Primo Piano sull'Economia

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Maria Catia Sampaolesi

Elementi di storia dell’economia dall’antichità al medioevo


INDICE INTRODUZIONE 1. L’economia di caccia e raccolta .......................................................

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2. La domesticazione dei vegetali e degli animali ............................

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3. La rivoluzione agricola ....................................................................... 10 4. Le attività economiche dei popoli delle civiltà idrauliche ............ 14 4.1 Agricoltura e allevamento ................................................................... 14 4.2 Artigianato e commercio .................................................................... 17 5. Grano, riso e mais: piante di civiltà ................................................. 20 6. La pastorizia nomade ........................................................................ 24 7. Economia naturale, economia monetaria, economia creditizia ... 28 8. Colonie e colonizzazioni nel Mediterraneo ................................... 32 9. L’economia schiavile presso i popoli dell’antichità ....................... 36 10. Economia e paesaggio agrario dall’Impero romano al Sacro romano Impero ..................................................... 10.1 Villa romana .................................................................................... 10.2 Curtis .............................................................................................. 10.3 Abbazia ...........................................................................................

40 40 44 48

11. Il sistema degli scambi tra Occidente e Oriente ........................... 52 12. Economia e paesaggio agrario al tempo dell’incastellamento ............................................................................ 58 GLOSSARIO ................................................................................................ 62


INTRODUZIONE Premessa Il termine economia, di cui faremo grande uso in questo sussidio didattico, deriva dal greco e più precisamente nasce dalla fusione delle parole: oi[ko~ “casa” o “beni di famiglia” e novmo~ “norma” o “legge”. Esso può indicare sia la tendenza dell’uomo a soddisfare al meglio bisogni individuali e collettivi usando le risorse a disposizione e contenendo la spesa, sia il sistema delle attività umane destinate alla produzione, distribuzione, scambio e consumo di beni e servizi. Operando una sintesi delle due definizioni, potremo allora asserire che l’economia nasce dall’azione congiunta degli uomini, finalizzata al soddisfacimento di bisogni mediante l’uso di risorse e la produzione di beni e servizi, destinati a essere distribuiti, scambiati, consumati.

Obiettivi del fascicolo Con le schede di questa pubblicazione, incentrate sulla storia economica, ci interessa quindi mettere a fuoco come nel corso di quel lungo periodo della protostoria e storia umana che va da 2 500 000 anni fa (primi Homo) all’anno 1000 d.C. circa (spartiacque tra Alto e Basso Medioevo) gli uomini abbiano di volta in volta intrattenuto con l’ambiente circostante, e le risorse da esso messe a disposizione, un certo tipo di rapporto, che li ha portati a soddisfare (o cercare di soddisfare) i loro bisogni individuali e collettivi. Evidenzieremo le difficoltà incontrate, i successi ottenuti e soprattutto le trasformazioni che si sono verificate nel modo di produrre e di vivere, ma anche di organizzare l’ambiente, la comunità o società, lo stato, di relazionarsi con altri gruppi umani e popoli, nonché di comunicare ed esprimere sentimenti, idee, valori. La finalità sottesa è quella di fornire agli alunni, in tal modo, strumenti utili per capire la complessità del presente e i mutamenti che ne sono all’origine.

Organizzazione delle schede Le schede, dal taglio ora prevalentemente descrittivo/espositivo ora argomentativo, consentono agli studenti di familiarizzare con alcune fondamentali concettualizzazioni della storia economica e di collocare gli eventi e i processi di cui si parla nei rispettivi quadri cronologici. Esse offrono anche l’opportunità di problematizzare gli argomenti affrontati e di confrontarsi con le ipotesi e il punto di vista degli autori citati. Ogni scheda, pur essendo flessibile, segue una struttura di fondo: • Una breve introduzione che presenta l’argomento di cui si tratterà e ne enuncia alcune problematiche. • Una parte informativa che fornisce contenuti sull’argomento in questione, ma anche ipotesi storiografiche, suggerimenti per l’attualizzazione, suggestioni mitologico/letterarie. La trattazione riguarda essenzialmente i periodi studiati nel biennio (antichità e alto medioevo), ma in alcune schede si è voluto dare uno sguardo d’insieme all’evoluzione successiva della tematica. • Un breve apparato didattico che intende sollecitare la rielaborazione dei temi proposti, l’operatività (mediante costruzione di linee del tempo, mappe, schemi ecc.), la ricerca individuale e di gruppo, la riflessione in classe e con l’insegnante specie sulle questioni legate al presente. • Alcune indicazioni bibliografiche finali, indirizzate al docente, come sussidio per l’approfondimento personale e fonte di documentazione da cui trarre ulteriori spunti di lavoro e materiali didattici per la classe.


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Primo piano sull’economia

1. L’ECONOMIA DI CACCIA E DI RACCOLTA 2,5 MILIONI DI ANNI FA

50 000 ANNI FA

8000 ANNI FA

Inizia il Paleolitico Compaiono i primi ominidi

Paleolitico inferiore

Si sviluppano agricoltura e allevamento

Paleolitico medio

Paleolitico superiore

100 000 ANNI FA

12 000 ANNI FA

Compare l’Uomo di Neanderthal

Finisce il Paleolitico e inizia il Mesolitico

Un’attività economica antica e di lunga durata… Immagina di dover costruire una linea del tempo, utilizzando carta millimetrata o fogli protocollo a quadretti, in cui inserire le date più importanti legate alle tappe della storia economica dell’umanità, partendo dall’oggi e andando a ritroso nel tempo. Scegliendo come unità di misura un centimetro o un quadretto = 100 anni, andrai indietro di soli 3 centimetri o quadretti per segnare l’inizio della rivoluzione industriale (XVIII secolo), di 100 centimetri – 100 quadretti ossia un foglio protocollo – per raggiungere il periodo di avvio della rivoluzione agricola (8000 circa a.C.), di 25 000 cm – 250 fogli protocollo – per annotare la data presumibile di 2 milioni e mezzo di anni fa quando i primi esemplari di Homo, in Africa, vivevano di caccia e raccolta. Ti sarai quindi reso conto, attraverso questo semplice esercizio, che caccia e raccolta hanno rappresentato l’attività economica più antica e di lunga durata

mesolitico

dell’umanità, un’attività che non è scomparsa con l’inizio della rivoluzione agricola e poi di quella industriale: ancora oggi, infatti, nelle aree più inospitali della Terra, vivono gruppi umani che non conoscono l’agricoltura e l’allevamento, non dispongono di scrittura. L’osservazione del loro modo di vivere, unita all’analisi dei reperti fossili trovati nel corso del tempo, ha consentito agli archeologi e antropologi di capire quale doveva essere l’organizzazione dei nostri antenati 2 milioni e mezzo di anni fa, nell’Africa sud-orientale, loro area di stanziamento, e in quelle di migrazione e successivo popolamento.

… basata sull’adattamento all’ambiente Le età del Paleolitico inferiore (2,5 milioni-100 000 anni fa circa), medio (100 000-50 000 anni fa circa) e superiore (50 000-12 000 anni fa circa) e parte del Mesolitico (12 000-8000 anni fa circa) sono caratterizzate dall’economia di caccia e di raccolta; attraverso tale attività l’uomo si nutre, sopravvive, si


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HOMO HABILIS

HOMO ERECTUS

HOMO SAPIENS (DI NEANDERTHAL)

HOMO SAPIENS SAPIENS

450 cm2

800 cm2

1200 cm2

1500 cm2

1800 cm2

SCATOLA CRANICA

AUSTRALOPITECO

riproduce, evolve. Alcuni studiosi hanno coniato il termine di nicchia ecologica per caratterizzare la capacità dei nostri più antichi antenati di adattarsi all’ambiente circostante senza modificarlo.

Evoluzione delle tecniche di caccia e raccolta Nel periodo del Paleolitico inferiore, così come in quelli successivi, l’alimentazione è sicuramente basata sulla raccolta di tutto ciò che la terra produce spontaneamente: frutti, radici, tuberi, noci, bacche, germogli, ma il ritrovamento di alcune armi da getto in legno convalida l’ipotesi che esistano già forme primitive di caccia di piccoli mammiferi e che l’Homo si cibi delle carogne di animali vittime dei predatori. Il processo evolutivo dell’organismo umano – dentatura corta con molari adatti a frantumare e tubo digerente con stomaco semplice e intestino di lunghezza media – è tale da consentire un regime alimentare legato sia al mondo vegetale che animale.

Nel Paleolitico medio l’attività predatoria si intensifica come mostrano i vari resti di cacciagione trovati nei luoghi di stanziamento: elefanti, mammut, rinoceronti, orsi, leoni, iene, ma anche cervi, daini, alci, renne, gazzelle, lupi, volpi, uccelli. Le armi utilizzate devono essere varie: giavellotti, clave, lance con punte di selce, forse anche l’arco e trappole naturali. Il Paleolitico superiore fornisce abbondanti resti di oggetti d’osso e di punte di selce che sembrano costituire parti di armi da caccia. Risalgono a questo periodo l’arco, le frecce e i primi rudimentali propulsori per lanciare giavellotti e arpioni. Questi ultimi, lavorati con una o due file di denti, vengono utilizzati anche per la pesca, un’attività impegnativa e specializzata, che compare più tardi rispetto alla caccia. Sempre a proposito di quest’ultima, probabilmente vengono usate trappole per la selvaggina minuta e lacci per catturare gli uccelli. Oltre ai vegetali, si raccolgono uova e lumache. Nelle tundre dell’era Antico strumento preistorico risalente a 400 000 anni fa.

Pietra lavorata e scheggiata in modo da ottenere un’arma tagliente. Punte di pietra usate per pescare.


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glaciale ci si nutre anche del contenuto semidigerito dello stomaco della renna, particolarmente ricco di vitamine. Nel Mesolitico, età di transizione dal Paleolitico al Neolitico, le variazioni climatiche, che portano all’esodo della selvaggina di dimensioni più grandi, orientano la caccia verso gli animali del bosco. La pesca si perfeziona: l’arpione viene sostituito dal giavellotto acquatico, compaiono ami, reti, nasse; si raccolgono molluschi. Il ritrovamento di falci prelude all’inizio della coltivazione di cereali selvatici o di grano, tipica dell’età neolitica.

Divisione dei ruoli, alimentazione, qualità della vita L’economia di caccia e di raccolta si basa su una divisione dei ruoli all’interno dei primi gruppi umani, organizzati in piccole tribù o comunità di 25-50 persone: le donne e i bambini si occupano della raccolta dei vegetali, gli uomini della caccia che praticano in gruppo, sia per i legami sociali con la tribù di appartenenza, sia per affrontare con maggiore sicurezza un’impresa spesso rischiosa. La carne viene mangiata cruda o, dopo la scoperta del fuoco, arrostita. Nel Paleolitico superiore probabilmente l’uomo è in grado di schiacciare i semi dei cereali selvatici e di ricavarne una poltiglia che viene cotta nella cenere calda o su pietre arroventate. Il cibo è considerato proprietà non individuale, ma di Ricostruzione di una scena di caccia.

tutto il gruppo; viene consumato e non conservato perché si sa che una certa quantità è sempre a disposizione. La ricerca degli alimenti nel territorio circostante (raramente gli spostamenti superano i 10 chilometri) occupa solo una piccola parte della giornata e della settimana; il resto del tempo può così essere destinato allo svago, alle relazioni sociali, alle cerimonie. In generale la qualità della vita dei cacciatori-raccoglitori è discreta, l’alimentazione adeguata grazie alla conoscenza dell’ambiente circostante e delle risorse disponibili, le esigenze modeste; l’equilibrio nel rapporto popolazione-risorse viene comunque mantenuto da forme di controllo demografico come l’infanticidio. È presente anche la pratica del cannibalismo. 1 Il primo paragrafo si sofferma sulle tre principali tappe della storia economica dell’umanità. Trascrivile secondo l’ordine cronologico. 2 Perché possiamo affermare che la caccia e

la raccolta rappresentano una permanenza nella storia economica dell’umanità? Quali esempi puoi portare a sostegno di questa tesi? 3 Come viene definita la qualità della vita

dei cacciatori-raccoglitori preistorici?

Cacciatori-raccoglitori dei nostri tempi Boscimani, pigmei, aborigeni australiani, indigeni dell’America del sud, sono alcuni tra i più noti gruppi umani che, come gli antichi antenati del Paleolitico, vivono ancora oggi di caccia e raccolta in habitat particolari dei diversi continenti. Consideriamo brevemente i primi due. I boscimani sono stanziati nell’Africa australe, nel deserto del Kalahari, e vivono in gruppi di 30-40 persone. Gli uomini si dedicano alla caccia che praticano muniti di archi con frecce avvelenate o di clave e lance. Le donne e i bambini si occupano della raccolta di acqua e di vegetali, ma anche di serpenti, tartarughe, miele, uova di uccelli, piccoli roditori. Il cibo raccolto e cacciato viene consumato subito (la carne è leggermente scottata al fuoco) e non conservato. Mai si caccia o si raccoglie più del necessario e nulla viene sprecato di quanto procurato per il sostentamento, nel rispetto dell’ambiente.


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I pigmei dell’Uganda si esibiscono in una danza etnica.

Analoga a quella dei boscimani è la vita dei pigmei che popolano le foreste equatoriali africane. Essi traggono tutto ciò che serve al loro sostentamento dalla foresta. La caccia, riservata agli uomini, è condotta individualmente o collettivamente con archi e frecce imbevute di veleno, lance, reti, cani addestrati. Alle donne e ai bambini, che collaborano alla caccia comunitaria con il compito di spingere gli animali verso le reti, è affidata soprattutto la raccolta dei prodotti della foresta: funghi, erbe, radici, miele, piccoli animali, insetti. Come i boscimani, i pigmei consumano giornalmente ciò che procurano per il sostentamento, senza conservare eccedenze, per scelta culturale e perché non praticano il commercio. 4 Effettua una ricerca su un altro gruppo di

odierni cacciatori-raccoglitori (puoi occuparti degli aborigeni australiani, degli indigeni delle foreste tropicali del Sudamerica o di altri) ed elabora dei confronti tra di essi facendo riferimento alla loro organizzazione economica. 5 Che ne pensi delle scelte economiche de-

Un cacciatore boscimano.

gli attuali cacciatori-raccoglitori e del rapporto con l’ambiente da essi instaurato? Danza rituale dei boscimani, nel deserto del Kalahari.

Bibliografia G. Brioni, M.T. Rabitti, Il popolamento della terra. Dal mondo vuoto al mondo pieno, Faenza, Polaris, 1997. A. Broglio, L’età dei cacciatori e dei raccoglitori, Milano, Jaca Bok, 1992. F. Martini, Archeologia del Paleolitico. Storia e culture dei popoli cacciatoriraccoglitori, Roma, Carocci, 2008. A. Rust, “L’uomo primitivo” in Preistoria. Prime civiltà superiori, vol I, I propilei. Grande storia Universale Mondadori, Milano, 1973.


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2. LA DOMESTICAZIONE DEI VEGETALI E DEGLI ANIMALI Perché sono stati domesticati i vegetali e gli animali? «Se è vero che un tempo tutti gli uomini sulla terra erano cacciatori-raccoglitori, perché a un certo punto qualcuno si è messo a coltivare la terra? E se c’è una ragione per tutto ciò, perché nella Mezzaluna Fertile è successo attorno all’8500 a.C., solo 3000 anni dopo in un’area dal clima e dall’ecosistema simile come il Mediterraneo occidentale e mai in altre zone dal clima mediterraneo, come la California, l’Australia del sudovest e la punta meridionale dell’Africa? E ancora: perché anche i pionieri del Vicino Oriente hanno aspettato tanto? Non potevano accorgersene nel 18 500 o nel 28 500 a.C.?» J. Diamond, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Torino, Einaudi, 1998, pag. 77.

A queste domande, poste dal biologo e fisiologo statunitense Jared Diamond, sono state date varie risposte da parte di archeologi e antropologi. Tutti sembrano comunque d’accordo nell’individuare alcuni fattori principali (ai quali però ogni studioso dà un peso diverso) all’origine della domesticazione, di quel processo cioè che, trasformando i vegetali in coltivazioni e gli animali in bestiame, ha dato origine nel tempo all’agricoltura e all’allevamento: • i cambiamenti climatici e geografici, che hanno determinato l’estinzione di molte specie animali, riserva di cibo dei cacciatori, e la maggiore disponibilità di cereali selvatici; La raffigurazione di un aratro trainato da cavalli.

• i progressi tecnologici legati alla vita agricola, che hanno portato all’invenzione di falci, cesti, mortai, pestelli e mole, usati inizialmente per raccogliere, trasportare e macinare i cereali selvatici e poi quelli coltivati; • la crescita della densità della popolazione considerata in rapporto di causa/effetto (reciproco) con l’aumento della produzione di cibo; • la vicinanza delle aree di stanzialità di popoli cacciatori-raccoglitori e agricoltori: i primi, meno numerosi dei secondi, sono stati da questi scacciati o hanno dovuto adottarne il modo di vivere.

Una questione ancora aperta La principale questione, invece, rimasta aperta e dibattuta dagli studiosi, è se la produzione di cibo sia stata, all’origine, una scelta culturale legata a favorevoli caratteristiche ambientali (presenza di acqua, graminacee e animali da catturare e poi domesticare) o un’evoluzione frutto di scelte spesso inconsce. Per Jared Diamond, sostenitore della seconda tesi, quello della domesticazione di vegetali e animali è stato un processo graduale e di lunga durata, inizialmente inconsapevole, coesistente nei primi tempi con la caccia e la raccolta di cibo. Esso ha interessato anzitutto il continente eurasiatico perché più vasto e tale da favorire lo sviluppo di molte specie animali e vegetali; queste ultime, successivamente, si sono diffuse con maggiore facilità alla stessa latitudine (dove le località hanno giorni della stessa durata e medesime variazioni stagionali) secondo l’orientamento estovest del continente e il percorso dei grandi flussi migratori. In America e Africa, invece, la diffusione della produzione di cibo, verificatasi secondo l’asse sud-nord, è avvenuta in modo più lento. 1 Esplicita con parole tue o con degli esempi

il significato del termine “domesticazione”. 2 Rappresenta con uno schema o una map-

Un falcetto.

pa i principali fattori all’origine della domesticazione dei vegetali e degli animali. 3 Qual è la tesi sostenuta da Jared Diamond riguardo all’origine e alla diffusione della coltivazione e dell’allevamento?


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I tempi e le aree di diffusione delle prime specie domesticate Il processo della domesticazione può essere studiato analizzando la distribuzione e la diffusione delle specie nei vari continenti e ricorrendo alla datazione dei resti di animali e piante trovati dagli archeologi nei siti di insediamento umano, resa possibile dalle tecniche del radiocarbonio e della spettrometria di massa. La zona del Vicino Oriente – la cosiddetta Mezzaluna fertile – sembra aver conosciuto per prima, fin dall’8500 a.C., la domesticazione di cereali e legumi, come grano, orzo, piselli, e di erbivori come pecore e capre. Quest’area si è imposta sulle altre probabilmente perché la sua estensione, il clima mediterraneo, le forti escursioni stagionali, la ricchezza di ambienti hanno favorito l’evoluzione di un gran numero di specie vegetali e animali in grado di soddisfare, più della caccia e della raccolta, tutte le necessità di base dell’uomo. Verso il 7500 a.C., tra le altre specie domesticate ricordiamo: riso, miglio, maiale e baco da seta in Cina; circa tremila anni dopo mais, fagiolo, zucca e tacchino in Mesoamerica; patata, manioca, lama in Ande e Amazzonia; verso il 2500 a.C. girasole e chenopodio negli Stati Uniti orientali. Nelle aree sopra indicate la domesticazione è stata spontanea, mentre per altre viene ipotizzato che il processo sia avvenuto grazie all’arrivo di specie fondatrici o di invasori umani.

Come si sono verificate le domesticazioni? Come possano essersi verificate le prime domesticazioni è oggetto di una pluralità di tesi. Un’ipotesi attri-

DIFFUSIONE DI AGRICOLTURA E ALLEVAMENTO grano saraceno oceano Atlantico

oceano Pacifico

patata (3200 a.C.) mais (4000 a.C.) cacao, manioca

igname fagioli cotone patata

miglio

igname, miglio, riso, sorgo (3000 a.C.)

Cane Capra Bue

sorgo

riso, miglio (6900 a.C.) oceano Indiano

Maiale Pecora Asino

Aree in cui l’agricoltura si sviluppò spontaneamente Aree in cui l’agricoltura fu portata dall’esterno

4 Costruisci un grafico temporale (o una map-

pa spazio-temporale) relativo alla diffusione delle prime specie vegetali e animali domesticate. 5 Indica in sintesi come, secondo gli studio-

grano, orzo (8000 a.C.) lenticchie (6900 a.C.) ulivo (6900 a.C.) vite (7000 a.C.) riso,

fagioli

buisce alle donne del Kurdistan e delle colline dell’Iraq settentrionale il merito di aver iniziato a raccogliere e poi a coltivare i semi selvatici di grano e orzo, mentre i loro uomini cacciavano pecore e capre sulle vicine montagne; ciò spiegherebbe la comparsa contemporanea di queste specie vegetali e animali. La trasformazione delle prime piante selvatiche in coltivate può essere avvenuta attraverso una selezione naturale (le piante con i frutti più rossi e maturi diventavano preda degli animali che trasportavano e depositavano in altri luoghi, con le feci, i loro semi) o non del tutto consapevole, attuata dai primi contadini che portavano a casa solamente le specie più grandi e succose e iniziavano quindi a coltivarle. Può essersi anche verificata una sorta di autoselezione dei vegetali in relazione alle condizioni climatiche, che ha determinato a lungo andare modificazioni genetiche nelle piante. Per quanto riguarda gli animali, la loro domesticazione è avvenuta con più difficoltà rispetto a quella dei vegetali e ha riguardato un numero di specie più limitato per molteplici motivi: le abitudini alimentari (che facevano preferire l’allevamento degli erbivori a quello dei carnivori), il tasso di crescita (gli animali domestici dovevano crescere in fretta), la riproduzione in cattività (che non era possibile per tutti gli esemplari della fauna), il cattivo carattere (specie di alcuni grandi mammiferi), la tendenza al panico e il nervosismo di determinate specie (se poste in cattività), la asocialità di alcuni animali (che vivevano solitari, non si sottomettevano ed erano rigidamente legati a un territorio).

igname (2000 a.C.), riso

si, sono avvenute le prime domesticazioni e quali effetti esse hanno determinato nel corso del tempo sulla evoluzione delle specie.

