C14 Journal 07

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J OUR NA L

A NEWSPAPER ABOUT OUR WORK ON DESIGN_ARCHITECTURE_EXHIBITION_LIGHT_RETAIL_STORIES_LIFE_ATTITUDE_STUFF_SUGGESTIONS

“THE

UN REA L

SP A CE

OF

REA LITY ”

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H O M E W W W.G RU PPOC14.COM VIA MORIMONDO 26 20143 MIL ANO T +39 02 4 8 958 49 4 F +39 02 8 9 078 553

C L I E N T S L O V E U S ACCADEMIA DEL PROFUMO AEM - MILANO APRILIA ASTI SPUMANTE BALLANTYNE CASHMERE BARABAS B E AU T E PR E S T I G E I N T E R N AT I O N A L B E N E L L I - B E R E T TA CANALI C APGEMINI ER NST-YOU NG C AT E R P I L L A R CAUDALIE CIELO VENEZIA CITROEN COMUNE DI MILANO CO M U N I TÀ EU RO PE A CO N SO R ZI O VA LT EL L I N A COREPLA DELOITTE DEUTSCHE BANK DPR DUPONT ENEL ENIT EXYTUS FEDERMOBILI FERRERO FINANZA E FUTURO FRAU FRESCOBALDI G A Z ZE T TA D E L LO S P O RT GENERALI PROPERTIES GEOSPIRIT GILERA GRUPPO OBI GQ-CONDÈ NAST GUZZI HAIER HINES H3G-(TRE) HOTEL CHIAR AVALLE HOTELPLAN I L LY I N A A SS I TA L I A INDA INFOSTRADA-IOL INTEL I TAC A IT’S COOL IULM JEAN PAUL GAUTIER JOB PILOT KITON KODAK LANCASTER LEGA CALCIO LEVI’S LG ELECTRONICS LOGAN LOROPIANA L’ O R E A L LUXOTTICA

W E L O V E MALIPARMI MARTINI 6 MINISTERO DEI TRASPORTI MONDADORI MOTOROLA MSC MT LIGHTS NESTLÈ NIELSEN NIKON NOKIA O M - F I AT ORLANDINOTTI PARTESA PEUTEREY PHARD PIAGGIO PIRELLI PISA OROLOGERIA PLANTRONICS P L AY T E A M POLIEDRO P O M E L L ATO POSTCARD PUBLICONTROL R A D I O E V I D E O I TA L I A S M I RAGNO REGIONE LOMBARDIA REPI SAFILO SAMSUNG SARA ASSICURAZIONI SARAS PETROLI SHELL SIEMENS SKY TV S TA LTO P S ST MICROELECTRONICS SVAROVSKI S WATC H G RO U P SWISS & GLOBAL TELECOM TESTORI TIMBERLAND TISCALI TOD’S TOSHIBA TRENORD TRUNK&CO UNESCO UNICREDIT UNILEVER UVET AMERICAN EXPRESS VAC H E RO N CO N S TA N T I N VA LT U R V E L A SCO V I TA L I VIRGILIO VIRGIN VODAFONE WHIRPOOL ZAF

C L I E N T S

ALEXANDER BELLMAN M AT T E O N O B I L I ALESSANDRA LEMARANGI FLORIANA CESCON ELENA BARBERINI M AT T I A O D DO N E ELISA ARINI F E D E R I CO M O N TAG N A OSC A R V I TA L E GIULIA CELSI IL ARIA R AVA Z ZONI CHIARA CORSINI MARINA APROVITOLA ROSSANA MARCIANÒ ALESSANDRA SASSONE SIMONE RUSSO


DI ALEXANDER BELLMAN

Spesso quando parlo di C14 uso in maniera ossessiva ed indiscriminata il termine "non convenzionale", per motivi che ritengo più che giustificati e che riguardano in generale tutte le persone che collaborano con me, nel presente, nel passato e nel futuro. Ad esempio una non comune passione per la matematica pura, esperienze diverse su più fronti tra cui scenografie, spettacoli teatrali, sfilate, fumetti, set virtuali, spot televisivi, telecamere di sicurezza nelle carceri, telegrafi in legno, chitarre elettriche, strumenti meccanici, ologrammi, sistemi di attracco per barche a vela, ombre cinesi ecc... Come questo fenomeno di aggregazione e selezione di persone, molto diverse tra loro ma con caratteristiche simili e complementari avvenga senza essere predeterminato non mi è del tutto chiaro. Però mi piace molto l'idea che "non convenzionale" possa essere associato ad un concetto di "metodo", astrazione, intuizione e logica razionale. In quest'ottica la nostra caratteristica più importante, cioè la capacità di un approccio al progetto originale, unico e fuori dagli schemi, è da sempre stata la nostra forza. Ciò significa ed ha significato inoltre che i rapporti in studio non sono e non saranno mai basati sulla gerarchia bieca ma sul carisma, sulla condivisione, sullo spunto, che le idee continueranno a fluire libere e che il sistema non sarà mai rigido, ma organico e dinamico. Mi permetto di aggiungere il buon proposito della stagione 2015/2016: questo nuovo anno, che per me inizia, come già detto in un numero precedente, il 15 settembre, sarà più che mai dedicato a prototipi e alle innovazioni transdisciplinari in tutti gli ambiti di applicazione, quindi come sempre super divertente e al tempo stesso faticoso. Il titolo di questo numero, "the unreal space of reality" ed il restyling stilistico della rivista, sono le testimonianze dirette della continua voglia, o meglio, della nostra inevitabile attitudine alla sperimentazione. Conto su tutti voi... Dedicato a tutti coloro che lavorano insieme a me.

