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Indice

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INTRODUZIONE Il cinema e la società: la storia e le sue protagoniste

15 16/17 18/19 22/23 24/25

1. MORALISTE E SEDUTTRICI Olivia / Betty Boop Minni / Penelope Pitstop Belle / Esmeralda Mrs. Potato / Jessica Rabbit

27 28/29 30/31 34/35 36/37

2. CASALINGHE E IMPIEGATE Cenerentola / Red Marge Simpson / Helen Morgendorffer Tiana / Biancaneve Morticia Addams / E.V.E.

41 42/43 44/45 48/49 50/51

3. FATE E STREGHE Fata Smemorina / Maga Magò Fata Turchina / Malefica Trilli / Anastasia e Genoveffa Edna «E» Mode / Crudelia De Mon


53 54/55 56/57 60/61 62/63

4. PIAGNUCOLOSE E AVVENTURIERE Odette / Fiona Megan «Meg» Griffin / Leela Turanga Alice / Coraline Jones Lilli / Ariel

81 82/83 84/85 90/91 92/93

5. MADRI E MATRIGNE Duchessa / Regina Grimilde Wendy Darling / Lady Tremaine Dory / Ursula Helen Parr / Madre Gothel

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6. ADOLESCENTI DI IERI E DI OGGI. CONCLUSIONI Little Audrey / Lilo Pelekai Judith «Judy» Angela Jetson / Daria Morgendorffer SUGGERIMENTI DI LETTURA FILMOGRAFIA ESSENZIALE


Introduzione

Il cinema e la società: la storia e le sue protagoniste

I

l cinema e la società, il cinema è la società. La settima arte, fin dalla sua nascita, ha interagito con la storia e il sociale portando in scena accadimenti reali e quotidiani. Il suo approccio con la realtà non può, tuttavia, considerarsi puro, principalmente per due motivi: sia perché gli eventi del quotidiano e la loro rappresentazione audiovisiva si contaminano a vicenda nella ricezione da parte dello spettatore, sia perché l’esigenza del mezzo mediatico e la sua produzione condizionano la purezza della fonte storica. La società e lo spettatore non chiedono, però, veridicità storica all’industria: la loro esigenza è quella di ritrovarsi nel film e di rivivere, attraverso la narrazione filmica, una realtà simile, ma parallela. Da questi presupposti nasce, alla fine degli anni Venti, lo studio system hollywoodiano, una macchina del cinema complessa, ma altamente strutturata, che punta alla centralizzazione dello spettatore. Per fare in modo che il pubblico in sala viva appieno ciò che sta guardando sullo schermo si punta su tre passaggi fondamentali: l’immedesimazione con il divo, la linearità della narrazione e l’onniscienza dell’osservatore esterno. Si crea, così, l’illusione di realtà e l’allontanamento dello spettatore dalla realtà fisica che lo circonda. Donne in sala e sullo schermo: costumi e stereotipi In quegli stessi anni e fino al decennio successivo, il pubblico in sala è composto prevalentemente da donne. Ne consegue una precisa richiesta di mercato, che la produzione soddisferà con l’apparizione sullo schermo delle prime flapper, cioè una nuova generazione di attrici moderne, alla moda, emancipate e a tratti spregiudicate, tra cui Gloria Swanson, Joan Crawford e Clara Bow (si veda Veronica Pravadelli, «Dinamismo visivo e autoaffermazione femminile», La Valle dell’Eden, n. 19, 2007, p. 56). Le flapper sono insomma le rappresentanti della donna nuova, promotrici della libertà fisica, spontanee, esplosive ed energiche, in grado di entrare negli ambienti lavorativi scelti e di saper badare a sé stesse senza l’aiuto di un uomo. Contemporaneamente, nel cinema d’animazione nascono le due flapper per eccellenza: Betty Boop e Olive Oil (l’Olivia di Braccio di Ferro), rappresentanti a modo loro del femminismo dei primordi e punte di diamante dei Fleischer Studios. La presenza della figura femminile inizia così, con Betty e Olivia, a radicarsi nella produzione cinematografica statunitense che, particolarmente nel cinema d’animazione, si delineerà attraverso due filoni tematici: la donna e la società e il confronto/scontro tra il maschile e il femminile. Sullo schermo la don-


