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QUANDO UNA PERSONA DIVENTA UN LUOGO di

Andrea Sinigaglia

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“Il barman visto…” è una celebre illustrazione prodotta nell’Istituto Maggia di Stresa, sacro tempio della mixology e prima Scuola alberghiera d’Italia.

Persino nella più antica

Scuola alberghiera d’Italia, all’interno della più geniale collezione di manifesti didattici che sia mai stata concepita, il barman è visto, tra le altre inquadrature, come un giocoliere o un giocherellone. Ma questa etichetta, questo epiteto cosa ci dice di lui e di noi?

QUI: La gestualità, nel suo rituale svolgimento rappresenta, l’ingrediente più personale che ogni barman è in grado di esprimere durante la realizzazione di un cocktail. Foto: Bartenders Academy Italia.

Ma guardatelo… è uno che gioca.

C’è un punto in cui il dissetarsi si tramuta in giostra e in questo spazio la persona si espande e diventa luogo. Il barman è un luogo, un pop up, una creatura evocata e tutta intessuta di ironia, di sarcasmo, di confidenza, è un croupier della relazione che tiene il banco e distribuisce le carte, le mischia innanzitutto, poi le distribuisce, e rilancia. Lui è quello che si muove e agita, noi siamo quelli seduti di fronte ma lui in realtà è il punto fermo, noi quelli in transito; si susseguono contraddizioni, si sciolgono inibizioni. È una partita che ci aggrada. La parola “spirito” con riferimento alle bevande l’hanno coniata gli arabi, maestri della distillazione, la parte volatile nell’alambicco è l’anima della materia al-kuhl. Lo spirito, alcool.

È un’esperienza dello spirito che coinvolge e sconvolge talvolta il corpo, quella che cerchiamo osservando la maestria di un barman. Per arrivare però alla sintesi del sorso va attraversato tutto lo spettacolo del percorso e il ludico rito che parte da un primo imbarazzo della scelta o da un sapere già che l’opzione ricadrà ancora una volta sul “solito” per vedere questa volta l’effetto che fa. C’è la preparazione, ci sono le bottiglie, le loro forme, i brand, c’è tutto il mondo che è lì composto e distillato, silenzioso, ma basta togliere un tappo e si è trasportati in un’isola caraibica, in Francia o chissà dove. Agrumi, foglioline e tanti altri “pezzi di lego”, c’è la gestualità, e gli attrezzi indispensabili per l’alchemica pozione, c’è il sorriso esperto e fiero del professionista della miscelazione e i nostri occhi che assistono a un lavoro fatto per noi e solo per noi su misura, adesso. Le nostre orecchie sentono i rumori della macchinazione che si va animando: vetro, acciaio, suoni di oggetti che si svitano, si versano, entrano in scena e tornano rapidamente al loro posto, ordinate, a volte cozzano tra loro bottiglie ma sempre dignitosamente. E tutto è dentro a una danza di profumi, non mancano mai gli agrumi, ci sono le spezie e ovviamente le essenze che ci rapiscono. I bicchieri hanno forme appropriate e dedicate, c’è un codice quasi d’onore per tutto, pure per le decorazioni anche quando si tratta di un ombrellino di carta e questo rende la retorica dello show profonda, ci domanda rispetto ma non ci impone serietà. Ed ecco infine, appunto, quando iniziamo noi il tatto e il gusto, la nostra parte di protagonismo, il bicchiere è servito e tutto questo magma di emozioni è stato gestito necessariamente sottozero grazie al grande attore non protagonista, il ghiaccio che incapsula il materiale “esplosivo” in una dimensione di controllo: il ghiaccio è il grande vettore, è una materia su cui pattinare anche se siamo lì e lo teniamo in pugno con le nostre dita fredde, freddissime. L’assaggio, l’emozione, un sospiro, si spera un sorriso, una scoperta o una conferma non importa, un grazie al barman, e avanti un altro, un altro cliente o un altro giro, qualcosa è innescato, il gioco è fatto ed è appena iniziato, abbiamo tra le mani un oggetto di espressamente fatto solo per noi. Ludico nel suo etimo significa giocoso, libero. Questo spazio, che il barman crea o diventa, incarna o inscena è quella porzione, quel sorso appunto di giocosa libertà di cui abbiamo tanta sete nelle nostre vite adulte o nelle nostre giovani notti. È un gioco ma non è uno scherzo, è un’arte e un mestiere: ci sono dei maestri anche in questo campo e ci piace qui indicarne quattro che dedicano la loro vita e attività con passione a questo mondo. •

PAGINA ACCANTO E IN ALTO: Alcuni signature drink. Il termine cocktail rimanda al francese coquetier, un contenitore per uova che nella New Orleans dell'Ottocento veniva usato dal farmacista Antoine Amédée Peychaud per somministrare miscele alcoliche e liquori di sua creazione. Foto: Bartenders Academy Italia.

