10 minute read

UN MAESTRO DELLA TENSIONE: GUGLIELMO POLETTI E TO-TIE

Dopo essersi laureato alla Design Academy di Eindhoven nel 2016, Guglielmo Poletti ha iniziato a sperimentare la creazione di mobili, utilizzando i contorni e la tensione come mezzi di design per creare oggetti funzionali con qualità scultoree. Questo linguaggio preciso è definito da curve, nodi, intersezioni di superfici sottili come carta, qualcosa che si potrebbe definire minimalismo, ma che nasconde una considerazione per la struttura e la costruzione che aggiunge complessità a ogni pezzo.

Il suo lavoro svela l'essenziale, e lo stesso si può dire di To-Tie, un pezzo la cui composizione di base lo rende perfetto strumento di illuminazione. Un cilindro di vetro sostiene un’asta in alluminio anodizzato che nasconde una sorgente LED, mentre il cavo funge da elemento strutturale che li tiene insieme. To-Tie è un'opera che parla della capacità di Poletti di incorniciare lo spazio vuoto, è il vertice del suo linguaggio progettuale ma anche l'inizio di qualcosa di nuovo.

Fotografie di Bea De Giacomo Intervista di Rosa Bertoli

ROSA BERTOLI Partiamo dall'inizio. Può raccontarmi l'inizio della sua vita nel mondo del design e di come ha intrapreso il percorso per diventare un designer?

GUGLIELMO POLETTI Non ho avuto un percorso lineare e in realtà sono entrato dalla porta di servizio: mi sono interessato al design da autodidatta. Durante i miei studi universitari in Gestione delle arti ho frequentato una lezione di Philippe Daverio sul design. Mi ha profondamente affascinato e da quel momento ho percepito il design come una fiammella molto lontana. Ho cercato di avvicinarmi ad esso in modo autonomo, senza alcun riferimento. Ho capito istintivamente che dovevo strutturarmi con degli strumenti: nel 2013 ho svolto uno stage presso lo Studio Lissoni ed è stata un'esperienza molto importante, ho imparato molto a livello professionale. Ma non ero sicuro che facesse per me, così quella stessa estate andai a Boisbuchet per un workshop con Ron Gilad. È stata una persona molto importante per me, mi ha fatto capire che si può affrontare il design in modo più indipendente e libero, che il tuo modo di pensare può in qualche modo raggiungere l’industria pur essendo un po’ dirompente. Queste due personalità del design mi hanno mostrato modi diversi di fare la stessa cosa.

ROSA BERTOLI A questo punto, lei non aveva ancora ricevuto un'educazione formale dal punto di vista del design…

GUGLIELMO POLETTI Non ancora. Dopo alcune ricerche, ho pensato che la Design Academy di Eindhoven sarebbe stato il contesto in cui avrei potuto crescere maggiormente e capire cosa mi interessasse davvero. È stata un'esperienza molto analitica, nell'arco di due anni ho approfondito cosa significa fare design. Avevo bisogno di avere una formazione formale, ma a Eindhoven non hanno alcuna formula, è un modo molto libero di insegnare e sono molto rigorosi su come si crea il proprio atteggiamento.

ROSA BERTOLI C'è stato un punto di svolta nel suo lavoro?

GUGLIELMO POLETTI Il punto di svolta per me è stato quando ho capito che ero più interessato alla costruzione e alla struttura piuttosto che a scelte arbitrarie di design. Questo mi ha aiutato a cambiare e ha influenzato tutto ciò che ho fatto da quel momento in poi, dando forma ai criteri che ancora oggi sono le mie linee guida.

ROSA BERTOLI La tensione meccanica fa sempre parte del suo lavoro. Come è arrivato a questo tipo di composizione?

GUGLIELMO POLETTI Ho iniziato a lavorare con questi studi strutturali molto astratti, non mi sono concentrato sulla funzionalità. Mi sono reso conto che queste composizioni in tensione avevano più qualità formali che funzionali. Era un mix di design, architettura e scultura, io ero impulsivo e in balia della corrente, una bella situazione in cui ci si trova quando si è ancora studenti. Ma alla fine del secondo anno, tutto ha cominciato ad avere un senso, ho compreso la funzionalità dei miei pezzi ad un livello più profondo.

