Il polietico 28

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Giugno 2013, Anno 10 - N 28 Periodico di informazione

Riservato ai medici e agli operatori sanitari

UN PASSO AVANTI VERSO LA SANITÀ DEL FUTURO Nei prossimi mesi il Gruppo Policlinico di Monza darà il via ad un importante progetto, si tratta della nascita del nuovo Polo di Medicina Molecolare del Policlinico di Monza. La sede sarà quella del Centro di ricerca di NeuroBio-Onclogia di Vercelli. Un progetto all’avanguardia dal punto di vista clinico, laddove la clinica si interseca inscindibilmente con la ricerca. Sono questi i progetti, a nostro giudizio, che proiettano la sanità nel futuro; progetti che raccolgono il lavoro di anni di ricerca, come nel caso del Centro di Neuro-biooncologia di Vercelli diretto dal Prof. Davide Schiffer, e ne oggettivano il valore in ambito clinico come nel caso dell’Istituto di Oncologia del Policlinico di Monza diretto dal Prof. Emilio Bajetta. L’attività scientifica celebra negli incontri congressuali momenti importanti di confronto e crescita, poichè è dal confronto continuo tra scienziati che la ricerca trova nuovi spazi e nuove vie. In questo senso ci piace raccontare quanto successo nei due importanti convegni di cardiochirurgia che si sono svolti ad Erice, alla Fondazione e Centro “Ettore Majorana”, e a Torino nel Centro di Biotecnologia Molecolare. Appuntamenti scientifici a cui hanno partecipato in qualità di relatori alcuni professionisti del Gruppo Policlinico di Monza. E molto altro ancora, con ulteriori novità in ambito clinico. Buona lettura Il Presidente Dott. M. De Salvo

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In questo numero: Nuovo Polo di Medicina Molecolare: la sede al Centro di ricerche della Clinica Santa Rita di Vercelli

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La Clinica San Gaudenzio presenta il dott. Naccari 7 Convegni di cardiochirurgia per il prof. Ugo Tesler e il dott. Marco Diena 10

Il dott. Mario Trompetto e la sua Équipe di Colonproctologia arrivano anche alla Clinica Salus di Alessandria 14


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AVRÀ SEDE AL CENTRO DI NEURO-BIO-ONCOLOGIA DI VERCELLI

POLO DI MEDICINA MOLECOLARE PER IL GRUPPO POLICLINICO

P ROF. E MILIO BAJETTA, DIRETTORE C LINICO E SCIENTIFICO DELL’ISTITUTO DI ONCOLOGIA DEL P OLICLINICO DI MONZA

I L P ROFESSOR DAVIDE SCHIFFER, DIRETTORE DEL C ENTRO DI R ICERCA DI N EURO -B IO -ONCOLOGIA

n un futuro molto prossimo la Medicina molecolare, applicata all’oncologia e ad altre discipline, approderà al Policlinico di Monza e si svilupperà in tre principali filoni: l’oncologia molecolare, la genetica medica e la biobanca dei tessuti. A illustrare il tutto è stato il Prof. Emilio Bajetta, Direttore clinico e scientifico dell’IDO (Istituto di Oncologia del Policlinico di Monza), che è riuscito come sempre a rendere comprensibili argomenti ostici come questo. “Una volta le terapie oncologiche erano uguali per tutti i pazienti – spiega il Prof. Bajetta - bastava un semplice esame istologico su cui poi si fondava il programma di cura. Oggi invece abbiamo a disposizione i cosiddetti biofarmaci o farmaci intelligenti, questo perché gli studi degli ultimi anni hanno evidenziato che ogni paziente possiede degli oncogeni che si differenziano per caratteristiche e peculiarità da quelli di altri pazienti. Nel momento in cui si è cercato di far incrociare il farmaco intelligente con le caratteristiche peculiari del paziente affetto da patologia tumorale, ne è nata l’oncologia molecolare”. Al momento solo alcuni cromosomi sono stati analizzati completamente, rivelando migliaia di sequenze geniche, gran parte delle quali appartenenti a geni funzionali fino ad ora sconosciuti. Sembra probabile che nel prossimo decennio saranno identificati la maggior parte dei geni coinvolti nella trasformazione neoplastica. Grazie a questi studi, si può oramai stimare che vi siano approssimativamente 3000 geni

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“UNA VOLTA LE TERAPIE ONCOLOGICHE ERANO UGUALI PER TUTTI I PAZIENTI – SPIEGA IL PROF. BAJETTA - BASTAVA UN SEMPLICE ESAME ISTOLOGICO SU CUI POI SI FONDAVA IL PROGRAMMA DI CURA. OGGI INVECE ABBIAMO A DISPOSIZIONE I COSIDDETTI BIOFARMACI O FARMACI INTELLIGENTI”

che codificano per proteine (recettori, proteine di canali ionici, chinasi ed altri enzimi) che potrebbero essere possibili bersagli di terapie mirate, soprattutto in ambito oncologico. Alcuni di questi bersagli sono ben noti; per molti di essi, invece, deve ancora essere valutato l’effettivo coinvolgimento con determinate neoplasie o, comunque, deve essere dimostrato l’effettivo valore come bersaglio terapeutico. Un ulteriore passo in avanti nella comprensione dei meccanismi molecolari del cancro è stato indubbiamente il sequenziamento del genoma umano, di cui si è avuta una prima “bozza” già nel 2001. Il sequenziamento completo è ovviamente solo il primo risultato nello studio della sequenza genomica umana e sono richieste ancora molte e approfondite indagini, per avere un quadro completo e chiaro dei complessi meccanismi che regolano la crescita cellulare. In molti tipi di tumore la diagnosi istologica ed immuno-istologica non è più il punto di arrivo, ma è il punto di partenza per ulteriori indagini che portano alla cosiddetta diagnostica molecolare propedeutica alla selezione dei pazienti da avviare alle terapie biologiche, ossia alle cosiddette terapie personalizzate. “Nell’ambito della genetica medica – continua Bajetta - ciò che interessa è quella parte che chiamiamo medicina predittiva ovvero lo studio del patrimonio genetico del paziente, dove la conoscenza dei propri oncogeni permette di capire se il paziente è a rischio di sviluppare certi tipi di tumori. Ad oggi gli studi più avanzati riguardano la patologia oncologica della mammella e dell’intestino”. L’esame per capire la propria predisposizione genetica a sviluppare nel tempo un tumore al seno, per esempio, è relativamente poco costoso, si parla di circa un migliaio di euro e generalmente viene richiesto da quelle donne che hanno avuto in famiglia più di un caso di tumore alla mammella in parenti stretti come la madre, la nonna o la sorella. “Occorre a mio avviso – prosegue il Prof. Bajetta – fare alcune riflessioni su questo argomento. L’esame, per quanto all’avanguardia,


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IN MOLTI TIPI DI TUMORE LA DIAGNOSI ISTOLOGICA ED IMMUNO-ISTOLOGICA NON È PIÙ IL PUNTO DI ARRIVO, MA È IL PUNTO DI PARTENZA PER ULTERIORI INDAGINI CHE PORTANO ALLA COSIDDETTA DIAGNOSTICA MOLECOLARE PROPEDEUTICA ALLA SELEZIONE DEI PAZIENTI DA AVVIARE ALLE TERAPIE BIOLOGICHE, OSSIA ALLE COSIDDETTE TERAPIE PERSONALIZZATE

M ICROSCOPIO DI PRECISIONE

fornirà una percentuale di rischio e mai una certezza e poi bisogna distinguere la donna che in età matura decide consapevolmente di sottoporsi all’esame, dalla ragazzina di 14/16 anni che, come accade oggi in alcuni paesi europei, viene sottoposta a mastectomia bilaterale preventiva per scongiurare il pericolo di una possibile patologia tumorale che, forse, svilupperà solamente tra venti anni, se non più tardi, quando magari la medicina avrà compiuto ulteriori passi avanti per curare definitivamente e con successo la patologia cancerosa della mammella”. L’ultimo filone della Medicina molecolare riguarda la Biobanca dei tessuti. L’avanzamento della ricerca per l’identificazione di geni responsabili dello sviluppo di

specifiche malattie e delle possibili applicazioni in ambito terapeutico, richiede la possibilità di disporre di campioni biologici di persone affette o portatrici o predisposte a patologie su base genetica. Le collezioni di materiali biologici, campioni di tessuti e linee cellulari, sono definite biobanche genetiche e rappresentano un’importante fonte di risorse per la ricerca medica, sia in ambito diagnostico che terapeutico. Lo “Swedish Medical Research Council”, in un documento del 1999, definisce le biobanche come raccolte di campioni di tessuti umani, la cui origine sia sempre rintracciabile, conservati per un periodo definito o indefinito per specifici progetti di studio. Pertanto le biobanche possono essere definite come “unità di servizio, senza scopo di lucro diretto, finalizzate alla raccolta e alla conservazione di materiale biologico umano utilizzato per la diagnosi genetica, per studi sulla biodiversità e per la ricerca”. In considerazione del tipo di campioni conservati, le biobanche possono essere raggruppate in due grandi categorie, ovvero le biobanche genetiche e le biobanche tessutali. Le biobanche genetiche conservano i seguenti tipi di campioni biologici umani: • Campioni di tessuti umani • Linee cellulari umane • Campioni di DNA • Materiale transgenico/ingegnerizzato Le biobanche genetiche si caratterizzano per la raccolta e la conservazione di campioni provenienti da: • Persone e famiglie con patologie genetiche • Gruppi di popolazione con alta frequenza di portatori o di affetti da patologie genetiche • Popolazioni con caratteristiche genetiche idonee per l’individuazione di geni di suscettibilità (es. popolazioni con ridotta variabilità inter-individuale, forte endogamia) • Gruppi di popolazioni idonee per studi di farmacogenetica • Gruppi di popolazione utilizzati come controllo La maggiore utilità delle banche dei tessuti/organi è quella di svolgere ricerche nell’ambito delle patologie tumorali. I risultati sono condizionati sia dalla qualità e accessibilità dei campioni sia dalla affidabilità e portata delle informazioni conservate insieme ai tessuti.


