settembre 2012
lasciano qualche speranza verso il futuro. Per alcuni, questa fase prolungata di incertezza si traduce in un laboratorio di sperimentazione esistenziale. Un recente articolo, dal titolo “Non è un’economia per giovani”, pubblicato da “The Guardian”, sostiene che i laureati di oggi saranno più poveri dei loro genitori, un fenomeno unico nella società del dopoguerra. In che senso?
È vero, i giovanni corrono il rischio di essere più poveri dei loro genitori. In Italia questo è dovuto a numerosi fattori, non ultimo un ingresso nel mercato del lavoro protratto nel tempo e caratterizzato da lunghi periodi di precariato. Questo vale sia per i laureati che per chi non ha conseguito titoli accademici. Quello che oggi non sembra un problema imminente – perché la famiglia aiuta a compensare l’estendersi della condizione di incertezza – avrà conseguenze di medio-lungo periodo. Le carriere contributive dei giovani, infatti, incidono sia sull’età in cui si matureranno i contributi per andare in pensione sia sull’ammontare delle pensioni. In sostanza si andrà in pensione molto più tardi e l’ammontare delle pensioni sarà notevolmente più basso di quello dei propri genitori. Se ora una pensione 24
corrisponde a circa il 75-80% dello stipendio dei nostri padri ai giovani di adesso non resterà che – in un’ipotesi ottimistica – il 40-45% circa. Un ammontare che corrisponde a cifre di poco superiori all’assegno sociale. Tutto questo trasformerà “la questione giovanile” di adesso in una “questione anziani” nel futuro. Ma di questo i politici poco si interessano, è fuori dal loro orizzonte cognitivo. Parlando della transizione verso l’età adulta, la gioventù è il momento in cui si entra nella vita pubblica. Preso atto che i giovani non considerano l’ordine sociale come un dato di fatto, ma come una realtà da scoprire, proprio per questo sono pronti, più degli adulti, a coglierne con spontaneità anche gli aspetti innovativi. Perché la potenzialità innovativa che i giovani rappresentano si trasformi in atto è necessario però che la società ne favorisca la mobilitazione, e dunque, che essa sia dinamica piuttosto che statica. Cosa ne pensa?
Nella società contemporanea le transizioni all’età adulta come si conoscevano negli anni 6070 non esistono più. I momenti quali “la fine degli studi” e “l’inizio di un lavoro”, “la formazione di una nuova famiglia” e “la nascita del primo figlio” non segnano più i passaggi ca-