ROSA BERTOLI Quindi è stato abbastanza graduale il passaggio dalla sperimentazione di queste composizioni alla comprensione del fatto che potessero diventare mobili?

GUGLIELMO POLETTI Sono arrivato a Eindhoven con un'idea molto chiara, "italiana", di cosa dovesse essere il design del mobile. È stato bello dimenticarsene per due anni e pensare alla sperimentazione, invece. E alla fine l'essenza di quell’entusiasmo mi ha riportato indietro e ho prodotto mobili, dando inizio alla mia carriera.

ROSA BERTOLI Dalla sua tesi di laurea e i mobili che ha creato per la Galleria Rossana Orlandi lei è passato dai pezzi sperimentali al design industriale: ora rappresenta un ponte tra i due mondi, come ha realizzato questa transizione?

GUGLIELMO POLETTI I due anni che ho trascorso a Eindhoven sono stati una digressione per arrivare a realizzare mobili funzionali. Allo stesso modo, il lavoro in edizione limitata che ho realizzato è stato una svolta per arrivare al settore con criteri più definiti e un'identità più forte. Quindi, se è vero che i pezzi iniziali che ho progettato erano più liberi e sperimentali, c'è sempre stato un rigore nel modo in cui pensavo alle opere e questo mi ha permesso di tradurle per l'industria. E anche se alcuni dei miei precedenti lavori si sono spinti oltre i confini dell'arredamento industriale, si sono anche inseriti perfettamente anche nella produzione industriale.

ROSA BERTOLI To-Tie, la sua prima collaborazione con Flos, sembra inserirsi perfettamente in questa progressione.

GUGLIELMO POLETTI Credo che gli architetti Calvi e Brambilla, che mi hanno contattato per il progetto, abbiano visto questa progressione nel mio lavoro e abbiano capito i miei criteri. Quando sono venuti per la prima volta nel mio studio, hanno fatto osservazioni molto precise sui miei prototipi: era chiaro come avessero capito l’essenza del mio lavoro. Questo mi ha fatto credere che avrebbero capito il mio processo.

ROSA BERTOLI Le hanno dato delle indicazioni?

GUGLIELMO POLETTI No, ed è proprio per questo che dico che mi capiscono. Credo si siano resi conto che delle istruzioni sarebbero state estremamente controproducenti per la mia creatività. Sono felice di aver realizzato questa lampada perché il risultato finale è esattamente come l'avevo immaginato in origine. Per me è importante divertirmi nel mio nel mio studio, divertirmi nel processo. E, avendo capito questo, non hanno dato direttive, erano semplicemente interessati a quello che faccio. Dopo un mese e mezzo, ho presentato diverse idee e tra queste c'era To-Tie.

ROSA BERTOLI Può parlarmi del processo di progettazione di To-Tie? Come è arrivato a questa forma essenziale?

GUGLIELMO POLETTI È stata una grande digressione: l'idea di To-Tie è partita dal tavolo Equilibrium, dal mio progetto di laurea che ho rielaborato completamente in una lampada a sospensione e, in un paio di mesi, Flos ha realizzato un primo prototipo. È stato allora che il mio entu - siasmo ha cominciato a crescere: ho capito che potevamo divertirci insieme.

Ma quel primo prototipo non funzionava. Fu allora che Andrea Gregis, del reparto Ricerca e Sviluppo, mi mostrò un prodotto di Castiglioni del 1975, Aoy, una lampada da tavolo a forma di cilindro di vetro con un piccolo buco sotto. Ho pensato a quella lampada e ho rielaborato il concept, realizzando un nuovo prototipo di To-Tie come lampada da tavolo.

Ho pensato che fosse interessante lavorare sull'idea dell'articolazione, che era parte integrante del nuovo prototipo: un piccolo cilindro in acrilico con un LED molto grezzo. Ho tagliato un tubo di metallo e ho messo tutto insieme. Quando l'ho accesa sul mio tavolo da lavoro, ho pensato: "Ok, ora è davvero qualcosa". Non l'ho immaginata razionalmente: è stato il processo a farlo per me.

ROSA BERTOLI Come sono stati disposti e messi insieme i componenti per far funzionare questa composizione? Ha scoperto qualcosa attraverso questo processo?