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LA MAGGIORE UTILITÀ DELLE BANCHE DEI TESSUTI/ORGANI È QUELLA DI SVOLGERE RICERCHE NELL’AMBITO DELLE PATOLOGIE TUMORALI. I RISULTATI SONO CONDIZIONATI SIA DALLA QUALITÀ E ACCESSIBILITÀ DEI CAMPIONI SIA DALLA AFFIDABILITÀ E PORTATA DELLE INFORMAZIONI CONSERVATE INSIEME AI TESSUTI L’istituzione di una biobanca deve garantire: • La privacy del soggetto donatore • La qualità del campione e la conservazione del campione per il maggior tempo possibile • Il corretto utilizzo e la distribuzione del campione “Sono certo che la nascita di questo centro di Medicina molecolare del Policlinico di Monza, non potrà che essere un valore aggiunto per la Struttura. La sede sarà quella di Vercelli dove è già presente e attivo il Centro di ricerca di Neuro-Bio-Oncologia diretto dal Prof. Davide Schiffer”. Specializzato nello studio genetico dei tumori cerebrali, il Prof. Davide Schiffer spiega: “Lo studio e la diagnostica dei tumori cerebrali, iniziati nel XIX secolo, hanno trovato una prima sistemazione moderna nella classificazione di Bailey e Cushing (1927-32), cosiddetta istogenetica. Ciò si-

TABELLA I

gnificava che la diagnosi era basata sulla rassomiglianza che le cellule tumorali avevano con quelle della citogenesi nervosa (il passaggio cioè da stadi di immaturità a stadi di maturità: dall’embrione all’adulto). La prognosi invece si basava sulla maggiore o minore immaturità delle stesse: immaturità conseguente malignità e maturità conseguente benignità. Lo sviluppo dell’immunoistochimica e della biologia molecolare ha ultimamente condotto queste discipline ad inserirsi progressivamente nella diagnosi e prognosi dei tumori cerebrali al punto che oggi la sola morfologia non è più in grado di sostenerle appieno, anche se rimane come base principale”. La patologia rimane infatti ancora fondamentale per la diagnosi e la prognosi dei tumori cerebrali, ma l’immunoistochimica e la genetica molecolare hanno così grandemente contribuito all’identificazione dei meccanismi e delle vie molecolari della trasformazione che non possono non essere considerate anche nella diagnosi e prognosi. Il loro scopo principale è stato comunque l’approfondimento dell’eziopatogenesi dei tumori, gliomi in particolare, consentendo di aprire nuove vie di accesso alla loro terapia: si pensi soltanto allo sfruttamento della staminalità nell’aggressione ai tumori e all’uso di anticorpi o silenziatori o microRNA contro steps delle innumerevoli vie molecolari trovate per arrestare la crescita dei tumori. È nata così la questione dei biomarker oggi molto usati. Per i gliomi vi sono numerosi biomarker, distinti in diagnostici, prognostici e predittivi, che vengono rilevati su campioni chirurgici e su fluidi corporei del paziente. In realtà, la questione della loro utilità e utilizzo è ancora controversa e per la loro valutazione è stato creato un sistema basato sulla performance analitica e clinica (prognosi, predizione) e sull’utilità clinica con punteggio da A a D (Tabella I).


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LE COLLEZIONI DI MATERIALI BIOLOGICI, CAMPIONI DI TESSUTI E LINEE CELLULARI, SONO DEFINITE BIOBANCHE GENETICHE E RAPPRESENTANO UN’IMPORTANTE FONTE DI RISORSE PER LA RICERCA MEDICA, SIA IN AMBITO DIAGNOSTICO CHE TERAPEUTICO

TABELLA II

Il punteggio assegnato a sei biomarker (mutazioni di IDH1/2, co-delezione di 1p/19q, indice di proliferazione Ki67, metilazione di MGMT, amplificazione di MYCN e mutazioni di β-catenina) è riassunto in Tabella II. I test che si eseguono presso il Centro di Neuro-Bio-Oncologia sono numerosi e dieci sono quelli che accompagnano ogni consulenza diagnostica che ci viene richiesta. 1) Mutazioni somatiche puntiformi dei geni IDH1/2. Sequenziamento diretto (Sanger)

ed immunoistochimica per la proteina mutata (p.R132H). Diagnostico e prognostico. 2) Ipermetilazione del promotore del gene MGMT (06-metilguanina DNA metiltransferasi). PCR – metilazione specifica (MS-PCR) e analisi di frammenti. Discussa l’attendibilità del metodo immunoistochimico. Prognostico e predittivo. 3) Co-delezione dei loci 1p/19q. MLPA (Multiplex Ligation-dependent Probe Amplification). Diagnostico, prognostico e predittivo. 4) Amplificazione genica di EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor). PCR e analisi di frammenti. Immunoistochimica. Diagnostico e prognostico 5) Analisi mutazionale del gene TP53 (Tumor Protein p53). Sequenziamento diretto (Sanger). Immunoistochimica. Diagnostico e prognostico. 6) Analisi mutazionale del gene PTEN (Phosphatase and Tensyn Homologue) Sequenziamento diretto (Sanger). Immunoistochimica. Relativamente prognostico. 7) Analisi mutazionale del gene BRAF (VRaf Murine Sarcoma Viral Oncogene Homolog B1). Sequenziamento diretto (Sanger). Ricerca della duplicazione in tandem dei geni BRAF-KIAA1549 e dei geni SRGAP3-RAF1. RT-PCR. Diagnostico. 8) Ipermetilazione del promotore del gene EMP3 (Epithelial Membrane Protein 3). PCR – metilazione specifica (MS–PCR) e analisi di frammenti. Immunoistochimica. Diagnostico e prognostico 9) Analisi dello stato genico dei geni p14, p15, p16 MLPA. Prognostico. 10) Ricerca della traslocazione ei geni EWSETS. RC-PCR. Diagnostico. 11) Ki67/MIB. Immunoistochimica con anticorpo monoclonale. Prognostico. Il numero di biomarker studiati presso il Centro è molto più alto, ma non vengono ancora usati direttamente nella definizione diagnostica e nella prognosi delle neoplasie gliali. Essi sono: GFAP, Nestina, Vimentina, CD131, CD134, CD68, mTOR, S6, STAT3, Survivina, SOX2, REST, SEL1LA etc. L’uso dei biomarker per i gliomi in clinica ha un significato netto e preciso soltanto per le mutazioni di IDH1/2, seguito dalla co-delezione di 1p/19q e metilazione di MGMT. Bisogna dire che la loro validità è massima quando sono contemporaneamente diagnostici e prognostici. A questo proposito bisogna


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R ICERCATRICI AL LAVORO NEL CENTRO DI N EURO -B IO -ONCOLOGIA DI VERCELLI

FIG. 1 E LETTROFEROGRAMMI DELLE MUTAZIONI NEL GENE

IDH1. A) IDH1 WILD -TYPE, B) C.G395A (P.R132H), C) C.C394G (P.R132G), D) C.G395T (P.R132L), E) C.C394T (P.R132C), F) C.C394A (P.R132S). FIG. 2 ANALISI IMMUNOISTOCHIMICA CON L’ANTICORPO ANTIM IDH1R132H. A) OLIGODENDROGLIOMA, B) GBM SECONDARIO, C) GBM, LIMITE NETTO TUMORETESSUTO NORMALE, D) OLIGODENDROGLIOMA, SATELLITOSI PERINEURONALE POSITIVA E NEURONI NEGATIVI. SCALE BAR: 50 µM.

anche distinguere quando la loro validità è valutata dopo confronto di categorie tumorali diverse o quando è valutata all’interno di una varietà. Per esempio, PTEN oppure anche Ki67 sono prognostici quando sono diagnostici, come nel confronto fra l’astrocitoma ed il glioblastoma, ma non all’interno della categoria del glioblastoma. Molto spesso però i biomarker sono usati nella valutazione statistica delle sopravvivenze o dei PDF (period disease free) dopo radioterapia o chemioterapia e servono per rilevare gli effetti delle terapie quando queste non sono radicalmente efficaci. Dall’elenco dei biomarker non sono stati inclusi, perché escono dalla definizione data all’inizio, tutti gli indicatori delle vie molecolari

conosciute che segnalano all’interno di una neoplasia. Queste potranno avere una grande importanza nelle genesi dei gliomi, e nella loro prevenzione, quando gli studi sull’origine dei tumori lo permetteranno. Similmente la loro importanza si rivela quando si è alla ricerca di un anticorpo o inibitore o siRNA o microRNA che serva a bloccare quel determinato passo molecolare, in genere sulle vie che conducono alla proliferazione del tumore. Per esempio, il farmaco Bevacizumab è un anticorpo che inibisce VEGF che stimola l’angiogenesi; in questo caso VEGF diventa un biomarker. La stessa cosa può dirsi degli inibitori di mTOR sulla via di AKT/PI3. Si è detto all’inizio che le cellule staminali tumorali possono entrare nel discorso dei biomarker, perché se risulterà che sono queste a sostenere la crescita, la recidiva e la resistenza alle terapie del glioblastoma, gli antigeni da loro espressi o loro peculiarità molecolari, in un qualche modo evidenziati in vivo, diventerebbero dei biomarker. Infine va sottolineato che tutti biomarkers per i gliomi - ma questo crediamo valga anche per molti tumori sistemici -, non possono essere eseguiti o usati senza conoscere a fondo il contesto biologico in cui si inseriscono. I metodi per il loro rilevamento non possono essere applicati come le ricette da un cookbook delle casalinghe. È un atto critico quello che li riconosce come tali fra una miriade di altri dati geno- e fenotipici che caratterizzano i gliomi. È sufficiente leggere qualche lavoro per capire ed identificare un qualcosa che poi sarà biomarker. Le figure 1 e 2 illustrano un esempio di come si producono i biomarker.


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DA MAGGIO 2013 OPERA NELLA STRUTTURA NOVARESE

CLINICA SAN GAUDENZIO: ARRIVA L’ESPERIENZA DEL DOTT. NACCARI

DOTT. CARMINE NACCARI CARLIZZI, MEDICO CHIRURGO SPECIALISTA IN ORTOPEDIA E M EDICINA DELLO SPORT DELLA C LINICA SAN GAUDENZIO

a un paio di mesi la Clinica San Gaudenzio di Novara ha potenziato il suo staff medico grazie all’arrivo del Dott. Carmine Naccari Carlizzi, medico chirurgo specialista in Ortopedia e Medicina dello sport. Viene considerato un esperto della chirurgia del ginocchio, in particolare della chirurgia legamentosa, essendo tra i pochi in Italia ad effettuare ricostruzioni combinate di LCA ed LCP (legamento crociato anteriore e posteriore), trapianti meniscali e cartilaginei. E’ altresì specializzato nella chirurgia protesica miniinvasiva del ginocchio.

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Ci racconti il suo arrivo alla Clinica San Gaundenzio. “È recentissima la mia entrata nel Gruppo Policlinico di Monza, presto servizio alla clinica San Gaudenzio da maggio di quest’anno. In precedenza però, parlo degli anni 90, venni qui qualche volta per effettuare alcuni interventi innovativi per quell’epoca. Si tratta dei primi trapianti di cartilagine. In quegli anni lavoravo altrove e questa Clinica mi offrì la possibilità di eseguire i miei interventi innovativi. Ricevo ancora quei pazienti operati allora con successo, oggi mi sono grati e, addirittura, alcuni sono diventati affezionati amici. I trapianti di cartilagine spianarono una strada nuova al trattamento delle lesioni cartilaginee e dell’artrosi, fui allora un pioniere che si lanciava in esperienze innovative, ma sempre con il buon senso che il mio maestro prof. Mario Boni mi aveva insegnato alla Scuola di Specialità in Ortopedia dell’Università di Pavia.

