cecità - gianluca lombardo

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cecitĂ gianluca lombardo


CECITÀ Gianluca Lombardo 14 maggio / 25 giugno 2011 Ass. Culturale beBOCS PRESIDENTE Giuseppa Alà VICE PRESIDENTE Silvana Giacoma Zanglà DIRETTORE ARTISTICO Giuseppe Lana DIRETTORE TECNICO Claudio Cocuzza CON IL SUPPORTO DI SACCO studio legale, CM SERVICES srl Un ringraziamento particolare a Yves Bergeret, Giampaolo De Pietro, Carmen Cardillo e Fabrizio Santitto, Gianfranco Caruso, Renato Manara, Martina Pulvirenti, Alberta De Guidi, Eddi Catalano, Debora e Marco Ferlito, Francesco Balsamo, Saragei Antonini, Marina Migneco ed ovviamente Claudio Cocuzza e Giuseppe Lana; nonché Chiara, mia figlia, alla quale dedico questo catalogo.


cecitĂ gianluca lombardo

14.05.2011 - 25.06.2011


File. Nuovo documento vuoto. Sono fermo davanti al foglio bianco di word. Raccolgo le idee, ma capisco subito che scrivere di sé non è facile. E non lo è per diversi motivi… Non lo è perché non so se spiegare ciò che non va mai spiegato di un lavoro; oppure, se spiegare ciò che già si vede, ma che è dunque inutile da dire; oppure, semplicemente, se va detto quello che è difficile da vedere e può quindi sfuggire ad un osservatore disattento. E, ancora, non lo è perché davvero non so se la parola “spiegazione” sia quella giusta, così rassicurante, perbene, un pò saccente… Spiegare è il contrario di piegare ed emettere umori: il lavoro insomma dell’artista. Quando scrivi di altri è molto più semplice; hai meno responsabilità, perché se qualcosa viene omessa o fraintesa esiste il beneficio di inventario del fatto che il lavoro è sempre un’opera aperta, passibile di svariate interpretazioni. E il buon critico passa per buon critico non perché dica tutto ciò che l’artista voglia venga detto, ma perché ha saputo interpretare in un modo abbastanza accettabile quello che l’artista ha voluto intendere (in questo caso ‘intendere’ è dire; ma forse anche sentire,…). Il buon critico usa l’intuito della corretta interpretazione. Usa l’intelligenza. Io adesso devo, invece, usare l’aderenza. L’aderenza a me, senza interpretare ciò che già interpreto nel fare. L’aderenza alla mia voglia di onestà intellettuale, di quella che cerca sempre di non vedere troppo i vestiti dell’imperatore, dove appunto non ci sono. L’aderenza alla mia voglia di dire senza svilire la “grana della voce” dei lavori: la parola usa altre armi per i fumi dell’intuizione e per i sentimenti di cui vuole farsi portavoce. Non posso sostituirmi a me stesso, eppure sento che devo darvi qualcosa. Qualcosa che già il lavoro non dice? Strana faccenda… farei lo scrittore piuttosto, o anche. Dovrei re-interpretare e recensire senza banalizzare. Come se fossi io e non fossi io. Difficile e curioso… molto… Ma veniamo alla mostra. Bisogna dire innanzitutto dell’intelligenza e della generosità di Giuseppe e Claudio, del BOCS, delle loro scelte e del loro entusiasmo. Hanno creduto in questa mostra sin da subito, e mi sento di doverli ringraziare per tutto. E poi del piccolo parto che è stato questo ciclo, ”cecità”, dove è venuta fuori ancora una volta tutta la mia voglia di stare fermo e fare silenzio; dove ancora una volta la vita stessa (o l’idea che me ne sono fatto diventando adulto) sembra nascondersi e rimpicciolirsi tra le pieghe di un lenzuolo prima grandissimo e poi ridotto a un fagotto; o nei grigi della grafite o nei neri di dove semplicemente si è esclusa la luce. Ciclo costituito da numerosi lavori; a volte anche molto diversi tra loro, ma solo apparentemente… Ciclo fatto del ricordo di mia madre. E di mio padre. Morti entrambi. Ciclo che nasce dalla coscienza, ormai passata sotto pelle, di essere e contemporaneamente di aspettare, altalena tragica tra il vivere IL VIVERE, e il vivere l’ombra dell’attesa che tutti ci sta impegnando fino alla fine di noi. E fatto, ancora, cercando di dare una specie di corpo al passare del tempo. Un corpo che ho voluto fosse principalmente il mio, che proprio il tempo si sta annotando tra le cellule, come uno scriba diligente che prende l’appunto di ogni minuto che passa. Cecità è un piccolo canto sull’oscurità. Ma non solo: “cecità” forse vuole raccontare dell’essere al mondo così per come si è, semplicemente, e della conseguente cecità che ci occorre per vestire la nudità con ciò che vita e morte non sono: non possiamo dare forma a noi stessi solo col semplice capire di essere in vita… non basta, non basterebbe; così come non possiamo darci questa forma col semplice