na deve misurarsi con una serie di stereotipi altalenanti e caratteristici, inerenti al periodo storico di appartenenza. Se all’inizio degli anni Trenta il gentil sesso conquista finalmente una carica sociale e un’indipendenza di rilievo, col terminare del decennio le cose cambiano. Si mette in moto un nuovo processo, il «Fallen Woman Cycle» (si veda ancora V. Pravadelli, op. cit., ibid.), ovvero una parabola di indipendenza e successivo «rientro nei ranghi» della nuova femminilità: alla giovane rimane solo un lasso di tempo ben preciso per confrontarsi col mondo, periodo che inizia con il suo allontanamento dal nucleo familiare natio e termina con il matrimonio. Anche a causa di questa particolare condizione sociale si ripropone nell’animazione la fiaba classica, la cui struttura combacia perfettamente con il Fallen Woman Cycle e che celebrerà, nel 1936, la sua diva per eccellenza, la disneyana Biancaneve. La fiaba, così come le altre strutture narrative classiche riproposte dall’industria americana, si contestualizza in ambito moderno e diventa promotrice di nuovi ideali, tra i quali l’importanza della famiglia. Nel 1950 l’industria Disney sceglie di farsi portavoce del riassestamento dei ruoli sessuali candidando Cenerentola, bionda e attraente fanciulla che, caduta in povertà, sogna la scalata sociale tramite una speranza d’amore e matrimonio. La rivisitazione del classico in chiave Disney ottiene un enorme successo commerciale: lo stereotipo creato sullo schermo permette una facile identificazione da parte del pubblico femminile (cfr. su questo punto Richard Dyer, Star, Torino, Kaplan, 2004, p. 27), ricondotto a un culto della femminilità ancora precedente agli anni Trenta e identificabile in alcuni attributi fondamentali ottocenteschi tra cui la purezza sessuale, la domesticità e la sottomissione all’uomo (V. Pravadelli, op. cit., p. 57). Per fortuna non tutte le Cenerentola hanno lo stesso compito. In una versione precedente della fiaba, disegnata da Tex Avery e interpretata dalla sua diva disegnata, Red, la ragazza appare giovane e spregiudicata, affascinante showgirl di sera e operaia in catena di montaggio di notte. Tra le pochissime dive del cinema d’animazione, la rossochiomata Red assume un ruolo fondamentale nel rappresentare le lavoratrici americane e l’emancipazione femminile in tempo di guerra, affiancandosi perfettamente all’icona di Rosie The Riveter che, nel 1943, nel dipinto di Norman Rockwell, poggia addirittura i piedi sul Mein Kampf. Casalinghe o lavoratrici, madri o soubrette, le stelle emerse nell’arco di questi decenni di cinema d’animazione si rivelano essere numericamente poche. Se si considerano anche gli anni successivi al 1950, la situazione non sembra migliorare: le donne nel cinema d’anima10

