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La guerra e noi: i figli del nemico

La guerra e noi di Alvise Tommaseo Ponzetta

I FIGLI DEL NEMICO

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Il 4 novembre 1918, con la catastrofica ritirata oltre le Alpi di quel che rimaneva dei reggimenti Austroungarici, si chiudeva la Prima guerra mondiale con la vittoria italiana. Ma il Regno Sabaudo, a fronte di questo risultato, piangeva più di seicentomila morti, centinaia di migliaia di feriti e di invalidi, un numero incredibile di vedove e tantissimi piccoli orfani di padre.. All’indomani della fine della guerra tanti erano i problemi che affliggevano l’Italia, alcuni noti, altri invece, ai più, pressoché sconosciuti. Tra questi rientrava sicuramente la drammatica situazione in cui si venivano a trovare i cosi detti “figli del nemico”, ovvero, i piccolissimi bambini nati da violenze sessuali patite da donne italiane nei territori occupati dai soldati austroungarici. Molti di loro erano venuti alla luce a partire dall’estate 1918 e, altrettanti, ne sarebbero nati ancora nei nove mesi successivi alla fine della guerra e cioè fino all’estate del 1919. Tante ragazze venete e friulane, infatti, erano state ingravidate dai militari nemici fino agli ultimi giorni di occupazione. Ed è così’ che già il 2 dicembre 1918 e cioè meno di un mese dopo la fine della guerra, nasceva nel veneziano, più esattamente a Portogruaro, l’istituto San Filippo Neri con l’obiettivo di ospitare e crescere questi bambini che, in molti casi, non potevano più restare all’interno della famiglia, poiché non accettati, o oggetto di percosse o maltrattamenti da parte degli uomini che, una volta tornati a casa dal servizio militare, non li volevano riconoscere come figli propri. La lodevole iniziativa nacque grazie alla sensibilità di monsignor Celso Costantini, un sacerdote friulano originario di Castions di Zoppola, divenuto poi vescovo e cardinale. Nel giugno 1919 in questo ospizio, unico nel suo genere in Italia,risultavano essere stati accolti ben 168 bambini, molti dei quali si caratterizzavano per il colore biondo dei capelli, pesante indizio della vera identità dei rispettivi padri. Oltre a loro, a Portogruaro, erano arrivate 47 gestanti, fuggite da casa temendo l’ira dei mariti reduci dalle armi. Piccoli ed adulte provenivano da tutte le terre liberate e, di conseguenza, anche dal bellunese e dalla vallata feltrina. Le Autorità italiane apprezzarono la lodevole iniziativa di mons. Costantini, ma una discutibile corrente di pensiero voleva distinguere la posizione dei nati da violenze, rispetto a quelli venuti al mondo per rapporti illegittimi, avuti volontariamente da ragazze consenzienti. Si trattava, però, di una disquisizione accademica, in quanto era praticamente impossibile stabilire come fossero andate effettivamente le cose. Sicuramente più realistica, e facilmente accertabile, era la distinzione tra figli nati da donne sposate, rispetto a quelli

La guerra e noi

partoriti da ragazze libere da vincoli matrimoniali. Ma i veri obiettivi del fondatore e responsabile dell’istituto San Filippo Neri di Portogruaro erano quello di accogliere chi si trovava in quelle condizioni indipendentemente dalla causa ed anche se provenivano dalle province irredenti di Trento, Gorizia e Trieste. Dopo innumerevoli inutili richieste, finalmente, il 10 agosto 1919, re Vittorio Emanuele III° ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, Francesco Saverio Nitti, firmarono un decreto legge che riconosceva l’Istituto San Filippo Neri di Portogruaro quale Opera pia ed Ente morale, con il risultato di rendere possibili degli essenziali aiuti economici da parte dello Stato. L’ospizio operò in modo encomiabile per una decina di anni, fino al settembre 1928. Dei 355 neonati complessivamente ricoverati, alla fine solo 106 vennero riconsegnati alle madri o alle famiglie di origine, gli altri, se maschi, furono destinati in collegi artigianali e colonie agricole per completare la loro istruzione ed essere avviati all’apprendimento di un mestiere, mentre le femmine furono trasferite in strutture più consone e più idonee al loro sesso. Dagli archivi del San Filippo Neri sono recentemente emerse delle tristi storie, come quelle di tanti uomini che avevano guardato in faccia la morte con ciglia asciutte e con cuore di acciaio, ma che di fronte a quella situazione, istupiditi e disperati, esclamavano “meglio se fossi morto al fronte. Meglio se mi avessero detto che mia moglie era morta….”. Un anziano, residente in un paese vicino a Pordenone, aveva perso due figli in guerra, e si era trovato a vivere con la nuora e con il bambino dalla stessa partorito durante i mesi dell’occupazione austroungarica, frutto di una violenza carnale subita da un soldato nemico. L’anziano aveva scritto che “nella notte, quando sento piangere il bambino, penso che egli forse è figlio di colui che mi ha ammazzato i miei ragazzi. So – aggiungeva – che il piccolo non ha colpa, ma io non posso sentire quella voce. Bisogna portarlo via.” Un brutto giorno, morì in una stanza dell’ospizio di Portogruaro un piccolo ospite di tre anni. La mamma, avvertita che le sue condizioni di salute erano di molto peggiorate, si precipitò al San Filippo Neri per assistere il figlio al momento della triste dipartita. Il marito sopraggiunse successivamente “ed alla notizia della morte aveva avuto subito un senso di liberazione”. Visti poi gli occhi della moglie arrossati dal pianto, l’aveva investita brutalmente con queste parole: “Ed hai il coraggio di piangere davanti a me svergognata!” Ed a chi gli parlava di pietà e di perdono l’uomo replicava: “Tre anni, tre anni di trincea, pensando sempre a lei ed al nostro futuro bambino.” Ed un altro padre, di fronte al bambino partorito dalla moglie, con il cuore indurito dalla guerra, continuava a ripetere: “Dio solo sa cosa è stato l’anno di invasione, in trincea senza mai avere notizie di mia moglie. E poi la gioia folle della vittoria, la corsa a casa, per trovare che cosa? Un figlio del nemico. Avrei preferito sapere Maria morta, per poterla piangere e ricordarla come l’avevo lasciata, …, In ogni caso questo figlio del nemico non deve portare il mio nome.” Naturalmente queste tristi vicende non si registrarono solo alla fine della Grande Guerra. I “figli del nemico” nacquero e continuano a nascere durante tutte le occupazioni militari ovunque si verifichino, frutto quasi sempre di violenze, a volte di fugaci incontri ricercati per bisogno d’affetto e protezione nei giorni della solitudine della guerra. Purtroppo l’occupazione dell’Ucraina non farà eccezione.