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Compagni di squadra Lucio 'credici o no' Vidotto

L'OPINIONE Compagni di squadra di Luca Tramontin

Lucio 'credici o no' Vidotto

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Qua si rischia: parliamo del compagno di squadra come categoria biologica e non più come persona che ha fatto sport insieme a te. Parto da un reportage (alla fine mai andato in onda, viva la burocrazia italiana) che io e Dani abbiamo fatto sul più italiano e più veneto dei club stranieri al mondo, il Primorje di pallanuoto, Fiume/ Rijeka Croazia. Lo tifavo già da bambino. Ma differentemente dall’Alleghe hockey che vedevo spesso, il Viktoria (nome precedente) lo avevo visto solo per qualche minuto prima che il parente-deficiente mi dicesse “andiamo via che c’è umido”. A volte però le cose viste di striscio e rimpiante ti lasciano quegli echi infantili visionari e allucinati che “lavorano” da soli dentro l’immaginario. E non ti lasciano più. Insomma forza Primorje. Appena entrati in piscina ci saluta e accoglie Lucio Vidotto, nato e cresciuto a Fiume. Ci spiega un sacco di cose divertenti, ci indica le persone più adatte a quello che ci serviva, non guarda orari né doveri ufficiali, scrive sul Novi List e altre testate, ma appena saputo che arrivavano italiani interessati al Primorje (non si deve dire ma è molto raro) si è fiondato a bordo vasca. Parla il croato e l’italiano meglio di me (ci vuole poco) e anche il veneto (già più difficile). Quando torniamo per il film con Nino Castelnuovo, e poi per l’episodio numero 2 di SPORT CRIME, Lucio ha già attivato suo fratello Ivo e tutte le conoscenze che ci servono. In pratica, partecipa a tutto quello che ci serve in loco. Arrivo alla parte “bio-stramba”: salta fuori che nel 1977 Lucio era venuto all’Hotel Olivier in Nevegal con la scuola e abbiamo giocato a rugby insieme. Ripeto, nel 1977. Il mio allenatore (Vito Olivier) era proprietario insieme al fratello del primo hotel della zona con un campetto esterno. Essendo a fine stagione Vito ha chiamato al telefono una decina di suoi ragazzi per andare a questa sessione con i coetanei fiumani. Ovviamente mi sono fiondato, con l’autobus numero 2, ricordo con sicurezza Stefano Zambelli, Giorgio “Fish” Tommaselli e Federico Tarantola, nomi grossi, per me ovviamente. Compagni di squadra. Torno a Lucio, inutile girarci intorno, qualcosa si sente, essendo culturalmente allergici alla retorica si evita di dirlo, si cercano scherzi e perifrasi difensive, si respinge (dio ce ne liberi) tutto il sentimentume che impesta la rete e la TV. Insomma, uno si vergogna a dirlo, ma quell’impressione positiva di conoscersi già gira nell’aria e la cambia. Certo, ci sono i fattori comuni di aver giocato vari sport di squadra e combattimento, di avere una linguistica simile, magari anche una simile e ribelle visione del giornalismo e della famiglia, tutto quello che vuoi. Ma quando è riemerso l’episodio (credeteci o no eravamo al pub e bevevamo birra, incredibile eh?) il senso di chiusura del cerchio è diventato geometrico. Se vuoi aggiungi anche che siamo partiti entrambi da biondi e capelloni e siamo finiti entrambi cronisti sportivi rasati a zero. Convergenze se ne trovano fino a Pasqua, ma qui il senso del sostegno e del terzo tempo saltano oltre i confini, gli ex confini (il papà di Lucio nasce in Italia, io lo conosco in Jugoslavia e lo frequento in Croazia) e la logica. Quando con Gianluca Veneziano (che dovrebbe chiamarsi compagno di squadra all’anagrafe) abbiamo girato le ultime immagini di “Rijeka”, fine maratona ci siamo presi un paio di ore extra per andare a luppolo e con Lucio e Ivo Vidotto (scrittore, giornalista, letterato che secondo me ha il suo punto più alto nella satira) siamo andati in un pub-club sloveno. Io, un terone, due italiani di Slavia-Croazia in un bar sloveno dopo aver girato una fiction svizzera. Solito problema, poco tempo. Per questo non ho i social, avessi qualche ora in più la spenderei al pub.