Recupero sostenibile del patrimonio costruito in ambito sismico

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Riccardo Gulli

RECUPERO SOSTENIBILE DEL PATRIMONIO COSTRUITO IN AMBITO SISMICO

EdicomEdizioni architettura sostenibile / culture costruttive per il recupero sostenibile


architettura sostenibile / culture costruttive per il recupero sostenibile Il tema della salvaguardia dei caratteri identitari del patrimonio costruito correlato alle esigenze poste dall’adeguamento all’attuale quadro prestazionale, pone nuovi interrogativi sugli assunti teorici e sugli strumenti operativi che possono essere adottati per dare una risposta coerente a tale istanza, con una specifica attenzione al contributo offerto dall’innovazione di processi e metodi che appartengono al dominio speculativo della Tecnica. In questo quadro la riflessione viene instradata all’interno di nuovi paradigmi della ricerca in cui coesistono, alimentandosi a vicenda, sia le teorie e le pratiche proprie delle discipline dell’Architettura – dalle letture storico-critiche fino agli strumenti tecnici di intervento – sia le indagini analitico-strumentali che connotano il campo dell’Ingegneria, al fine di restituire un approccio coerente al tema della sostenibilità attraverso una corretta tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio costruito. comitato editoriale Ferdinando Gottard, Anna Raspar comitato scientifico Riccardo Gulli (ALMA MATER Bologna), Antonello Sanna (Università di Cagliari), Giambattista De Tommasi (Politecnico di Bari), Renato Morganti (Università dell’Aquila), Marco D’Orazio (Politecnica delle Marche), Giovanni Fatta (Università di Palermo), Carlo Cecere (Università Roma la Sapienza), Flaviano Celaschi (ALMA MATER Bologna), Paolo Giandebiaggi (Università di Parma), Marco Gaiani (ALMA MATER Bologna), Stefano Musso (Università di Genova), Claudio Varagnoli (Università di Chieti-Pescara), Sergio Lagomarsino (Università di Genova), Luigi Ramazzotti (Università Roma Tor Vergata), Matheos Santamouris (University of Athens – Grecia), Gerhard Schmitt (ETH Zurich – Svizzera), Camilla Mileto (UPV Valencia – Spagna), Fernando Vegas (UPV Valencia – Spagna), Maurizio Broccato (E.N.S.A. Paris-Malaquais – Francia), Josè Luis Gonzalez (UPC Barcellona – Spagna), Helena Coch (UPC Barcellona – Spagna), John Ochsendorf (MIT Cambridge – USA)


Introduzione

Restauro, recupero, rigenerazione, riqualificazione, riabilitazione, consolidamento. Queste alcune delle denominazioni adottate nel campo degli interventi sul patrimonio costruito, quale diretto derivato del carattere specialistico assunto dal sapere costruttivo moderno, che ha prodotto, anche in questo contesto, una sempre più marcata autonomia delle competenze con l’individuazione di circostanziate aree di indagine conoscitiva: storico-architettonico (restauro), edilizio ed urbano (recupero, riqualificazione, rigenerazione), conservazione e sicurezza strutturale (riabilitazione e consolidamento). In particolare, la negazione di una visione integrata dell’oggetto di studio, quale momento di sintesi tra le ragioni tecniche e i portati storico-architettonici, trova giustificazione nella dicotomia posta tra le pratiche conservative – in primis quella figurativa e materica delle superfici murarie – e le verifiche dei requisiti prestazionali, principale sfera di interesse delle scienze ingegneristiche. Per le opere monumentali ciò ha significato seguire la strada della tutela passiva, mentre per l’edilizia minore diffusa, soprattutto nei centri storici, quella trasformativa con procedimenti invasivi basati sul ricorso ad elementi irrigidenti in cemento armato. Oggi è oramai ampiamente accertato, forse non allo stesso modo condiviso, come tale approccio risulti inappropriato allo scopo. Le recenti vicende sismiche che hanno colpito l’Umbria e le Marche (1997), l’Abruzzo (2006) e l’Emilia (2012) – (cfr. cap. 2) – rappresentano l’ultima eloquente dimostrazione di come la regola dell’arte sia invece un fattore decisivo ed esclusivo per fornire livelli accettabili di sicurezza strutturale e di preservazione dell’esistente. Secondo questa visione, la distinzione gerarchica tra monumento ed edificio non vincolato, si dimostra irrilevante, poiché i criteri ai quali gli interventi devono ispirarsi, non variano in ragione del carattere e del valore storico-artistico dell’edificio; di contro, tale differenziazione, viene valutata in termini progettuali, ovvero nelle diverse opportunità di riorganizzazione spaziale o di trasformazione funzionale dell’impianto architettonico. L’indirizzo progettuale al quale si allude, si fonda sul presupposto che nell’ambito degli interventi sul costruito storico non sia possibile disgiungere l’analisi del funzionamento strutturale dalla comprensione della natura costruttiva, e che entrambi, a loro volta, siano strettamente correlati

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alla configurazione spaziale, tipologica e funzionale degli edifici, estesa anche ai sistemi di aggregazione a scala urbana. All’interno di questa dimensione prendono conseguentemente forma gli apporti disciplinari specialistici, come espressione di protocolli operativi e paradigmi teorici, al fine di comprendere e coordinare le diverse istanze che concorrono alla progettazione degli interventi, non solo quelli mirati alla preservazione dell’opera. Questo duplice obiettivo appare oggi solo parzialmente perseguito. Il lungo corso editoriale promosso dai Manuali di Recupero riferisce con chiarezza dell’importanza assunta dalla conoscenza del lessico costruttivo della tradizione nel decretare le scelte progettuali di intervento e nel delinearne i caratteri identificativi. Analogamente, anche se appartenenti ad un diverso fronte disciplinare, i Codici di Pratica, hanno evidenziato come la sicurezza e la conservazione dei centri storici venga soprattutto garantita dal rispetto della regola dell’arte muraria. Le istanze poste dai progettisti restauratori e quelle degli scienziati della costruzione hanno dunque ritrovato, in un condiviso alveo culturale, comuni intenti e obiettivi condivisi. Oltre a questo, ciò che appare rilevante nell’approccio seguito da tali studi, riguarda l’importanza assegnata al tessuto edilizio storico che diventa, nella sua dimensione urbana, un valore da tutelare e preservare con un’attenzione comparabile a quella accreditata ai monumenti. Su questo è però ancora oggi vigente un orientamento, normativo e culturale, alquanto incerto e talvolta ambiguo: sui beni architettonici soggetti a tutela, l’approccio teorico prevede l’impiego di tecniche premoderne di prevenzione sismica come riferimento normativo ed operativo adottato dalle Soprintendenze; diversamente, gli interventi ordinari riferiti al tessuto edilizio dei centri storici, di numero e consistenza notevolmente superiore ai primi, sono generalmente condotti seguendo i criteri che gli uffici del Genio Civile reputano ancora i soli consentiti dalla normativa in vigore, ovvero l’impiego delle tecniche invasive di cui si è detto. Tale questione viene qui affrontata (cfr. cap. 1) ponendo in evidenza come l’aderenza teorica al concetto di conservazione attiva sia una derivazione diretta dall’accettazione della natura processuale dei testi e dei contesti costruiti, ovvero del processo formativo e trasformativo che accompagna la storia di un edificio storico e che si sviluppa per azioni molteplici e discontinue, dovute a numerosi soggetti. Per tale finalità, appare difficile e forse inopportuno, fissare una teoria generale alla quale far corrispondere la varietà e l’eterogeneità delle situazioni contestuali. Queste vanno lette ed affrontate come casi specifici, in cui il dato interpretativo, nella sua impossibilità ad essere oggettivato, viene legittimato come parte di quel processo trasformativo che accompagna nel tempo la sopravvivenza

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di un edificio e che può essere affrontato solo con un approccio a carattere manutentivo. Il tema della sostenibilità e reversibilità degli interventi acquista, in quest’ottica, una rilevanza specifica essendo un requisito non più declinabile come “possibile” ma ormai riconosciuto come “necessario”. Oltre alle istanze che assumono il concetto della reversibilità come attributo corrispondente alla compatibilità materica e costruttiva di prodotti e tecniche, la sua valenza è oggi riconosciuta come presupposto indispensabile per ogni ipotesi di intervento che, nell’accettazione della pratica manutentiva di cui detto, risponda alle possibilità trasformative d’uso e funzionali dell’organismo edilizio. L’esigenza della manutenibilità in funzione del prolungamento del ciclo di vita di un edificio, e quello della reversibilità, sono infatti parte di una concezione costruttiva fondata sull’impiego di tecniche di connessione tra gli elementi strutturali finalizzate allo smontaggio e separazione delle parti e alla riciclabilità dei prodotti e dei materiali base. L’impiego di sistemi costruttivi basati sull’assemblaggio a secco degli elementi e componenti, fornisce la più diretta risposta all’applicazione dei criteri della sostenibilità, in ragione della possibilità di essere facilmente sostituiti secondo i requisiti previsti per un corretto smaltimento. Le difficoltà che hanno caratterizzato l’affermarsi in Italia delle tecniche di costruzione leggere a secco, possono dunque ritrovare, proprio nel settore dell’edilizia storica, l’ambito idoneo di applicazione e di sviluppo di nuove tecniche e prodotti. A questo contesto appartiene anche la tematica riferita al comparto della costruzione moderna, ovvero quella della prima parte del Novecento, che proprio in ragione della sostanziale difformità tecnologica rispetto alla costruzione muraria storica, non si presta ad essere indagata secondo le tradizionali metodologie del restauro. Una chiara differenziazione è rintracciabile nella diversa accezione assegnata ai termini di dettaglio architettonico e particolare costruttivo. Il primo è espressione di un sapere progettuale che appartiene al lessico codificato della costruzione muraria e le cui specificità sono comunque riconducibili alle stesse regole applicative e ai medesimi principi statici. Il secondo è invece strettamente correlato alla matrice ideativa del progetto, spesso strumento tecnico su cui veicolare le istanze innovative. La costruzione a getto in cemento armato, elemento connotativo della genesi del Moderno, ne è la più chiara espressione, poiché consente di abbandonare i condizionamenti posti dalla concezione muraria improntata sul principio dell’assemblaggio di elementi discreti, per dare vita a soluzioni conformi alla molteplicità delle forme strutturali. L’unicità dell’opera nasce, infatti, dall’integrazione tra linguaggio e tecnica di costruzione, dove pro-

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prio quest’ultima diventa l’elemento nodale del processo ideativo, aprendosi ad accogliere favorevolmente le potenzialità offerte da un sistema costruttivo – quello del cemento armato – che oscilla fra una dimensione ancora artigianale della pratica e quella dello sperimentalismo progettuale associato all’innovazione. L’indirizzo prefigurato dal presente lavoro è pertanto quello di delineare alcune indicazioni di metodo sul tema del recupero e riqualificazione del patrimonio costruito e di fornire una esemplificazione dei principali strumenti di natura applicativa che consentono di rappresentare la fattibilità tecnico-costruttiva degli interventi proposti. Tale duplice proposito evidenzia anche il profilo che si intende assegnare allo studio nel binomio istituito tra l’apparato teorico, che informa l’esposizione dei principi e quello a carattere manualistico che enuclea le modalità tecniche attraverso lo strumento sintetico dell’immagine delle soluzioni realizzate. Ciò è conseguenza ed espressione di un orientamento culturale che privilegia l’adozione di strumenti critico-interpretativi per la descrizione dei fenomeni, più che l’adozione di formulazioni nomotetiche incentrate sulla relazione causa-effetto. La condizione di eterogeneità che definisce il carattere del patrimonio costruito – morfologica, tipologica, materica, contestuale e temporale – sollecita infatti a considerare prevalenti i contenuti progettuali che devono essere attivati in ogni ipotesi di intervento, soprattutto per la specificità che connota ogni situazione e che non può essere semplificata attraverso soluzioni univoche e prefigurate. Per tale ragione, il capitolo riservato alle pratiche di intervento (cfr. cap. 3) assume in positivo il dato manualistico nei termini sopra indicati, ma al contempo non è inteso a fornire una descrizione esaustiva ed omnicomprensiva delle tecniche e delle modalità applicative, essendo circoscritta solo alla prospettazione di casi esemplari.

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1. Caratteri identificativi

Ogni riflessione rivolta ad identificare teorie e metodi di intervento per il recupero e la riqualificazione prestazionale del patrimonio costruito è necessariamente indotta ad evidenziarne l’elemento identificativo: il carattere di eterogeneità che ne connota la sua natura costitutiva. Tale aspetto, nella sua essenzialità, pone in evidenza l’importanza assunta dalla conoscenza dei “modi di costruire”, ovvero dei principi e delle regole della costruzione, quale base istitutiva per qualsiasi ipotesi interpretativa intesa a formulare metodi e strumenti che siano aderenti alle diverse specificità. Spostare l’attenzione sulla conoscenza del dato fisico dell’opera – come espressione della cultura materiale di cui è portatore – significa instradare lo studio entro un dominio le cui molteplici articolazioni resistono alla restituzione di quadri di sintesi su base tassonomica; la prima sostanziale differenziazione è infatti individuabile in rapporto ai contesti ambientali e geografici (relazioni sincroniche) e alla scala temporale (relazioni diacroniche). Il carattere peculiare di soluzioni costruttive impiegate in determinati contesti e in definiti periodi storici costituisce il punto di partenza su cui prendono forma varie linee di indagine scientifica presenti oggi nel panorama della ricerca nei settori della Storia, del Restauro e della Tecnologia, con approcci e modalità scandite dalla varietà degli ambiti disciplinari. Nell’ambito del recupero del costruito storico – ovvero in quello più vicino al settore delle tecniche edilizie – la più stretta correlazione posta con la conoscenza del dato fisico dell’opera si esplica attraverso due momenti di indagine: la prima su base documentale; la seconda su base diagnostica. La prima appartiene al dominio di studio della Storia della costruzione, mentre la seconda interagisce con i saperi analitico-strumentali propri dell’ingegneria delle costruzioni. Riguardo al campo della Storia della costruzione, questo può essere descritto – con una accezione sintetica – come un settore di interesse che indaga quella parte della Storia dell’architettura che è identificabile nella sua storia materiale.