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zione, così come quelle nei cartoon televisivi nati a partire dagli anni Sessanta, scarseggiano notevolmente. Al loro posto prendono il sopravvento i personaggi maschili che in alcune major, come la Warner Bros, sono addirittura gli unici personaggi presi in considerazione. Il motivo di questa mancanza è giustificabile su più fronti, variabili tra stile e narrazione, target e produzione. La scomparsa cinematografica e televisiva I modelli di narrazione risultano essere, ad esempio, il motivo apparente della mancanza delle figure femminili nella celeberrima Warner Bros. La major, nella sua prima epoca d’oro tra gli anni Trenta e Cinquanta, crea un portfolio di personaggi che interagiscono tra di loro attraverso la formula dello sketch e della slapstick comedy: si intervallano scene di violenza cinica sul corpo del personaggio, rapidità di esecuzione ed esasperazione caricaturale in un turbinio di calamità naturali che colpiscono Daffy Duck, Willy il Coyote e Silvestro. Questo fattore stilistico e narrativo è stato illustrato in maniera più approfondita da Friz Freleng, regista e produttore storico della Warner, secondo il quale un tale accanimento nei confronti di un personaggio femminile non sarebbe stato accettato dal pubblico né considerato un fenomeno divertente (cfr. Jan Nagel, «Gender in Media: Females Don’t Rule», Animation World Network, Awn.com/articles/people/gender-media-females-dont-rule, 21 maggio 2008, p. 2). Se quest’assenza si percepisce a livello narrativo, lo stesso fenomeno si presenta anche sul piano produttivo. Sia la Warner Bros che i Disney Studios, in quegli anni, contano tra le loro fila numerose assistenti di animazione e coloriste, ma nessuna donna al reparto animazione, sancta sactorum riservato agli uomini. Basti pensare che, all’interno dei Disney Studios, solo una donna, per importanza, è riuscita a spiccare nell’arco di ottant’anni: l’artista Mary Blair che, tra gli anni Quaranta e Sessanta, si è occupata degli studi preparatori di personaggi e dei fondali dei grandi classici, nonché delle scenografie per Disneyland. Ancora oggi la situazione non è variata di molto: nel 2006 l’Animation Guild contava tra i suoi membri solo il 17,3% di donne suddivise tra produttrici, registe e sceneggiatrici. Se la cifra fosse meno impari forse la narrazione godrebbe di personaggi femminili diversi, meno stereotipati e più a tutto tondo, nonché di un numero superiore degli stessi. La produzione odierna di programmi televisivi per bambini evidenzia proprio queste due problematiche: la Introduzione

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caratterizzazione e la mancanza. Oggigiorno, il target primario di riferimento delle serie televisive d’animazione sono i maschi dai sei ai dodici anni, motivo per cui i personaggi maschili risultano maggiormente valorizzati rispetto alle loro antagoniste femminili, descritte conseguentemente come nerdy & needy: in poche parole, ‘secchione e bisognose d’attenzioni’ (cfr. ancora J. Nadel, op. cit., ibid.). Gli stereotipi dunque si sprecano: da uno studio effettuato dal Geena Davis Institute of Gender Media (si veda il box) è emerso che i personaggi maschili, in qualità sia di protagonisti che di comprimari, sono il doppio di quelli femminili. Lo studio, applicato sia ai film d’animazione che ai live-action cinematografici, nonché su un migliaio di programmi TV per bambini, ha evidenziato, inoltre, la persistenza degli stereotipi nati prima degli anni Trenta e recuperati senza aggiornamenti nei programmi odierni. Tornano così alla ribalta le sognatrici passive che hanno come unica aspirazione il grande amore, le protagoniste fuorviate che esprimono le loro ambizioni ma che, alla fine, vengono vincolate dalla scoperta dell’amore romantico, e le temerarie o spavalde che manifestano i loro obiettivi e cercano di raggiungerli a prescindere dall’incontro con il principe azzurro. Thelma (senza Louise) per la ricerca L’attrice Geena Davis ha promosso il censimento dell’animazione americana in seguito alla visione dei programmi per bambini in TV. La scarsa presenza di personaggi femminili ha determinato la nascita della fondazione Geena Davis Institute of Gender Media (GDIGM) che, in collaborazione con l’Annennberg School of Communications, ha dato inizio a un’attenta valutazione della produzione americana per bambini dal 1999 al 2006.

Partendo, dunque, da questo studio storico-sociale nonché commerciale e produttivo, nelle pagine che seguono si delineeranno gli stereotipi fondamentali che hanno condizionato la figura della donna nel cinema d’animazione e si evidenzieranno le motivazioni della caratterizzazione di alcuni dei personaggi più famosi del cinema. Madri e matrigne, moraliste e showgirl, codarde e avventuriere: un viaggio attraverso le più celebri coppie oppositive alla scoperta di un mondo parallelo caratterizzato da indimenticabili personaggi femminili.