I TRAPIANTI DI CARTILAGINE SPIANARONO UNA STRADA NUOVA AL TRATTAMENTO DELLE LESIONI CARTILAGINEE E DELL’ARTROSI, FUI ALLORA UN PIONIERE CHE SI LANCIAVA IN ESPERIENZE INNOVATIVE, MA SEMPRE CON IL BUON SENSO

Era il 1983 e frequentavo il primo anno di specialità quando fu proprio lui ad invitarmi negli Stati Uniti ad imparare la tecnica dell’artroscopia. Frequentai il reparto del Dr. Lanny Johnson nel Michigan, i Dr Robert Metcalf, Dr. Tom Rosenberg, Dr. Lonnie Paulos a Salt Lake City nello Utah, il Dr. Danish Patel a Boston nel Massachussets. Fu un anno meraviglioso, ero stato a contatto con i padri fondatori dell’artroscopia mondiale e loro rispettavano il mio maestro apostrofandolo come se fosse un gran capo indiano: your chief with many featers (il tuo capo con tante penne). Tornai in Italia e subito fui messo alla prova, fui fortunato perché da specializzando entravo tutti i giorni in sala operatoria dove passavano a farsi operare importanti sportivi (calciatori del Milan e dell’Inter, atleti dalla nazionale di atletica, Rugby, sci)”. Qual è stato l’impatto con la nuova struttura? “Mi sono sentito subito a mio agio, è stato come se avessi sempre lavorato qui. La disponibilità dimostratami dalla Direzione Sanitaria, nella persona della Dott.ssa Ossola, e dal Dott. Scandone, Responsabile del servizio di anestesia, hanno reso nullo il traumatismo dato dall’impatto con il nuovo ambiente. Lodevole è la disponibilità riservatami nel rendermi facili i gesti consueti in sala operatoria mettendo a mia disposizione quelli che posso definire i miei “materiali favoriti” e quelle tecnologie che fanno parte dei “trucchi” di esperienza che tutti i chirurghi acquisiscono negli anni. Mi sento anche di citare la cordialità dei colleghi Di Seglio, Mordente e Pallavicini, allievi del Prof. Ghisellini, emerito primario dell’ospedale di Novara anche egli proveniente dalla stessa scuola pavese che mi ha visto crescere”. Ha portato con sé dei collaboratori? “Certamente. Non sarei potuto arrivare da solo, sarei stato zoppo. Da sempre lavoro con alcuni professionisti che mi hanno seguito negli ultimi venti anni nelle esperienze vigevanesi e


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ANNI FA ERANO IMPENSABILI MATERIALI BIODEGRADABILI CHE POTESSERO AVERE LE STESSE CARATTERISTICHE DI RESISTENZA DI QUELLI METALLICI. L’UTILIZZO DI BIOTECNOLOGIE E TECNICHE RIGENERATIVE HA ACCORCIATO I TEMPI DI RECUPERO PER LE LESIONI MUSCOLARI E TENDINEE milanesi: il Dott. Giuseppe Puliafito, esperto in chirurgia della mano, il Dott. Andrea Petullà, esperto in chirurgia del piede, entrambi provenienti dalla scuola pavese direttamente o tramite il suo ramo di Varese.

P REPARAZIONE ALL’INTERVENTO PER LA CORREZIONE DELL’ALLUCE VALGO

Quali sono gli interventi che esegue più di frequente? “Come dicevo, sono nato artroscopista prima del ginocchio e poi di tutte le altre articolazioni. Il passaggio dall’Università ad un Ospedale meno specializzato come quello di Vigevano mi ha fatto fare esperienza in traumatologia, un momento fondamentale per la mia crescita chirurgica. Non sono quindi un ortopedico come si dice in gergo anglosassone “limited to” limitato a un solo gesto chirurgico, ad una sola articolazione. L’approdo a strutture ospedaliere private mi ha poi consentito una maturazione in molti ambiti: • La traumatologia sportiva con il mio passato di medico in società calcistiche (10 anni all’Inter, la consulenza al Milan, il passaggio all’Udinese con la responsabilità di tutto il suo settore medico, la consulenza con la Riso Scotti di Volley). • La chirurgia legamentosa del ginocchio, della spalla e della caviglia, il trattamento delle lesioni tendinee e muscolari, i trattamenti rigenerativi con l’utilizzo di PRP (fattori di crescita piastrinici), cellule mesenchimali.

Operare il ginocchio di uno sportivo necessita della conoscenza di tutte le tecniche più moderne e di tutte le opzioni tecnologiche che devono essere applicate all’occorrenza da caso a caso. • Il trattamento delle patologie artrosiche degenerative: il trattamento infiltrativo con fattori di crescita piastrinici di tutte le articolazioni rallenta i processi degenerativi (si preleva un poco di angue del paziente, si centrifuga ottenendo un gel concentrato di piastrine e si inietta questo gel nelle articolazioni danneggiate) • Le osteotomie di tibia e di femore, da effettuarsi nelle artrosi iniziali nei pazienti giovani, sono quegli interventi di salvataggio che nessuno sa o vuole più fare perché è molto più facile protesizzare. • La chirurgia protesica dell’anca, del ginocchio e della spalla mediante l’utilizzo di protesi di nuova generazione: l’anca di rivestimento (si applica un guscio sulla testa del femore con un leggero cotile di rivestimento acetabolare), la protesizzazione dell’anca per via anteriore con una minima incisione senza ledere ed attraversare i muscoli grazie ad una tecnica che rende la protesi di anca non lussabile, accorciando così i tempi di riabilitazione in modo sorprendente (il paziente cammina subito , volendo anche lo stesso giorno dell’intervento, sale le scale il giorno dopo, può andare a casa dopo meno di una settimana) • La chirurgia miniinvasiva protesica del ginocchio sia per quello che concerne la protesi monocompartimentale che quella totale ( incisioni di pochi centimetri, 10 cm nella protesi totale), utilizzo di computer navigatori, talvolta di veri e propri robot) • Il trattamento percutaneo miniinvasivo nella chirurgia selezionata del piede in particolare la correzione dell’alluce valgo ( attraverso piccolissime incisioni cutanee tipo orifizi sotto controllo di radioscopia si procede mediante frese alla correzione del difetto)”. Quali interventi si eseguono sugli sportivi al giorno d’oggi? C’è differenza con gli anni passati? “A seconda del tipo di sport e del gesto sportivo possiamo avere differenti patologie da trattare nello sportivo. Altri aspetti importanti da prendere in esame sono la stagione dell’anno ed i terreni sui quali si praticano gli sport. Nel calcio sicuramente fa da padrone la


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OPERARE IL GINOCCHIO DI UNO SPORTIVO NECESSITA DELLA CONOSCENZA DI TUTTE LE TECNICHE PIÙ MODERNE E DI TUTTE LE OPZIONI TECNOLOGICHE CHE DEVONO ESSERE APPLICATE ALL’OCCORRENZA DA CASO A CASO chirurgia legamentosa del ginocchio con la rottura del legamento crociato anteriore. Nell’atletica le lesioni degenerative dei tendini, le tendinopatie in genere, le fratture da stress. Nel basket e nella pallavolo oltre alle lesioni del ginocchio anche quelle delle mani con vere fratture e le patologie degenerative dell’anca e della spalla. Infine tutte le discipline sportive hanno in comune le lesioni muscolari”. Nei casi chirurgici che riguardano gli sportivi, quanto contano le tecniche più innovative e meno invasive nel recupero dell’infortunio? “Le necessità dello sportivo professionista di recuperare il più velocemente possibile coincidono con quelle delle società sportive perché le stagioni sono sempre più ricche di competizioni. Le innovazioni sono nate con l’avvento dell’artroscopia ed il miglioramento continuo, costante, puntuale delle tecnologie e dei materiali. Anni fa erano impensabili materiali biodegradabili che potessero avere le stesse caratteristiche di resistenza di quelli metallici. L’utilizzo di biotecnologie e tecniche rigenerative ha accorciato i tempi di recupero per le lesioni muscolari e nelle tendinee. Nel trattamento delle fratture utilizziamo, per esempio, campi magnetici, cellule mesenchimali per migliorare i risultati e accorciare i tempi di guarigione. Lo stesso sui tendini e nei trapianti di essi per l’esecuzione di interventi legamentosi”. Parlando invece di persone “comuni”, quali sono gli interventi ortopedici più frequenti e perché? “Tra le persone cosiddette “comuni” dobbiamo distinguere due categorie: quelle affette da patologie articolari degenerative e in questo caso rientrano quei pazienti più frequenti che necessitano di interventi protesici o correttivi come le osteotomie tibiali e femorali o ricostruttivi, come nei casi di ricostruzioni cartilaginee,

e quelle affette da lesioni traumatiche che giungono alla nostra osservazione o per traumatismi sportivi (nell’attività amatoriale) o lavorativi. In questi casi ci troviamo di fronte a fratture, esiti di fratture, rotture legamentose o esiti di ricostruzioni legamentose mal riuscite, lesioni tendinee come la rottura del tendine di Achille. Inutile dire che le motivazioni tra lo sportivo e le persone normali sono differenti, i primi hanno necessità di rapidi recuperi perché la carriera è breve, le competizioni ed i campionati incalzanti, le società sportive desiderose di averli attivi e guariti in tempi brevissimi. Da tutto ciò deriva la necessità di interventi precisissimi, poco invasivi e con tempi di recupero veloci. Tutt’oggi comunque, anche le persone che non sono alle prese con il mondo dello sport, hanno il diritto di ottenere risultati duraturi e stabili nel tempo in tempi brevi, per poter riprendere velocemente il lavoro e non correre il rischio di perderlo oppure, quando molto anziani, per non essere allettati o non autosufficienti a lungo. Le moderne tecniche e tecnologie ci vengono incontro. Ricordo a tal proposito un giovane (cinquantenne) protesizzato al ginocchio che si fece dimettere dalla clinica dopo 5 giorni dall’intervento e tornò al controllo dopo due settimane in scooter, dicendomi che non poteva fare altrimenti perché il lavoro lo costringeva ad abbreviare la riabilitazione, ma che comunque stava bene. La motivazione aveva annientato i tempi di recupero”. Ci sono accorgimenti che possono aiutare a mantenere le articolazioni in buona salute? “Escludendo da questo discorso coloro che per genetica hanno una predisposizione o che sono affetti da malattie congenite o acquisite, possiamo dare alcuni consigli che comunque vanno bene per tutti: evitare il sovrappeso, evitare una vita troppo sedentaria ma anche troppo attiva, il sovraccarico crea microtraumi ripetuti estremamente dannosi per le nostre articolazioni; proteggere i nostri giovani da scellerati allenatori che vogliono spremerli già da piccoli prima che siano ancora cresciuti; avere una sana alimentazione; rivolgersi in caso di necessità a centri specializzati e professionisti seri, evitando di farsi dare consigli da tutte quelle persone che, nella confusione generata in Italia sulla figura sanitaria, diventano esperti senza esserlo a nessun titolo”.