1. Caratteri identificativi

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L’indirizzo assunto da tale tipologia di studi riguarda sia l’analisi di singole opere sviluppata attraverso una ricostruzione delle fasi progettuali e realizzative, sia lo studio sull’evoluzione storica dei modi di costruire, le tecniche e i materiali, nelle relazioni istituite con il contesto fisico e temporale in cui sono collocate. Proprio in questo secondo ambito si iscrive un interesse specifico per le pratiche di intervento nel settore del recupero edilizio, poiché tali analisi consentono di superare le più generali, e talvolta generiche, descrizioni con cui si è oramai da tempo delineata una storia delle tecniche costruttive o dei materiali, per sondare il dominio articolato e difforme delle applicazioni reali di tali tecniche, le connessioni poste con vicende specifiche, in un determinato luogo, in un circoscritto confine temporale. Per tale finalità vengono di seguito differenziati i due primari ambiti entro cui è possibile ricondurre una trattazione dei caratteri del patrimonio esistente nella divisione posta tra il sapere costruttivo “premoderno” – proprio dell’edilizia muraria storica – con quello posteriore all’avvento della tecnica del cemento armato – dunque a partire dalla prima metà del Novecento – qui definito, per ragioni di sintesi linguistica, “edilizia moderna”. 1.1. Edilizia muraria storica 1.1.1. Principi e regole

Manuali del recupero e Codici di pratica Confinando dunque il campo di indagine all’edilizia storica – ovvero alle costruzioni in muratura portante che hanno definito il carattere dell’architettura e dell’edificato storico italiano fino al primo Novecento – una prima codificazione dei caratteri tipologici e costruttivi del patrimonio costruito legati alle specificità contestuali viene formulato dai Manuali del recupero, a partire da quello di Roma dei primi anni ottanta del Novecento, e poi dai Codici di pratica che seguono a distanza di qualche anno. Seppure differenziati nelle linee d’indagine conoscitiva – i primi più orientati verso la formalizzazione di un repertorio dedicato all’”arte del costruire” in ragione delle diverse declinazioni locali, mentre i secondi più interessati alla comprensione del funzionamento strutturale delle tipologie storiche – in entrambi viene posto al centro della riflessione teorica e delle ipotesi d’intervento, il ruolo assegnato dalla conoscenza della cultura costruttiva premoderna, espressione sintetica dei caratte-

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ri tecnologici, tipologici e di ordine statico, che sostanziano la natura costitutiva dell’edilizia storica1. L’impianto teorico su cui si fonda la strategia dei manuali del recupero si compone infatti di due primari momenti di indagine, uno conoscitivo e uno propositivo: la ricognizione eseguita sulle fonti documentarie e sul rilievo diretto, consente la registrazione di un repertorio selezionato di casi esemplari; sulla scorta delle informazioni acquisite vengono conseguentemente forniti i criteri e le regole da seguire per la manutenzione e il ripristino della funzionalità strutturale e costruttiva dell’organismo edilizio nei suoi nodi più significativi. In quest’accezione, la finalità espressa dal Manuale del recupero non è strettamente correlabile a quella ascritta ad un manuale di progettazione architettonica, cioè ad una formulazione critica che definisca le metodiche atte ad affrontare complessivamente il progetto di recupero; la sua dimensione teorica ed operativa è infatti principalmente contenuta nel fornire “la descrizione di un insieme di criteri e di tecniche non distruttive relative ad altrettante componenti (dati in forma di dettagli) o sistemi della vecchia fabbrica da coinvolgere nel comparto conservativo del progetto di recupero. Non è casuale che ai dettagli non corrisponda mai l’insieme, il quale può essere ricostruito sul singolo caso dal progettista del recupero. Ma il Manuale di cui parliamo è, tuttavia, certamente un manuale di Architettura, anzi il “Manuale dell’architetto pre-moderno” come ebbe a definire Paolo Marconi quello di Roma, poiché “ recupera le indicazioni positive del glorioso Manuale di Ridolfi, cui si ricollega con autentica reverenza, per fornire agli architetti desiderosi di meglio fare, indicazioni conoscitive loro negate dalla cultura architettonica moderna, e soprattutto il mezzo per 1  Dice su questo Francesco Giovanetti nella descrizione dei contenuti e delle finalità del Manuale del recupero di Città di Castello: “( ) Destinato a colmare la lunga dimenticanza che ha colpito la pratica dell’edilizia premoderna, esso si rivolge a due categorie di lettori: ai cittadini in generale ed ai tecnici in particolare. Rivolgendosi ai primi, il manuale propone di ampliare la frontiera dei beni culturali per includervi la materia di cui è fatta l’edilizia storica. Rivolgendosi a tecnici e maestranze, esso si propone invece come sussidio all’attività di progettazione, manutenzione e restauro. ( ) Il primo scopo del manuale è quello di favorire la conservazione attraverso l’apprezzamento ed il rispetto per la sostanza materiale dell’edilizia storica. (…) Ma il manuale non è solo un atlante. Negli esempi illustrati sono condensate quanto più regole dell’arte muratoria e quanti più esempi del processo di riparazione, adattamento e miglioramento che accompagnano la vita degli elementi costruttivi nell’organismo edilizio, è stato possibile desumere dall’osservazione dello stato di fatto. Per questo il manuale si propone anche – è questo il suo secondo scopo – come uno strumento tecnico utile a quanti operano nell’attività di conservazione, restauro e recupero. Il manuale mostra infine un terzo volto, dedicato a chi non vuole accettare la distruzione in massa di strutture e finiture premoderne che si compie per ottemperare all’adeguamento degli edifici agli standard correnti per la nuova edilizia. La coscienza di integrare restauro architettonico e restauro strutturale in una visione globale dell’architettura storica è un’acquisizione recente. Si tratta di un assunto che si pone in conflitto con la frettolosa estensione al patrimonio storico di recenti standard di sicurezza (sismica, antincendio), di accessibilità e di comfort, ai quali gli edifici possono essere adeguati solo a costo di una irrimediabile manomissione della loro stessa storicità. In luogo di adeguare si suggerisce piuttosto di migliorare le prestazioni degli edifici, ricorrendo per quanto possibile al repertorio di soluzioni suggerite da una ritrovata confidenza con le regole dell’arte”. F. Giovanetti, Il manuale del recupero di Città di Castello, Dei, 1992 (ristampa 1998), pp. 17-18.

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esercitare l’intelletto nel perfezionamento dei tipi (…) raccolti in nome di una evoluzione dei contenuti tecnici della nostra disciplina che ha solo bisogno di sapere dove innestarsi ”2. Il concetto di tipizzazione al quale fa riferimento Paolo Marconi, è in quest’ottica descrivibile come uno strumento conoscitivo che rifugge dalla ricerca di schemi unificanti ed astratti ai quali ricondurre, secondo un processo semplificatorio di tipo statistico, la pluralità delle possibilità costruttive e formali; al contrario, l’interesse è mirato verso l’individuazione delle specificità, come portato diretto di un sapere mediato dal rispetto delle regole dell’arte del costruire e dalle istanze poste dalle condizioni contestuali 3. Pratiche manutentive Tale questione si correla anche ad un secondo aspetto che connota la natura genetica della costruzione muraria. “(…) Nella verifica di una struttura moderna è preliminare la definizione della classe di resistenza dei materiali impiegati, nella verifica della struttura muraria storica è preliminare un giudizio di qualità delle parti della costruzione che non è riducibile alla misura di parametri tensionali da immettere in un procedimento di analisi consolidato. Salvo casi rari, infatti, la condizione di crisi della costruzione muraria si raggiunge non per il superamento della resistenza dei materiali ma per la perdita della condizione di equilibrio e l’innesco di un meccanismo di collasso. Tale giudizio di qualità è stato per secoli demandato alla verifica di rispondenza alla regola dell’arte cioè ad un insieme codificato di regole e prescrizioni che la costruzione muraria è chiamata a rispettare. Quanto più la costruzione si discosta dalla regola dell’arte, tanto essa è vulnerabile e quindi necessita di interventi che la riconducano alla regola”4. Questa affermazione, su sui si conviene, orienta la riflessione sull’importanza assunta dalla valutazione dell’appropriatezza delle soluzioni progettuali, della 2  R. Panella, Per un contenuto conservativo del recupero, in Il manuale del recupero di Città di Castello, op. cit., p. 11. La citazione a Paolo Marconi è contenuta nel saggio Un Manuale per l’Architettura premoderna, in Manuale del recupero di Roma, Dei, 1989. 3  Su questo Raffaele Panella esprime una puntuale valutazione: “( ) Se non appaiono i tratti semplificatori e di astrazione dell’operazione tipologica corrente, l’operazione classificatoria, la tipologia, emerge in tutta la sua evidenza di insieme dei modi con cui si esprime in una determinata epoca la cultura dell’abitare e, più in generale, la cultura della città. Ecco perché parliamo comunque di tipizzazione. Naturalmente siamo lontani da quel processo riduttivo della tipologia edilizia che, dopo aver ridotto a schemi distributivi le unità edilizie, ha teorizzato e praticato su vastissima scala una presunta conservazione attraverso la non alterazione del tipo (la così detta conservazione tipologica). ( ) La stragrande maggioranza della sostanza edilizia storica delle nostre città ( ) è frutto di stratificazioni e trasformazioni spesso imponenti che, pur avendo imposto regole di volta in volta diverse e diversamente motivate, hanno tuttavia conseguito nel loro insieme risultati di straordinaria omogeneità formale; che poi è il dato di riconoscibilità del luogo. È in definitiva l’intreccio tra forma e costruzione il nodo concettuale e tecnico della conservazione dell’edilizia antica. R. Panella,, op. cit., p. 11. 4  G. de Felice, Le strutture murarie: dall’osservazione alla previsione del danno sismico, in Codice di pratica per la sicurezza e la conservazione della città di Palermo, Laterza, 1999, p. 99.

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corretta esecuzione dei dettagli costruttivi, della qualità dei materiali e il sistema di relazioni che connettono le parti e gli elementi della costruzione, quali primari indizi su cui fondare l’indagine conoscitiva tesa a comprendere i criteri di funzionamento strutturale delle tipologie murarie storiche. Sul doppio binario dell’interpretazione qualitativa dei quadri fessurativi e del grado di dissesto statico, e di quello di una conoscenza diretta e puntuale della tipologia e della grammatica costruttiva, devono dunque attestarsi sia le formulazioni meccaniche orientate ad elaborare le verifiche quantitative sui criteri di sicurezza e stabilità della costruzione, sia quelle riguardanti le soluzioni tecniche di intervento. Nelle costruzioni murarie la corrispondenza tra geometria e struttura è infatti inscindibile; conseguentemente la definizione delle soluzioni tecniche come quelle riguardanti la messa in sicurezza di un edificio vanno intese come due fasi appartenenti al medesimo iter progettuale poiché la struttura è di per sé un organismo architettonico.5 A questo orizzonte teorico e culturale appartiene dunque l’approccio conoscitivo alla tematica del recupero edilizio del costruito storico; indipendentemente dai significati storico-architettonici, ovvero dal valore figurativo ed artistico dell’opera, le soluzioni tecniche adottate devono comunque essere orientate entro una dimensione operativa che è quella della “manutenzione attiva”, ovvero votate al ripristino degli elementi soggetti a degrado costruttivo e/o a dissesto statico e, se necessario, al reintegro delle parti mancanti nel rispetto delle caratteristiche originarie dell’opera. Come rileva Giuffré “se l’intervento moderno recupera la matrice manutentiva e si riappropria della tecnica originale può usarla criticamente, come la cultura moderna consente, per operare nella costruzione quei ritocchi che le fanno recuperare una resistenza perduta o le potenziano una resistenza carente. Gli edifici cambiano, lentamente si rinnovano come era avvenuto nei secoli passati, e come la vita moderna pretende, ma loro consistenza storica è la matrice del cambiamento: questa avviene in consapevole continuità con essa e ne conserva e documenta il cambiamento”.6 Ciò induce a considerare poco rilevante una differenziazione gerarchica di importanza fra “architettura” ed “edilizia”, fra “edificio tutelato” e “edilizia mi5  “( ) L’intervento di restauro obbliga, infatti, il progettista a conoscere in ogni sua parte e in ogni sua valenza l’organismo architettonico sul quale è chiamato a suggerire come e perché intervenire. L’osservazione di ciò che è, e non solo di ciò che appare, conduce alla conoscenza necessaria per giudicare sulla stabilità dell’opera, ma indica anche gli interventi necessari a ricondurre l’edificio alla “regola dell’arte” che gli è propria. Questo approccio riprende molte delle tecniche di indagine archeologica: con il suo penetrare nell’intima costituzione dell’opera costruita ne scopre i modi, le ragioni, eventualmente le carenze, apre così la via agli interventi di restauro che sanano i difetti conservando la natura originale nella concreta opera di mantenimento della città storica”. C. Carocci, A. Giuffré, La struttura della casa, in Codice di pratica per la sicurezza e la conservazione della città di Palermo, Laterza, 1999, p. 58. 6  A. Giuffré, op. cit., p. 150.