Bibliografia R. Cameron-L. Neal, Storia economica del mondo. Vol. 1 Dalla Preistoria al XVII secolo, Bologna, Il Mulino, 2002. J. Diamond, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Torino, Einaudi, 1998. J. Guillaine, Le radici del Mediterraneo e dell’Europa, Milano, Jaca Book, 2010.


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3. LA RIVOLUZIONE AGRICOLA Una “rivoluzione” graduale, ma apportatrice di grandi trasformazioni

mar Caspio mar Nero Anatolia

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Çatal Hüyük

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on ti Za Mesopotamia gr Euf os rate Akkad Ebla i

Babilonia

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Consultando un vocabolario della lingua italiana alla voce “rivoluzione” troverai anzitutto una definizione di questo tipo, applicabile all’ambito politico: «violento, profondo rivolgimento dell’ordine politico-sociale costituito, tendente a mutare radicalmente governi, istituzioni, rapporti economico-sociali e sim». Tra i vari e altri significati, in senso esteso e figurato, potrai leggere anche «rapida e radicale trasformazione economicosociale, dovuta all’applicazione sistematica e su scala sempre più vasta di nuove scoperte scientifiche e tecnologiche». È a quest’ultima definizione che dobbiamo fare riferimento, pur con qualche precisazione, per capire le grandi trasformazioni introdotte dalla rivoluzione agricola 10 000 anni fa circa, trasformazioni che si sono manifestate in modo non rapido, ma assai lento e graduale, tanto che gli uomini che le hanno vissute forse non si sono resi neppure conto dei mutamenti in corso. La caccia, infatti, per lungo tempo ha continuato a essere praticata e a risultare complementare all’agricoltura, per poi divenire, assieme alla raccolta, sempre più marginale.

LA MEZZALUNA FERTILE

Nella scheda precedente abbiamo evidenziato come la domesticazione di animali e piante, e le innovazioni tecnologiche che a essa si sono accompagnate, abbiano consentito il lento passaggio dall’economia di predazione a quella di produzione. Tale processo è avvenuto anzitutto nelle aree del Vicino Oriente (Mezzaluna fertile), successivamente si è diffuso verso ovest ed est interessando l’Africa, l’Europa e altre zone dell’Asia orientale; per l’America sembra invece ipotizzabile che l’agricoltura sia stata una scoperta indigena. Se è vero che la produzione di cibo è un processo che è venuto manifestandosi con gradualità, gli esiti cui ha condotto hanno creato un profonda frattura con il passato e modificato radicalmente il modo di vivere degli uomini, consentendo loro nel corso di pochi millenni di abbandonare la protostoria e di entrare nella vera e propria storia.

La sedentarizzazione dell’età neolitica, il villaggio e la protocittà

Animali rappresentati in una incisione rupestre.

I primi gruppi di agricoltori, non più costretti, come i cacciatori e raccoglitori, a spostarsi sul territorio alla ricerca di cibo, tendono a sedentarizzarsi nelle zone favorevoli alla crescita dei cereali selvatici. Tuttavia la rudimentale tecnica di coltivazione del “taglia e brucia”, consentendo una limitata fertilità naturale del terreno, li spinge, periodicamente, a ricercare nuove terre spostandosi verso ovest o est. Si originano così i

r s ico


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grandi flussi migratori dell’età neolitica che esportano le tecniche agricole verso altre zone e continenti e aumentano la superficie delle terre messe a coltura, relegando i cacciatori e raccoglitori in aree sempre più marginali. Quando invece l’insediamento umano si orienta verso alcuni grandi bacini fluviali, come quelli del Nilo, del Tigri e dell’Eufrate, ove l’agricoltura diventa irrigua grazie all’apporto idrico dei fiumi che con le loro piene depositano, periodicamente, il fertile limo, la sedentarizzazione diviene di lunga durata e vengono costruiti quei villaggi che col tempo si organizzeranno e specializzeranno sempre più dando vita agli agglomerati urbani delle civiltà idrauliche. I primi villaggi neolitici sono di dimensioni ridotte e ospitano un numero di persone che oscilla dalle 50 alle 300 circa, organizzate in gruppi familiari. Le condizioni di vita sembrano migliorate, seppur lievemente, rispetto al periodo della caccia e della raccolta per la presenza di eccedenze di cibo e l’uso di abitazioni meno precarie; tuttavia la crescita della popolazione, le possibili calamità naturali, le malattie infettive e parassitarie relegano i contadini in una condizione spesso ai limiti della sussistenza. Ricostruzione del villaggio di Çatal Hüyük.

Applicazione della tecnica di coltivazione del taglia e brucia.

Recenti scoperte archeologiche hanno portato alla luce resti di protocittà contemporanee ai più antichi villaggi neolitici, che documentano un’organizzazione economica più complessa di quanto si sia potuto finora ipotizzare (in relazione al periodo considerato), legata ad attività non solo agricole, ma presumibilmente anche artigianali e commerciali.


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Primo piano sull’economia quanto riguarda la seconda è difficile ipotizzare che con l’agricoltura sia peggiorato il livello di nutrizione, vista la disponibilità di eccedenze e la possibilità di integrare l’alimentazione con la caccia e la raccolta; viceversa egli ritiene più fondate le ipotesi relative alla crescita delle malattie infettive parassitarie e della fecondità nel passaggio alla vita sedentaria.

Le conseguenze della rivoluzione agricola

Il bacino fluviale del Nilo.

Rivoluzione agricola e incremento demografico: teorie a confronto L’età neolitica è caratterizzata, rispetto alla paleolitica, da un consistente incremento demografico al quale gli studiosi hanno dato spiegazioni diverse. Una teoria classica sostiene che l’aumento della popolazione sia stato conseguenza del miglioramento dell’alimentazione, garantito dalla sedentarizzazione e dal sistema agricolo: avendo essi offerto una costante disponibilità di cibo, sarebbe diminuito il tasso di mortalità. Un’altra teoria, più recente e opposta alla prima, evidenzia piuttosto come nell’età neolitica sia diminuita la qualità dell’alimentazione, divenuta meno varia e completa rispetto al passato per la predominanza di cereali, e siano insorte malattie infettive e parassitarie legate alla maggiore densità abitativa e al contatto con gli animali domestici. La mortalità quindi sarebbe aumentata, senza però influire negativamente sull’aumento di popolazione dovuto alla crescita della fecondità. Infatti, mentre presso i cacciatori e raccoglitori l’intervallo tra i parti era lungo (44 mesi) per evitare che negli spostamenti alla ricerca di cibo la donna dovesse trasportare più piccoli non autonomi, presso i coltivatori esso è più breve (36 mesi) e i figli sono considerati una risorsa per l’aiuto prestato alla famiglia nei lavori dei campi e nell’allevamento del bestiame. Per il demografo Massimo Livi Bacci le prove a sostegno delle due teorie non sono ancora sicure e per

Con la nascita di villaggi e protocittà nei bacini fluviali, si sviluppa nel tempo un’organizzazione comunitaria volta anzitutto ad affrontare le necessità economiche: per coltivare e produrre occorre canalizzare le acque dei fiumi, drenare i terreni, costruire dighe, impiegando una manodopera sempre più numerosa che ha bisogno di essere disciplinata e diretta. L’accumulo di eccedenze agricole, dovuto alla fertilità delle aree coltivate, consente d’altro canto di liberare alcuni gruppi sociali dalla necessità di produrre il cibo, destinandoli ad attività di controllo, direzione, supervisione, cui sono preposti sacerdoti, guerrieri, governanti. Il surplus alimentare diversifica anche le attività produttive: gli artigiani si specializzano nella lavorazione dei metalli, nella fabbricazione di tessuti e vasellame; si moltiplicano gli scambi commerciali interni ed

Applicazione delle tecniche idrauliche all’agricoltura per trasportare acqua creando dighe e canali di irrigazione.


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L’area archeologica di Gerico, situata nelle vicinanze della città moderna.

esterni; nascono nuove professioni come quelle degli architetti, ingegneri, medici. Anche l’invenzione della scrittura, scaturita dalla necessità economica di registrare i tributi riscossi dai sacerdoti, diviene patrimonio di una precisa classe sociale, quella degli scribi. Le conoscenze si ampliano: viene inventata la matematica e una rudimentale forma di scienza, nascono i primi documenti letterari. La riscossione di tasse fornisce le risorse per la costruzione di edifici pubblici e templi, per la realizzazione di opere d’arte. La manodopera necessaria per i grandi lavori pubblici è garantita dai contadini nei periodi di sosta concessi dal lavoro stagionale, durante i quali si muove anche guerra ai nemici. La società complessa prodotta dalla rivoluzione agricola si diversifica quindi nettamente da quella dell’economia di caccia e raccolta, che aveva caratteri semplici e sostanzialmente egualitari. Ora l’articolazione in classi dotate di diverso prestigio e peso politico determina un’organizzazione gerarchica della società; tale processo di differenziazione sulla base dell’attività economica va di pari passo con la trasformazione dei villaggi in città, l’assunzione di potere da parte dei re, garanti dell’equilibrio e della stabilità del sistema che si è venuto costituendo, la codifica delle prime leggi scritte, l’inizio delle guerre di espansione.

1 Spiega l’espressione “rivoluzione agricola”, soffermandoti soprattutto sul sostantivo “rivoluzione”. 2 In che cosa si differenzia la protocittà dal

villaggio neolitico? 3 Con quali argomenti vengono sostenute

le due teorie, classica e recente, sull’aumento della popolazione in età neolitica? Come si pone il demografo Massimo Livi Bacci rispetto a esse? 4 Costruisci uno schema o mappa concettua-

le che evidenzi il passaggio dalla società semplice ed egualitaria dei cacciatori/raccoglitori a quella gerarchica e complessa prodotta dalla rivoluzione agricola. Bibliografia F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Bompiani, 1999. R. Cameron-L. Neal, Storia economica del mondo. Vol. 1 Dalla Preistoria al XVII secolo, Bologna, Il Mulino, 2002. C.M. Cipolla, Uomini, tecniche, economie, Milano, Feltrinelli, 2005. M. Livi Bacci, Storia minima della popolazione del mondo, Bologna, Il Mulino, 2002.


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Primo piano sull’economia

4. LE ATTIVITÀ ECONOMICHE DEI POPOLI DELLE CIVILTÀ IDRAULICHE 4.1 AGRICOLTURA E ALLEVAMENTO

tenzione organizzata dall’alto. In periodi di disordine politico ciò avverrà trasformando la valle in un territorio stepposo o desertico. I sumeri costruiscono in quest’area, a partire dal IV millennio, una serie di grandi città all’interno delle quali il tempio riveste un ruolo di fondamentale importanza in ambito religioso e soprattutto economico. Sono i sacerdoti infatti a ripartire le terre, considerate proprietà degli dei, tra i contadini perché siano coltivate, a riscuotere i tributi da essi versati sotto forma di derrate agricole, a immagazzinare nel tempio e redistribuire il raccolto, ad assegnare agli agricoltori e agli schiavi altri lavori di pubblica utilità come la costruzione di edifici e la manutenzione dei canali. La maggior parte delle terre è destinata alla coltivazione dei cereali: frumento o emmer, ma soprattutto orzo, usato per l’alimentazione di uomini e animali e per la produzione di birra, nonché sorgo e segale. Diffusi sono gli alberi da frutto, le colture orticole, la palma da dattero. Si allevano bovini, utilizzati nel lavoro agricolo, suini, asini e cavalli. L’aratro-seminatore, dotato di tramoggia e trainato da 4 o 6 buoi, ara e contemporaneamente rovescia i semi nel solco con-

A partire dal IV millennio presso i bacini dei grandi fiumi afroasiatici (Nilo, Tigri ed Eufrate, Indo, Fiume Azzurro e Giallo) si sviluppano le prime civiltà urbane, che gli storici definiscono “idrauliche” per il rapporto privilegiato che esse instaurano con le acque e i lavori necessari a regolarne il flusso e la distribuzione. Per i popoli che abitano queste terre, agricoltura e allevamento costituiscono le attività economiche primarie; grazie al surplus ottenuto da esse, nascono società complesse, basate sulla divisione del lavoro e organizzate in modo gerarchico e centralizzato.

Agricoltura e allevamento presso i popoli della Mesopotamia… Fin dall’antichità la Mesopotamia, cioè la pianura alluvionale del Tigri e dell’Eufrate, per la scarsità di precipitazioni deve essere irrigata artificialmente sfruttando l’acqua dei fiumi e le piene primaverili che depositano il fertile limo. Il sistema dei canali è di fondamentale importanza per distribuire l’acqua con regolarità; esso tuttavia rischia costantemente di restare insabbiato se non viene predisposta un’adeguata e accurata manu-

LA MESOPOTAMIA E L’ESTENSIONE RAGGIUNTA DAI POPOLI mar Caspio

accadi babilonesi

monti del Curdis ta Tigr

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Il bacino fluviale dell’Eufrate.


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sentendo ai contadini di ridurre i tempi di lavorazione (1/15 rispetto alla coltivazione con la zappa) e di ottenere rese cerealicole molto elevate (rapporto 1:30 e oltre tra semente e raccolto). Anche quando il potere dei re si impone su quello dei sacerdoti e nuovi regni e imperi si succedono in Mesopotamia (gli accadi prima, i babilonesi e gli assiri poi), le caratteristiche fondamentali dell’economia e della società non cambiano e la maggior parte della popolazione, dedita all’agricoltura e all’allevamento e organizzata in piccoli nuclei familiari dispersi sul territorio, ma controllati dall’organizzazione centralizzata della città, affronta un’esistenza dura e precaria.

… dell’Egitto… II bacino fluviale del Nilo si configura nell’antichità come un’enorme area paludosa che necessita di essere bonificata. I primi grandi lavori idraulici prevedono la costruzione di argini sufficienti a proteggere i villaggi dalle piene eccessive del fiume. Durante le inondazioni gli insediamenti abitativi, costruiti sui rilievi del terreno, sono collegati gli uni agli altri proprio dalle parti superiori delle dighe, che fungono da sentieri sui quali ci si può spostare. L’acqua dispensata dal fiume e apportatrice di limo viene trattenuta in bacini di irrigazione che sorgono qua e là tra le terre coltivate. Un fitto reticolo di canali, di cui viene curata la manutenzione, regola la distribuzione delle acque. Grazie a questi imponenti lavori idraulici, che vengono compiuti in tempi assai lunghi e che assorbono una numerosa manodopera, la fertilità della terra è assicurata e si può giungere a ottenere rese elevate. Contadini alla dipendenza di proprietari terrieri e del faraone si occupano di irrigare i campi, di arare, seminare e raccogliere i cereali sfruttando le tre stagioni egiziane: dell’inondazione, del deflusso delle acque e della siccità. I prodotti sono vari: grano, orzo e lino, soprattutto, ma anche farro, miglio, canapa, papiro, ortaggi, alberi da frutto, olivi. Una parte del raccolto spetta al contadino, un’altra viene conservata nei granai reali e nei templi ed è destinata alla semina dell’anno successivo e al mantenimento delle classi sociali non impegnate nella produzione di cibo. Funzionari dello stato e del tempio si occupano di redistribuire le razioni alimentari immagazzinate. Nel lavoro agricolo vengono utilizzati rudimentali attrezzi di legno: zappa, falce, aratri trainati dall’uomo e in seguito dai buoi. L’allevamento riveste una particolare importanza; ri-

guarda soprattutto i bovini, utilizzati come animali da tiro e per ricavarne carne, latte e pelli, ma anche ovini come capre e pecore, asini, cavalli, cammelli e gallinacei. Dall’apicoltura si ottiene il miele. Pane, birra e vino sono alcuni dei prodotti di largo consumo ricavati dal lavoro agricolo. La vita dei contadini, classe sociale tra le meno favorite assieme a quella degli schiavi, è dura: oltre al lavoro dei campi, spetta loro il compito di provvedere alla manutenzione di canali, argini e bacini d’acqua, di costruire, nei periodi di sosta dell’attività agricola, piramidi e templi, di entrare a costituire gli eserciti impegnati in guerra. Le donne sono occupate in numerose incombenze domestiche tra le quali macinare cereali, impastare e cuocere cibi, provvedere alla conservazione degli stessi, tessere il lino e intrecciare stuoie. Come per i popoli della Mesopotamia, le trasformazioni politiche verificatesi nel passaggio da un periodo all’altro e da una dinastia all’altra (se ne contano ben 31 nell’arco di 3000 anni) non modificano sostanzialmente l’organizzazione economica e sociale egiziana.

In questo dipinto compare un attrezzo chiamato shaduf, ancora oggi utilizzato nelle campagne per il prelievo e il trasporto dell’acqua: si tratta di un’asta sostenuta da travi in legno o in muratura, che funziona come una grande bilancia con da un lato l’oggetto da sollevare (un secchio o dei blocchi di pietra) e dall’altro un contrappeso che facilita lo spostamento dei materiali. Esso permetteva di sollevare più di 2000 litri di acqua al giorno per circa 2 metri, trasportandola in vasche successive a un’altezza che le permetteva di scorrere lungo i canali artificiali.


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Primo piano sull’economia

… e della valle dell’Indo Sulle origini e l’organizzazione della civiltà nata nella valle dell’Indo si sa ben poco anche perché la scrittura non è stata ancora decifrata; probabilmente essa si sviluppa grazie ai contatti con i popoli della Mesopotamia via mare e via terra. A partire dal III millennio alcuni villaggi come Mohenjo-daro e Harappa si organizzano in città che presentano una struttura complessa. I grandi magazzini portati alla luce dagli scavi archeologici testimoniano la vastità delle coltivazioni e la necessità di un efficiente sistema di irrigazione (di cui peraltro non è rimasta traccia), tale da sfruttare le piogge monsoniche e lo scioglimento delle nevi della catena himalayana. L’assenza di mura difensive e di grandi edifici come palazzi reali e templi fa ipotizzare che la civiltà della valle dell’Indo, a differenza di quelle mesopotamica ed egiziana, sia stata sostanzialmente egualitaria (per lo meno fino alla sua improvvisa e misteriosa decadenza a partire dal 1800 a.C.) e che quindi il surplus agricolo non abbia prodotto una centralizzazione del potere e una organizzazione gerarchica della società.

Uno sguardo alla Cina Anche in Cina, soprattutto nei bacini dei fiumi Giallo (Huang Ho), a nord, e Azzurro (Yang Tze Chiang), a sud, si sviluppa, a partire dal II millennio a.C. e in modo autonomo, una civiltà urbana la cui organizza-

zione complessa è legata alla produzione agricola. Il Fiume Giallo con le sue inondazioni che trasportano il fertile loess consente la coltivazione di vari cereali: miglio soprattutto, ma anche grano, orzo, sorgo; di ortaggi, frutta, noci e nocciole. Il bacino del Fiume Azzurro, arricchito dalle piogge monsoniche, favorisce la coltivazione del riso. Gli attrezzi utilizzati, soprattutto zappe, falci (originariamente in pietra) e aratri, sono assai rudimentali, ma l’abbondanza di acqua, la costruzione di opere idrauliche, realizzate dalle varie dinastie che si succedono nel tempo, il controllo statale della produzione garantiscono rese elevate. I contadini sono organizzati in gruppi che lavorano sotto la sorveglianza di funzionari alle dipendenze del sovrano. Il raccolto viene immagazzinato in granai pubblici e redistribuito dagli addetti. Si allevano maiali, bovini, pecore, cani, polli e soprattutto il baco da seta, da cui si ottiene il prezioso filo. Come presso le altre civiltà fluviali, gli agricoltori sono obbligati, dalle rigide leggi dello stato, a versare tributi in natura, a costruire opere pubbliche, a prestare il servizio militare. 1 Perché le più antiche civiltà urbane vengono definite «idrauliche»? 2 Spiega, anche basandoti sulla scheda n. 3, relativa alla rivoluzione neolitica, come il surplus ottenuto in agricoltura abbia contribuito al nascere di società complesse. 3 Poni a confronto le varie aree delle civiltà

idrauliche sulla base dell’organizzazione delle attività economiche e individua somiglianze e differenze. 4 Con l’aiuto di un atlante geografico indivi-

dua quali stati occupano le aree degli antichi bacini fluviali di cui si è parlato e ricerca se in essi ancora oggi agricoltura e allevamento rivestano l’importanza di un tempo.

Il bozzolo del baco da seta.