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IL CUORE AL CENTRO DI CONVEGNI SCIENTIFICI INTERNAZIONALI

ERICE E TORINO: DUE IMPORTANTI MOMENTI PER LA CARDIOCHIRURGIA

I L DOTT. UGO FILIPPO TESLER, DIRETTORE SCIENTIFICO CARDIOCHIRURGIA G RUPPO P OLICLINICO DI MONZA

MARCO DIENA, DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO CARDIOVASCOLARE DELLA CLINICA SAN GAUDENZIO

inque giorni di full immersion, settanta partecipanti provenienti da tutto il mondo e circa quaranta relatori scelti tra i più prestigiosi cardiochirurghi a livello mondiale. Questo in sintesi il convegno “Innovations in cardiovascular surgery and how to make them safe” che si è svolto a Erice, dal 12 al 17 maggio scorso, all’interno della suggestiva sede della Fondazione e Centro “Ettore Majorana” (diretto dal Professor Antonino Zichichi). Il Prof. Ugo Filippo Tesler Direttore Scientifico della Cardiochirurgia del Gruppo Policlinico di Monza, nonchè Direttore della “International School of Cardiac Surgery” di Erice è visibilmente soddisfatto della riuscita del convegno: “Abbiamo avuto partecipanti dall’India, dagli Stati Uniti, dall’Est Europa e molti specializzandi in cardiochirurgia provenienti da varie università italiane come Padova, Bologna, Pavia e Roma. Sono stati giorni intensi ed interessanti”. I temi trattati sono stati molti, tra cui l’analisi degli interventi ibridi sull’aorta tramite le nuove tecniche di impianto di endoprotesi associate a interventi di tipo tradizionale, si è sottolineata importanza dell’introduzione delle sale operatorie ibride ovvero dotate sia di strumentazioni per la chirurgia tradizionale sia di apparecchiature radiologiche di ultima generazione che consentono lo svolgimento di questo tipo di intervento innovativo. Grazie alle nuove tecnologie si affrontano le patologie più complesse dell’aorta, in particolare dell’arco dell’aorta che ha sempre rappresentato un aspetto particolarmente complesso della riparazione delle patologia aneurismatica.

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GRAZIE ALLE NUOVE TECNOLOGIE SI AFFRONTANO LE PATOLOGIE PIÙ COMPLESSE DELL’AORTA, IN PARTICOLARE DELL’ARCO DELL’AORTA CHE HA SEMPRE RAPPRESENTATO UN ASPETTO PARTICOLARMENTE COMPLESSO DELLA RIPARAZIONE DELLE PATOLOGIA ANEURISMATICA

Si è poi affrontato l’argomento delle innovazioni relative alle apparecchiature di imaging, in particolare il Prof. Toufic Khouri, Direttore del Dipartimento di Diagnostica per Immagini del Policlinico di Monza, ha parlato dell’utilizzo delle tecniche di imaging non invasivo nella valutazione a distanza della correzione delle cardiopatie congenite più complesse delle quali si è poi approfondito il tema delle tecniche chirurgiche, con conseguenti risultati, della trasposizione dei grandi vasi. Si è discusso quindi delle tecniche innovative minimamente invasive per gli interventi sulle valvole cardiache e delle più recenti tecniche di riparazione percutanea che permettono di intervenire senza aprire il torace del paziente. Il Prof. Gianluca Perseghin, specialista in endocrinologia e malattie del ricambio del Policlinico di Monza, invece ha trattato gli aspetti generali del metabolismo cardiaco soffermandosi sugli aspetti metabolici che influenzano i risultati della correzione delle cardiopatie. Molto importanti anche gli interventi del Prof. Damiano e del Prof. Reul sul trattamento chirurgico delle aritmie mediante tecniche di ablazione. Altro argomento che ha destato l’interesse dei partecipanti è stato quello relativo alla correzione chirurgica della radice aortica e della valvola aortica mediante tecniche che prevedono sia il mantenimento della valvola originale e sia, nei casi più gravi, mediante impianto per via endovascolare o all’apice del ventricolo; quest’ultima tecnica è dedicata agli individui a rischio per cui intervento tradizionale sarebbe troppo pericoloso. Si tratta di un impianto di valvole (TAVI) che, mediante l’uso di cateteri, viene inserito all’interno della valvola ammalata che non viene rimossa, bensì conservata. Infine il Dott. Andrea Mortata, Responsabile del Servizio di Cardiologia del Policlinico di Monza, ha parlato dei criteri di selezione dei pazienti per questi tipi di interventi innovativi. Ma quello di Erice non è stato l’unico convegno a sfondo cardochirurgico a cui hanno partecipato i professionisti in forza al Grup-


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NELL’AUTUNNO DEL 2011, DALLA COLLABORAZIONE DEL POLICLINICO DI MONZA E IL DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA SALUTE DELL’UNIVERSITÀ DEL PIEMONTE ORIENTALE NASCE IL PROGETTO DENOMINATO “CARDIOCELL” CON L’INTENTO DI COSTRUIRE UN NETWORK A LIVELLO NAZIONALE ED INTERNAZIONALE CON LA FINALITÀ DI CONDIVIDERE I RISULTATI E STANDARDIZZARE LE PROCEDURE NELL’AMBITO DELLA RICERCA SULLE CELLULE STAMINALI PER LA CURA DELLE PATOLOGIE CARDIACHE

I L C ENTRO PER LE B IOTECNOLOGIE DI TORINO

po Policlinico di Monza. Il 20 e il 21 giugno scorso infatti al Centro di Biotecnologia Molecolare di Torino, si è tenuto il convegno dal titolo “Recent advances in cardiac repair: from stem cells to biomaterials and small molecules" ovvero le più moderne tecniche di riparazione cardiaca tramite le cellule staminali. Un momento didattico che ha segnato il punto sui temi della ricerca scientifica su possibili strategie per la riparazione del miocardio. Nonostante i progressi nel trattamento medico e chirurgico delle malattie cardiache, l’insufficienza cardiaca è ancora la maggior causa di morbilità e mortalità nei paesi occidentali. Molte patologie cardiache sono caratterizzate da perdita delle cellule contrattili del miocardio, che non possono essere rimpiazzate in quanto la capacità rigenerante delle cellule di questo organo è minima. La medicina rigene-

rativa si propone di riparare il tessuto cardiaco danneggiato mediante due strategie complementari. La prima si basa sulla cosiddetta “Ingegneria dei Tessuti”, una disciplina scientifica che si propone di ricostruire porzioni di tessuto attraverso l’impiego di aggregati di cellule che possono essere direttamente trapiantati sul miocardio oppure fatti aderire a substrati polimerici biocompatibili e biodegradabili. La seconda strategia consiste nell’utilizzare fattori solubili (proteine o acidi nucleici) per attivare le cellule staminali residenti del cuore o, come è stato recentemente riportato, per stimolare la proliferazione dei cardiomiociti adulti, che normalmente non proliferano. Nell’autunno del 2011, dalla collaborazione del Policlinico di Monza e il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università del Piemonte orientale nasce il progetto denominato “CARDIOCELL” con l’intento di costruire un network a livello nazionale ed internazionale con la finalità di condividere i risultati e standardizzare le procedure nell’ambito della ricerca sulle cellule staminali per la cura delle patologie cardiache. Poiché il principale motore della progressione della ricerca è la condivisione delle informazioni, uno degli obiettivi principali del progetto CARDIOCELL era quello di organizzare un congresso scientifico volto alla discussione dello stato dell’arte delle cellule staminali nell’ambito della terapia delle malattie cardiovascolari. Gli sforzi congiunti del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università del Piemonte Orientale, della Clinica San Gaudenzio, della Fondazione Cardioteam Onlus, di cui il dott. Marco Diena è Presidente, e del “Molecular Biotechnology Center” dell’Università di Torino hanno permesso la realizzazione del Convegno internazionale “Recent advances in cardiac repair: from stem cells to biomaterials and small molecules” nella splendida cornice del nuovo centro di ricerca del Molecular Biotechnology Center a Torino. Il congresso, che si è articolato in due giorni, ha visto la presenza di una ventina di relatori di fama mondiale provenienti da centri di ricerca italiani e stranieri. L’eccellente programma e la qualità dei lavori presentati ha attirato al convegno oltre centoventi ricercatori e specialisti nel campo, che hanno avuto ampia possibilità di discutere con i relatori. L’evento si è concluso con grande soddisfazione sia dei relatori che dei partecipanti.


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PROFICUA COLLABORAZIONE TRA PUBBLICO E PRIVATO

LA VIALARDA SEDE UNIVERSITARIA DEL TIROCINIO INFERMIERISTICO a Novembre 2011 la Casa di Cura La Vialarda, Gruppo Policlinico di Monza, ha stipulato con l’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro“ una specifica convenzione finalizzata all’espletamento del tirocinio pratico per gli studenti iscritti al secondo anno del Corso di Laurea in Infermieristica, con sede presso l’Azienda Sanitaria Locale di Biella. Questa collaborazione, reciprocamente apprezzata, è un’esperienza importante e utile, sia per l’Università, che ha potuto così ampliare le esperienze e le sedi di tirocinio da proporre agli studenti , sia per il personale della Casa di Cura che ne ha tratto un indubbio stimolo professionale e, perché no, anche di aggiornamento nell’affiancamento degli studenti in quanto “portatori” di attualità formative e didattiche. Alternandosi in gruppi di quattro tirocinanti, nei due anni trascorsi La Vialarda ha accolto circa 32 studenti; un’opportunità per gli infermieri dei reparti di degenza che hanno contribuito, grazie al loro professionale affiancamento, alla formazione dei futuri colleghi, impegnandosi ad essere, anche con entusiasmo, un riferimento certo di promozione e sostegno del moderno concetto assistenziale che oggi l’infermiere è chiamato ad applicare.

