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Ludovica Merletti

ENDOMETRIOSI: LA PATOLOGIA IGNORATA «Nessuno mi credeva, ero presa per pazza Invece ero malata»

Colpita una donna su dieci: la storia di Alessia Astolfi

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di Ludovica Merletti

IN NUMERI 3

Milioni le donne italiane affette da endometriosi

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Anni in media per ricevere una diagnosi corretta

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L’età media delle donne che ricevono la diagnosi Per la mia ginecologa i sintomi non erano veri, diceva che li ingigantivo per attirare l’attenzione. Ti porta a pensare “ma allora non sono dolori reali, me li sto creando io”». Alessia Astolfi ha trent’anni, da quando ne ha dodici convive con l’endometriosi. L’endometriosi è una patologia cronica, caratterizzata dalla presenza anomala all’esterno dell’utero di tessuto endometriale, una mucosa di rivestimento, normalmente presente nella cavità interna dell’utero. Colpisce circa una donna su dieci in età riproduttiva: in Italia si stima che siano circa tre milioni le donne malate, quasi duecento milioni nel mondo. «È una malattia dolorosissima, che porta a molte conseguenze, tra cui l’infertilità, ma non solo». Uno dei sintomi registrati è un dolore cronico e persistente, nel periodo delle mestruazioni – che aggravano i sintomi – ma anche durante orinazione e defecazione, che spesso sono accompagnate da perdite di sangue. Un altro sintomo comune è il dolore durante i rapporti sessuali: «L’endometriosi viene anche definita la malattia allontana-mariti».

Non esiste una cura, solo trattamenti per alleviare i sintomi, come la terapia ormonale tramite l’assunzione della pillola anticoncezionale. Non è il caso di Alessia. È costretta ad assumere antidolorifici molto pesanti, prima soltanto durante le mestruazioni, ora invece deve prenderli sempre, o «non starei in piedi». Soprattutto, Alessia deve convivere con un sacchetto attaccato a un rene: «Sentirsi dire a trent’anni che l’unica soluzione è vivere così… per questo l’unica alternativa che mi si prospetta è l’intervento». Quello in programma il 31 marzo sarà l’ottavo intervento chirurgico a cui dovrà sottoporsi: «Verrà un medico dall’estero, perché anche nei centri specializzati non si azzardano, vista la gravità del caso».

UNA DIAGNOSI DIFFICILE

Alessia gira medici da quando aveva dodici anni, in cerca di risposte: «Avevo vomito, svenimenti durante le mestruazioni. I miei esami però erano perfetti, quindi automaticamente ero pazza». Uno dei problemi dell’endometriosi è proprio la difficoltà nel riconoscerla: «A sedici anni la mia ginecologa – tra l’altro anche lei affetta da endometriosi – mi ha prescritto degli psicofarmaci. I medici mi dicevano che non volevo andare a scuola, che non ave-

TELEFONO GIALLO

800 189 411 Attivo dal lunedì al venerdì dalle 17 alle 19 vo amici. Invece di amici ne avevo tantissimi. Mi dicevano che volevo attirare l’attenzione».

Secondo la Fondazione italiana endometriosi, in media ci vogliono tra i sette e gli otto anni per ricevere una diagnosi. Per Alessia ce ne sono voluti cinque: «Il mio attuale ginecologo mi ha dato la diagnosi a diciassette anni. È stato un miscuglio di emozioni, ero molto sollevata perché finalmente sapevo cosa combattevo, il nemico aveva un nome». Per riconoscere e trattare la patologia bisogna rivolgersi a centri specializzati e non esistono esami specifici in grado di riconoscerla. Alessia ogni volta che ha bisogno di

CREDIT: ALESSIA ASTOLFI

LE CONSEGUENZE DI UNA MALATTIA POCO CONOSCIUTA

A soli 30 anni Alessia Astolfi deve vivere con una sacca attaccata al rene

una risonanza magnetica deve partire da Torino e andare fino a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova: 520 chilometri tra andata e ritorno. Per gli esami del sangue, invece, vengono usati dei marcatori tumorali, che normalmente servono per la diagnosi del cancro all’ovaio. Quelli di Alessia sono perfetti, come le ecografie transvaginali: «Nel mio caso l’endometriosi è molto profonda, va a coinvolgere anche i nervi, quindi non si vede nulla».