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Ciò che mi piacerebbe di più, in questo momento di evoluzione e cambiamento, sarebbe un ultimo confronto direttamente con il mio maestro, il lighting designer a cui mi sono sempre ispirato e che mi ha insegnato tecnica e poesia. Non posso fare il suo nome ma posso dirvi che questo purtroppo è un desiderio irrealizzabile, perché, come nella migliore tradizione orientale ed inevitabile conseguenza di un rapporto contrastato, ho dovuto ucciderlo, interrompendo probabilmente la mia istruzione prima di ricevere l’insegnamento definitivo, la mossa segreta che solo l’allievo che si vestiva di bianco poteva conoscere ma non quello nero, cioè io. Eppure in questo progetto in cui l’ombra recita il ruolo del protagonista è il “nero” che mi piace molto e continua a piacermi moltissimo. Di notte la forza espressiva di un’architettura che per forma e materia appare indubbiamente come un “intruso” in piazza Gae Aulenti aumenta, si assottiglia e si disegna in maniera surreale ed astratta. A breve partirà il cantiere del resto, ci stiamo occupando di quella parte di piazza che nasce dal seme di Michele de Lucchi e passa per Mario Cucinella, ed allora l’ “intruso” sarà l’origine di un concetto più ampio, più compren-


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sibile e forse più “chiaro”. Di sicuro non esistono a Milano luoghi notturni simili, nei quali i contrasti tra luce ed ombra nascono da una volontà di progetto così determinata e precisa, direi anche così pre-calcolata e studiata. Ciò che ha generato tutto è la visualizzazione astratta del propagarsi di una onda, il riverbero di un sasso (il Pavillon) che cade in uno stagno calmo e ne deforma la sua superficie secondo un ritmo musicale decrescente. I lampioni stessi sono steli puri, alti 10 metri e appositamente disegnati. Si comportano come indicatori di battuta in un pentagramma, la loro luce è concentrata e precisa, non diffonde ma indica, scandisce. Tutta questa teoria iniziale ed affascinante ci ha portato ad un lavoro enorme, della durata di due anni ed ovviamente ad ardue e valorose battaglie per difendere scelte tecniche e selezione di apparecchi ed ottiche. L’ “oggetto architettonico” infatti è super complesso ed ha una pelle mutevole, trasparente e opaca allo stesso tempo, a seconda delle momentanee esigenze interne, richiede un approccio molto tecnico e studiato. Inoltre di ulteriore stimolo sono state le varie normative Cielo Buio Regione Lombardia, che a mio modesto parere andrebbero decisamente integrate con concetti più moderni e magari valutate da una commissione di professionisti della luce.


Seppur nate da principi ampiamente condivisibili, mancano di flessibilità e di adattabilità ai luoghi e alle reali esigenze. In sintesi si limitano troppo le possibilità di progetto, sono fondate sulla certificazione di caratteristiche semplici del tipo tipologico/prestazionale degli apparecchi luminosi utilizzabili e tralasciano logiche originali e interpretative più ampie e raffinate. Conseguentemente ci si potrebbe dimenticare di ciò che è innovazione, di concetti di controllo luminoso avanzato e del necessario approccio “percettivo” di fronte all’eccezionalità di un luogo o di un edificio. In questo panorama normativo un po’ oscurantista essere riusciti a fare esattamente quello che ci eravamo prefissi, difendendo scelte difficili e perseguendo la strada della luce all’interno dei più severi parametri di risparmio energetico, mi rende molto orgoglioso, forse ai limiti dell’arroganza. Il nostro ufficio stampa mi consiglierebbe a questo punto di entrare nei dettagli di una descrizione tecnica del numero di apparecchi utilizzati, delle raffinate ottiche ellittiche scelte, della precisione degli strumenti di verifica e simulazione informatici, e dell’ enormità del lavoro svolto e sicuramente di lasciar perdere queste noiose considerazioni nei confronti di Cielo Buio.

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Io preferisco sempre e comunque parlare di emozioni e lasciare che sia l’illuminazione stessa a raccontare una storia all’osservatore, sia che egli percepisca un’immagine veloce e fuggevole dall’esterno passando in macchina o che abbia il tempo di vivere con più attenzione l’edificio, partecipando ad un convegno o visitando una mostra d’arte, o che casualmente ed anche inconsciamente si soffermi per qualche secondo in piazza o nel futuro parco adiacente a guardare la città di notte, ma anche le stelle. Comunque, visto che gli uffici stampa non si possono purtroppo sempre ignorare, di seguito alcuni dati a conclusione...

Alexander Bellman

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QUANTITÀ DI CORPI ILLUMINANTI

TIPOLOGIE DI

CORPI ILLUMINANTI

786 METRI DI LUCE LINEARE

ORE DI CALCOLO

L’illuminazione dell’esterno dell’edificio assorbe tanta corrente quanta quella di un phon, un ferro da stiro ed una lavatrice.

AZIENDE

COINVOLTE Erco Zumtobel Flos Artemide Kreon Robe

ASSORBITIMENTO LUCE INTERNO

30570 METRI LINEARI DI CAVO

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Lev Manovich fu uno dei primi a parlare di augmented space e di augmented architecture, quando già nel 2002 scriveva che l’architettura è sempre stata aumentata, nel senso che l’ornamento, l’affresco, il decor e successivamente la pubblicità sono da sempre strumenti di augmentation del patrimonio architettonico e del panorama cittadino. Estrapolando questa frase da un discorso più complesso sembrerebbe quindi che la così detta AR ( Augmented Reality ) sarebbe unicamente una nuova possibilità per conoscere ed interpretare il mondo fisico, un potente occhio digitale per leggere l’architettura e l’arte, attraverso sovrapposizioni di layer di pubblicità ed informazioni storiche. La conseguenza diretta sarebbe che, l’ho sempre desiderato, durante una passeggiata in Galleria potremo finalmente vedere, come se si fosse al cinema con gli occhialini 3D, Giuseppe Mengoni che cade giù dall’impalcatura e si spiaccica al suolo, in loop? Nel mentre in una vetrina di Prada una Kate Moss virtuale e seminuda sfila con indosso l’ultimo accessorio in pelle di alligatore della collezione autunno inverno, sempre in loop ovviamente? E poi, quanto ci sarebbero meravigliosamente utili delle belle informazioni digitali e dati sensibili sull’andamento della borsa internazionale, avvolte virtualmente attorno al dito di Catellan di fronte a palazzo

Mezzanotte? E non dimentichiamoci del turista, che troverà le indicazioni stradali più facilmente e scoprirà forse, finalmente, quando e più o meno come hanno costruito il Duomo di Milano, senza rompere le scatole a noi milanesi che queste informazioni ce le teniamo per abitudine e carattere ben strette e non amiamo condividerle. Andiamo su… Credo che sia molto limitante fermare la propria immaginazione qui. Il ragionamento e gli interrogativi che dovremmo porci sull’influenza che potrebbe avere l’utilizzo diffuso di una tecnologia di questo tipo e quindi le ipotesi sul campo delle possibilità applicative devono avere inizio partendo da presupposti diversi. E poiché sarebbe molto colpevole da parte mia se non cercassi di provocarvi e stimolarvi in questo senso, vi invito a supporre che sia tutto vero e che tutto quello che ci circonda verrà rivestito da una quantità infinita di dati sensibili e selezionabili attraverso i nostri ipad, iphone, google glasses, lenti a contatto, innesti oculari, chip neuronali, o quant’altro, e che a breve avremo la possibilità di percepire o esperire in tempo reale tutto ciò nella quotidianità. Non credete che lo spazio cambierà di forma e sostanza, non solo nella sua pelle o nell’ ornamento come dice Manovich (tenete presente che già cosi non sarebbe poco), ma che conseguentemente il nostro modo di muoverci, di leggere, di lavorare e di progettare