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I TIROCINANTI CARLOTTA M IRTO E E MMANUEL R ICCIARDI

Gli studenti che si accingono a frequentare il tirocinio all’interno della Casa di Cura La Vialarda, approfondiscono il concetto di assistenza incentrata sia sulla patologia, ma soprattutto sui bisogni del paziente evidenziando la funzione che riveste l’infermiere nelle fasi della prevenzione, della cura e della riabilitazione. È risultato evidente dalle testimonianze raccolte come la collaborazione tra infermieri, ormai professionisti, ma con percorsi di studio differenti dagli attuali, e studenti iscritti al corso universitario sia stata un’occasione importante per aggiornare, uniformare ed approfondire le conoscenze sul contemporaneo percorso formativo della professione infermieristica. “Qui ho trovato ordine, pulizia e disciplina – spiega la tirocinante Carlotta Mirto di 23 anni – Credo che sia dovuto all’alta professionalità di tutti gli Operatori e, in gran parte, al prezioso contributo dato dalla presenza continua di personale religioso, Le Figlie di San Giuseppe, che qui hanno il ruolo di caposala. Sono sempre presenti, attente e scrupolose. Si soffermano col paziente, sanno i nomi di tutte le persone ricoverate, sono molto premurose e curano con dedizione i rapporti umani. Mi sono trovata come in una grande famiglia. Ho deciso di fare l’infermiera dopo aver avuto un’esperienza come segretaria in uno studio notarile. Dopo un anno mi sono accorta che stare dietro ad una scrivania non faceva per me e così, incentivata anche dalla mia nonna, ex infermiera, ho fatto il test di ingresso per Scienze Infermieristiche. All’inizio è stata una scelta di ripiego, ma al primo tirocinio mi sono letteralmente innamorata di questa professione. Essere infermiera significa avere un rapporto diretto col paziente e ricevere in cambio tanto amore, è una grande gratificazione personale e professionale. Conseguita la laurea mi piacerebbe ovviamente lavorare subito e continuare nel contempo a studiare per prestare servizio nell’ambito delle cure palliative. Credo che non abbia prezzo poter rendere meno dolorose e un po’ più serene le ultime giornate dei pazienti destinati ad andarsene”.


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GLI STUDENTI CHE SI ACCINGONO A FREQUENTARE IL TIROCINIO ALL’INTERNO DELLA CASA DI CURA LA VIALARDA, APPROFONDISCONO IL CONCETTO DI ASSISTENZA INCENTRATA SIA SULLA PATOLOGIA, MA SOPRATTUTTO SUI BISOGNI DEL PAZIENTE EVIDENZIANDO LA FUNZIONE CHE RIVESTE L’INFERMIERE NELLE FASI DELLA PREVENZIONE, DELLA CURA E DELLA RIABILITAZIONE

UN

MOMENTO DI INSEGNAMENTO DOVE L’INFERMIERE AFFIANCATORE SPIEGA ALLA TIROCINANTE L’UTILIZZO DI UN APPARECCHIO CLINICO

Altrettanto entusiasmo per Emmanuel Rinciani, tirocinante di 22 anni al secondo anno: “Qui ho trovato infermieri ben disposti ad affiancarmi e ad insegnarmi e non capita spesso. Non mi era mai successo prima di lavorare quasi quotidianamente con la stessa équipe, solitamente presso altre realtà assistenziali c’è una turnazione maggiore e spesso ci troviamo accanto a infermieri nuovi con lo svantaggio, talvolta, di essere utilizzati come mera forza lavoro. Ho scelto di fare l’infermiere perché è una professione che a livello emotivo mi ripaga molto, in più anche mia mamma è infermiera e in famiglia ho diversi parenti medici. Praticamente in ospedale ci sono quasi cresciuto e quindi per me non è mai stato un luogo ostile o pauroso, anzi, mi piace anche l’odore di disinfettante che si respira nei reparti e che la maggior parte della gente invece detesta. Il medico? Una bellissima professione, ma non mi ci sentivo tagliato. Troppi anni di studio, non penso ne sarei stato all’altezza. Sono

contento della strada che ho scelto e ora l’obiettivo è quello di laurearmi, vincere un concorso pubblico e chiedere poi il trasferimento per andare a lavorare a Gela, la mia città”. “La professione infermieristica si è negli anni contestualizzata ed arricchita – spiega Veronica Pozzo, infermiera e tutor clinico dei tirocinanti in servizio alla Clinica La Vialarda oggi l’infermiere è promotore di progetti, consegue obiettivi, si interfaccia con altre figure o strutture professionali e riconosce l’importanza di lavorare in équipe. Il tutto senza mai dimenticare, ma anzi potenziando, le caratteristiche proprie della professione ovvero il prendersi cura del paziente, assisterlo ed essere sensibile al dolore a alla sofferenza dell’assistito”. Il tirocinio degli studenti è un momento importante, dove s’interfacciano le conoscenze degli infermieri con diverse esperienze sul campo e gli studenti freschi dei nuovi protocolli e tecniche insegnate all’università. Anche per l’infermiere affiancatore il tirocinio è un momento di studio e aggiornamento che aiuta la nostra professione a crescere. Compito di dell’infermiere è quindi quello di aiutare i tirocinanti di oggi a diventare professionisti consapevoli, responsabili, autonomi nel gestire una relazione d'aiuto con la persona, capaci di riconoscere il proprio sapere e abilità e metterli a disposizione dell'altro, capaci di pianificare un accompagnamento assistenziale alla persona e alla sua famiglia, che sia psicologico, metodologico, tecnico, organizzativo. Il profilo ed il codice deontologico dell'Infermiere delineano una figura professionale con conoscenze ed abilità altamente complesse. Non si tratta solo di competenze abilitanti alla professione, relative ad interventi di natura tecnica, relazionale ed educativa a favore di individui o collettività di tipologie diverse. Il profilo comprende lo sviluppo di identità, comportamenti, valori, responsabilità, appartenenze da "giocare" in una realtà, come quella socio/sanitaria, caratterizzata da dinamicità scientifico professionale, cambiamenti organizzativi al passo con una rapida evoluzione tecnologica. “Noi vorremmo contribuire a formare Infermieri responsabili - conclude il tutor clinico - che mettano in atto azioni e comportamenti altamente professionali, basati sulla "best practice" e che non dimentichino da dove è nata la figura dell’infermiere”.


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TECNICHE INNOVATIVE PER LE PATOLOGIE COLONRETTOANALI

ANCHE LA CLINICA SALUS AVRÀ IL GRUPPO DI COLONPROCTOLOGIA

DOTT. MARIO TROMPETTO, MEDICO CHIRURGO SPECIALISTA IN COLONPROCTOLOGIA

TECNICA THD PER IL TRATTAMENTO DELLE EMORROIDI

a giugno 2004 alla Clinica Santa Rita di Vercelli è attivo il Gruppo di Colonproctologia composto dai Dottori Mario Trompetto, Giuseppe Clerico e Alberto Realis Luc che, insieme al Dott. Marco Pinna Pintor, hanno colto con entusiasmo l’opportunità di estendere la propria attività anche alla Clinica Salus di Alessandria. In tale sede è stato dunque appositamente allestito un ambulatorio specialistico nel quale saranno possibili valutazioni cliniche, diagnostiche e strumentali dei pazienti.

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LA VISITA COLONPROCTOLOGICA SPESSO CREA IMBARAZZO IN CHI DEVE SUBIRLA ED È COMPITO DELLO SPECIALISTA METTERE IL PAZIENTE NELLE CONDIZIONI PSICOFISICHE MIGLIORI PERCHÉ AVVENGA IN ASSOLUTA RILASSATEZZA

I medici, con un’attività più che ventennale nella Chirurgia Colonproctologica, vantano migliaia di interventi chirurgici specialistici su pazienti provenienti da tutto il territorio nazionale. In particolare il Gruppo si è distinto negli anni per l’interesse nelle malattie funzionali dell’intestino (incontinenza fecale e stipsi) per le quali ha messo a punto alcune tecniche innovative che sono state presentate a numerosi congressi e attualmente vengono utilizzate in molti centri nazionali ed europei. In particolare vale la pena citare l’intervento di “Delorme interna” che consiste nell’asportazione del prolasso rettale responsabile in molti casi della stipsi rettale. Per quel che riguarda il trattamento delle malattie proctologiche più comuni invece (emorroidi, fistole, ragadi) l’Èquipe applica abitualmente le tecniche più moderne quali la THD (legatura selettiva doppler guidata dei vasi emorroidari), il posizionamento di plug e la LIFT (legatura del tragitto fistoloso con risparmio completo degli sfinteri) per le fistole anali. Infine negli ultimi anni, il Gruppo si è dedicato specialmente al trattamento laparoscopico delle malattie neoplastiche dell’intestino. I membri del Gruppo di colonproctologia sono spesso invitati a portare la loro esperienza a congressi nazionali ed internazionali, hanno pubblicato numerosi articoli su riviste specializzate e da anni organizzano un congresso internazionale considerato il più importante in Europa, il “Biennal meeting of coloproctology”, oltre ad un corso mensile rivolto ai chirurghi generali. L’attività didattica e scientifica del Gruppo è stata anche premiata quest’anno dalla Società Italiana di Chirurgia Colonrettale (di cui il dott. Trompetto è Presidente nazionale) che ha scelto l’Unità Operativa della Clinica Santa Rita di Vercelli quale sede della Scuola Italiana di Chirurgia Colonrettale. I discenti della scuola partecipano attivamente all’attività clinica e strumentale quotidiana e ottengono alla fine dell’anno di frequenza previsto, un attestato di specializ-


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LA VISITA COLONPROCTOLOGICA

I MEMBRI DEL GRUPPO DI COLONPROCTOLOGIA SONO SPESSO INVITATI A PORTARE LA LORO ESPERIENZA A CONGRESSI NAZIONALI ED INTERNAZIONALI, HANNO PUBBLICATO NUMEROSI ARTICOLI SU RIVISTE SPECIALIZZATE E DA ANNI ORGANIZZANO UN CONGRESSO INTERNAZIONALE CONSIDERATO IL PIÙ IMPORTANTE IN EUROPA, IL “BIENNAL MEETING OF COLOPROCTOLOGY ” zazione che attualmente è l’unico presente sul territorio nazionale. Attualmente la presenza dell’equipe all’interno della Clinica Salus di Alessandria ha cadenza settimanale per le visite e, a seconda delle richieste, per gli interventi chirurgici. “Tale impegno – spiega il Dott. Trompetto - si estenderà col crescere del numero di pazienti che richiederanno le cure della nostra Équipe”. Le visite presso la Clinica Salus di Alessandria possono essere prenotate in convenzione presentando un’impegnativa di visita colon proctologica, mentre sono anche possibili visite in regime di solvenza.

TRATTAMENTO FISTOLE TRAMITE LIFT

ANALI

La visita coloproctologica consiste nel colloquio del paziente con lo specialista delle malattie colonrettoanali e nel successivo esame clinico del paziente accompagnato dalla rettoscopia. Queste componenti permettono di giungere a formulare una diagnosi o nei casi più complessi soltanto di ipotizzarla. In tali evenienze è indispensabile l’esecuzione di ulteriori esami strumentali per averne conferma o diagnosticare ulteriori patologie. La visita colonproctologica spesso crea imbarazzo in chi deve subirla ed è compito dello specialista mettere il paziente nelle condizioni psicofisiche migliori perché avvenga in assoluta rilassatezza. Questa è indispensabile sia per avere le giuste informazioni soggettive dal paziente (anamnesi) che per poter effettuare un esame clinico accurato. La presenza di una infermiera esperta durante la visita è di grande aiuto psicologico. La raccolta della storia clinica del paziente è un passo importantissimo e deve essere estremamente curata. Per questo si deve dedicare a questo momento tutto il tempo necessario, lasciando che il paziente spieghi i suoi sintomi per poi porgli delle domande specifiche. Le risposte ottenute possono portare ad una prima ipotesi diagnostica e guidano il successivo esame clinico. La visita coloproctologica inizia con il paziente sul lettino in posizione supina per permettere l’esame dell’addome e successivamente sul fianco sinistro con le ginocchia flesse all’addome (posizione di Sims). Questa posizione consente un buon rilassamento sfinterico e quindi l’esecuzione di tutti gli atti clinici (ispezione, esplorazione rettale e successiva rettoscopia) in un modo poco fastidioso per il paziente e molto vantaggioso per il coloproctologo. Tutti i momenti della visita vanno spiegati al paziente subito prima della loro esecuzione perché venga mantenuta una situazione di massimo relax muscolare e di completa collaborazione che consentano un esame il più accurato possibile. Se il paziente accusa dolore non è indicata la continuazione della visita ed a volte la sua presenza già permette una prima ipotesi diagnostica.


