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Il nodo case green in Italia

Massimo Angelo Deldossi Presidente Ance Brescia

Più fondi e più flessibilità. Senza queste due condizioni si fermano i buoni propositi per l’attuazione di un piano di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare italiano.

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Il testo della direttiva europea Energy Performance of Building Directive (Epdb), che in sintesi prevede il passaggio di tutti gli edifici residenziali alla classe energetica E entro il 2030 e D entro il 2033, si traduce in un programma serrato di interventi irrealisticamente applicabile nel nostro Paese, dove circa il 60% delle case ricade nelle classi più energivore (G e F). Diverso discorso per i nostri vicini europei. In Francia, ad esempio, questa percentuale scende al 17% e addirittura al 6% in Germania.

Ance Brescia condivide su tutti i fronti e con determinazione la necessità di contenere e, nel futuro più prossimo possibile, azzerare le emissioni di anidride carbonica che si ascrivono al patrimonio immobiliare durante l'intero ciclo di vita di un edificio. Non solo, rendere le case autoefficienti dal punto di vista energetico è una delle azioni a cui più si tende per tutelare l’ambiente e per contribuire attivamente alla lotta al cambiamento climatico. Positive ricadute si riscontrerebbero nella riduzione dell’inquinamento ambientale, ma anche nell’aumento del comfort abitativo, con una diminuzione delle spese di riscaldamento e raffrescamento, e nell’allentamento della dipendenza dalle forniture di combustibili fossili provenienti da Paesi politicamente instabili. Per tutti questi motivi condividiamo gli obiettivi della direttiva “case green”, ma il provvedimento va calato nella realtà italiana per essere concretamente attuabile.

Secondo le stime Ance, per dare un’idea della mole di interventi, per migliorare le prestazioni energetiche del 15% del patrimonio immobiliare italiano più energivoro — primo obiettivo della Epbd — occorrerebbe ristrutturare 1,8 milioni di edifici in dieci anni.

Tradotto in altre parole, 180mila interventi all’anno da oggi sino al 2033. Un ritmo molto sostenuto, che preoccupa in un contesto caratterizzato da lente procedure amministrative per l'avvio dei cantieri, man- canza di manodopera e innalzamento dei prezzi di materiali ed energia. Per fare un confronto, è la stessa media di interventi di ristrutturazione che sono stati fatti in Italia nel 2021 e 2022, grazie alla spinta del Superbonus 110%. Tra il 2018 e il 2020, la media è stata di appena 2.900 interventi all’anno.

Per dare attuazione al provvedimento Epdb, nei prossimi anni dovremo quindi mantenere un ritmo intenso e costante, simile a quello sperimentato nell’ultimo anno con il maxi-incentivo. Andrebbero ricalibrate le scadenze previste dalla direttiva sulla base della reale consistenza e prestazione energetica del parco edilizio dei diversi Paesi europei, evitando l’introduzione di deroghe che remano contro le finalità del provvedimento. La direttiva rema nella giusta direzione: è un’operazione politica necessaria per raggiungere la neutralità climatica al 2050, come previsto dalla normativa europea, ma servono strumenti e risorse che consentano di rendere le previsioni adattabili alla realtà italiana. Urgono incentivi per non pesare sulle spalle dei cittadini, che siano sostenibili per lo Stato ed efficaci per l’avvio dei lavori. Abbiamo bisogno di un Piano che, accanto alle risorse pubbliche, preveda un sistema di finanziamenti accessibili alle famiglie, un progetto industriale, con piani di lunga durata e politiche di sostegno, in grado di ridurre i costi delle forniture e degli interventi e di un regime fiscale che assecondi la creazione di un polo industriale, italiano ed europeo, capace di diventare un punto di riferimento nell’efficienza energetica.