1. Caratteri identificativi 13


nore”, essendo presente in entrambi i casi la medesima concezione costruttiva e strutturale. Prescrivere l’impiego di soluzioni tecniche fortemente invasive, come i solai laterocementizi o i cordoli in cemento armato a tutto spessore negli interventi di ristrutturazione degli edifici tradizionali in muratura portante e bandirli invece in quelli soggetti a tutela, rappresenta una contraddizione sia sul piano tecnico che su quello teorico; delle due l’una, la soluzione tecnica, è infatti indipendente dal valore storico-architettonico poiché discende da una valutazione diretta della sua natura costitutiva, adottando lo stesso rimedio per la stessa patologia, ovvero l’impiego di una medesima filosofia di intervento7. Questa contraddizione è figlia della progressiva esautorazione di una cultura tecnica fondata sulla tradizione costruttiva muraria, a scapito dell’impiego diffuso e acritico di sistemi e procedimenti che attengono ad un altro universo tecnologico ed ad altri paradigmi teorici, quale appunto in primis il calcestruzzo cementizio armato. La questione sismica rappresenta il passaggio obbligato su cui far convergere tale dicotomia poiché consente, alla luce di un sapere che si fonda sullo studio degli effetti prodotti, di evidenziare errori e incongruenze delle scelte tecniche impiegate nel recente passato. Ad esempio, i danni provocati dall’uso improprio di membrature in cemento armato, avvenuti a seguito degli ultimi eventi sismici dell’Umbria-Marche (1997), dell’Aquila (2009) e dell’Emilia (2012), vengono oggi ampiamente e concordemente considerati l’ultima eloquente dimostrazione di come i criteri, ai quali tali interventi si erano precedentemente ispirati, fossero inadeguati allo scopo prefissato. Ciò induce in prima istanza a focalizzare con maggiore precisione su quali principi e regole si fonda la concezione costruttiva e strutturale di un edificio murario, ponendo in prima evidenza come definire e determinare la “qualità della buona costruzione”, per poi instradare la riflessione critica sui criteri e metodi di intervento compatibili con la genesi originaria dell’edificio – materica, tipologica, costruttiva e strutturale – al fine di renderlo adeguato ai requisiti prestazionali richiesti dalle normative vigenti. Qualità della buona costruzione L’approccio teorico si fonda sull’osservazione che la caratteristica principale di 7  Nel rispetto della conservazione assoluta dell’esistente o della sola tutela figurativa e materica degli involucri, l’orientamento generalizzato è stato duplice: le opere monumentali hanno spesso subito interventi di tutela passiva mentre nell’edilizia storica minore sono stati promossi ed incentivati interventi di completo rifacimento degli interni, con l’inserimento di elementi irrigidenti in cemento armato, solai latero-cementizi e quant’altro, lasciando frequentemente inalterata l’immagine degli esterni. Occultati dietro una ostentata dichiarazione di preservazione dei caratteri e delle forme originarie, gli interventi sul tessuto edilizio storico hanno comportato, e comportano tutt’ora, una modifica sostanziale della fisionomia costruttiva e della natura strutturale dei singoli edifici. Dietro etichette rassicuranti come “conservazione tipologica”, “restauro conservativo” e quant’altro, si consente ancora oggi di operare trasformazioni che minano la natura costitutiva della costruzione muraria, restringendo l’attenzione al solo rispetto dell’integrità dei caratteri tipologici e figurativi.

14 1. Caratteri identificativi


una costruzione muraria tradizionale è quella di essere realizzata mediante l’assemblaggio di elementi strutturali semplici, connessi fra loro con un sistema di vincoli di contatto monolateri; ovvero l’eterogeneità dei materiali e la discontinuità sono, sotto il profilo della natura costitutiva della muratura, i due presupposti che segnano la differenza esistente con le ipotesi che stanno alla base della teoria delle strutture in regime elastico o pseudo-elastico. Il paradigma della costruzione muraria, intesa come assemblaggio di parti staticamente determinate, induce in questo senso a ricomprendere, nella definizione assegnata al termine struttura, anche la sua accezione più ampia, cioè come sistema di relazione fra le parti; pertanto la definizione di miglioramento strutturale è riconducibile ad un’operazione mirata ad incrementare il grado di connessione fra gli elementi discreti. In altri termini, in condizioni statiche, la costruzione muraria tradizionale può essere considerata come il prodotto dell’assemblaggio di elementi costruttivi vincolati in modo isostatico. Il sistema di carichi è trasmesso agli elementi che direttamente li supportano e questi li trasferiscono sotto forma di reazioni agli altri elementi ai quali sono appoggiati. Nella gerarchia coerente di elementi supportati ed elementi di supporto e nel sistema di connessione che lega le varie parti ed elementi della costruzione sono rintracciabili i principi su cui si fonda la concezione statica degli edifici storici. A tale concezione va dunque riferito l’approccio conoscitivo inteso alla comprensione del funzionamento strutturale dell’edilizia storica; la nozione di assemblaggio è, infatti, del tutto generale e si applica indistintamente a tutte le parti costruttive che compongono l’edificio – muri, solai, coperture – poiché anch’essi, a loro volta, sono il prodotto dell’unione di elementi discreti – mattoni, pietre, travi, travicelli, assiti, pianellati – con un sistema più o meno complesso di relazioni. A partire dal riconoscimento di questi semplici concetti e principi è possibile avvicinarsi alla comprensione della natura costitutiva e della ragione statica della costruzione muraria storica: dietro alla schematizzazione di una lettura della complessità e specificità, più che della restituzione di modelli descrittivi unificanti, si cela spesso lo scarto che li separa dalla realtà fisica della quale dovrebbero essere la rappresentazione. In sintesi, la costruzione muraria si compone di pochi elementi strutturali semplici – muri, solai e coperture – assemblati mediante i seguenti apparecchi di connessione: 1) connessione tra la struttura in elevazione e il sistema delle fondamenta; 2) ingranamento delle pietre o laterizi costituenti le murature; 3) connessione fra maschi murari; 4) connessione tra solaio/copertura e muratura. Ciò si lega ad un altro assunto teorico che governa la comprensione della natura della costruzione muraria, rappresentato dai concetti di stabilità e resistenza applicati al sistema trilitico; in un sistema trilitico, quando le forze in gioco sono solo i pesi, la stabilità e la resistenza di un insieme è infatti assicurata se la trave

1. Caratteri identificativi 15


è in grado di resistere all’azione del proprio peso. Se la trave si rompe per difetto di resistenza, si crea un meccanismo che instabilizza l’intera struttura per effetto della spinta esercitata dal cinematismo dell’architrave; cioè l’architrave cessa di essere trave in senso strutturale e si trasforma in arco spingente sugli appoggi. Pertanto un sistema trilitico può essere insediato sia da mancanza di resistenza che di stabilità. Il sistema è infatti instabile, ad esempio, se sottoposto ad azioni orizzontali (tipo l’azione sismica) o se difetta di resistenza, ed è stabile se la trave è sufficientemente resistente e soggetta solo a carichi verticali. Reversibilità, sostenibilità Vi è poi un ulteriore aspetto che, indipendentemente dalle questioni che attengono ad una corretta interpretazione del funzionamento strutturale, si apre ad accogliere le istanze poste dalle odierne riflessioni sui temi della reversibilità e sostenibilità delle soluzioni tecniche, sia in termini conservativi che di trasformazione funzionale. Sul primo punto, l’indirizzo teorico nel campo del restauro, ha oramai acquisito l’accettazione assoluta dell’impiego di tecniche non invasive; più incerta appare semmai una sua corretta applicazione. Oltre alle ragioni che accolgono il concetto della reversibilità in accordo con i temi della compatibilità materica e costruttiva, tale questione assume oggi nuova valenza come presupposto indispensabile per ogni ipotesi di intervento che, nell’accettazione della pratica manutentiva, risponda alle possibilità trasformative d’uso e funzionali dell’organismo edilizio. Restringendo dunque il campo al settore dell’edilizia storica non soggetta ai vincoli posti dalla 1089, la pratica incondizionata in contesti sismici, della sostituzione degli elementi costruttivi originari in muratura ed orditure in legno con cordolature eseguite in breccia in cemento armato e solai e coperture laterocementizie, costituisce il più evidente limite culturale rispetto agli interrogativi mossi dalle attuali problematiche relative ai temi della trasformabilità dell’architettura, senza che tale divenire comporti necessariamente operazioni di demolizione e ricostruzione, con conseguente produzione massiccia di macerie ed alterazioni irreversibili della qualità urbana ed ambientale. In questa nuova dimensione culturale del problema, le questioni che attengono al settore delle nuove costruzioni e a quello del recupero edilizio, trovano spazio ed obiettivi condivisi; la progressiva presa di coscienza che gli edifici possono essere considerati come parte di un processo evolutivo che prevede la trasformabilità delle sue funzioni d’uso e il progressivo degrado delle parti costruttive, sposta l’attenzione sui concetti di manutenzione programmata e di smontabilità degli elementi componenti, in modo da garantire la preservazione qualitativa dell’edificio oltre il ciclo di vita utile dei suoi componenti. L’accettazione del concetto di assemblaggio come criterio costruttivo su cui è

16 1. Caratteri identificativi


fondata la costruzione muraria storica, consente infatti di condividere alcuni assunti di base validi nel settore della nuova costruzione; ad esempio, l’esigenza di manutenibilità, in funzione del prolungamento del ciclo di vita di un edificio, e quello della reversibilità, fanno entrambe parte di una concezione costruttiva fondata sull’impiego di tecniche di connessione tra gli elementi strutturali finalizzate allo smontaggio e separazione delle parti e alla riciclabilità dei prodotti e dei materiali base. I sistemi costruttivi basati sull’assemblaggio a secco degli elementi e componenti, rispondono infatti appieno al più ampio ed esteso concetto della sostenibilità, in ragione della possibilità di essere facilmente sostituiti, in accordo con le previsioni svolte per un corretto smaltimento. In questo contesto, particolare rilevanza assume l’impiego dell’acciaio o dei pultrusi, poiché oltre ai requisiti di compatibilità con la costruzione muraria storica, consentono di eseguire connessioni bullonate di semplice reversibilità. Le difficoltà che hanno caratterizzato l’affermarsi in Italia delle tecniche di costruzione leggere a secco, possono oggi ritrovare, proprio nel settore dell’edilizia storica, l’ambito idoneo di applicazione. Come si evidenzierà in seguito, tale scelta tecnologica non entra in conflitto con i presupposti su cui si fonda la teoria sismica applicata alle costruzioni in muratura, ovvero il rispetto del comportamento scatolare della fabbrica, della rigidezza degli orizzontamenti e dell’assenza di azioni spingenti sulle murature d’ambito.

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Schema esemplificativo del concetto di assemblaggio in una costruzione muraria. 1. Copertura, 2. Solaio, 3. Muratura, 4. Fondazione. Nella gerarchia coerente di elementi supportati ed elementi di supporto e nel sistema di connessione che lega le varie parti ed elementi della costruzione sono rintracciabili i principi su cui si fonda la concezione statica degli edifici storici.

Rottura di un architrave per difetto di resistenza. Il meccanismo di rottura è determinato dall’abbassamento dell’appoggio di sinistra e dalla incapacità dell’elemento ad assorbire gli stati tensionali a trazione dell’azione tagliante che si esplica nella zona di massima sollecitazione. Il rimedio empirico della “cucitura” con zanche svolge le funzioni di una staffatura metallica a taglio. Edificio storico a Segovia.

18 1. Caratteri identificativi

I concetti di stabilità (a) e resistenza (b) applicati al sistema trilitico.

Impiego di un solaio in acciaio in un intervento di recupero di un edificio murario.


1.1.2. Caratteri statico-costruttivi

I concetti di “qualità della buona costruzione” e dell’“assemblaggio di elementi costruttivi staticamente determinati”, sono a fondamento del processo conoscitivo finalizzato a formulare una valutazione dello stato conservativo e d’uso di un edificio storico, altresì definito come caratterizzazione statico-costruttiva della fabbrica. Sul piano disciplinare – quello delle tecniche edilizie – l’orientamento seguito nella scomposizione dell’oggetto nelle sue parti costituenti è coerente all’impianto teorico e concettuale che ha governato la nascita e la diffusione della manualistica ottocentesca, a cui si lega la successiva esperienza di cui detto dei manuali di recupero e dei codici di pratica8. Sul versante della prassi, tale indirizzo permette invece di selezionare le criticità statico-costruttive degli elementi costituenti l’organismo edilizio al fine di formulare soluzioni tecniche di intervento che nel garantire la salvaguardia dei caratteri originari della fabbrica (istanza conservativa) consentono di attivare le azioni necessarie a fornire un miglioramento dei requisiti richiesti dalla normativa sismica vigente (istanza prestazionale). In questo quadro si inscrive l’esigenza di identificare le caratteristiche fisiche e meccaniche degli elementi costruttivi primari ovvero quelli che definiscono la tipologia costruttiva e strutturale della fabbrica: le fondazioni, l’ossatura muraria, gli orizzontamenti intermedi, la copertura. 1.1.2.1. Fondazioni

Le fondazioni degli edifici storici sono prevalentemente di tipo superficiale. I caratteri originari degli aggregati edilizi dei centri storici italiani, sono infatti prevalentemente riconducibili alla tipologia a schiera, con uno sviluppo in altezza variabile fra i due e i tre piani (o al massimo quattro con l’ultimo generalmente di altezza ridotta). Allo stesso modo, gli edifici rurali o anche gli edifici suburbani, mantengono generalmente altezze che difficilmente superano i tre livelli. Valori superiori sono generalmente da addebitarsi ad operazioni manomissorie, con ampliamenti e sopraelevazioni di epoca successiva. Questo 8  “Le radici su cui si innesta la progressiva settorializzazione dei saperi, originariamente conservati all’interno del patrimonio conoscitivo del ’maitre d’ouvre’ e poi dell’Architetto come unica figura responsabile dell’intera opera, sono rintracciabili nel processo di razionalizzazione della cultura del costruire di stampo illuminista che di fatto introduce un nuovo linguaggio del progetto: l’opera può essere oggetto di una indagine analitica, prescrivibile e può essere discussa nei particolari prima della sua realizzazione. Il passaggio dal trattato al manuale, portato diretto del progetto dell’Encyclopédie, consacra la nascita di spazi autonomi della conoscenza, tutti ad ugual diritto inscrivibili all’interno della dimensione unificante del Progetto. In questo atto si acquisisce la consapevolezza che il processo tecnico è un insieme di azioni che non possono venire analizzate separatamente le une dalle altre, ma che proprio nella loro interdipendenza, preventivamente coordinata, è possibile fornire garanzie sul buon esito dell’opera”. Cfr. R. Gulli, Métis e Téchne. Gli strumenti del progetto per la manutenzione e il recupero dell’edilizia storica. EdicomEdizioni, 2000, p. 113.