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_Illustrazione tratta dal sito ufficiale di The Brave.



Olivia (Olive Oyl) SEGNI PARTICOLARI Misure 19-19-19 CREATA DA Elzie Crisler Segar nel 1919 per la striscia a fumetti The Thimble Theatre PRIMA APPARIZIONE 1933, nel cortometraggio Popeye The Sailor, con l’animazione di Seymour Kneitel e Roland Crandall; voce di Mae Questel (v.o.). PRODUZIONE Fleischer Studios

Olivia debutta sulla carta stampata nel 1919 nelle strisce a fumetti The Thimble Theatre con il compagno dell’epoca, Harold Hamgravy. Il suo corpo è diverso da quello a cui siamo stati abituati poiché la sua corporatura, più bassa e robusta, muta solo nel 1933 con la prima apparizione in scena e con l’arrivo della sua nuova fiamma, nonché fidanzato ufficiale, il marinaio Popeye. Dagli arti infiniti e piedi giganti, magrissima e riconoscibile per la chioma nera raccolta, nella versione animata Olivia è un vero e proprio «tubo di gomma». Le sue movenze sono elastiche: le gambe si annodano e il busto si estende, i piedi si sdoppiano nella velocità dell’azione e il corpo è in continuo divenire. Talvolta capricciosa ma determinata nelle sue scelte, costantemente corteggiata da Bluto (Timoteo), Olivia è una donzella in pericolo atipica, non solo per la sua corporatura longilinea e poco sensuale ma, più che altro, per la sua personalità: temeraria e lavoratrice, moralista e reazionaria. Fin dalle prime apparizioni, come si nota nel corto I Yam What I Yam del 1933, nel momento del pericolo Olivia richiede l’aiuto del compagno («Aiuto, Popeye!») ma reagisce e agisce nell’attesa della risposta, colpendo in prima persona il nemico che l’attacca. Flapper girl, quindi, nella morale più che nell’aspetto, emancipata attrice anni Trenta in perfetto contrasto con la collega Betty Boop. 16

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BETTY BOOP (ID.) SEGNI PARTICOLARI «Boop-oop-a-doop!» CREATA DA Max Fleischer e animata in collaborazione con Grim Natwick PRIMA APPARIZIONE 1930, in Dizzy Dishes, con le voci di Margie Hines e Mae Questel (v.o.) e Melissa Fahn (v.it.). PRODUZIONE Fleischer Studios

Icona erotica e ironica del cinema d’animazione, basata sulla figura della celebre cantante degli anni Venti, Helen Kane, Betty Boop è una showgirl di successo, seducente e affascinante. Creata da Max Fleischer, piccola di statura e deformed per la sua testa molto più grande rispetto al corpo, Betty risulta essere prorompente e accattivante, in grado di sedurre con la sua aria sbarazzina e innocente. Flapper alla moda, caratterizzata da vestitini succinti, giarrettiera in bella vista e dal corto taglio di capelli, Betty segna l’era del jazz celebrandola ufficialmente nel 1932 nel cortometraggio Minnie the Moocher, in cui affianca l’artista Cab Calloway. Dal 1932 al 1938 il successo di Betty Boop si mantiene stabile e l’attrice compare sullo schermo a cadenza mensile, aggiudicandosi una novantina di cortometraggi. A frenarla arriva però il Codice Hays, che le impone testi più edulcorati e comportamenti meno appariscenti: Betty viene prontamente rivestita e trasformata in una donna single non più interessata al corteggiamento maschile. Riapparsa per un breve cammeo nel 1988 in Chi ha incastrato Roger Rabbit (Who Framed Roger Rabbit), ci piace, ancora oggi, ricordarla in due sue celebri interpretazioni nelle vesti di Biancaneve e Cenerentola, disegnata dallo stesso animatore che ne animerà la versione Disney: Grim Natwick. Moraliste e Seduttrici

