Paesaggi Sensibili del Contemporaneo // Sensitive Landscapes of the Contemporary

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PAESAGGI SENSIBILI DEL CONTEMPORANEO

Daniele Mancini

Il paesaggio urbano contemporaneo è territorio privilegiato delle sperimentazioni nel campo delle installazioni interattive. La città sembra così rivestirsi di una pelle sensibile anche se invisibile e impermanente. È una città reattiva capace non solo di percepire, connettere in rete e memorizzare i molteplici stimoli dell'ambiente naturale circostante, ma anche di generare in tempo reale una risposta che spesso sconfina in una comunicazione sinestetica, emozionale, quasi irrazionale. L'idea centrale è che la pratica del progetto interattivo, attraverso i suoi orizzonti operativi e di senso, è uno degli strumenti con cui si possono rilevare e ulteriormente interpretare alcune delle aporie che l'architettura della città sta elaborando nel rapporto tra modernità e contemporaneità: si pensi ad esempio a come l’estetica sottrattiva della modernità (less is more) che ci ha consegnato opere leggere e quasi-trasparenti si stia trasformando grazi all’immaterialità del digitale in una estetica della sparizione, come sostiene Paul Virilio, e una estetica delle relazioni.

Daniele Mancini (Roma, 1974), architetto, è dottore di ricerca in Teorie dell’Architettura e Master in Interaction Design. E' fondatore di UNPACKED, un think tank open source a supporto di diverse forme di creatività contemporanea a cavallo tra il digitale e il reale, per il quale si interessa di social media e del loro rapporto con il mondo della pratica progettuale. E' raggiungibile su: http://www.facebook.com/danielemancini74

ISBN 978-1-4457-1325-0

90000

9 781445 713250

PAESAGGI SENSIBILI DEL CONTEMPORANEO

Daniele Mancini



Paesaggi Sensibili del Contemporaneo

Daniele Mancini


Paesaggi Sensibili del Contemporaneo di Daniele Mancini

Graphic Design Roberto Mancini/Kaos Agency s.r.l. (fonts, color palette) Book editing Daniele Mancini Ringraziamenti Lucio Altarelli, Irene Rinaldi, Renzo Mancini, Conti Silvana, Michele Mancini, Agostino Mancini, Roberto Mancini, Lucia Parrini, Paolo Rinaldi, Lorenzo Rinaldi, Erminia de Grandiis Immagine di copertina Bazaar, Piazza del Comune di Torino, Allestimenti di Daniele Mancini e Francesca Sassaroli, 2004 Fonts Caecilia, PF Din Text Pro Web www.unpacked.it Prima edizione Ottobre 2010 Terza edizione Marzo 2013 CopyleftŠ 2010 - 2013 Daniele Mancini http://www.unpacked.it Stampa Lulu.com www.lulu.com ISBN 978-1-4457-1325-0


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Questo testo è una rielaborazione della tesi di dottorato discussa nel 2006 presso il Dipartimento di Architettura e Progetto (ex DiAR) della Facoltà di Architettura di Roma La Sapienza. Ringrazio Lucio Altarelli che è stato mio advisor, il collegio dei docenti e i colleghi del dottorato XIX Ciclo. Le immagini all’inizio di ogni capitolo si riferiscono a installazioni che ho realizzato come direttore artistico e progettista di UNPACKED e che riguardano esplorazioni sui temi dell’interattività nella dimensione urbana.

Daniele Mancini (Roma, 1974), architetto, è dottore di ricerca in Teorie dell’Architettura, specializzato in Storia della Progettazione Architettonica e Master in Interaction Design . Ha lavorato in Olanda presso lo studio di Wiel Artes, a Parigi presso Jakob+McFarlane, ha collaborato a Torino con Cliostraat ed è stato project leader in e1-exhibition design unit ad Ivrea. Ha realizzato installazioni alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Architettura di Pechino, al Victoria&Albert Museum. Ha fatto parte del CICCIO Group con cui ha concepito una piattaforma didattica interattiva gonfiabile. E’ art director di Urban Fields. Insieme a Irene Rinaldi coordina di UNPACKED, un think tank open source a supporto di diverse forme di creatività contemporanea a cavallo tra il digitale e il reale. Scrive libri, articoli su riviste, si interessa di social media e del loro rapporto con il mondo della pratica progettuale. All’attività di architetto affianca quella di insegnamento: è docente presso la Facoltà di Architettura di Roma, ha insegnato allo IED, ha realizzato workshops per il NABA di Milano, è stato Visiting Teacher presso l'Architectural Association di Londra, l’ École d'architecture di Versailles e la Cornell University New York di Roma. Tiene aggiornato un blog alla pagina: http://unpacked.wordpress.com ed è inoltre raggiungibile su: http://www.facebook.com/danielemancini74

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INDICE

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01. La Città Sensibile Fenomeni Interpretazione Ambito culturale e premesse concettuali L’immaginario della Città Sensibile

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02. Interazioni Progetto e Soggetto Tutto è interazione Architettura potenziale

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03. Città Invisibile Smaterializzazione Spettri dello Spettro Hertzian Space Acquario Edifici installazioni Giardino di Microchips Blurring Liquidità

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04. Città delle Relazioni Playground a scala planetaria Estetiche Relazionali Antimonumenti Open Source Connected Communities Sorveglianza Minority Report Esclusività e seduzione Finzione: Magic Mirrors Hacked City

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05. CittĂ in Tempo Reale IstantaneitĂ , estensione, amplificazione City in Real Time: mappatura istantanea del territorio Nel ventre della Smart City Intelligenza Ubiqua Ibridazione: viruale nel Reale Telepresenza e estensione del corpo Lo sguardo simultaneo dello spazio Lo sgardo simultaneo del tempo Rock around the clock Disincarnazione Convergenze

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Bibliografia

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01. La CittĂ Sensibile


La Light City è la città in allestimento, cioè investita dalle modificazioni instabili, ambigue, impermanenti degli allestimenti che più di ogni altro modificano con le loro incessanti sperimentazioni il paesaggio metropolitano, fertile terreno di confronto tra il Moderno e il Contemporaneo. [Lucio Altarelli: 2006]

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1.1 Fenomeni Territorio privilegiato delle sperimentazioni sugli emergenti codici espressivi dell'interattività, il paesaggio urbano contemporaneo vede portare a termine l'ultimo atto di quel processo di smaterializzazione del quale è stato oggetto per la maggior parte della modernità e che trova nell’estetica immateriale dei flussi informativi digitali la sua apoteosi. La città-metropoli sembra infatti deporre definitivamente quest’ultimo velo, seppur impalpabile, e rivestirsi invece di una pelle sensibile altrettanto invisibile capace non solo di percepire, connettere in rete e memorizzare i molteplici stimoli dell'ambiente naturale circostante, ma anche di generare in tempo reale una risposta che spesso sconfina in una comunicazione sinestetica, emozionale, quasi irrazionale. Tutto questo grazie all'uso sempre più pervasivo di dispositivi tecnologici miniaturizzati che si innestano nel contesto urbano sia nella forma di allestimenti interattivi che come artefatti d'uso quotidiano smart e connessi alla rete. Ogni superficie della Città Sensibile si trasforma da passivo supporto proiettivo in una più coinvolgente membrana sensiente. Ogni ambiente diventa reattivo, percepisce la presenza umana e si mette in ascolto cogliendo ogni occasione per provocare, stimolare, suggerire reazioni all'utente che entra in dialogo con una intelligenza programmata, tuttavia adattabile, attraverso tutti i sensi. La Torre dei Venti di Toyo Ito che reagisce al rumore e agli agenti atmosferici illuminandosi; la facciata dell'IMA di Parigi di Jean Nouvel che filtra la luce del sole con un sistema di diaframmi automatici; la superficie pixel della Kunsthaus di Graz con la quale si può interagire in tempo reale usando gli smartphone; la facciata Hyposurface di DeCOi che rende nota l'intensità dell'attività umana all'interno di un luogo remoto, attraverso increspature metalliche della sua superficie servomeccanica; le vetrine dello shopping dove flâneur postmoderni personalizzano prima dell'acquisto le caratteristiche del capo d'abbigliamento scelto. Le superfici che come stargate mettono in comunicazione un preciso luogo di Roma e un'altro di New York, realizzando una spiazzante contiguità spazio temporale (telecontiguità); cristalli dei mezzi di trasporto (tram, autobus) come supporto per informazioni georeferenziate che avvisano della presenza di un certo servizio (ristorante, ufficio postale) nel quartiere che si sta attraversando; display dei dispositivi di comunicazione portatile (telefonini, navigatori, tablet) su cui compaiono 12


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seducenti messaggi pubblicitari personalizzati o informazioni storiche relative al luogo che si sta visitando. L’installazione Under Scan di Rafael Lozano Hemmer che dialoga con le ombre di coloro che attraversano gli spazi aperti dei luoghi di aggregazione; l'installazione Body Movies che trasforma uno spazio urbano in una sorta di grande radio dove i passanti, con il loro incedere, sintonizzano il dispositivo a diverse frequenze; i camerini virtuali del Prada Store progettati da Rem Koohlaas con IDEO, dove si viene serviti da una commessa virtuale che conosce misure, taglie e gusti dell'utente/cliente; gli ambienti immersivi di Studio Azzurro che esplora le potenzialità narrative e relazionali degli spazi tecnologicamente mediati che vengono chiamati ambienti sensibili. L’installazione Sky Ear di Usman Haque, un tappeto volante di palloni ad elio che captando il vento delle onde elettromagnetiche cambia colore come l'aurora boreale; il vapore fuoriuscito dalle ciminiere degli inceneritori che illuminato da opportuni dispositivi laser, diventano supporto comunicativo nelle installazioni critiche di HeHe; la nuvola immateriale di Diller+Scofidio che cambia e si adatta alle condizioni atmosferiche; i raggi luminosi urbani di Alzado, l'installazione di Rafael Lozano Hemmer che traduce messaggi spediti via sms o via internet in scenografici codici morse. Non solo la città in quanto sistema articolato di sostanza costruita e vacuità, ma anche il dominio intimo del corpo dei suoi abitanti e della loro sfera emozionale, si ritrova rivestito di abiti e accessori sensibili, connessi con il pervasivo sistema di reti digitali. Gioielli che si illuminano per avvertire che in un luogo remoto ed emotivamente significativo accade un certo evento (è arrivata a casa una persona cara); abiti che rilasciano volontariamente informazioni sulle proprie abitudini e preferenze che possono essere intercettate da altri individui nelle vicinanze; ombrelli che avvertono con segnalazioni luminose come andrà evolvendo il tempo; abiti che cambiano colore a secondo dello stato di disponibilità emotiva e di dialogo verso l'esterno; nuovamente i dispositivi personali di comunicazione portatile dotati di GPS che mappano una cartografia di spostamenti, soste e preferenze disponibile in tempo reale; oppure tag identificativi a radiofrequenza appliciati ad ogni tipo di merce che surretiziamente (come nel caso delle carte di credito) lasciano nel cyberspazio briciole dei nostri gusti. 13


