografia mi porta spesso a esplorare la città alla ricerca di nuovi scorci e prospettive urbane e non. Molte delle mie foto sono scattate al tramonto, in quanto non di rado, anche nelle giornate più grigie e uggiose, il cielo assume sfumature che esaltano ancora di più lo skyline della city o che vengono riflesse nelle ampie facciate dei grattacieli. Un aspetto interessante è che la città può essere immortalata da diverse prospettive e punti di vista; dalla riva del Tamigi, agli innumerevoli Rooftop e punti panoramici, che spesso ospitano bar e ristoranti con viste mozzafiato sulla city. Dopo un paio d’anni qui, una delle cose che ancora oggi mi affascina di più mentre percorro le strade di Londra è il contrasto tra edifici storici e contemporanei, spesso accostati l’uno accanto

all’altro senza soluzione di continuità dal punto di vista sia delle forme che dei materiali. Non a caso, lo sfondo della classicheggiante cupola marmorea di San Paolo mentre si percorre l’esile struttura metallica del Millenium Bridge o, ancora, i massicci volumi degli edifici industriali in London stock bricks (mattoni gialli) sovrastati dalle sottili “schegge” vetrate dello Shard, sono tra i soggetti più frequenti nei mie scatti. E nelle giornate piovose, i numerosi musei sono sempre un’ottima meta. Non solo ospitano importanti collezioni ed esibizioni di ogni tipo, ma sono essi stessi opere da immortalare, grazie alle straordinarie architetture, sia storiche che contemporanee, in cui sono collocati. Ma Londra è anche la città dei parchi, dove non è raro imbattersi in scoiattoli, volpi e a volte anche cervi, o in scenari naturali che mutano continuamente con il cambiare delle stagioni. Spero di aver restituito un’immagine piacevole e interessante di Londra, e magari di aver sfatato il mito di una città grigia e uggiosa.

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Viaggio in provincia: l’Adige di pianura

Seguendo il corso del fiume a sud della città, da San Giovanni Lupatoto fino a Castagnaro, tra dighe e canali, manufatti idraulici e la vastità dei paesaggi della pianura Testi: Federica Guerra

Foto: Lorenzo Linthout

Provincia di Verona

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L’Adige nasce presso il Passo Resia, in Val Venosta, e sfocia nel Mar Adriatico presso Porto Fossone (Rosolina) percorrendo circa 410 Km attraverso aree geografiche molto diverse e costituendosi come trait-d’union tra Mitteleuropa e area padano-mediterranea. A partire dall’Ottocento, i geografi di origine tedesca hanno sempre considerato l’Adige come un fiume a carattere montano, figlio delle Alpi e fratello dell’Isarco; lo sbocco in pianura era da considerarsi semplicemente come l’ultima tappa di un percorso che svolgeva la sua vera missione all’interno della catena alpina e che, giunto in pianura, perdeva la sua forza e la sua natura, piegato al servizio dell’agricoltura. Forse per questo motivo l’immaginario legato all’Adige di pianura è rimasto a lungo povero, non potendo in nessun modo competere con la forza evocativa dei paesaggi montani, né tanto meno con la ricchezza storica del Po. Il suo effetto visivo si perde nella vastità della pianura, mentre manca l’esperienza forte di un fiume navigabile, essendo stato per secoli

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un’arteria fluviale di stretta funzionalità economica: più un nastro liquido di trasporto che una via panoramica d’acqua, in grado di stimolare occhi, fantasie e narrazioni di viaggio. Ma a un’analisi più attenta, l’Adige, proprio nel tratto della pianura veronese, porta a scoprire invece un territorio ricco di tracce della propria storia. Ed è su queste tracce che iniziamo il nostro percorso dalla Centrale idroelettrica di Sorio Vecchia, nel comune di San Giovanni Lupatoto, perché è qui, alla confluenza tra l’Adige e i canali Giuliari e Milani, che il fiume dichiara come in un manifesto il proprio destino segnato, la storia del proprio asservimento e sfruttamento. In un ambiente naturale rigoglioso un affascinante intreccio di canali, di paratoie, di chiaviche, di bocche di presa, di rapide regimentate fa da fondale al sordo rumore delle turbine della Centrale tuttora in funzione. Il bell’edificio realizzato su disegno dell’ingegner Paolo Milani, entrato in funzione nel 1909, fa da contraltare a quello poco più a valle, denominato Centrale di Sorio Nuova, realizzato nel 1936 con