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e di ricercare l’informazione verrà irrimediabilmente stravolto, con conseguenze probabilmente imprevedibili? L’espressione stessa Augmented Reality, coniata nel 1992 dal ricercatore T.P. Caudell, si riferisce ad una tecnologia in grado di fondere informazione digitale e mondo fisico, e questo se analizzato in profondità è di per sé già un concetto potenzialmente rivoluzionario. Anche se come la maggior parte delle tecnologie virtuali basate sulla geo-localizzazione 3D dell’utente l’AR nasce per far fronte ad un problema tecnico molto limitato e specifico, l’installazione di cavi elettrici negli aerei, le potenzialità che si intravedono da subito sono enormi. A mio parere però l’aspetto fondamentale da chiarire, se si pensa ad una vera innovazione in ambito cognitivo, è il ruolo fortemente attivo che dovrebbe interpretare l’utente, il cittadino, nella scelta e nella modifica dell’informazione percepita e del modo di percepirla. Se si pensa all’AR solamente come ad una soluzione più affascinante e fisicamente meno invasiva di fare dei led-wall interattivi, non si va molto al di là rispetto all’idea di un’insegna luminosa, di un’indicazione stradale più precisa, di un metodo di marketing di maggior impatto. Se invece si affronta la problematica in maniera trasversale tenendo ben presente che il mondo fisico e quello digitale si possono fondere senza che uno dei due sia subordinato all’altro, la risultante sarà la concreta possibilità di modificarli entrambi in tempo reale, a seconda di ciò che si sta cercando, del proprio umore,

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della propria attitudine, della propria ignoranza o conoscenza. Ciò può avvenire secondo una logica nuova indipendente da fattori temporali/sequenziali, stravolgendo le regole della prospettiva, della gravità e del tempo insieme a tutte le altre leggi fisiche; introducendo anche nello spazio reale nuovi metodi di percezione e selezione dell’informazione, metodi che fino ad ora appartenevano unicamente al mondo del digitale, al web, ai laboratori di ricerca. De Kerckhove negli anni 90 identifica come messaggio prioritario della realtà virtuale quello di potenziare la realtà, estendendo i confini del reale verso il virtuale ed espandendo i limiti di entrambi, in maniera inedita e stimolante. Questa semplice frase è fondamentale per riassumere il tutto ed identificare l’atteggiamento progettuale che dovremmo avere noi che stiamo vivendo la fase iniziale e sperimentale, sia che ci occupiamo di architettura e di luce, di marketing e comunicazione, di arte o di storia, o che semplicemente diventeremo i protagonisti in prima persona di un mondo per l’appunto “inedito”.

Alexander Bellman

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Parto da lontano. Quando il 27 gennaio 2010 Jobs presentò il primo Ipad, mi chiesi se realmente fosse un prodotto necessario, e la mia prima risposta fu “assolutamente no”. Oggi la sua apparente inutilità è fondamentale per me come per molti altri, perché è stata in grado, proprio come nelle intenzioni del suo ideatore visionario, di annientare quasi completamente le distanze siderali presenti sino a quel momento tra dispositivi mobili così definiti smartphone (evoluzione del più comune telefono portatile) e computer. Credo però che la vera rivoluzione introdotta dall’ipad non sia stata quella di aver cambiato il modo di usare la tecnologia, quanto piuttosto quello di farla, produrla, pensarla. I tablet hanno definito nuovi confini nello sviluppo di contenuti e applicativi, hanno creato una nuova superficie di fruizione, un nuovo spazio, e conseguentemente aperto le porte


“...THE MEDIUM OF ENTERTAINMENT WE CALL VIDEO GAMES IS IN FACT ART” all’immaginazione e alla fantasia di menti creative alle quali non è parso vero di poter sperimentare un nuovo linguaggio, in una nuova dimensione ed in ogni ambito possibile, dal gestionale all’intrattenimento, dalla musica al gaming. E proprio da una di queste menti che è nato Monument Valley. Definirlo gioco risulta decisamente riduttivo. Il suo creatore si pronuncia con parole piuttosto solide e definitive:”My hope for Monument Valley is that it might contribute to the argument that the medium of entertainment we call video games is in fact art”. E come dargli torto. Benchè lo spunto più evidente sia l’architettura illusoria di Escher o il rigore e lo stile di Ives Netzhammer che qualche critico ha citato, il mondo di Monument Valley si espande in altre infinite facce e riflessi di un prisma ideale fatto di arte, pittura e letteratura. La mia

personalissima sensazione è che con Monument Valley non si giochi, ma ci si prenda del tempo per sè, mentre ci si muove in un paradiso per la mente, lontano dalla frenesia e dallo stress dei più tradizionali giochi concepiti con il presupposto di generare un mondo simile al nostro del quale poter avere il controllo, e nel quale essere gli attori principali. La verità è che la dolce Ida, protagonista di questa avventura, è una viaggiatrice in cerca di risposte tutt’altro che ovvie, ospite di una dimensione totalmente diversa e assolutamente non simulativa del mondo reale. L’altra verità è che non si interpreta Ida, ma la sensazione è che sia lei stessa a condurci per mano, in un’astrazione totale dalla propria identità soggettiva. Lo si completa senza porsi troppe domande, senza alcuna fretta, e con la dolce delusione che ci assale al brusco risveglio da un bellissimo sogno. Sappiatemi dire.

