Pagine Elettroniche di Qacp - 2019; 26(3)

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hanno riscontrato un’esacerbazione dei comportamenti dolorosi in seguito all’ intervento. Va inoltre ricordato che un RGE ben controllato con inibitori di pompa protonica (terapia che può essere mantenuta anche per una decina di anni) difficilmente costituirà la causa delle crisi di dolore [5]. Altra evenienza per nulla rara, grande assente nel testo americano, è quella delle fratture alla cui base vi è un’osteopenia presente nel 95% dei bambini non deambulanti con compromissione cognitiva. Il 20% di questi presenterà una frattura femorale nel corso della vita, con un rischio aumentato di fratture successive dopo la prima. Qualora il sospetto di frattura occulta fosse elevato, vale il tentativo ex iuvantibus con Bifosfonati [6]. Va infine ricordato come non solo i bambini con DI spesso non ricevano un’ adeguata analgesia post-operatoria, ma come soprattutto il dolore chirurgico, e specialmente quello della chirurgia ortopedica, possa rappresentare il punto di innesco per lo sviluppo di un dolore di natura neuropatica difficilmente controllabile. In questo gruppo di bambini, ancor più di quelli in grado di comunicare, l’inizio o l’incremento di uno stimolo doloroso, va pensata una terapia antidolorifica non esclusivamente ‘al bisogno’, ma calcolata sugli episodi di dolore registrati dall’osservazione tramite l’ ausilio delle scale. Va infatti considerato che, data la pluralità delle fonti dolorose, questi bambini si ritroveranno più spesso a rischio di soffrire di dolori cronici piuttosto che acuti: da qui la necessità di progettare una terapia quasi ‘di fondo’ o più classicamente ‘di salvataggio’ per prevenire l’insorgenza delle crisi. Tutto ciò viene chiaramente ribadito nella review americana, con una positiva promozione dei FANS e del Paracetamolo per quanto riguarda il trattamento del dolore lieve-moderato. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, viene evidenziata la sola gastrotossicità (ricordiamo che buona parte di questi bambini sono in terapia con un antiacido), mentre nessuna menzione viene fatta per quanto riguarda i possibili danni renale ed epatico, tossicità fortemente correlate alla disidratazione, evenienza tutt’altro che infrequente in questa popolazione [7]. Sicuramente Ibuprofene e Paracetamolo costituiscono le prime, più semplici, armi davanti a un dolore spesso costante, ma proprio nell’ottica di un possibile utilizzo in cronico, i rischi vanno prontamente arginati. Di fronte alla persistenza di comportamenti dolorosi, nella ricerca del trigger doloroso bisogna pensare che può non esserci! Questo promemoria è fondamentale per ricordare che nei casi più gravi un dolore nocicettivo ricorrente o cronico può a un certo punto “sganciarsi” dalla sua noxa e trasformarsi in un dolore neuropatico a componente centrale in cui potrà trovare una possibile indicazione un trattamento neuromodulatorio con Gabapentin. Questo inibitore del rilascio dei neurotrasmettitori eccitatori, si è dimostrato efficace nel ridurre i comportamenti dolorosi e ‘allentare’ la spasticità, migliorare l’assunzione dei pasti e il sonno ponendo quindi il razionale per l’uso empirico in prima linea nel sospetto di dolori di natura neuropatica. Accorgimenti sono richiesti per quanto riguarda la dose iniziale e le successive a salire, con ulteriori aggiustamenti in relazione alla funzione renale. Una sottostima da puntualizzare presente nel testo americano è quella relativa agli episodi di dolore attribuiti alle procedure mediche (8%). Al di là delle percentuali, il contesto procedurale, fatto di tanti, svariati esami ripetuti e da ripetere per necessità, è spesso fonte di ansia per la tutta famiglia. L’ansia procedurale predispone il bambino a un’aumentata percezione dello stimolo doloroso in un circolo vizioso difficile da arrestare [8]. Sussiste qui lo spazio di manovra per tentare un approccio non farmacologico: i pochi studi pre-

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senti ci permettono di trarre alcune considerazioni la cui ricaduta pratica consiste nel prediligere quei gesti e atti che derivano in primis dal contatto fisico, come la carezza, il riposizionamento e il massaggio. Anche la musicoterapia si è rivelata efficace nella riduzione del dolore post-operatorio. Un paio di lavori hanno testato la presenza di clown in corso di iniezione di tossina botulinica con risultati poco soddisfacenti e fruibili, rinforzando l’ipotesi che in bambini con grave DI si debbano preferire le tecniche meno articolate e più sensoriali [9-10]. Sempre in un contesto procedurale, l’utilizzo di device come il Buzzy può portare invece una riduzione del dolore da venipuntura, unendo allo stimolo vibratorio, molto gradito a questi bambini, quello del freddo. Si sfrutta così la teoria del cancello andando a supplire a quella mancata inibizione ‘dall’ alto’ dello stimolo doloroso [11]. Sicuramente questo delle tecniche di analgesia non farmacologica, è un campo ancora da esplorare e inquadrare a fondo per proporre soluzioni non necessariamente perfette, ma complementari agli altri interventi attuati dentro l’ ospedale. Concludiamo spostando l’attenzione dai piccoli protagonisti di questa riflessione integrata a chi se ne prende cura. Per farlo vi portiamo i numeri relativi ai destini delle mamme di questi bambini, numeri alquanto impressionanti, i quali vanno però a rappresentare una realtà che non può essere taciuta: di base queste mamme presentano un rischio doppio di morte rispetto alle mamme di bambini ‘sani’ [12]. Un rischio che nello specifico riguarda le morti per cancro (40% di rischio aumentato) ovvero per malattie cardio-vascolari (150%) o ‘misadventures’ come incidenti stradali,

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