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La città come sistema di ambienti sensibili [1] dunque, una città tamagochi per assurdo, che richiede di essere oggetto di scelte e viene investita della nostra emozione. Una città invisibile, nascosta, dormiente, (in)discreta che si attiva quando percepisce una scelta operata sulla sua pelle, dove l'estetica della visione si confonde con una estetica delle relazioni che fa spostare l'attenzione da come e dove vengono visualizzate immagini, a come e in che tempi si esperisce la situazione cioè l'evento interattivo. E inoltre una città interfaccia che svolge una azione relazionale, e che crea dialogo tra diverse nature coniugando fenomeni che appartengono a sfere percettive diverse. Ovvero una città sottotitolata, un ipertesto, una sorta di semiosfera urbana [2], in cui ogni individuo, ogni oggetto, superficie, facciata, ogni monumento o ambiente pervasivamente dotato delle tecnologie dei sensori, degli attuatori, dei dispositivi di localizzazione e individuazione e di quelli che connettono al layer dei network informatici, contestualizza e rende più significativi i dialoghi tra gli individui, che si costituiscono comunità globali a più dimensioni, e l'ambiente circostante, reale o virtuale che sia. Ma anche una città in grado di estendere le capacità cognitive o operative dei suoi abitanti attraverso i dispositivi di telepresenza, ubiquità e controllo remoto. E ancora una città palcoscenico, in cui la scenografia interattiva trasforma gli spettatori in attori e registi del proprio reality show. E comunque una città che continua a rimanere laboratorio di pratiche progettuali transdisciplinari e di sconfinamento che a volte affrontano criticamente il problematico rapporto tra l'ipercomunicazione tecnologica e il quotidiano, altre volte elaborano più rassicuranti (o subdoli?) scenari interattivi fagocitati dal consumo dello stupore, cioè le facciate pixel e ogni loro ulteriore variante. 1.2 Interpretazione Questo testo si propone di decifrare il fenomeno della Città Sensibile e dell'interattività che coinvolge, sfuocandone i bordi, i domini dell'architettura, dell'arte e della comunicazione, collocandolo in una prospettiva della contemporaneità dove è possibile rintracciare genealogie (diacronia) e piani problematici (sincronia, trasversalità) di riferimento. Le traiettorie interpretative costruite attraverso l’osservazione dei fenomeni, delle manifestazioni anche le più superficiali, si snodano attorno a tre grandi temi a ciascuno dei quali è dedicato un capitolo. 14


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La Città Sensibile intesa come Città del Tempo Reale o dell'Estensione e Amplificazione, dove si cerca di indagare come il dispositivo interattivo pervasivo rimoduli, attraverso la manipolazione del tempo (sincronia o asincronia della comunicazione) i concetti di contiguità (telecontiguità), presenza (telepresenza, ubiquità), partecipazione (hypervoyerismo), controllo (remote control) e rappresentazione spaziale (1:1 mapping) estendendo le capacità cognitive e operative dell'uomo. La Città Sensibile intesa come Città dell'Invisibilità, dove si esplora la dimensione immateriale dei flussi di informazione che saturano l'aria della metropoli di energie liquide, pronte ad essere “attivate” da membrane senzienti e reattive che ne rendono visibile l'estetica e la sensualità con restituzioni sinestetiche. La Città Sensibile intesa come Città Relazionale ovvero Narrativa e Fictional, dove si cerca di inquadrare il tema dell'interattività nel dibattito moderno contemporaneo nel quale si passa da un'estetica dell'oggetto (visibile e oggettivo) ad un’estetica dell'esperienza (invisibile, sentire da dentro: estetica ambientale, inclusiva, partecipativa, narrativa) in cui la forma segue la finzione (form follows fiction) ovvero dove non c'è distinzione tra reale e simulato. 1.3 Ambito culturale e premesse concettuali I ragionamenti e le perlustrazioni critiche si inseriscono nel più generale discorso relativo alla comprensione e interpretazione della condizione urbana modernocontemporanea pervasivamente mediata dalle tecnologie in perenne tensione innovativa del digitale. Una condizione urbana che Andrea Branzi riflette essere costituita oggi da servizi, reti informatiche, sistemi di prodotti, componentistica ambientale, microclimi, informazioni commerciali e intelligenti; che sono contenuti dall'architettura, ma che non sono rappresentabili con i codici figurativi dell'architettura[3]. e per la quale è necessario immaginare, in quanto designer una architettura meno compositiva e più enzimatica, che significa un'architettura capace di inserirsi nei processi di trasformazione del territorio senza predisporre codici figurativi esterni, ma qualità ambientali interne, disperse nel territorio e non racchiuse nel perimetro dell'edificio[4]. 15


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Lucio Altarelli nel suo saggio Light City, ricorre alla metafora della luce/leggerezza per spiegare come tale condizione urbana possa essere interpretata con la chiave della città in allestimento, cioè investita dalle modificazioni instabili, ambigue, impermanenti degli allestimenti che più di ogni altro modificano con le loro incessanti sperimentazioni il paesaggio metropolitano, fertile terreno di confronto tra il Moderno e il Contemporaneo. La Light City, facendo riferimento alla figura della sineddoche, guarda al tema degli allestimenti & installazioni come ottica particolare di osservazione, partendo dal presupposto che la città moderna e quella contemporanea in particolare, nelle loro forme, insegne, usi & consumi, abitudini & comportamenti, siano espressione di una città in allestimento. Dove il termine allestimento agisce come elemento di indirizzo estetico, in chiave cioè di linguaggio. Allestire è lo strumento del comunicare, del trasmettere, del mettere in mostra e dello spettacolo. Ma parallelamente rappresenta un principio teleologico che trae alimento positivamente dalle sue caratteristiche di leggerezza, provvisorietà, mobilità e instabilità. La città in allestimento configura pertanto un modo antipolare rispetto ai valori e ai toni aulici della memoria, della lunga durata, della stabilità rappresentati dalla città della storia e dell’architettura della città di pietra[5]. Mentre Branzi con il suo Modernità debole e diffusa esprime un manifesto critico e operativo per il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo, Lucio Altarelli, convinto che le modificazioni forti sulla città sono procurate dagli interventi deboli, impermanenti, quasi invisibili e immateriali degli allestimenti, indaga a fondo questo fenomeno, rilevandone le aporie attraverso sette percorsi: allestimento come lightness, allestimento come trasparenza, allestimento come trasversalità, allestimento come modificazione, allestimento come linguaggio, allestimento come sistema di oggetti, allestimento come smaterializzazione. L’indagine sulla Città Sensibile si colloca ipoteticamente tra le preconizzazioni di Branzi e l’analisi di Altarelli. Del primo coglie l’idea che è la pratica del progetto a dover necessariamente subire un ripensamento ed un aggiornamento operativo e culturale; del secondo l’urgenza di collocare il fenomeno della città in allestimento dentro un quadro di riferimenti problematici della tradizione della cultura architettonica moderno contemporanea. La Città Sensibile mutua la metafora della sensibilità dall’immagine consegnata da Toyo Ito del Tarzan nella Foresta dei Media[6], un uomo in perenne sforzo di 16


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adattamento nella metropoli mediata, dotato di un abito artificiale (l’abito mediale di McLuhan) che estende le sue capacità prostetiche oltre i limiti corporei [7]. Ma nella Città Sensibile l’abito è diventato ormai intelligente perché dotato di una membrana sensiente capace di mettersi in dialogo con l’ambiente circostante e con il layer invisibile del cyberspace. La tesi di fondo di questo saggio è che la pratica del progetto interattivo, attraverso i suoi orizzonti operativi e di senso, sia uno degli strumenti con cui si possono rilevare e ulteriormente interpretare alcune delle aporie che l'architettura della città sta elaborando nel rapporto tra modernità e contemporaneità.Si pensi ad esempio a come all’estetica sottrattiva della modernità (less is more) che ci ha consegnato opere leggere e quasi-trasparenti si sostituisca, attraverso l’immaterialità della dimensione digitale, una estetica della “disparizione” e delle “relazioni”.

1.4 L’immaginario della Città Sensibile Per quanto riguarda l’estetica della “diparizione”, la costruzione consapevole dell’immaginario contemporaneo si potrebbe ricondurre alle speculazioni di Virilio che negli anni ’80 attribuisce alle nuove tecnologie del digitale la smaterializzazione della realtà e soprattutto la “derealizzazione” dell’esperienza, cioè una percezione distaccata della realtà [8]. In quel contesto interpretativo infatti, e precisamente nel 1985, Jean-François Lyotard organiza al Beaubourg una mostra intititolata Les Immatériaux in cui vengono elevate a dignità estetica le varie forme di immateriale che si appropriano della vita quotidiana: la luce, l’energia, i calcolatori, immagini microscopiche di fibre artificiali, dati finanziari etc. [9]. A conclusione di questa traiettoria relativamente breve, nel 2000 Zygmut Bauman, concettualizza con l’espressione Liquid Modernity l’attuale condizione postmoderna della nostra società facendo riferimento al manifesto del partito comunista dove si prefigura una modernità dove “all that is solid melts into the air”: i corpi solidi per i quali oggi è scoccata l’ora di finire nel crogiolo ed essere liquefatti sono i legami che trasformano le scelte individuali in progetti e azioni collettive: i modelli di comunicazione e coordinamento tra politiche di vita condotte individualmente da un lato e le azioni politiche della collettività dall’altra[10]. 17


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L’estetica delle “relazioni” basa il suo immaginario su esperienze collocabili su una linea genealogica che si potrebbe far cominciare dalla dirompente modernità dell’esperienza Dada. Si pensi ad esempio alla prima visita dadaista alla Chiesa di Saint Julien le Pauvre [11], in un luogo totalmente casuale. Come nota Francesco Careri in Walkscape: Il primo ready made urbano di Dada segna il passaggio dalla rappresentazione del moto alla costruzione di un’azione estetica da compiersi nella realtà della vita quotidiana […]. La città dadaista è una città del banale che ha abbandonato tutte le utopie ipertecnologiche del futurismo. La frequentazione e la visita dei luoghi insulsi sono per i dadaisti una forma concreta per operare la dissacrazione totale dell’arte, per giungere all’unione tra arte e vita, tra sublime e quotidiano. […] Il ready made urbano che viene realizzato a Saint-Julien-le-Pauvre è la prima operazione simbolica che attribuisce valore estetico a uno spazio vuoto e non ad un oggetto[12]. Non solo. Quel luogo assume senso tramite la presenza degli artisti che si incontrano, si ritrovano, come fosse un rito demistificatorio, un momento di socialità. L’attualizzazione critica più recente dei fenomeni relazionali nel mondo dell’espressione artistica è dovuta a Nicolas Bourriaud che con il suo omonimo Relational Aesthetic scandaglia alcune esperienze degli anni ’90 mettendone in evidenza il framework operativo: I started writing Relational Aesthetics in 1995 with the goal of finding a common point among artists of my generation who interested me most, from Pierre Huyghe to Maurizio Cattelan by way of Gabriel Orozco, Dominique Gonzalez-Foerster, Rirkrit Tiravanija, Vanessa Beecrof, and Liam Gillick […] In search of the common denominator, it suddenly occorre to me that there was a new thematic frame work for looking at their works. I realized that every one of them without exception dealt with the interhuman sphere: relationaships between people, communities, individuals, groups, social networks, interactivity, and so on[13]. L’immaginario contemporaneo sul Tempo Reale, comincia a maturare a partire dai ritmi della fabbrica fordista, produzioni di esemplari per unità di tempo, per giungere alla misurazione delle trasmissioni di dati misurati in milioni o miliardi di Hertz, o bit per unità di tempo. Nel primo caso è il cinema che si fa carico di esprimere in maniera dirompente l’estetica della manipolazione del tempo, nel secondo caso, la rappresentazioni di fenomeni planetari di massa attraverso figurazioni astratte e diagrammatiche che si avrà modo di commentare nel campitolo della Città Sensibile come Città in Tempo Reale. 18