Simone Russo

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Un grattacielo, quartier generale della finanza milanese, un fronte vetrato da pavimento a soffitto, dove definire in pochi metri quadri un luogo tanto privato quanto confortevole, il cui perimetro individui quella che più comunemente viene chiamata meeting room, e alla quale noi abbiamo invece voluto dare il significato di “sfida”. Si, perché con questi presupposti, e rifacendosi alla tanto celebrata citazione “LESS IS MORE” di uno dei maestri dell’architettura del ‘900, sarebbe stato sufficiente arredare con gusto e criterio quest’area, totalmente affacciata su una Milano di recente rinnovata, dividendola in due spazi con una qualche raffinata soluzione a quinte mobili, e un’illuminazione adeguata all’inondazione di luce naturale che l’edificio per sue proprie caratteristiche determina. No. Le memorie di un’attitudine “autolesionistica” che contraddistingue il nostro metodo, il principio della negazione di tutto ciò che è scontato ed ovvio come fondamenta delle nostre “tempeste di idee”, ci ha condotto molto velocemente alla necessità di definire uno spazio nuovo, all’opportunità di proporre non solo il design di un luogo, ma di determinare anche il “design” ( perdonate la licenza, ma rende ) del modo in cui viverlo. Stabilire nuovi criteri di relazione tra volumi e persone, in un ambito lavorativo, quello


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delle transazioni commerciali e degli accordi finanziari, che quasi sempre è vincolato a prassi stilistiche consumate dal tempo, a cui è più semplice sottostare piuttosto che imporsi, per non turbare processi abitudinari e consolidati in anni di costante e funzionale attività. L’incipit è stato generato senza dubbio dall ’imponente volume vetrato, che troppo spesso diventa un assunto scontato, per la natura dell’edificio e per le sue caratteristiche intrinseche. Così abbiamo immaginato un secondo livello dal quale osservare, più interno, che potesse inquadrare questa enorme vetrata con un punto di vista nuovo. Una sorta di cornice che delimitasse l’esterno, e che ci permettesse di leggere la facciata come un elemento concreto, non solo come una finestra, evidenziandone il valore,


permettendo di percepirne le caratteristiche e mettendone a fuoco, con più chiarezza, le qualità. Una lente, che abbiamo immaginato, come naturale conseguenza di un processo visivo che tenda a mettere a fuoco, tenuta insieme da una struttura chiusa, una scatola che invochi a quella privacy e riservatezza che è stato il principio del brief affidatoci. E’ stato naturale e fluido il percorso che ci ha portato a pensare che questo luogo sarebbe diventato, molto semplicemente, l’astrazione di un cannocchiale. La struttura, leggermente rialzata, come sospesa, avulsa dalla stanza che la accoglie, diventa intima e privata a seconda dell’atteggiamento di chi la vive, offrendo un ulteriore scorcio anche sull’interno dell’intero piano e mettendo così in relazione la città stessa con le stanze più lontane dalle superfici vetrate. Il sistema di luci a soffitto “Giunco” è composto da piccole bacchette cilindriche orientabili, che dal soffitto raggiungo le mani di chiunque voglia intervenire sulla luce interna dello spazio, modulandole attraverso quello che potrebbe sembrare un esercizio zen, e permettendo agli ospiti di appropriarsi non solo fisicamente ma anche emotivamente di questi spazi, gestendone disposizioni, atmosfere e relativi stati d’animo. Sfida vinta? non sta ovviamente a noi determinarlo, la certezza è che, come sempre, le nostre giornate sono sfociate, ancora una volta, nella notte più profonda. Ma a noi piace così.

Federico Montagna

oak door

white transparent glass

transparent glass

300 cm

front view

transparent glass

418 cm

catering area

333 cm

dining room

+ 0.45

carpet

342 cm

oak and white glass partition

0.00

library

plan

+ 0.45

library

272 cm

transparentt glass

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LA DIMENSIONE

DEL GUSTO “Quando morirò, tu portami un caffè, e vedrai che io resuscito come Lazzaro”, così Edoardo De Filippo in una scena di Questi Fantasmi del 1946. A Napoli il caffè fa parte del panorama, è una sorta di presenza totale, che definisce luoghi e tempi, sensi e intenzioni. A Milano il caffè è frenesia, abitudine, business. Il caffè è una piccola pausa dal battito incessante di incontri di lavoro, che hanno bisogno di un pretesto per essere risolti senza restare sospesi su un marciapiede con le braccia lungo i fianchi e l’occhio all’orologio. A Napoli il caffè è un rito, non è vissuto per riempire i piccoli spazi di tempo ma per dilatarli. E’ con questo presupposto che è nato il Caffè Napoli. E con lo stesso presupposto è stato ideato e progettato. Ancor prima dello spazio fisico, considerando lo spazio mentale, decifrando simbologie e analizzando percezioni comuni. Le relazioni e il loro modo di essere “consumate” sono state il motivo portante di questo progetto. E’ nato così un luogo conviviale, disponibile ad essere “invaso”. Gli infissi completamente apribili sul fronte strada svelano con maggior enfasi una sorta di magnete cromatico nel quale il pavimento in maioliche napoletane dipinte a mano sfiora le pareti di un blu verde non esattamente definibile, evocativo al contempo di mondi marini e sfumature nobili. Le antiche credenze in legno sulle quali vengono esposte le paste della tradizione napoletana, confermano la sensazione, insieme al tavolo in piastrelle bianche disegnato su misura, di essere a casa di un amico, in un ambiente a metà tra la cucina e la sala da pranzo.

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“Quando morirò, tu portami un caffè, e vedrai che io resuscito come Lazzaro”, Il banco di servizio offre un fianco alla stessa strada, non per approfittare del passaggio pedonale furioso e distratto dal tempo che corre, quanto perché a Napoli, le persone vivono così, determinano la città con la loro presenza, il loro stare, condividere e presenziare. Se osservate con attenzione, socchiudendo gli occhi, potrete intravedere davanti alla porta di ingresso una signora di una certa età, in abito a fiori e capelli bianchi raccolti in un foulard, scrutare i passanti e muovere cenni di saluto ad alcuni. Non è un fantasma, è l’altra anima di questo luogo, è quella Napoli che permea verità e fantasia, persone e luoghi, la stessa Napoli che si trova in ogni immagine scelta per decorare le pareti. Lo sguardo di Sofia Loren, Massimo Troisi vestito da “Postino”, fino a un Diego Armando Maradona giovanissimo (e quasi irriconoscibile) in borghese; tutte figure che compongono il quadro e l’anima di questo locale.


Ad accogliervi appena entrati, Totò e Peppino al banco, anche loro a condividere con voi uno dei piaceri più onesti della nostra esistenza. Dimenticavo, dicono sia il caffè più buono di Milano, e se siete fortunati, potrete berlo offerto da chi, prima di voi, ne ha bevuto uno lasciandone un altro pagato. Lo chiamano caffè sospeso, e di solito lo “lascia” un napoletano quando è felice. Sorridete milanesi, sorridete.