Bibliografia K. Branigan, Il libro-atlante delle civiltà antiche, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1977. C. Jacq, Vita quotidiana dell’antico Egitto, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1999. M. Liverani, Antico Oriente. Storia, società, economia, Bari, Laterza, 2009. P. Mander, I Sumeri, Roma, Carocci, 2007.


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4.2 ARTIGIANATO E COMMERCIO Se agricoltura e allevamento rappresentano, presso i popoli delle civiltà idrauliche, le attività economiche di base, sulle quali si regge l’organizzazione della società, anche artigianato e commercio svolgono un ruolo assai importante: esprimono un salto di qualità nella divisione del lavoro e il raggiungimento di un elevato livello di specializzazione, consentono di accumulare ricchezza e di ampliare i consumi, specie delle classi abbienti, mettono in contatto popoli vicini e lontani.

In Mesopotamia Presso i popoli della Mesopotamia il tempio che, come abbiamo già avuto modo di notare nella scheda precedente, è il centro della vita economica, ospita all’interno del suo recinto gli artigiani specializzati che producono pane, birra, tessuti, attrezzi, armi, gioielli, sigilli. Lo sviluppo della metallurgia, con la scoperta delle leghe metalliche, porta alla realizzazione di splendidi oggetti di bronzo e in lamina d’oro, più tardi di ferro. Alle donne, specie di condizione servile e straniera, sono destinati i lavori a “bassa tecnologia”: la molitura dei cereali con pestello e mortaio di pietra, opera lunga e faticosa, la filatura e la tessitura con fuso, conocchia e telaio orizzontale. I prodotti agricoli e artigianali vengono scambiati per ottenere le materie prime di cui la Mesopotamia Gioielli che risalgono all’età del bronzo.

è priva: metalli, legname, pietre dure per i sigilli e gli elementi ornamentali, ma anche perle, pietre preziose, avorio. Sono invece esportati grano, olio, lana, stoffe, pellami. Le spedizioni commerciali si differenziano articolandosi su breve e lunga distanza; queste ultime, che non riguardano le derrate alimentari ma solo i prodotti non deperibili dell’artigianato, vengono organizzate dal tempio, ogni anno, utilizzando mercanti o agenti commerciali. Gli spostamenti avvengono soprattutto grazie alle vie d’acqua (i fiumi Tigri ed Eufrate, i canali e il Golfo Persico) ma sono utilizzate anche quelle di terra mediante carovane costituite di muli o cammelli (anche 200) e scortate da uomini armati. Per la ricchezza delle vie d’acqua i carri non assumono mai una grande importanza nel trasporto, anche perché le ruote piene, invenzione mesopotamica, sono indicate solo per tragitti brevi. Le imbarcazioni utilizzano i remi, affidati alla forza delle braccia di schiavi e prigionieri. Già a partire dal 2000 a.C. la Mesopotamia commercia con l’Egitto, i popoli dell’Asia Minore e del Golfo Persico fino all’India, presumibilmente anche con Cipro e Creta. I sistemi di peso e misura, indispensabili nel commercio così come nella redistribuzione dei beni curata dal tempio, fanno riferimento a un sistema sessagesimale; l’attribuzione di valore alle merci e ai servizi (e la conseguente comparazione di valore) spetta all’amministrazione centrale che utilizza inoltre alcuni prodotti, in particolare orzo e argento, come unità di misura per tutti gli altri. Un siclo d’argento equivale così a 300 litri di orzo, a 6 mine di lana e a 12 litri d’olio.

In Egitto

Lance dell’età del bronzo.

Vaso dell’età del rame.

A differenza della Mesopotamia, l’antico Egitto è ricco di materie prime che alimentano un’intensa attività estrattiva praticata nelle miniere e nelle cave. Vari sono i minerali di cui il deserto è ricco: granito, alabastro, scisto, quarzite, basalto, turchese ecc.; i più richiesti sono comunque oro e rame. L’attività estrattiva, controllata come tutte le altre dal Tempio e dallo Stato, impiega lavoratori specializzati: incisori, tagliapietre e cavapietre. Le condizioni di lavoro non sono facili, specie nelle miniere d’oro dove vengono soprattutto utilizzati i condannati ai lavori forzati. I materiali estratti alimentano un’intensa attività artigianale. Pietra, legno e metalli, lavorati con maestria utilizzando utensili vari come trapani, accette, scal-


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Primo piano sull’economia La maschera funebre di oro e lapislazzuli del faraone Tutankhamon. Tu

li: il khar equivale a 76,88 litri di grano oppure orzo e il deben a 91 grammi di rame o argento. I commerci vengono effettuati utilizzando soprattutto le vie d’acqua. Lo storico Fernand Braudel ha evidenziato come le imbarcazioni egizie, formate inizialmente da fasci di giunchi e poi da più solidi e pregiati legni, risalendo facilmente il corso del Nilo e dirigendosi con i loro spostamenti verso la costa sirolibanese, abbiano contribuito a inaugurare l’alba della storia commerciale del Mediterraneo.

Nella valle dell’Indo

Vaso egiziano finemente decorato.

pelli, pialle, si trasformano in sculture, mobili, oggetti decorativi. Molto sviluppata è l’oreficeria che utilizza materiali preziosi e semipreziosi. Le scoperte archeologiche hanno portato alla luce i ricchi corredi funerari che documentano l’alto livello tecnico raggiunto dagli orafi egiziani nella produzione di amuleti, cinture, collane, braccialetti, pendenti, anelli, diademi, pettorali ecc. Molto ricca è anche la produzione di oggetti di ceramica e vetro, utilizzando per questi ultimi la tecnica della “cera perduta”. La maggior parte degli artigiani lavora alle dipendenze dello stato; solo un’esigua minoranza esercita la propria attività in modo autonomo. Come in Mesopotamia, alle donne del popolo sono affidate, oltre alla molitura dei cereali, le attività della filatura e tessitura, praticate sia a domicilio sia in laboratori controllati dalle autorità centrali. I prodotti agricoli e artigianali, in particolare grano, lino, papiro, unguenti, profumi, oro, vengono scambiati rendendo possibile un fiorente commercio interno ed esterno, praticato in ogni direzione, sia direttamente sia attraverso intermediari. Dal sud, dalla Nubia in particolare, ma anche dall’Etiopia e dalla Somalia, vengono importati metalli, avorio, ebano, incenso, ossidiana, spezie; dal Ponto e dal Sinai rame, turchesi e pietre preziose; dal Libano cedri; dalla Mesopotamia argento; dal Mar Morto bitume; dalla Siria olio e vino; da Creta piante aromatiche, fagioli, ceramiche, lana. Come per i popoli della Mesopotamia, così per gli egizi esistono unità di scambio rappresentate dai cereali e dai metal-

I reperti, peraltro poco numerosi, portati alla luce dalle scoperte archeologiche (armi e arnesi rudimentali, bronzetti, sigilli, vasi dipinti), testimoniano una civiltà più arretrata di quelle mesopotamica ed egizia nell’uso dei metalli e nella lavorazione artigianale dei prodotti. I metalli, in particolare oro, argento e piombo, vengono sicuramente importati dall’Afghanistan, assieme a lapislazzuli e altre pietre dure; la giadeite dalla Birmania e dal Tibet; lo stagno, attraverso l’Iran, da zone più lontane. I rapporti commerciali con la Mesopotamia sono testimoniati da sigilli simili trovati in entrambe le zone e da oggetti della valle del Tigri e dell’Eufrate scoperti in quella dell’Indo. Alcuni documenti mesopotamici citano spedizioni commerciali provenienti dal Golfo Persico e dalla regione dell’Indo, così come fanno riferimento al sistema del baratto, su cui sono basati gli scambi, e all’esistenza di misure e pesi. A proposito di questi ultimi, tra i vari reperti Sigillo della valle dell’Indo raffigurante un toro.

Vaso proveniente dalla valle dell’Indo.


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sono stati ritrovati cubi di pietra di varie dimensioni (da 1 grammo a 54 grammi di peso) graduati secondo una progressione numerica. Il commercio avviene via terra, utilizzando carri trainati dagli animali, e via fiume mediante battelli; forse è presente anche la navigazione marittima.

In Cina La tradizione metallurgica e artigianale cinese, sviluppatasi precocemente e autonomamente, raggiunge livelli di alta qualità a partire dal II millennio a.C. Con la dinastia Shang i sovrani iniziano a controllare la produzione di oggetti e ad aprire nelle città laboratori e botteghe ove artigiani specializzati lavorano producendo vasi di terracotta, intagliando giada e osso, realizzando armi, utensili e oggetti di rame e di bronzo, successivamente di ferro, a partire da tecniche di fusione assai avanzate (stampi multipli e crogiolo capace di trattenere a lungo il calore). Gli artigiani godono di grande prestigio e sono considerati una categoria molto importante della società. Con il passare dei secoli vengono messe a punto tecniche sempre più raffinate di lavorazione dell’oro e di fabbricazione e decorazione della ceramica. La seta, conosciuta fin dal III millennio a.C., dà vita, in età imperiale, a una organizzata industria tessile: le matasse vengono consegnate ai laboratori specializzati per essere tinte e tessute; dalle pezze di stoffa i sarti ricavano abiti preziosi. Parte della produzione è riservata alle categorie sociali di rango più elevato (imperatori, studiosi, funVaso di bronzo risalente alla dinastia Shang.

Ascia di bronzo della dinastia Shang usata nei combattimenti corpo a corpo.

zionari statali), parte viene esportata in Asia e in Europa, assieme ad altri prodotti di lusso, lungo la via della seta. Ciò avviene in età imperiale e quindi a partire dal III secolo a.C.; in precedenza, nonostante la ricchezza delle vie d’acqua, i traffici e gli scambi sono scarsi, data la frammentazione del grande territorio cinese e la struttura feudale e sostanzialmente autarchica della società, che si mantiene pressoché immutata nel corso delle dinastie Shang, Chou e Han. 1 Costruisci una tabella di comparazione tra

le quattro civiltà prese in esame, utilizzando i seguenti indicatori: a) materie prime presenti nel territorio; b) lavorazioni artigianali tipiche; c) tecniche utilizzate; d) prodotti commerciati; e) vie di comunicazione utilizzate per il commercio; f) modalità e unità di scambio. 2 Dalla lettura della tabella ricava ora le più

significative somiglianze e differenze e su di esse elabora un breve testo storiografico di ricapitolazione. Bibliografia K. Branigan, Il libro-atlante delle civiltà antiche, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1977. F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Bompiani, 1999. C. Jacq, Vita quotidiana dell’antico Egitto, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1999. M. Liverani, Antico Oriente. Storia, società, economia, Bari, Laterza, 2009. P. Mander, I Sumeri, Roma, Carocci, 2007.


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Primo piano sull’economia

5. GRANO, RISO E MAIS: “PIANTE DI CIVILTÀ” Il famoso storico Fernand Braudel ha definito grano, riso e mais «piante di civiltà». Che cosa si intende con questa espressione? Quale collegamento è possibile istituire tra i cereali e le prime società organizzate? Perché altre piante non hanno prodotto gli stessi risultati? E ancora, il rapporto osmotico tra grano/riso/mais e civiltà si è realizzato in ogni zona del mondo coltivata a cereali o solo in alcune? Per cercare di rispondere a queste domande dobbiamo risalire alle origini dell’agricoltura e prendere in esame le modalità in cui essa si è sviluppata specie nelle zone irrigue. La coltura dei cereali nelle aree dei grandi fiumi del mondo ha richiesto un sistematico controllo del territorio per garantire al grano l’umidità necessaria per crescere, al riso l’inondazione costante, al mais la periodica irrigazione. Le opere idrauliche che ne sono derivate hanno modellato il territorio e richiesto, come è stato evidenziato nella scheda 4.1, un’organizzazione centralizzata capace di dirigere, controllare e difendere le opere realizzate, immagazzinare e redistribuire le risorse prodotte per soddisfare il bisogno di cibo di popolazioni numericamente imponenti. Ecco allora che i cereali hanno contribuito alla nascita ed evoluzione di civiltà che presentano nel corso del tempo caratteristiche diverse in relazione alla specificità delle piante, alle loro principali aree di diffusione (Occidente, Oriente, Americhe) e agli eventi storici apportatori di grandi trasformazioni.

La vagliatura del grano.

cataratte, affinché l’esondazione sia efficace a valle. L’unità politica non è necessaria in Mesopotamia, dove la regolamentazione delle acque in una zona non influenza quella delle altre; il territorio presenta quindi nel tempo l’alternarsi di popoli e civiltà diverse, talvolta in conflitto tra loro. Rappresentazione della raccolta del grano.

Il grano Il grano è il cereale tipico dell’Occidente, anche se presente nell’Asia centrale e orientale. La sua storia si lega a quella dell’agricoltura irrigua e alla sua diffusione, anzitutto nell’area della Mezzaluna fertile, dove le esigenze legate alla regolamentazione e distribuzione delle acque trasformano in tempi abbastanza brevi i villaggi neolitici in città e le società urbane in imperi. L’organizzazione della rete idraulica differisce da zona a zona influenzandone in modo diverso la storia politica. Ne è un chiaro esempio l’Egitto dove la precoce unificazione dello stato, mantenutasi inalterata per tre millenni, è legata all’esigenza di controllo idraulico, e quindi anche militare, delle zone più lontane dal delta del Nilo, dove esso scorre attraverso tre


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Il riso

Campo coltivato a grano.

Quando agricoltura e allevamento giungono in Europa, a seguito della migrazione di popolazioni anatoliche, la coltivazione del grano si diffonde velocemente, per la sua variabilità di forme e adattabilità, in territori che non necessitano di particolari opere idrauliche; l’esigenza dell’unità politica, apportatrice di civiltà, non viene quindi sentita per lungo tempo, fino alla costituzione dell’impero romano. Quest’ultimo ricalca il modello di sviluppo agricolo delle civiltà idrauliche orientali con la differenza che il grano, non coltivato in loco a causa delle caratteristiche dei terreni, è assicurato grazie alla conquista delle aree del Mediterraneo ricche di frumento; esse vengono progressivamente inglobate all’interno dell’impero facendo così affluire i cereali all’Urbe, sotto forma di tributi. Quando le conquiste cessano, e viene meno di conseguenza l’apporto di grano (oltre che di schiavi), la civiltà romana entra in crisi. La diffusione del grano in Occidente ne influenza la civiltà anche in età medievale e moderna quando le modeste rese del cereale, peraltro facilmente deperibile, impongono di ricorrere alla rotazione biennale e dopo il Mille a quella triennale, a sistematiche irrigazioni e arature fino al 1700, all’utilizzo dell’allevamento del bestiame per la produzione di concime e il traino animale, alla ricerca di sempre nuove terre da mettere a coltura. La penuria di grano crea disuguaglianze e squilibri sociali, influisce sull’andamento dei prezzi e dei salari, mette in relazione mondi diversi come città e campagna, pianura e montagna.

Il riso nasce, come il grano, nell’Asia centrale, ma diventa il cereale dominante nell’estremo Oriente. Viene inizialmente ignorato dalla civiltà cinese che si sviluppa a nord e privilegia altri tre cereali: sorgo, grano e soprattutto miglio. Probabilmente attorno al 2000 a.C. il riso raggiunge la Cina dal’India e si afferma progressivamente a sud dove, fin dalle origini, l’agricoltura fa un uso limitato dell’allevamento. Di lì a poco la situazione si capovolge: il nord, troppo esposto alle invasioni straniere, perde la centralità economica originaria, sostituito dal sud monsonico. Le aree coltivate a riso si estendono progressivamente verso sud e verso nord, dove il cereale si insedia inizialmente come coltura asciutta. La sua crescita inarrestabile determina la necessità di mantenere e garantire nel corso dell’anno l’apporto idrico dato dalle piogge monsoniche. Prendono così il via, come già avvenuto in Mesopotamia e in Egitto, ma in epoca decisamente più tarda (dinastia Han), i lavori destinati a creare quella vasta rete idraulica che incrementa la produzione cerealicola e trasforma la Cina nella regione più popolata del mondo; essi esigono un’altissima concentrazione umana, una manodopera disciplinata e una forte autorità dello stato, caratteristiche che entrano a costituire la specificità della civiltà cinese. Il riso, da alimento originariamente riservato all’aristocrazia, diventa così, integrato dalla soia, il cibo del popolo per la sua straordinaria resa, legata a molteplici fattori, quali la possibilità di utilizzare sempre

La pianta del riso.


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Primo piano sull’economia

I terrazzamenti coltivati a riso che caratterizzano gran parte del paesaggio agrario cinese.

la stessa superficie coltivabile, la veloce maturazione che consente più raccolti l’anno, la migliore conservazione, se brillato, rispetto al grano, la quantità di carboidrati. Come il grano in Occidente, il riso esercita così la sua «tirannia» in Oriente: influenza il regime alimentare, le variazioni dei prezzi e dei salari, costituisce per lungo tempo la «moneta» di scambio nei rapporti commerciali. La risicoltura, inoltre, non si orienta, come scelta privilegiata, verso terre nuove ed esterne, bensì verso le città con le quali le campagne entrano in rapporto simbiotico. Il successo del riso, evidenzia Fernand Braudel, «ha imprigionato e costretto insieme città e campagne», condizionandone il successivo sviluppo economico.

Il mais La civiltà del mais è la più giovane delle tre di cui trattiamo e si sviluppa nelle Americhe dove maya, aztechi e incas creano, quattromila anni più tardi rispetto ai popoli della Mezzaluna fertile, degli imperi basati sulla coltivazione di cereali. Il ritardo è dovuto a vari fattori, il principale dei quali legato alle caratteristiche della pianta che, a differenza di frumento e orzo, deriva da un progenitore estinto e non riconoscibile, il teosinte. Una straordinaria e casuale mutazione genetica, seguita da altre trasformazioni minori che si affermano nel corso di millenni, fa derivare da esso, nell’area del Messico e poi più a sud nelle valli della Cordigliera peruviana, il mais.

Il cereale presenta inizialmente cicli vegetativi brevi, che non richiedono la sedentarietà e sono quindi compatibili con l’economia di caccia e di raccolta; convive inoltre con altre piante come i fagioli (con i quali si crea un binomio straordinario, dal campo alla tavola), la zucca, i peperoni, la coca, la manioca. Tra le altre caratteristiche, il mais si sviluppa come pianta orticola, di facile coltivazione, che non necessita del traino animale e quindi dell’allevamento; dove quest’ultimo viene praticato, come in Perú, gli animali sono utilizzati per fornire lana e carne, non per arare i terreni. La ricchezza di amido lo rende un alimento straordinario: integrato dall’apporto proteico dei fagioli e vitaminico di vegetali freschi e frutta, nutre una popolazione in costante crescita e favorisce, in età precolombiana, l’organizzazione di società complesse, basate sulla produzione e distribuzione di cibo, che impiegano la forza-lavoro agricola, non oberata dal lavoro dei campi, nella costruzione di edifici monumentali. L’arrivo e la dominazione dei conquistadores, che sfruttano la manodopera india nel lavoro delle miniere e delle piantagioni, sottraendo a essa il tempo per l’agricoltura tradizionale, trasforma radicalmente la struttura economica della società, interrompe il connubio fagioli-mais dal punto di vista sia agricolo sia nutrizionale e determina in America latina uno squilibrio alimentare di lunga durata. La coltivazione del mais.


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Un tempio maya nello Yucatan, in Messico.

Un antico simbolo azteco proveniente dal Messico.

1 Dopo aver analizzato la scheda prova a

spiegare il termine «pianta di civiltà» usato da Braudel. 2 Costruisci una tabella in cui mettere a confronto grano, riso e mais, utilizzando i seguenti indicatori: a) periodo e zona di diffusione; b) caratteristiche della pianta e resa del cereale; c) caratteristiche alimentari; d) rapporto tra cereale e civiltà. Quindi rifletti, assieme ai compagni e con l’aiuto dell’insegnante, sulle principali somiglianze e differenze che puoi cogliere tra i tre tipi di cereale. 3 Effettua una ricerca sulla attuale produzio-

ne di grano, riso e mais nel mondo, utilizzando anche dati statistici, e rileva l’importanza economica che essi assumono. 4 La rivoluzione agricola ha influenzato l’im-

maginario collettivo dei popoli più antichi e dato vita a racconti mitici che cercano di spiegare l’accadere di fenomeni naturali, come la nascita di fiori e frutti. Ricerca tre miti, uno per ogni pianta di civiltà, ponili a confronto e analizzane le caratteristiche, con particolare riferimento all’area in cui sono stati prodotti e alla civiltà di cui sono espressione.

Bibliografia F. Braudel, Capitalismo e civiltà materiale, Torino, Einaudi, 1977. G. Brioni-M.T. Rabitti, Il popolamento della terra. Dal mondo vuoto al mondo pieno, Faenza, Polaris, 1997. A. Saltini, I semi della civiltà. Frumento, riso e mais nella storia delle società umane, Firenze, Nuova Terra Antica, 2009.


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Primo piano sull’economia

6. LA PASTORIZIA NOMADE La domesticazione dei vegetali e degli animali, all’origine della rivoluzione neolitica di 10 000 anni fa, ha prodotto un’altra importante attività economica, quella della pastorizia nomade, che ha disegnato un affascinante percorso della storia dei popoli, interessante da indagare anche in riferimento ai tempi attuali.