A SINISTRA: Una delle iconiche tavole provenienti dalla Scuola di Stresa, uno degli esempi più celebri e storici di formazione nel campo dell’ospitalità e della mixology.

Il capitano Pietro Ricci, un uomo di mare con il dono di un talento nel disegnare, insieme all’allora preside della Scuola di Stresa, Albano Mainardi, realizzarono nella prima metà del Novecento una serie di tavole didatticamente avveniristiche che ancora oggi adornano i corridoi della più blasonata Scuola alberghiera d’Italia, l’Istituto Maggia di Stresa. Queste immagini sono tratte dalla mostra “Lezioni a regola d’arte” realizzata in ALMA, presso il Palazzo ducale di Colorno nel 2009.

DOM COSTA, SALVATORE CALABRESE, BALDO BALDININI

E AGOSTINO PERRONE sono ad oggi i "magnifici quattro" della mixology premiati come Maestri d'Arte e Mestiere da Alma e Fondazione Cologni. Il Premio MAM è stato loro conferito sulla base delle indicazioni della Commissione ALMA per i Mestieri del Gusto e Arte dell'Ospitalità, sezione speciale del Premio MAM-Maestro d'Arte e Mestiere. Un riconoscimento che premia l'eccellenza in tutti gli ambiti dell'artigianato artistico e dell'enogastronomia, decretando i nostri grandi Maestri del fare, fiori all'occhiello dell'Italia nel mondo.

Dom Costa

Nasce in Calabria, cresce a Torino e fin da giovanissimo inizia a viaggiare per il mondo a bordo di navi da crociera: visita 65 Paesi, prepara drink dall’Alaska all’Equatore e da Capo Nord allo Stretto di Magellano. Dopo tanto girovagare torna in Italia, a Genova, dove lavora come consulente per aziende di distillati italiane e straniere. Attualmente è mixology manager presso Velier, dopo essere stato per anni il bartender del famoso cocktail bar Liquid di Alassio. Foto: Martina Manelli.

Salvatore Calabrese

Con oltre 40 anni di esperienza nel settore dell’ospitalità, Salvatore Calabrese, conosciuto come «The Maestro», è uno dei baristi più rispettati al mondo. Nel 1980 si trasferisce a Londra, al bar del Duke’s Hotel, dove si fa notare per il suo talento, e diventa famoso per il suo Martini cocktail. Appassionato di cognac, ne diventa in breve tempo uno dei massimi esperti mondiali, punto di riferimento nel settore, in particolare per il mercato di nicchia dei cognac extra-speciali.

Baldo Baldinini

Se si volesse identificare con una metafora ciò che rappresenta Baldo Baldinini per il mondo della mixology, sarebbe quello che è un direttore d’orchestra per la musica, interprete e creatore. Infatti, Baldinini opera come compositore di accordi aromatici, tra le sue colline romagnole, immerso nelle ampolle del suo atelier, creando spirits ma soprattutto vermouth tra i migliori al mondo.

Foto: Enrico Robusti.

Agostino Perrone

Originario di Maslianico, poco lontano dalle sponde jet setter di Cernobbio, Perrone inizialmente ha un approccio timido, seppur curioso, come la sua indole, al mondo dei cocktail. Un lavoro giusto di appoggio per pagarsi gli studi della tanto amata fotografia, insomma nulla di impegnativo se non fosse per quell’alchimia tra spirits, jigger e shaker che ipnotizza questo talentuoso Maestro. Lo trovate al Connaught bar a Mayfair, Londra. Foto: Leonardo Filippini.

Dolce&Gabbana, Alta

Moda Siracusa 2022. Da sinistra, abito in velluto lurex drappeggiato con cintura e corsetto in pelle laminata ricamata con motivi in filigrana e cristalli; corsetto in tulle con stecche dorate e fuseaux in jersey ricamati con riccioli scultorei di ispirazione barocca realizzati con speciali lavorazioni manuali di tessuto in lamé.