Simone Russo

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SAREMO

FONDAZIONE PRADA Largo Isarco 2, Milano www.fondazioneprada.org Una nota a questo progetto ci sembrava dovuta, una sorta di omaggio celebrativo al quale certo non si poteva rinunciare. Progettata da Rem Koolhaas, la nuova sede della Fondazione Prada regala a Milano uno spazio unico che ha scelto l’arte come principale strumento di riflessione. Impastatevi gli occhi con un po’ d’arte contemporanea, scoprite la Collezione e imbesuitevi di fronte ai pesciolini che sguazzano nell’acquario di ‘Lost Love’ di Damien Hirst. Poi con il naso rivolto all’insù puntate alla Torre Dorata e dirigetevi al Bar Luce progettato dal regista Wes Anderson. In linea con lo stile nostalgico caro al cineasta americano, questo bar ricrea l’atmosfera di un tipico caffè milanese anni Cinquanta, a partire dai pannelli di legno impiallacciato che rivestono le pareti fino alla gamma cromatica che caratterizza la scelta degli arredi. Feticisti della formica, lasciatevi solleticare le natiche e ordinatevi un Bloody Mary, nell’attesa giocate una partita a flipper sfidandovi fino all’ultimo gettone.

THE ART MARKET Via Panfilo Castaldi 4 www.the-art-markets.com The Art Market nasce nel 2009 come blog di arte contemporanea, e nel 2014 si concretizzata in un piccolo spazio in Repubblica, che è insieme redazione, bookshop e project space. Lo spazio ricrea il concetto di Agorà applicato alla giovane arte contemporanea, sia concettualmente che esteticamente: texture marmoree e meandri greci sono traslati dal web alla stanza di recente restauro, fatta di pavimenti dai disegni geometrici, stucchi classici e un alto soffitto color pastello. TAM offre una selezione di pubblicazioni indipendenti e un angolo dedicato al fashion design e, grazie al programma fitto di presentazioni, dj set e installazioni site specific, si propone come luogo di ritrovo, dove ascoltare un vinile, sfogliare un libro, vedere una mostra.

SUPER SUPERSTUDIO PAC Via Palestro 14 fino al 6 gennaio 2016 www.pacmilano.it La parola “avanguardia” suona piuttosto antica oggi, momento storico nel quale, come abbiamo fatto noi stessi in questo numero, si divorano e vomitano in continuazione termini come design interattivo, interfacce sensoriali, realtà aumentata. Eppure il collettivo fiorentino Superstudio, attivo dal 1966 al 1978, rappresenta esattamente questo, l’ultima grande avanguardia italiana. Ha oltrepassato con la sua opera il confine fino a quel momento piuttosto definito tra arte e architettura, influenzando ancora oggi “archistar” come Rem Koolhaas e Zaha Hadid. E’ per questo che vi invitiamo a nutrirvi dei temi esposti in questa mostra curata da Andreas Angelidakis, Vittorio Pizzigoni e Valter Scelsi, intitolata appunto Super Superstudio. In scena le opere più rappresentative, una selezione di icone del design, installazioni e film, poste in relazione e dialogo con altrettante opere di artisti contemporanei il cui lavoro è stato ispirato dal collettivo fiorentino.

SMILING FOOD PONTI PER L’ARTE Via Luigi Vitali 1, MIlano / fino all’ 8 gennaio 2016 lunedì - venerdì 10.30-18.30 La mostra Smiling Food non fa che confermare la tesi ( la nostra naturalmente ) secondo la quale Milano, nella gestione di Expo, abbia perso la grande occasione di includere la città, in maniera più strutturale e approfondita, in un percorso di contenuti e modi diversi e interessanti, che hanno avuto il pregio di elaborare i temi dell’esposizione universale con qualità e intensità nuove. In via Luigi Vitali infatti, Ponti per l’arte ospita una serie di scatti di quello che in molti hanno definito il fotografo più divertente del mondo, David McEnery. Il tema anche in questo caso è il cibo, che il fotografo inglese tratta come sempre nel suo lavoro, con una tale semplice sofisticatezza da lasciare incantati.


l ’ i nt e r v i s t a A NOI

R I S P O N D E L’A R C H I T E T T O M AT T I A O D D O N E

13 anni cosa voleva fare? Il capodelmondocampioneNHLpornoattore È mai andato da uno psicanalista? Psicologo, Psichiatra….Psicoanalista no Il suo rapporto con droghe, psicofarmaci, alcol? Strutturato, approfondito, prolungato e superato Ha il potere assoluto per un giorno, che cosa fa? Efortsatac Cosa la tiene sveglia la notte? Spesso il sesso, a volte il sesso, raramente gli sbarbati che giocano a pallone in piazza. Quanto conta il sesso nella vita? Perché?…non esistiamo per quello? Se la sua vita fosse un film chi sarebbe il regista? Non saprei dire il regista, ma so di certo quale sarebbe la casa di produzione: RSP Si reincarna in una donna, la prima cosa che sperimenta? Patetico cercare di essere cerebrali: l’orgasmo multiplo…di cui parlano tanto le donne e di cui noi uomini non immaginiamo neanche i confini. Un bambino le chiede: ”perchè si muore?”. Cosa gli risponde? Attrito. Questione di attrito. La sua casa brucia, cosa salva? Tutti gli esseri viventi che la abitano. Il senso più importante? La vista. Cosa non indosserebbe mai? Una divisa militare (e la relativa arma da fuoco). Il vero lusso è? Non scendere mai a compromessi. La sincerità a tutti i costi. Di cosa ha paura? Di non essere un buon padre. Nel migliore dei mondi possibili dovrebbe essere abolita la parola... Le abolirei tutte, sono fuorvianti… infide. Sogno un mondo in cui capirsi senza

