N.14 Sulla via della pace 2009

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di Paolo

Editoriale

Maino

L’economia della pace

N

el mio recente viaggio in Kenya e Uganda ho avuto modo ancora una volta di rendermi conto di quanto possano essere fecondi quei gesti di solidarietà concretizzatisi nei nostri piccoli e grandi progetti di autosviluppo e formazione. Eppure, leggendo anche lì i giornali, le prospettive per il futuro non sembrano affatto rosee. Stiamo sentendo e constatando prospettive di crisi sempre più allarmistiche. Ma questa, dicono gli esperti, non è una crisi come tutte le altre, è la prima crisi economica della storia davvero mondiale, mondiale, di cui si vedono già gli effetti: blocco dei flussi di denaro e del commercio internazionale, chiusura delle grandi fabbriche e disoccupazione a catena, povertà in estensione, taglio delle risorse per l’istruzione e la sanità, rischio di instabilità politica e di nuove guerre. Le soluzioni classiche sembrano mostrare tutti i loro limiti. È interessante constatare che uno dei paradossi di fondo del messaggio evangelico - “Chi perderà la propria vita la salverà” - sembra elevarsi sempre più a modello interpretativo della possibile rinascita economica mondiale, che deve poter partire dal superamento del capitalismo egoistico per la nascita di un nuovo ordine economico, nel quale la finanza e la ricchezza tornino ad essere un mezzo e non un fine fine. Non è, in primo luogo, una questione di morale e di princìpi, ma di calcolo economico ispirato all’idea del bene globale, non più abbagliato dal miraggio dei soldi facili a spese degli altri e dal cinismo di una finanza che alimenta un clima di rapporti internazionali basato sostanzialmente sulla paura e sulla competizione estrema. Con le risorse dei paesi ricchi e con il concorso dell’imprenditorialità, della fantasia e delle enormi potenzialità dei paesi poveri, è possibile dichiarare guerra senza quartiere alla fame ed alla miseria nei paesi più svantaggiati, con l’obiettivo di condurre fuori dalla crisi non il singolo Stato, ma il mondo intero. Si tratta, in concreto, di investire nei paesi più poveri,, in maniera che lì possano crescere benessere, poveri salute pubblica e istruzione. Si tratta anche di cambiare mentalità: sostituire il “dogma” che la nostra ricchezza debba sempre crescere con l’accontentarsi del molto che già si ha. Di armonizzare la preoccupazione di tenere alto il prezzo delle

“nostre” mele con la necessità di pagare equamente le “loro” banane. Di innestare la marcia della sobrietà contro alcune leggi di mercato che incoraggiano lo spreco. spreco Non si tratta di mera illusione utopistica, ma di intelligenza economica liberata dall’ideologia capitalista. Qualcosa di simile è già avvenuto in passato, ad esempio, quando gli Stati Uniti investirono risorse enormi nei piani Marshall di ricostruzione post bellica dell’Europa ricevendone un gran ritorno. Normalmente si è tenuti a credere che l’aumento del benessere sia direttamente proporzionale al crescere della ricchezza e che lo “stare meglio” sia legato al continuo incremento di beni e risorse. Questo modello economico - che non si può negare abbia comunque permesso uno sviluppo senza precedenti nell’ultimo secolo - non sembra più in grado di reggere, mostrando tutti i propri limiti. L’esperienza della nostra Comunità, impegnata in varie parti del mondo, ci fa sempre più comprendere che la sua ragion d’essere è fondamentalmente fuori di sé, nell’altro: “Chi perderà la propria vita la salverà”. Per questo abbiamo cercato di portare nel mondo aiuti economici che potessero trasformarsi in ricchezza continuativa, princìpi vitali che dessero speranza per lottare contro le avversità, avversità, programmi educativo-formativi e aiuti sanitari che promuovessero le nuove generazioni. E tutto in stretta collaborazione con persone e associazioni del luogo, che con il loro lavoro e il loro genio stanno edificando in vari modi la pace. Possiamo testimoniare come sviluppo e dignità, giustizia e pace siano due facce inseparabili della stessa medaglia e come l’investire, il credere nell’uomo - in ogni uomo - sia in grado di generare ritorni inaspettati inaspettati,, anche dal punto di vista economico. L’economia della pace e della riconciliazione - con sé stessi, con gli altri, con il creato - può allora rappresentare quel seme capace di liberare risorse insperate, insite nell’uomo, in grado di portare il vero sviluppo.

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