DA EL ALAMEIN AL LACONIA

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Considerazioni sulla documentazione disponibile sul Laconia. Ho cercato, prima di iniziare questa ricerca, notizie sul naufragio del Laconia, prima di tutto in internet poi sui giornali dell’epoca , ed infine mi sono procurato gli scritti di Trizzino, Peillard e Bellomo che hanno trattato in maniera diversa l’argomento. Di Trizzino e Bellomo ho gia’ parlato, di Peillard sono riuscito a trovare su Ebay le edizioni originali italiana , tedesca, francese ed inglese e a parte qualche dettaglio non c’e’ molta differenza fra le stesse: la vicenda del Laconia venne ricostruita basandosi su testimonianze raccolte dai sopravissuti e grazie alla documentazione fornita da tedeschi, inglesi ed italiani. Gli americani furono reticenti per quel che riguarda il bombardamento aereo portato a termine dal Liberator, con le tragiche conseguenze che conosciamo. Il Peillard, francese di nascita, studio’ in Inghilterra e verso questa nazione sembra provare una sorta di amore odio piuttosto comune oltralpe, in particolare in alcune occasioni lo scrittore sposa in maniera acritica le tesi dei britannici salvo contraddirsi nel proseguo del racconto, a parte i soliti luoghi comuni sugli italiani spesso chiamati “latini” ed a parte qualche episodio poco credibile, ad esempio quando i prigionieri imbarcati, muniti dell’immancabile mandolino, rivolgono apprezzamenti ad una passeggera inglese durante una sosta, particolare abbastanza improbabile se si pensa che i 1800 prigionieri erano stati chiusi come animali nelle stive con gli oblo’ oscurati, mantiene una correttezza storica nell’esporre la cronologia dei fatti. Ben piu’ gravi sono alcune affermazione fatte da Peillard riguardanti gli attimi immediatamente successivi al naufragio, i britannici negarono che le guardie polacche avessero aperto il fuoco sugli italiani che cervano di sfuggire alla morte chiusi come erano nelle gabbie mentre la nave affondava, giungendo a sostenere che le guardie fossero prive di munizioni, senza tenere conto di quanto sostenuto dagli italiani, non si capisce come parecchi di essi presentassero ferite da arma da fuoco quando furono soccorsi dai tedeschi dell’U156, sempre per rincarare la dose il Peillard racconta come il comandante Hartestein fosse infastidito dal racconto troppo vivace e dal gesticolare dei prigionieri italiani, definiti dallo scrittore troppo esagerati nell’esporre i propri sentimenti sia nella buona che nella cattiva sorte. Gli italiani, a detta di Peillard non dimostrarono il sangue freddo degli inglesi durante l’affondamento, lasciandosi andare a manifestazioni di disperazione, bestemmiando, pregando, invocando la mamma o la sposa; forse tale atteggiamento era dovuto al fatto che i carcerieri ebbero l’ordine di non aprire le gabbie per permettere anche ai prigionieri di salvarsi. Il primo siluro ne uccise 400 colpendo in pieno una gabbia nella stiva, il secondo completo’ l’opera distruggendone una seconda, a questo punto , ad ondate successive con la forza della disperazione , i nostri connazionali sfidando gli spari ele baionette degli aguzzini riuscirono con la forza della disperazione, a piegare le sbarre delle gabbie e ad avere ragione dei militari polacchi, questa e’ la realta’ dei fatti. Mentre anche gli inglesi lottavano fra di loro per salire sulle scialuppe di salvataggio, gli italiani combattevano per accapparrarsi un salvagente . Anche per quel che riguarda il vitto, lo scrittore francese non si lascia sfuggire l’occasione di fare qualche battuta sui prigionieri schizzinosi che, sognando lasagne ed altre leccornoie, non gradivano la brodaglia ipocalorica dispensata dagli inglesi, giustificando cosi’ il fatto che, a differenza dei ben pasciuti inglesi, i nostri si presentassero ai soccorritori come vere larve umane, seminudi o con i resti delle divise coloniali ridotte a brandelli. I comandanti dei sottomarini annotarono diligentemente quello che videro ed i resoconti sono illuminanti per chi vuole leggere gli accadimenti senza pregudizi. Gli italiani piu’ fortunati che riuscirono a trovare posto sulle scialuppe di salvataggio furono trattati come subumani dai britannici; in un’occasione racconta Peillard, senza peraltro commentare 77


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