01. Le strutture idrauliche annesse alla centrale di Sorio Vecchia, nel Comune di San Giovanni Lupatoto, alla confluenza dei canali Giuliari e Milani in Adige (foto FG). 02. I resti del porto di attracco del traghetto “a passo volante” in funzione fino agli anni Sessanta (foto FG). 03. La vecchia carrucola del traghetto “a passo volante” che connetteva le rive del fiume in località Sorio. 04. La centrale idroelettrica di Sorio Nuova (1936). 01

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05. Il paesaggio delle serre orticole in località Pontoncello, esteso in destra e in sinistra Adige fino a Mambrotta. 06. Il Ponte e la Diga di Pontoncello che segnano l’ingresso all’omonimo parco. 07. Il fiume placido attraversa il Parco del Pontoncello.

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lo scopo di rafforzare la produzione di energia idroelettrica. Ma quando, superati gli sbarramenti di canali e cancellate, arriviamo finalmente a bordo del fiume, l’Adige si manifesta in tutta la sua imponente bellezza ormai addomesticata dalle numerose dighe e canali di scolmo che l’hanno frenato fin qui. Sulla riva destra rimangono tracce del traghetto a “passo volante”, un’imbarcazione vincolata a una carrucola che faceva la spola fino agli anni Sessanta tra le due rive, attraccando al “porto”, di cui rimangono i resti della struttura della banchina: è un luogo suggestivo che rimanda a un’epoca di intensa frequentazione delle sponde del fiume, tanto che qui venne anche realizzata nel 1934, e utilizzata fino agli anni Settanta, una Colonia Elioterapica con tanto di piscina per il gioco dei piccoli ospiti, alimentata con l’acqua

dell’Adige. Quando il fiume riprende velocità siamo in prossimità della Diga del Pontoncello che segna ufficialmente l’ingresso all’omonimo Parco, una zona dalle caratteristiche naturalistiche di pregio, estesa su entrambe le rive, con una fitta macchia boschiva che segna una delle prime decise anse del fiume, simile a quelle che caratterizzano il centro storico della città. Da qui fino a Perzacco di Zevio il fiume cambia caratteristiche e assume un aspetto detto a “rami divaganti”, morbide curve con isole fluviali ben definite, risultato della rettificazione naturale dei meandri, che racconta di un fiume mai stabilizzato nel suo corso fino all’epoca moderna, in un’evoluzione continua di cui restano tracce nella topografia curva di strade e fossati. Il morbido paesaggio dei campi col-

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tivati che arrivano fino a bordo acqua è contraddetto dalla rigidità di due interventi antropici: da un lato lo sconfinato paesaggio delle serre agricole, esito dello sfruttamento intensivo della zona di Mambrotta e Centenaro, che ha radici antiche nella rete naturale e artificiale dei corsi d’acqua che innervano la campagna, orto della città di Verona - l’Antanello, la Gardesana, la Fossa Montagna, la Fossa Bianchina – e, dall’altro, la presenza incombente e anomala nel suo tracciato perfettamente rettilineo del Canale S.A.V.A., che preleva le acque dell’Adige alla diga del Pontoncello per alimentare la centrale idroelettrica di Zevio e le riporta in Adige nei pressi di Belfiore. Lungo tutto il suo percorso a fianco del fiume, la rigidità dell’asta del Canale si contrappone al morbido incedere dell’Adige, in un paesaggio quasi teatrale, dove il fiume svenato non cede minimamente la scena alla banalità dell’opera dell’uomo. Ma a Belfiore, proprio quando il fiume sta per riacquistare il suo patrimonio sottratto, un nuovo canale artificiale, il LEB, ruba nuovamente acqua pescandola dal S.A.V.A. subito prima che questo sfoci in Adige, per andare a ingrossare le magre del fiume Guà a Cologna Veneta e nutrire la campagna veronese. È ancora un’area particolare quella dell’incrocio tra i due canali artificiali e il fiume, un’oasi di silenzio rotto solo dallo scroscio delle acque mentre l’Adige, imperterrito, prosegue il suo corso. Tutta la campagna circostante è attraversata da una miriade di canali che drenano e ridistribuiscono la sovrabbondanza delle acque che tenderebbero a impaludarsi, vista la poca pendenza dei terreni. Così, a poca distanza dal corso del fiume, in località Chiavica di Zerpa sono ancora visibi-