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aspetto è ben individuabile quando sono presenti lesioni ai piani inferiori dovuti a cedimenti differenziali innescati per effetto delle sopraelevazioni realizzate in tempi successivi alla costruzione originaria. Ciò è riconducibile ai fenomeni di assestamento del terreno di fondazione che raggiunge una condizione di equilibrio a costruzione ultimata; i successivi incrementi di carico modificano la configurazione esistente, determinando conseguentemente ulteriori cedimenti per ristabilire le precedenti condizioni di equilibrio. Escludendo dunque i casi di alterazione della conformazione originaria dell’edificio, non generalizzabili in virtù dell’aleatorietà degli interventi stessi9, la tipologia delle fondazioni è comunemente costituita da murature di tipo continuo con allargamento progressivo della parte basamentale. La profondità del piano fondazionale è ovviamente variabile in ragione dell’entità dei carichi statici e delle caratteristiche geotecniche del terreno. Per edifici tradizionali che si sviluppano su due o tre livelli, la profondità di imposta del piano fondazionale non supera mediamente 1,5 mt di profondità con un allargamento della base di circa il doppio dello spessore della muratura in elevazione o in generale con un andamento che segue la regola del triangolo equilatero. Conseguentemente, nella generalità dei casi, i carichi agenti sulle fondazioni sono di entità ridotta poiché, in condizioni di portanza media del terreno di fondazione, un edificio su due o tre piani riporta al suolo valori tensionali che si attestano sotto i 2 kg/cmq; un incremento della dimensione della fondazione in larghezza dell’ordine del 40-50% di quella originaria, è pertanto da sola sufficiente per ridurre, all’incirca proporzionalmente, tale valore. Diversamente negli edifici monumentali – come quelli chiesastici – le tipologie fondazionali possono essere di tipo profondo, come nel caso del sistema a piloni e barulle impiegato per il trasferimento dei carichi puntuali alla profondità di circa 4-6 mt dal piano di campagna. Tale distinzione consente di evidenziare una prima considerazione a carattere generale. Per gli edifici tradizionali, le fondazioni non costituiscono un primario elemento di criticità della staticità dell’edificio se non per ragioni indotte da una variazione delle condizioni geo-meccaniche del terreno. Nel secondo caso, quello degli edifici monumentali, l’entità dei valori di carico statico a cui è soggetto il sistema fondazionale può invece generare fenomeni di assestamento nel tempo con l’attivazione di cedimenti differenziali delle strutture in elevazione che richiedono interventi di consolidamento estesi in profondità. Al contempo una delle problematiche dell’edilizia di base in progressiva diffusione negli ultimi anni – nei contesti urbani (edifici in aggregato) ma soprattutto nelle aree extraurbane (edifici isolati e rurali) – è rappresentata dai cedimenti 9  Si prenda l’esempio emblematico dei centri storici di Napoli e Palermo, dove la pratica della sopraelevazione incontrollata è stata tanto diffusa da alterare la fisionomia originaria dell’edificato storico generando, conseguentemente, anche una modificazione dei caratteri costruttivi e di sicurezza statica dei singoli edifici.

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differenziali provocati dalla variazione delle caratteristiche geo-meccaniche del terreno, generalmente indotta da una diminuzione del contenuto di acqua per effetto della siccità e dell’aumento dei valori di temperatura medi. 10 L’incidenza di tale fattore per la stabilità delle costruzioni è direttamente relazionato alla tipologia della fondazione; in presenza di fondazioni murarie, dunque di tipo continuo e superficiale, le variazioni volumetriche degli strati superficiali (1-3 mt) inducono l’insorgenza di stati tensionali a trazione che non sempre riescono ad essere contrastate dalla duttilità del sistema fondazionale, generando processi lesivi a taglio sulle strutture in elevazione. Tale condizione è particolarmente evidente in presenza di terreni di natura limo-argillosa, che come noto si caratterizzano per l’alterazione morfologica e volumetrica in rapporto alle variazioni dei contenuti di umidità presenti con un andamento ciclico legato ai valori di temperatura e di piovosità stagionale. L’interazione struttura-terreno risulta infatti fortemente influenzata da entrambi i fattori e la coltre attiva soggetta a ritiro-rigonfiamento, che in passato presentava spessori limitati e non interferiva con il piano delle fondazioni, oggi raggiunge valori di profondità che raggiungono anche i 5-6 metri11. Le variazioni volumetriche sopracitate si manifestano in forma irregolare nell’area di sedime del fabbricato in ragione della disomogeneità degli eventi perturbanti e delle condizioni al contorno (naturali o antropiche) e conseguentemente gli effetti prodotti sulle strutture in elevazione possono essere di diversa tipologia ed entità12. 10  Uno studio esteso sulle banca dati nazionali dei dati pluviometrici e di temperatura, rapportata ad un periodo di riferimento 1980-2010, evidenza alcune anomalie climatiche che si sono verificate negli ultimi anni: ad una diminuzione relativa di piovosità negli ultimi due decenni è invece associato un aumento dei valori di temperatura, sia dei valori minimi sia di quelli massimi sull’intero arco annuale. In particolare, dal 1990 in poi si registrano aumenti delle temperature massime medie annuali ed i valori delle minime presentano un’anomalia positiva particolarmente pronunciata nei periodi estivi. Il terreno, la cui natura polibasica, ovvero formato da uno scheletro solido e da vuoti (con presenza di liquidi o gas), denuncia comportamenti che sono direttamente correlati alle variazioni climatiche del contesto ambientale. L’aumento dei dissesti statici di fabbricati avvenuti in questo ultimi due decenni in Italia ed imputabili prevalentemente a variazioni di volume del terreno di fondazione di natura limo-argillosa è infatti alquanto nota; tale questione comprende sia le condizioni climatiche esterne per aumento di temperatura media stagionale sia quelle relative alla condizione di siccità dei terreni alternata a fenomeni piovosi intensi. In particolare tale aspetto viene evidenziato nel lavoro prodotto da P. Armillotta per due interventi eseguiti nel contesto emiliano di cui è la citazione correlata: “( ) In passato, il bilancio di questo sistema, inteso come rapporto fra apporti meteorici (pioggia e neve) e perdite (evapotraspirazione), è rimasto costante fino agli inizi degli anni ’90, e le strutture in elevazione non hanno mai o quasi mai subìto alterazioni. Questo in quanto il primo sottosuolo ha presumibilmente mantenuto una certa costanza nei valori delle caratteristiche fisiche, meccaniche, e volumetriche. Negli ultimi anni, invece, il verificarsi di variazioni climatiche estreme ha determinato nuove condizioni di equilibrio del sistema “terreno – condizioni esterne”, non compatibili con la tolleranza di deformabilità, peraltro piuttosto ridotta nelle murature delle opere esaminate. Si può affermare che le caratteristiche geotecniche del terreno di fondazione sono in relazione con le variazioni delle condizioni climatiche stagionali. Si può parlare di terreno superficiale come interfaccia dinamica con l’atmosfera”. (cfr. http://www.thesis-srl.it/pdf/StudioCasiRealiElettroosmosi.pdf). 11  Franceschini M, Carbonella R., Zanna A., Studio per una corretta analisi dei recenti fenomeni di dissesto di edifici a Bologna dovute a crisi del sistema delle fondazioni, XXII congresso nazionale di Geotecnica, Palermo, pp. 365-372, 2004. 12  Con il termine “antropiche” si intendono trasformazioni prodotte da attività dell’uomo, sia in termini di modifica degli assetti originali dei terreni con opere e manufatti, di sversamenti incontrollati di acqua, di una cattiva regimentazione delle acque superficiali e dell’assenza di sistemi di drenaggio.

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In questo senso, specifica importanza rivestono le opere di regimazione e deflusso delle acque meteoriche di superficie poiché il tenore di umidità del terreno è un elemento di criticità non solo per l’innesco di cedimenti strutturali di cui detto, ma anche per l’insorgenza di fenomeni di degrado associati sia all’umidità di risalita (nel caso di strutture murarie in laterizio) che a quella di contatto. L’assenza di barriere di tenuta all’acqua è infatti una costante per l’edilizia storica, sia per ragioni tipologico-funzionali che tecniche. Il primo aspetto è correlato alla destinazione d’uso dei piani terra, generalmente associata a spazi di servizio in ragioCedimento angolare. ne delle differenti tipologie funzionali ed edilizie (laboratori, depositi, cantine, ricovero animali). Il secondo è correlato alla mancanza di dispositivi tecnici e materiali che consentano al tempo di isolare le strutture fondazionali dal contatto diretto con il suolo, agendo esclusivamente – nel migliore dei casi – sulla regimazione delle acque meteoriche con i sistemi di drenaggio perimetrali. Le fondazioni continue in muratura di laterizio sono quelle più esposte ai fenomeni di degrado materico in presenza di ambienti umidi per l’innesco dei fenomeni di capillarità di risalita a causa della porosità del materiale. Le soluzioni tecniche adottate in passato per confinare tale problema, come quelle del taglio fisico del piede della muratura con l’inserimento di materiali ad alta densità quali lastrine di piombo o similari, costituiscono un espediente incompatibile con le attuali normative sismiche che prescrivono la continuità strutturale tra muratura e fondazione come requisito essenziale per garantire la stabilità della costruzione soggetta a sollecitazioni dinamiche. A partire dagli anni cinquanta del Novecento le fondazioni delle costruzioni in muratura portante vengono realizzate facendo uso di cordoli in calcestruzzo cementizio armato. Tale soluzione costruttiva non altera in modo significativo il comportamento complessivo dell’organismo strutturale in elevazione, poiché le dimensioni e la tipologia mantengono generalmente gli stessi caratteri delle

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Tabella comparativa di tre tipologie di fondazioni a piloni ed arconi: a. misto con fodera in laterizio e pietrame; b. in pietrame listato; c. misto con fodera in laterizio e calcestruzzo non armato. Manuale CNR, 1953.

fondazioni murarie continue, ovvero dimensioni che mediamente, per edifici fino a tre livelli fuori terra, non superano un metro di altezza per circa 60-80 cm in larghezza. Un beneficio – in termini relativi e generali – è invece rilevabile nella minore incidenza dei fenomeni di degrado per risalita di umidità o per contatto diretto con gli strati umidi sottofondali, dovuta alla minore permeabilità del cemento rispetto al laterizio. Le fondazioni in pietrame, listate o con scapolame misto, rispondono meglio alle istanze di isolamento dal terreno e non sono soggette a degrado per risalita capillare. L’impiego nell’edilizia storica è però strettamente correlato alla disponibilità del materiale e dunque a specifici contesti geografici ed ambientali, quali le aree 1. Caratteri identificativi 23


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Dettagli costruttivi dell’attacco a terra. Tali indicazioni rappresentano la stato dell’arte riguardo alla tipologia dei materiali e alle soluzioni costruttive della prima metà del Novecento in Italia. Manuale CNR, 1953.

pedecollinari e montane, o più in generale dove non si è sviluppata un’attività di produzione del laterizio per ridotta presenza di terre a matrice argillosa.13 13  Una differenziazione sommaria è quella che indica nelle aree montane e appenniniche e quelle di alcune regioni del sud Italia (Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) la maggiore diffusione delle costruzioni in pietra. Lo sviluppo delle costruzioni in laterizio è invece rintracciabile nelle zone di pianura e soprattutto, come noto, nella fascia centrale con specifico riferimento all’area emiliana.

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1.1.2.2. Murature

Monoliticità trasversale Il primo fattore di debolezza strutturale di una muratura è rappresentato dall’assenza di monoliticità trasversale, ovvero quando risulta costruito con pietre di piccola dimensione oppure secondo la tipologia a “sacco”, con due facce esterne ordinatamente assemblate che racchiudono un riempimento di materiale incoerente. In questi casi, la perdita di resistenza o stabilità della costruzione può facilmente manifestarsi in presenza di azioni disposte ortogonalmente al piano del muro, come in caso di evento sismico. L’incremento di monolicità trasversale è inoltre influenzato dalla presenza e dalla qualità della malta, la cui funzione, oltre a quella di ordine costruttivo della regolarizzazione dei contatti e della diffusione delle azioni localizzate, è riscontrabile anche nel fornire un contributo suplettivo di coesione fra gli elementi. Ciò è particolarmente utile quando gli apparecchi murari risultano costituiti da pietre di piccole dimensioni, o allo stesso modo quando non è presente un efficace ingranamento fra le pietre stesse, dunque in assenza di elementi trasversali di collegamento (diatoni). In altri termini, il contributo offerto fornito dalla malta può essere considerato come un utile ausilio per la qualità costruttiva e strutturale della muratura, ma non sufficiente a fornire garanzie di stabilità e resistenza in caso di cattiva organizzazione dell’apparecchiatura muraria.14 Conseguentemente, il sistema di trasmissione delle sollecitazioni all’interno della sezione muraria appare difficilmente descrivibile con gli strumenti propri della meccanica del continuo, ma come un articolato e discontinuo percorso dei carichi da un concio all’altro, secondo la mutua variabilità dei contatti. In altri termini, la struttura di un muro può essere definita come costituita da una catena pluriconnessa di corpi resistenti. Le valutazioni sulla stabilità devono quindi partire da una puntuale analisi dell’apparecchio costruttivo, o meglio dal modo con il quale la muratura risulta organizzata sotto il profilo costruttivo. La resistenza a compressione del muro, espressa mediante un coefficiente tensio14  Questo aspetto è storicamente ben rappresentato dalla concezione che sostanzia la nascita e lo sviluppo della costruzione stereotomica nella Francia del XVII e XVIII secolo, sintetizzabile nella riflessione condotta dal matematico astronomo Philippe de La Hire, che individua nella “scienza del taglio delle pietre”, la formula attraverso la quale unire ciò che è separato “comme une seule pièce”, ovvero far sì che l’intera costruzione si comporti come un solo pezzo, monolitico (P. de La Hire, Traité de la coupe des pierres, Paris, 1696). Il paradigma costruttivo utilizzato dai costruttori stereotomici è infatti fondato sull’impiego di un sistema di assemblaggio a secco, che non prevede l’impiego del legante poiché il corretto andamento delle sollecitazioni che percorrono la struttura è garantito dalla complanarità esistente fra le facce dei conci attigui. Diversamente, il sistema adottato dalla antica cultura costruttiva romana, l’opus concretum, è incentrato sul rilevante impiego del legante, generalmente calce idraulica e pozzolana, come principale elemento di coesione istituito fra le due cortine murarie che contengono la massa di pezzame misto disposto all’interno.