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NOTE [1] - Studio Azzurro è un collettivo di artisti italiani che ha esplorato a fondo il meccanismo interattivo attraverso numerose installazioni audiovisive che sono state definite “ambienti sensibili”: vengono ricreate delle ambientazioni in grado di intercettare le scelte dei visitatori attraverso le cosiddette “interfacce naturali”, cioè senza la mediazione di alcun supporto, e di reagire coerentemente con proiezioni e suoni.( http://www.studioazzurro.com/ ) [2] - Città sottotitolata, città ipertesto, semiosfera urbana, sono espressioni che descrivono la condizione amplificata della città grazie alle tecnologie interattive e di telecomunicazione. La città è realmente sottotitolata, è come se fosse un film: esistono delle applicazioni per smartphone grazie alle quali basta puntare la telecamera del telefonino verso un edifico per ottenere sul display informazioni riguardanti il costo degli appartamenti in vendita o in affitto. Oppure, puntando su un monumento, ottenere informazioni storiche. In questo senso la Città è un Ipertesto a scala urbana, cioè una raccolta di link che possono essere navigati attraverso dispositivi di connessione remota ed intelligente quali sono gli smartphone. Città come Semiosfera intesa come “dimensione di significati” che possono essere manipolati al di là del valore tangibile e visibile dei suoi artefatti: i links e le informazioni reperite dagli smarphone avvolgono la città reale di pietra. [3] - BRANZI, Andrea (2006), Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all'inizio del XXI secolo, Milano: Skira, p. 9 [4] - BRANZI, 2006: p.10 [5] - ALTARELLI, Lucio (2006) Light City. La città in allestimento, Roma: Meltemi, p.13 [6] - ITO, Toyo (1997) Tarzan in the media forest, in "2G", n. 2, Barcelona [7] - MCLUHAN M., (1964) Understanding Media (trad. 1995, Gli Strumenti del Comunicare, Milano: Il Saggiatore) [8] - VIRILIO, P. (1984) L'espace critique, Paris: Christian Bourgois (trad. 1988, Lo spazio Critico, Bari, Edizioni Dedalo) [9] - LYOTARD Jean-François, ARNAUD Alain, CHAPUT, Thierry (1985) Les immatériaux, Paris, Centre Georges Pompidou. Per alcuni frammenti del testo in italiano [http://www.edueda.net/index.php?title=Les_Immateriaux] [10] - BAUMAN, Z. (2000) Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge and Blackwell Publishers, Oxford, 2000 (trad. 2000, Modernità Liquida, Roma-Bari: Laterza) p.XI [11] - TZARA, T. (1921) Excursions & visites Dada: 1ère visite, Eglise Saint Julien le Pauvre, Paris [12] - CARERI, F (2006) Walkscape, Milano: Einaudi, pp.41-42 [13] - BOURRIAUD, N. (1998) Esthétique relationnelle, Paris: Les presses du reel (trad. 2010, Estetica Relazionale, Milano: Postmedia) p.7 19


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IMMAGINI 1 - Torre dei Venti, Yokohama (1986) di Toyo Ito 2 - Facciata dell’Institut du Monde Arabe di Parigi (1981-1987) di Jean Nouvel 3 - Bix, facciata interattiva per la Kunsthaus di Graz (2003) di realities:united 4 - BlurBuilding, EXPO 2002, Yverdon-Les-Bains (2002) di Diller + Scofidio 5 - Under Scan, Relational Architecture 11 (2005) di Rafael Lozano-Hemmer 6 - Sky Ear a Greenwich Park, Londra (September 15, 2004) di Usman Haque 7 - Tavoli (Perchè queste mani mi toccano?) (1995) di Studio Azzurro 8 - Piccoli spiriti blu, S. Maria al Monte dei Cappuccini, Torino (2000) di Rebecca Horn 9 - No-Stop City (1969-71) di Archizoom

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02. Interazioni


The word interactivity has now become too vague, like "postmodern", "virtual", "deconstruction" or other terms that mean too many things and is exhausted. Duchamp said "the look makes the picture" and when we say that everything is interactive, the word is not that interesting anymore. Also interactive sounds too much like a top-down 1-bit trigger button —you push it and something happens— which is too predatorial and simple. [Rafael Lozano-Hemmer: 2003]

L'interattività c'è sempre stata, si potrebbe dire che è allo base delle conoscenze dell'uomo, ma mai prima d'ora abbiamo avuto a disposizione strumenti e dispositivi talmente sofisticati da rendere le cose così mutevoli e comunicanti. Si può dire che siamo passati in questi anni da una materia fluida e inarrestabile, condizione estrema di uno "stare a guardare" di cui la televisione è il simbolo massimo, ad un materiale più malleabile, più disponibile a un "farsi toccare". La maggior parte dell'orizzonte comunicativo e informativo si sta delineando in questo senso, e non sempre per la nobile ragione di rendere più partecipative le persone, più democratici i sistemi o semplicemente per rispondere alle esigenze di persone per troppo tempo rimaste inerti e passive. [Paolo Rosa, Studio Azzurro: 2004]

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2.1 Progetto e Soggetto La stanza è vuota, non c'è proprio nulla ma se entro succede qualcosa che prima era invisibile e che ora c'è. Lo spazio percepisce la mia presenza, ascolta i miei movimenti e registra ogni mio minimo gesto. Ma soprattutto cerca di attivare un dialogo, di provocare una mia reazione. Questa è una installazione interattiva [1]. Nell'allestimento interattivo, il visitatore è sempre sollecitato ad agire con il proprio corpo, a rendere partecipe la sua persona di una breve performance. Gli viene infatti richiesto di sfiorare con la mano una superficie su cui è proiettata un'immagine, di toccare una sporgenza, di manipolare un dispositivo oppure un oggetto d'uso quotidiano al fine di entrare in dialogo con l'installazione e poter fruire di un contenuto specificatamente scelto o magari di produrne nuovi in collaborazione con altri visitatori. Ma l'opera da ammirare, l'artefatto da guardare, l'oggetto insomma esibito, del quale la scenografia espositiva esalta i valori estetici, concettuali o narrativi; ovvero attorno al quale il progetto di allestimento organizza il flusso continuo e molteplice di sguardi partecipi che colgono frammenti di informazioni decontestualizzate, è assente. L'oggetto per così dire si è smaterializzato, si è logorato, ha perso fisicità, è diventato una superficie di mediazione [2], il veicolo che relaziona gli individui tra di loro e all'ambiente. Una interfaccia insomma, che può essere al limite totalmente invisibile come nel caso degli “ambienti sensibili” in cui l'interazione si basa sulla gestualità atavica propria dell'uomo [3], oppure macroscopica quanto un edificio le cui facciate si trasformano in palinsesti reattivi alle sollecitazioni esogene [4]. D'altronde si può collocare questo fenomeno nella cornice ermeneutica del (post)moderno: le macronarrazioni hanno lasciato spazio ad un flusso evenemenziale e discretizzato della storia che ha determinato il successo dell'individualità, dell'identità atomica e singola contrapposta a quella del gruppo [5]. Per cui la superficie, la maschere, gli abiti diventano luoghi dove poter operare l'esteriorizzazione della propria interiorità. Da un certo punto di vista questa “crisi dell'oggetto” è stata chiaramente registrata dall'arte contemporanea attraverso esperienze che si sono soffermate anziché sui valori estetici dell'opera, piuttosto sulle implicazioni concettuali e sociali del gesto artistico. Se si passa “dall'oggetto al soggetto”, la tensione creativa è rivolta alla messa in scena di un evento a cui i visitatori dell'opera sono chiamati a partecipare, anzi, essi stessi sono l'opera: in maniera lapidaria Duchamp “Le regard fait le tableau”. Quello che conta è come si agisce, con quale parte del corpo, dentro quali spazi, 26

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su quali superfici, quale è il fine ultimo dell'agire, e quali consapevolezze aggiunge il prendere parte alla scena. L'esperienza dell'happenings [6] e di tutti i movimenti performativi in questo senso, è stata un contributo essenziale all'emancipazione dell'arte il cui prodotto non è più esclusiva contemplazione anestetica ma partecipazione corale. Parimenti, l'esperienza immersiva, sensoriale e percettiva, viene ampiamente anticipata negli anni '60 dall'Arte Cinetica – per esempio Calder, Vasarely, Munari - e poi, soprattutto, dalle opere dell'Arte Programmata – per esempio il Gruppo T [7]. Prima con il pensiero sistemico che ha sostituito l'uomo con la macchina, poi con il digitale che ha reso necessaria l'atomizzazione della realtà, giunge infine a compimento questo processo di totale dematerializzazione dell'oggetto che si trasforma in flussi evanescenti di informazione e di energia. Ecco dunque che l'allestimento interattivo precedentemente descritto sembra proprio collocarsi nel punto di convergenza dei paradigmi appena illustrati: si passa da un'estetica dell'oggetto visibile e tangibile ad una estetica dell'esperienza partecipativa e immersiva tuttavia invisibile e imponderabile. Il dispositivo interattivo si trova quindi ad essere una sorta di amplificatore che rende del tutto manifesto il fenomeno della partecipazione e del coinvolgimento dello spettatore/autore. In sostanza un allestimento interattivo non “mette in scena” uno spettacolo che implica lo sguardo stupito, passivo e infine anestetizzato. Piuttosto mette in azione un dramma a cui si viene chiamati a partecipare. L'epifania non è data ma è da ricercare: alla narrazione di un oggetto conosciuto, reale o immateriale che sia, si sostituisce la narrazione di uno o molteplici soggetti. Questi costruiscono un contenuto in continua evoluzione mettendosi in relazione attraverso un'interfaccia, che per esempio può essere lo stesso allestimento spaziale simbolico, controllata da un dispositivo tecnologico che percepisce, memorizza e reagisce. Per questi motivi la progettazione dell’allestimento interattivo non insiste solo sulla figuratività, sui formalismi, sulla materia e sulle quantità, ma soprattuto sulle soglie qualitative dell’interazione tra soggetti e contesto dialogante. Quindi l'allestimento interattivo, leggero, mutevole, pervasivo, adattabile e coinvolgente può essere pensato come una sorta di pellicola sensibile che riveste la città, su cui si sedimentano e trovano espressione alcune questione della nostra modernità liquida e iper connessa di cui si darà conto nei capitolo successivi: il rapporto tra lo spazio reale e quello virtuale che produce ambigue ubiquità, l'eccesso sinestetico della comunicazione di 27


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massa, l'accadimento simultaneo e in ogni luogo di più eventi interconnessi, il regime di controllo involontario a cui siamo sottoposti per via del sempre più diffuso uso di dispositivi di localizzazione portatile (GSM o i telefonini), l'insostenibile pervasività e immaterialità dei campi elettromagnetici. 2.2 Tutto è interazione L'interattività, intesa come processo conoscitivo, è alla base di qualsiasi esperienza umana. L'individuo nel corso della sua vita espande e riduce le sue capacità di esperire la realtà e mettersi in relazione con il mondo attraverso l'affinamento o estensione di abilità corporee e mentali. Gli strumenti d'uso e in generale tutti i progressi della tecnologia sono esempi di estensione fisica, mentre le teorie scientifiche e le speculazioni teoretiche sono esempi di estensioni mentali. Quindi è fuori dubbio che nel linguaggio corrente “tutto è interazione” e che l'interazione sia sempre esistita nella fruizione di un'opera d'arte, nell'esperienza prossemica, nell'uso degli oggetti e nella comunicazione quotidiana. Tuttavia dalla teoria dell'informazione, e in particolare dal contributo “Converstation Theory” dello studioso di cibernetica Gordon Pask [8], l'interattività assume una connotazione molto precisa che ha a che vedere con il grado di adattabilità di due sistemi cognitivi dialoganti. Usman Haque, architetto e artista che fa ricorso ai media interattivi, recuperando le teorie cibernetiche di Gordon Pask, ha affrontato abbastanza approfondidamente il problema della definizione di “interattività” con lo scopo di dare fondamento rigoroso alle sue installazioni. Nel testo Architecture, interaction, systems [9] chiarisce due concetti fondamentali. Per prima cosa Interattivo e Hi-Tech non sono parole intercambiabili perché si può realizzare un dispositivo interattivo senza che sia tecnologicamente complesso; viceversa la tecnologia rende alcuni aspetti dell'interattività più semplici da raggiungere. Inoltre spiega che: [...] nei suoi fondamenti, l'interattività ha a che vedere con le transazioni di informazioni tra due sistemi (per esempio tra due persone, tra due macchine, o tra una persona e una macchina). L'elemento discriminante tuttavia risiede nel fatto che queste transazioni dovrebbero essere in qualche maniera circolari altrimenti si deve parlare di mera “reazione”.[...] Inoltre, nel senso proprio inteso da Gordon Pask, l'interazione non ha a che vedere con la complessità delle transazioni ma dall'apertura e dalla continuità con cui i cicli di domanda e risposta avvengono. E anche dall'abilità di ciascun sistema, mentre interagisce, di avere accesso e poter modificare gli obbiettivi l'uno dell'altro. 28