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ENGLISH TEXT Landscape._ Often, when I talk about C14 I use the term “unconventional” obsessively and indiscriminately, for reasons which I believe are wholly justified and which concern all those who work with me, in the past, in the present and in the future. For instance, a rare passion for pure maths, experience in all kinds of environments including stage sets, theatre plays, fashion shows, comic strips, virtual sets, TV ads, prison security cameras, wooden telegraph poles, electric guitars, mechanical instruments, holograms, mooring systems for boats, Chinese shadow theatre etc... How this phenomenon of the aggregation and selection of people, who are very different from one another but possess similar, complementary characteristics, comes about without being pre-determined by me, is still not entirely clear. But I like the idea that the “unconventional” can be associated with a concept of “method”, abstraction, intuition and rational logic. From this perspective, our most important trait, I mean our ability to adopt an original, unique out-of-the-box approach to projects, has always been our strong point. This also means, and it has always been so, that our relations within the studio will never be based on a sinister hierarchy but on charisma, on sharing, on the concept that ideas will continue to flow freely and that the system will never be rigid, it will be organic and dynamic. I would like to add my resolution for the 2015/2016 season: this new year, as I said in the previous issue, starts on 15 September for me. More than ever it will be devoted to prototypes and transdisciplinary innovation in all the various application environments, therefore, as always it is shaping up to be great fun and hard work. This issue’s title, “the unreal space of reality” and the restyling of the magazine, are direct evidence of our ongoing desire, or should I say, our inevitable aptitude, for experimentation. I’m counting on all of you...Dedicated to all those who work alongside me. An intruder in Milan, the poetry and norms of an artificial light project._ What I would like most, in these times of development and change, is one last face-to-face meeting with my maestro, the lighting designer I’ve always been inspired by and who taught me all about technique and poetry. I can’t tell you his name but what i can tell you is that unfortunately it’ll never happen because, in accordance with the very best Eastern traditions, I had to kill him, thus interrupting my education before I could complete my studies, learn the secret move that only the pupil wearing white could learn, not the one in black, in other words, me. Nevertheless, in this project, in which shadows play the leading role, it’s “black” that really appeals to me, and continues to do so. At night, the expressive impact of an architectural structure which due to its shape and materials, certainly comes across as an “intruder” in piazza Gae

Aulenti increases , it sharpens and takes on a surreal, abstract quality. Soon work will begin on the rest, we are taking care of that part of the square created by Michele de Lucchi’s seed and Mario Cucinella, and so the “intruder” will be the start of a much wider concept, easier to understand and perhaps “clearer”. One thing is for sure, there are no other nocturnal places quite like it in Milan, where deliberate contrasts between light and shade are part of a definite, precise design project, I would even say pre-calculated and studied. Everything was generated by the abstract visualisation of a developing wave, the reverberation of a pebble (the Pavillon) dropping into a calm pond, rippling the surface according to a diminishing musical rhythm. The lampposts are like pure stalks, 10 metres high and specially-designed. They are like bar lines on a sheet of music, their light is concentrated and precise, it doesn’t diffuse, it indicates and punctuates. All this initial, fascinating theory led us to a gigantic two-year project, and, obviously arduous, valiant battles in defence of technical decisions and optical equipment choices. The “architectural object” is in fact extremely complex and has a mutable skin, simultaneously both transparent and opaque, according to internal needs, requiring a very technical, studied approach. Furthermore, additional stimulii were provided by the various rules set by Cielo Buio Regione Lombardia that in my modest opinion ought to be integrated with more modern concepts and perhaps assessed by a commission of lighting professionals. Despite originating from widely-shared principles, they lack flexibility and adaptability to the location and to actual needs. In a nutshell, they restrict the possibilities of a project, they are based on the certification of simple typological/performance-based characteristics belonging to usable lighting devices and omit broader more refined original, interpretative logic. Consequently, one might forget what innovation is, concepts of advanced lighting control, and the necessary “perceptive” approach to the exceptional nature of a place or building. So, within this somewhat obscurant legislative environment, the fact that we were able to do exactly what we set out to do, defending difficult decisions and following the path of light within strict energy-saving parameters, makes me immensely proud, perhaps even bordering on cockiness. At this point our press office would advise me to go into detail regarding a technical description of the number of devices we utilised, the fine elliptical optics we selected, the precision of the checking instruments and computer simulation, and the sheer enormity of the work carried out and certainly leave out those tedious considerations regarding Cielo Buio. I always prefer to talk about feelings and let the illumination itself speak to the observer, whether he catches a fleeting glimpse of the outside whilst driving past or has the time to experience the building

more closely, by attending a convention or visiting an art exhibition, or he casually and also unconciously stops for a moment in the square or in the future adjacent park to look at the city at night, as well as the stars. However, unfortunately we can’t always ignore the press offices so here are some figures in conclusion: Certificated gold LED: illumination of the outside of the building consumes the same amount of energy as 1 washing machine and 1 iron and 1 hairdryer / 30 types of illuminating units / 30570 ml of wiring / 786 ml of linear light / Total number of illuminating units: 2873 /Companies involved: Artemide, Flos, Erco, Zumtobel, Robe, Kreon / KW absorbed to illuminate the outside: 5 KW / KW absorbed to illuminate the inside: 55 KW

An essay on Digital Information._ Lev Manovich was one of the first people to talk about augmented space and augmented architecture in 2002 when he wrote that architecture has always been augmented, in the sense that ornamentation, frescoes, décor and subsequently advertising have always been tools for the augmenting of architectural heritage and urban landscape. If we were to extrapolate this sentence from a more complex argument it would seem therefore that so-called AR ( Augmented Reality ) is the only new way to understand and interpret the physical world, a powerful digital eye for observing architecture and art, through layers of past advertising and information. A direct consequence would be that, and I’ve always wanted this, while wandering through Milan’s Galleria we could finally see, as though we were at the cinema wearing 3D glasses, Giuseppe Mengoni falling off the scaffolding and splattering onto the ground below, on a loop. Or, while in a Prada store window a semi-clothed virtual Kate Moss strutting down the runway wearing the latest alligator-skin accessory from the Autumn/ Winter collection, on a loop of course. Then, how marvellously useful would it be to have digital information and data about the international stock exchange, virtually wrapped around Catellan’s finger in front of Palazzo Mezzanotte? And let’s not forget the tourists, who will get directions more easily and may even finally find out when and more or less, how, Milan Cathedral was built, without bothering us Milanese, who like to keep this kind of information close to our chests and not share it with others. I mean, come on… I think it’s extremely limiting to stop one’s imagination here. The reasoning and musings we ought to be considering regarding the impact of the widespread use of such technology and application possibilities should stem from a different set of premises. And because I would be at fault if I didn’t try to provoke and stir you, I would like you to suppose that it is all true and that everything around us will be covered with an endless amount of sensitive data which can be