26 1. Caratteri identificativi


nale, può essere pertanto assunta come espressione di un valore sintetico e qualitativo. Proprio in ragione del fatto che ogni concio murario accoglie l’azione generata da ciò che gli sta sopra e lo trasferisce, secondo la variabilità dei contatti reciproci e la presenza o meno del legante, agli elementi di contorno, la sua conformazione fisico-meccanica condiziona l’entità e la direzione della reazione, orientando il sistema dei percorsi dei carichi che si innescano fra i vari elementi. Tale meccanismo induce una debole e circostanziata diffusione delle azioni, generando carichi concentrati in porzioni ridotte della sezione muraria, con la possibilità di attivare un meccanismo instabile che coinvolge l’intera struttura. Queste considerazioni risultano particolarmente valide se applicate ai casi in cui il sistema dei carichi non è solo verticale ma è composto da azioni direzionate ortogonalmente alla struttura muraria, poiché appare evidente che, escludendo le questioni di degrado chimico-fisico e di manomissioni successive, il buon esito dell’atto stesso della costruzione decreta le garanzie di stabilità in regime statico. Nel caso in cui si è in presenza di azioni non verticali prodotte dall’accelerazione sismica, il meccanismo generato dalla forza agente ortogonalmente al piano del muro tende infatti ad instabilizzare il muro con la formazione di una cerniera cilindrica orizzontale attorno a cui ruota l’intera struttura muraria. Una volta innescato il moto di rotazione, l’azione prodotta dalla forza orizzontale di inerzia e del peso, attraversa obliquamente la sezione e chiama in causa la monoliticità trasversale; una sua eventuale insufficienza comporta il collasso senza che venga innescato l’eventuale spostamento garantito dalla sua conformazione geometrica. Ciò induce a spostare l’attenzione sulla valutazione puntuale della “qualità” della costruzione, ovvero della presenza o meno degli accorgimenti costruttivi che presiedono alla corretta applicazione della “regola dell’arte”; nel caso delle murature, ciò è principalmente rappresentato dalla presenza di giaciture orizzontali e da un idoneo ingranamento dei conci, in modo che il sistema dei carichi segua un percorso ordinato e privo di contatti precari e sdrucciolevoli. La “qualità di una muratura”, costituita dall’assemblaggio o ingranamento di elementi discreti, dipende, infatti, strettamente dalle modalità tecniche che ne hanno guidato la genesi e che ne decretano la rispondenza ai principi su cui si fondano. Come detto, il peggior difetto di un muro è rappresentato dall’assenza di monolicità trasversale; ciò significa che una muratura costituita da pietre di piccole dimensioni, senza la presenza di collegamenti trasversali oppure con fodere esterne scollegate che racchiudono riempimenti disorganici ed incoerenti, denunciano già in nuce un problema di stabilità, che può rapidamente tradursi in un problema di resistenza nel momento in cui entrano in gioco non solo i pesi, ma forze agenti ortogonalmente al suo piano.

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Tale istanza è parte integrante di quel sapere su cui si è formata la cultura costruttiva premoderna, ovvero attraverso un percorso segnato da un’attenta e consapevole conoscenza razionale degli effetti, non delle cause; attraverso l’esperienza, espressione di un sapere di tipo empirico che mantiene sempre vivo il rapporto con la realtà fisica, si è costituita una forma alta di conoscenza, mediata nel connubio istituito fra teoria e pratica. Su questo rapporto si consolida l’arte del costruire, con i suoi principi e le sue regole che, anche se prive di una leggittimità scientifica, nel lungo processo di sedimentazione storica, hanno dimostrato, e dimostrano tutt’oggi, la loro validità. Nel lungo percorso che accompagna le più antiche costruzioni realizzate assemblando in vario modo elementi lapidei rudemente sbozzati fino a quelle nelle quali fa la sua comparsa la malta come “legante”, è conservato il graduale passaggio da una concezione improntata solo sulla garanzia della stabilità a quella che, invece, nella ricerca di soluzioni costruttive più complesse, individua nella monoliticità una risposta ai problemi di resistenza. Al di là di qualsiasi tesi evoluzionistica della storia, appare, infatti, plausibile ritrovare i segni di uno sviluppo della cultura costruttiva premoderna in una successione gerarchica degli stadi della conoscenza: dalla scoperta che la stabilità di un manufatto può essere assicurata configurando le pietre secondo forme regolari ed utilizzando apparecchi costruttivi a giunti sfalsati, fino alla ricerca dell’aumento del grado di connessione delle pietre attraverso un miglioramento delle caratteristiche meccaniche del legante, dalle più antiche e povere malte di terra a quelle in cui compare la calce e la pozzolana.15 Livelli di conoscenza Tale considerazione a valenza generale ha una ricaduta diretta nella definizione degli indicatori dei valori di resistenza meccanica delle diverse tipologie murarie. L’indirizzo normativo conseguente all’emanazione delle NTC del 2008 (D.M. 14.01.2008 e Circ. esplicativa 617 del 26.02.2009) riguardante le costruzioni esistenti (cap. 8) pone in evidenza l’importanza assegnata alla conoscenza dei caratteri costruttivi e strutturali dell’edificio, definita con il termine di “livelli di conoscenza e fattori di confidenza”16, a cui si correla l’indagine riguardante 15  Così, ad esempio, nell’architettura romana, il processo di affinamento costruttivo che conduce dall’impiego dell’opus silicium, all’opus quadratum, fino all’opera isodoma, riferisce di un progressivo avanzamento del sapere tecnico, fondato sulla ricerca dei rimedi utili ad un’ottimizzazione delle soluzioni progettuali a partire dai dati forniti dall’esperienza. L’utilizzo di apparecchi costruttivi costituiti da diatoni ed ortostati variamente composti, fornisce una soluzione ai problemi di stabilità e resistenza della muratura, divenendo al contempo principio e regola del “buon costruire”. 16  Paragrafo 8.5.4 LIVELLI DI CONOSCENZA E FATTORI DI CONFIDENZA: “Sulla base degli approfondimenti effettuati nelle fasi conoscitive sopra riportate, saranno individuati i “livelli di conoscenza” dei diversi parametri coinvolti nel modello (geometria, dettagli costruttivi e materiali), e definiti i correlati fattori di confidenza, da utilizzare come ulteriori coefficienti parziali di sicurezza che tengono conto delle carenze nella conoscenza dei parametri del modello”.

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la caratterizzazione meccanica dei materiali nel rispetto della seguente norma di indirizzo: “Per conseguire un’adeguata conoscenza delle caratteristiche dei materiali e del loro degrado, ci si baserà su documentazione già disponibile, su verifiche visive in situ e su indagini sperimentali. Le indagini dovranno essere motivate, per tipo e quantità, dal loro effettivo uso nelle verifiche; nel caso di beni culturali e nel recupero di centri storici, dovrà esserne considerato l’impatto in termini di conservazione del bene. I valori delle resistenze meccaniche dei materiali vengono valutati sulla base delle prove effettuate sulla struttura e prescindono dalle classi discretizzate previste nelle norme per le nuove costruzioni”.17 Aver orientato l’attenzione sulla conoscenza accurata delle caratteristiche tipologiche, costruttive e meccaniche del patrimonio storico, costituisce un passaggio essenziale della nuova normativa verso l’applicazione di strumenti e metodi di indagine mirati a sondare le “specificità” attraverso una valutazione puntuale del singolo edificio ed estesa fino alla caratterizzazione meccanica degli elementi costruttivi. Nel caso delle murature tale indagine segue due strade tra loro correlate; nella fase di indagine preliminare, l’identificazione delle caratteristiche costruttive e meccaniche di una muratura viene perseguita attraverso una analisi obiettiva ed un confronto analogico basato sulla conoscenza di casi esemplari tratti dalla manualistica o dalla pratica.18 Tale attività consente di formulare una prima valutazione delle carenze e delle criticità al fine di orientare la successiva fase di indagine diagnostica, di cui, dato il carattere specialistico della tematica, vengono di seguito fornite solo alcune sintetiche indicazioni riguardanti quattro primarie tipologie impiegate per le murature: martinetti piatti, termografia architettonica, indagini endoscopiche, indagini soniche ed ultrasoniche. Le indagini eseguite con i martinetti piatti sono mirate alla determinazione delle caratteristiche meccaniche e dello stato tensionale – modulo elastico, tensione di rottura a compressione – presente in una porzione di muratura. In altri termini tali indagini consentono di eseguire una prova di carico in situ, senza l’asportazione di un campione da analizzare in laboratorio. Le prove con i martinetti piatti non generano un eccessivo disturbo alle strutture da indagare e sono pertanto da preferirsi alle prove di laboratorio su provini estratti dalle strutture da indagare. Tuttavia, l’affidabilità delle prove dipende strettamente dalle modalità di esecuzione dei tagli e dalla accuratezza della taratura della metodica di indagine. La prova eseguita con un solo martinetto, consiste nell’e17  D.M. 14.01.2008, norme tecniche sulle costruzioni, Paragrafo 8.5.3 “Caratterizzazione meccanica dei materiali”. 18  I Manuali di recupero e i Codici di pratica riferiti ai diversi contesti regionali.

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secuzione di un taglio orizzontale nella muratura; vengono poi disposte di due o più basi deformo metriche a cavallo del taglio per rilevare le successive modifiche dello stato originario. Si esegue la messa in pressione del martinetto fino ad annullare la convergenza delle basi di misura. In questo modo, attraverso opportune formule di correlazione, viene determinato il valore dello stato tensionale locale nella muratura, depurato di un coefficiente che misura il rapporto tra la superficie del martinetto e quella del taglio. A prova ultimata si estrae il martinetto e si inietta la malta nella mancanza. La prova eseguita con due martinetti, che prevede l’inserimento di una coppia di strumenti in due tagli paralleli, consente invece di determinare anche il modulo elastico attraverso cicli ripetuti di carico e scarico, misurando le variazioni delle basi deformometriche installate. Nella prima fase della prova si eseguono cicli di carico e scarico prossimi alla sollecitazione locale; nella fase successiva si incrementa la sollecitazione massima applicata arrivando a stimare il valore di resistenza a compressione del materiale. Tali prove risultano assai indicate per la valutazione degli effetti di alcune patologie di dissesto strutturale, come la pressoflessione conseguente a rotazione e deformazioni degli elementi verticali, oppure per valutare differenze di tensione dovute a non uniforme distribuzione dei carichi. L’esigenza di intervenire con metodi non invasivi in caso di presenza di murature intonacate o affrescate, può essere risolta utilizzando l’indagine termografica. I vari materiali che compongono un manufatto murario presentano infatti diversi valori di inerzia termica, ovvero forniscono risposte differenti se sollecitati da una fonte termica indotta naturalmente per irraggiamento solare o artificialmente per riscaldamento tramite lampade, stufe o termoconvettori. I rilevatori termografici sono generalmente costituiti da una telecamera collegata ad un sistema di elaborazione e registrazione immagini, munito di unità video; ciò consente un facile trasporto in cantiere ed una semplice installazione. L’esame diagnostico è comunque attività specialistica che richiede particolare esperienza e precise competenze professionali nel campo di applicazione. Il rilevamento termografico si fonda pertanto sulla determinazione del salto termico che si produce tra l’oggetto da rilevare e l’ambiente circostante. Quando il salto termico è insufficiente – soprattutto in corrispondenza di murature interne o in presenza di strutture con forte inerzia termica – è necessario operare un riscaldamento artificiale con l’ausilio di sistemi esterni, ed aspettare il tempo necessario perché si inneschi lo scambio termico interno-esterno. Nel caso di pareti esterne è opportuno operare nelle ore nelle quali si ha il massimo rilascio di calore da parte delle strutture, come le ore serali o notturne. Particolare cura è richiesta per le indagini svolte su pareti affrescate, dove eventuali stress termici indotti ar-

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tificialmente possono produrre danneggiamenti al supporto pittorico. In questi casi si dovrà operare facendo ricorso a batterie di lampade a bassa potenza, non localizzate sulla superficie da riscaldare, sempre poste a distanza di sicurezza dalle zone dipinte. Ulteriori fattori di disturbo che possono alterare l’indagine termografica sono conseguenti al valore di umidità relativa dell’aria; la presenza di clima secco e basse temperature esterne, conseguenti a un buon soleggiamento diurno, rappresentano le condizioni ottimali. La termografica copre un campo di applicazione che riguarda sia lo stato di conservazione e integrità di strutture edilizie, sia la composizione e la tessitura muraria con la presenza di discontinuità e vacuità interne, sia la valutazione del grado di dispersione termica degli edifici o di impianti tecnologici. L’impiego delle tecniche di rilevamento termografico è inoltre estensibile ad un più ampio interesse scientifico sullo studio del comportamento termico dei materiali, non solo murari o lapidei, ma anche metalli e leghe diverse, come nel caso di saldature e ossidazioni. La possibilità di realizzare restituzioni grafiche dall’assemblaggio dei termogrammi offre inoltre l’opportunità di produrre cartografie tematiche relative all’assetto costruttivo, al dissesto ed alle altre patologie presenti a livello strutturale19. La possibilità di rilevare con oggettività, le carenze presenti a livello tessiturale e strutturale, oltre alla individuazione delle caratteristiche dei materiali non direttamente visibili, giustifica pertanto l’utilizzo dell’indagine termografica nella fase preliminare di ricerca al restauro e negli interventi di recupero e manutenzione delle strutture murarie esistenti. Le indagini endoscopiche consentono di determinare le caratteristiche morfologiche interne delle murature di notevole spessore, al fine dell’individuazione delle proprietà meccaniche. Ciò è particolarmente importante nel caso di presenza delle tipologie a sacco, dove la consistenza del riempimento interno è spesso 19  Per lo studio su edifici colpiti da eventi traumatici attraverso la termografia è possibile visualizzare e rappresentare graficamente, su base interpretativa, numerosi aspetti costruttivi e patologici non direttamente percepibili o osservabili, in particolare: • identificazione di aree di rifacimento murario, presenza di fodere e riempimenti murari, nonché di tamponamenti di aperture di porte e finestre, di risarcimenti del tipo cuci e scuci, ecc.; • rinvenimento di elementi di pietra inglobati nelle murature (frammenti di cornici e modanature, paraste e colonne, architravi, ecc.); • riconoscimento di cavità, sgrottamenti e canne fumarie di camini occlusi o soppressi; • precisazioni tipologiche di apparecchi murari, con identificazione materica e compositiva di archi di scarico, pilastri, piattabande ed altri elementi strutturali, centinature di coperture voltate, presenza di incannicciati o telai lignei di supporto, ecc.; • identificazione di ammorsature murarie caratterizzate da tessiture e materiali diversi; • esame di strutture in cemento armato per la distribuzione dei ferri di interfaccia; • studio degli intonaci, con possibilità di mappare le aree in distacco o pronunciato allentamento, ecc.; • analisi impiantistiche mirate alla individuazione dei tracciati e delle canalizzazioni di impianti idro-sanitari e termici in fase di esercizio; • studio sulle dispersioni termiche