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Haque sostiene che molte installazioni che vengono definite interattive solo perché reagiscano ad un set predeterminato di comportamenti dei visitatori, in realtà non sono tali e che è invece necessaria una intelligenza adattabile e un sistema di sensori e attuatori capace di entrare in dialogo con il visitatore e suscitare comportamenti inaspettati. A parte questa specificazione che è resa necessaria per motivi lessicali, risulta molto più rilevante il fatto che da alcuni anni l'esperienza interattiva viene fatta oggetto di azioni progettuali e di studio specifico da parte di molte discipline che a seconda dello scopo, ne valorizzano gli aspetti puramente funzionali ed ergonomici, altre volte ne prediligono quelli sensoriali ed emotivi. Questo risultato viene perseguito modellando forme, scegliendo materiali, prefigurando meccanismi d'uso, introducendo una qualche sorta di dispositivo tecnologico, allestendo spazi e immaginando i contesti e i tempi in cui l'esperienza, che potremmo dire tautologicamente interattiva, viene vissuta. È ciò di cui di occupa l'Interaction Design [10] che in una frase è, secondo Gillian Crampton Smith: l'attività progettuale che rende sostenibili e piacevoli tutte le occupazione della nostra vita quotidiana attraverso l'applicazione degli artefatti della cultura digitale. In questo testo si fa riferimento all'interattività intendendola come interazione tecnologicamente mediata che scaturisce dall'applicazione di dispositivi tecnologici digitali che hanno la capacità di: sentire attraverso dei sensori; attivarsi tramite degli attuatori; mostrare un contenuto su un display o con una proiezione; memorizzare i dati delle scelte operate dagli utenti; adattarsi alle mutevoli e imprevedibili situazioni esterne attraverso una consistente capacità di calcolo e un software opportunamente approntato; connettersi in maniera remota ai network informatici per poter dialogare con altri dispositivi o con internet; scomparire o mimetizzarsi in virtù della loro incessante miniaturizzazione. Questi dispositivi, opportunamente contestualizzati, introducono nuove caratteristiche nei rapporti di conoscenza. Permettono innanzitutto di amplificare i fenomeni di relazione sociale poiché se sollecitati attraverso le loro interfacce reagiscono, instaurano un dialogo, si lasciano esplorare. Poi coniugano, attraverso la conversione digitale, dimensioni differenti trasducendo energia da una forma all'altra (sinestesie). Inoltre sono in grado di organizzare i dati provenienti dalle interazioni tra i soggetti coinvolti nell'esperienza per potersi adattare ad alti gradi di indeterminazione e prevedere scenari futuri. Quello che risulta interessante è che il dispositivo interattivo è oggetto di una azione pro29


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gettuale che si discosta fortemente dalle intrinseche riflessioni sui caratteri tipologici, formali, compositivi, e costruttivi dell'architettura e dell'allestimento. L'allestimento interattivo per prima cosa è una messa in scena di una narrazione, di una fiction con i suoi personaggi, i suoi ruoli e le sue scenografie. Pertanto va chiarito il soggetto e la sceneggiatura dell'azione. Ma c'è anche bisogno di una metafora spaziale o superficiale, cioè l'interfaccia, che renda intuitivamente palese il meccanismo interattivo e stimoli alla partecipazione [11]. Dal punto di vista comunicativo, c'è bisogno inoltre di produrre un contenuto su cui i soggetti possano confrontarsi. Ed è essenziale modulare di conseguenza i registri comunicativi che possono variare dal piano didascalico a quello evocativo, sinestetico o anche emozionale. La videoinstallazione interattiva Tavoli (Perchè queste mani mi toccano) di Studio Azzurro chiarisce ognuno di questi punti. In un ambiente buio sono disposti sei tavoli lisci. Sulla loro superficie vengono proiettate delle immagini che descrivono una sorta di attesa: c'è una donna che respira, una ciotola dentro cui goccia ossessivamente dell'acqua, una mosca che ronza, un candeliere che brucia. Non appena la mano del visitatore sfiora la superficie proiettata, la scena cambia, evolve in qualcos'altro e si mette in ascolto di successive sollecitazioni che permetteranno, tavolo dopo tavolo, di ricostruire lo scenario narrativo generale: che cosa toccano le mie mani? La venatura del legno o la consistenza immateriale di vite artificiali? 2.3. Architettura potenziale Il progetto d'interazione quindi sembra offrire molte opportunità alla pratica dell'architettura contemporanea. In fondo le domanda sono queste: in quale maniera l'interattività è rilevante per il discorso architettonico? E In quale maniera l'architettura può trarre vantaggio dalle prefigurazioni degli allestimenti interattivi? Si può dire che gli orizzonti progettuali disvelati dalla pratica interattiva indicano la via di una architettura non compositiva o figurativa a “bassa definizione” quasi, dove piuttosto l'attenzione viene spostata dall'oggetto fisico progettato in tutti i sui dettagli, al sistema di relazioni che i soggetti stabiliscono tra di loro e con il contesto che può essere reale o virtuale, naturale o artificiale. Una architettura “potenziale”, che suggerisce molteplici modalità d'uso, e a cui viene richiesta partecipazione, condivisione delle risorse e comprensione del contesto. Alla “messa in scena” dello spettacolo della visione, si sostituisce una più complessa “messa in azione” di una narrazione relazionale e dinamica: l'allestimento si trasforma da scenografia cinematografica a stage teatrale spa30

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ziale, coinvolgente, dove attori, registi e spettatori si confondono. Lo scenario interattivo prefigurato è aperto e adattabile: l'intelligenza che regola i meccanismi di azione e reazione nonostante sia assolutamente determinata, tuttavia è in grado di gestire l'indeterminatezza dei comportamenti degli utenti le cui preferenze vengono mappate in cospicui database. Per cui il processo di fruizione dell'opera/performance, diventa assimilabile ad un vero e proprio processo di creazione di contenuti non previsti a priori, generativo, di tipo inclusivo e partecipativo. E questo significa che l'interattività implica il concetto di progetto non finito: un seme innescato che cresce, si adatta, si evolve o regredisce ma che comunque innesca relazioni e amplifica, attraverso l'uso della tecnologia, aspetti molteplici della vita sociale dell'uomo che si trova a prendere parte di una sorta di opera totale collaborativa. All'apparenza, ancora, niente di nuovo sotto il sole. Se si considerano le visioni di Archigram, l'utopia di Constant o quella di Friedman e i progetti cibernetici di Cedric Price, le parusie urbanistiche di Superstudio o la No-Stop city di Archizoom, molti di questi temi sono stati esplorati: architetture profondamente dialettiche che traevano dalla critica materialistica del contesto socioeconomico la forza di proporre modelli alternativi all'architettura moderna. Ma quante occasioni sono state poi effettivamente colte? Credo quindi che gli orizzonti offerti dal progetto interattivo, per i valori di cui è latore e per via delle problematiche multidisciplinari che affronta, sia una delle possibili strade per una architettura che si possa finalmente affrancare dalle allucinazioni tecnobarocche della rappresentazione digitale, al fine di predisporre il campo ad una sorta di ecologia ibrida in cui il naturale e l'artificiale possano trovare un più sostenibile punto di incontro.

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NOTE [1] - QUINZ E. a cura di (2004), Invisibile, catalogo della mostra a Palazzo delle Papesse, SienaPrato: Gli Ori, p. IX In assenza dell'oggetto, emerge un'estetica dell'esperienza. L'opera diviene l'installazione, l'allestimento di uno spazio-tempo di sperimentazione, di esperienza [2] - MC LUHAN M., (1964) Understanding Media (trad. 1995, Gli Strumenti del Comunicare, Milano: Il Saggiatore), p. Clothing, as an extension of the skin, can be seen both as a heat control mechanism and as a means of defining the self socially. In these respects, clothing and housing are never twins, though clothing is both nearer and elder. [...] There is, also the ritualistic exposure of the body indoors and out-of-doors. Psychologists have long taught us that much of our hearing takes place through the skin itself. After centuries of being fully clad and of being contained in uniform visual space, the electric age ushers us into a world in which we live and breathe and listen with the entire epidermis. [3] - ROSA, P. (1999), Rapporto confidenziale su un esperienza interattiva, in CIRIFINO F., ROSA P., ROVEDA S., SANGIORGI L. a cura di (1999), Studio Azzurro, Ambienti sensibili. Esperienze tra interattività e narrazione, catalogo della mostra omonima, Roma, Palazzo delle Esposizioni 1999, Milano: Electa, p. 159 Cercare una relazione attraverso interfacce semplici, sistemi amichevoli. Fuori da tutta la gamma di interfacce utilitaristiche, mouse, tastiere, data glove o quanto altro ci ricolleghi ad una lettura tecnologica della relazione. Meglio se nell'ambiente non compare nemmeno l'ombra di un filo elettrico. Questo permette di vedere con più chiarezza, non la "tecnologia", ma i suoi effetti. Le "interfacce naturali", come le abbiamo definite, non utilizzando sistemi simbolici, concorrono inoltre a favorire un'azione, o reazione, pre-logica, istintiva e a confrontarla, ma solo successivamente, con un approccio più razionale. [4] - MIRTI, S. and APRILE W. (2004) Building as Interface. Or what Architects Can Learn From Interaction Designers, in Boullivant, L. curated by (2005), 4dspace: Interactive Architeture, AD Architectural Design Vol 75 N. 1 Jan/Feb monographic issue, London: Wiley-Academy [5] - LYOTARD, J.-F. (1979), La Condition postmoderne: Rapport sur le savoir, Paris: Minuit (trad. 1985, La condizione Postmoderna, Milano: Feltrinelli), p. 6 Semplificando al massimo, possiamo considerare “postmoderna” l'incredulità nei confronti delle metanarrazioni. [...] La funzione narrativa perde i suoi funtori, i grandi eroi, i grandi pericoli, i grandi peripli e i grandi fini. [6] - Comunemente la prima performance di Happenining viene considerata 18 Happenings in 6 Parts (1959) di Allan Kaprow. Durante questa opera evento accadde che John Cage recitava poesie, M.C. Richards leggeva alcune delle sue opere, Robert Rauschenberg mostrava alcuni dei suoi dipinti e faceva suonare un fonografo, David Tutor suonava il piano e Merce Cunningham danzava. Tutto questo accadeva contemporanemente non su un palcoscenico, ma tra la gente. Un testo fondamentale è: KAPROW, A. (2003), Essays on the Blurring of Art and Life, Ed. Jeff Kelley. Berkeley: University of California Press [7] - Il 15 maggio 1962 viene inaugurata nel Negozio Olivetti della galleria Vittorio Emanuele di 32