UNA VOCE PER LE DONNE Per questo l’anno scorso è nata l’esigenza per Alessia e la sua amica Vania Mento di fondare un’associazione: La voce dell’endometriosi. «Il nostro obiettivo è quello di supportare le donne, aiutarle a non arrendersi». Una delle loro iniziative più importanti è il Telefono giallo: «Ovviamente non diamo consigli medici. Diamo appoggio e consigliamo il centro più vicino a cui rivolgersi». La maggior parte delle chiamate viene da ragazze, qualcuna anche da donne di quaranta, cinquanta anni. Spesso hanno passato gran parte della loro vita nel dolore senza saperne il motivo: «C’era tanta ignoranza, non se ne parlava. Quando dall’altra parte c’è qualcuno che ti capisce è tutto un po’ più semplice».

JUST THE WOMAN I AM

Sei milioni di passi per la ricerca oncologica

IN SINTESI

È la nona edizione di Just the woman I am

In piazza San Carlo stand, esami, conferenze di L.M.

Sarà una bella esperienza: trovarsi insieme, dopo due anni di pandemia, in una città che abbiamo vissuto così poco. Soprattutto ora che le notizie dal mondo non sono confortanti». Just the woman I am, l’iniziativa per la ricerca e la prevenzione delle malattie oncologiche femminili, è giunta alla nona edizione. Per Chiara Ghislieri, docente di Psicologia del lavoro all’Università di Torino, sarà la quarta partecipazione, la prima dall’inizio della pandemia. Correrà, o meglio, camminerà – «per correre ci vuole allenamento», scherza – con un gruppo di colleghe e colleghi di Unito, che come lei studiano questioni di genere. «È un’occasione per portare alla luce temi legati alle specificità e alle disparità di genere», anche per un pubblico di «non addetti ai lavori».

Dalla prima edizione, nel 2014, sono stati compiuti 6 milioni di passi, dagli oltre 100mila partecipanti alla corsa di 5 chilometri. Quest’anno si aggiungeranno, oltre a quelli di Chiara, i passi di altre 16mila persone, che correranno a Torino e in tutta Italia. Sarà possibile come nel 2021, infatti, participare alla manifestazione anche in modalità “virtual”, scegliendo in autonomia il percorso e l’orario della propria 5 chilometri personalizzata. La partenza, per chi parteciperà in presenza, invece, sarà domenica 6 marzo alle 16 da piazza San Carlo.

La corsa sarà solo il culmine di una tre giorni di eventi, dal 4 al 6 marzo sempre in piazza San Carlo: incontri di sensibilizzazione, seminari informativi, stand delle associazioni. Non solo, sarà possibile anche effettuare visite di prevenzione: saranno disponibili una decina di test diversi, grazie al patrocinio dell’Asl Città di Torino. «Dopo la pandemia si è sviluppato un senso di diffidenza delle persone per gli ospedali – ha sottolineato Carlo Picco, direttore generale dell’Asl, alla conferenza stampa di inaugurazione dell’evento – Per questo sono importanti queste iniziative che riavvicinano la gente alle strutture. Just the woman I am è una delle più belle».

I fondi raccolti saranno investiti in assegni di ricerca, che riguarderanno non solo l’aspetto medico delle malattie oncologiche. Sia l’Università sia il Politecnico di Torino hanno individuato altri due macrotemi di ricerca: la vita e il benessere al di fuori dal quadro clinico delle pazienti con tumore alla mammella, da un lato; la riduzione del gender gap nelle discipline Stem, con l’obiettivo di rendere le ragazze protagoniste dell’evoluzione ingegneristica per la cura delle patologie femminili, dall’altro.