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difficilmente desumibile mediante un esame obiettivo esterno. Pertanto tali indagini sono mirate alla individuazione sia della natura costruttiva delle murature, sia al rilevamento di eventuali sistemi fessurativi interni e alla verifica dei risultati raggiunti dai successivi interventi di consolidamento mediante iniezioni. Le indagini endoscopiche si basano su una visione diretta, oppure mediante riprese fotografiche o televisive; nel primo caso, viene utilizzato un endoscopio munito di adattatore fotografico mentre nel secondo caso, una sonda televisiva collegata ad una telecamera. Il diametro delle perforazione, eseguiti da trapani o carotatrici, varia mediamente da un minimo di 28÷30 mm ad uno massimo di 90÷100 mm. Le indagini soniche rilevano la risposta acustica fornita dai diversi materiali per valutare lo stato di conservazione o d’integrità dei manufatti e si fondano sull’analisi qualitativa delle caratteristiche di propagazione delle onde elastiche all’interno di corpi solidi, in un campo di frequenze inferiore ai 20 KHz, che sono principalmente di due tipi: di compressione e di taglio (primarie e secondarie), Vengono principalmente utilizzate nella determinazione della profondità del piano di posa delle fondazioni murarie, per determinare la presenza di lesioni passanti nelle murature o individuare la presenza di cavità nascoste, per valutare lo stato di conservazione di catene metalliche internate nelle murature. La presenza di discontinuità interne nella muratura, viene individuata dal sistema di rilevamento sonico che registra una perdita di energia dell’onda emessa. Nelle valutazioni sullo stato conservativo delle catene, frequentemente utile nelle indagini sui danni post-sisma, le analisi prevedono l’esecuzione di prove preliminari sulla porzione metallica oggetto di verifica, in modo da verificare la sostenibilità degli esami tensionali di tipo elettromagnetico con misure della resistenza elettrica rispetto alla massa. L’impiego degli ultrasuoni trova invece la sua migliore applicazione quando si devono eseguire indagini su materiali ad elevata densità, quali il ferro e le altre leghe metalliche oppure, tra i materiali litoidi, le pietre calcaree, oppure nei calcestruzzi. Il principio di funzionamento è analogo a quello descritto per le indagini soniche, a meno della diversa tipologia delle frequenze di studio che sono sempre superiori ai 20 KHz, e generalmente oscillanti tra 50 e 100 KHz. L’emissione delle onde ultrasoniche di compressione e di taglio contano lunghezze superiori a quelle prodotte a bassa frequenza, e risultano maggiormente sensibili rispetto alla presenza di piccole discontinuità, fino alla scala del millimetro. L’auscultazione dinamica del suono consente di localizzare, con buona approssimazione, la posizione di vacuità e discontinuità costruttive, e la presenza di variazioni materiche e morfologiche dei materiali. In presenza di carotaggi combinati con indagini di tipo endoscopico per la diagnostica fessurativa, l’indagine ultrasonica contribuisce a descrivere in modo efficace la fenomenologia

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pregressa o in atto di dissesto. Per la sua facilità di applicazione e di trasporto, la strumentazione ad ultrasuoni è sicuramente efficace e ampiamente utilizzata nelle indagini diagnostiche per verificare l’entità delle lesioni e dei dissesti nelle strutture murarie, delle presenza di rotture o corrosioni dei ferri di armatura dei plinti, delle solette e delle travi in cemento armato.

Ribaltamento del muro come corpo rigido con azione fuori dal piano (B. Rondelet, Traité théorique and pratique de l’art de Batir, 1814).

Esemplificazione del concetto di catena pluriconnessa di elementi resistenti e della relativa variabilità dei contatti.

Formazione della cerniera in una parete in laterizio a due teste sollecitata dall’azione sismica (Emilia, 2012).

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Sezione a vista di una muratura mista pietra e laterizio priva di diatoni (tipo “a sacco”) per effetto dell’azione sismica (Umbria-Marche, 1997).

Disgregazione della muratura a seguito dell’azione sismica per assenza di legante e di monoliticità trasversale (Abruzzo, 2006).

Sezione a vista di una muratura multistrato con tavolati in laterizio accoppiati (Chiesa di San Francesco, Mirandola, Emilia, 2012).

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Applicazione di martinetti piatti per le verifiche dello stato di sollecitazione della muratura di un edificio in aggregato che ha subito diversi processi trasformativi e costituita da due tavolati in laterizio dello spessore complessivo di tre teste (Mirandola, Emilia, 2012). Sezione a vista di una muratura multistrato con fodere in laterizio e materiale incoerente interposto (Duomo, Mirandola, Emilia, 2012).

1.1.2.3. Orizzontamenti intermedi

Gli orizzontamenti intermedi dell’edilizia storica sono riconducibili a tre primarie tipologie costruttive: in struttura lignea con impalcato in assito, in pianellato e con stuoiati (cannicciati); in struttura mista ferro-laterizio (voltererranee); in struttura muraria in laterizio o pietra con sviluppo intradossale curvilineo (voltato). Il rispetto della regola della progressiva diminuzione dei carichi statici in ragione dello sviluppo in altezza della fabbrica, e quella della preservazione dagli ambienti umidi, ha indotto ad impiegare – nella generalità dei casi e specificatamente nei contesti urbani – la prima tipologia per la realizzazione dei solai dei piani superiori e le altre due per i piani bassi, interrato e piano terra. Solai ad ordito ed impalcato La tipologia costruttiva e lo schema statico dei solai lignei, è generalmente costituita da travi semplicemente appoggiate con luci che mediamente non superano i cinque metri, su cui è direttamente disposto l’impalcato (in tavoloni) o una struttura secondaria a sorreggere il pianellato o gli stuoiati. Le due principali questioni che interessano gli interventi di ripristino sono pertanto riconducibili a due fattori: a) la presenza di spessori strutturali insufficienti rispetto alle attuali condizioni normative e d’uso; b) le condizioni di degrado 1. Caratteri identificativi 35


chimico-fisico. Il primo aspetto richiede una valutazione preventiva sulle riserve di sicurezza statica, in relazione al nuovo regime di sovraccarichi normalmente previsti negli interventi di ristrutturazione ed adeguamento funzionale. Nella pratica, con particolare riguardo all’edilizia storica, l’insufficienza statica delle travi lignee, rappresenta un dato ricorrente e strettamente correlato alle disponibilità economiche e materiali locali che, soprattutto in contesti minori, rappresentano la ragione primaria di tale precarietà costruttiva e strutturale. Pertanto appare evidente che in questi casi, ovvero in situazioni nelle quali non si riscontrino particolari qualità architettoniche degli elementi strutturali primari, gli interventi di ripristino, secondo le modalità che verranno descritte in seguito, appaiono spesso inopportune, sia in termini economici che operativi, rispetto alla completa sostituzione realizzata con travi di nuova fattura. La principale questione è infatti riconducibile soprattutto alla stretta osservanza di quelle regole costruttive che consentono di garantire il sistema di connessione fra gli elementi strutturali, in particolare nell’innesto con le murature d’ambito, e una corretta preservazione delle qualità meccaniche attraverso l’eliminazione dei fattori di degrado chimico-fisico, come ad esempio una corretta aerazione delle teste delle travi. Tali considerazioni, a carattere generale, vanno ovviamente modulate sulla osservazione dei casi specifici mediante indagini di tipo obiettivo e strumentale che consentano di identificare lo stato conservativo e di sicurezza strutturale del solaio. L’analisi delle manifestazioni di dissesto e degrado dei solai ad ordito ed impalcato possono essere classificate secondo queste principali categorie: depressione dell’orditura portante, cedimento degli appoggi, degrado del materiale. La depressione dell’orditura portante si manifesta con la perdita, parziale o totale, della orizzontalità del piano del solaio interessando sia la struttura principale che quella secondaria, dovuta essenzialmente alla insufficienza statica delle travi rispetto alle sollecitazioni di flessione e taglio indotte dall’azione dei carichi. Gli effetti lesivi possono evidenziarsi sia sulle strutture principali che sul piano estradossale. Nel primo caso, se le lesioni sono concentrate nella sezione mediana della trave, il cedimento strutturale è principalmente conseguente all’effetto prodotto dalle tensioni di trazione dovute all’azione flettente e si presentano generalmente con un andamento verticale con ampiezza decrescente dal basso verso l’alto20; se le lesioni si presentano anche sulle estremità della trave, queste 20  Per poi proseguire lungo lo sviluppo delle fibre, qualora la forza di coesione nelle zone più deboli è inferiore ad 1/5 di quella del materiale.

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possono essere indotte sia dalle tensioni di trazione dovute al momento flettente negativo (lesioni verticali concentrate sull’estradosso della trave), sia per effetto tagliante (lesioni inclinate a 45° circa), sia per effetto combinato taglio-flessione (lesioni longitudinali e inclinate in prossimità dell’appoggio). Gli effetti lesivi sul piano estradossale sono resi evidenti dai fenomeni di avvallamento con sconnessione dei giunti prodotti da sollecitazione di trazione o di compressione. Le lesioni dovute al cedimento degli appoggi si differenziano in ragione delle cause che le producono; se il cedimento è dovuto all’insufficienza statica della struttura portante del solaio, le lesioni saranno localizzate solo sulla trave e generalmente disposte inclinate per effetto dell’azione di taglio che risulta essere massima e preponderante rispetto alla flessione in corrispondenza dell’appoggio. Diversamente, il cedimento dell’appoggio si manifesta con lesioni ad andamento iperbolico conseguenti al fenomeno dello schiacciamento del materiale murario oppure, nel caso di aperture, con lesioni verticali disposte agli estremi per effetto delle tensioni di trazione dovute all’azione flettente. Gli altri cinematismi indotti per cedimento della struttura muraria (traslazione, rotazione, oscillazione sismica...) possono generare lesioni combinate di vario genere (lesioni longitudinali secondo l’orditura delle travi, sfilamento delle teste delle travi con relativo distacco del pavimento dai muri perimetrali) e vanno pertanto analizzate secondo i casi specifici. Le principali cause del degrado degli elementi lignei sono attribuibili a tre fattori: imputridimento; attacco di insetti xilofagi; attacco di funghi. L’imputridimento riguarda soprattutto le teste delle travi ammorsate direttamente nella muratura e prive di una adeguata aerazione; il fenomeno, di ampia e diffusa presenza, richiede l’impiego di interventi differenziati a secondo del grado di degrado raggiunto dalle membrature, che verranno descritti in seguito. Il degrado dovuto all’attacco degli insetti xilofagi rappresenta un secondo importante fattore di rischio per l’integrità fisica e la sicurezza statica delle membrature lignee. Sotto il profilo strettamente strutturale, i danni provocati dagli insetti consistono in una sottrazione di materiale e quindi in una effettiva diminuzione delle sezioni resistenti alle sollecitazioni di natura meccanica, senza indurre modificazioni alla struttura e alla composizione chimica delle parti residue. Il principale problema consiste pertanto nella determinazione dell’estensione dell’attacco biotico e dell’entità delle superfici residue delle sezioni resistenti. Gli insetti che apportano danni al legno appartengono principalmente all’ordine dei Coleotteri e degli Isotteri. Tra i Coleotteri i più diffusi sono l’Anobio (tarlo), il Capricorno (Longicornia o Cerambycidae) e il Lyc-

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tus21. Alla famiglia degli isotteri appartengono invece le Termiti che producono danni di particolare gravità.22 Infine, le proprietà meccaniche del legno, possono essere notevolmente alterate in conseguenza dell’attacco fungino, specie la resistenza ad urto che è una delle prime caratteristiche del legno a subire una riduzione. Perché si produca un attacco da funghi, l’umidità iniziale del legno deve essere superiore al 20% con temperature medie comprese fra i 10 e i 26 °C.23 Tra le principali categorie di funghi che attaccano il legno possono essere citati i basidiomiceti che aggrediscono la struttura portante metabolizzando tutte e tre le componenti mediante gli enzimi prodotti dai loro tentacoli (ife).24 Tra i più dannosi e pericolosi è il Merilius lacrimans che si diffonde all’interno delle costruzioni lignee interessando ogni parte; è facilmente riconoscibile in ragione dei corpi fruttiferi di forma allungata che producono spore di colore marrone. La Carie a cubetti, la Carie bianca (corrode e decompone la lignina e la cellulosa) e quella bruna (o fungo delle cantine) sono funghi che agiscono in situazioni di temperatura compresa tra i 25 e i 30 °C, umidità elevata con acidità compresa fra 4,5-5,5 pH e producono la decomposizione completa del legno. Una seconda categoria di funghi è invece quella degli actinomi ceti, come i funghi blu, che attaccano il legno in superficie scurendone il colore e nutrendosi della linfa contenuta nei micropori. Anche il grado di insicurezza statica di una struttura in legno dovuta al degrado di alcune parti od elementi componenti non è sempre facilmente diagnosticabile. Si pensi ad esempio che l’attacco di una carie bruna può produrre un 21  L’Anobio (tarlo): attacca soprattutto i legni teneri (mobili, pavimenti ...); l’inseminazione va da aprile ad agosto e dopo 14 giorni dal deposito delle uova nelle fessure o nei vecchi fori nascono le larve che producono una azione distruttiva di circa tre anni dopodiché il coleottero abbandona il legno. Il Capricorno attacca le strutture più resistenti ed in particolare le travature dei tetti generando danni consistenti; la presenza di fori ovoidali di circa 0,5-1 cm di diametro o di rigonfiamenti allungati sulla superficie esterna del legno, sono segni della loro presenza. La metamorfosi da larva a coleottero avviene tra giugno e agosto; in tre – cinque settimane vengono depositate circa 400 uova dalle quali dopo circa 10-12 giorni nascono le larve che si introducono nel legno. L’aspetto esteriore del legno non muta nel corso del tempo, dai tre ai sette anni, nel quale l’insetto corrode la sua struttura interna. Solo all’atto della fuoriuscita della larva e la sua trasformazione da bozzolo a coleottero si evidenziano i fori. Il Lyctus attacca di preferenza il faggio e la quercia producendo fori di circa 1 mm senza presenza di eiezione di rosura. 22  Sono insetti che nidificano, oltre che nel legno, anche nel terreno o negli anfratti delle murature; per raggiungere altri legni scavano gallerie lunghe anche decine di metri anche attraverso percorsi ricavati all’interno delle murature. Non potendo digerire direttamente la cellulosa, utilizzano protozoi simbionti contenuti nell’intestino che a loro volta ospitano batteri in grado di esplicare tale funzione. La superficie esterna del legno rimane integra e la presenza dell’insetto all’interno è riscontrabile solo dall’eventuale presenza di gallerie esterne dette cannelli o camini, che possono essere costruiti dal basso in alto o viceversa. 23  Generalmente sotto i 10 °C l’attacco si arresta ma le ife rimango vive, capaci di riprendere la loro attività appena le condizioni ambientali ritornano ottimali. 24  Il legno è composto essenzialmente da celle fibrose di cellulosa (polimero naturale) disposte in forma di fibre orientate a costituire circa il 40-45% della massa totale. Un altro 20-35% è costituito dalla lignina che fornisce, in ragione della struttura spaziale, rigidità al legno (maggiore nei legni più duri). Inoltre la lignina migliora anche la resistenza del legno all’attacco dei funghi (che scompongono la struttura polisaccaride della cellulosa e dell’emicellulosa). Il terzo componente, che costituisce il 20-30% della massa, è rappresentato dall’emicellulosa, un polimero naturale a basso peso molecolare, ubicato negli spazi vuoti lasciati dalla cellulosa e fornisce ugualmente resistenza e durezza al legno.