capire che un giorno moriremo. Forse non vivremmo più, e la chiameremmo pazzia. Viviamo in un intervallo che riempiamo di cose lontane dal nudo nascere e lontane dal semplice non esserci più. Occorre tanta cecità per vedere ciò che non esiste, perché cecità non è solo non riuscire a vedere qualcosa. Cecità è anche ostinarsi a vedere qualcosa dove in realtà probabilmente non c’è niente. Ho passato moltissimo tempo a levigare doviziosamente i piccoli “tunnel” di legno nero; tre mesi e oltre. Volevo che quella perfezione non disturbasse i canti caldi dei frammenti fotografici. Ma anche che la perfezione del nero fosse già da sé suono ugualmente caldo e immateriale. Volevo come offrire ad ogni foto l’opportunità di indietreggiare, e non solo di palesarsi, com’è costretta a fare la maggior parte dell’arte che si espone. Volevo poter dire dell’essenza delle cose anche se momentaneamente non visibili. Volevo quasi come far udire il respiro di quei frammenti nella semioscurità, come ci può capitare di udire della persona amata o di un figlio, in una stanza al buio nel cuore della notte. Perché non tutto ciò che non si vede vuol dire che non esista. Volevo una forma di oscurità; la sottrazione della luce, dalla luce. Volevo una distanza dal mondo, un allontanamento. Volevo un passaggio. Volevo tutto questo e in un certo senso pure il suo contrario: un venir fuori, un nascere. E forse in questa doppia valenza i tunnel neri tornano ad essere quello che semplicemente sono: un luogo d’attesa, oscillatorio e fluttuante. Una metafora inafferrabile e inconosciuta della vita, col suo venire e col suo andare; non so… Anche le grafiti, con mezzi diversi, cercano il loro limbo nebuloso e inafferrabile. Ma, ancor più, cercano la palude primordiale, le sabbie mobili, i banchi di nebbia. Ancora una volta un lavoro che è sembrata una preghiera, una meditazione; e, anche qui, ho impiegato molto tempo nel tentare di ottenere il più alto grado di nero che si può avere dai grigi della grafite. Il risultato è stata una tendinite più volte rischiata, e un importante gioco di quelle che io chiamo “probabilità”: il nero è perentorio, è quello che sa di essere, e se dipinto utilizzando un tubetto qualsiasi, “è”; già dal suo primo apparire sulla superficie. La grafite invece è “probabile”, offre affondi diversi, si ispessisce e digrada in modo imprevedibile. Nella sua trama fitta ma anche involontaria può annidarsi di tutto. È una specie di tana o di ginepraio dove si può insediare il fiato di tutte le cose. È una continua e imprevedibile probabilità. Muta e si sfalda. È quel “forse, ma non sono sicuro” che ci ha fatti esseri umani non con un occhio, che ci è piaciuto dare alla visione ortogonale di Dio, ma con due, condizione necessaria alla visione in prospettiva di un solo punto, l’infinito. Perché l’esistenza mi sembra proprio questo: il gioco un tantino ‘cieco’ dove appare un corpo e sparisce; dove indistintamente nelle continue pieghe dei segni si possono intravvedere delle cose: un mio braccio, una spalla, un fianco, e forse anche un albero, un mammut,... È la “possibilità”. È il lento spiegamento di una vita come fosse un lenzuolo, e il suo nuovo abbreviarsi in respiri sempre più piccini, quasi dovessero entrare nella bottiglia del tempo come un messaggio lanciato e poi scomparso nel mare del niente. Nulla di più vero. E ogni giorno non facciamo che ripeterlo. Tutto è possibile. Mi pare che la vita sia così. Mi pare… Gianluca Lombardo