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Milano la mostra "Arte Programmata". Il nome si deve a Bruno Munari, ispiratore dell'iniziativa, mentre la teorizzazione di un'arte cinetica come paradigma di "opera aperta" è di Umberto Eco che firma il catalogo edito per l'occasione. Per la vicenda dell’arte programmata e cinetica in Italia con un profilo critico aggiornato, a parte il catalogo della mostra: VERGINE, L. (1984), L'ultima avanguardia. Arte programmata e cinetica 1953/1963, catalogo della mostra, Milano: Mazzotta ma anche il catalogo della mostra omonima al negozio Olivetti di Piazza San Marco che si è svolta dal 30 agosto al 28 ottobre 2012: MENEGUZZO, M., MORTEO E., SAIBENE A. (a cura di) (2012) Programmare l'arte. Olivetti e le neoavanguardie cinetiche, Johan & Levi: Monza Risorsa on line sintetica: http://www.edueda.net/index.php?title=Arte_cinetica_e_programmata [8] - Gordon Pask, Psicologo e studioso di Cibernetica ha lavorato negli anni 70 e 80 con molti architetti che gravitavano attorno all'Architectural Association in particolare John Frazer e Cedric Price. Da cui l'importanza di comprendere il suo pensiero all'interno delle sperimentazioni di quegli anni che molto influenzano la ricerca attuale sull'interattività e l'architettura. Il suo testo fondamentale: PASK, G. (1976), Conversation Theory: Applications in Education and Epistemology, Amsterdam: Elsevier Publishing Co. [9] - HAQUE, U. (2006), Architecture, interaction, systems, Arquitetura & Urbanismo, AU149, Brazil, 2006 [10] - L' interaction design è stato per la prima volta introdotto come disciplina da Bill Moggridge che alla fine degli anni 80 chiamò SoftFace l'attenzione nella progettazione dell'interazione dell'uomo con l'ambiente circostante (oggetti, strumenti, ambiente). Bill Moggridge è stato uno dei soci fondatori di IDEO, la più importante compagnia di Interaction Design nel mondo. Nel 1989 Gillian Crampton-Smith fonda un Master in Interaction Design al Royal College of Art a Londra (originariamente intititolato “computer-related design" e ora attivo come "design interactions"). Dal 2001 è stata la direttrice scientifica dell Interaction Design Institute Ivrea, totalmente dedicato all'insegnamente dell'interaction design. Una ulteriore definizione di interaction Design è quella di Bill Moggridge in Designing Interactions, in Zanini, M. (2004) Vision, Interaction Design Talkabout, IDI Ivrea: Ivrea, p. 5 Broadly, interaction design is the design of everything that is both digital and interactive. Design has always been concerned with interactivity. When you design a simple object like a wine glass, the interaction between the person who uses the glass and the object itself is at the forefront of your mind. You think about creating a beautiful shape for the glass, but you also think about what it looks like as you pour the wine into it, what it is like to feel the shape of the stem in your finger tips, to lift it to your lips, to smell the bouquet, and to feel the rim of the glass as you take a sip. You think about all the interactions with the object, from the point of view of everyone who will interact with it, from manufacture, through purchase, the cycle of use, and finally recycling or disposal. The designer aims to make those interactions as enjoyable and satisfying as possible. The new discipline called “Interaction Design” has emerged to design interactions enabled by digital technology. The traditional approach to designing interactions, like that for the wine glass, does not help the designer to navigate in the artificial context of bits, pixels, input devices, users’ conceptual models and organizing metaphors. A new discipline is necessary to equip designers with the knowledge and tools that allow them to “create or contrive for a particular purpose or effect” in this digital context. [...] A narrow definition of interaction design is the design of the subjective and qualitative aspects of everything that is both digital and interactive, creating designs that are useful, desirable and accessible. One can also think of interaction design in a narrower way as a discipline that is related to the experience and background of other design disciplines that deal in aesthetics and qualitative values, like archi33


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tecture, industrial design and graphic design. It is the equivalent of these disciplines in that the first concern of the designer is the values of the people who will use the design; the aesthetics, subjective and qualitative values, and human factors: the designer creates a solution to give pleasure and lasting satisfaction, and hence to fit the market, business and social requirements. [11] - L'affordance è l'aspetto fisico di un oggetto che permette all'utilizzatore di dedurne le funzionalità o i meccanismi di funzionamento. Il termine è stato introdotto nel 1966 dallo psicologo James J. Gibson. Più alta è l'affordance più sarà automatico ed intuitivo l'utilizzo di un dispositivo o di uno strumento. Ad esempio, l'aspetto di una maniglia su una porta dovrebbe far intuire al meglio e automaticamente come questa vada aperta: se tirata, spinta, o fatta scorrere (una porta che si apre automaticamente al passaggio ha una scarsa affordance, poiché è molto poco intuitivo il suo funzionamento). Tra gli oggetti con una migliore affordance possiamo citare la forchetta o il cucchiaio, strumenti che nel corso dei millenni sono stati affinati dall'uomo fino alla forma odierna, estremamente intuitiva e di semplicissimo utilizzo. [tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Affordance] Testi fondamentali in questo senso risultano: GIBSON, J. J. (1977), The Theory of Affordances, in Perceiving, Acting, and Knowing, Eds. Robert Shaw and John Bransford e inoltre NORMAN, D. (1988), The Design of Everyday Things (The Psycology of EveryDay Things), New York: Basic books (trad. 1990, Donald A. Norman, La caffettiera del masochista: psicopatologia degli oggetti quotidiani, traduzione di Gabriele Noferi. Firenze: Giunti)

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IMMAGINI

1 - Spazio + linee luce + spettatori (1964) di Davide Boriani (Gruppo T) 2 - Spazio Elastico (1967) di Gianni Colombo (Gruppo T) 3 - Strutturazione a parametri virtuali (1969) di Gabriele De Vecchi (Gruppo T) 4 - Dilatazione spaziotemporale di un percorso (1969) diGrazia Varisco (Gruppo T) 5 - Prisma Meccanico (1967) di Piero Fogliati 6 - Serigrafia Senza Titolo (1968) di Victor Vasarely 7 - Struttura 743 (1964) di Enzo Mari 8 - The Weather Project, Turbine Hall, Tate Modern, London (2003-2004) di Olafur Eliasson 9 - The Uncertain Museum, Palazzo delle Papesse, Siena (2004-2005) di Olafur Eliasson 10 - Black, White, and Ten Red, NGA, Washington (1957) di Alexander Calder 11 - Cybernetic Serendipity, locandina della mostra di computer art,Institute of Contemporary Arts, London (1968) a cura di Jasia Reichardt 12 - Diapolyecran, sistema di proiezione sincrona, Padiglione Cecoslovacco, Esposizione Modniale di Montreal, (1967) di Josef Svoboda e Emil Radok 13 - The Shadow Dance (1675) di Samuel van Hoogstraten 14 - One and Three Chairs (1965) di Joseph Kosuth

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03. CittĂ Invisibile


Non abbiamo meditato a sufficienza sulle profonde cause dell'evoluzione generale della tecnologia: la miniaturizzazione, ridurre a niente o quasi niente la dimensione di ogni apparecchio, non implica soltanto rifornire l'organismo di pezzi di ricambio in scala al corpo umano, ma anche creare all'interno dell'individuo una concorrenza parasensibile, uno sdoppiamento dell'essere al mondo. [Paul Virilio: 1989]

Sono questi i motivi per considerare la “fluidità” o la “liquidità” come metafore pertinenti allorché intendiamo comprendere la natura dell'attuale e per molti aspetti nuova fase nella storia della modernità [Zygmunt Bauman: 2006]

Per architettura meno compositiva e più enzimatica, che significa un'architettura capace di inserirsi nei processi di trasformazione del territorio senza predisporre codici figurativi esterni, ma qualità ambientali interne, disperse nel territorio e non racchiuse nel perimetro dell'edificio. [Andrea Branzi: 2006]

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3.1 Smaterializzazione La Città Invisibile è la città immateriale dei flussi di informazione che saturano l'aria metropolitana di energie liquide, pronte ad essere “attivate” da membrane senzienti e reattive che ne rendono visibile l'estetica e la sensualità con restituzioni sinestetiche. Ma è anche la città dalla complessa geografia senza forma delle onde elettromagnetiche [1] che veicolano informazioni ed energia nell'etere planetario. Una città diffusa, astratta, leggera, impalpabile ma anche sensuale che si contrappone alla città localizzata, figurativa, pesante, materica e gerarchica della modernità [2]. Da una parte l'oggetto diventa una superficie di mediazione, una interfaccia dialogante che mette in comunicazione gli individui tra di loro e all'ambiente. Pertanto è la pelle dell'edificio che domina la scena urbana rendendo palese questa dimensione fluida e inafferrabile attraverso delle restituzioni sinestetiche che coinvolgono il piano dei sensi e della percezione aurale. Dall'altra si intravede lo scenario di una ecologia ibrida dove l'architettura viene intesa come organismo artificiale in grado di favorire processi di scambio energetico tra uomo e natura. Quindi un organismo senziente in grado di percepire e mettere a disposizione del suo abitante gli strumenti per interpretare la natura artificiale dei flussi informativi. Ma anche un organismo adattabile, un ambiente interattivo, che risponde, attraverso una intelligenza invisibile e miniaturizzata, alla mutevolezza indeterminabile dell'ambiente circostante. 3.2 Spettri dello spettro In un para-fantascientifico 2007, BooBoo, una ragazza dotata di poteri telepatici, si trova a compiere un viaggio nel passato per salvare la Terra da una minaccia elettromagnetica mentre suo padre Yogi organizza una rete di hacker contro NEO, il Nuovo Ordine Elettromagnetico mondiale stabilito dalle multinazionali detentrici del monopolio dello spettro delle radiofrequenze. Spaventati dall'uso indiscriminato di una futuristica macchina da guerra ispirata dall' HAARP (High-Frequency Active Auroral Research Program, ente realmente istituito dalla marina militare statunitense negli anni '90), BooBoo, inizia la sua avventura per scoprire il segreto che la nonna scienziata aveva nascosto in un episodio della serie televisiva degli anni 50 chiamata “Science Action!”. Questo viaggio nello spazio delle onde propagate nell'etere a partire delle prime trasmissioni radio, si trasforma in un viaggio accelerato all'indietro nel tempo 40


in cui si incontrano gli eroi e i martiri della rivoluzione elettromagnetica: Mesmer, Morse, Bell, Tesla, Farnsworth rivivono attraverso il montaggio spericolato di spezzoni video provenienti da archivi cinematografici i più disparati e da vecchie trasmissioni televisive. La media-archeologia composta ad arte per sostenere la narrativa del viaggio nel tempo elettromagnetico, tenta di ricostruire una storia della civiltà moderna sulla base del controllo dello spettro ma in realtà è un allegoria che critica fortemente l'egemonia delle industrie tecnologiche e militari che hanno sempre più controllo sulle nostre esistenze. Non a caso il film, girato in 16 mm con etichetta indipendente, è diventato uno dei manifesti artistici del popolo di Seattle nel 1999. A parte l’estetica del collage che Craig Baldwin [3], allievo di Bruce Connor, mutua da precedenti esperienze di videoarte, e a parte il concitato e visionario plot, questo film fa concettualmente riferimento a molti dei temi che arte, architettura e design hanno affrontato nel rapporto con i flussi immateriali e invisibili della città dell'informazione contemporanea. Risulta quindi di particolare interesse analizzare le occasioni che sono state colte nell'averli considerati come entità fisica, tangibile con qualità estetiche e sensuali, o ancora luogo di scontro politico, di dialettiche sociali e di riflessione critica. 3.3 Hertzian Space Nell'arco di un secolo lo spettro delle emissioni elettromagnetiche dentro le quali siamo naturalmente immersi, si è andato via via arricchendo e specializzando parallelamente ai progressi nell'uso dell'energia elettrica e delle telecomunicazioni. Si sa infatti che ogni oggetto elettrico d'uso comune, dal forno a microonde al computer, dal rasoio elettrico alla televisione irradia un campo di onde elettromagnetiche invisibili di diversa ampiezza e lunghezza. Se si analizzano i diagrammi dello spettro elettromagnetico ci si accorge che la parte extra sensoriale, cioè quella che i nostri sensi non sono in grado di convertire negli stimoli nervosi che producono la vista, l'udito e il senso di caldo o freddo, è incredibilmente complessa e copre una enorme estensione di frequenze. Si va dalle trasmissioni degli oggetti elettrici che spargono energia a 50 Hz ai raggi cosmici passando per le onde delle trasmissioni radiofoniche, televisive, quelle dei telefonini che si collocano fino ai 2.2 Ghz circa, l'infrarosso, la luce visibile, che ha una banda relativamente stretta, l'ultravioletto e infine i famigerati raggi gamma. Ma anche se i nostri organi si senso non sono in grado di percepire questa realtà, tuttavia l'insieme delle radiazioni elettromagnetiche 41


