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Editoriale

La ‘casta’ del non fare

Secondo i dati raccolti durante la ‘costruzione’ di questo nuovo numero di ‘Periodico italiano magazine’, la sindrome ‘Nimby’ (‘Not in my back yard’, letteralmente: non nel mio cortile) è un fenomeno che, nel corso degli ultimi decenni, è cresciuto a tal punto da diventare una vera e propria ‘ideologia politica’. Innanziutto, non si tratta di comitati locali di cittadini contrari alla costruzione di un’opera nella loro area o regione di residenza, bensì di enti pubblici e di una classe politica locale che, invece di rispondere attivamente alle legittime preoccupazioni degli stanziali, preferisce in realtà cavalcare la protesta, anche quella più violenta e ostruzionistica, per lucrarne consenso elettorale. Ovvero, per essere rieletti e assicurarsi il mandato di potere successivo. Ed è esattamente questa la denuncia che cercheremo di fare in questo numero estivo della nostra rivista. Noi intendiamo sfatare il mito di una disobbedienza civile che non solo, il più delle volte, non lo è affatto, ma addirittura distorce alcune motivazioni di principio di una protesta qualsiasi, trasformandola da sindrome ‘Nimby’ a filosofia ‘Nimto’, ovvero: “Non durante il mio mandato elettorale”. In pratica, per non perdere voti ci si schiera dalla parte dei cittadini, anche quando essi avrebbero tutto da guadagnare, soprattutto sotto il profilo delle nuove opportunità occupazionali o in quello della riqualificazione di un territorio. In pratica, siamo di fronte a una vera e propria ‘non cultura’ di governo, utilizzata in ‘chiave’ nazionale da movimenti di opinione caratterizzati da un forte antagonismo ideologico. Vere e proprie ‘sacche’ di integralismo che invece di aiutare i cittadini a trovare soluzioni di compromesso con le istituzioni, spingono le popolazioni verso forme di resistenza conservatrice. Solamente in Italia sono più di 300 le opere di pubblica utilità e gli insediamenti industriali contestati. Il settore più combattuto è quello dell’industria energetica, nel quale si stanno bloccando persino impianti per produrre energia elettrica da fonti rinnovabili. Si teme, in sostanza, chissà cosa sulla linea di una falsata

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capacità di costruire dighe in condizioni sicurezza, magari agitando lo spettro di alcune gravissime tragedie del passato, come quella del Vajont del 1963 o della Val di Stava nel luglio 1985. Inutile ricordare che le dighe più alte e più efficienti del mondo sono state costruite proprio da ditte e aziende italiane. Come quella in Tagikistan, la più alta del mondo, con i suoi 335 metri di altezza, o la maggior parte di quelle attualmente in funzione in America Latina. Tutto questo è frutto di un movimentismo ideologico statico e ‘sbagliato’, che non risponde ad alcuna etica del lavoro e che ha portato alle luce della politica nazionale movimenti, esponenti e personaggi assolutamente inetti e incompetenti. Nel campo energetico, così come in quelli della gestione dei rifiuti, delle trasformazioni del territorio e della realizzazione di impianti tecnologicamente avanzati, il confronto, il dialogo e la partecipazione tesa a creare un coinvolgimento responsabile da parte dei cittadini dovrebbe essere la politica da intraprendere, diffondendo informazioni trasparenti che consentirebbero un monitoraggio e una manutenzione meno ‘pigra’ o abitudinaria del territorio. Sono danni economici seri quelli che vengono generati, poiché fanno lievitare i costi e i tempi di realizzazione di un’opera qualsiasi attraverso forme di opposizione ‘aprioristica’, qualunquisticamente allineata sul versante dell’ordinaria amministrazione. Pertanto, il nemico principale degli italiani non è solo la ‘casta’, ma anche l’antipolitica: una categoria di esponenti, opportunisti e senza scrupoli, che utilizzano l’egoismo territoriale per motivi di consenso elettorale, impedendo al nostro Paese di seguire quella strada di sviluppo già intrapresa da altri Paesi del nord d’Europa, spesso indicati, ipocritamente, come modelli virtuosi da seguire. Un particolare tipo di ‘casta’ spesso costretta a contraddirsi e a rivedere gli accordi presi con le comunità locali, come accaduto di recente al Movimento 5 Stelle. Un nuovo ceto politico di soggetti ‘ottusi’, spocchiosi e impreparati, che anche in situazioni come quella del gasdotto proveniente dal Mar Caspio, in cui era evidente che sarebbe bastata una semplice modifica di pochissimi chilometri al progetto di allacciamento, ha promesso di difendere il ‘No’ per pura ‘prassi ideologica’ in cambio di voti. È questo il modo migliore per ‘avvitare’ un Paese su se stesso, zavorrandolo e rallentandolo inutilmente. Per mero pregiudizio e convinzioni divenute obsolete o assai poco comprensibili.

Vittorio Lussana