Agricoltura e pastorizia nomade: dall’unione alla separazione Fino al XX secolo la storiografia ha considerato la pastorizia nomade come la seconda tappa, dopo la caccia e la raccolta e prima dell’agricoltura, del cammino evolutivo della società umana. Studi più recenti hanno dimostrato, con l’ausilio delle scoperte archeologiche, che la pastorizia nomade si è sviluppata contemporaneamente alla rivoluzione agricola, come esito della domesticazione degli animali. Le due attività hanno per lungo tempo convissuto assieme, fino a che non si è prodotto il distacco tra i pastori e gli agricoltori. Gli studiosi hanno individuato varie concause all’origine di tale separazione: a) La localizzazione delle coltivazioni nelle zone ad agricoltura irrigua, che ha creato una demarcazione territoriale tra zone agricole e zone del nomadismo pastorale; queste ultime si sono progressivamente estese, a causa dell’impoverimento delle terre, sfruttate per il pascolo. Un pastore nomade con il suo gregge.

b) L’aumento del numero delle mandrie che, rappresentando una minaccia per i campi coltivati, ha spinto i pastori a ricercare nuovi e più lontani spazi per l’allevamento. c) L’incremento demografico per cui giovani società coltivatrici sono state costrette ad abbandonare la propria sede e a intraprendere l’attività economica della pastorizia. d) Le crisi cicliche, verificatesi all’interno delle civiltà idrauliche, che hanno dirottato parte della popolazione verso una diversa attività produttiva. e) Le difficoltà di adattamento dei pastori, abituati a un lavoro autonomo all’aperto, di fronte alle esigenze e alle regole imposte dalla vita sedentaria: esse hanno contribuito a delineare una sempre più netta demarcazione tra due stili di vita pressoché opposti.

La vita del pastore nomade È quindi nata la figura del pastore “nomade”, dal greco nomav~: colui che erra per mutare pascoli. Egli ha bisogno di pascoli e di bestiame. Nei confronti dei primi si comporta come il predatore: sfrutta l’ambiente e non lo trasforma; lo degrada sì, ma per farlo il meno possibile si sposta periodicamente. La conoscenza profonda dello spazio pastorale, acquisita con la mobilità, gli consente di adattarsi alle situazioni più difficili e imprevedibili. Nei confronti degli animali, invece,


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non riveste il ruolo di figura oppressiva, ma di capo carismatico scelto democraticamente.

L’incontro-scontro di nomadi e sedentari

Un nomade nel deserto arabo.

esercita due azioni, entrambe finalizzate alla produzione: il dominio e la sostituzione di specie animali per far posto a quelle addomesticate. Questo tipo di intervento rompe gli equilibri naturali e il pastore, che ne è consapevole, fin dai primordi offre il sacrificio di animali alle divinità come contropartita, restituendo così la vita a chi ha donato la vita. Aspetto patrimoniale e aspetto sacrale sono quindi intimamente uniti nella pratica dell’allevamento. Il pastore nomade ha una profonda conoscenza dei suoi animali: soprattutto pecore, capre, dromedari, cammelli, cavalli; li protegge, li controlla, li soccorre. Raramente li uccide per ricavarne carne, poiché da essi ottiene latte e lana; sono inoltre una merce di scambio importante per commerciare con i sedentari prodotti come il grano e il sale. Quando gli animali, comunque, vengono soppressi, di essi il pastore utilizza tutto: carne, pelle, pelo, ossa, sterco ecc. L’economia nomadica si basa infatti sulla frugalità, la parsimonia, la sufficienza. I pastori nomadi vivono in famiglie riunite in clan, appartenenti a tribù e legati da relazioni familiari e patrimoniali. La tenda è per lo più la loro casa e l’accampamento il loro villaggio. Esiste una divisione dei ruoli tra uomini e donne, per certi aspetti analoga a quella delle società di cacciatori e raccoglitori: i primi si occupano di portare al pascolo il bestiame, le seconde delle attività legate all’accampamento come la mungitura, la lavorazione del latte, il rifornimento di acqua dai pozzi. Al di là di questa distinzione, l’organizzazione sociale è sostanzialmente egualitaria e cooperativa perché non si basa sulla divisione del lavoro, come presso i sedentari. Esiste il capotribù che

Pastori e agricoltori, nomadi e sedentari, si sono scontrati e incontrati più volte nel corso della storia. Lo scontro avviene nelle zone di frontiera dove i due popoli entrano più facilmente in contatto: i nomadi invadono il mondo dei sedentari e progressivamente ne vengono assimilati. Gli esempi a tale proposito sono molteplici: nel II millennio a.C., nell’area mesopotamica i sumeri conoscono l’invasione dei nomadi semiti e poi dei “popoli dei monti”, i munda indiani quella degli ariani, gli egiziani quella degli hyksos, i bizantini quella dei turchi. Più tardi, nel V secolo d.C., è la volta degli unni che, premendo sui popoli germanici, ne determinano la migrazione/invasione in direzione dell’Impero Romano. Nel corso degli scontri tra nomadi e sedentari, uno dei due tipi di organizzazione, il più forte, prevale sull’altro, ma la situazione può con il tempo capovolgersi. L’unificazione cinese con la dinastia dei Ch’in, per esempio, determina un rafforzamento dei sedentari a scapito dei nomadi, che vengono isolati con la costruzione della Grande Muraglia. La “riscossa” nomade porta alla crescita della potenza degli hsiung-nu e dei mongoli che si impongono sui sedentari, venendone comunque assimilati, e creano con Gengis Khan il più potente impero nomade della storia. I rapporti tra nomadi e sedentari non sono caratterizzati solo dallo scontro, ma anche dall’incontro e dalla convivenza pacifica, vista l’esigenza, sentita da enLa Grande Muraglia cinese.


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Primo piano sull’economia Una tenda di pastori nomadi in Marocco.

trambe le parti, di scambiare i prodotti di cui ognuna è priva. Già a partire dal III millennio a.C., i nomadi del deserto e delle steppe asiatiche commerciano con i sedentari della Mesopotamia, dell’Egitto e della valle dell’Indo. Più tardi diventano intensi i contatti commerciali e culturali tra l’Occidente e l’Estremo Oriente via mare e via terra; essi raggiungono la massima intensità nel II secolo d.C. lungo la via della seta e i suoi scali, dove nomadi e sedentari si incontrano e scambiano le loro merci. Nei secoli successivi i nomadi, con le loro incursioni, rendono impercorribile questa importantissima via commerciale, che tornerà a essere sicura nei secoli XIII-XIV, grazie alla “pax mongolica”, garantita dal grande impero nomade costituitosi in Cina.

mar

Golfo del Bengala

Cin ese

LA VIA DELLA SETA

oceano Indiano

Statua di Gengis Khan.


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Gli studiosi hanno evidenziato come il dualismo nomadi-sedantari abbia stimolato e creato nuovi dinamismi a livello politico, economico e sociale: le società sedentarie, deboli e in crisi, sono state infatti ringiovanite dalla spinta dei nomadi e l’assimilazione tra le due culture ha prodotto nuovi scenari e processi storici. 1 Costruisci uno schema sui fattori che han-

no portato alla separazione tra nomadi e sedentari e verbalizzalo in forma orale o scritta. 2 Sulla base delle informazioni acquisite

nelle schede precedenti, e di altre ricavabili da fonti di documentazione in tuo possesso, costruisci una tabella di confronto tra nomadi e sedentari, utilizzando i seguenti indicatori: a) aree di insediamento; b) attività economiche; c) tecnologia; d) prodotti scambiati; d) organizzazione politica e sociale. 3 Approfondisci uno dei momenti di incontro-scontro tra nomadi e sedentari, utilizzando il tuo manuale o altre fonti, e su di esso costruisci un testo storiografico.

La pastorizia nomade oggi Nel corso del Novecento, a motivo delle divisioni amministrative e territoriali attuate dal colonialismo prima e dalla decolonizzazione poi, i nomadi si sono trovati spesso a convivere con popolazioni sedentarie ostili, da cui sono stati messi in condizione di inferiorità o con le quali si sono accesi, nella seconda metà del secolo, veri e propri scontri etnici, come in Mali, Etiopia, Ruanda, Burundi. Spesso i governi dei paesi di nuova indipendenza non sono riusciti a gestire il problema dei nomadi e a inserirli all’interno di società economicamente più evolute. In altri casi le politiche di integrazione attuate hanno incontrato l’ostilità delle stesse comunità pastorali. I nomadi rappresentano attualmente una minoranza, in costante diminuzione, stimata in circa 12 milioni di unità (dati 1980). Possono essere individuate sette grandi aree del nomadismo, collocabili prevalentemente nei continenti africano e asiatico: 1. il nomadismo arabo-sahariano o nomadismo beduino. 2. Il nomadismo saheliano. 3. Il nomadismo degli altipiani montuosi iraniano-anatolici.

Un pastore nomade con il suo gregge nei territori desertici africani.

4. Il nomadismo delle steppe asiatiche. 5. Il nomadismo delle grandi muraglie in Cina. 6. Il nomadismo boreale degli allevatori di renne. 7. Il nomadismo dell’area balcanica e mediterranea, caratterizzato dalla transumanza. Quest’ultimo si differenzia dai precedenti perché a migrare, senza famiglia e senza tenda, è solo il pastore, che peraltro opera all’interno di spazi destinati all’agricoltura. Per far uscire i nomadi dallo stato di marginalità in cui si trovano, gli studiosi ritengono che la loro economia, legata allo sfruttamento degli spazi aridi, non vada soppressa, ma integrata nel moderno sistema di produzione e di scambio, compito che si presenta indubbiamente arduo nell’epoca della globalizzazione. 4 Scegli un’area del nomadismo tra quelle

sopra indicate ed effettua una ricerca su uno dei popoli che pratica la pastorizia. In classe poni a confronto il tuo lavoro con quello dei compagni. 5 Quali problemi e sfide pone l’integrazione dei nomadi all’interno delle odierne società sedentarie e globalizzate?

Bibliografia AA.VV., Nomadi e sedentari, Il ’900 e la Storia, Seminario di studio e produzione, Scuola media statale G. La Pira, Sarezzo, Brescia. B. Fiore, I nomadi, Torino, Loescher, 1980. E. Turri, Gli uomini delle tende, Milano, Bruno Mondadori, 2008.


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Primo piano sull’economia

7. ECONOMIA NATURALE, ECONOMIA MONETARIA, ECONOMIA CREDITIZIA «Soldi, denaro, pecunia, schei, baiocchi, contante, liquidi: comunque la si chiami la moneta è di primaria importanza. Per i cristiani è la radice di tutti i mali; per i generali è il nerbo della guerra; per i rivoluzionari la catena che aggioga i lavoratori. Ma che cos’è esattamente la moneta? È una montagna d’argento, come pensavano i conquistadores spagnoli? O anche solo una tavoletta di argilla o un foglietto di carta stampata? Come siamo arrivati a vivere in un mondo nel quale la maggior parte della moneta è invisibile, sostituita da numeri sullo schermo di un computer? Da dove viene la moneta? E dove è finita?”. Niall Ferguson, Ascesa e declino del denaro. Una storia finanziaria del mondo, Milano, Mondadori, 2009, pag. 3.

Le domande poste dallo storico britannico Niall Ferguson nell’introduzione al saggio sopra citato, ci consentono di entrare nel vivo dell’argomento di questa scheda: ricostruire, seppur brevemente e per tappe essenziali, il ruolo che il denaro ha assunto e svolto nel corso di una fase della storia, quella antica e medievale, imprimendo all’economia «velocità» e caratterizzazioni diverse e gettando le basi per il successivo sviluppo finanziario e capitalistico del mondo.

Dal baratto alle unità di misura del valore delle merci Le più antiche società umane di cui ci siamo occupati in precedenza (cacciatori-raccoglitori, agricoltori sedentari e pastori nomadi dell’età neolitica) basano la Tavoletta mesopotamica con incisioni di disegni che riproducono, tra l’altro, mani e spighe di grano.

loro economia sullo scambio di prodotti. Il baratto, per gli antropologi utilizzato originariamente come scambio di doni, rappresenta infatti il mezzo più semplice e naturale per acquisire le materie prime o gli oggetti di cui si ha bisogno. Presso i popoli delle civiltà idrauliche, invece, la specializzazione del lavoro rende più complesse le transazioni economiche e occorre individuare delle unità di misura del valore delle merci. Come abbiamo indicato nella scheda 4.2, esse nella Mezzaluna fertile sono costituite da cereali o metalli: in Mesopotamia un siclo d’argento corrisponde a 300 litri di orzo, a 6 mine di lana e a 12 litri d’olio, in Egitto il khar equivale a 76,88 litri di grano oppure orzo e il deben a 91 grammi di rame o argento. Il grado di complessità raggiunto dall’organizzazione economica esige che le operazioni commerciali vengano registrate con cura e a ciò si provvede, in Mesopotamia, utilizzando tavolette di argilla sulle quali vengono annotati debiti o crediti, anticipazione questa dell’uso della moneta e del credito. L’economia naturale o di scambio continuerà a essere ciclicamente presente nella storia economica, soprattutto nei periodi di crisi o di scarsità di valuta, così come nel corso di eventi bellici.

Nascita e diffusione della moneta Le prime monete fanno la loro comparsa in Asia Minore nel VII secolo a.C.; quelle ritrovate in Turchia, di forma ovoidale, portano impressa l’immagine di un leone e sono di elettro, una lega naturale di oro e argento. Le leggende attribuiscono la loro nascita alle iniziative di due re, rispettivamente della Frigia e della Lidia: Mida, capace di trasformare tutto ciò che toccava in oro, e Creso, fatto morire inghiottendo oro fuso dal potente re persiano Ciro. In verità le monete nascono per iniziativa di qualche banchiere o mercante e si diffondono velocemente nel Mediterraneo. Usate dai persiani, etruschi e fenici, conoscono una grande fortuna con i greci: ogni polis ne conia di proprie, d’oro ma soprattutto d’argento, metallo più abbondante e pratico da utilizzare, con


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Il tetradracma ateniese con impresse la dea Atena e una civetta simbolo dell’intelligenza.

Una moneta greca raffigurante Zeus e una raffigurante Alessandro Magno.

l’effigie della divinità da un lato e il simbolo della città dall’altra. Famoso è il tetradracma ateniese, d’argento, con impressa la testa di Atena su una faccia e la civetta, a indicare l’intelligenza della dea, dall’altra. Presso i romani, in età repubblicana e imperiale, tra le monete più diffuse troviamo, in ordine di valore: l’aureo (d’oro), il denario (d’argento), il sesterzio e il dupondio (di bronzo), l’asse e il semiasse (di rame), il quadrante, la moneta di misura più piccola (di bronzo). Il denario è utilizzato per le transazioni commerciali più importanti, il sesterzio per gli acquisti al minuto. Le monete raffigurano sempre il volto, di profilo, dell’imperatore; quando egli muore o decade e si insedia il successore, la zecca deve mettersi celermente al lavoro per coniare monete con la nuova immagine. La moneta si diffonde anche in Oriente, ma più tardi rispetto all’Occidente; viene infatti introdotta in Cina solo in età imperiale (III secolo a.C.). Di forma circo-

lare, presenta al centro un “foro quadrato”, che rende più facile la fusione e il trasporto: più monete possono essere infatti legate insieme grazie a una stringa. Tale forma rimane immutata per quasi 2000 anni; a essa si affianca ben presto l’uso della cartamoneta, inventata proprio dai cinesi, di cui Marco Polo parla ne Il Milione. L’economia che si sviluppa in conseguenza dell’introduzione della moneta riesce a eliminare i problemi creati dal baratto: il denaro, che utilizza metalli quali l’oro, l’argento e il bronzo, diventa un’unità di conto e di valore “disponibile, accessibile, durevole, fungibile, portatile e affidabile” (N. Ferguson).

Il denaro nell’Alto Medioevo Economia naturale ed economia monetaria sono compresenti nell’Alto Medioevo. Con la crisi e la caduta dell’Impero Romano d’Occidente l’uso del dena-

Antiche monete romane.


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Primo piano sull’economia

ro diminuisce sempre più – motivo per cui ritornano forme di scambio basate sul baratto – ma non scompare, sia tra i potenti sia tra i contadini. Il declino delle città e delle relazioni commerciali rende la terra la principale fonte di ricchezza per i grandi proprietari; ciò nonostante, dal IV al VII secolo d.C., essi possono disporre di oro e monete grazie al commercio con l’Oriente bizantino e islamico, mai interrottosi; anche i contadini contribuiscono a far circolare un po’ di denaro, proveniente dai mercati locali, con il pagamento di corvées e decime (fornite anche in natura e con prestazioni obbligatorie di lavoro). La formazione dei regni romano-germanici porta a una frammentazione del conio cui ogni sovrano procede autonomamente, seppur ispirandosi al solidus aureo e al triens (anch’esso d’oro ma del valore di un terzo rispetto al solidus), vigenti dall’età di Costantino. Con Carlo Magno, per un breve periodo, viene attuata un’unificazione monetaria che porta alla cessazione del conio aureo e alla circolazione esclusivamente di moneta d’argento, il denarius, di derivazione romana. La fine dell’epoca carolingia e l’avvento del feudalesimo conducono a una nuova frammentazione monetaria, sempre basata sull’uso dell’argento. L’unità di peso della moneta viene modificata: dall’oncia romana si passa al marco.

Le trasformazioni del Basso Medioevo. Verso l’economia creditizia All’inizio dell’XI secolo sono anzitutto le Crociate a imprimere un’accelerazione alla circolazione monetaria: i nobili cavalieri in partenza per la Terra Santa portano con sé un rifornimento di denaro, in previsione del

lungo viaggio. Il vero decollo della moneta si ha, però, nei secoli XII e XIII, a motivo di una serie di fattori: lo sviluppo del commercio su lunga distanza grazie alle grandi fiere, tra cui le più famose sono quelle che si tengono nella regione della Champagne; la crescita delle città, che stimola l’espansione edilizia, l’incremento dell’artigianato e del commercio a esso collegato; l’arricchimento della classe borghese che si viene imponendo sull’aristocrazia terriera. L’aumento dei consumi imprime un ulteriore dinamismo alla circolazione del denaro e l’esigenza di coniare sempre più moneta intensifica lo sfruttamento delle miniere d’argento già esistenti e l’apertura di nuove. Nel XIII secolo sorgono in molti stati europei nuove zecche che riprendono il conio aureo, emettono monete con maggiore contenuto d’argento, i grossi, e altre di rame, diffuse tra i ceti meno abbienti. Ciò avviene in particolare nelle Fiandre e nell’Italia settentrionale, le due regioni che più si arricchiscono grazie ai commerci tra Atlantico, Mediterraneo e Oriente, stimolando a loro volta la crescita economica delle aree vicine. Una certa stabilità monetaria viene raggiunta nella seconda metà del XIII secolo con l’emissione del fiorino d’oro, ma all’epoca in cui si diffonde, il credito sta ormai diventando il più importante strumento alla base dell’attività commerciale. Con l’aumento del volume degli affari, infatti, compaiono alcune innovazioni nelle transazioni economiche legate alla nascita di associazioni come la commenda e la vera società, e di strumenti finanziari come le assicurazioni marittime e le lettere di cambio. La commenda istituisce un contratto tra due mercanti: uno fornisce il capitale, l’altro si incarica del viaggio e i profitti vengono suddivisi L’assegno, “evoluzione moderna” della lettera di cambio medievale.


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to: con essa l’emittente dichiara di aver ricevuto una certa somma di denaro e si impegna a restituirla nel luogo e nella data convenuta. Questo strumento finanziario ha il vantaggio di trasferire fondi da luoghi con monete diverse (speculando anche sulle variazioni di cambio) ed evita i rischi legati al trasporto di monete d’oro e d’argento. Tutte le operazioni sopra indicate fanno la fortuna di mercanti, prestatori, cambiavalute e banchieri le cui categorie professionali non sono ancora ben differenziate le une dalle altre nel corso del Basso Medioevo. I Medici, per esempio, appartenenti alla corporazione dei cambiavalute, grazie alle lettere di cambio costruiscono la loro ascesa economica imponendosi come modello di sistema bancario in Europa. L’economia creditizia, nata dall’economia monetaria e a essa intimamente legata, pone le basi per il successivo sviluppo finanziario dell’età moderna e soprattutto contemporanea, i cui esiti hanno condotto all’ “invisibilità” della moneta, il denaro elettronico, che nell’era della globalizzazione viene trasferito con un semplice clic del mouse. Il portale della sede milanese del Banco Mediceo, attualmente conservato a Milano. La carta di credito, strumento principale della contemporanea economia finanziaria.

1 Spiega il significato dei termini “economia naturale”, “economia monetaria” ed “economia creditizia» e individua i periodi storici in cui ognuno dei tre tipi di economia è risultato preponderante. 2 Per quali motivi nasce e si diffonde la mo-

neta? Quali esigenze portano invece all’utilizzo del credito? 3 Con l’aiuto dell’insegnante prova a spie-

gare la definizione del denaro, data dallo storico Ferguson, come unità di conto e di valore “disponibile, accessibile, durevole, fungibile, portatile e affidabile”. 4 Effettua una ricerca sul denaro “elettroni-

nella misura di tre quarti a vantaggio del primo e un quarto per il secondo; nel caso della “vera società”, invece, gli utili sono ripartiti in modo uniforme. Le assicurazioni marittime tutelano le merci e i mercanti dai pericoli derivanti dal viaggio in mare; anche in questo caso i rischi vengono ripartiti attraverso la creazione di società, l’affitto e il subaffitto di spazi all’interno delle navi. La lettera di cambio riveste un ruolo di particolare importanza ai fini dello sviluppo del credi-

co” con particolare riferimento ai volumi delle odierne transazioni finanziarie mondiali. Bibliografia J. Le Goff, Lo sterco del diavolo. Il denaro nel Medioevo, Bari, Laterza, 2010. N. Ferguson, Ascesa e declino del denaro. Una storia finanziaria del mondo, Milano, Mondadori, 2009. R. Cameron-L. Neal, Storia economica del mondo. Vol. I, Dalla Preistoria al XVII secolo, Bologna, Il Mulino, 2002.