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che può essere definito Hertzian Space è da considerare non come puro fatto nozionale, quanto piuttosto come realtà fisica tridimensionale, come sostengono Dunne e Raby: The dreams of electronic object are made from electromagnetic radiation. These dreams radiate outwards from the object, creating a new invisible but physical environment that we call hertzian space. It is here that the secret life of electronic objects is played out, secret not only because we rarely glimpse it, but also because we are only just beginning to understand it. (Dunne, Raby, 2001: pag.8) Sopratutto, a differenza del cyberspazio che spazializza metaforicamente l'attività virtuale che si svolge dentro i computer di tutto il mondo [4], lo Hertzian Space è reale, vero, tangibile, perché interagisce invisibilmente con il nostro corpo e il mondo fisico che ci circonda in maniera peculiare, dando vita a paesaggi molto diversi tra di loro, con ombre o spot di maggiore intensità, descrivibili da mappature per così dire elettrogeografiche. A questo riguardo il progetto WiFi Camera Obscura, di Usman Haque e Adam Somlai-Fisher viene sollecitato proprio dall'esigenza di rendere palese il nostro rapporto con le onde radio che trasportano le informazioni delle reti informatiche. Similmente a quello che succede nella camera obscura illuminista che fa emergere solo l'energia visibile con gli occhi (la luce), realizzano una sorta di camera obscura dell'era elettronica capace di filtrare solo le frequenze relative all'energia emanata dalle reti WiFi che sempre di più invadono spazi pubblici e privati della città. Attraverso un opportuno processo di trasduzione questo dispositivo è in grado di “fotografare” in tempo reale i continui cambiamenti dei flussi elettromagnetici sintonizzati sulla frequenza dei 2.4 Ghz. La restituzione grafica è data da immagini pixelate monocrome sovrapposte, ciascuna indicante l'attività di una specifica rete WiFi. Di portata concettuale più vasta è invece un altro progetto di Usman Haque chiamato SkyEar: una nuvola di palloni ad elio lanciata in aria che cattura le onde elettromagnetiche della città e le visualizza come fosse una sorta di aurora boreale elettrica urbana e con la quale è possibile interagire attraverso i telefonini. Le qualità estetiche e sensuali dei campi che vengono esplorate attraverso processi di resa sinestetica sono l'obiettivo di molte ricerche artistiche attuali che usano proprio le onde elettromagnetiche come medium espressivo. Per lo più si tratta inusuali esperienze estetiche visuali ma anche sonore che palesano una serie di dati scientifici: Franz Xaver per esempio con Hydrogen (RT03) lascia 42


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ascoltare il rumore di fondo dell'universo; alla stessa maniera Fischer e Heimbecker con Solar Listening Station fanno ascoltare il “suono” del sole; il gruppo Artificiel con Beyond 6281, esplora le qualità sonore e aurale degli apparecchi illuminati, Aaron Kaplan con Volume rendering of interference patterns visualizza come in una tomografia assiale lo spettro delle trasmissioni WiFi [5]. Ma la maggior attenzione alle onde elettromagnetiche viene generalmente riservata per la loro capacità di trasportare segnale cioè di essere infrastruttura invisibile delle trasmissioni di dati e informazioni. L'aria della metropoli invisibile diventa quindi una sorta di “etere attivo” che muta continuamente, venendo percorso dalle informazioni e dati in perpetuo fluire che possono essere amplificati e resi visibili da opportuni dispositivi di ricezione. Con la crescente miniaturizzazione degli apparecchi trasmittenti e riceventi [6] ognuno di noi è diventato inoltre una vera e propria antenna ambulante. Rafael Lozano Hemmer con Frequency and Volume, mostra praticamente come questo sia fuor di metafora. Un grande ambiente è allestito con un dispositivo di videotracking in grado di discriminare i movimenti delle persone che vi sono all'interno. Le loro ombre sono proiettate su di un muro: a seconda della posizione dell'ombra, l'ambiente si sintonizza su una frequenza. A seconda del movimento delle braccia invece, si alza e si abbassa il volume. Per realizzare questa installazione, Lozano-Hemmer ha usato un dispositivo in gergo chiamato scanner che è in grado di “ascoltare” una ampiezza di spettro molto ampia che va de 150 Khz a 1.6 Ghz e che è occupata oltre che dai telefonini anche dalle trasmissioni del traffico aereo, quelle della polizia, dei taxi etc. Similmente Christian Moeller, realizza On Air, un fitto paesaggio di scure aste verticali all'interno del quale, come in un bosco, al visitatore viene chiesto di orientarsi: ogni palo è sintonizzato su una certa lunghezza d'onda su cui viaggiano segnali radiofonici da ogni parte del mondo. L'esperienza interattiva è quella di un viaggiatore nell'etere che mentalmente ricostruisce in un luogo solo la mappa unitaria di spazi molto lontani tra di loro. Tunable City di Fiona Raby e Anthony Dunne è una ulteriore esplorazione della dimensione invisibile della città elettromagnetica con la quale hanno cercato di dare espressione tangibile alle nuove soglie tra l'interno e l'esterno, tra i pubblico e il privato, tra il mio e il tuo, all'interno di un contesto culturale [7]. L'impossibilità infatti di contenere totalmente le onde elettromagnetiche all'interno di un certo dominio fa nascere questioni molto interessanti che hanno a che 43


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vedere con la privacy, il territorio e i confini dell'identità di ciascuno di noi, dello spazio e degli oggetti. Per esempio si riferiscono alla possibilità offerta dalla tecnologia di “guardare” oltre i muri per spiare o controllare le attività che vi si svolgono o di intercettare, banalmente, le comunicazioni telefoniche. Partendo da queste premesse il poliedrico Usman Haque ha sviluppato Floatable, un progetto visionario il cui scopo è quello di dotare la città di dispositivi flottanti simili nella forma a meduse che siano capaci di creare zone temporanee di privacy, cioè elettromagneticamente non inquinate: attraverso diversi sistemi elettronici vengono azzerate tutte le onde provenienti da dispositivi artificiali (televisione, telefonini, radio, gps, wifi etc.). Queste barriere immateriali funzionano come cocoon, spazi privati personali trasportabili, in sostanza la necessaria abitazione dell'uomo nomade dell'era dell'elettronica. Anche i telefonini che usiamo quotidianamente dunque generano campi elettromagnetici riconoscibili e mappabili all'interno della struttura della città. Il Senseable City Lab dell' MIT sta tentando con alcuni progetti di ricomporre una lettura dei fenomeni dinamici di cambiamento all'interno del dominio urbano (spostamento dei mezzi pubblici, dei taxi e dei pedoni). In special modo è riuscito a mappare l'attività di milioni di telefoni cellulari rappresentando con diagrammi grafici che cambiano nel tempo i luoghi di maggior concentrazione e uso [8]. Invece Dario Buzzini, Davide Agnelli e Tal Drori, Interaction Designer che nel 2005 erano studenti all'IDI Ivrea, hanno esplorato con Fashion Victims le conseguenze psicologiche e sociali della comunicazione telefonica portatile interpretando gli abiti che indossiamo come dispositivi capaci di visualizzare l'atto del telefonare al fine di rendere il contesto consapevole di questa azione: in pratica hanno realizzato un abbigliamento composto da alcuni capi che cambiano colore in funzione dell'intensità del campo elettromagnetico generato da una chiamata, prendendo a prestito dalla natura il fenomeno delle pelli che mutano colore a seconda delle condizioni naturali del contesto. Infine, ancora con Dunne e Raby: lo Hertzian space è una realtà che necessita di essere completamente compresa perché sia resa “abitabile”. Non appena lo spettro verrà meglio compreso, esso comincerà a dare forma ad architetture e oggetti. Gli edifici evolveranno per fornire un riparo dalle onde elettromagnetiche, le filtreranno, si adegueranno per proteggere o gestire la privacy elettromagnetica degli abitanti. Come gli edifici si evolvono per rispondere a 44


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specifiche condizioni climatiche, alla stessa maniera nuove tipologie di edifici si evolveranno in risposta a differenti condizioni elettroclimatiche. [...] Come architetti siamo interessati allo spettro eletrromagnetico come ambiente abitabile, con i suoi elettroclimi e elettrogeografie [9]. 3.4 Acquario. Nel 2000, la Basilica di Vicenza tributa gli onori a Toyo Ito con una mostra monografica. Diciannove tubi in tessuto leggero e traslucido alti fino alla volta e illuminati dall'alto oscillano impercettibilmente per via di naturali correnti d’aria, mentre l'aula buia riverbera onde sonore che galleggiano in sottofondo. Alla base di ogni colonna, vengono proiettate le immagini dei progetti su un supporto trasparente circolare che a volte sostiene dei modelli. Le immagini si proiettano anamorficamente anche sulle pareti dei tubi luminosi dando vita ad opache luminescenze. La visita si svolge accostandosi alla base dei cilindri e guardando all'interno attraverso dei fori minuscoli, ma sufficienti per capire fin nei minimi dettagli il progetto. L'immaginario evocato da Ito alla Basilica Palladiana è quello dell’acquario: l'austero salone si è disciolto in un volume fluido, all'interno del quale galleggiano alghe luminose e quasi vitali per le decine di visitatori che "nuotano" e si raggruppano intorno, come pesci in un abisso fluorescente, o meglio in un acquario "urbano". Toyo Ito propone con questo allestimento una lettura intima, tattile e percettiva, del proprio metodo progettuale che predilige la riflessione sui temi della leggerezza, della trasparenza, della fluidità che sono i valori di una architettura il più possibile aderente ai paradigmi della società dei media elettronici. D'altronde, la Mediateca di Sendai, che è stata inaugurata proprio nel 2000, esalta proprio questi stessi concetti: un grande cubo trasparente di 50 metri di lato, all'interno del quale galleggiano 7 piani di diversa altezza e con diverse destinazioni, sostenuti da una foresta di 7 alghe fluttuanti che sono al tempo stesso elemento strutturale, cavedi per ascensori e scale di sicurezza, alloggiamenti per impianti elettrici e di condizionamento dell'aria, percorsi per il cablaggio telematico. In altre parole, nello spazio libero dei piani, tralicci leggeri come canne di bambù, raccolgono e incanalano tutti i flussi "vitali": il flusso delle tensioni strutturali, della mobilità degli utenti, i flussi elettrici e telematici, i flussi di aria, luce e calore.

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3.5 Edifici-installazioni È stato osservato che la natura effimera dell'architettura di Toyo Ito deriva da una profonda presa di coscienza della società dei consumi giapponese che ha prodotto una immagine della città basata sul perenne riuso delle aree urbane e degli edifici. Ad ogni ciclo di demolizione e ricostruzione che dura circa vent'anni tutto cambia ma il sistema neutro di frammenti urbani privi di punti di riferimento che si estende indefinitamente in ogni direzione rimane [10]. La consistenza materica dei suoi edifici è ridotta all'estremo. Sfrutta le tecnologie per diminuire il dimensionamento di strutture e dettagli, fino a farli quasi scomparire, con ampio uso del vetro per astrarre gli edifici dalla loro materialità e per ricondurli a una fragilità simile a quella delle installazioni temporanee. Non solo. I suoi edifici-installazioni sono risposta a quesiti che cercano di affrontare le dicotomie che l'uso delle tecnologie digitali provocano nel rapporto con lo spazio urbano: che immagine deve avere l'architettura della modernità instabile dell'era elettronica? Come può un edificio essere allo stesso tempo durevole ma anche effimero e adattabile alle esigenze dei flussi impermanenti e invisibili delle reti? Come è possibile realizzare un'organismo architettonico la cui epidermide dialoghi tanto con la dimensione dei flussi naturali quanto con quella dei flussi artificiali? 3.6 Giardino di microchips Nel 1993 Toyo Ito paragona la città contemporanea alle trame di silicio dei microchips definendo la complessa esperienza metropolitana come giardino di microchip[11]: Tali immagini [le fotografie di microchips], più che forme, sono spazi in cui fluiscono cose invisibili. Si potrebbe dire che si tratta di uno spazio trasparente nel quale, nel momento in cui viene prodotto il flusso, emergono forme fenomenologiche diverse. [...] Di fronte all'aumento dei flussi elettronici e di conseguenza di dati, lo spazio urbano non può che essere fenomenologico. [...] La città come fenomeno trasforma la città reale in una illusoria, ricoperta di luce, suoni, immagini e segni. Se ne eliminassimo la parte sostanziale, si rivelerebbero un'enorme quantità di energia e la rete di flussi elettronici che manipola tale illusione. Di conseguenza, le caratteristiche spaziali della città contemporanea sono la fluidità, la molteplicità di strati e la fenomenalità, esattamente quelle dei microchips.