14 maggio 2011


File. A new empty document. I am standing in front of a plank paper. I collect my ideas, but suddenly I understand that it is not easy to write about oneself. And it is not easy for several reasons… Because I do not know whether to explain something that it doesn’t need an explanation; or, I don’t know if it is necessary to explain something that already looks as it is, which is therefore useless to say; or, simply, I don’t know if explaining what it is difficult to see will let understand it to a superficial observer. And, again, it is not easy because I do not know if the word “explanation” is the right one, reassuring or a little pedantic… To explain as the opposite of folding and making sounds: the artist’s job in a way. Writing about other people is easier; you have less responsibility, because if something is omitted or misinterpreted, you can always call attention to the fact that the work is passable of several interpretations. Therefore, we tend to consider a good critic not because he expresses what the artist wants, but because he knows how to interpret what the artist wants to communicate. A good critic uses the intuition of a corrected interpretation. He uses his intelligence. I now have to use the firmness to my own will of intellectual honesty. The firmness to mine will to say, without downgrading the “grain of the voice” of the activities: the word uses other weapons to explain the feelings. I cannot replace myself; nevertheless I feel that I must give something. Something that the work doesn’t say already. Strange matter… I would rather be a writer, or also reinterpret and review without trivializing. As if I were myself and not. Very difficult and curious… But let’s talk about the exhibition. In the first place, it has to be highlighted the intelligence and generosity of both Giuseppe and Claudio, of BOCS, and the choices they made with enthusiasm. I want to thank them because they believed in this exhibition from the beginning. Then, I would like to focus on the small birth that has been this cycle, ”cecità” “blindness”, where once again it came outside all my will of being firm and quiet; where once again life (or the idea that I made of it while becoming adult) seemed to hide and to become smaller through the folds of a sheet, previously very big and then reduced to a bundle. A cycle constituted of several intense activities… A cycle made of the memory of my mother. And of my father. Both dead. A cycle that was born from the conscience of being and, at the same time, of waiting. Tragic swing between living the living, and living the shadow of the wait. Trying to give a sort of physicality to the passing of time. A body that I intentionally wanted to be mine, than time is taking through my cells, like a writer that takes note of every minute passing by. Blindness is a hymn on darkness. But not only: perhaps “blindness” wants to recount of living in the world in simplicity, and of the consequent blindness that we need in order to dress the nakedness of life and death: we cannot give shape to ourselves simply by living our lives… it is not enough, it would not be enough; in the same way we cannot keep this shape only thinking of our death. Perhaps we would not live anymore, and we would call it madness. We live in a gap that we fill up with things that are far from the bare birth and far from the simple not being anymore. We need a lot of blindness in order to see what it does not exist, because blindness doesn’t mean not to succeed. Blindness is also a way to persist on seeing something that probably does not exist in reality.


I spent lots of time smoothing abundantly the little “tunnels” of black wood, more than three months. I wanted perfection not to disturb the warm songs of photographic fragments. But I also wanted that perfection of black to be already warm and immaterial. I wanted to offer to each frame the opportunity to withdraw, and not only to reveal itself; I wanted to be able to talk about the essence of the temporarily not visible things. I wanted to hear the breath of those fragments in the semi-darkness, as it can happen to hear of the loved person or of a son in a dark room in the middle of the night. Because it does not mean that every non-visible thing does not exist. I wanted a dusk form, the removal of light, from the light. I wanted to recreate a distance from the world, a removal. I wanted a transit. I wanted all this and in a way also its contrary: I wanted to come outside, to be born. And perhaps in this double valence the black tunnels would return to be what they simply are: a place of wait, oscillating and fluctuating. An un-sizeable and unknown way of life, with its arrivals and its returns; I do not know… Even the graphite, with various means, look for their cloudy and un-sizeable limbo. But, more than this, they look for their primordial swamp, the shifting sands, the fog banks. Once again a work similar to a prayer, a meditation; I spent lot of time trying to obtain the highest degree of black given from the greys of the graphite. The result was an over risked tendinitis, and an important game of “probabilities”: black is authoritative, and if painted using any kind of tube, “it is”; from its first step on surface. Graphite instead is “probable”, offers various shapes, it thickens and fades in unforeseeable ways. In its involuntary scheme it can be hidden everything. It is a sort of lair or tangle where the breath of everything can settle. It is a continuous and unforeseeable probability. Dumb flakes. It is that “perhaps, but I am not sure” that made us human beings not with a single eye, but with two, necessary condition to the perspective vision of a single point, the infinite. This is existence for me: the blind game where a body appears and disappears; where indifferently in the continuous folds of the signs, we can be glimpse things: my arm, a shoulder, a hip, and perhaps also a tree, a mammoth… It is the “possibility”. It is the slow deployment of a life just like a blanket, and its new way of shorten into smaller and smaller breaths, just like they had to enter in the bottle of time like a message disappeared in the sea of the nothing. Nothing is truer than this. And every day I just repeat it. Everything it is possible. That is life for me. It seems to me…