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Marge siMPson (id.) segnI partIcolarI Capelli Blu n. 56 e filo di perle creata da Matt Groening prIMa apparIzIone 1987, nel cortometraggio Good Night per la futura serie tv I Simpson (The Simpsons), dal 1989, con le voci di Julie Kavner (v.o.) e Liù Bosisio (v.it.) produzIone Fox

Marjorie «Marge» Bouvier, coniugata Simpson, debutta sugli schermi televisivi il 19 aprile 1987 in compagnia del nucleo familiare composto dal marito Homer e dai figli Bart, Lisa e Maggie. Il cortometraggio si intitola Good Night e il programma che li introduce è il celebre The Tracey Ullman Show. Il successo è immediato e nel dicembre del 1989 la famiglia ottiene uno show tutto suo: I Simpson, realizzato dalla casa di produzione Fox e, ben presto, una delle serie più di successo degli ultimi decenni. Alla guida della famiglia v’è Marge, madre e moglie modello, casalinga determinata, moderata e coscienziosa, che si dedica completamente al bene della famiglia in quanto suo stesso bene. Talvolta fin troppo modesta e retrò, si trasforma, all’occasione, in un’intraprendente attivista in grado di lottare per i suoi ideali e di schierarsi dalla parte dei giusti. Per questo motivo, oltre a essere un punto saldo all’interno della sua famiglia, lo è anche per la città di Springfield: i suoi valori morali la conducono alla lotta contro Lyle Lanley e al suo avido progetto di monorotaia nonché alla crociata antiviolenza contro il programma di Grattachecca e Fichetto (Itchy & Scratchy Show). Nel 2008 è stata inserita dalla rivista Time nella classifica delle «10 Best Moms Ever» (‘Le dieci migliori mamme di sempre’).

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Helen Morgendorffer (id.) segnI partIcolarITailleur e filo di perle creata da Glenn Eichler e Susie Lewis Lynn, con Tom Marsan (art director) e Corey Block (animation production coordinator) prIMa apparIzIone 1997, nella serie tv Daria, con le voci di Wendy Hoopes (v.o.) e Dania Cericola (v.it.). produzIone MTV Animation

Madre di famiglia ma, soprattutto, brillante donna in carriera presso uno studio di avvocati, Helen Barksdale, maritata Morgendorffer, è l’incarnazione della donna di successo degli anni Novanta. Sposata e con due figlie, Daria e Quinn, Helen non si allontana quasi mai dal lavoro, che la assorbe freneticamente: sempre al telefono con soci o clienti, si distrae dalla routine domestica rimanendo vincolata al suo abbigliamento da ufficio, caratterizzato da tailleur e filo di perle, non riuscendo del tutto a seguire gli avvicendamenti familiari. Non per questo risulta essere una cattiva madre: fa di tutto per seguire le figlie nell’istruzione scolastica e nei problemi adolescenziali, ne limita le «uscite» e ne controlla spese e coprifuoco. Il suo scopo è riuscire a essere una buona guida in modo da renderle, un giorno, donne forti e di successo come lei. Lo si vede non solo nei sessantacinque episodi della serie tv ma, più in particolare, nel lungometraggio del 2002 Is It College Yet?, in cui tenta di guidare Daria nella scelta dell’università che determinerà la sua futura carriera. Dopotutto, se le figlie appaiono al momento svogliate, pseudoanarchiche o superficiali, non bisogna arrendersi: anche lei, negli anni Settanta, ha avuto il suo momento hippie, ma è riuscita comunque a ritrovare la retta via grazie alla facoltà di legge del Middleton College. Casalinghe e Impiegate

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tiana (id.) segnI partIcolarI Determinata imprenditrice Basata su Il principe ranocchio, fiaba nella versione dei Fratelli Grimm, e sul romanzo The Frog Princess di E.D.Baker, 2002 creata da Ron Clements e John Musker per il film La principessa e il ranocchio (The Princess and the Frog), 2009 anIMata da Tim Allen, Joe Oh, Yoshimichi Tamura ed Eric Walls, con le voci di Anika Noni Rose (v.o.), Domitilla D’Amico (v.it. dialoghi) e Karima Ammar (v.it. canto) produzIone Walt Disney Studios