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li le diverse opere idrauliche succedutesi nel tempo per governare l’incrocio tra lo scolo di Bionde, l’Alpone e i numerosi fossi irrigui e canali di drenaggio realizzati già dalla Serenissima e poi più scientificamente a partire dallOttocento. L’Alpone, ultimo immissario dell’Adige prima del mare, sfocia nel fiume poco oltre, in prossimità dell’abitato di Albaredo d’Adige che, insieme alla vicina Ronco all’Adige, presenta la tipica conformazione urbana delle città di guado: un’arteria principale, su cui si innesta la maglia cittadina, ortogo-

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08. Le isole fluviali che caratterizzano l’andamento a rami divaganti del fiume prima e dopo Zevio. 09. L’imbocco del canale LEB che sottrae l’acqua al canale SAVA poco prima che questo la reimmetta in Adige. 10. Il lungo rettifilo del canale LEB.

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11. Le strutture di gestione del nodo idraulico in località Chiavica di Zerpa. 12. L’immissione del Torrente Alpone in Adige, presso Albaredo d’Adige.

decenni del Novecento. O, nell’ansa successiva, la piccola Pieve di Santa Maria della Ciusara, di cui si hanno notizie dall’anno Mille e che conserva al suo interno affreschi in stile bizantino, una rara testimonianza di questa civiltà nel territorio. O infine, a Bonavigo, l’antica chiesetta della Madonna di San Tomaso, proprio a ridosso dell’argine del fiume, di scarso valore architettonico ma di grande significato religioso per la popolazione locale, che ne ha fatto nei secoli un centro devozionale ricco di testimonianze, miracolosamente scampato alle rotte dell’Adige. Infatti questo tratto del fiume è sempre stato il più instabile, tanto che già a partire da Roverchiara esso corre in un alveo pensile regimentato dal-

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nale al fiume che porta ad un punto di basso pescaggio dove era possibile l’attraversamento. L’attuale ponte di Albaredo, realizzato nel 1949 in sostituzione del vecchio ponte in ferro, ricalca approssimativamente l’antico guado. Ben diversa la struttura urbana di Zevio, sorta intorno alla villa Sagramoso detta il Castello, circondata da un fossato alimentato per secoli da un ramo dell’Adige. Da Perzacco a Legnago riprendono i meandri che si fanno sempre più fitti, con isole fluviali che testimoniano un’irregolarità nello sviluppo del meandro stesso, dovuta a una diversa permeabilità dei terreni. Ogni ansa, oltre che a terreni fertilissimi per la sovrabbondanza di acque, ospita episodi architettonici di alto pregio, come i ruderi della Villa Serego Rinaldi in località Coriano, di fondazione trecentesca, annoverata tra i progetti del Palladio, ricostruita nel Seicento e nuovamente riadattata su progetto del Fagiuoli nei primi

« Tutta la campagna è attraversata da una miriade di canali che drenano e ridistribuiscono la sovrabbondanza delle acque» la costruzioni di possenti argini artificiali. Il percorso ciclopedonale che corre sulla sommità dell’argine regala ampie visioni del fiume, mentre ai piedi del pendio si susseguono gli abitati di Bonavigo, Angiari e infine Legnago e Villa Bartolomea. Legnago, città fortificata già in epoca medievale e dal Cinquecento cinta dalle mura sanmicheliane – poi demolite nell’Ottocento – presenta la tipica struttura della città fluviale fortificata, gemellata con Porto sulla riva opposta. La costruzione degli argini a partire dal 1887 ricorda la vicenda lunga e complessa della loro realizzazione a Verona, con il relativo

