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La Biennale d’Arte di Venezia

Società e cinematografia di Alice Vettorata

LA BIENNALE D'ARTE DI VENEZIA

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Il 23 aprile 2022 è stata inaugurata la Cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte di Venezia, evento istituito nel 1893 e divenuto di portata internazionale nell’anno a seguire. Il più recente dato disponibile riguardante l’affluenza alla manifestazione è quello risalente all’edizione conclusasi nel 2019, ultimo anno in cui fu possibile organizzarla prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria. Dal sito ufficiale della Biennale in riferimento al 2019, si evince un’affluenza di 600.000 visitatori. L’interesse nei suoi confronti nel corso degli anni ha subìto a una crescita graduale, diventando un punto di riferimento immancabile sia per coloro che lavorano nel settore artistico sia per gli amanti dell’arte. Per poter affermare se anche quest’anno i numeri dei visitatori sono aumentati sarà doveroso attendere la pubblicazione di questi nei canali ufficiali. Ciò non toglie che The milk of dreams, questo il titolo dell’allestimento terminato lo scorso 27 novembre, abbia sicuramente ottenuto un posto di spicco negli annali della Biennale d’Arte detenendo alcuni primati. Il suo sviluppo in un periodo storicamente complesso come quello in cui stiamo vivendo, ne ha caratterizzato infatti la progettazione. Inizialmente in previsione per il 2021, anno in cui invece è stata recuperata la Biennale di Architettura, la direzione artistica della cinquantanovesima edizione è stata assegnata alla curatrice d’arte Cecilia Alemani, divenendo così la prima donna italiana a ricoprire questo incarico. Come dichiarò durante le numerose rassegne stampa e interviste dedicate alla presentazione della mostra, già nel 2019 decise di allestire la Biennale basandosi su una raccolta di fiabe scritta e illustrata dalla pittrice surrealista Leonora Carrington. Si tratta de “Il latte dei sogni”, testo che presenta in uno stile comico-grottesco alcuni racconti intrisi di mitologia proveniente da diversi continenti, dall’alchimia, dal surrealismo e dal concetto della metamorfosi. Caratteristiche che hanno permeato le storie contenute nel libro, divenendo una ricca fonte d’ispirazione per la direttrice Alemani. "Un mondo magico in cui la vita viene costantemente rivisitata attraverso il prisma dell'immaginazione, e dove ognuno può cambiare, essere trasformato, diventare qualcosa o qualcun altro". Questo l’insegnamento che la curatrice ha tratto dal volume, il quale è divenuto il manifesto che ha guidato i partecipanti nella realizzazione delle opere esposte nelle sedi dei Giardini e dell’Arsenale di Venezia. La ricerca di ciascun professionista si è incentrata sull’indagine della relazione tra uomo, natura e tecnologia e come le tre componenti siano in costante mutamento e adattamento. Una metamorfosi continua dettata dal cambiamento climatico, dalle nuove introduzioni tecnologiche e dalla consapevolezza presa nei confronti di come l’essere umano non possa essere incluso in categorie fisse riguardanti il genere, l’etnia e scelte personali. In questo contesto avviene una presa di coscienza sulle infinite diversità che, dialogando tra loro, possono sfociare in una narrazione variegata e stimolante. L’inclusività si estende inoltre alla comunità LGBTQ+ e all’introduzione della Namibia e della Costa d’Avorio in quanto Stati espositori. Proprio per quanto riguarda quest’ultimo aspetto si possono notare dei cambiamenti in questa Biennale non solo a livello tematico, ma anche organizzativo. Le artiste e gli artisti chiamati a portare il loro contributo hanno ribaltato una divisione che fino a

quest’anno era stata la prassi. Su un totale di 213 partecipanti 191 sono di genere femminile, in controtendenza con le consuetudini della storia della Biennale che ha visto sempre protagonista la componente maschile. Una maggioranza che confluisce in una pluralità e fluidità di punti di vista riscontrabili scoprendo i vari allestimenti dei padiglioni. Da evidenziare però che, come ha chiarito Cecilia Alemani intervistata da La Repubblica, la prevalenza del genere femminile non rende questa la “Biennale delle donne”, dal momento in cui fino ad oggi non ci sono state le “Biennali degli uomini”. Né tantomeno che siano state selezionate più donne in quanto tali e non per le loro abilità e professionalità. Concetti che per diverso tempo sono rimasti sottesi iniziano a prendere voce. Menzionando un esempio di spessore, anche se il margine di scelta è molto vasto, gli Stati Uniti vengono rappresentati da Simone Leigh, la prima donna afroamericana ad essere investita di questo incarico che con l’opera dal titolo Brick House si aggiudica il premio Leone d’oro. Un’opera che racchiude in sé denunce alla condizione femminile e al razzismo in un imponente busto di donna che accoglie i visitatori all’ingresso dell’Arsenale. Un’opera dai molteplici significati diviene un eccellente riassunto di ciò che questa Biennale vuole rappresentare. Non una Biennale femminile bensì, finalmente, completa.

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