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Primo piano sull’economia

8. COLONIE E COLONIZZAZIONI NEL MEDITERRANEO Il termine “colonia”, in ambito storico-geografico e politico, indica sia l’insediamento di una comunità di cittadini in una zona lontana dalla madrepatria, con o senza vincoli di dipendenza dalla stessa, sia un territorio assoggettato al dominio e al controllo di uno stato straniero. Se il colonialismo è fenomeno tipicamente moderno e contemporaneo, contraddistinto dall’espansionismo delle nazioni europee verso gli altri continenti, dal controllo politico e sfruttamento economico dei territori conquistati, la colonizzazione dell’età antica volta al Mediterraneo, di cui ci occupiamo in questa scheda, si caratterizza in modo diverso. Originata da motivazioni essenzialmente commerciali, agricole e demografiche, non determina quello status di “colonia” successivamente elaborato dal moderno diritto internazionale e coloniale.

La colonizzazione fenicia Nel II millennio a.C., come evidenzia Fernand Braudel, si crea il “primo Mediterraneo mercantile della storia”, nella zona di Levante, dove imperi – come Egitto e Mesopotamia – e città-stato – come Creta, Micene e altre della costa siro-libanese – comunicano e commerciano fra loro. Tra i vari popoli, i siro-libanesi più si avvantaggiano di questi intensi scambi, assimilando tecniche e culture; non stupisce quindi che siano proprio i fenici, dopo le oscure catastrofi del XII secolo a.C., a guidare la ripresa commerciale del Mediter-

Biblo, tempio degli obelischi.

raneo, promuovendo una vera e propria conquista della zona occidentale del mare. È una colonizzazione a lunga distanza, verso terre e popoli ancora sconosciuti, che dalla storiografia è stata paragonata alla conquista europea dell’America nel XV-XVI secolo. Ma quali fattori hanno consentito a questo popolo marinaro di precedere gli stessi greci nell’esplorazione e colonizzazione del Mediterraneo? I fenici, il cui insediamento, di modesta estensione e puntellato di città-stato autonome – come Tiro, Sidone e Biblo – si trova schiacciato fra mare e montagne, hanno bisogno di espandere i propri territori. Dispongono di una marina assai efficiente grazie alla conoscenza delle rotte marittime e delle stelle, alla solidità degli scafi calafatati con il bitume, all’amore per il rischio e l’avventura. Per tutti questi motivi sono in grado di affrontare lunghi viaggi alla ricerca di viveri e di materie prime, che possono scambiare con i prodotti del loro artigianato di lusso: tessuti tinti con la porpora, oggetti di oreficeria e in pasta di vetro, vasellame, e con quelli degli altri popoli del Mediterraneo orientale con i quali commerciano (Cipro, Egitto, Siria, Palestina, ma anche le località affacciate sul Mar Rosso e l’Oceano Indiano). Presumibilmente attorno al 1100 a.C., ma la data è oggetto di discussione tra gli storici, i mercanti fenici raggiungono la Spagna, dopo aver fatto scalo in altre terre come Malta, Sicilia, Sardegna, isole Baleari, e fondano Gadeira, la Gades romana (Cadice). Hanno così superato le colonne d’Ercole e si sono avventurati, seppur per un breve tratto, nell’Oceano Atlantico. Da Gadeira si espandono nella Spagna meridionale dove fondano altre città come Tartesso e Malaga, alla ricerca di minerali, argento in particolare, che scambiano con olio, vino, ceramiche. Dopo Gadeira è la volta di Utica, nell’Africa settentrionale, di Lixus in Marocco, Lepqy (o Leptis) in Tripolitania; Antas, Sulcis e Tharros in Sadegna; Panormos (Palermo), Solunte, Mozia in Sicilia; Ibiza nelle Baleari, Gaulos (Gozo) a Malta. In breve tempo tutto il Mediterraneo, da ovest a est, conosce la presenza di scali ed empori commerciali fenici e, a partire dall’VIII secolo a.C., l’insediamento stabile della popolazione, spinta a migrare dalla pressione assira.


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ne ed esplorano le coste atlantiche giungendo a nord fino alle Cassiteridi (isole britanniche) ricche di stagno e a sud fino al Camerun, alla ricerca della polvere d’oro. La città punica usa la moneta, ma non disdegna il baratto con le zone più arretrate del Mediterraneo occidentale. La grandezza acquisita la porta a essere, a sua volta, fondatrice di colonie come Cartagena e Sagunto in Spagna. Per Cartagine i contatti con gli etruschi e i greci diventano ben presto necessari e inevitabili. I primi, specializzatisi nella produzione e nel commercio dei metalli, aprono scali, porti ed empori sulla costa tirrenica. L’arrivo della colonizzazione greca nel Mediterraneo occidentale, con la fondazione di Massalia La colonia fenicia di Tharros.

Cartagine, la «Città Nuova» Tra tutte le colonie spicca Qartihadasht, la «Città Nuova», meglio conosciuta come Cartagine, fondata nel IX secolo a.C. sulle coste africane, in posizione strategica tra Mediterraneo occidentale e orientale. Quando la concorrenza commerciale etrusca e greca e il dominio politico assiro cominciano a offuscare la grandezza della madrepatria, Cartagine inizia a crescere e a espandersi nel Mediterraneo raggiungendo quel primato che le verrà conteso e poi sottratto solo da Roma. Città cosmopolita, ma legata alla tradizione fenicia, essa basa la sua economia sulla compravendita dei prodotti che circolano tra i due Mediterranei di cui è al crocevia. Le sue navi si spingono in ogni direzio-

Le rovine dell’antica Cartagine.

LA COLONIZZAZIONE FENICIA oceano Atlantico

Caucaso

mar Nero

Cadice Malaga Tangeri Rusaddir

Olbia

Ibiza Mastia Gunugu

Tharros Sulcis

Caralis Mozia Palermo Hippo Utica

Cartagine Adrumeto

Anato lia

Grecia

mar Mediterraneo Sabratin

Leptis Magna

Arado Biblo Sidone Berito Tiro

Cizio

Malta

Rodi Cipro Creta

Fenicia Egitto

ar

m

Zone in cui vennero fondate colonie fenicie

o ss

Ro


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Primo piano sull’economia

(Marsiglia), determina nel VI secolo a.C. l’alleanza militare tra etruschi e cartaginesi di cui i greci fanno le spese nella battaglia di Alalia. Da allora il Tirreno diventa il mare degli etruschi, che estendono la propria influenza alla Corsica e vivono il periodo di massimo splendore della loro civiltà.

La colonizzazione greca, caratterizzata dall’insediamento di popolazione, alleggerisce la pressione demografica in Grecia, la rifornisce delle materie prime di cui ha bisogno, crea mercati in grado di assorbire i suoi prodotti artigianali, come le ceramiche, famose in tutto il Mediterraneo. A differenza dei romani, i greci non creano un grande impero coloniale, in quanto esportano nei territori occupati lo spirito particolaristico che contraddistingue la madrepatria. I rapporti tra quest’ultima e le colonie rimangono di natura sostanzialmente economica, eccezion fatta per la stipula di alcune alleanze militari contro nemici comuni.

Prima e seconda colonizzazione greca Il rapporto dei punici con i greci è caratterizzato dall’ostilità e dalla competitività fin dall’VIII secolo a.C., quando inizia la seconda fase della colonizzazione ellenica. I greci, popolo tradizionalmente dedito all’agricoltura, dispongono di un territorio montuoso e povero di risorse, che li spinge a cercare fortuna sui mari: inizialmente l’Egeo, il Mediterraneo orientale e il Mar Nero. La prima colonizzazione, diretta nell’XI secolo verso le coste dell’Asia Minore, risolve solo in parte il problema; è con la seconda, a partire dal 750 a.C. circa, che inizia una massiccia e organizzata attività di colonizzazione del Mediterraneo, particolarmente intensa in Italia meridionale: in Campania e soprattutto Sicilia (tanto da far designare la regione con il nome di Magna Grecia), con la fondazione di Cuma, Siracusa, Naxos, Catania, poi Imera e Selinunte, a poca distanza dalle colonie fenicie, Gela, Agrigento. Il controllo dello stretto di Messina consente ai greci di entrare in competizione con i cartaginesi, creando una propria rotta commerciale verso il Tirreno, più a nord di quella punica, collocata all’altezza del canale di Sicilia.

La conquista romana dell’Italia e del Mediterraneo L’avvento della potenza di Roma modifica la geografia politica e le dinamiche economiche del Mediterraneo. I romani, originariamente pastori e agricoltori, in breve tempo si impongono sugli altri popoli italici. Favoriti dalla posizione geografica, dai rapporti con la civiltà etrusca e le colonie della Magna Grecia, grazie all’incremento demografico, all’aumento della produzione agricola, ai progressi tecnologici, creano centri urbani di dimensioni sempre più grandi e sviluppano mestieri artigianali specializzati che li inseriscono nei circuiti commerciali della penisola. Le trasformazioni economiche fanno venir meno l’egualitarismo originario e determinano il nascere delle classi sociali. Al secolo – il V a.C. – degli scontri interni (patrizi contro plebei)

LE COLONIE GRECHE Tanais Olbia Panticapeo

Tyras Istro Marsiglia Emporion

Tomi

mar Nero

Nizza

Sinope

Apollonia

Dioscuride Fasi Trebisonda

Alalia Cuma Maronea Bisanzio Calcedonia Ischia Napoli Epidamno Cappadocia Cizico Paestum Cagliari Taranto Mitilene Sibari Sulci Asia Minore Lesbo Solunto Messina Crotone Palermo Smirne Locri Atene Efeso Mozia Reggio Aspendo Selinunte Sparta Mileto Catania Cartagine Agrigento Side Siracusa Gela Rodi Rodi Sidone Thapsus

Tharros Sexi Malaga Saldae

mar Mediterraneo

Leptis Magna

Fenicia Tiro

Apollonia Barca Cirene

Naucrati

Palestina

Territori greci prima dell’VIII sec. a.C. Territori greci nei secc. VIII-VI a.C. Zona di influenza greca Zona di influenza fenicia Colonie greche Colonie fenicie


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LA MASSIMA ESTENSIONE DELL’IMPERO ROMANO Britannia

Province Territori conquistati dai successori di Augusto (14-117) Territori conquistati da Traiano (114-117)

no Re

oceano Atlantico

Rezia

Gallia Gallia Narbonense

Norico Dacia

Gallia Cisalpina

Italia

Spagna

Danubio

Dalmazia

mar Nero

Mesia

Corsica

Roma

Macedonia

Sardegna

Bitinia Asia

Sicilia

Acaia

Cap

pa

do

a ci

Galazia Cilicia

mar Mediterraneo Giudea

Me

ri

Siria

Numidia

g Ti

Mauritania

Armenia

Ponto

Tracia

so

Euf

pot

rate

amia

Cirenaica Nilo

Egitto

ed esterni (per la supremazia nel Lazio), subentra il felice periodo delle riforme, che creano una più estesa classe dirigente patrizio-plebea, allargano la base sociale degli organismi politici, rafforzano l’esercito. Roma può così lanciarsi alla conquista dell’Italia e del Mediterraneo, inglobando all’interno del suo territorio le città-stato e gli imperi più famosi dell’antichità. Nel IV e III secolo a.C. vengono fondate le prime colonie in Italia centrale, fra Rimini e Venosa, fra Cosa e Ponza; l’espansione prosegue verso l’Italia meridionale e settentrionale. Abbattuta la potenza di Cartagine, in tarda età repubblicana, periodo di grave crisi dello stato romano, continua la crescita delle colonie fuori dell’Italia: con Cesare ne vengono fondate più di 30, dalla Spagna all’Asia Minore; Cartagine e Corinto, distrutte dai romani, sono ricostruite come possedimenti di Roma. I successori di Cesare e poi l’imperatore Augusto ne fondano più di 80 e il processo di colonizzazione continua fino al II secolo d.C. Le colonie offrono le risorse di cui le grandi città dell’impero hanno bisogno, prima fra tutte la capitale (la cui popolazione ammonta a più di un milione di abitanti nel periodo della massima espansione): cereali e metalli soprattutto, ma anche articoli di lusso come seta, lino, bisso, papiro, perle, spezie, profumi. L’Italia esporta nelle province, prima del loro sviluppo agricolo e artigianale, olio, vino, oggetti di metallo, ceramiche. La pax romana, garantita dall’imperatore Augusto, consente al sistema commerciale di svi-

Arabia Petrea

lupparsi senza sosta grazie alle vie di terra ma soprattutto a quelle di mare. Le coloniae, fin dalla loro costituzione, godono di minore autonomia rispetto ai municipia, ma manifestano ovunque l’immagine e la grandezza di Roma. La concessione della cittadinanza romana, prima agli italici, poi alle elite meritevoli o a intere città dei territori colonizzati, le province, infine a tutti i residenti liberi dell’impero rafforza il potere politico, militare ed economico di Roma e favorisce la romanizzazione di tutti i territori colonizzati. 1 Costruisci una linea del tempo per periodizzare le fasi delle varie colonizzazioni di cui si è parlato. 2 Individua le caratteristiche specifiche delle

colonizzazioni fenicia, greca e romana e ponile a confronto. Che cosa puoi osservare? 3 Quali sono le più significative differenze

tra la colonizzazione antica e il colonialismo moderno e contemporaneo? Bibliografia F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, Bompiani, 1999. R. Cameron-L.Neal, Storia economica del mondo 1. Dalla preistoria al XVII secolo, Bologna, Il Mulino, 2002. M.H. Fantar, Fenici e Cartaginesi, Milano, Jaka Book, 1997. A. Giardina (a cura di), Roma antica, Bari, Laterza, 2000.


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Primo piano sull’economia

9. L’ECONOMIA SCHIAVILE PRESSO I POPOLI DELL’ANTICHITÀ «Il mondo pregreco – il mondo dei sumeri, dei babilonesi, degli egizi, degli assiri, e non riesco ad astenermi dall’aggiungere i micenei – fu, veramente, un mondo senza uomini liberi, nel senso in cui l’Occidente è giunto a interpretare questo concetto. Fu, allo stesso tempo, un mondo nel quale il possesso degli schiavi nel senso più appropriato della parola non giocò un ruolo di qualche rilievo. Anche questa fu una scoperta greca. Un aspetto della storia greca, insomma, è il procedere, mano nella mano, di libertà e schiavitù». M.I. Finley, Economia e società nel mondo antico, Bari, Laterza, 1984, p. 150.

Questa citazione di Moses Israel Finley, famoso storico ed etnologo statunitense naturalizzato britannico, ci aiuta a entrare nell’argomento di questa scheda, che si propone di evidenziare il diverso ruolo che la schiavitù ha rivestito nell’età antica: in alcuni casi, come presso le civiltà idrauliche, essa ha assunto un’importanza marginale, in altri – è il caso del mondo greco, ma soprattutto romano – è divenuta il fondamento dell’economia, punto di forza, ma alla lunga anche di debolezza dell’intero sistema.

La schiavitù presso i popoli delle civiltà idrauliche La schiavitù, assente presso le più antiche società di cacciatori-raccoglitori, nasce con le rivoluzioni agri-

cola e urbana, quando si creano società complesse basate sulla divisione del lavoro. L’accentramento del potere e delle proprietà nel palazzo reale o nel tempio costringe la maggior parte della popolazione a vivere in condizione di subalternità e di povertà, impegnata nei lavori agricoli, nelle opere idrauliche, nella costruzione di imponenti monumenti ed edifici pubblici, nel servizio militare. Gli schiavi non si distinguono particolarmente dal resto della popolazione controllata dall’autorità centrale se non per la loro origine: la perdita della libertà personale è infatti conseguenza dell’essere divenuti prigionieri di guerra o insolventi per debiti. Privi di diritti civili e politici, rappresentano una manodopera conveniente, da utilizzare a fianco dei contadini nei più duri lavori dei campi e nelle miniere. Le testimonianze sulla vita degli schiavi presso le antiche società idrauliche sono scarse; sembra che in Egitto essi si siano potuti in taluni casi affrancare giungendo a ricoprire importanti incarichi al servizio della corte o nell’esercito; per quanto riguarda la legislazione babilonese, sappiamo che venivano concessi loro alcuni diritti come quello di sposarsi e di commerciare in proprio.

L’economia schiavile greca Presso i greci la schiavitù è accettata come uno dei fatti dell’esistenza umana. Lo mostrano i poemi omerici nei quali si dà per scontato che esistano la schia-

Schiavi impegnati nella preparazione del pane; quasi tutti i lavori manuali venivano svolti dagli schiavi.


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Su questa stele funeraria è scolpita una scena di vita quotidiana: una schiava accudisce il figlio della padrona. Le donne greche, alle quali era preclusa l’attività politica, venivano educate esclusivamente alle arti femminili.

Schiavi costretti a lavorare nelle miniere. m

vitù maschile e quella femminile: le donne dello schieramento nemico vengono infatti prese prigioniere e costrette in casa dei vincitori ai lavori più umili e al concubinaggio. La condizione di schiavo si colloca all’estremità inferiore della gerarchia sociale; in quella superiore vi è il cittadino libero; tra la prima e l’ultima si collocano altre quattro condizioni di dipendenza: il liberto, lo schiavo affrancato sotto condizione, il servo per debiti, l’ilota spartano. Tra queste, la schiavitù si adatta meglio di ogni altra a essere impiegata in economia. Nella società greca esiste il lavoro dipendente libero, ma a esso si affianca quello schiavile utilizzato nella maggior parte delle attività, produttive o improduttive che siano, eccezion fatta per gli incarichi pubblici e politici, le libere professioni, l’esercito. Massiccio è l’impiego in agricoltura, sulla quale si regge l’economia dello stato, nelle miniere e cave, nei lavori domestici; meno consistente nelle manifatture, nelle attività commerciali e bancarie. Per dare un’idea dell’alto numero di schiavi presenti nelle varie città greche e impiegati in attività di vario tipo, vale come esempio la stima calcolata per Atene, la città-stato famosa per le sue istituzioni democratiche, nel periodo della sua massima espansione che va dal V al IV secolo a.C.: circa 60 000-80 000 unità. A Sparta, invece, gli schiavi propriamente detti sono in numero più ridotto, mentre elevate sono le cifre relative agli iloti, popola-

zione servile sottomessa dagli spartiati e appartenente allo stato. Il rifornimento degli schiavi avviene soprattutto in due modi: a seguito di guerre e azioni di pirateria (in questo caso sono privati della libertà uomini, donne e bambini) e attraverso un vero e proprio traffico commerciale che interessa in particolare il Mar Nero e le regioni della Tracia, della Scizia e della Cappadocia. Una percentuale esigua di essi è invece costituita dai condannati ai lavori forzati e dai bambini non desiderati che vengono esposti. La maggior parte degli schiavi è quindi di origine straniera, non greca. L’accettazione della condizione della schiavitù da parte sia dei liberi sia dei sottomessi si esprime in vari modi: il lavoratore libero non protesta per la concorrenza dello schiavo, anche nei periodi di crisi economica; alcuni schiavi combattono per i loro padroni; si ha notizia di fughe, ma mai di rivolte da loro organizzate; l’aspirazione a una migliore condizione di vita e all’affrancamento non mettono in discussione l’istituto della schiavitù.

L’economia schiavile romana La schiavitù assume, presso i romani, una straordinaria importanza in campo economico. Essa si diffonde, in età repubblicana, a seguito dell’asservimento per debiti, ma si sviluppa enormemente con lo straordinario numero di prigionieri condotti a Roma a seguito delle


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Primo piano sull’economia

Stele che raffigura un avvocato, sdraiato sul triclinio, con il suo schiavo.

guerre di conquista nel Mediterraneo, dal III secolo a.C. fino al III d.C., quando l’impero raggiunge la massima estensione. Il rifornimento degli schiavi avviene inoltre attraverso un vero e proprio commercio, praticato in Europa orientale, Asia, Africa e nell’Urbe. Altre cause all’origine della perdita della libertà personale sono dovute, come in Grecia, ai reati commessi e, nel caso dei bambini e fanciulli, all’esposizione dei non desiderati e al rapimento. Il numero degli schiavi arriva così a superare nettamente quello dei liberi. A Roma e nelle province gli schiavi sono utilizzati in campagna o in città. Le condizioni di vita e di lavoro sono migliori nei centri urbani rispetto alle aree rurali, dove gli schiavi, considerati poco più degli animali, lavorano nei latifondi e nelle ville padronali sotto il controllo di fattori o vilici (in genere ex schiavi) e subiscono un duro trattamento: maltrattamenti e non di rado l’uccisione. In città la condizione più diffusa è quella di domestici e servitori presso le più ricche famiglie, ma molti sono gli schiavi impiegati dallo stato in una molteplicità di mansioni di pubblico interesse: costruzione di strade e ponti, manutenzione e sorveglianza di magazzini, terme e altri edifici, lotta nel circo come gladiatori ecc. I più istruiti giungono a ricoprire importanti incarichi amministrativi e finanziari; possono godere di un migliore tenore di vita e sperare in un avanzamento della loro condizione fino a giungere alla libertà. Il tema della schiavitù solleva nell’Urbe accesi dibattiti da parte degli stoici e di Seneca; a differenza della Grecia, dove comunque le condizioni di chi ha

perduto la libertà sono migliori rispetto a Roma, gli schiavi organizzano delle rivolte, le più famose delle quali sono quelle di Euno e Spartaco, che vengono sistematicamente represse; l’istituto della schiavitù, in definitiva, non viene messo in discussione dallo stato per l’importanza economica che esso riveste. In età imperiale le condizioni degli schiavi migliorano gradualmente, anche per influenza dello stoicismo e del cristianesimo, e vengono introdotti il peculium e la manumissio. Il primo consiste in una somma di denaro che il padrone concede al suo schiavo affinché egli possa intraprendere un’attività artigianale, gli utili della quale andranno in parte anche al dominus. La buona riuscita dell’attività, alla lunga, offre alla schiavo la possibilità di diventare libero e di gestire l’attività economica in proprio. La manumissio è invece il vero e proprio affrancamento, che può avvenire per disposizione testamentaria o essere ufficializzato tramite lettera o iscrizione presso l’Atrium libertatis. Lo schiavo acquisisce lo status di liberto e di cittadino romano; restano però degli obblighi nei confronti del padrone che lo ha liberato, che si traducono in giornate di lavoro da prestare gratuitamente ogni anno.