selected via our iPads, iPhones, google glasses, contact lenses, ocular implants, neuronal chips and what have you, and that soon we will be able to perceive and experience all this in real time in our daily life. Don’t you think that the shape and substance of space will change, not only in terms of its skin and ornament as Manovich says (keep in mind though that this would already be quite something), but that consequently the way we move, read, design and look for information would be completely turned on its head, with probable unpredictable consequences? The very expression, Augmented Reality, coined in 1992 by the researcher T.P. Caudell, refers to technology which has the power to combine digital information and the physical world, and if analysed thoroughly is already a potentially revolutionary concept. Even though, just like most of the virtual technology based on 3D geo-localisation of the user, AR has been developed to solve a very limited, extremely specific technical problem, the installation of electrical cables in aeroplanes, one can get an idea of the enormous potential. I believe, however, that the most crucial aspect to be clarified, if one thinks about real innovation within a cognitive environment, is the highly active role the user, the citizen. should adopt concerning the choice and modification of the perceived information as well as the way it is received. If one views AR as simply a more appealing and physically less invasive solution than making interactive LED walls, then it is no more advanced that the idea of a lit store sign, a more accurate street sign or a higherimpact marketing method. If, on the other hand, one approaches the issue from a different angle, keeping in mind that the physical world and the digital world can combine without one being subordinate to the other. The result would be the real possibility to modify both in real time, according to what one is looking for, based on one’s mood, habits, personal ignorance and knowledge. This can take place according to a new logic which is detached from temporal/strategic factors, which overturns the laws of perspective, gravity and time, along with all the other laws of physics; introducing into real space new methods of perception and selection of information, methods which up to know were reserved for the digital world, the internet and research laboratories. In the Nineties, De Kerckhove identified the development of reality as being the main message of virtual reality, thus extending the confines of reality towards the virtual and expanding the limitations of both in a both original and stimulating fashion. This simple sentence is crucial as a way of summarising everything and identifying the development approach we should adopt as we are at the initial and experimental stage of the proceedings, whether we are in architecture, lighting, marketing or communication, art or history, or whether we will simply become the main players within a world which is, in fact, “original”.

We like. Monument Valley._ My story begins a long time ago. When Jobs unveiled the first iPad on 27th January 2010, I asked myself if it was actually necessary as a product, my initial reaction was “absolutely not”. Today, its apparent uselessness is crucial for me as it is for many others, because, just as its visionary creator intended, it has managed to virtually destroy the cosmic gap which at that time existed between hand-held smartphone devices ( the development of the ordinary mobile phone ) and computers. However, I believe that the real revolutionaty aspect introduced by the iPad wasn’t that it altered the way we use technology, rather it changed the way we use, produce and perceive it. Tablets set new boundaries in terms of the development of content and applications, they created a new work surface, a new space, and consequently opened the doors to the imagination and inventiveness of creative minds who were eager to try out a new language within a new dimension and within any conceivable environment, from management, to entertainment, music and gaming. It was precisely one of these creative minds who came up with the idea of Monument Valley. To call it a mere game really doesn’t do it justice. Its creator uses solid, direct words:”My hope for Monument Valley is that it might contribute to the argument that the medium of entertainment we call video games is in fact art”. You can’t blame him. Despite the fact that critics have said that the most obvious inspiration comes from Escher’s illusionary architecture or the rigour and style of Ives Netzhammer, the world of Monument Valley expands into other infinite facets and reflections of an ideal prism made up of art, painting and literature. My personal feeling is that you don’t actually play Monument Valley, rather you carve out some time for yourself, while you roam around a paradise for the mind, far away from the chaos and stress of more conventional games designed to create a similar world to our own in which we can be the main characters and have control. The truth is that the lovely Ida, the main character in this adventure, is on a journey looking for answers which are anything but obvious, she is in a totally different dimension which does anything but simulate the real world. The other thing is that you don’t interpret Ida, the feeling you get is that she is the one leading you through a total abstraction of your subjective identity. You go through it without asking too many questions, nice and easy, with that sweet sense of disappointment you get when you abruptly wake up after a lovely dream. A spyglass for the mind._ A skyscraper, the Milanese financial district, a floor-toceiling glass front, a few square metres in which to define a space that has to be both private and comfortable. The perimeter encloses what is commonly known as a meeting room, we, on the other hand, chose to see it as a challenge. Yes, because

with these premises, and adhering to the often-celebrated “LESS IS MORE” quote from one of the masters of twentiethcentury architecture, it would have been enough to furnish this area with taste and criteria. An area which entirely overlooks a recently renovated area of Milan, it could be split into two spaces using a classy solution, sleek furniture, a lighting system compatible with the natural light flooding in due to the building’s characteristics. No. This was rejected in favour of the memory of “self-harming” habits which distinguish our working method, the principle of denying all that is expected and obvious as the foundation of our brain-storming, quickly led us to the need to define a new space, to the opportunity to not only present the design of a place, but also to determine the “design” ( forgive my poetic license, but it gets the point across ) of how to experience it. Establish new criteria for the relationship between volumes and people within a working environment, that of commercial transactions and financial deals, which is nearly always inhibited by time-worn stylistic procedures. It’s always easier to follow them rather than take a stand, so as not to upset routine processes, consolidated over years of constant, functional activity. The incipit of the project was undoubtedly generated by the imposing glass-covered volume (too often taken for granted), the nature of the building and its intrinsic characteristics. So we imagined a more internal second observation level, which could frame this enormous expanse of glass from a new perspective. A sort of framework outlining the outside, allowing the viewer to read the facade as a concrete element, not just as a mere window, but enhancing its value, focusing on its characteristics with increased clarity and quality. A lens that we imagined as a natural consequence of a visual process which tends to focus, held together by an enclosed structure, a box which invokes that privacy and reserve featured in our initial brief from the client. The journey which led us to thinking what this place would be like was natural and smooth, quite simply, it would be an abstraction of a spyglass. The slightly raised structure, as if suspended, detached from the room housing it, becomes private and intimate depending on the behaviour of the person within, thus providing an additional glimpse of the entire floor and establishing a relationship between the city and the rooms farthest from the glass surface. The “Giunco” lighting system is composed of tiny adjustable cylindrical rods on the ceiling which can be manually controlled by whoever wishes to regulate the internal lighting. This system may seem like a Zen exercise - visitors can appropriate the space not only physically but also emotionally and manage positions, the atmosphere and relative state of mind. Challenge met? Obviously it’s not for us to say, one thing is certain, as usual, our working days, once again, ran into the early hours of the morning. But that’s just the way we like it.