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È all'interno di questa riflessione che vanno collocate altre due opere di Ito che colgono l'occasione offerta all'architettura dalla dimensione invisibile di cui stiamo parlando. Si tratta ancora di un edificio inteso come installazione effimera, la Torre dei Venti, e di un interno allestito come fosse l'interpretazione di una esperienza urbana, cioè Dreams, la terza sala della mostra londinese Vision of Japan al Victoria and Albert Museum del 1991. Con quest'ultimo Ito da una chiara idea di cosa intenda vivere in una città illusoria, simulata. Videoimmagini di Tokyo vengono proiettate sul pavimento e sulle pareti sommergendo completamente il visitatore che si trova a camminare su un pavimento ondeggiante rivestito di pannelli traslucidi. Questi stessi pannelli attraverso un dispositivo elettronico variano la loro trasparenza e opacità realizzando in questa maniera transizioni sulle scene di vita quotidiana proiettate. L'ambiente inoltre è pervaso da suoni ambientali elaborati da un sintetizzatore. Come questa installazione rende conto del fluire e dello scorrere incessante dell'energia vitale urbana, alla stessa maniera la Wind Tower di Yokohama realizzata nel 1986, incarna quello che Toyo Ito chiama “design dell'aria”: l'aria è attiva, è satura di informazioni di ogni genere, non ha forma e si sparge ovunque, ma è carica di sensualità che può dar forma, come rammentavano Raby e Dunne, all'architettura e alla città. Questa torre è costituita da una doppia membrana di pannelli specchianti all’interno e di alluminio preforato all’esterno, che fa da nuovo guscio ad una vecchia torre di cemento alta una ventina di metri. All’interno dell’intercapedine viene alloggiato un sistema di illuminazione, composto da 12 anelli al neon e 120 mini lampade, la cui intensità viene regolata da un computer in funzione al numero di decibel prodotti dal traffico e dalla direzione del vento. Immediatamente questa installazione diventa un totem urbano, un edificio mediale, che rivela agli occhi del passante l’invisibile, trasformando un dato sensoriale come il rumore, o impalpabile come l'intensità’ del vento, in una esperienza visiva. 3.7 Blurring Il passo decisivo della riflessione di Ito sulla città dei flussi è rappresentato dal testo che accompagna la mostra itinerante Blurring Architecture del 1999 [12]. Ito la definisce come l'architettura della trasparenza (cioè invisibile), dell'omogeneità (cioè diffusa ovunque, non localizzata, non gerarchica, neutra) e fluida (cioè adattabile, riconfigurabile, mobile, non perimetrabile) che sono anche le chiavi con cui interpretare la modernità elettronica.

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Ma chi ha veramente superato le aspettative che la visione della Blurring Architecture era capace di far prefigurare non è Toyo Ito, che rimane comunque un realista e un conservatore all'interno del sistema dei riferimenti giapponesi [13], ma un americano che del rapporto tra architettura, spazio urbano e tecnologia ha sondato gli aspetti più contraddittori e controversi come per esempio quella del super controllo e dell'hypervoyerismo: nel 2002 lo studio Diller+Scofidio propone quindi come svolgimento del tema dell'expo universale svizzera un padiglione senza spazio, senza forma, senza profondità e scala, senza massa, senza dimensioni. Un'architettura a bassa definizione, antispettacolare fatta solo di vapore che avvolge i visitatori in un sospeso limbo lattiginoso. Il padiglione si chiamava Blur. 3.8 Liquidità La liquidità come condizione di un corpo di non avere forma propria, di fluire incessantemente e di non possedere legami forti è stata considerata dal sociologo Zygmunt Bauman come principale metafora per descrivere l'attuale fase dell'epoca moderna [14]. Baumann rammenta che in verità già i padri del Manifesto Comunista avevano fatto riferimento alla fusione dei corpi solidi per descrivere la dissoluzione necessaria dei valori di una società stagnante e refrattaria al mutamento: Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si dissolve nell'aria tutto cio' che vi era di corporativo e di stabile [15]. Come spiega Marshal Bermann che dedica all'esperienza della prima modernità il libro intitolato appunto All that is Solid Melts into the Air, il discioglimento è da intendersi come lo strumento di cui la borghesia capitalista si deve servire per trasformare le cicliche crisi che essa stessa produce, in valori [16] aderenti alle contingenti necessità in un continuo processo di solidificazione (valori stabili e forti) e liquefazione (nuovi valori altrettanto stabili e forti). Da un punto di vista sociologico Bauman conclude la sua analisi sui caratteri della modernità liquida in cui ci troviamo a vivere affermando che i corpi solidi per i quali oggi è scoccata l'ora di finire nel crogiolo ed essere liquefatti sono i legami che trasformano le scelte individuali in progetti e azioni collettive: i modelli di comunicazione e coordinamento tra politiche di vita condotte individualmente da un lato e le azioni politiche della collettività umana dall'altro [17]. 48


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In questo generale sguardo interpretativo, l'opera di Toyo Ito, come abbiamo visto, coglie l'aspetto fenomenologico di una condizione contemporanea caratterizzata appunto dal fluire di informazioni invisibili che danno forma ad una architettura trasparente, leggera, blurred, reattiva e contribuiscono a definire l'immagine di una città stratificata come un microchip e simulata come un videogioco. Ma credo che la visione che per ampiezza e affinità tematica possa maggiormente supportare l'idea di fondo di questa tesi - cioè che gli orizzonti progettuali interattivi non formali, compositivi, materici, object orieted, ma implicitamente relazionali, ubiqui, sensuali, percettivi, siano occasione per interpretare le aporie della nostra contemporaneità invisibile, instantanea e iperconnessa - sia quella descritta da Andrea Branzi del suo Modernità Debole e Diffusa. Il mondo del progetto all'inizio del XXI secolo. In questo testo Branzi cerca di mostrare quali siano le occasioni che la cultura progettuale contemporanea possa cogliere dalla comprensione delle dinamiche della nostra società che assomiglia sempre di più alle grandi civiltà tessili del passato (o del presente) come quella indiana; società che si rappresentano in una rete continua, in un tessuto flessibile e trasparente, capace di resistere agli urti e agli strappi delle trasformazioni interne e all'impatto con il nuovo [18]. Il ruolo dell'architettura muta. Non viene più richiesta di essere arte del costruire al servizio di poteri che necessitano di realizzare cattedrali forti e concentrate come nella passata modernità. L'architettura diventa un pensiero conoscitivo complesso e mutante, che non fa più riferimento all'unita' (impossibile) delle tecnologie e dei linguaggi, ma alle energie deboli e diffuse di trasformazione dei territori e dello spazio [19]. La realtà dentro la quale l'architettura si trova ad operare è un ambiente biologico complesso, una metropoli genetica la definisce Branzi, dove energie vitali naturali, tecnologiche, finanziarie fluiscono omogeneamente e si sovrappingono liberamente alla città. E per questo l'architettura non deve più svolgere nessuna definizione di segmentazione permanente dello spazio, ma diventa il teatro di una vasta attività di modificazione elastica (cioè reversibile) dal basso delle infrastrutture, dei servizi, e dei sottosistemi metropolitani [20].

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NOTE

[1] - “I segnali radio che ci scorrono intorno sono diventati sempre più vari e raffinati. Il paesaggio artificiale delle radiofrequenze oggi arriva dovunque. […] La sfida è mappare questo territorio” (Mitchell, 2005: p.94-99). Per un approccio critico al tema dei paesaggi elettromagnetici cfr. (Dunne, Raby, 2001) [2] - BRANZI, 2006: p. 125 Non più dunque le cattedrali forti e concentrate della vecchia modernità, ma processi conoscitivi articolati, trasformazioni ambientali reversibili, sistemi in rete invisibili e penetranti. Una modernità capace di utilizzare energie deboli e diffuse che non producono il frastuono della meccanica,ma piuttosto forze simili a quelle sviluppate dalle stelle,dalla luna e dai pianeti, capaci di sollevare ogni notte tutti gli oceani del mondo, senza produrre un solo rumore. [3] - Craig Baldwin è un regista americano che sperimenta i linguaggi espressivi cinematografici ricorrendo al collage di spezzoni video di film, documentari o trasmissioni televisive che appartengono all'immaginario popolare. Collage is the contemporary art. It is the most definitive. Yet it runs absolutely against copyright laws. There are certain assumptions about the usage of other people’s material in order to make money from it. Collage artists take a tiny bit of something from your piece and put it together with a lot of other pieces too and make a distinct whole. We’re not trying to steal your audience. The copyright laws need to be updated in order to deal with this art form [http://en.wikipedia.org/wiki/Craig_Baldwin] [4] - DUNNE, A. (1999), Hertzian Tales. Electronic Products, Aesthetic Experience and Critical Design, London: Royal College of Art, p. 80 Objects “dematerialise” not only into software in response to miniaturization and replacement by services but literaly dematerialise into radiation. All electronic products are hybrids of radiation and matter. This chapter does not discuss making the invisible visible, or visualizing radio, but explores the links between the material and immaterial that lead to new aesthetic possibilities for life in an electromagnetic environment. Whereas cyberspace is a metaphor that spatialises what happens in computer distributed around the world, radio space is actual and physical, even though our senses detect only a tiny part of it. [5] - Per una rassegnata nutrita di esperimenti consimili si può fare riferimento all'evento art + communication 2006: waves, che si e' svolto a Riga in Lettonia, nell'estate del 2006 [http://rixc.lv/waves/en/home.html] [6] - MITCHELL, W. (2005) The Real Time City, in Domus, October 2005, n. 885, pp. 94-99 L'apparecchiatura di Marconi consisteva in una massiccia costruzione con quattro torri alte 60 metri, una rete di cavi nel cielo, una tensione di 20.000 volts e un rumoroso trasmettitore. Da questo luogo si diffondevano nello spazio, alla velocità della luce, sfere di confusi disturbi elettromagnetici destinate ad essere rilevate a Poldhu, Cornovaglia. Nell'arco di un secolo, le apparecchiature radio si sono rimpicciolite di parecchi ordini di grandezza tanto che possiamo tenere in tasca trasmettitori e ricevitori portatili. Siamo diventati antenne ambulanti.