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SI ARRICCHISCE L’ATTIVITÀ DELLA MEDICINA METABOLICA

DIABETE

E OBESITÀ GIOVANILE ECCO I DUE NUOVI AMBULATORI

I L P ROF. G IANLUCA P ERSEGHIN, SPECIALISTA IN E NDOCRINOLOGIA E MALATTIE DEL RICAMBIO E P ROFESSORE ASSOCIATO PRESSO L’U NIVERSITÀ DEGLI STUDI DI M ILANO

P ENNA

PER LA SOMMINISTRAZIONE DI INSULINA

ll’interno del Servizio di Medicina Metabolica del Policlinico di Monza, diretto dal prof. Gianluca Perseghin, sono nati due nuovi ambulatori per essere ancora più vicino al paziente. Si tratta dell’Ambulatorio di educazione al paziente diabetico e l’Ambulatorio per l’obesità infantile e adolescenziale. Due argomenti complessi e multi sfaccettati che richiedono un intervento su più fronti per affrontare al meglio le problematiche legate alle due patologie. Il diabete infatti è una malattia cronico degenerativa e il suo trattamento, se non è accompagnato da una presa di coscienza del significato e dell’importanza della patologia tale da

A

IL DIABETE È UNA MALATTIA CRONICO DEGENERATIVA E IL SUO TRATTAMENTO, SE NON È ACCOMPAGNATO DA UNA PRESA DI COSCIENZA DEL SIGNIFICATO E DELL’IMPORTANZA DELLA PATOLOGIA TALE DA INDURRE UN CAMBIO DELLO STILE DI VITA, NON SARÀ SUFFICIENTE A GARANTIRE UNA CURA OTTIMALE

indurre un cambio dello stile di vita, non sarà sufficiente a garantire una cura ottimale delle sue complicanze micro e macro-vascolari. Il paziente deve comprendere che con il passare del tempo, un diabete non controllato può portare a gravi complicazioni e deve essere aiutato a capire la severità di questa malattia. Da qui l’idea su cui si fonda l’Ambulatorio di educazione del paziente diabetico ovvero quella di far si che il paziente non si senta mai solo, ma trovi nel personale medico, e soprattutto in quello infermieristico, un interlocutore che possa essergli d’aiuto a superare le perplessità e i dubbi sulla modalità di assunzione della terapia e su tutti gli altri aspetti della malattia. Ecco gli obiettivi dell’Ambulatorio di educazione al paziente diabetico: 1) Educare al monitoraggio della glicemia a domicilio: cos’è il glucometro, come utilizzare in maniera corretta il pungi-dito per la rilevazione della glicemia e l’importanza del “diario” glicemico. La gestione del controllo glicemico non è sempre semplice. Il paziente spesso pensa che la malattia e l’eventuale uso dell’insulina gli sconvolgerà la vita perché genera ansia riguardo alla modalità e ai tempi di somministrazione. Il paziente sente la preoccupazione di iniettarsi una dose sbagliata e quindi di esporsi al rischio dell’ipoglicemia e come tale può spesso sentirsi solo, incompreso, depresso e con sensi di colpa per il mancato raggiungimento degli obiettivi. Il Personale dell’ambulatorio di diabetologia ha il compito di educare il paziente diabetico all’automonitoraggio glicemico, al corretto prelievo della goccia ematica per l’automisurazione glicemica e all’utilizzo corretto del diario glicemico. 2) Educare alla corretta somministrazione della terapia insulinica: far capire al paziente che il diabetologo e l’infermiere l’aiuteranno a imparare quando, come e dove iniettarsi l’insulina e che questo processo è costituito da un continuo divenire necessario a comprendere la dose opportuna di insulina.


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LA GESTIONE DEL CONTROLLO GLICEMICO NON È SEMPRE SEMPLICE. IL PAZIENTE SPESSO PENSA CHE LA MALATTIA E L’EVENTUALE USO DELL’INSULINA GLI SCONVOLGERÀ LA VITA PERCHÉ GENERA ANSIA RIGUARDO ALLA MODALITÀ E AI TEMPI DI SOMMINISTRAZIONE

L’ORGANISMO NECESSITA ANCHE DI “BOLI” DI INSULINA PER METABOLIZZARE I CARBOIDRATI ASSUNTI DURANTE I PASTI

Lo schema insulinico è la prescrizione medica del tipo di insulina, dell’orario in cui deve essere somministrata e della quantità che va iniettata ogni volta. Esistono diversi tipi di insulina che si differenziano per il tipo e per la durata di azione, per la fase di picco in cui esprime la massima azione e per il tempo in cui rimane attiva. Uno schema insulinico può prevedere iniezioni con differenti tipi di insulina. La ragione è che il nostro organismo ha bisogno di un’insulina basale durante le 24 ore, ma anche di “boli” per metabolizzare i carboidrati assunti durante i pasti. Le insuline ultralente o lente servono come base le rapide o le ultra rapide per utilizzare i carboidrati. Le dosi di insulina sono suddivise in Unità o Unità Internazionali (U.I.). Il fabbisogno medio varia da persona a persona a seconda dell’attività fisica svolta, dello stile di vita e della sua insulino-resistenza. 3) Educare a riconoscere e gestire i sintomi dell’ipoglicemia: insegnare i sintomi da non

sottovalutare, i tre gradi dell’ipoglicemia, cosa fare (e cosa possono fare gli altri) in caso di ipoglicemia. L’ipoglicemia consiste in una diminuzione del livello di glucosio nel sangue al di sotto dei valori di normalità corrispondente in modo convenzionale a < 65-70 mg/dl. Vengono definiti tre gradi di ipoglicemia: a) Di grado lieve, dove sono presenti solamente sintomi come tremori, palpitazione e sudorazione e l’individuo è in grado di autogestire il problema. b) Di grado moderato, dove a questi sintomi si aggiungono sintomi come confusione e debolezza, ma l’individuo è comunque in grado di autogestire il problema. c) Di grado grave, dove l’individuo presenta uno stato di coscienza alterato e necessita dell’aiuto o della cura di terzi per risolvere l’ipoglicemia. 4) Educare alla prevenzione del piede diabetico: autoispezione del piede per individuare segni precoci di sofferenza a livello delle parti distali degli arti inferiori. Il piede è l’organo deputato al movimento, esplica la sua funzione fornendo informazioni al cervello sotto forma di sensazioni e ricevendo da questo ordini motori. Le informazioni sensitive ci avvertono dell’asperità e temperatura del terreno su cui stiamo camminando, della pressione esercitata sul piede e delle sollecitazioni che provocano dolore su di esso. La deambulazione è la conseguenza di ordini provenienti dal cervello che provvede a muovere in sincronia i muscoli del piede che si contraggono e si rilasciano. La conservazione della temperatura, del trofismo e dell’idratazione avviene tramite fibre nervose che non dipendono dalla volontà ma che lavorano autonomamente dalla coscienza. La neuropatia diabetica colpisce: i nervi sensitivi (neuropatia sensitiva), i nervi vegetativi (neuropatia automica), i nervi motori (neuropatia motoria). Il piede colpito da neuropatia diabetica è un piede che presenta un alterato equilibrio muscolare, un’alterata percezione degli stimoli e un’alterata autoregolazione vegetativa. 5) Incentivare il rapporto tra personale medico e paziente: confrontarsi per instaurare strategie volte a contrastare l’aumento del peso che si associa alla terapia insulinica.


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L’OBIETTIVO PRIMARIO DELL’AMBULATORIO È DUNQUE QUELLO DI SUPPORTARE I BAMBINI E I RAGAZZI AFFETTI DA OBESITÀ, ANCHE E SOPRATTUTTO ATTRAVERSO LE PROPRIE FAMIGLIE, AL FINE DI OFFRIRE LORO GLI ADEGUATI STRUMENTI PER CONOSCERE E RISOLVERE QUESTO IMPORTANTE PROBLEMA

I NSEGNARE

AI PROPRI FIGLI A PRENDERSI CURA DEL PROPRIO CORPO E CRESCERLO IN SALUTE È UNO DEI PRINCIPALI DOVERI DI UN GENITORE

Ecco nel dettaglio anche i servizi offerti dal secondo, ma non meno importante, ambulatorio dedicato al fenomeno dell’obesità infantile e adolescenziale. Una corretta alimentazione rappresenta il primo presupposto per la salute dell’uomo. La nutrizione, dopo avere assicurato agli esseri umani il benessere fisico e il conseguente aumento dell’aspettativa di vita, è oggi chiamata ad una sfida ancora più impegnativa: quella di garantire all’uomo una longevità in salute, al riparo dalle malattie croniche e degenerative che vedono in una non corretta alimentazione uno dei principali fattori predisponenti. L’obesità/sovrappeso non affligge solo il 50% della popolazione adulta italiana, questo problema infatti ha radici già in età adolescenziale: il 30-35% dei bambini italiani è in sovrappeso ed il 10-12% è obeso. L’impatto che l’obesità in età infantile e adolescenziale avrà nella vita adulta di un individuo non è ancora stato determinato, inoltre benché oggetto di studi condotti in ogni tipo di popolazione, area geografica, condizione culturale ed economica, i principi base di una corretta alimentazione non sono stati ancora definitivamente stabiliti. Il dibattito su questa materia infatti è molto acceso, con poche verità accertate. Inoltre, poiché l’interesse per l’alimentazione dell’uo-

mo non è limitato alla sola comunità scientifica, ma investe l’intera società civile, anche fattori non biologici, di natura culturale e sociale, interferiscono e possono condizionare la condotta alimentare della popolazione. In tale contesto, in mancanza di riferimenti scientifici certi, i messaggi che vengono divulgati appaiono spesso vaghi o contraddittori, dettati di volta in volta dalle mode e modelli del momento, con il risultato di generare confusione, inutili allarmismi e talvolta anche informazioni errate. Ecco i punti che si prefigge l’Ambulatorio per l’obesità infantile e adolescenziale: 1) Sensibilizzare i pazienti e le loro famiglie al mantenimento di un adeguato stato nutrizionale e al mantenimento di un sano peso corporeo. 2) Stabilire l’associazione tra le caratteristiche antropometriche (peso, età, circonferenza vita) e le abitudini alimentari del paziente, indagando la frequenza del consumo degli alimenti durante e fuori dai pasti. La visita endocrinologica di compone di due fasi principali: la prima in cui viene analizzata la storia famigliare del paziente e la seconda che si concentra sulla valutazione approfondita dello stato di salute e delle abitudini alimentari del paziente obeso. 3) Fornire programmi nutrizionali personalizzati e associarli, dove necessario, a consigli dietetici e a visite di controllo periodiche. Alla luce delle indicazioni specifiche del medico endocrinologo, delle informazioni raccolte sulle abitudini alimentari e dei dati antropometrici rilevati, verrà stilata una completa analisi alimentare del paziente unitamente a un programma nutrizionale e di educazione alimentare (consigli nutrizionali per un comportamento alimentare sano ed equilibrato alla luce delle indicazioni nutrizionali LARN Livelli di Assunzione giornalieri Raccomandati di energia e Nutrienti per la popolazione italiana e INRAN - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione). L’obiettivo primario dell’ambulatorio è dunque quello di supportare i bambini e i ragazzi affetti da obesità, anche e soprattutto attraverso le proprie famiglie, al fine di offrire loro gli adeguati strumenti per conoscere e risolvere questo importante problema.


