"NOYZE"

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nsaziabili ricercatori di suoni e fonti sonore a tuttotondo, i Residents sono alla base della riscoperta del battito primordiale e della sua disumanizzazione alienata. Massimi fondatori dell’iconoclastia retro-futuristica, nobili istruttori della new wave, sono clown fantastici dell’utopia universale. Il loro è anche un complesso percorso che reinventa concept-album, multimedialità e semantica musicologica, fino a trascendere la stessa idea d’identità Quella dei Residents, più che una vera e propria biografia rock, è un’avventura fantastica imbastita da diverse, quasi eterogenee componenti. Tra i fattori che più hanno fatto la fortuna della loro ardua proposta musicale, c’è sicuramente l’estetica dell’oscurità. Sorta di sofisticata versione dell’occultismo tradizionale, questa decisiva scelta appare oggi (anche a distanza di tempo) dettata da un’incrollabile volontà anti-divistica che tiene in compartimenti stagni i rapporti tra icona (espressione) e sostanza artistica (contenuto), relegandoli a insiemi non-comunicanti, o comunicanti solo in una dimensione sovrannaturale. Le maschere dei quattro senza nome - accasatisi nei sobborghi downtown di San Francisco - sono costruzioni ardite di onirismi inquietanti, o di riproduzioni di presenze inconsce nell’immaginario collettivo. Se il rock fino a quel punto era stato anche uso del corpo come totem lascivo (glam), o come veicolo di nuove percezioni sensoriali (psichedelia), o ancora come guida per una problematica rilettura dei tempi presenti (cantautori e folksinger), i Residents lo trasformano in emblema astratto, insistendone all’esasperazione i contorni grotteschi

The Residents

Surreal rock in ‘70 Pop scene

dell’apparenza. In questo senso, le fondamenta della filosofia della band stanno tutte in quel loro proporsi in qualità di clown immaginifici e fantastici che non ridono e non piangono, e di marionette surreali del non-senso che blaterano un fittizio ritorno alla purezza delle origini nel bel mezzo della dissoluzione ultramoderna, o in una non meglio precisata (ma distruttiva) era futura. Questa comica utopia ha però un fondamento di serietà quasi scientifica. I Residents non evitano affatto il presente, ne attingono anzi a piene mani per ripescarvi le viscere degli scarti consumistici andati a male. La loro è una meticolosa ricostruzione dell’apparato antropologico della società contemporanea: media, pubblicità, intrattenimento, industria culturale; tutto è mischiato e riprodotto ossessivamente sfruttando fino in fondo il concetto di riproducibilità spersonalizzante del consumo massificato. Proprio per questo l’emittente del messaggio artistico dovrà allora mantenere celata la propria identità: la musica rock per i Residents è ormai un fantasma che non agita nemmeno più la controcultura, ma agisce invisibile nelle pieghe infinitesimali della società. Questa teoria (ardita ma rigorosa, a metà via tra musicologia e sociologia) acquista dunque il nome di “teoria dell’oscurità”, ed è ragionevole supporre che sia stata inculcata loro dall’altrettanto oscuro personaggio che rimarrà il chiodo fisso della band per

tutta la loro vita, N. (Neil o Nicolas) Senada, compositore bavarese di dubbia provenienza (e di dubbia esistenza). Forse Beefheart in uno dei suoi travestimenti, forse Harry Partch, forse un guru-sciamano, Senada accende il meccanismo fondamentale della band: sostituire al griugiume quotidiano appiattente un nuovo mondo, completamente inventato, che agisca in direzione contraria rispetto ai sogni della controcultura hippie, che anzi lo deformi brutalmente, lo imbruttisca fino al terrore claustrofobico, lo renda grottesco senza alcuna inibizione (per Senada c’è anzi l’esaltazione mitologica delle terre sud-polari, culla suprema dell’intelligenza, habitat favorito del cervello umano in quanto super-circuito elettrico che trova miglior funzionamento con le basse temperature). Oltre alla musica in senso stretto, che spessissimo verterà sulla contaminazione radicale di avanguardia percussiva-microtonale, motivetti beceri da music-hall e Broadwaystyle e variegate manipolazioni sonore, fa la comparsa - in un’opera colossale ma incompiuta quale “Vileness Fats” -ti iconografici e lessicali


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