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dibattito sulle demolizioni effettuate e sull’allargamento del letto del fiume realizzato in seguito all’ultima rovinosa piena del 1882. Tutta l’ampia area in destra Adige stretta tra il fiume e il Tartaro-Canalbianco, è denominata Valli Grandi Veronesi, nome che rimanda a una lunga vicenda di difficili rapporti tra l’uomo e il governo delle acque: quest’area anfibia era il risultato di un cattivo controllo delle acque fluviali da parte dell’uomo fin dall’età romana, situazione degenerata nel Medioevo a seguito di una serie di rotte dell’Adige. Le bonifiche otto-novecentesche restituiscono a chi guarda questo territorio dall’alto dell’argine fluviale una sorta di podio naturale, un paesaggio di grande fascino e una campagna fertilissima, che assume una colorazione particolare nelle vedute aeree ma anche nelle mappe storiche: un’isola a sé, punteggiata dai campanili degli infiniti piccoli borghi, dei paesi, delle frazioni, delle contrade. Continuando sull’alzaia fluviale incontriamo l’ultimo paese, Castagnaro. Siamo al bordo della provincia, l’aria che si respira è un misto di mar-

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13. Villa Serego Rinaldi a Coriano, di fondazione trecentesca, attribuita al Palladio, riadattata dal Fagiuoli ai primi del Novecento. 14. La chiesetta di San Tomaso a Bonavigo sorge ai piedi dell’argine artificiale che, a partire da Roverchiara, regimenta il corso del fiume. 15. Il Ponte della Rosta, opera idraulica settecentesca realizzata per incanalare il Diversivo Castagnaro, canale secondario nato dalla rotta dell’Adige del 1432.

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ginalità e di tenace desiderio di restare al passo coi tempi che qui arrivano lenti e pigri. L’abitato si sviluppa lungo il tracciato del famoso diversivo dell’Adige, un canale secondario creatosi nel 1432 a seguito di una disastrosa rotta, forse dovuta a una straordinaria piena del fiume o forse all’azione deliberata dei Gonzaga al fine di sbaragliare la Serenissima. Le

acque che invasero la pianura vennero successivamente convogliate nel canale Castagnaro e da qui nel Tartaro, che fu ri-canalizzato: le acque portate dall’Adige erano molto più chiare di quelle del Tartaro, e le popolazioni cominciarono a chiamare “canal Bianco” il corso ricostituito del Tartaro. Al limitare dell’abitato, proprio vicino all’argine dell’Adige riman-

gono i resti del Ponte della Rosta, un manufatto realizzato alla fine del Settecento per controllare e incanalare le acque del diversivo Castagnaro, che venne poi definitivamente chiuso nel 1838. Lo leggiamo come un confine, della nostra provincia ma anche di questo racconto, mentre il fiume placido continua la sua strada e la sua storia.

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PORTFOLIO: UNA COSA NUOVA: VERONA RENOVA

Foto: Alessandro Gloder

Un fermo immagine di una città ferma. Così si potrebbero definire in sintesi gli scatti che Alessandro Gloder, fotografo veronese, ha realizzato ad aprile 2020 nel pieno del primo lockdown. Immagini che in molti hanno potuto cogliere, anche solo di sfuggita, di una città privata dell’elemento umano, ridotta a “sola” architettura. Vie deserte, piazze desolate, scorci attoniti attraverso un silenzio assordante e inusitato, dove rifulge a pieno la bellezza intonsa degli spazi urbani, delle case e dei palazzi, dei monumenti. Il progetto fotografico di Gloder ha preso forma in un volume intitolato Verona Renova (Trifolio, 2021), dal quale sono tratte queste immagini “Re nova”, una città anagrammatica e al tempo stesso “una cosa nuova”. Il libro di 160 pagine, nel formato panoramico 22x31 cm, contiene 115 fotografie in bianco e nero, con testi di Giuseppe Anti, Maria Vittoria Adami, Valeria Nicolis e Joanna Wanat. Di Alessandro Gloder (1976), «AV» ha già pubblicato nel numero 113 un articolo sulla sua esperienza di fotografo-giramondo e architetto di formazione, che nel 2012 lo ha portato in un giro del mondo lungo quasi un anno di viaggio, realizzando numerosi progetti fotografici.

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www.alessandrogloder.it

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01. L’imbocco di via Mazzini da Piazza Bra. 02. Piazza Bra. 03. Via Città di Nimes con piazza Renato Simoni sul fondo. 04. Piazza delle Erbe. 05. La testata degli ex Magazzini Generali. 06. Il ponte di Castelvecchio.