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A matter of taste._ Put Naples in Milan, and make coffee. “When I die, bring me a coffee, and you’ll see me come back to life like Lazzarus”, this line was written by Edoardo De Filippo and comes from a scene from the 1946 film Questi Fantasmi! (These Ghosts!). In Naples coffee is part of the scenery, a kind of total presence, which defines places and times, emotions and intentions. In Milan coffee is hurried, routine, business. Coffee is a short break from the incessant beat of business appointments, which require a pretext in order to avoid standing awkwardly on the street, arms dangling down one’s side and an eye on the time. In Naples coffee is a ritual, it is not consumed as a way of filling small spaces of time, rather it is a way of lengthening them. This is the idea behind Caffè Napoli. The same idea that inspired the design and construction. Long before there was an actual physical space, mental space was considered, symbologies were deciphered and common perceptions were analysed. Relations and they way they are “consumed” were the driving concept behind this project. The result is a convivial place, open to being “invaded”. The front of the caffè is completely open and accessible from the street, thus underlining this kind of chromatic magnet whereby the hand-painted Neapolitan majolica floor blends into the undefinable blue-green of the walls which has echoes of underwater worlds and noble hues. The antique wooden sideboards displaying traditional Neapolitan cakes and pastries, along with the custom-made white tile-topped tables, reinforce this feeling of being at a friend’s house, in an environment which is a cross between a kitchen and dining room. One side of the bar can be directly accessed from the street, not so as to take advantage of the human traffic flowing past, flustered and distracted by the passage of time, but because that’s the way people live in Naples, they determine the city with their presence, being there, sharing. If you look carefully, squint your eyes a little, at the entrance you can just make out a mature lady in a flower-print dress, her white hair is covered by a headscarf. She’s watching the passersby, nodding hello to some of them. It’s not a ghost. It’s the other heart of this place, it’s that Naples which permeates truth and fantasy, people and places, the same Naples you see in every image chosen as decoration for the walls. The expression belonging to Sofia Loren, Massimo Troisi dressed as the postman in “Il Postino”, down to a very young (and almost unrecognisable) Diego Armando Maradona in his civvies; all these figures make up the picture and heart of this caffé. Upon entering, Totò and Peppino are there at the bar to greet you, they too are partaking in one of life’s most honest pleasures. I almost forgot, they say it’s the best coffee in Milan, and if you’re lucky, you might have one that’s already been paid for by the person who was there before you, they had a coffee and left another already paid for. It’s called a

suspended coffee, usually a Neapolitan “leaves” it when they’re happy. Smile Milan, smile. We’ll be there. _ We felt we had to comment on this project, a sort of celebratory tribute we couldn’t refuse. Designed by Rem Koolhaas, the new headquarters of the Prada Foundation has given Milan a unique space where art is the main tool towards consideration. Feast your eyes on a bit of contemporary art, discover the Collection and goggle at the fish splashing about in the ‘Lost Love’aquarium by Damien Hirst. Then, stick your nose in the air point it at the Torre Dorata and head towards Bar Luce designed by director Wes Anderson. In line with the American film director’s fondness for nostalgia, this café recreates the atmosphere of a typical Milanese café from the 1950’s, beginning with the wood panelling covering the walls and down to the colour palette characterising the decor. Those of you with a formica fetish, give your buttocks a tickling and order a Bloody Mary, while you’re waiting you can play on the pinball machine till the last token has gone. PRADA FOUNDATION . Largo Isarco 2 -www.fondazioneprada.org The Smiling Food exhibition only goes to confirm the hypothesis (ours of course) that Milan, regarding its management of Expo, missed a great opportunity to inlude the city, in a deeper, more structural way, in an itinerary of diverse, interesting content and modalities, which processed the theme of the universal exposition with a new level of quality and intensity. In fact, on via Luigi Vitali, Ponti per l’arte presents a series of photographs by a man whom many have described as being the most humorous photographer in the world, David McEnery. Once again, the theme here is food, the photographer treats the subject as he always does in his work, with such simple sophistication that it is utterly captivating. SMILING FOOD - PONTI PER L’ARTE Via Luigi Vitali 1, MIlano / until 8 January 2016 - Monday to Friday 10.30a.m. - 6.30p.m. The word “avant-garde” sounds a tad dated today, an historical moment in which, as we have done ourselves in this issue, terms such as interactive design, sensorial interfacing, increased reality are constantly devoured and vomited. Nevertheless, the Florentine Superstudio group, in operation between 1966 and 1978, is precisely that: the last great example of Italian avant-garde. Its work went beyond the confines of that quite defined area between art and architecture, its influence can still be seen today in work by “archistars” of the likes of Rem Koolhaas and Zaha Hadid. For this reason we would like you to feast on the topic presented in this exhibition curated by Andreas Anglidakis, Vittorio Pizzigoni and Valter Scelsi, entitled, in fact, Super Superstudio. The most important pieces are on display, a selection

of iconic examples of design, installations and films juxtaposed with work by other contemporary artists who have also been influenced by the Florence-based collective. - SUPER SUPERSTUDIO PAC - Via Palestro 14 fino al 6 gennaio 2016 - www.pacmilano.it The Art Markets was launched in 2009 as a contemporary art blog, and in 2014 it took the form of a small space in Milan’s Repubblica area, combining editing, a bookshop and project space. The space recreates the concept of Agorà applied to new contemporary art, both conceptually and aesthetically: marble textures and Greek motifs are transferred from the web to the recently-renovated room, with its geometrically-patterned flooring, classic stucco and a high pastel-hued ceiling. TAM offers a selection of independent publications and a corner given over to fashion design and, thanks to the dense programme of presentations, DJ sets and site-specific installations, it presents itself as a meeting place where one can listen to a vinyl record, flick through a book or see an exhibition.THE ART MARKETS Via Castaldi 2 - www.the-art-markets.com Interview to Mattia Oddone. What did you want to be when you were 13 years old? Boss of the world / NHL champion / porn actor _ Have you ever gone to a psychoanalyst? Psychologist, Psychiatrist….Not a psychoanalyst _ What is your relationship with drugs and alcohol? Structured, deep, protracted and resolved _ What would you do if you had absolute power for just one day? Ehportsatac _ What keeps you awake at night? Often, sex, sometimes, sex, hardly ever kids playing football in the square _ How important is sex in life?. Why?… isn’t that what we’re here for? _ If your life was a movie, who would direct it?I couldn’t say which director, but I know for sure which production company: RSP _ If you could be reborn as a man, what would you experience first? It’s rather pathetic to try and be cerebral: multiple orgasms… women talk about them all the time and us men can only begin to imagine. _ A child ask you:”why do we die?”. What would you say? Friction. It’s a matter of friction. _ your house is burning. What would you save? All the living things inside it. _ The most importante sense? Sight. _ What you would you never wear? A military uniform (and the relative weapon). _ What is true luxury? Never compromising. Honesty at all costs. _ What are you afraid of? Not being a good father. _ In a perfect world you would abolish the word... I’d abolish all of them, they’re misleading… poisonous. I dream of a world where we can understand each other without them.


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