Società schiavile e crescita economica L’economia schiavile romana entra in crisi a partire dal III secolo d.C. con la diminuzione degli schiavi dovuta al venir meno dell’espansione romana, fonte di coUno schiavo bambino attende il rientro del suo padrone con la lanterna accesa.

La cattura di uno schiavo.


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Il lavoro forzato rappresenta una delle forme contemporanee di schiavitù.

stante approvvigionamento, e all’aumento del numero degli affrancamenti. Nel V secolo d.C. l’Impero Romano d’Occidente, travagliato anche dalla crisi politica e religiosa, dietro la spinta delle invasioni/migrazioni germaniche cade; nascono nuovi rapporti di dipendenza, di tipo servile, che entrano a caratterizzare la società altomedievale. La storiografia imputa il declino economico di Roma all’assenza di creatività tecnologica, legata all’organizzazione schiavile: pur in presenza di invenzioni, non sono interessati ad applicarle, né gli schiavi, la cui condizione non cambierebbe con l’introduzione delle macchine, né le elite occupate nella guerra, nella politica e nel divertimento. Possiamo quindi asserire con R. Cameron-L. Neal che “una società fondata sulla schiavitù può produrre grandi capolavori nell’arte e nella letteratura, ma non può produrre una crescita economica sostenuta».

Forme di schiavitù dei nostri giorni La schiavitù, diffusa al di fuori dell’Europa durante il periodo del primo colonialismo, abolita negli Stati Uniti dopo la guerra di secessione e in molti altri paesi del mondo nel corso del XIX e XX secolo, attraverso l’applicazione di norme legislative, conosce nell’era della globalizzazione nuove forme, presenti sia nei paesi del Sud del mondo sia in Occidente. Esse si traducono in lavoro forzato, tratta dei migranti e sfruttamento sessuale, soprattutto ai danni di bambini più poveri, donne e altri gruppi socialmente di-

scriminati. Secondo l’ultimo rapporto ONU sarebbero più di 20 milioni le persone ancora oggi vittime di schiavitù nel mondo. 1 Individua le principali somiglianze e diffe-

renze tra le varie economie schiavili di cui si è parlato nella scheda. 2 Secondo la storiografia, quale rapporto si è creato tra economia schiavile e crescita economica nella Roma tardo imperiale? 3 Individua alcune fonti di documentazione

riferite all’Italia e al mondo (dichiarazioni dei diritti, costituzioni, testi legislativi…) nelle quali siano presenti articoli o norme contro la schiavitù; considera il periodo in cui sono state emanate e ponile a confronto. 4 Effettua una ricerca su una delle forme di

schiavitù contemporanee e discuti i risultati con i compagni e l’insegnante. Bibliografia A. Angela, Una giornata nell’antica Roma, Milano, Mondadori, 2007. R. Cameron-L. Neal, Storia economica del mondo, vol I, Dalla Preistoria al XVII secolo, Bologna, Il Mulino, 2002. M.I. Finley, Economia e società nel mondo antico, Bari, Laterza, 1984. D. Vascellaro, Dall’arco alla caravella. Formazioni economiche e sociali del mondo preindustriale, Faenza, Polaris, 1998.


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Primo piano sull’economia

10. ECONOMIA E PAESAGGIO AGRARIO DALL’IMPERO ROMANO AL SACRO ROMANO IMPERO Dal V al X secolo d.C. economia e paesaggio agrario subiscono un significativo processo di trasformazione, sul quale gli storici hanno discusso proponendo interpretazioni differenti. La storiografia si è divisa tra coloro che hanno evidenziato la discontinuità tra mondo romano e altomedievale, attribuendola o alle invasioni germaniche o al ruolo svolto dal’Islam, e coloro che invece hanno sostenuto esservi stata continuità e trasformazione graduale. Gli uni e gli altri concordano tuttavia nel ritenere che il periodo considerato sia stato caratterizzato da diminuzione della popolazione e generale impoverimento materiale. Entriamo nel vivo dell’argomento prendendo in considerazione tre formazioni economiche: villa, curtis e abbazia, che caratterizzano sia l’economia sia il paesaggio agrario nel periodo che va dal tardo Impero Romano al Sacro Romano Impero e che ci aiutano a descrivere il momento iniziale e quello finale del processo di trasformazione di cui ci occupiamo.

10.1 VILLA ROMANA Il fenomeno delle ville romane si diffonde in tarda età repubblicana (II-I secolo a.C.) quando un ricco ceto imprenditoriale, affermatosi a seguito delle guerre per la conquista dell’Italia, trasforma le fattorie preesistenti, collocate nel suburbio, in vere e proprie ville. Esse si caratterizzano dal punto di vista edilizio perché realizzate in calcestruzzo, rivestito con la tecnica dell’ “opera incerta” (più tardi con quella «reticolata»), e dotate di due parti: quella residenziale, per il padrone, simile alla domus urbana, e quella rustica, fornita di tutte le strutture e attrezzature necessarie per il lavoro agricolo e la conservazione dei prodotti, come grano, olio e vino.

La villa in età repubblicana La letteratura latina ci offre, in età repubblicana, alcune descrizioni delle ville romane e del loro funzionamento, in particolare nel De agri coltura di Catone e nel De re rustica di Varrone.

Nel mosaico di Tabarka (Tunisia), una villa fortificata circondata da un giardino con piante e animali.


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schiavi, considerati strumenti da far rendere al massimo, integrati da lavoratori esterni liberi, assunti mediante contratto. L’opera di Terenzio Varrone, vissuto tra il II e I secolo a.C., più di cento anni dopo Catone, considera la villa come luogo non solamente di attività produttiva (su questo aspetto quanto egli dice non differisce sostanzialmente da quanto sostenuto dall’altro autore), ma anche di otium a contatto con la bellezza della natura. Alla fattoria rustica descritta da Catone si sostituisce una grande tenuta parte della quale è occupata dal parco, dalla piscina e da una riserva di caccia. La residenza padronale è sontuosa, arricchita di portici, statue provenienti dalla Grecia, fontane, palestra, biblioteca, terme. Quella descritta da Varrone è una villa perfecta, che integra al meglio gli aspetti produttivi con quelli residenziali. In tarda età repubblicana le ville si diffondono capillarmente nel territorio suburbano, modificandone il paesaggio agrario, così come nell’Italia meridionale e settentrionale.

La villa in età imperiale

Statua raffigurante Varrone conservata a Rieti.

Catone, proveniente da una famiglia di proprietari terrieri ed egli stesso latifondista, nella sua opera evidenzia l’importanza dell’agricoltura che viene anteposta al commercio e considerata l’attività più sicura e redditizia. Tra i consigli dati agli interlocutori, proprietari come lui, quello di praticare l’allevamento del bestiame e di coltivare non tanto grano quanto vite, ortaggi, ulivi; la commercializzazione dei prodotti ricavati garantisce infatti maggiori profitti. Di qui l’attenzione al sistema delle comunicazioni con le città e i mercati, privilegiando le vie d’acqua su quelle di terra. Altro tema affrontato nello scritto è quello della gestione delle proprietà da parte del dominus: la sua presenza all’interno della fattoria è essenziale per controllare l’operato del vilicus ed evitare che questi goda di un’eccessiva autonomia. A tal proposito si dà rilievo all’interno della proprietà alla parte destinata a residenza padronale. Per quanto riguarda l’impiego della manodopera, si consiglia l’uso soprattutto di

Le ville, che presentano originariamente dimensioni contenute, si accrescono in età imperiale quando la parte residenziale viene notevolmente ampliata, anche grazie allo spazio disponibile e talvolta a spese delle coltivazioni, fino a coprire superfici pari a diversi ettari. Lo testimoniano Villa Adriana, fatta costruire nei pressi di Tivoli dall’imperatore Augusto, e altri complessi grandiosi sorti lungo le vie Latina, Tuscolana, Appia, Casilina e altre. Appartenenti per lo più a esponenti dell’ordine senatorio provenienti dalle province, che nelle proprietà investono parte delle ricchezze accumulate, le ville dispongono, come le domus urbane, di vari ambienti: vestibulum, atrium, impluvium (per raccogliere le acque piovane), triclinium (sala da pranzo), cubicola (camere da letto), peristilium (giardino porticato), tablinium (sala di ricevimento), latrina. La parte rustica ospita, invece, magazzini per la raccolta dei prodotti agricoli, torchi e frantoi, attrezzi di vario tipo nonché gli alloggi per gli schiavi, il cui impiego, sotto il controllo dei vilici, è di fondamentale importanza ai fini della produzione. Le ville rappresentano un settore di punta dell’economia schiavile romana: esse, che si vanno differenziando tra l’Italia e le province per la coltivazione intensiva o estensiva, producono soprattutto per il mercato


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Primo piano sull’economia

esterno e urbano e sono localizzate in posizione strategica nelle zone che conducono al mare, alle strade, alle città e agli acquedotti imperiali che forniscono un approvvigionamento continuo di acqua. Stimolate da un’intensa domanda del mercato, incrementano la produzione di grano, olio, vino e l’allevamento del bestiame; vi si lavorano prodotti artigianali di legno, paglia, argilla. La gestione di proprietà di dimensioni sempre più grandi diventa però, con il tempo, sempre più difficile, per cui si assiste non di rado alla suddivisione della terra in lotti, concessi in affitto a coloni; la schiavitù non per questo viene meno, in quanto gli schiavi si pongono al servizio degli affittuari sui quali continua a essere esercitato il controllo del vilicus.

Crisi dell’impero romano e trasformazione della villa A partire dal II secolo, ma più ancora nel III e IV secolo d.C. l’economia schiavile romana comincia a entrare in crisi sia per la difficoltà di reperire la manodopera servile, a seguito della fine delle guerre di conquista, sia per un processo di involuzione economica che

L’esterno della sontuosa villa Adriana a Tivoli.

Particolare di uno dei mosaici decorativi conservati nella Villa del Casale di Piazza Armerina, in provincia di Enna: si tratta di una delle famose “fanciulle in bikini”.


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Il frigidarium della Villa del Casale, cioè la zona allestita per effettuare bagni in acqua fredda.

interessa gli scambi commerciali. Di conseguenza cresce il fenomeno, cui si è già accennato, di articolazione delle grandi proprietà terriere in lotti affittati a coloni di diversa condizione sociale e provenienza: liberi, liberti, ma anche schiavi o barbari. La villa schiavistica si trasforma così in una grande o enorme proprietà, costituita di tanti poderi, i cui proprietari sono imperatori, generali, ricchi esponenti della gerarchia equestre. Essa si diffonde in tutte le zone d’Italia, comprese quelle settentrionali, caratterizzate per diverso tempo dalla media e piccola proprietà. La conduzione della terra si viene trasformando: mentre i singoli lotti sono lavorati dai coloni o dai servi, la parte più propriamente padronale è coltivata dagli schiavi e occasionalmente dai coloni stessi, obbligati a prestazioni d’opera. Questa caratteristica, assieme a quelle di autonomia fiscale, amministrativa e giuridica nei confronti del potere centrale che le ville tendono ad assumere, anticipa aspetti tipici della curtis altomedievale.

1 Ricerca delle immagini di ville romane del periodo repubblicano e imperiale e descrivile considerando l’area di insediamento, le caratteristiche architettoniche della parte residenziale e l’organizzazione di quella rustica. 2 Sulla base delle osservazioni scaturite

dall’esercizio precedente e delle informazioni presentate nella scheda, evidenzia i cambiamenti intervenuti nelle ville nel passaggio dal periodo repubblicano a quello imperiale. 3 Con la crisi dell’impero romano, quali tra-

sformazioni si verificano nei latifondi anticipando aspetti della curtis altomedievale? Bibliografia E. Sereni, “Agricoltura e mondo rurale”, in Storia d’Italia 1 – I caratteri originali, Torino, Einaudi, 1981. A. Giardina e A. Schiavone (a cura di), Società romana e produzione schiavistica, Bari, Laterza, 1981. A. Giardina (a cura di), Roma antica, Bari, Laterza, 2000. M. Montanari, Storia medievale, Roma-Bari, Laterza, 2002.


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Primo piano sull’economia

10.2 CURTIS Villa romana e curtis a confronto Mettendo a confronto due immagini riferite rispettivamente alla villa romana e alla curtis – di cui potrai prendere in esame il centro amministrativo e le varie proprietà – sarai sicuramente colpito dalla grande diversità, architettonica e organizzativa, rilevabile tra le due formazioni economiche. All’elegante edificio di età repubblica o imperiale, simile alla domus urbana, collocato in prossimità delle vie di comunicazione, si contrappone, nel IX-X secolo, un centro amministrativo molto più rustico ed essenziale, dove la dimora signorile con la sua torre, anch’essa austera, domina sulle altre costruzioni di legno, pietra o fango destinate a ospitare contadini liberi e servi, stalle, magazzini. Altre immagini possono aiutarti a individuare la specificità delle proprietà appartenenti alle curtes, che sono disseminate sul territorio alternandosi a terre appartenenti ad altre unità aziendali. Tra l’una e l’altra delle proprietà vedrai prevalere l’incolto, la palude, il bosco.

La pressione fiscale, per compensare la diminuzione delle entrate, gravava anche sull’utilizzo dei mulini.

Esaminate queste immagini verrà spontaneo chiedersi che cosa in pochi secoli (dal V al X) sia accaduto e quali fattori abbiano trasformato in modo così significativo il paesaggio agrario e l’organizzazione produttiva. Per rispondere a questi interrogativi e mettere a fuoco il processo di trasformazione che ha condotto dalla villa romana alla curtis, dovremo anzitutto soffermarci sul periodo del tardo impero romano e sugli elementi di debolezza che lo caratterizzano. La crisi e il mutamento che ne deriva, come la storiografia ha ampiamente evidenziato, sono legati a vari fattori tra loro interdipendenti: economici, sociali, politici, tecnologici, culturali, religiosi.

I fattori all’origine della crisi dell’Impero Romano d’Occidente

Intorno all’anno Mille gli elementi predominanti del paesaggio europeo erano boschi e foreste, dove i contadini portavano il bestiame al pascolo.

Nel III-IV secolo d.C. l’espansione territoriale dell’impero romano determina la necessità di intensificare la difesa dei suoi confini settentrionali e orientali stanziando contingenti di truppe, il pagamento delle quali richiede una continua emissione di moneta. I costi di tale operazione portano a una crescente inflazione con conseguente aumento dei prezzi. I flussi commerciali, che in passato avevano garantito entrate consistenti da destinare all’organizzazione della macchina statale, diventano più difficili a causa dell’interferenza delle popolazioni germaniche, che


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premono sui confini dell’impero, ai saccheggi, agli attacchi dei predoni e dei pirati. Per compensare la diminuzione delle entrate aumenta la tassazione, versata anche in natura e con conseguente contrazione degli scambi in moneta, che colpisce soprattutto i piccoli proprietari, poiché molti latifondi sono esenti da imposte. La pressione fiscale, che non riesce comunque a coprire i costi di una burocrazia e di un esercito parassitari, determina l’esodo dai campi dei piccoli proprietari terrieri, che vanno a rifugiarsi presso le grandi ville rurali ove ottengono protezione e lavoro. Tra gli altri fattori, abbiamo già fatto cenno, nella scheda 9, al peso che sulla crisi economica ha l’assenza di creatività tecnologica legata all’organizzazione schiavile della società. Dobbiamo inoltre considerare il ruolo esercitato dal cristianesimo, la cui affermazione mette

in discussione la cultura e la religione sino ad allora dominanti. Nonostante le riforme attuate dagli imperatori Diocleziano e Costantino per arginare le difficoltà in cui si dibatte l’impero, la parabola discendente continua per la parte occidentale di esso fino alla caduta del 476 d.C.: mutamenti climatici che influiscono negativamente sulle coltivazioni, diffusione della peste, corruzione, anarchia politica e guerre civili, scorrerie e invasioni dei popoli germanici determinano un progressivo calo demografico e l’impoverimento. Le città si spopolano, le vie di comunicazione diventano insicure, avanzano le aree incolte e improduttive, il centro della vita economica si sposta nelle campagne dove i villaggi diventano l’insediamento abitativo più diffuso. L’arrivo dei popoli germanici accelera il processo di trasformazione dei grandi latifondi, avvenuto, come abbiamo 1. Castello; 2. Abitazioni dei servi; 3. Stalle e magazzini; 4. Mansi; 5. Abitazioni dei massari; 6. Pascolo; 7. Foresta.

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PARS DOMINICA

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PARS MASSARICIA 4

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Primo piano sull’economia

Nell’Alto Medioevo si ritornò a un’economia prevalentemente agricola.

già visto nella scheda precedente, nel periodo del tardo impero romano quando, anche in conseguenza del venir meno della manodopera schiavile, la proprietà viene divisa in lotti affidati a contadini affittuari.

verse parti: dominica e massaricia, distribuite in modo sparso sul territorio. La prima, che comprende il 2030% del totale della terra arabile della proprietà, la dimora del signore e altri edifici come magazzini, stalle, officine, viene gestita dal dominus: egli, direttamente o attraverso propri delegati, sovraintende ai lavori agricoli eseguiti dai servi, che vivono stabilmente sulla terra padronale ricevendo vitto e alloggio. La parte massaricia è invece costituita di diversi lotti di terreno, aperti, i cosiddetti mansi, affidati a coloni dietro il pagamento di un canone di affitto in denaro o in natura. I contadini si stabiliscono con la propria famiglia in casolari o cascine isolate o all’interno di villaggi prossimi alla terra concessa in locazione, che lavorano usando attrezzi e animali propri o messi in comune con coloni di mansi vicini. Il contratto stipulato con il dominus li obbliga a prestare sulla parte dominica un certo numero di giornate obbligatorie di lavoro, le corvées, svolte assieme ai servi quando vi è bisogno di concentrare le forze. Le corvées sono costituite anche da altri lavori non propriamente agricoli, come la manutenzione di strade o il trasporto e immagazzinamento di merci per gli uomini, la filatura e tessitura presso la proprietà padronale per le donne, i servizi nella casa del signore per i bambini. Il sistema di lavoro della curtis è impegnativo e coercitivo, lascia poco spazio alla libera iniziativa. Il contadino può comunque utilizzare le aree incolte: prati, pascoli, boschi, fatti salvi alcuni particolari diritti del

Il sistema curtense e la sua organizzazione Se in età longobarda la nuova economia basata sulla terra dà luogo a una varietà di forme di proprietà e di contratti, nei quali hanno scarsa rilevanza le corvées, nell’età carolingia la situazione tende a uniformarsi con la nascita del sistema curtense, prima nei territori della Loira e del Reno, successivamente in Italia, dopo la conquista franca. Le curtes, che rappresentano in molti casi la continuazione delle ville romane, sono aziende agricole di estensione varia – da pochi ettari agli oltre 10 000-20 000 delle proprietà regie – appartenenti a sovrani, potenti laici, monasteri o sedi vescovili che possono controllarne e gestirne diverse (Carlo Magno ne aveva centinaia), assegnandole in questo caso come beneficio feudale a signori minori o amministratori laici. La curtis si caratterizza per la sua divisione in due di-

La miniatura rappresenta dei contadini che raccolgono il miele. Nel Medioevo lo zucchero era ancora sconosciuto e si usava il miele sia come dolcificante dei cibi sia nella preparazione di farmaci.


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do lavoratori dipendenti, dall’altra concentra energie umane nell’opera di colonizzazione e di espansione dell’agricoltura, attraverso la bonifica di nuove terre dove nascono altre curtes; favorisce alcuni miglioramenti tecnologici, come il mulino ad acqua; con la diminuzione progressiva della parte dominica a vantaggio della massaricia incentiva l’intraprendenza dei coloni ivi insediati. Da questo punto di vista, evidenzia lo storico Massimo Montanari, «l’affermazione del sistema curtense gettò le basi per una ripresa economica capace di sopravvivere al quadro politico dell’impero carolingio, che l’aveva sostenuta e orientata». 1 Prova a elaborare, anche con l’aiuto

dell’insegnante, una mappa concettuale che evidenzi l’interdipendenza dei fattori economici, politici, sociali, tecnologici, culturali e religiosi all’origine della crisi dell’Impero Romano d’Occidente. 2 Sulla base delle informazioni fornite dalla

I lavori agricoli in un calendario altomedievale.

signore, per prelevare legna, allevare maiali, raccogliere frutti spontanei; inoltre, grazie alle annate di buoni raccolti e coltivando abusivamente qualche piccola area incolta, può incrementare il prodotto agricolo e venderlo ai mercati locali ottenendo un modesto ma utile guadagno.