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abbassamento del 60-70% delle prestazioni strutturali di una trave a fronte di una riduzione del peso di appena il 3%. Una valutazione empirica dello stato di salute di un solaio ligneo può essere ottenuta attraverso il rilevamento delle modalità di vibrazione: l’orizzontamento deve avere una risposta di tipo elastico e non rigido poiché in questo secondo caso non possiede più riserve di resistenza e può collassare per rottura del materiale. In generale i segni di insufficienza statica si manifestano con: • lesioni longitudinali dovute ad eccessivi sforzi di taglio che trovano spesso innesco su lesioni dovute a contrazioni per cattiva stagionatura; • lesioni trasversali dovute a flessione. Tale situazione costituisce il massimo pericolo e richiede opere di consolidamento; • frecce verticali eccessive che superano quelle ammesse da normativa25 e cioè: 1. travi da solaio, solo sovraccarico f<1/400 della luce; 2. travi sottomuro o pilastri, sotto il carico totale f<1/500 della luce; 3. arcarecci sotto carico totale f<1/200 della luce; Bisogna tenere conto che il legno risulta soggetto a fenomeni di viscosità lenta (analoghi al fluage per il calcestruzzo precompresso) e pertanto si può verificare che travi di lunga stagionatura presentino deformazioni permanenti che non indicano però un sottodimensionamento strutturale; in tal caso non si deve mai riutilizzare la stessa trave ruotandola di 180° per eliminare gli effetti negativi della freccia poiché ciò può indurre fenomeni di incrudimento simili a quelli dell’acciaio e quindi portare ad un collasso per rottura fragile del materiale. Il degrado biologico rappresenta la forma di degrado più difficile da valutare sul legname in opera per il fatto che le sue manifestazioni visibili non sempre sono evidenti e non di rado sono del tutto assenti; quando presenti, inoltre non vi è sempre una stretta relazione, in termini quantitativi, tra tali manifestazioni e il danno effettivamente prodotto. A ciò si aggiunge anche la difficoltà presente nel visionare ed accedere agli elementi degradati, come ad esempio nel caso delle testate delle travi o delle capriate, a meno di non effettuare parziali demolizioni dell’esistente. Per tale ragione un esame visivo delle strutture non è da solo sufficiente per stabilire l’entità del degrado biologico ed è pertanto spesso necessario ricorrere alle tecniche di indagine strumentale adatte per l’uso specifico. La determinazione del tipo e del livello di degrado delle strutture lignee basata su una valutazione fisico-tattile del materiale richiede una conoscenza empirica fondata sull’esperienza. L’esame visivo consente di fornire una prima indicazio25  Norme italiane (DM LL.PP. 14-02-1992)

1. Caratteri identificativi 39


ne del sistema fessurativo, qualora questo si presenti in superficie; la presenza di linee di fessura continua a sviluppo prevalentemente longitudinale o inclinato lungo l’asse della trave è spesso indicativo della non corretta e sufficiente stagionatura del legno. In ogni caso l’esame tattile e visivo può fornire solo indicazioni sullo stato di degrado apparente, mentre non è in grado di stabilire le condizioni di danno presenti all’interno della struttura e nei punti non visibili. Vi sono poi tecniche di indagine non strumentale che fanno uso di semplici attrezzi e dispositivi, in genere di tipo meccanico, e i cui risultati sono spesso soggetti alla capacità interpretativa dell’operatore (esperienza e preparazione), tra cui si possono citare in sintesi le più comuni. 1. Percussione con attrezzo metallico: se l’elemento non presenta lesioni superficiali allora è opportuno valutare la risposta sonora del materiale mediante battitura con un attrezzo metallico, in genere un martello. Se il suono prodotto è sordo e rimane una impronta sulla superficie esterna allora è possibile che sia in atto un attacco fungino o da insetti. Tale tecnica può essere impiegata in seconda battuta all’esame visivo poiché consente di evidenziare, per le parti accessibili, eventuali stati di degrado molto avanzati ed estesi, senza però fornire indicazioni sulla reale entità del danno (valutazione qualitativa del danno). 2. Uso di punteruolo o trivella: fornisce una valutazione anche quantitativa del livello del danno ed è parzialmente distruttiva. Il principio su cui si basa è quello per cui il legno degradato fornisce una minore resistenza alla penetrazione. Nel caso di degrado da carie superficiali tali attrezzi possono essere usati anche per valutazioni di tipo qualitativo osservando la modalità di rottura delle schegge di legno sollevate. 3. Prova di estrazione del chiodo: si basa sul principio della resistenza alla rimozione di un chiodo o di una vite infissa. Non fornisce indicazioni quantitativa sull’entità del danno se non quelle descritte in precedenza. 4. Trivella incrementale: permette di prelevare un piccolo campione di legno di forma cilindrica introducendo l’attrezzo in direzione perpendicolare o obliqua, rispetto all’asse geometrico principale dell’elemento. La sua scarsa utilità consiste nell’essere una prova di non trascurabile distruttività. 5. Endoscopio: consiste nell’introdurre una sonda con una minuscola telecamera entro un foro eseguito o con un trapano strumentato o con punte sottili. Le limitazioni di utilizzo di tale strumento sono soprattutto dovute alla difficoltà di interpretazione dei risultati visivi, fortemente alterati sia dalla distorsione angolare dell’obiettivo sia dai residui legnosi lasciati all’interno delle cavità. Le tecniche di indagine strumentale sono invece basate sull’impiego di strumenti e apparecchiature di tipo elettronico e meccanico, poco o affatto distruttive, e capaci di fornire dati oggettivi e ripetibili ricavati con misurazioni

40 1. Caratteri identificativi


dirette, di cui in sintesi vengono citate le più comuni. 6. Penetrometri (sclerometri, Pilodyn): questi strumenti misurano in genere la durezza superficiale del legno fornendo indicazioni solo sul degrado superficiale e pertanto possono essere considerati inadeguati allo scopo. 7. Strumenti sonici ed ultrasonici (Sylvatest, martello Metriguard, martello SQS Boviar): permettono di ottenere informazioni sullo stato del legno all’interno della sezione esaminata. La risposta fornita è stata del tipo “degrado assente/ degrado presente” e non è possibile avere ulteriori informazioni. L’indagine inoltre non può spingersi oltre le parti accessibili della struttura. Problemi relativi all’accoppiamento acustico dei trasduttori, legati allo stato delle superfici dell’elemento, ne rendono talvolta difficile o impossibile l’impiego. 8. Trapani strumentati (Reisistograph, DDD200, Densitomat): rappresentano al momento la tecnica più versatile e più soddisfacente sul piano applicativo, poiché permettono di avere informazioni sullo stato del degrado anche in punti non facilmente accessibili. I dati forniti devono essere interpretati tanto più attentamente quanto più sensibile è lo strumento. Nel caso degli strumenti più evoluti, il livello di definizione delle zone interessate dal degrado è più che sufficiente per indagini diagnostiche strutturali. In conseguenza del ridotto danno generato dalla punta, si può considerare tale tecnica di tipo non distruttivo e pertanto possono essere eseguite diverse misurazioni su una stessa sezione per stabilire l’estensione e il livello del degrado. Tale tecnica può essere usata in quasi tutti i casi dove le altre tecniche non possono essere applicate. Sufficientemente sensibile al degrado dovuto a carie, non è adatta tuttavia per quantificare il degrado dovuto ad attacchi da insetti xilofagi se non nei casi di attacco grave o molto grave. Per quanto attiene alle tipologie dell’impalcato più diffuse nell’edilizia storica, l’impiego del pianellato – ovvero di pianelle di laterizio delle dimensioni variabili tra 14-15 x 28-30 x 3-4 cm posate con il lato maggiore su una struttura secondaria di travetti della sezione ordinaria variabile tra 4x6 / 6x8 / 8x8 – costituisce la soluzione più ricorrente, soprattutto nei contesti regionali in cui vi è una consolidata tradizione della costruzione in laterizio. La principale criticità per le attuali istanze di sicurezza sismica è rappresentata dalla “discretizzazione” dell’impalcato che comporta una debole, o quasi assente, capacità di trasmissione delle sollecitazioni sul piano del solaio. Questo fattore rappresenta una problematica di specifica rilevanza nei casi in cui il pianellato funge anche da pavimentazione e costituisce un valore significativo per l’identità storico-archittettonica dell’edificio. In questi casi la conservazione della tipologia originaria richiede la messa in campo di soluzioni tecniche specifiche – di cui si dirà di

1. Caratteri identificativi 41


seguito – che oltre alle questioni strutturali sopra citate, hanno dirette implicazioni con le necessità di adeguamento impiantistico e dei requisiti di comfort ambientale interno, quale quello dell’isolamento termico ed acustico. L’impiego del tavolato come assito è spesso correlato alla presenza di un solo ordine dell’ordito, potendo sfruttare le capacità di resistenza flessionale delle tavole di legno, delle dimensioni medie di 20-25 cm di larghezza e tra i 2 e 3 cm di spessore finito (ovvero piallato). Questa tipologia costruttiva risulta più facilmente adattabile alle istanze di adeguamento sopra citate, soprattutto riguardo all’incremento della rigidezza sul piano del solaio, perché compatibile con soluzioni tecniche a secco. L’utilizzo degli stuoiati in cannicce e gesso come piano pavimentale ed assito strutturale posato su una orditura secondaria analoga a quella in uso per i pianellati, è presente solo in alcuni specifici contesti regionali e non rappresenta dunque una soluzione diffusa. Di contro tale specificità induce ad adottare soluzioni tecniche che siano in grado di soddisfare le istanze di tipo conservativo – quelle della tutela materica dei caratteri originali – e quelle prestazionali richieste dagli attuali standard normativi in materia di sicurezza strutturale e di funzionalità abitativa. Strutture voltate L’impiego dei profilati in ferro come orditura primaria negli orizzontamenti piani dell’edilizia storica è primariamente riconducibile alla tipologia della “volterannea”, ovvero di voltine in laterizio disposte di piatto con ampiezze variabili tra i 70 cm e il metro e con frecce ribassate dell’ordine del 1/15 – 1/20 della luce, cioè 5-6 cm. La presenza nell’edilizia storica italiana è datata a partire dalla metà dell’Ottocento – con l’avvio dei primi processi produttivi e della successiva commercializzazione dei profilati a caldo – e il suo utilizzo è generalmente confinato ai solai dei piani bassi per le ragioni esposte in precedenza e anche in ragione della migliore resistenza flessionale in rapporto alla dimensione della sezione resistente rispetto alle travature lignee26. Le più manifeste e ricorrenti 26  Per tale tipologia di solaio e per carichi statici dell’ordine dei 340 kg/mq (Pavimento sottofondo 80 kg/mq, Rinfianco 110 kg/mq; laterizi -1 mt di interasse- 130 kg/mq; Travi –media – 20 kg/mq) venivano assegnati i seguenti valori per la dimensione delle sezione resistente delle putrelle NP (Normal Profilo, ovvero a spigoli tondi) dimensionata in rapporto alla campata tra un minimo di 120 mm (luce netta 3.00 mt) ad un massimo di 200 mm (luce netta 6 mt). Conseguentemente lo spessore complessivo del solaio in situazioni correnti e con disposizione delle putrelle nella direzione delle campata minima, era contenuto entro i 20 cm, ovvero di circa la metà di quello necessario per i tradizionali solai in legno ad ordito ed impalcato della medesima luce e soggetti allo stesso carico statico. Cfr. il Manuale dell’architetto, CNR 1953, schede E 8b / E 8c.

42 1. Caratteri identificativi


criticità sono conseguenti ai fenomeni di degrado per ossidazione – soprattutto dell’ala inferiore a vista – e all’insufficienza delle sezioni resistenti rispetto alle prestazioni strutturali previste dalle normative vigenti. Le strutture voltate in laterizio o in pietra rappresentano la forma costruttiva più diffusa per la realizzazione degli orizzontamenti dei piani inferiori dell’edilizia storica, soprattutto fino alla metà dell’Ottocento. Le tre tipologie più in uso sono le volte a botte, le volte a crociera e le volte a vela; nel caso di strutture in laterizio gli apparecchi costruttivi impiegati sono sia del tipo “in foglio”, ovvero con i mattoni disposti di piatto, o tradizionali “a coltello”, ovvero disposti di lista. Le strutture in conci di pietra presentano invece differenti apparecchi e modalità costruttive – per la specificità delle culture locali e la disponibilità delle risorse materiali – e dunque difficilmente catalogabili se non per una primaria divisione tra le costruzioni con o senza legante.27 I due principali meccanismi di dissesto strutturale di un arco sono rappresentati dall’allontanamento delle imposte o dal cedimento differenziale dei piedritti. Il primo è direttamente correlabile agli effetti generati da una sollecitazione dinamica o per instabilità verticale dei piedritti; il secondo è generalmente riconducibile ad una modifica delle condizioni statiche originarie a seguito di una variazione dell’interazione struttura-terreno. Nel primo caso la perdita di stabilità avviene a seguito della formazione di tre cerniere – una intradossale in chiave e due estradossali alle reni – che rappresenta lo stato ultimo prima del collasso. Tale condizione è propria di tutte le strutture ad arco a conci che come noto si fondano sulla resistenza a sola compressione e sull’assenza di contributi flessionali e a trazione della struttura. L’individuazione delle tre cerniere rappresenta quindi il profilo assunto dalla curva delle pressioni nella situazione limite prima dell’innesco degli stati tensionali a trazione non sopportati dalla costruzione voltata. Specifica rilevanza assume l’indagine conoscitiva preliminare sullo stato conservativo della volta poiché – soprattutto in presenza di intradosso intonacati – non è possibile verificare quale sia la fattura e l’apparecchio costruttivo impiegato e soprattutto la presenza o meno di “cunei” inseriti a forza tra i giunti. È infatti noto come tale espediente fosse ampiamente utilizzato dai costruttori in passato per garantire la “messa in forza” della volta prima di effettuare il disarmo della centina, evitando così possibili cedimenti per decremento volumetrico della malta dei giunti a maturazione avvenuta. Tale aspetto rappresenta oggi un possibile fattore di instabilità “genetica” che può attivarsi a seguito di processi 27  Si veda nota 13.