Gianluca Lombardo

14 may 2011


































YVES BERGERET Poèmes pour Cecità

Cette nuit la tempête nous ballote en tout sens dans les pollens de la vie et dans le revers des points cardinaux qu’on ne nomme pas. “Capitaine, faut-il jeter les caisses par-dessus bord? - Non, laissons un peu de sursis à la vieille raison” La mémoire a parfois été bonne vigie. 1

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Dans la grotte j’ai éteint ma lampe. J’ai entendu: mon souffle, ma digestion, mon cœur. Puis j’ai entendu tomber à l’antipode une à une les gouttes de la question qui m’a jeté au monde.

Il se peut que je sois un vestibule sans lumière dont j’écarte une à une les tentures ; je passe, l’air passe avec moi. Si une tenture retombe trop vite je trébuche et me déverse dans le bégaiement dont le courant de l’air m’imite, et je nage.

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Sur la neige en altitude sans lunettes noires au troisième jour je suis devenu aveugle. J’ai entendu chuinter le glacier et se retourner sur leur lit la première et la troisième pentes de la montagne. J’en suis devenu la deuxième : son désir, qui n’a plus de verticale ni d’horizontale, son désir nourri de feu et de sang. A tâtons je rampe jusqu’à la pitié et procrée la parole.

Merci à l’air épais qui me quitte merci à ma peau qui me quitte merci à l’air qui me vêt merci à ma peau anonyme

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Il se peut que je sois un vestibule sans lumière dont je franchis une à une les portes. J’essaye de ne pas les claquer. Si une poignée m’échappe, la porte en claquant fait tomber encore un morceau du récit qui m’enrobe. Et m’échappe.

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Sur une pierre au bord du cratère j’ai laissé ma peau et la nuit je me baigne dans le ciel. Sur un léger cri j’ai laissé ma peau. Dans le sillage du cri je me baigne et touche l’air, l’air que j’inspire juste avant le chant. 7

Je dépose l’entier besoin. Je suis le souffle qui touche. Je suis le souffle qui touche. Je suis le souffle qui touche. Par morceaux je peux me proposer.


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J’ôte un drap et le secret s’apaise.

Beaucoup de syllabes mais pas de récit.

Je quitte ma peau et les deux bouts du monde s’enlacent.

Beaucoup de son mais pas de confins ni de bord.

J’ôte un drap et n’ai plus de poids.

Naître sans nom, naître. Alors la nuit s’incline.

Je quitte ma peau, la nuit me trouve. 9

Alors la nuit s’inclinera et s’allongera entre nous. Alors un dieu naîtra entre nous. Alors nous serons ses syllabes. L’une puis l’autre. La même deux fois. Alors la nuit s’inclinera.

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Sous ma paupière mon corps à l’infini, mon corps non fini, votre foule et notre balbutiement, onde par-dessus des dieux morts.


YVES BERGERET Poèmes pour Cecità

Stanotte la tempesta ci sballotta in tutte le direzioni sulle polene della vita e sul retro dei punti cardinali che non si nominano. “Capitano, dobbiamo buttare a mare le casse? - No, lasciamo un po’ di tempo alla vecchia ragione” La memoria a volte è stata una buona vedetta. 1

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Nella grotta ho spento la mia torcia. Ho sentito: il mio respiro, lo stomaco, il cuore. Poi ho sentito cadere agli antipodi una a una le gocce della domanda che mi ha gettato al mondo.

Si può fare che io sia un corridoio senza luce del quale apro una a una le tende; passo, l’aria passa con me. Se una tenda ricade troppo velocemente inciampo e mi riverso nel balbettamento col quale la corrente d’aria mi imita, e nuoto.

