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Under The Shadow – L’ombra della paura

UNDER THE L’OMBRA DELLA PAURA

SHADOW

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di Mattia CARUSO

‘Dentro il genere’: demoni e fantasmi che raccontano la vita quotidiana

Con le sue premesse iniziali, le sue dinamiche famigliari e la sua insistita dimensione privata, parrebbe quasi un classico dramma da camera sulla falsariga dell’Asghar Farhadi di Una separazione, Under the Shadow (2016), in Italia distribuito da Netflix con il titolo L’ombra della paura. Eppure l’opera prima dell’iraniano Babak Anvari, destinata ben presto a rivelarsi un incubo dagli echi ancestrali, è la dimostrazione lampante di come il cinema di genere sappia, anche meglio di altri celebri esempi “alti”, dialogare con il proprio tempo, facendosi portatore di istanze sociali e politiche fortemente radicate nella quotidianità. È un horror a tutti gli effetti, del resto, la storia di questa madre intrappolata in casa con sua figlia, mentre fuori le esplosioni dei missili iracheni sconquassano una Teheran già in subbuglio per le conseguenze della rivoluzione culturale. Un contesto (siamo nel 1988) dove la paura, l’ottusità e la repressione la fanno da padroni, creando il terreno fertile per un Male destinato a radicarsi nelle vite e nelle coscienze dei suoi protagonisti spezzati, demoralizzati, sconfitti. È proprio qui, in una tragedia tanto pubblica quanto privata, che il genere fagocita il dramma, non senza prima, però, averci restituito una fotografia stilizzata ma puntuale di un paese stravolto, dove l’indottrinamento ha preso il posto della libertà di pensiero (l’incipit all’università), e il ruolo della donna si è trovato a essere fortemente ridimensionato. Mentre la Storia si mischia al vissuto privato e la guerra entra (anche letteralmente) in casa annidandosi nell’inconscio per non andarsene più via, è così il senso di inadeguatezza di Shideh (Narges Rashidi), donna forte e indipendente costretta ad accettare, in quella nuova società patriarcale, il solo ruolo di madre, a diventare vettore ideale niente meno che per un jinn, demoni della tradizione islamica che proprio di quelle paure e frustrazioni si sono sempre nutriti. È così che l’orrore, passo dopo passo, prende forma, materializzandosi dalla sostanza di un cinema legato a doppio filo con la storia di un paese scisso e pieno di contraddizioni. E se i riferimenti a certi prodotti occidentali certo non mancano (difficile non pensare al quasi contemporaneo Babadook di Jennifer Kent), così come tutto l’armamentario classico del cinema di genere, dai jump scares alle atmosfere inquietanti, è lampante come Under the Shadow non possa esistere all’infuori del proprio Paese. Un film politico immerso in una realtà che dietro alla sua storia di demoni e fantasmi urla forte la propria unicità, la propria ingombrante storia, il proprio drammatico vissuto.