GUGLIELMO POLETTI To-Tie è molto meno astratta rispetto ad altri miei lavori, il che la rende più matura. La luce è fatta così perché deve essere fatta così, in modo che il cavo costituisca innanzitutto l'elemento strutturale che tiene insieme il cilindro di vetro e la barra LED solo attraverso una tensione meccanica, senza viti o giunzioni; è solo la tensione del cavo a tenerli insieme. E poi il cavo fornisce l'elettricità. Un elemento inaspettato, di cui non mi sarei reso conto se non avessi realizzato il primo prototipo in studio, è il fatto che la barra sospesa al centro del cilindro possa essere utilizzata come maniglia. Così si può effettivamente trasportare la lampada utilizzando la barra LED, senza necessariamente toccare il vetro, evitando così di lasciare impronte digitali. La luce arriva dall'alto dentro un cilindro di vetro e la sua proiezione viene intrappolata all'interno, creando il cerchio di luce sulla superficie. Anche questo è un elemento inaspettato: poiché il vetro è trasparente, si pensa che la luce sfugga o si diffonda tutt'intorno mentre invece rimane intrappolata.

Quindi To-Tie non è solo un oggetto bello da vedere, ma ha anche un valore aggiunto come oggetto di progettazione illuminotecnica. Sono piccole cose che rendono il lavoro molto più completo.

ROSA BERTOLI Come ha lavorato con il team di Flos per sviluppare To-Tie nella sua forma finale, partendo dal primo prototipo?

GUGLIELMO POLETTI Il tavolo Equilibrium era già molto essenziale e per realizzare la lampada abbiamo tolto ancora di più elementi lasciandone pochissimi; ma ognuno di essi svolge una funzione ben precisa, tutto ha una funzionalità raddoppiata.

L'oggetto finale è nudo: abbiamo impiegato un anno e mezzo per passare dal mio piccolo prototipo, che già presentava parte del nucleo dell'idea, al lavoro finale. Si trattava di andare in profondità al millimetro, che è una cosa che amo molto, che ben si sposa con la mia mentalità a volte ossessiva.

A volte in un processo come questo ci si sente limitati, il nostro interlocutore non sempre segue il nostro ritmo. Ma con Flos è stato come un match di pingpong e per me è stato fantastico. Mi ha colpito molto scoprire che parlavamo la stessa lingua, ci siamo divertiti tutti a scendere nei dettagli.

ROSA BERTOLI Può parlarmi dei materiali e delle finiture di To-Tie?

GUGLIELMO POLETTI To-Tie è stata sviluppata come un oggetto prezioso: i bordi del cilindro di vetro borosilicato sono rifiniti a mano; il cavo elettrico è rivestito di tessuto e forma un nodo armonioso e funzionale. I bloccacavo che lo fissano alla base del cilindro sono stati concepiti appositamente per questo progetto. Infine, la barra in alluminio anodizzato è caratterizzata da una superficie leggermente zigrinata.

ROSA BERTOLI È stata la sua prima esperienza con il lighting design?

GUGLIELMO POLETTI Ci avevo provato un po' realizzando un progetto con lo Schloss Hollenegg nel 2018, ma si trattava più che altro di un oggetto strutturale che emetteva luce. Ho capito subito che l'illuminazione è una cosa seria. E non è che non tratti i miei mobili come una questione molto seria, ma con i mobili si può sperimentare e poi arrivare a una conclusione, con l'illuminazione no. Puoi rendere l'hardware molto bello, ma cosa ci metti dentro? La parte, dell'innovazione tecnologica non si può inventare. A volte l'illuminazione in edizione limitata è moto incentrata sulla struttura. Quando ero a Eindhoven ho partecipato a un workshop con Nacho Carbonell. Le sue lampade sono come mondi incredibili. Ricordo che mi disse: "Puoi creare un pezzo e la luce è lì per illuminare il pezzo stesso. Ma se vuoi lavorare nel settore e fornire una buona illuminazione ad un ambiente architettonico, devio avere un approccio diverso. Con Flos è stata la prima volta che ho lavorato con la luce in modo tecnico.

ROSA BERTOLI Il nome stesso della lampada fa parte della purezza del progetto: descrive semplicemente la sua funzione.