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Sulla neve in alto senza occhiali scuri il terzo giorno sono diventato cieco. Ho sentito sibilare il ghiaccio e ritornare sul loro letto il primo e il terzo pendio della montagna. Io sono diventato il secondo: il suo desiderio, non più verticale né orizzontale, il suo desiderio nutrito di fuoco e di sangue. A tentoni, striscio fino alla pietà e procreo la parola.

Grazie all’aria densa che mi lascia grazie alla mia pelle che mi lascia grazie all’aria che mi veste grazie alla mia pelle anonima.

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Si può fare che io sia un corridoio senza luce del quale varco una a una le porte. Provo a non sbatterle. Se una maniglia mi scappa, la porta sbattendo fa cadere ancora un pezzo del racconto che mi riveste. E mi sfugge.

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Su una pietra al bordo del cratere ho lasciato la mia pelle e la notte mi bagno nel cielo. Su un leggero grido ho lasciato la mia pelle. Nella scia del grido mi bagno e tocco l’aria, l’aria che inspiro prima del canto. 7

Ho deposto l’intero bisogno. Sono il respiro che tocca. Sono il respiro che tocca. Sono il respiro che tocca. Per pezzi posso offrirmi.


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Tolgo un lenzuolo e il segreto si placa.

Molte sillabe ma nessun racconto.

Lascio la mia pelle e le due estremità del mondo s’abbracciano.

Molto suono ma nessun confine né bordo.

Tolgo un lenzuolo e non ho più peso.

Nascere senza nome, nascere. Poi la notte s’inarca.

Lascio la mia pelle, la notte mi trova. 9

Poi la notte s’inarcherà e si allungherà tra noi. Allora un dio nascerà tra noi. Allora noi saremo le sue sillabe. L’una e poi l’altra. Due volte la stessa. Poi la notte s’inarcherà.

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Sotto la mia palpebra il mio corpo all’infinito, il mio corpo non finito, la vostra folla e il nostro balbettio, onda sopra qualche dio morto.


GIANLUCA LOMBARDO Catania 1966, dove vive e lavora. Dal 1995 è docente di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Catania. Nel 2003 è tra i fondatori del SSRG (sicilian soundscape research group), gruppo multidisciplinare interessato alle nuove ricerche, in campo sia scientifico che artistico, sul paesaggio sonoro. Dal 2005 è titolare della cattedra di Video Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Catania. Dal 2008 è uno dei coordinatori della rassegna e del concorso nazionale di videoarte “l’immaginecontinua” patrocinata dall’Accademia di Belle Arti di Catania.

PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI 2011 Cecità, BOCS - box of contemporary space, Catania. 1999

48° biennale di Venezia, padiglione Italia, progetto Oreste: “il 15 agosto non verrà nessuno” con Stefania Perna. Happening in collaborazione con “Grafio” laboratorio di scrittura di Prato.

1997

galleria gianluca collica, Catania.

1995

ambito (art space), a cura di Ambra Stazzone, Catania. Galleria l’Officina di Gorgia, a cura di Anna Maria Corbi, Roma.

PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE 2010

“quant au livre”, a cura di Anna Guillot e Dominique de Beir, “erba/école régionale des beaux-arts” rouen francia - Accademia di Belle Arti di Catania. 6° giornata del contemporaneo, promossa da Amaci, Castello Ursino, Catania.

2009

“video sicilia”, rassegna di videoarte a cura di Renato Bianchini e Francesco Insinga, Palazzo della Cultura, Catania. “barriera del bosco”, testi di Giovanna Giordano, Museo Emilio Greco, Catania.

2009

“the other book”, a cura di Anna Guillot, Mediateca Comunale, Enna.

2008

“l’immaginecontinua”, testi in catalogo di Viviana Gravano, Fiammetta Strigoli, Lorenzo Taiuti, Zò centro culture contemporanee, Catania.

2007

“comitato di salute pubblica”, evento performativo, Duncan 3.0, Roma.

2005

“ascolta palermo/palermo ascolta”, giornate internazionali sul paesaggio sonoro, Palazzo Steri/Orto Botanico, Palermo. “la mossa delle idee”, videodays 2, a cura di Fiammetta Strigoli, Sala S.Rita, Roma. “sofar-festival di musiche elettroniche” - “camere d’aria”, selezione di soundscape composition a cura di SSRG, Zo centro culture contemporanee, Catania.

2004

“la mossa delle idee”, a cura di Fiammetta Strigoli, Cinema Alfieri-atelier, Firenze.

2001

“le tribù dell’arte”, progetto “oreste”, a cura di Achille Bonito Oliva, Palazzo delle Esposizioni, Roma.


