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IL FUORI TOCCATO DAI PICCOLI

Forse fuori possiamo nasconderci dietro un cespuglio, fare finta di ripararci dall’arrivo di un drago sputafuoco, o da un lupo, o da un orso. Tutti insieme, al riparo! Oppure possiamo fare una corsetta, sederci su un tronco che diventa un treno, o un razzo, o un’altalena dove imparare a stare in equilibrio. Forse fuori, che è il posto delle margherite, potrebbe accadere che possiamo raccoglierle, o assaggiare che solletico che fa un filo d’erba se lo strofiniamo sotto il naso. Forse potrebbe accadere che il mio amico va un po’ più in là e io lo chiamo a voce alta, altissima. Forse fuori posso anche fare un urlettino in tutta libertà. Conoscere, di me, che ho una voce superpotente. Forse può accadere che nessuno si faccia male, che nessuno prenda freddo se è inverno, perché ci siamo vestiti con gli stivali, con le giacche e con le tute speciali. Ah no, abbiamo cambiato idea! Forse potremmo cucinare una pappa di fango, un ragù di foglioline, mescolare con un rametto. Io voglio riempire un bicchiere di pioggia da dentro la pozzanghera e riportarmelo a casa, farla vedere alla mamma, la pioggia.Forse potremmo arrampicarci sullo scivolo al contrario e arrivare solo fino a metà, provare più e più volte e se non ci riusciamo possiamo andare a tirare il pantalone della maestra, che è intelligentissima e sicuramente capisce che abbiamo bisogno di un aiutino. Tornare con lei dallo scivolo, essere messi in posizione e sfrecciare finalmente giù, e rifarlo di nuovo. Forse potremmo essere presi per mano e arrivare fino laggiù laggiù laggiù. Aiutare qualcuno a piangere, vedere che smette.

E poi dopo potremmo prendere le carriole, sì, fare un giretto con le carriole tutti insieme, magari metterci dentro una palla e se a un certo punto siamo stanchi schiacciare un pisolino al tepore del sole o sotto l’ombra di un albero grande, dipende dal tempo che fa.

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Ci è piaciuto cominciare dando voce ai bambini. Da molti anni sentiamo parlare di outdoor, di educazione all’aperto. Anni di formazione e autoformazione per noi educatori e insegnanti, anni di incontri con le famiglie per trasmettere loro ciò che andavamo a mano a mano scoprendo, anni di sperimentazioni e di prove. decidere con anticipo. Quella coccinella è lì e un minuto prima non c’era, allora prendiamo una lente d’ingrandimento e la guardiamo da vicino, la guardiamo benissimo.

Perché andare fuori anche in autunno e in inverno è stato a lungo impensabile? Perché il giardino è per molto tempo apparso come uno scoglio? Il nostro modo di vedere il fuori, ora, è nuovo. Per tornare alla semplicità abbiamo dovuto studiare, non è incredibile? Non fa sorridere? Parlo di semplicità, perché quello che succede in un prato o su una collinetta o mentre il vento ci spettina non è un qualcosa che si può confezionare,

DENTRO LE POSSIBILITA’ DEL TEMPO

La difficoltà più grande, per noi educatori e insegnanti, è stata il tempo. Sia il tempo inteso come orologio che il tempo meteorologico. Il tempo orologio, sia al nido che alla scuola dell’infanzia, è un pilastro del contesto educativo. Noi educatori e insegnanti usiamo il tempo orologio come fosse un sussidiario. Ci serve per le routine. Le routine sono una successione rassicurante dei diversi momenti della giornata e sono fondamentali, nel bambino, per apprenderne la scansione. L’ostacolo, in inverno, era “non faccio in tempo a vestirli che è già ora di rientrare per il pranzo”, mentre in estate esco solo mezz’ora perché “l’accoglienza dei bambini è meglio farla dentro”, oppure “alle dieci del mattino è già caldissimo”. Ebbene al Polo Di Vittorio di via Poggi, quest’anno, abbiamo deciso di prenderci tutto il tempo orologio che ci serviva. Abbiamo cercato di entrare dentro la possibilità. E’ arrivato l’autunno e abbiamo chiesto alle famiglie di portarci tute da fango, stivaletti per la pioggia, giacche adatte alla stagione, berretti. Insomma, l’occorrente per uscire. Abbiamo riorganizzato la logistica degli arredi dedicati alla vestizione in modo da renderla più agevole: panche dove i bimbi potessero sedersi, contenitori per scarpe e stivali, giacche, tutto vicino alla porta che dà sul giardino. La ‘vestizione’ è avvenuta a piccoli gruppi e con l’aiuto prezioso di una collaboratrice, di conseguenza è stato possibile andare fuori ogni giorno anche da settembre a febbraio.

CON I TAVOLI AL SOLE

Nei mesi più freddi servono parecchi minuti per vestire ventuno bambini, o sedici, o quattrordici ed è vero, a volte non si fa in tempo a uscire che è già ora di rientrare e prepararsi per il pranzo, andare in bagno, cambiare il pannolino, lavare le mani. E allora come si fa, ci siamo chieste? Si fa che il pranzo lo facciamo fuori, ci siamo dette. Anche quando è freschetto: teniamo le giacche e gli stivali, teniamo tutto. Mettiamo i tavoli al sole, e rientriamo quando è ora di andare a nanna.

Fino alla metà di ottobre abbiamo fatto anche lo spuntino del mattino in giardino. Viene da pensare: non è lunga, tutta la mattinata fuori? Può essere, sì. In effetti per qualche bimbo può essere così, quindi abbiamo dato sempre la possibilità a chi era stanco di rientrare con un’educatrice a fare un gioco dentro, ascoltando i bambini e decidendo insieme a loro in quale ambiente recarci, poi si tornava fuori riunendoci al gruppo per il pranzo. Noi educatrici pensavamo che la giacca pesante rendesse difficile la mobilità durante il pranzo, invece ci siamo accorte che non lo è. I bambini hanno dimostrato un grande entusiamo, un piacere, proprio, nel mangiare fuori, e sono diventati più competenti a tavola nel giro di pochi mesi. Anche per quel momento, ovviamente, una buona organizzazione è fondamentale: un kit formato da salviettine igienizzanti, carta, caraffe per l’acqua, bicchieri e biberon è sempre pronto e posizionato in un punto comodo. Per quanto riguarda l’offerta educativa della mattinata in outdoor, abbiamo dotato un carrellino di: • il necessario per imbastire attività diversificate • fazzoletti di carta • pannolini, guanti e salviette per cambi anche in outdoor • grandi cerate dove i piccolissimi possono vivere i momenti di raccoglimento di cui necessitano, e chi vuole può trovare qualche gioco ‘venuto da dentro’ • macchina fotografica per fermare le esperienze attraverso le immagini • quaderno e matita per fermare le frasi dei bambini. In questo modo è cominciata la nostra scoperta, la nostra assimilazione del fuori inteso come punto di forza: cominciando. Abbiamo costruito una clessidra mentale tutta nuova, fatta con del ‘materiale intelligente’, un materiale capace di resistere un poco di più all’umidità novembrina, ai campi magnetici, alle ventate, agli scetticismi mimetici, come li definisce Laura Malavasi nel suo libro ‘Fuori mi annoio’. Un materiale intelligente capace di resistere un poco di più alla prevedibilità, al già visto e al già vissuto, che lasciasse spazio al cominciare. Cominciare da una sciarpa, da cinque minuti diventati dieci poi venti poi trenta, diventati una mattinata intera. Poi, i giorni.

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