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Novità dal mondo del radiante

01. Ambiente domestico con un impianto a foglia. 02-03. Confronto termografico tra impianto monotubo a spirale (a sinistra) e impianto a foglia (a destra). 04-05. Impianto a foglia su parete e su solaio in laterocemento.

Le nuove soluzioni con i radianti di ultima generazione

LA BACHECA DI AV

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Il riscaldamento e raffrescamento radiante rappresenta al giorno d’oggi un sistema molto utilizzato in ambito residenziale e aziendale. Questi sistemi di climatizzazione radiante rappresentano la scelta ottimale per riscaldare e raffrescare gli ambienti, garantiscono un comfort elevato, una maggiore resa e risparmio energetico. Il sistema di riscaldamento radiante infatti diffonde il calore in tutti gli ambienti della casa in modo uniforme tramite il principio dello scambio di irraggiamento, garantendo comfort ed efficienza. Altro vantaggio del sistema radiante è la sua capacità di integrarsi con la struttura dell’edificio, questo va tutto vantaggio dell’estetica perché invisibile. Un sistema radiante inoltre può essere realizzato a pavimento, a parete o a soffitto. La quota di mercato degli impianti radianti è comunque molto bassa rispetto all’impiantistica di tipo tradizionale, sia perché spesso è richiesta una ristrutturazione pesante negli edifici per l’installazione di un radiante, sia per altri problemi evidenti

INGOMBRO L’impianto tradizionale impegna lo spessore completo di un massetto, piuttosto che di una controsoffittatura di 15-20 cm. Condizione che spesso rende impossibile installare un radiante tradizionale monotubo a spirale.

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REATTIVITÀ Un altro problema di un sistema monotubo spirale è che le coibentazioni elevate rendono difficile, se non impossibile, l’utilizzo di un sistema di riscaldamento. Alle case coibentate serve meno energia e hanno maggiore inerzia, ecco perché in alcuni casi, i progettisti sono ritornati a vecchi impianti ad aria, abbandonando i sistemi radianti tradizionali. RAFFRESCAMENTO Tutti i sistemi radianti monotubo a spirale hanno sempre la necessità di installare delle integrazioni ad aria fredda, perché per evitare il problema della condensa non possono scendere sotto certe temperature di lavoro nel periodo estivo. Questo, comporta un aumento del costo delle regolazioni e anche una certa complessità per il funzionamento estivo. 05

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06. Un’abitazione con impianto radiante. 07. Impianto a foglia su controsoffitto in Celenit. 08. Impiano a foglia nel vano doccia di un bagno.

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RADIANTE A FOGLIA In questo contesto si inserisce il sistema radiante a Foglia, che può essere installato sia a soffitto che a pavimento nello spessore di un centimetro (sia con rasanti che cartongesso). Questa caratteristica del basso spessore, consente un suo facile inserimento nel contesto generale delle ristrutturazioni in Italia. Proprio per il limitato spessore dell’impianto a Foglia e per l’elevata diffusione delle tubazioni (una ogni centimetro), si ottiene una potenza emissiva che difatti risolve completamente i tempi di messa a regime per il funzionamento. In pochi minuti, il sistema entra a regime al massimo della potenza disponibile, permettendo di garantire rapidamente il comfort interno desiderato. In questo modo, controllando le fasce orarie di funzionamento e quindi accendendo l’impianto quando serve, si ottimizzano i consumi.

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In ultimo, il raffrescamento estivo grazie all’elevata, resa viene garantito dal solo pannello radiante con temperature di lavoro molto elevate evitando così completamente il problema della condensa. Con l’Impianto a Foglia è previsto un deumidificatore isotermico che controlla i livelli di umidità senza alterare la temperatura dell’aria, permettendo quindi di ottenere livelli di comfort decisamente superiori allo standard.

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Un’icona del XX secolo e altre lampade aperte al futuro

01. Collezione Les acrobates de Gras: figure sospese nell’aria come funamboli. Numero, colore e forme dei riflettori possono essere combinati a piacere. 02. Here comes the sun, Bertrand Balas (1970). 03. Collezione Mantis, Bernard Schottlander (1951): un omaggio a Calder. 04. Le mobilier de Gras: elementi di arredo concepiti in funzione delel lampade Gras.