2001

“biennale d’arte contemporanea di porto ercole”, a cura di Simona Cresci, Porto Ercole, Argentario.

2000

“onda d’urto”, a cura di Antonio Presti, Mercati Generali, Catania - Castel di Tusa, Messina. collettiva, Galleria Gianluca Collica, Catania. partecipazione a “oreste 3”, programma di residenza per artisti a cura dell’associazione Zerynthia di Roma, Montescaglioso, Matera.

1999

“invideo”, a cura di Sandra Lischi, Simonetta Cargioli, Mario Gorni, Palazzo della Triennale, Milano. “tracce-spuren”, progetto d’arte italo/tedesco, 2a fase, Eschede, Hannover, Germania. partecipazione a “oreste 2”, Montescaglioso, Matera.

1998

“tracce-spuren”, progetto d’arte italo/tedesco, 1a fase, area attrezzata “Rifugio Sapienza”, Etna, Catania / Ex Falegnameria, Catania. “nautilus, ovvero un’immersione a trappeto nord”, quartiere di tappeto nord, in occasione del progetto “Mappe1998” in collaborazione con Cliostraat, Stalker, A 12, Catania. presentazione dei lavori e dei materiali relativi ai progetti “oreste 0 (zero)” e “oreste 1”: Care Of, Cusano Milanino, Milano - Opera Paese, Roma - Percorso Vita, Bologna - Viafarini, Milano - Link, Bologna. partecipazione a “oreste 1”, Paliano, Frosinone.



BOCS, box of contemporary space, è uno spazio esterno al circuito espositivo tradizionale. È il primo “artist run space” a Catania, ufficialmente costituito. Un contenitore “crudo” e versatile, dove al suo interno le produzioni artistiche interagiscono a 360°. BOCS è infatti uno spazio gestito da artisti, lasciato allo stato grezzo dal punto di vista architettonico ma ricco da un punto di vista progettuale di enormi potenzialità. Lo spazio cresce e si modifica grazie alle collaborazioni, agli interventi e alle sperimentazioni dei vari artisti che, di volta in volta, verranno ospitati in residenza o che presenteranno un loro progetto. BOCS vuole essere una risposta alla carenza di spazi destinati agli artisti emergenti, ampliando il raggio d’azione locale verso l’estero puntando così ad un proficuo scambio culturale. Lo spazio espositivo è situato all’interno dello storico quartiere portuale di Catania che si sta lentamente riqualificando anche grazie alla nascita di diverse realtà legate al mondo dell’arte contemporanea.

BOCS is a new space outside of traditional exhibition circuits. It is the first “artist run space” in Catania to be officially established. A “raw” and versatile container in which artistic productions interact all-round. BOCS is a space run only by artists. From an architectonic point of view, it is left to its crude state, which is however full of enormous potentialities regarding all the projects that can be realised inside the space itself. The space develops and changes thanks to the collaborations, participations and experimentations of several artists who are hosted inside the residence or can present their projects. BOCS wants to provide an answer to the lack of spaces for young artists, widening the range of local action towards the outside, thus leading to a profitable cultural exchange. The exhibition space is situated inside the historical harbour neighbourhood of Catania, which is positively being redeveloped also thanks to the birth of several activities linked to the contemporary art world.


questo libro è stato pubblicato in occasione della mostra this book has been publisced on the occasion of the exibition “cecità” di Gianluca Lombardo BOCS - Box Of Contemporary Space 14 maggio / 25 giugno 2011 testi / text Gianluca Lombardo, Yves Bergeret traduzioni / translations Saragei Antonini, Francesco Balsamo, Giampaolo De Pietro, Martina Pulvirenti organizzazione / organization Ass. Cult. beBOCS. Giuseppe Lana, Claudio Cocuzza fotografie / photos Carmen Cardillo progetto grafico e impaginazione editoriale / design and desktop publishing + ADD DESIGN, Catania www.addd.it stampa e rilegatura / printing and binding Priulla, Palermo ufficio stampa / press office Rocco Rossitto info@roccorossitto.it BOCS Via Grimaldi 150, 95121 Catania, Italy www.bebocs.it www.gianlucalombardo.it / info@gianlucalombardo.it

si ringrazia thanks to

CM SERVICES srl, Catania

2011 © Gianluca Lombardo tutti i diritti riservati / all rights reserved




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