1. Caratteri identificativi 43


trasformativi, di degrado e di variabilità delle condizioni originarie, e talvolta non percepibile mediante la sola indagine obiettiva. Le modalità di realizzazione del piano pavimentato sull’estradosso delle volte sono generalmente di tre tipi: allettato su un riempimento di materiale incoerente; posato su frenelli in laterizio (tavolati); disposto su una orditura secondaria in struttura lignea. Sotto il profilo del comportamento strutturale in ambito sismico le tre soluzioni forniscono risposte differenti. La prima è a favore della stabilità statica della volta poiché la presenza del riempimento nel rinfianco genera un incremento della componente verticale dei carichi e dunque una riduzione dell’incidenza di quella orizzontale della volta (spinta). Al contempo tale massa può indurre sollecitazioni aggiuntive per effetto dell’azione sismica la cui intensità è proporzionale al prodotto della massa per l’accelerazione. La seconda è la tipologia che soddisfa meglio sia le istanze di rigidezza che quelle di leggerezza. La presenza dei frenelli consente infatti a creare una struttura cellulare che fornisce un contributo favorevole sia per la ripartizione delle sollecitazione dinamiche sul piano orizzontale, sia per la stabilità della volta mediante una distribuzione equilibrata ed uniforme dei carichi statici. La terza è di contro la peggiore delle tre perché non fornisce contributi benefici alla struttura voltata se non quello – se presente – di caricare il cervello della volta (o le chiavi degli archi componenti nel caso di volte a crociera) creando una sella di appoggio sull’estradosso. Il rinfianco di materiale incoerente può comunque essere presente anche nelle due ultime tipologie, con riempimenti che non coprono interamente il volume disponibile.28

28  La natura di tale materiale è di diversa provenienza in ragione degli usi e delle disponibilità dei contesti locali; da pezzami di ceramiche e laterizio, da scarti generici di lavorazione, da terra mista a ghiaia fino all’impiego, in epoche remote, di ossa.

44 1. Caratteri identificativi


Tipologia tradizionale dei solai in struttura lignea con assito in tavoloni: 1. Tavoloni (2-4 cm); 2. Orditura primaria; 3. Travetti.

Tipologia tradizionale dei solai in struttura lignea con pianellato in laterizio: 1. Pianelle (14/15 x 28/30 cm); 2. Orditura primaria; 3. Travetti.

Tipologia tradizionale dei solai in struttura lignea con stuoiati (arelle).

1. Caratteri identificativi 45


Depressione della trave in mezzeria per insufficienza statica.

Lesioni a elica longitudinali per insufficiente stagionatura.

Lesione muraria per cedimento dell’appoggio con formazione del cuneo di distacco a forma triangolare.

Degrado della testa di un puntone per mancata aerazione.

46 1. Caratteri identificativi

Degrado della testa di una capriata e relativo collasso della copertura per ribaltamento della muratura (Emilia, 2012).


Degrado delle testa delle travi con sviluppo di carie bianca.

Volta a crociera in laterizio con apparecchiatura “a coltello�.

Volta a botte con laterizi di piatto apparecchiati a spinapesce.

Collasso di volte in folio in laterizio portanti con riempimento in materiale terroso (Umbria-Marche, 1997).

Collasso di controsoffitto eseguito in volte in folio. (UmbriaMarche, 1997).

1. Caratteri identificativi 47


Formazione di una cerniera per scuotimento e cedimento verticale di un appoggio (Emilia, 2012).

Formazione di lesione a taglio per scorrimento relativo di archi murari accoppiati.(Emilia, 2012).

Cuneo in legno inserito nelle commessure del concio in chiave. La formazione della cerniera per allontanamento dell’imposte dell’arco ha determinato l’apertura delle commessura e il relativo sfilamento dei cunei inseriti in fase di costruzione.

1.1.2.4. Coperture

Le due più ricorrenti tipologie di coperture a falde inclinate impiegate nell’edilizia storica si differenziano per la disposizione dell’orditura primaria. Nei contesti a bassa esposizione sismica, la pratica tradizionale per l’edilizia storica – soprattutto minore – è quella di ordire le travature principali nella direzione della falda utilizzando un maschio murario centrale o un trave di colmo come appoggio superiore. Lo schema statico che ne risulta è quello di una trave inclinata su due appoggi e dunque “potenzialmente” spingente sulla muratura d’ambito inferiore. La presenza o meno di una azione orizzontale sull’appoggio inferiore è infatti dipendente dalla tipologia di vincolo a cui è soggetta la testata superiore della trave; se questo è vincolato alla sede di appoggio con un sistema che ne impedisce lo scivolamento, o se lo stesso appoggio è sagomato in modo tale da garantire una reazione solo verticale del vincolo (carrello orizzontale), allora tale soluzione è “teoricamente” non spingente. Nei contesti connotati da una “storia sismica” tale tipologia di coperture – se presente – è infatti frequentemente combinata con dispositivi di “trattenimen-

48 1. Caratteri identificativi


to” superiore, come capochiavi ancorati sulla sommità del maschio murario centrale o staffe e chiodature passanti di collegamento con le travi di colmo. Come indicato sopra, la diffusione di tale tipologia costruttiva è conseguente alla maggiore economicità e semplicità di messa in opera rispetto ai sistemi “non spingenti”, ovvero che prevedono il posizionamento di capriate o timpani murai su cui posare gli arcarecci nella direzione parallela alla linea di gronda. La distanza media tra le capriate o i timpani è generalmente inferiore ai 6 mt, misura determinata dalla lunghezza massima degli arcarecci e dalla sezione strutturale necessaria a sopportare le sollecitazioni a flessione. Una delle problematiche in contesti sismici è quella della presenza o meno di dispositivi atti a garantire la solidarizzazione dell’arcareccio al puntone della capriata per evitare possibili “scivolamenti” che si possono innescare per effetto delle sollecitazioni dinamiche, essendo come noto soggetto, in condizioni statiche, a flessione deviata. Nei tetti a falde con testata a padiglione, l’elemento di maggiore criticità sotto il profilo sismico è rappresentato dal diagonale d’angolo, detto anche paradosso o cantonale. Raramente tale elemento prevede una catena inferiore a costituire una mezza capriata e dunque rientra nella tipologia sopra descritta dei sistemi “potenzialmente” spingenti. Un espediente talvolta impiegato nei contesti sismici per eliminare l’azione spingente sulle murature d’ambito è quello di inserire una trave disposta ortogonalmente alla bisettrice dell’angolo ed in prossimità del vertice di imposta della copertura a cui connettere meccanicamente il puntone. In altri termini, tale soluzione, consentiva sia di ridurre la luce di inflessione del cantonale, sia di trasformare il vincolo di semplice appoggio approssimando a quello del semi-incastro. I manti di copertura sono generalmente costituiti da tavolato o pianellato su cui sono murati direttamente i coppi o le tegole, in analogia a quanto previsto negli orizzontamenti piani. La principale causa di degrado delle strutture lignee dell’edilizia storica è infatti rappresentato dalla cattiva protezione dagli agenti atmosferici poiché non sono presenti efficaci sistemi di tenuta all’acqua che garantiscano una completa impermeabilizzazione dei manti. Per tale ragione gli interventi sulla copertura che prevedono il totale rifacimento della struttura o almeno la sostituzione integrale del manto, risultano spesso indispensabili sia per i motivi sopra esposti, sia per l’incremento delle prestazioni termiche richieste dalle normative energetiche. A ciò si aggiunge la questione del degrado delle testate delle travature in legno o delle catene delle capriate, poiché, essendo posizionate poco sotto il profilo della gronda, oltre alle problematiche di aerazione della sede di appoggio, risultano particolarmente sensibili agli agenti esterni.

1. Caratteri identificativi 49


Negli edifici di pregio o in quelli chiesastici, l’occultamento dei solai intermedi o delle coperture era ottenuto mediante l’impiego di controsoffittature in stuoiati in cannucciato e gesso – generalmente definite camorcanne o arellati – intonacate all’estradosso per essere decorate o affrescate. Il telaio strutturale è generalmente costituito da un grigliato di listelli di legno – centine – conformate a seguire la curvatura dell’intradosso ed appese alla orditura superiore del tetto per ridurre le sezioni resistenti del grigliato. Il dispositivo di parziale “sospensione” delle centine e la natura “fragile” – ovvero con ridotta capacità di resistenza a trazione – della struttura composita gesso-stuoiato, costituisce un “potenziale” elemento di criticità in presenza di sollecitazioni dinamiche prodotte dall’evento sismico, di natura oscillatoria e/o sussultoria, che possono indurre fessurazioni localizzate soprattutto in corrispondenza dei punti angolari – come nelle linee di demarcazione delle unghiature delle testate delle volte a padiglione – o in corrispondenza dell’attacco con le murature d’ambito. Tale aspetto, connesso a quello del degrado per presenza di infiltrazioni per ridotta protezione del manto di copertura e per il carattere igroscopico del gesso, non rappresenta comunque una problematica significativa in termini di sicurezza strutturale e gli interventi di ripristino sono parte del corpus disciplinare delle tecniche di restauro architettonico. 29

Schema di copertura spingente.

Esempio di struttura lignea spingente.

29  Uno studio sperimentale sulle modalità di intervento di ripristino è contenuto in E. Quagliarini, M. D’Orazio, Recupero e conservazione di volte in “camorcanna”. Dalla “regola dell’arte” alle tecniche d’intervento. Alinea, 2005.

50 1. Caratteri identificativi


Esemplificazione del concetto di struttura spingente in relazione alle modalitĂ di realizzazione del vincolo di semplice appoggio. Nel primo caso la presenza di un carrello orizzontale consente (teoricamente) di avere uno schema statico di equilibrio con sole reazioni verticali.

Dispositivi metallici con funzione di catena per l’eliminazione delle spinte.

Dispositivi metallici con funzione di aggancio sommitale e trattenimento terminale del puntone.

1. Caratteri identificativi 51


Sezione aperta di capriata composta. (Emilia, 2012).

Capriata semplice.

Sezione aperta di capriata composta. (Emilia, 2012).

Nodi di connessione puntone-monaco, puntone-arcareccio, puntone-catena, con e senza fasciatura metallica.

52 1. Caratteri identificativi


Puntone diagonale a spinta eliminata con collegamento a trave di bordo inferiore.

Crisi a rottura dell’arcareccio per infiltrazione di acqua.

Coperture con soffitto in camorcanna.

1. Caratteri identificativi 53


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Indice

Introduzione 1. Caratteri identificativi 1.1. Edilizia muraria storica 1.1.1. Principi e regole Manuali del recupero e Codici di pratica Pratiche manutentive Qualità della buona costruzione Reversibilità, sostenibilità 1.1.2. Caratteri statico-costruttivi 1.1.2.1. Fondazioni 1.1.2.2. Murature Monoliticità trasversale Livelli di conoscenza 1.1.2.3. Orizzontamenti intermedi Solai ad ordito ed impalcato Strutture voltate 1.1.2.4. Coperture 1.2. Edilizia moderna 1.2.1. Sistemi misti 1.2.2. Costruzione a telai piani in C.A. 1.2.2.1. Involucro 1.2.2.2. Solai 1.2.2.3. Pilastrate 1.2.3. Costruzione prefabbricata 1.2.3.1. L’edilizia scolastica La sperimentazione degli anni ’60 L’epilogo degli anni settanta

5 9 10 10 10 12 14 16 19 19 26 26 28 35 35 42 48 54 54 63 63 65 85 87 89 89 92

2. Primari fattori di vulnerabilità sismica 2.1. Edilizia muraria storica 2.2. Costruzione a telaio

103 103 130

3. Pratiche di intervento

140

Indice 213


3.1. Orizzontamenti e coperture 3.1.1. Connessioni 3.1.2. Irrigidimenti 3.1.3. Cerchiaggi 3.1.3.1. Cordoli in cemento armato 3.1.3.2. Cordoli in acciaio 3.1.3.3. Cordoli murari armati 3.1.3.4. Fasciature in FRP 3.1.4. Contenimenti 3.1.4.1. Solai e coperture in legno 3.1.4.2. Archi e volte Impiego di nastri in materiale composito (FRP) Interventi sulle volte in folio: impiego combinato della tecnica tabicada con nastri in materiale composito (FRP) Impiego di tirantature estradossali 3.1.5. Rinforzi 3.1.5.1. Travi in legno Depressione dell’orditura principale per insufficienza statica Connessione trave-muro. Ripristino delle testate dell’orditura principale 3.1.5.2. Solai laterocementizi 3.1.5.3. Nodi trave-pilastro in c.a. 3.2. Ossatura muraria 3.2.1. Consolidamenti 3.2.1.1. Murature Murature in pietra costituite da conci irregolari e di dimensioni medio-piccole con limitata presenza o assenza (muri a gravità ) di legante Murature a sacco con paramenti in pietra o in laterizio ben organizzato con materiale eterogeneo ed incoerente interposto Murature costituite da due paramenti accoppiati in laterizio di differente fattura e tipologia (privi di conci di legatura) 3.2.1.2. Fondazioni Sottomurazione Ampliamento

214 Indice

140 140 153 160 160 161 162 163 169 169 176 177 179 180 184 184 184 186 190 191 193 193 193 194 194 196 200 201 202


3.2.2. Risarciture “Scuci e cuci” Risarcitura lesioni passanti con rete di fibra di vetro 3.2.3. Risanamenti Bonifica superficiale Bonifica dell’umidità ascendente

204 204 205 208 208 208

4. Bibliografia essenziale

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Indice

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Indice 215


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