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Il mio primo articolo e la canzone napoletana

A cura dell’Associazione di varia umanità

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Conservo in manoscritto e, per lo più in dattiloscritto, quasi tutti i testi dei miei oltre quattromila articoli pubblicati finora Ma non quello del mio primo articolo.

Lo scrissi mentre frequentavo il ginnasio, e lo inviai a “Il Vittorioso”, il settimanale a colori edito dall’Azione Cattolica, che invitava ad essere forti, lieti, leali, generosi.

Conservai per anni il testo, scritto su fogli di quaderno, in uno dei cassettini della piccola scrivania in legno intarsiato di nonno Tommaso, dove c’era anche l’invito da lui ricevuto ad assistere, nei cantieri di Castellamare di Stabia, il 22 febbraio 1931, al varo dell’”Amerigo Vespucci”, ora considerata la più bella nave del mondo.

L’articolo era dedicato alle canzoni napoletane classiche, che ascoltavo spesso per radio e, nel giorno di Capodanno, in piazza, dalle bande Putipù Elogiava il loro essere altissima espressione di armonia tra parole e musica

Le canzoni napoletane classiche sono di gioia e di dolore, di sorrisi e di pianti, di speranze e di delusioni, quasi sempre d’amore. Alcune parlano di quel che ci sarebbe potuto essere, e non ci è stato; altre di quello che ci è stato, e non c’è più E comunque sempre ricordando, talvolta con lieve, talvolta con forte nostalgia e malinconia, l’interiore tendere ad un vivere quieto, lieto, sereno, nella consapevolezza dell’innarrestabile passare del tempo.

Scrissi l’articolo tra il 1951 e il 1952 ritenendo che le canzoni napoletane classiche fossero espressione autentica dell’identità del popolo di Napoli. Non sapevo che ritmi e suoni provenienti dall’estero avevano incomin- ciato ad aggredirle prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale Né sapevo che sul finir di questa l’arrivo degli alleati a Napoli, e soprattutto quello degli americani, aveva iniziato a disgregare la sua vita sociale e culturale

Musiche, ritmi, provenienti in special modo dall’America, si rovesciarono su Napoli e la sua provincia, facendo ritenere sorpassate le canzoni classiche e i loro contenuti.

Ci furono alcuni che tentarono di difenderle. Ma ben poco potettero, mentre in città, nei suoi dintorni, nella provincia e nelle stesse isole del Golfo, i giardini profumati di arance e di limoni scomparivano; in tanti luoghi come a Posillipo non si respirava più l’aria fresca del mare, né vi erano più le attraenti casette di una volta; maggio non era più il mese che apriva “la bella stagione”, dando slancio al vivere; stradine solitarie fra campi erano quasi del tutto scomparse, così come quasi ovunque gli antichi, incantevoli silenzi Seguendo i nuovi tempi imposti dalla “civilizzazione”, non solo si abbandonarono le antiche forme e gli antichi contenuti delle canzoni, ma si modernizzarono, attualizzarono, banalizzarono le stesse canzoni che, eseguite come erano state scritte, erano diventate celebri in ogni parte del mondo. La stupenda armonizzazione tra parola e musica fu disintegrata, come il loro equilibrio tra il pathos ed ethos

Una grande ripresa della canzone napoletana classica avvenne quando, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che aboliva il monopolio della Rai, sorsero emittenti locali, sia a Napoli, sia nella provincia, sia nella stessa Isola di Capri I programmi di canzoni napoletane classiche erano i più richiesti ed i più ascoltati, ma forse da generazioni che erano sul viale del tramonto e non da nuove generazioni Fu come il canto del cigno. Ben presto svanirono, mentre da Vienna, almeno in ogni Capodanno, venivano inviate nel mondo valzer ed altre musiche, come erano stati scritti ed ascoltati da generazioni che non c’erano più.

Quantunque inserite talvolta in concerti mondiali di celebri interpreti ed applauditissime, le canzoni napoletane classiche continuarono ad essere messe sempre più in disparte.

E sembrò che ormai per esse, com’è detto nella canzone di Aniello Califano e Vincenzo Valente del 1916, i tiempe belle ’ e ’ na vota, nei quali erano se stesse, non ci sarebbero stati mai più.

Raffaele Vacca