Giovane donna in carriera, Tiana debutta nel cinema nel 2009 con il lungometraggio La principessa e il ranocchio, aggiudicandosi per la prima volta, nella storia dei Walt Disney Animation Studios, il ruolo da protagonista per un personaggio/attore afroamericano. Seppur contemporaneo, il film riprende però quella sensazione di ottimismo e moralismo, talvolta ridondanti, che ricordano la vecchia pellicola degli studi Disney I racconti dello zio Tom (Song of the South) del 1946, in cui il buon zio Tom allieta il pubblico con le sue storie d’avventura. Tiana si fa portavoce di quel buonismo e fedeltà al lavoro: instancabile lavoratrice che spera di poter realizzare, un giorno, il sogno del padre aprendo un proprio ristorante, non esce la sera, fa i doppi turni e risparmia fino all’ultima mancia. Ci mette dedizione e passione, convinta che il duro lavoro prima o poi la ricompenserà di tutti gli sforzi. Anche qui, come nel film del 1946, è presente un’idilliaca amicizia tra schiavi e proprietari terrieri, non si sente la rivalità tra classi e si convive in perfetta armonia: la migliore amica di Tiana, Lotti, è una ragazza bionda, ricca e viziata, una sorta di sorellastra, involontariamente molto simile ad Anastasia e Genoveffa per grazia e arroganza, la cui amicizia non verrà intaccata neanche dall’arrivo del ricco principe, sebbene la giovane Tiana lo rubi direttamente – benché senza cattiveria alcuna – dai sogni di Lotti. 34

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Biancaneve (snow wHite) segnI partIcolarI Imperterrita donna di casa Basata sulla fiaba omonima dei Fratelli Grimm e illustrata da Gustaf Tenggren per il film Biancaneve e i sette nani (Snow White And The Seven Dwarfs), 1937 anIMata da Ham Luske e Grim Natwick, con le voci originali di Adriana Caselotti (v.o.), Rosetta Calavetta (v.it. dialoghi) e Lina Pagliughi (v.it. canto) produzIone Walt Disney Studios

Eterea sognatrice, apparsa inizialmente nelle fiabe tedesche dei fratelli Grimm, Biancaneve debutta ufficialmente sugli schermi cinematografici americani nel 1937 con la pellicola Biancaneve e i sette nani, celebrando la nascita del lungometraggio di animazione classico degli studi Disney. Prototipo delle attrici che seguiranno all’interno della major, Biancaneve è una principessa decaduta e serva in casa propria, costretta a convivere con la matrigna, la bellissima Regina Grimilde e, infine, obbligata alla fuga dalla stessa, che tenterà di ucciderla per mantenere intatto il suo primato di donna più bella del regno. Biancaneve, a sua volta, non prova gelosia nei confronti della regina: umile e dedita alle faccende domestiche, la sua bellezza è innata e, all’apparenza, non richiesta. La giovane si dedica al lavoro, rassetta la casetta dei sette nani e insegna loro le buone maniere, e incanta, inoltre, involontariamente il principe solo attraverso la dote del canto. Del resto si sa, Biancaneve, così come le altre che la seguiranno, può fare affidamento quasi del tutto all’utilizzo della propria voce: il canto è una dote che affascina e circuisce il pretendente il quale, forse, non solo ricambierà la strofa ma non si accorgerà nemmeno a come si sia vestite. Casalinghe e Impiegate

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_Fotogramma tratto dal film Wall-E.



_I protagonisti di Futurama: l’avventurosa Leela Turanga, l’impacciato Fry e il robot Bender.


_Meg Griffin.

_ Kathryn Beaumont / Alice.


_Jessica e Valiant in Chi ha incastrato Roger Rabbit.


_Ariel salva Eric dall’annegamento.

_Lilli in fuga per le vie della cittĂ .



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