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UNA RISPOSTA COMPLETA PER LE PATOLOGIE DEL SENO

LA BREAST UNIT DEL POLICLINICO UN PUNTO ROSA PER TUTTE LE DONNE

DOTT. FRANCESCO D’E RRICO, DIRETTORE C LINICO DELLA B REAST U NIT

ACCELERATORE LINEARE 6-15 M EV: VARIAN CLC C LINAC 2100 C

a patologia tumorale della mammella ancora oggi non trova una causa di insorgenza per cui non è possibile effettuare una prevenzione primaria. Esiste invece una diagnosi precoce che consente un’alta percentuale di guarigione dalla malattia. All’interno della Breast Unit del Policlinico di Monza, le donne possono trovare supporto e aiuto per affrontare tutti gli step della malattia nonché un Servizio a cui rivolgersi per mettere in atto le procedure per una diagnosi precoce di eventuali patologie senologiche.

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ALL’INTERNO DELLA BREAST UNIT DEL POLICLINICO DI MONZA, LE DONNE POSSONO TROVARE SUPPORTO E AIUTO PER AFFRONTARE TUTTI GLI STEP DELLA MALATTIA NONCHÉ UN SERVIZIO A CUI RIVOLGERSI PER METTERE IN ATTO LE PROCEDURE PER UNA DIAGNOSI PRECOCE DI EVENTUALI PATOLOGIE SENOLOGICHE

La mammografia è la prima importante indagine a cui sottoporsi dopo i 40 anni, età questa nella quale la ghiandola mammaria subisce un’iniziale sostituzione adiposa che favorisce il contrasto, consentendo l’identificazione e la rilevazione di lesioni patologiche. Nelle donne giovani, infatti, questo esame nella maggior parte dei casi non dà indicazioni a causa della densità della ghiandola mammaria che può nascondere la presenza della malattia. L’esame che viene dunque scelto in questo casi è l’ecografia che, essendo ripetibile per l’assenza di radiazioni, evidenzia le modificazioni della struttura ghiandolare indotte da noduli clinicamente non apprezzabili o da tumefazioni palpabili che devono essere tipizzate. L’ecografia è quindi il primo esame consigliabile per sintomi in giovane età e nei casi di famigliarità della malattia tumorale. Durante l’ecografia si possono eseguire prelievi con ago sottile per l’aspirazione di cellule (citologia) oppure frustoli di tessuto (microistologia). In caso di piccole lesioni segnalate in mammografia, ma non visibili tramite ecografia, si ricorre ad un’apparecchiatura computerizzata, chiamata stereotassi, che permette il prelievo mirato di tessuto mammario. Un’ulteriore indagine senologica è la Risonanza Magnetica che, attraverso l’iniezione del mezzo di contrasto, consente lo studio della mammella nei suoi diversi piani anatomici. La RM completa le incertezze della mammografia, consente lo studio delle protesi mammarie ed è indicata nelle donne a più alto rischio oncologico.

LA BREAST UNIT NEL DETTAGLIO La Breast Unit è un’attività interdisciplinare nella quale operano specialisti "dedicati" quali: il senologo, il radiologo, l’ecografista, il medico nucleare, il chirurgo senologo, il chirurgo plastico, l’anatomo patologo, l’oncologo medico, il radioterapista, il fisioterapista e lo psicologo. Questi professionisti sono a dispo-


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L’IDO (Istituto di Oncologia del Policlinico di Monza), di cui la Breast Unit fa parte, disIL SIGNIFICATO PRINCIPALE DELLA BREAST UNIT pone di protocolli di terapia complementare È QUELLO DI OFFRIRE OGNI SUPPORTO DIAGNOSTICO scientificamente all'avanguardia: la radioteraE TERAPEUTICO SCIENTIFICAMENTE RICONOSCIUTO, pia con modalità di irradiazione sofisticata, l'anatomia patologica, con la citologia, la miIN LINEA CON INTENDIMENTI DI ALTRE STRUTTURE croistologia e gli esami intraoperatori, sono in SIMILARI, PER GARANTIRE ALLA POPOLAZIONE grado di definire, oltre all'istotipo tumorale, FEMMINILE UN UGUALE DIRITTO ALLA VITA tutti i fattori prognostici di biologia tumorale. Il servizio di riabilitazione post operatoria sizione della popolazione femminile per la completa la rieducazione dell'arto superiore diagnosi e terapia del tumore della mammel- dopo gli interventi maggiori, mentre il servila. La paziente può rivolgersi agli ambulatori zio di psicologia assiste le pazienti nella codi senologia della Breast Unit per colloqui, municazione della diagnosi ed è di sostegno visite, controlli e richieste di indagini stru- quando si rendono necessarie terapie complementali. mentari che tanto incidono sulla psiche femLe apparecchiature di diagnostica per imma- minile. gini di ultima generazione permettono esami All'interno della Breast Unit è attivo un Uffispecifici e attendibili: mammografia digitale, cio per le Relazioni con il Pubblico dove è ecografia con prelievi cito-micro istologici, possibile ricevere tutte le informazioni sui diRisonanza Magnetica, Stereotassi. ritti del malato come previsto dalla RisoluLa chirurgia propone interventi mininzione del Parlamento Europeo sul vasivi con l’identificazione del linfotumore della mammella. nodo sentinella e, nei casi demoliIl significato principale della tivi, esegue la ricostruzione imBreast Unit è quello di ofmediata con la collaborazione frire ogni supporto diaMAMMOGRAFO DIGITALE del chirurgo plastico. Inoltre gnostico e terapeutico scientificamente riconosciuto, in linea con intendimenti di altre strutture similari, per garantire alla popolazione femminile un uguale diritto alla vita.

IL SERVIZIO DI ACCOGLIENZA SENOLOGICA DELLA BREAST UNIT L'accoglienza senologica è un incontro con la struttura Sanitaria, un momento di colloquio per identificare le esigenze delle persone ed accompagnarle nel percorso richiesto. Il Servizio comprende: • colloquio di avvio della pratica sanitaria • verifica della documentazione di assistenza • supporto per le pratiche di esenzione ticket per patologia • informazione sulle visite senologiche • notizie sulla assistenza sociale • modalità per accedere ad un percorso diagnostico programmato • modalità di ricovero • presentazione di programmi promozionali di prevenzione e salute


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IL PROF. SCHIFFER SCRIVE IN DIFESA DEL SUO MAESTRO

IL PROF. VOGT E I SUOI CELEBRI STUDI SUL CERVELLO DI LENIN

I L P ROFESSOR DAVIDE SCHIFFER, DIRETTORE DEL C ENTRO DI R ICERCA DI N EURO - BIONCOLOGIA

l Centro di Neuro-Bio-Oncologia è nato come un Centro di Ricerca all’interfacies fra le Neuroscienze e l’Oncologia e chi è stato chiamato a dirigerlo proveniva dalla Neuroscienze Universitarie, anche se versato ed esperto nella patologia dei tumori cerebrali. È pertanto stato ovvio che l’attività del Centro risentisse di questa doppia natura e si estendesse ai confini delle Neuroscienze, là dove queste intersecano l’antropologia, la neuro-psicologia, la semiotica e le discipline umanistiche. L’istituzione stessa del Centro, doveva rispondere alla volontà dell’Istituzione di andare oltre l’assistenza sanitaria, ancorché di prim’ordine, per misurarsi nell’agone scientifico, e perché no, internazionale. Su una testata nazionale era apparso un articolo a firma di Elena Dusi che illustrava una recente osservazione sul cervello di Einstein e su alcune particolarità anatomiche che potevano giustificare il genio. Uno studio simile, dice la giornalista, era stato fatto negli anni trenta del secolo scorso sul cervello di Lenin da parte del prof. Oscar Vogt, sommo neurologo e neuropatologo tedesco. In entrambi i casi, si era trattato di trovare un corrispettivo anatomico al genio. L’articolo si dilungava sul mistero che aleggiò sempre sull’effettivo referto dell’esame istopatologico nel caso di Lenin, ma concludeva dicendo che il prof. Vogt pur essendo stato chiamato a Mosca dai sovietici dove aveva lavorato per due anni allo studio del cervello di Lenin, non aveva disdegnato poi di lavorare nella Germania nazista.