LA BACHECA DI AV

A Verona le collezioni DCWéditions sono disponibili da Formediluce

Dominique Perrault e Gaelle Lauriot Prevost, e poi Mantis di Bernard Schottlander, Here Comes the Sun di Bertrand Balas, ISP di Ilia Sergueïevitch Potemine, i Biny di Jacques Biny, la collezione Dormael d’Eric di Dormael. Il 2019 segna una nuova tappa, con altri quattro designer entrati a far parte dell’azienda: Esther e Sam dello studio Vantot di Eindhoven ci fanno “salire a bordo” del V V V; il parigino, Philippe Nigro sussurra con Respiro; Sebastian di Hambourg decolla con Org; infine il berlinese Simon Schutz gioca a fare lo stregone con AARO. Se il mondo materiale tende a scomparire, la luce e i suoi oggetti saranno sempre qui per rassicurare, dare un tono e far danzare, così come fa la musica con i suoi strumenti. Viva le lampade!

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Pezzi classici rieditati e nuovi apparecchi illuminanti disegnati da designer internazionali. Così può essere descritto in sintesi il catalogo DCWéditions, azienda nata nel 2008 proprio a partire dalla collezione delle Lampe-Gras, una serie di lampade per uso in uffici e in ambienti industriali disegnata nel 1921 da BernardAlbin Gras. Semplici e robuste, senza viti né giunti nella forma di base, queste lampade sono state subito apprezzate per il design moderno e per la facilità d’uso, suscitando l’entusiasmo di Le Corbusier e di molti artisti che le hanno utilizzate nei loro atelier, entrando così a far parte dell’estetica del XX secolo. Ma il catalogo si è progressivamente arricchito del contributo di autori contemporanei: ecco In the Tube di

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Dal 1890 solidità, utilità, bellezza

Da oltre un secolo sul territorio scaligero, allergici al “non si può fare”, Berti articola la sua massima espressione nella produzione di serramenti in alluminio, portoni sezionali e basculanti su misura. I nostri portoni sezionali, oltre a poter fare affidamento su una struttura d’acciaio interamente sartoriale, vengono equipaggiati con il nostro motore brevettato

e realizzato con componenti in acciaio torniti e temprati ad hoc: nessun motore a traino, il nostro agisce in totale autonomia all’interno del traverso che solleva i pannelli per mezzo di due catene in acciaio incanalate nei montanti. I vantaggi della nostra meccanica sono molteplici. Antintrusione: tali catene rendono ostico

il tentativo d’efrazione dall’esterno per sollevamento. Minor ingombro: poiché essendo il motore collocato all’interno del traverso, abbisogna di solo 19cm di altezza. Non meno importante il fattore estetico: grazie infatti ad una protezione il motore viene nascosto per rendere il nostro portone sezionale una vera e propria opera di pregio e, infine, un impianto elettrico precalblato all’interno del portone. Non solo quindi innovazione tecnologica, ma anche uso sapiente dei materiali, studiati negli anni per garantire sicurezza e durabilità. La nostra gamma di basculanti offre una solida ed accessibile soluzione garantita dall’esperienza storica della nostra azienda: telai monolitici completamente saldati, carrucole e cavi in acciaio, anticesoiamento lungo tutta la struttura laterale; questi solo alcuni dei punti chiave che rendono le basculanti Berti uniche e, soprattutto, longeve. La Berti produce inoltre serramenti in alluminio e facciate continue rivestite in vari materiali, (acciaio, compositi, HPL) consigliando al cliente le migliori strategie per soddisfare le loro idee potendo far affidamento su una capacità progettuale tramandata di generazione in generazione che permette di poter trovare sempre una soluzione utile, solida e su misura. Non solo, la Berti è molto di più: è una realtà lunga, riscoperta, che ha sempre saputo osare esplorando i propri . La storia di una famiglia giunta alla quarta generazione che fin dai suoi inizi non s’è mai fatta intimidire: guerre, calamità o recenti pandemie; che ha sempre saputo far fronte a situazioni gineprose con la lucida ferocia di dover solo combattere un brutto periodo passeggero. Tutto questo articolato nei prodotti che qui si fabbricano, intrisi di passione, sempre rivolti verso l’innovazione e lo straordinario.

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AV: TRA LE COSE CHE CONTANO

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