GUGLIELMO POLETTI Ha a che fare con il fatto che sto anche cercando di essere più essenziale, perché è così che si riesce a trasmettere il nocciolo di ciò che si ritiene interessante. Non mi interessa concettualizzare il mio lavoro, mi interessa che l'opera sia autoesplicativa. L'idea di chiamare l'opera To-Tie porta direttamente a ciò che è: un gesto attorno al quale si sviluppa l'intero lavoro. Il gesto di legare è la chiave dell'opera. E così, il nome dovrebbe completare l'opera: se si collega il nome con l'opera allora il nome diventa autoesplicativo.

ROSA BERTOLI Come lavora quando crea questi prototipi nel suo laboratorio? Quali materiali e strumenti utilizza?

GUGLIELMO POLETTI Il mio laboratorio è una versione in piccolo di quello di Eindhoven, che era un grande laboratorio dove si poteva lavorare con qualsiasi materiale, dal legno al metallo, alla plastica. Qui ho tutto ciò che mi serve per mettere insieme le cose fino ottenere qualcosa che mi soddisfi per dare forma a un'idea.

Il prototipo di To-Tie è stato realizzato in modo approssimativo nella mia officina, ma è stato sufficiente per capire come avrebbe funzionato. Ho a disposizione diversi materiali, dal legno al metallo, dal cartone al silicone - Sono interessato ad allestire il mio laboratorio in modo da poter sperimentare, giocare con qualcosa che non conosco e sorprendermi.

Spesso il mio lavoro è così: ho una piccola intuizione su qualcosa e la realizzo. Nove volte su dieci, quell'intuizione non mi porta dove pensavo che mi avrebbe portato; ma è comunque interessante e quando si impara a fidarsi di questo processo, non si può più tornare indietro. In realtà, se non lavoro in questo modo, so che il processo non funzionerà per me. Non ci sono scorciatoie, non si può essere pigri.

A PROVA DI FUTURO

To-Tie è progettata secondo i principi di Design Circolare. Le sue parti principali sono realizzate in materiali riciclabili e sono tenute insieme da una tensione meccanica, senza l'utilizzo di adesivi o saldature. La lampada può essere completamente smontata per eventuali riparazioni sostituzioni e per un corretto riciclaggio alla fine della sua vita utile. Sorgente LED sostituibile

Per Saperne di più flos.com/sustainability

Questo è il motivo principale per cui mi diverto a farlo. Fa anche un po’ paura, perché non c’è continuità, non è il perfezionamento di un linguaggio di progettazione prevedibile. A volte si cerca davvero qualcosa, una sorpresa sconosciuta.

ROSA BERTOLI Lei stesso ha progettato il suo studio a Milano, può parlarmi del suo lavoro su questo spazio?

GUGLIELMO POLETTI Era uno spazio industriale e quando l'ho comprato era molto grezzo; era stato usato come magazzino da un'impresa di costruzioni ed era incredibilmente pieno di materiali. Ma aveva un potenziale e io stavo pensando di tornare a Milano dopo 5 anni a Eindhoven. Questo spazio era perfetto: volevo avere un laboratorio, non mi interessava un ufficio ordinato, così l'ho preso e l'ho ristrutturato.

È stato un processo di apprendimento un po' faticoso, era la prima volta che facevo architettura. Ho fatto una ristrutturazione di base dello spazio aprendo dei lucernari in alto per avere più luce naturale e questi hanno poi determinato l'intera griglia intorno alla quale è stato progettato l’ufficio. L'altezza dello spazio è di 3,75 metri, quindi non sufficiente per avere due piani, ma volevo sfruttare questa altezza in qualche modo. Mi sono ispirato ad un viaggio in Corea, dove si usa molto questa struttura di media altezza per immagazzinare e svolgere altre funzioni. Così ho pensato di realizzare una piattaforma modulare sopraelevata in multistrato di betulla e vetro, con un magazzino e una camera da letto al piano terra e un ufficio sopra.

Quando si chiude lo spazio la privacy è totale e dall'esterno non si capisce che cos’è; ma quando ci si avvicina si vede che si apre nei diversi elementi e su un lato c’è una scala che rompe la simmetria. Lavorare su un'architettura di piccole dimensioni è stata una sfida interessante. Spero di trovare tempo ed energia per crescere e sperimentare in questa direzione in futuro.