I

IL DIRETTORE DEL CENTRO, PROF. DAVIDE SCHIFFER, ALLA FINE DEGLI ANNI ’50 DEL SECOLO SCORSO, GIOVANISSIMO LAUREATO, AVEVA LAVORATO IN GERMANIA CON IL PROF.VOGT. E, CONOSCENDO BENE LE SUE VICISSITUDINI DI VITA, SI È SENTITO IN DOVERE DI DIFENDERE IL SUO MAESTRO E HA SCRITTO UNA LETTERA ALLA SIG.RA DUSI PER RETTIFICARE L’INFORMAZIONE CHE IL PROF. VOGT FOSSE STATO PRONO AL NAZISMO IN QUELL’EPOCA

Il Direttore del Centro, Prof. Davide Schiffer, alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, giovanissimo laureato, aveva lavorato in Germania con il Prof.Vogt. e, conoscendo bene le sue vicissitudini di vita, si è sentito in dovere di difendere il suo Maestro e ha scritto una lettera alla sig.ra Dusi e alla testata che ha publicato l'articolo per rettificare l’informazione che il prof. Vogt fosse stato prono al nazismo in quell’epoca. La lettera è stata pubblicata su Torinomedica, organo ufficiale dell’Ordine dei Medici o Odontoiatri della provincia di Torino. La lettera, per la cui riproduzione ringraziamo il Capo-redattore dr. Nicola Ferraro è stata la seguente:

ALLA REDAZIONE DI TORINOMEDICA Mi permetto di inviare a codesta Redazione un’osservazione in merito al bellissimo articolo di Elena Dusi sul cervello di Einstein. Dico bellissimo perché solleva un problema di portata gigantesca in quanto tocca l’annosa questione del rapporto mente/cervello che in ambito non scientifico è ancora discusso in termini di contrapposizione fra riduzionismo e anti-riduzionismo. Scientificamente oggi la contrapposizione non ha senso e non vi sono dubbi sull’essere quella che chiamiamo “mente” un’espressione del cervello: ne fanno fede il rapporto fra la complicatezza del cervello e lo sviluppo della “mente” nella filogenesi e le modificazioni organiche che l’apprendimento induce nel cervello. Il grande Eric Kandel ha dimostrato che mentre la memoria a breve termine induce modificazioni funzionali nel cervello, quella a lungo termine ne induce di anatomiche (modificazioni delle sinapsi). D’altronde, l’indagine anatomo-clinica degli ultimi duecento anni ha dimostrato che una lesione del cervello comporta una sintomatologia neuro-psichica. Va però rilevato che oggi un rapporto diretto fra psiche ed anatomia del cervello all’infuori della patologia non è accettato senza discussione; rilevato con la mediazione della Risonanza Magnetica, esso coinvolge il concetto di coscienza su cui il dibattito è più che mai acceso. E’ difficile accettare che siano l’anatomia o l’istologia a spiegarci la funzione psichica perché troppo grossolane e soggette a grande variabilità individuale; questo


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spiega lo scetticismo con cui sono state accolte le osservazioni di Dean Falk sulle anomalie riscontrate del cervello di Einstein, così bene illustrate da Elena Dusi. In questo rapporto tendiamo invece a privilegiare la base molecolare o ultrastrutturale. Se non che, in realtà il punto di incontro fra il biologico e la soggettività, come dice Kandel, e cioè fra l’atto neurale e l’atto mentale non è o non è ancora conosciuto. L’oggetto delle mie osservazioni tuttavia non è il cervello di Einstein, ma semmai quello di Lenin e indirettamente l’operato di Oskar Vogt che lo esaminò all’autopsia negli anni venti del secolo scorso. Discutendo la vicenda, ancora in parte misteriosa, del cervello di Lenin e il suo studio da parte del professor Vogt, Elena Dusi riferisce le conclusioni di questo studio secondo cui Lenin era un “atleta del pensiero associativo”; dice anche – e questo è il passo che ha attirato la mia attenzione – che “qualche anno più tardi Vogt non aveva disdegnato di lavorare sotto al regime nazista.” All’inizio della mia carriera di neurologo/neuropatologo sono stato allievo del prof. Vogt e ho lavorato nel suo Istituto di Neustadt/Schwarzwald. Conosco bene pertanto la storia del grande studioso del sistema nervoso, morto nel 1955 e perseguitato dal regime di Hitler. In memoria del famoso personaggio e maestro e grato per la benevolenza avuta nei miei confronti quando allora, negli anni cinquanta del secolo scorso, giovanissimo studente post-laurea della Neuropatologia tedesca, fui invitato a lavorare nel suo famoso Istituto. Non posso pertanto sottrarmi al dovere di fare alcune precisazioni circa i suoi rapporti con il nazionalsocialismo.

Oskar Vogt era molto noto al passaggio fra i secoli XIX e XX nell’alta società tedesca, all’epoca del Kaiser Guglielmo, per i suoi studi di anatomia del cervello e anche per occuparsi di ipnosi, com’era di moda in quell’epoca. Era medico di famiglia del barone Alfred Krupp di cui, si dice, abbia goduto di finanziamenti per la ricerca. Lenin morì per un ictus nel 1923 e Vogt fu chiamato a Mosca per esaminarne il cervello in quanto uno dei maggiori esponenti della neuropsichiatria tedesca e cultore di Neuroanatomia. Lenin si era ammalato per un infarto cerebrale ed erano già stati consultati famosi neurologi dell’epoca, come Nonne, Bumke, Foerster, Henschen, Strümpell. Vogt rimase alcuni anni a Mosca nel famoso Istituto per le Ricerche sul Cervello, dove condusse un esame approfondito del cervello facendone più di trentamila sezioni. La conclusione nel 1925 fu: “nel III strato corticale, specie nella parte profonda di molte aree cerebrali, ho trovato neuroni piramidali di straordinaria grandezza e numero, mai visti prima da me. Il reperto anatomico ci permette di identificare Lenin come un atleta del cervello e un gigante delle associazioni”. Questo è quanto il mondo scientifico seppe del cervello di Lenin, come risulta bene dall’articolo di Kreutzberg, Klatzo e Kleihues “Oskar and Cécile Vogt, Lenin’s brain and Bumble-Bees of the Black Forest” comparso su Brain Pathology nel 1992. Come dirà poi Spengler nel libro “Lenin Hirn” (Rowolt Verlag, Hamburg-Reinbeck, 199), Lenin era affetto da neurosifilide, ma la notizia non era trapelò per proteggere la sua immagine. Sicuramente si trattava di una demenza multiinfartuale. Il mistero sta nel fatto che nessuno conobbe mai per intero il referto di Vogt sul famoso cervello. Nel mio soggiorno presso il suo Istituto glielo chiesi direttamente, ma non mi disse altro che quello sopra riportato. Poiché tutto il materiale elaborato si trova presso l’Istituto di Ricerche sul cervello di Mosca, un suo esame retrospettivo condotto con tecniche moderne potrebbe dare una risposta più precisa. Comunque Vogt ricevette come compenso un milione di rubli che, al suo ritorno in Germania, lasciò in Unione Sovietica e di cui dopo la guerra usò gli interessi per il funzionamento del suo nuovo Istituto di Ricerche sul cervello a Neustadt, come dirò. Vogt era un uomo dalle grandi intuizioni e costruzioni teoriche sul funzionamento del cervello, di cui la Patoclisi fu l’emblema. Fin dal 1919 dirigeva a Berlin-Buch il grande Istituto Kaiser Wilhelm per le ricerche sul cervello, dove lavoravano sessanta fra assistenti e tecnici e dove Berger svilupperà per primo l’elettroencefalografia.


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Aveva forti sentimenti anti-nazisti che si acuirono quando con le leggi di Norimberga dovette licenziare scienziati ebrei di grande rinomanza come Rose e Bielschowky. Racconta Klatzo, suo allievo dopo la guerra (intervista a Klatzo :”If you had met him, you would know” su Brain Pathology, 1992), che Vogt addirittura aveva nascosto e sottratto all’arresto due ebrei; uno era editore di un famoso giornale tedesco e l’altro era un medico polacco. Questo aggravò i suoi dissapori con i nazisti e un bel giorno arrivò all’Istituto una squadra di nazi con a capo Goebbels per arrestare i due ebrei. Sulla scala di accesso all’Istituto, il grande Vogt, piccolino di statura, si oppose all’ingresso della squadraccia; vi fu un alterco verbale e si venne alle mani con la spinta di Goebbels giù per le scale. Non venne spedito a Dachau per la sua grande notorietà internazionale – aveva una trentina di lauree honoris causa. Si arrivò ad un compromesso per cui nel 1926 dovette lasciare il grande istituto berlinese per un istituto molto più piccolo, confinato nella Foresta Nera: lo Hirnforschungsintitut di Neurstadt, quello appunto frequentato da me negli anni cinquanta. La storia però non finì lì. Vogt, avviandosi verso i settant’anni, fu richiamato militare e per ritorsione e per schernirlo fu inviato ai campi di addestramento a fare i duri esercizi delle reclute. Ho visto sul suo tavolo di lavoro a Neustadt una sua fotografia in divisa da recluta tedesca, goffamente sull’attenti con il suo tipico pizzetto bianco e la bustina rigida in testa, alla Marmittone. Dopo tre mesi fu rimandato a casa. Fedele compagna fu la moglie, Cècile Vogt, di Annecy che aveva conosciuto a Parigi durante un soggiorno presso i laboratori di Lhermitte, il grande neuropatologo francese. La Cècile partecipò alle ricerche di Vogt e anzi ne fu la

guida logica, lasciando a lui spaziare nei cieli delle teorie e delle ipotesi. A suo nome va la descrizione dello status marmoratus e dismielinisatus che i neurologi di tutto il mondo conoscono molto bene. La grande teoria di Vogt fu la “Patoclisi” che vedeva il cervello caratterizzato da una sensibilità e vulnerabilità differenziata nelle sue varie aree, cosicché le stesse cause patogene potevano avere effetti diversi agendo su aree diverse. Questo concetto non fu accettato da tutti e uno dei maggiori critici fu Spielmeyer che sosteneva la base vascolare di molte malattie, ma trionfò negli anni cinquanta e sessanta. Oggi non è più nel vocabolario neuroscientifico, ma potrebbe tuttavia ancora trovare conferme nelle moderne vedute su neurotrasmettitori, recettori, aminoacidi eccitatori etc. Un ultimo aneddoto. Quando arrivai all’Istituto di Neustadt, invitato dallo stesso Vogt a lavorare con lui, Vogt aveva 84 anni e Cécile 77. Durante il mio colloquio all’ingresso nell’Istituto, Vogt mi chiese a bruciapelo di che religione fossi. Mi rifiutai di rispondere e – non conoscendolo ancora – pensai che si ricominciasse tutto daccapo. Mi disse che era per l’otto per mille che le tasse riservavano alle religioni e mi raccontò la sua lunga storia. Il giorno in cui lasciai Neustadt per rientrare in Italia, la Cécile, che aveva per me una predilezione in quanto piemontese e quindi affine ai savoiardi, mi disse: “retournez; on vous attendrai.” Vogt lavorò senza dubbio durante il regime nazista; anzi il regime si instaurò in Germania proprio mentre lui dirigeva già il Kaiser Wilhelm Institut. Con l’avvento delle leggi razziali molti professori ebrei fuggirono, ma quelli non ebrei rimasero a casa loro e molti di loro collaborarono con il regime e si resero responsabili di barbarie ai danni degli ebrei e altri disgraziati. Vogt pagò un prezzo per poter continuare a lavorare e subì un grosso ridimensionamento delle sue potenzialità. Non morì a Dachau, come gli oppositori Saller, Kleist, Bonhoeffer e altri solo perché i nazisti non azzardarono colpire un uomo che tutto il mondo onorava. Del resto lo tennero in vita per dimostrare la loro umanità e rispetto per la cultura, così come avevano tenuto in vita fino alla fine della guerra l’ospedale ebraico di Berlino, da mostrare ai funzionari della Croce Rossa internazionale, nel più puro spirito teutone, come dice Primo Levi, il cui emblema fu l’ “Arbeit macht frei.” all’ingresso ad Auschwitz. Grazie ancora ad Elena Dusi per aver sollevato e discusso un problema così interessante e aperto che mi dà l’occasione per ripagare i Vogt per la loro benevolenza. I miei migliori sentimenti


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