Affermazione del sistema curtense e ripresa economica Il sistema curtense, con la sua particolare organizzazione della terra e del lavoro umano, determina un più intenso sfruttamento delle proprietà agricole e la produzione di eccedenze dirette verso le altre curtes e i mercati. A questo proposito occorre sottolineare che la storiografia più recente ha messo in discussione la precedente interpretazione secondo la quale la produttività delle curtes sarebbe stata legata alla sola sussistenza. Pur ammettendo che l’obiettivo minimo del sistema curtense fosse legato al raggiungimento dell’autosufficienza, gli studiosi evidenziano come il nuovo tipo di organizzazione abbia introdotto nei secoli VIII e IX un certo dinamismo economico. Se da un lato, quindi, il sistema curtense rafforza il predominio dell’aristocrazia laica ed ecclesiastica costringendo molti piccoli proprietari a cedere la loro terra diventan-

scheda e di altre ricercate nel manuale e in altre fonti di documentazione, costruisci una tabella che ponga a confronto villa romana e curtis, utilizzando i seguenti indicatori: a) localizzazione, b) datazione, c) organizzazione del territorio, d) proprietario, e) lavoratori, f) tassazione, g) scambi economici, h) situazione politica, i) situazione religiosa. 3 Prosegui l’attività dell’esercizio preceden-

te costruendo un breve testo storiografico che evidenzi i mutamenti e le permanenze riscontrabili nel passaggio dalla villa romana alla curtis. 4 Quale rapporto, secondo la storiografia, è possibile individuare tra il sistema curtense e la ripresa economica del Basso Medioevo? Bibliografia A. Barbero-C. Frugoni, Medioevo. Storia di voci, racconto di immagini, Roma-Bari, Laterza, 1999. R. Bordone-G. Sergi, Dieci secoli di Medioevo, Torino, Einaudi, 2009. R. Cameron-L. Neal, Storia economica del mondo. I Dalla Preistoria al XVII secolo, Bologna, Il Mulino, 2002. M. Montanari, Storia medievale, Roma-Bari, Laterza, 2002. M. Montanari-R. Rinaldi, “La conquista della terra”, in Medioevo, luglio 1999, De Agostini-Rizzoli Periodici.


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Primo piano sull’economia

10.3 ABBAZIA Il termine abbazia deriva da abbas (“abate”) e indica la comunità monastica governata dall’abate, ma anche l’insieme degli edifici che ospitano i religiosi, destinati ad abitazione, ai servizi e al lavoro, e la proprietà terriera più o meno estesa che da essi dipende. Nel periodo dell’Alto e Basso Medioevo le abbazie svolgono un’importante funzione religiosa, culturale, ma anche economica – al pari delle curtes di cui abbiamo parlato nella scheda precedente – che andremo ora a indagare.

Le origini del monachesimo Il monachesimo nasce in Oriente, come pratica religiosa ascetica proposta da eremiti quali Antonio, g Pacomio, Basilio, e in seguito si diffonde in Occi-

San Benedetto da Norcia rappresentato da Andrea Mantegna: si tratta di una tempera su pannello conservata presso la Pinacoteca di Brera, a Milano.

dente, contemporaneamente alle migrazioni-invasioni germaniche. Il suo successo a Roma, nel IV secolo d.C., è dovuto all’opera di un personaggio carismatico come San Girolamo. Nel V secolo si configura come movimento più organizzato il cui compito, riconosciuto dalla Chiesa cattolica, è quello di diffondere la tradizione ascetica orientale. Durante la dominazione ostrogota in Italia, famosa diventa la scelta di Cassiodoro, funzionario del re Teodorico, di ritirarsi in solitudine in un monastero a Vivarium, in Calabria, per dedicare gli ultimi anni della sua vita alla contemplazione e allo studio.

La regola benedettina Ben presto i movimenti monastici vengono regolamentati; tra le varie regole risalenti al periodo dell’Alto Medioevo, la più famosa è quella dettata da Benedetto da Norcia, nato probabilmente alla fine del V secolo, fondatore di vari monasteri il più famoso dei quali è quello di Montecassino. Secondo Papa Gregorio Magno, biografo di San Benedetto, la regola si sarebbe ispirata ad altre, scritte in precedenza. L’abbazia benedettina, organizzata secondo il modello cenobitico, organizza la propria vita sulla base del principio dell’ora et labora (“prega e lavora”): i monaci sono impegnati nella preghiera, nello studio e nel lavoro manuale la cui funzione è quella di allontanare l’ozio negli intervalli tra un momento liturgico e l’altro. La storiografia concorda nel ritenere che il lavoro principale dei benedettini sia quello, faticoso, dello scriptorium (copiatura e illustrazione di libri), mentre si divide sull’effettivo impiego dei monaci nei lavori agricoli dell’abbazia. Chiara Frugoni, per esempio, famosa medievista italiana, osserva che la Regola proibiva ai religiosi di uscire all’esterno del monastero senza espressa autorizzazione dell’abate e che i monaci, provenienti per lo più da famiglie di condizione sociale elevata, avrebbero accettato di lavorare nei campi solo in via eccezionale e come atto di penitenza. Nell’ordinarietà, quindi, la coltivazione delle terre dell’abbazia sarebbe stata affidata a coloni e servi alle dipendenze del monastero, o che in esso si erano rifugiati a causa dell’insicurezza delle condizioni di vita; essi con il loro lavoro hanno preservato le proprietà dall’abbandono e dall’inselvatichimento, tipico del paesaggio altomedievale.


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1. Foresteria 2. Chiostro 3. Refettorio 4. Scriptorium 5. Orti 6. Cimitero 6

5

4

2

3

L’abbazia e il suo ruolo economico in età longobarda e carolingia L’invasione longobarda della fine del VI secolo modifica la situazione del monachesimo italiano. Il monastero di Montecassino viene raso al suolo (sarà in seguito ricostruito) e abbandonato dai benedettini, ma nel VII secolo, su concessione dei re longobardi, convertitisi al cristianesimo, nasce il monastero di Bobbio, rinasce quello di Farfa, si moltiplicano al nord ma anche al sud d’Italia abbazie il cui compito è quello di controllare il territorio, conservare le ricchezze longobarde, inquadrare dal punto di vista religioso le popolazioni rurali. Il monastero diventa, come la curtis, un’unità economica autosufficiente, che produce al suo interno tutto

1

ciò di cui ha bisogno ed esporta anche delle eccedenze in direzione dei mercati e delle fiere. Intanto sia in Italia che al di fuori di essa si diffondono altre regole che conoscono grande fortuna, come quella di San Colombano, sviluppata dal monachesimo irlandese. I monaci inglesi e irlandesi godono di grande fama; tra di essi San Bonifacio, vescovo e missionario impegnato nell’opera di evangelizzazione delle popolazioni germaniche. In età carolingia i centri monastici si diffondono ancora di più e si arricchiscono grazie alle donazioni di terre da parte dei sovrani. Le abbazie del nord, come quella di Bobbio, ispirata alla regola di San Colombano, svolgono un ruolo fondamentale nel campo


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Primo piano sull’economia L’interno dell’abbazia di San Colombano, a Bobbio.

Nei monasteri si studiava anche la musica.

dell’innovazione agricola, perché in contatto con altri centri monastici sorti al di là delle Alpi da cui mutuano nuove tecniche e colture, come quella del luppolo, impiegato nella produzione della birra. Anche quelle del centro-sud, benedettine e basiliane, grazie ai contatti con il mondo bizantino e orientale introducono nuove coltivazioni come frutta, vitigni pregiati e gelso per l’allevamento del baco da seta. Al di fuori

dell’Italia, ma sempre all’interno dei domini carolingi, spicca l’abbazia di S. Gallo, in Svizzera, la cui pianta mostra con ricchezza di particolari l’attività economica autarchica praticata nel campo dell’agricoltura, dell’allevamento e dell’artigianato. L’abbazia dispone di orti (uno dei quali destinato alle erbe medicinali) e frutteto, aia e granaio, pollaio, locali per allevare oche, pecore e capre, mucche, maiali, stalle per cavalli e bovini, con attigui gli alloggi per gli addetti. Ci sono inoltre un mulino, mortai e frantoi, una fornace. Un grande laboratorio e altri locali sono destinati a varie attività artigianali e impiegano sellai, tintori, tornitori, calzolai, orefici, fabbri, follatori, bottai, birrai.

Splendore e decadenza del monachesimo benedettino nel Basso Medioevo

Bassorilievo raffigurante due monaci al lavoro.

Nel Basso Medioevo le abbazie vivono ancora un periodo assai felice dal punto di vista religioso ed economico. Cluniacensi e Cistercensi, appartenenti alla regola benedettina, ricoprono un ruolo di primo piano nel movimento di rinnovamento religioso sorto dopo l’anno Mille. Mentre i Cluniacensi accentuano l’importanza della preghiera rispetto al lavoro manuale, i Cistercensi, ispirandosi a Bernardo di Chiaravalle, fondano abbazie collocate lontano dai centri abitati,


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Un monaco copista in una miniatura del 1147.

Monaci Cistercensi al lavoro nei campi.

Cluniacensi e Cistercensi – per discutere i problemi comuni e affrontarli in modo condiviso. Con la fine del XII secolo, la rinascita delle città e il diffondersi dei movimenti ereticali, nascono nuovi ordini religioni, detti Mendicanti, i più famosi dei quali sono i Domenicani e Francescani, la cui regola è basata sulla povertà individuale e collettiva e sull’uso di mendicare nei luoghi pubblici. I loro compiti sono quelli della predicazione itinerante, nelle città, dell’assistenza ai poveri e ai malati, dell’insegnamento nelle nascenti Università. Per le esigenze legate al loro ministero, i nuovi ordini religiosi aprono monasteri all’interno delle città e le abbazie rurali cominciano a spopolarsi: diminuiscono le comunità religiose, ma anche la produzione, visto che i coloni impiegati nel lavoro dell’abbazia cercano fortuna in città dove si è ormai spostato il centro della vita economica. 1 Spiega in che cosa consiste la regola benedettina e come viene organizzata la vita monastica, anche con riferimento alla gestione delle proprietà dell’abbazia. 2 Indica il ruolo economico svolto dalle abbazie nel periodo longobardo e carolingio. 3 Prendi in esame la pianta dell’abbazia di S. Gallo (di cui trovi un’immagine chiara, completa di schema, nel testo di Barbero-Frugoni indicato in bibliografia) e descrivi la sua articolazione nelle varie parti destinate al culto, alle relazioni con l’esterno, alla vita culturale e a quella economica. 4 Come evolve il monachesimo benedettino

nel Basso Medioevo?

su terreni che vengono bonificati e messi a coltura. L’attività agricola viene integrata dall’allevamento ovino; la lana è lavorata all’interno dei laboratori dell’abbazia o venduta allo stato grezzo. A essere impegnati nei lavori più duri non sono però i monaci, ma i conversi, fratelli laici che vivono all’interno della comunità religiosa. Oltre a Cluniacensi e Cistercensi, in Italia troviamo i Vallombrosani e i Camaldolesi. I superiori delle comunità appartenenti allo stesso ordine si incontrano periodicamente nell’abbazia cui le altre fanno capo – a livello nazionale o sovranazionale per

Bibliografia A. Barbero-C. Frugoni, Medioevo. Storia di voci, racconto di immagini, Roma-Bari, Laterza, 1999. C. Caby, “Dall’Oriente con rigore” in Medioevo, marzo 1998, De Agostini-Rizzoli Periodici. C. Caby, “Tempo di riforme” in Medioevo, aprile 1998, De Agostini-Rizzoli Periodici. C. Caby, “Le ore dei monaci” in Medioevo, maggio 1998, De Agostini-Rizzoli Periodici. C. Caby, “Poveri come nostro Signore” in Medioevo, giugno 1998, De Agostini-Rizzoli Periodici. E. Sereni, “Agricoltura e mondo rurale”, in Storia d’Italia 1 – I caratteri originali, Torino, Einaudi, 1981.


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Primo piano sull’economia

11. IL SISTEMA DEGLI SCAMBI TRA OCCIDENTE E ORIENTE Nel VII secolo d.C. l’espansione dell’Islam nell’area mediterranea modifica radicalmente la geografia politica preesistente portando alla costituzione di un nuovo impero: esso pone fine a quello persiano, strappa territori al bizantino, si espande a est fino all’Indo e a ovest fino alla Spagna. Alle trasformazioni politiche si accompagnano quelle economiche: sulle loro interazioni e sugli esiti cui hanno condotto la storiografia ha discusso e discute.

gni sorti nella nuova civiltà islamica, che avrebbero incrementato la domanda di beni, mentre considera poco significativo il fattore della circolazione monetaria, di cui pure Bisanzio disponeva per soddisfare la necessità di importare. Qualunque sia il peso che si voglia attribuire ai fattori sopra indicati, è certo che a partire dall’VIII secolo d.C. il mondo arabo assume una funzione importantissima nel sistema degli scambi economici tra Europa, Africa e Asia.

Tesi storiografiche a confronto Secondo una tesi, l’espansione dell’Islam nel Mediterraneo avrebbe interrotto gli scambi economici (proseguiti durante i secoli di crisi dell’Impero romano, nonostante le invasioni germaniche) e isolato l’Europa dall’Oriente, relegando l’Occidente in quell’economia chiusa, autosufficiente, che caratterizza l’Alto Medioevo. Secondo un’altra, opposta alla precedente, la conquista araba avrebbe dato nuovo impulso alle attività commerciali e sarebbe stato fattore della rinascita nei secoli XI e XII, grazie alla messa in circolazione di quantitativi ingenti di denaro tesaurizzato, prelevati nei luoghi conquistati, e alla richiesta di materie prime e prodotti emergente dal mondo arabo. Una terza tesi, riprendendo la seconda, dà molta importanza ai biso-

L’Islam: da civiltà nomade a potenza commerciale Gli arabi sono originariamente una popolazione nomade, anche se in alcune aree del loro territorio vengono praticate attività agricole e commerciali e sorgono centri urbani di un certo rilievo. L’espansione successiva alla morte di Maometto li porta a conquistare zone molto fertili, tra cui quelle delle antiche civiltà idrauliche, dove applicano tecniche di irrigazione innovative, che favoriscono la produttività dei suoli. Nella loro avanzata occupano città famose e grandi capitali e in breve, benché l’allevamento nomade resti prerogativa di buona parte della popolazione islamica, creano una civiltà urbana particolarmente inte-

LE CONQUISTE DEI CALIFFI (VII-VIII SECOLO) Bretagna Re

turchi

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Territorio islamico alla morte di Maometto (632) Conquista dei primi quattro califfi (632-661) Conquista dei califfi Omayyadi (661-750) Impero bizantino


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Il compianto per la morte di Maometto in una miniatura araba del XIV secolo.

ressata al commercio. L’impero arabo si trova peraltro in posizione geografica molto favorevole: tra Mediterraneo, Golfo Persico e Oceano Indiano. La religione coranica, inoltre, dà grande valore alle attività commerciali (lo stesso Maometto era un mercante) pur condannando l’usura, come quella cristiana. Per diversi secoli (dall’Alto Medioevo all’età moderna) gli arabi svolgono l’importantissima funzione di intermediari commerciali tra Occidente e Oriente.

Gli arabi e i loro rapporti commerciali con l’Oriente L’Oriente e la civiltà cinese in particolare rappresentano uno degli interlocutori privilegiati del mondo islamico. Il rapporto è caratterizzato dall’incontro, ma anche dallo scontro. Nel 751, nella zona del Turkestan, i due popoli entrano in contrasto e nella battaglia del fiume Talas gli arabi risultano vincitori, grazie anche all’alleanza con i turchi selgiuchidi. Nonostante il conflitto, i contatti commerciali con i cinesi non vengono meno. La fondazione nel 762 di Baghdad, dove si stabilisce la fastosa corte abbaside, incrementa il movimento delle merci, specie di lusso, da e per la Cina. Le navi arabe partono dal Golfo Persico, si inoltrano nell’Oceano Indiano, raggiungono le isole Maccadive e Maldive fino a Ceylon, poi le Andamane dove il ferro può essere scambiato con ambra e noci di cocco; oltrepassato lo stretto di Malacca, arrivano a Canton. Il viaggio, attraverso quella che diverrà famosa come la «via delle spezie» dura circa otto mesi ed è favorito dal monsone; l’attesa di quello inverso, per ritornare in patria con le merci acquistate (seta e porcellana in Cina, spezie in Indonesia e India), determina la residenza prolungata dei mercanti arabi in Cina, specie a Canton, ove alcuni di essi fondano una vera e propria colonia.

La città i Baghdad rappresentata in un’antica miniatura.


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Primo piano sull’economia

Sali e spezie, prodotti tipici orientali.

Anche le imbarcazioni cinesi si avventurano da Canton fino al Golfo Persico, facendo scalo nelle località intermedie: i mercanti orientali esportano seta, stoffe e ceramiche; importano legni aromatici, spezie, profumi, avorio, cotone; a Baghdad, nel cuore dell’impero arabo, creano alcune stazioni commerciali. Il contatto con l’Oriente è reso possibile anche dalle

vie di terra, fra cui la più importante é quella della seta, che attraversa il continente asiatico. Essa è utilizzata dal I secolo a.C. fino alla battaglia di Talas, di cui si è parlato in precedenza; a partire da tale evento inizia il suo declino che dura per circa cinque secoli, proprio a causa dell’espansione araba e della scarsa stabilità politica dell’impero cinese.

Un tipico negozio di stoffe orientali.


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La ripresa commerciale dell’importante via di comunicazione risale al XIII secolo, quando la dominazione mongolica in Cina e la pax da essa inaugurata la rendono percorribile in sicurezza. Proprio questo motivo, unito al desiderio di evitare l’intermediazione araba che determina l’aumento del prezzo delle merci, spinge i fratelli Polo, assieme al giovane Marco, a percorrerla, arrivando, dopo un avventuroso viaggio durato più di tre anni, alla corte di Kubilai Khan. Su questa via, oltre alla seta, vengono scambiati molteplici prodotti tra i quali cavalli, pelli, stoffe, spezie, profumi, perle, diamanti ecc. I mezzi di spostamento dei mercanti e dei prodotti sono soprattutto carovane di cammelli, preferiti per i viaggi più lunghi, cavalli, muli e asini. Gli arabi non diffondono in Occidente solamente le merci orientali o nuove coltivazioni come riso, canna da zucchero, cotone, agrumi e cocomeri, ma anche la tecnologia (uso della bussola, fabbricazione della carta), il sapere scientifico (matematica e algebra) e filosofico; grazie alle loro traduzioni l’Europa potrà leggere opere di autori greci che altrimenti sarebbero restati sconosciuti.

Una pagina de Il milione di Marco Polo. Una carovana di cammelli, uno dei mezzi di trasporto utilizzati dai mercanti orientali durante gli spostamenti nel deserto.

Il commercio nel Mediterraneo e nel Mare del Nord Un’altra direttrice del commercio islamico è l’Africa nera: attraverso le piste carovaniere sahariane gli arabi hanno accesso all’oro, indispensabile per il conio delle monete necessarie agli scambi commerciali. I prodotti dell’Oriente e l’oro africano giungono in Occidente dove i mercanti arabi trovano come partner commerciali le città marinare, anzitutto Amalfi e Venezia. Già in età carolingia esistono contatti diretti dell’Europa con Bisanzio e il mondo arabo: vengono esportate armi (per corazze e spade) e legname per la costruzione di navi. I sovrani carolingi (così come quelli bizantini) e il papato non approvano tale commercio, per motivazioni religiose e politiche, ma Venezia, seppur formalmente sotto il dominio di Bisanzio, si sente libera di praticare il contrabbando e di stringere rapporti economici con l’Islam. La mediazione della città marinara è essenziale: il suo bimetallismo le consente di commerciare sia con l’entroterra carolingio, ove circola solo l’argento, sia con Bisanzio e gli arabi utilizzando l’oro. Dopo il 1000 anche Pisa e Genova si volgono al mare e gli scambi commerciali delle città marinare italiane nel


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Primo piano sull’economia

Mediterraneo si intensificano grazie alle Crociate, il cui fallimento non incide sulle relazioni commerciali con gli arabi e i turchi. Da Oriente non cessa il flusso di prodotti di lusso come seta, porcellana, broccati, pietre preziose, cui si aggiungono allume e cotone grezzo; dall’Europa partono pellicce, tessuti di lana e lino, oggetti di vetro e di metallo. Cresce intanto l’importanza dei mari settentrionali: il Baltico e il Mar del Nord e della regione delle Fiandre i cui contatti commerciali con Genova e Venezia, via terra e soprattutto via mare, diventano sempre più frequenti nel XIII e XIV secolo, periodo in cui la zona va configurandosi, assieme all’Italia centro-settentrionale, come area economica chiave. Intanto, la divisione dell’impero mongolo in khanati in lotta tra loro, da un lato, e l’espansione dei turchi ottomani, culminata con la caduta di Costantinopoli nel 1453, dall’altro, rendono difficoltose le comunicazioni tra Europa e Oriente. La ricerca di nuove vie commerciali sembra ormai inevitabile a quei popoli europei, come portoghesi e spagnoli, che vogliono sfuggire all’intermediazione

LA VIA FRANCIGENA

Il commercio si sviluppa non solo per mare, ma anche via terra: la via francigena, che si estende per 1800 km, favorì la crescita economica delle aree settentrionali, collegando l’Italia, la Svizzera, la Francia e l’Inghilterra sud-orientale.

La miniatura medievale rappresenta la città di Costantinopoli, la cui caduta, nel 1453, spinse i mercanti europei a cercare nuove vie commerciali.


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Una delle più antiche mappe delle Fiandre conservatasi intatta.

araba e veneziana e hanno sviluppato conoscenze e tecnologie utili per affrontare l’Oceano Atlantico. Inizia così l’età dei grandi viaggi di esplorazione che, con la scoperta del continente americano, modificano radicalmente il sistema degli scambi tra Occidente e Oriente.

1 Quali fattori (geografici, politici, religiosi)

spingono l’Islam nell’VIII secolo d.C. verso l’incremento delle attività commerciali? 2 Costruisci una tabella con indicate le merci

che circolano tra Europa, Africa e Asia, grazie ai mercanti arabi, cinesi, europei/italiani. 3 Svolgi una ricerca sulle vie della seta e delle

spezie e, utilizzando cartine tematiche, individua le località più importanti da esse collegate. Queste città esistono anche oggi? In che stati si trovano e quali attività le caratterizzano? 4 Quando e perché gli arabi perdono il loro

ruolo di intermediari commerciali tra Occidente e Oriente?

Un tratto della costa orientale del Mar Baltico che, con il Mare del Nord e le Fiandre, costituisce a partire dal XIII secolo una delle aree economiche chiave.

Bibliografia R. Cameron-L. Neal, Storia economica del mondo. Vol. I Dalla Preistoria al XVII secolo, Bologna, Il Mulino, 2002. K. Modzelewski, “La transizione dall’antichità al feudalesimo”, in Storia d’Italia Annali 1 Dal feudalesimo al capitalismo, Torino, Einaudi, 1978. P. Simonnot, Il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo, cristianesimo, islam, Roma, Fazi editore, 2010.


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Primo piano sull’economia

12. ECONOMIA E PAESAGGIO AGRARIO AL TEMPO DELL’INCASTELLAMENTO Curtis e castello a confronto Nella scheda 10.2 sei stato invitato a mettere a confronto villa romana e curtis a partire dall’analisi di fonti iconografiche. Puoi svolgere ora lo stesso tipo di esercizio operando la comparazione tra la curtis e il castello, la fortificazione cioè che organizza e controlla un territorio, la cui comparsa risale al periodo attorno all’anno 1000, a seguito di quel processo di trasformazione definito dalla storiografia “mutazione feudale”. Il castello appare, attraverso l’analisi di immagini, come una residenza fortificata che con le sue mura ha concentrato attorno a sé le abitazioni dei contadini organizzandole in villaggio; anche le terre coltivabili

sono addossate a essa e suddivise in tre fasce anulari che, attraverso terrazzamenti del pendio, si allargano progressivamente verso l’esterno e sono destinate, rispettivamente, all’orto, alla vigna e agli alberi da frutto, più vicini all’area residenziale perché necessitano di particolari cure e controllo, ai seminativi e infine al pascolo e alla foresta. Il castello vero e proprio non è ancora quello imponente, ricco di merli e di torri (vedi sotto), che fa la sua comparsa in età più tarda, ma una semplice rocca, sede e simbolo del potere signorile, che controlla gli uomini, le risorse e le vie di comunicazione. La differenza rispetto all’insediamento sparso e alle terre aperte della curtis è netta e sollecita l’interroga-


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tivo: nel breve periodo di uno/due secoli (dalla fine del IX alla metà dell’XI) quali eventi e/o fattori sono intervenuti e hanno originato il fenomeno dell’incastellamento?

La storia politica europea a partire dalla seconda metà del IX secolo ci aiuta a rispondere a tale quesito. Con la morte di Carlo Magno e la lotta per la successione, l’impero viene diviso in tre parti che si uniscono e si dividono più volte fino alla definitiva separazione della Francia da Germania e Italia. La crisi del potere carolingio è irreversibile e con il passar del tempo i sovrani non riescono più a imporsi sui nobili che hanno ricevuto un beneficio sotto forma di proprietà terriera e che tendono a trasmetterlo per via ereditaria ai propri figli. Tale situazione viene regolamentata da due leggi: il Capitolare di Quierzy (877) e la Constitutio de feudis (1037), che sanciscono, rispettivamente, l’ereditarietà dei feudi maggiori, in mano a conti, duchi e marchesi, e di quelli minori, posseduti dai cavalieri. Si compie in tal modo la mutazione feudale e si afferma la signoria territoriale o di banno, termine che sta a indicare l’insieme dei poteri politici, militari, fiscali, giudiziari, che in passato spettavano al sovrano e che ora vengono esercitati dal proprietario di un territorio su tutti gli abitanti che vi sono insediati, indipendentemente dal fatto che essi abbiano o non abbiano rapporti patrimoniali con lui. LA SUDDIVISIONE DELL’IMPERO CAROLINGIO

Aquisgrana Germania

Parigi Da n

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Francia Lotaringia

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Marsiglia

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Roma

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Regno di Lotario Regno di Carlo il Calvo Regno di Ludovico

norvegesi

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svedesi danesi Dublino York Amburgo Rouen Nardes

Kiev

Parigi

regno di regno Germania di Francia Pavia emirato di Cordova

Barcellona

Cordova

ungari

mar Nero

Pisa Roma

Costantinopoli

Bari

impero bizantino regni islamici

mar Mediterraneo

Territori cristiani Domini islamici Incursioni normanne Incursioni saracene Incursioni ungare

Un altro avvenimento, di natura politico-militare, influisce sulle trasformazioni di cui ci occupiamo: la seconda ondata di invasioni “barbariche”, che aggrediscono l’Europa carolingia e postcarolingia e di cui sono responsabili ungari, saraceni e normanni. I primi, provenienti dalla Pannonia, effettuano periodiche spedizioni verso est e verso ovest operando saccheggi e riportando in patria i bottini ottenuti. I saraceni tengono in scacco le coste mediterranee e italiane con le loro azioni di pirateria e giungono a insidiare l’entroterra. I normanni, infine, muovendo dalle regioni scandinave, penetrano nei territori europei dove creano insediamenti stabili, ma danno vita anche a ripetute scorrerie, che generano scompiglio e insicurezza crescente.

ar

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verso la Groenlandia

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Islanda

oceano Atlantico

All’origine dell’incastellamento

oceano Atlantico

LE INVASIONI DEL IX E X SECOLO IN EUROPA

La testa di drago di legno intagliato che ornava le navi vichinghe, per questo motivo chiamate drakkar.


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Primo piano sull’economia

L’incapacità dei sovrani di affrontare la situazione e di offrire protezione alle popolazioni accentua la tendenza all’incastellamento: molti contadini abbandonano le curtes (oppure cedono le loro piccole proprietà che riavranno sotto forma di concessione) in cambio di protezione e si rifugiano presso i signori che fortificano la loro residenza con fossati, palizzate o mura difensive, così da garantire la sicurezza dell’abitato e del territorio. Tendono quindi a scomparire o diminuire le abitazioni sparse nella campagna, sostituite dagli insediamenti fortificati e accentrati che configurano un diverso paesaggio agrario.

L’organizzazione produttiva della signoria di banno All’interno del castello, le distinzioni tra i liberi e i servi, che abbiamo trovato nella curtis ove erano funzionali alla divisione tra parte dominica e massaricia, tendono a venir meno. Tutti i lavoratori, affittuari di terre o dipendenti, sono allo stesso modo sudditi, sottoposti al duro controllo del signore che protegge, comanda, giudica, tassa, impone multe. Al faticoso e ordinario lavoro della terra si aggiungono le corvées, che spesso consistono nell’opera di manutenzione di strade e mura. Innumerevoli sono le tasse per l’utilizzo di frantoi, forni, mulini, torchi, per l’attraversamento di strade e ponti, per l’uso del pascolo e lo sfruttamento del bosco. Il signore esercita inoltre il monopolio di vendita su alcuni prodotti, come sale, olio, vino, che devono essere commercializzati prima di quelli dei sudditi. Quando quest’ultimi violano le disposizioni imparti-

te, per esempio macinando i cereali in proprio con la mola domestica, il signore interviene con il sequestro e la distruzione della macina, con la multa e la punizione. La signoria territoriale di banno viene esercitata non solo sui contadini che lavorano per il castello, ma anche su tutti coloro che, piccoli proprietari o affittuari di un altro proprietario, risiedono nel territorio su cui il signore ha la giurisdizione. Ciò crea una sovrapposizione di poteri per cui può capitare che uno stesso lavoratore sia sottoposto a due diverse autorità, talvolta in conflitto tra loro. La condizione dei contadini, descritta efficacemente con il termine di “servaggio”, conosce un generale peggioramento al tempo dell’incastellamento, mentre cresce la produttività, legata al sistema di controllo del territorio e delle sue risorse. Il villaggio fortificato è luogo non solamente di produzione agricola, ma anche di lavoro artigianale: tosatura, filatura e tessitura della lana, lavorazione di metalli, produzione di armi e utensili. Queste ultime due attività, che richiedono manodopera specializzata, vengono svolte da artigiani itineranti, che giungono al castello per prestare la loro opera e spesso vi si stabiliscono. Le eccedenze prodotte affluiscono ai mercati locali, che si tengono settimanalmente sotto le mura dei castelli, e alle fiere annuali, vicine alle fortificazioni e alle abbazie più importanti, che vedono intervenire venditori provenienti da luoghi lontani con merci di lusso ed esotiche destinate alla famiglia del signore.

Servi della gleba al lavoro nei campi.


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Ipotesi storiografiche a confronto: curtis e incastellamento all’origine della ripresa economica del Basso Medioevo Varie sono le questioni dibattute dalla storiografia sul tema della mutazione feudale e dell’incastellamento. Citiamone brevemente alcune. C’è chi vede nella fine del primo millennio d.C. una svolta che, con l’avvento della signoria di banno, interessa tutti gli aspetti della società, e chi parla di sostanziale continuità e permanenza delle strutture politiche carolingie o di un loro progressivo aggiustamento nel tempo. Per alcuni studiosi la mutazione feudale e l’incastellamento hanno determinato, attorno all’anno Mille, un incremento della produzione, per altri le migliorate condizioni economiche, favorite dalla produttività delle curtes, hanno spinto i signori a imporsi sui sovrani e a raggiungere uno status autonomo. Alle curtes da un lato e all’incastellamento dall’altra viene comunque riconosciuto il merito di aver contribuito alla ripresa economica del Basso Medioevo. Le prime nel X secolo vedono progressivamente diminuire la parte dominica rispetto alla massaricia; i contadini, alleggeriti dalle corvées, possono impegnarsi maggiormente nella bonifica e colonizzazione di altre

terre così come nell’uso di nuove tecniche e strumenti (come la rotazione triennale, il collare di spalla e il mulino ad acqua, che aumentano in misura considerevole la quantità dei prodotti e determinano una notevole crescita economica). I signori di banno, dal canto loro, intervengono attivamente nella gestione e controllo del territorio su cui hanno la giurisdizione, stimolano la crescita della produttività agricola, con l’iniquo sistema di tassazione favoriscono lo sviluppo dell’artigianato e del commercio e contribuiscono alla rinascita delle città. 1 Sulla base delle informazioni fornite dalla

scheda e di altre ricercate nel manuale e in altre fonti di documentazione, costruisci una tabella che ponga a confronto curtis e castello, utilizzando i seguenti indicatori: a) localizzazione, b) datazione, c) organizzazione del territorio, d) proprietario, e) lavoratori, f) tassazione, g) scambi economici, h) situazione politica, i) situazione religiosa. 2 Prosegui l’attività dell’esercizio precedente costruendo un breve testo storiografico che evidenzi i mutamenti e le permanenze riscontrabili nel passaggio dalla curtis all’incastellamento. 3 Quali eventi e/o fattori sono all’origine del

fenomeno dell’incastellamento? 4 Sulla base delle informazioni acquisite

prova a definire il significato del termine “signoria di banno”. 5 In che modo curtes e castelli hanno favo-

rito la rinascita economica del Basso Medioevo?

La miniatura rappresenta la difesa di un castello dagli attacchi nemici.

Bibliografia A. Barbero-C. Frugoni, Medioevo. Storia di voci, racconto di immagini, Roma-Bari, Laterza, 1999. V. Bianchi, “Il castello. Un’invenzione del Medioevo”, in Medioevo Dossier, n. 1/2001, De Agostini-Rizzoli Periodici. C.M. Cipolla, Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi, Milano, Mondadori, 1995. S. Mammini, “Il villaggio fortificato”, in Medioevo,febbraio 1997, De Agostini-Rizzoli Periodici. M. Montanari, Storia medievale, Roma-Bari, Laterza, 2002. G. Sergi, Antidoti all’abuso della storia. Medioevo, Medievisti, smentite, Napoli, Liguori editore, 2010.


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Primo piano sull’economia

GLOSSARIO Scheda 1 • antropologi: studiosi di antropologia, scienza che studia la specie umana analizzandone l’origine, l’evoluzione e le specificità culturali e sociali. • archeologi: studiosi esperti di archeologia, scienza che studia l’antichità attraverso reperti acquisiti mediante particolari tecniche di recupero. • arpione: strumento simile a una lancia e munito di più denti, che in età preistorica viene usato per la caccia e la pesca. • infanticidio: uccisione di neonati. • nasse: ceste di giunchi o vimini, chiuse a una estremità e con apertura a imbuto attraverso la quale i pesci entrano facilmente ma non possono uscire. • propulsori: strumenti idonei per lanciare, con forza e a lunga distanza, armi da getto come frecce, lance, giavellotti. • reperti fossili: organismi vegetali o animali appartenenti a epoche remote, trovati nella crosta terrestre dove si sono conservati grazie a processi di mineralizzazione. Scheda 2 • biologo: studioso esperto di biologia, scienza che studia i fenomeni comuni a tutti gli esseri viventi, animali e vegetali. • chenopodio: chiamato anche “spinacio selvatico”, è una pianta erbacea, con fiori a spiga dal colore bruno, foglie verde scuro nella parte superiore, bianche e farinose in quella inferiore. • ecosistema: l’insieme degli esseri viventi e dei fattori ambientali, climatici, fisici, chimici che in un determinato spazio sono inseparabilmen-

te legati tra di loro e interagiscono reciprocamente. • fisiologo: studioso di fisiologia, scienza che studia il funzionamento degli organismi vegetali e animali. • specie fondatrici: specie vegetali o animali all’origine della diffusione di altre. • spettrometria di massa: tecnica che rende possibile la datazione anche di materiale organico di piccole dimensioni, come un seme o un frammento osseo, misurando direttamente la concentrazione di 14C presente nel campione. • tecniche del radiocarbonio: tecniche di datazione di resti organici ritrovati in reperti archeologici mediante la rilevazione del 14C (Carbonio 14) che si dimezza in 12C (Carbonio 12) ogni 5700 anni. Scheda 3 • drenare: prosciugare un terreno attraverso un sistema di canali o pozzi. • limo: fango molto fine che si trova in sospensione nelle acque o viene deposto da esse. • malattie infettive e parassitarie: malattie facilmente trasmissibili e legate a parassiti, organismi vegetali o animali che vivono a contatto con un altro traendone nutrimento e apportandogli danno. • protostoria: il periodo più recente della preistoria. • surplus: eccesso di produzione rispetto al consumo, che può quindi essere destinato al commercio. • sussistenza: condizione ai limiti della sopravvivenza. Scheda 4.1 • emmer: termine inglese che indica il Triticum dicoccum, meglio conosciuto in Italia come farro.

• loess: deposito superficiale giallastro di origine eolica, formato da vari minerali. • piogge monsoniche: piogge originate dai monsoni, venti periodici dell’Asia sudorientale che spirano dal continente all’oceano in inverno e dall’oceano al continente in estate. • tramoggia: recipiente a forma di tronco di piramide o di cono capovolto, munito di un’apertura sul fondo e utilizzato per raccogliere dall’alto materiali e scaricarli verso il basso. Scheda 4.2 • crogiolo: recipiente utilizzato per fondere i metalli. • leghe metalliche: soluzioni solide ottenute, in genere, mediante fusione di metalli vari. • molitura: macinazione dei cereali. • sistema sessagesimale: sistema basato sulla divisione in sessantesimi di una unità di varia natura. Scheda 5 • amido: importante fonte di carboidrati, diffuso nei cereali, nelle patate, nei legumi e in altri vegetali. • brillato: sottoposto al trattamento della brillatura, che consiste nella lucidatura dei chicchi privati del rivestimento esterno. • carboidrati: comunemente chiamati zuccheri, appartengono a una delle classi di sostanze più importanti per il metabolismo energetico. • cataratte: chiusure a saracinesca applicate a canali, serbatoi, fiumi, per regolare il deflusso delle acque. • rapporto osmotico: rapporto caratterizzato dall’interdipendenza reciproca.


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Scheda 6 • globalizzazione: fase storica di rapide e profonde trasformazioni in cui i fenomeni economici, culturali e di costume tendono ad assumere una dimensione mondiale, superando i confini nazionali o regionali. • hyksos: popolazione seminomade semitica di origine siriana che riesce a estendere il suo potere su buona parte dell’Egitto tra il XVIII e il XVI secolo a.C. • munda: gruppo nomade indiano, insediato nell’India orientale, che subisce nel II millennio l’invasione dei nomadi arii. • politiche di integrazione: interventi politici volti a favorire l’inserimento economico e sociale dei popoli nomadi nelle società sedentarie. • “popoli dei monti”: popolazioni nomadi e seminomadi provenienti dai monti e dagli altipiani a nord di Mesopotamia e Siria; tra questi i cassiti, che invadono il territorio babilonese e vi si insediano intorno al 1600 a.C., e gli assiri. Scheda 7 • capitalistico: pertinente al capitalismo, sistema economico-sociale caratterizzato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. • Champagne: regione della Francia nord-orientale, famosa nel Medioevo per le sue fiere commerciali. • lega naturale: mescolanza di metalli presente in natura. • zecca: officina dove si coniano le monete. Scheda 8 • bitume: miscela di catrame, zolfo, olio di pesce, spalmata calda sulla parte immersa delle navi per renderle impermeabili. • coloniae: territori delle province

sui quali Roma estende il suo potere, che godono di minore autonomia rispetto ai municipia. • colonne d’Ercole: antico nome dei promontori formanti lo stretto di Gibilterra, considerati limite invalicabile della terra. • municipia: comunità di cittadini romani la cui condizione di fronte a Roma è diversa a seconda delle concessioni ricevute da essa. • pax romana: lungo periodo di pace e ordine nel bacino del Mediterraneo garantito dall’imperatore Augusto. • scafi calafatati: parti della nave destinate al galleggiamento rese impermeabili dall’applicazione di bitume. • status: condizione, stato giuridico. Scheda 9 • (bambini) esposti: bambini abbandonati al momento della nascita. • concubinaggio: condizione di una donna non coniugata, economicamente mantenuta da un amante coniugato con un’altra donna; nelle società schiavili la relazione riguarda la schiava e il suo padrone. • etnologo: studioso di etnologia, scienza che studia le culture e le civiltà dei vari popoli, con particolare riferimento a quelle “primitive”, considerandone l’evoluzione, il diffondersi e l’affermarsi. • stoici: seguaci dello stoicismo, dottrina filosofica fondata nel III sec. a.C. ad Atene da Zenone di Cizio, il cui ideale etico impone il raggiungimento dell’apatia attraverso la soppressione delle passioni, l’esercizio delle virtù, il vivere secondo natura. Scheda 10.1 • calcestruzzo: materiale da co-

struzione formato da un impasto di sabbia, ghiaia e pietrisco cui si aggiungono come legante calce, cemento e acqua. • suburbio: zona periferica della città. Scheda 10.2 • coercitivo: che costringe una persona ad agire come non vorrebbe. • inflazione: diminuzione del potere d’acquisto della moneta, che determina l’aumento dei prezzi. Scheda 10.3 • autarchica: caratterizzata da autosufficienza economica. • luppolo: pianta rampicante i cui frutti sono ricchi di luppolino, una sostanza amara usata nella fabbricazione della birra. • medievista: studiosa del periodo medievale. • modello cenobitico: modello monastico basato sulla vita comunitaria. Scheda 11 • bimetallismo: sistema monetario che conia e utilizza due metalli, di solito argento e oro. • contrabbando: importazione o esportazione illegale di merce, senza pagare i tributi doganali dovuti. • khanati: regni in cui si divide l’impero mongolo, guidati da sovrani (khan). • tesaurizzato: denaro accumulato e non destinato a investimenti produttivi. Scheda 12 • giurisdizione: funzione legata all’amministrazione della giustizia e al controllo del rispetto delle leggi. • servaggio: condizione di servitù morale, sociale e politica.


Primo piano sull’Economia di Maria Catia Sampaolesi Consulenza alla progettazione: Fabio Cioffi Coordinamento editoriale: Beatrice Loreti Art Director: Marco Mercatali Responsabile di produzione: Francesco Capitano Progetto grafico e impaginazione: ABC, Milano Illustrazioni: Michelangelo Miani Cartografia: Studio Lauti, Bologna Foto: Shutterstock, archivio la Spiga Copertina: Adami Design © 2011 Eli – La Spiga Via Soperga, 2 Milano Tel. 022157240 info@laspigaedizioni.it www.laspigaedizioni.it

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