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[7] - DUNNE, RABY, 2001: p. 24 [8] - I progetti cui si fa riferimento e che saranno trattati nel capitolo seguente sono Real Time Rome e Mobile Landscape Graz presentati in rete all'indirizzo http://senseable.mit.edu/ [9] - DUNNE, RABY, 2001: p. 12 [10] - MAFFEI, A. (2001) Toyo Ito, Milano: Electa, p. 9 [11] - ITO, T.(1993) A Garden of Microchips, in "JA Library", n. 2, Tokyo [12] - ITO, T. (1999) Blurring Architecture, in Toyo Ito. Blurring Architecture, Milano: Charta [13] - MAFFEI, A. (2001) Toyo Ito, Milano: Electa, pag. 11 [14] - BAUMAN, Z. (2000) Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge and Blackwell Publishers, Oxford, 2000 (trad. 2000, Modernità Liquida, Roma-Bari: Laterza) [15] - La citazione dal Manifesto è tratta dalla traduzione che per la Laterza ha curato E. Cantimori Mezzomonti nel 1958 ed riportata in BERMAN, M. (1982) All that is solid melts into air: The experience of modernity, London: Verson (trad. 1999, L'esperienza della modernità, Bologna: Il Mulino) [16] - Per questa formula sono debitore a Antonino Saggio che citando a sua volta da Zevi che mutua da Boudrillard, parla di una modernità che “fa della crisi un valore, una morale contraddittoria, e suscita un'estetica di rottura” SAGGIO, A. (2006) Modernità Crisi e Information Technology, http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/DIDATTICA/Cad/2006/Ass/FInale/index.htm [17] - BAUMAN, 2000: p. XI [18] - BRANZI, 2006: Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all'inizio del XXI secolo, Milano: Skira, pag. 26 [19] - BRANZI, 2006: p. 16 [20] - BRANZI, 2006: p. 20

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IMMAGINI 1 - Fotogramma da Spectres of the Spectrum (1999) di Craig Bladwin 2 - WiFi Camera (2006) by Bengt SjĂślĂŠn, Adam Somlai-Fischer and Usman Haque 3 - Signal Box Auf dem Wolf, Basel, Switzerland (1989-1994) di Herzog&DeMeroun 4 - Allestimento per la mostra sul lavoro di Toyo Ito alla Basilica Palladiana (2001) 5 - Sendai Mediateque (1995-2001) di Toyo Ito 6 - Progetto per il Concorso per la Biblioteca Nazionale di Parigi (1989) di Toyo Ito 7 - Vision of Japan, Victoria and Albert Museum, London (1991) di Toyo Ito 8 - NoStop City, modello (1969) di Archizoom 9 - Agronica, modello di urbanizzazione debole (1995) di Andrea Branzi con Centro Ricerche Domus Accademy Centro Design Philips 10 - NoStopCity, diagrammi (1969) di Archizoom 11 - Active Landscapes in Roma (2005) di Unpacked

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04. CittĂ Relazionale

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Go In Instead Of Look At! [Allan Kaprow, 2.11.1959]

Nowadays, the world “art” seems to be no more than a semantic leftover of this narrative, whose more accurate definition would read as follows: Art is an activity consisting in producing relationships with the world with the help of signs, forms, actions and objects. [Nicolas Bourriaud: 1998]

Le spectacle n'est pas un ensemble d'images, mais un rapport social entre des personnes, médiatisé par des images. [Guy Debord: 1967]

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4.1 Playground a scala planetaria Il moderno contemporaneo assiste alla smaterializzazione dell'oggetto che è stato miniaturizzato, logorato, e reso invisibile dai processi di digitalizzazione: si passa da un'estetica dell'oggetto (visibile e oggettivo) ad una estetica dell'esperienza (invisibile, sentire da dentro: estetica ambientale, inclusiva, partecipativa, narrativa) [1] in cui la forma segue la finzione (form follows fiction) ovvero dove non c'è distinzione tra reale e simulato. La Città delle Relazioni è un playground a scala planetaria dove si consumano pratiche di networking sociale collaborativo e partecipativo che indifferentemente passano da territori reali a quelli virtuali perché intimamente connessi dal pervasivo layer delle tecnologie informatiche [2]. È una città interfaccia, una città sottotitolata come si è detto altrove, che viene costantemente deprivata o aumentata delle sua memoria e dei suoi valori intrinseci affinché diventi un antimonumento, cioè esempio non rappresentativo di nessun potere ma solo delle relazioni che innesca tra la gente e delle interconnessioni narrative con altri antimonumenti [3]. È una città repositorio, un catalogo di pietra che ipertestualmente indicizza informazioni accumulate da Ulissi nomadi e tecnologici sempre in transito e sempre pronti a lasciare traccia del loro passaggio. Quando questo avviene consapevolmente, cioè quando si usano piattaforme di social tagging che permettono di registrare le personali psicogeografie urbane con sms e videomessagi [4], il fenomeno è testimone dell'ottimistica fiducia dell'uomo nel progresso tecnologico. Invece se le traccie come le briciole di pollicino vengono surrettiziamente rilevate e manipolate, allora la città relazionale si trasforma in città del controllo remoto: si viene schedati, catalogati, intercettati e sedotti con messaggi promozionali personalizzati e perfettamente rispondenti ai nostri gusti e al nostro stile di vita [5]. Da cui le azioni di sabotaggio, liberazione e riappropriazione della dimensione ludica e disimpegnata del proprio tempo libero sottratto dal supercontrollo, vengono condotte con modalità da guerriglia urbana (nel senso di azioni sovversive di dissenso) da hack-tivisti promotori del libero accesso e della libera fruizione e distribuzione del sapere considerato open source. 58


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4.2 Estetiche Relazionali Nel 1998 Nicolas Bourriaud, critico e curatore francese [6], pubblica Esthétique relationnelle in cui traccia uno profilo dell'arte contemporanea sul finire del millennio facendo riferimento alla generazione di artisti come Pierre Huyge, Maurizio Cattelan, Gabriel Orozco, Rirkrit Tiravanija, Vanessa Beecroft e altri. Individua un particolare framework tematico che rivela la loro sensibilità collettiva verso i rapporti inter-umani, le relazioni tra le persone, le dinamiche all'interno di comunità, le interazioni tra individui e gruppi sociali, i network e via dicendo. Azzardando un parallelo si può dire che l'attenzione alla sfera relazionale è per l'arte degli anni novanta come l'attenzione alla produzione di massa per la pop art e il minimalismo. L'idea centrale è che lo statuto dell'attività artistica contemporanea sia quello di “produrre” inaspettate relazioni con il mondo non solo attraverso le forme espressive tradizionale ma anche con l'aiuto di pratiche e azioni sociali. Pertanto l'estetica, come esperienza interpretativa, non può basarsi su criteri visuali ma deve fare riferimento alle relazioni inter-umane che l'opera rappresenta, produce, promuove. Bourriaud scrive L'arte relazionale non è il revival di nessun movimento precedente né il ritorno di alcuno stile. Sorge da una osservazione del presente e da una linea di pensiero che si rivolge alla sorte dell'attività artistica. La sua principale preoccupazione – la sfera delle relazioni umane come luogo della produzione artistica – non ha nessun precedente esempio nella storia dell'arte, anche se appare come un ovvio lascito di tutte le pratiche estetiche, e come tema modernista per porre limite a tutti i temi modernisti. [...] Ciò che l'artista produce sono elementi spazio temporali, esperienza interumana che cerca di liberarsi della camicia di forza dell'ideologia delle comunicazioni di massa [7]. Ovviamente tutte le opere d'arte sono un modello di sociabilità (Duchamp: “l'arte è un gioco tra tutte le persone di tutte le epoche”) tuttavia il criterio di discriminazione riguarda il come si entra in dialogo e con quali ruoli. Per esempio se si considera l'opera che Rirkrit Tiravanija alla Biennale di Venezia Aperto 93, che ha installato un'area nella quale venivano condivise minestre e spaghetti che i visitatori potevano prepararsi da soli, non solo è difficile categorizzarla (è una scultura vivente? Una installazione? Una performance? Un esempio di attivismo sociale?) ma l'autorialità risulta ambigua e la partecipazione dello spettatore diventa centrale per il compimento dell'opera.

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4.3 Relational Architecture Come si è visto altrove tutte le pratiche interattive, nel senso tecnologico che abbiamo già specificato, implicitamente si confrontano con il tema della partecipazione, del coinvolgimento e, come vedremo più avanti, della collaborazione. Sebbene l'autore faccia dei distinguo e prenda le distanze dall'abuso del termine, la serie di installazioni chiamata Relational Architecture di Rafael Lozano Hemmer rappresenta una esclusivo variante di “opera relazionale”. Lozano Hemmer definisce l'Architettura Relazione come l'attualizzazione tecnologica dello spazio pubblico con una memoria aliena, cioè alternativa. In sostanza le sue installazioni consistono in interventi a larga scala che permettono a partecipanti locali o remoti di trasformare partecipativamente gli edifici o il paesaggio urbano con elementi audiovisuali che ne modificano il carattere narrativo, la memoria. Un forte fascio di luce proiettato su una facciata storica depriva l'edificio dei sui caratteri evocativi e lo decontestualizza per poterlo ricontestualizzare all'interno di uno scenario interattivo e narrativo totalmente diverso, nuovo, alieno appunto, come per esempio quello del teatro delle ombre cinesi. Una ulteriore definizione che chiarisce il carattere dell'Architettura Relazionale di Lozano Hemmer è anche anti-monumento per la pubblica dissimulazione: un monumento rappresenta il potere, seleziona un pezzo di storia e cerca di materializzarlo, visualizzarlo, rappresentarlo, ma sempre dal punto di vista dell'elite. L'antimonumento al contrario è una azione, una performance. Tutti sono coscienti della sua artificialità e costituisce appunto una alternativa, una realtà ulteriore, dissimulata, aliena, rispetto a quella feticistica del sito [8]. Gli eventi relazionali trasformano quindi lo spazio urbano che diventa una mise-en-scène di “edifici sottotitolati” che dialogano in maniera nuova e inaspettata con il contesto e con i partecipanti. Per esempio l'installazione Two Origins trasforma l'emblematico Place du Capitole di Tolosa proiettandovi sopra il famigerato manoscritto eretico del XIII secolo chiamato “Libro delle Due Origini”. Il testo risulta comprensibile solo quando un passante si ferma e cerca di leggere e capire il contenuto della proiezione. Similmente in Displaced Emperors, i partecipanti all'evento potevano usare la facciata del Castello degli Asburgo a Linz come interfaccia per “sfogliare” letteralmente con le loro mani gli interni proiettati del Castello di Chapultepec, che è la residenza storica degli Asburgo a Mexico City, realizzando appunto una 60


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sorta di coincidenza e spazio temporale inaspettata. In Body Movies uno spazio urbano con tutte le sue facciate viene trasformato in un grande teatro di ombre cinesi: le silhouettes dei corpi dei passanti vengono proiettati a grande scale e all'interno della loro oscurità appaiono dei ritratti di sconosciuti scattati per le strade della città dove l'installazione è ospitata. Le installazioni di Lozano Hemmer quindi non dialogano con la storia o i caratteri simbolici del sito. Il contesto non viene preso in considerazione da questo punto di vista se non nel senso che viene deprivato suoi specifici valori per lasciare spazio ad altro. Per cui le sue opero non possono essere definite Sitespecific. Siccome esistono perché il pubblico mette in azione un meccanismo dialogico, allora potrebbero essere definite Relationship Specific sottolineando con questo i valori relazionali sempre diversi che si instaurano tra il sito e il pubblico. 4.5 Open Source L'espressione “Open Source” è un fruttuoso prestito dal mondo dell'informatica che definisce così i software a licenza gratuita i cui codici sorgente sono accessibili agli utenti, sono modificabili e liberi di essere ridistribuiti purché tecnologicamente neutrali. Si tratta in realtà di una modalità di produzione potentissima che garantisce da un lato l’evoluzione continua dei programmi grazie al contributo di chi li usa e che presenta dall’altro risvolti destabilizzanti nei confronti di contesti socio economici dove la conoscenza e la sua diffusione vengono mercificati. L’esempio più evidente sono le battaglie legali tra Bill Gates e i consorzi concorrenti che sostengono software appunto come “risorsa aperta”, cioè condivisibile, modificabile, evolvibile, replicabile e riusabile a costo zero. Un'etica questa tipicamente hacker [9] come vedremo, un atteggiamento di resistenza nei confronti di poteri asimmetrici e concentrati a favore di una più libera diffusione del sapere nelle comunità connesse. La filigrana che emerge dalla sovrapposizione di questa etica produttiva al mondo dell’architettura è quella di un grande affresco dove trovano posto sia il cantiere della cattedrale gotica - magnificente simulacro della primitiva società “borghese”, dove ognuno secondo la propria abilità e necessità realizzava o migliorava la porzione della cattedrale sulla quale era chiamato a offrire il proprio contributo - che l’eden ideale dell’autodeterminazione degli anni sessanta: dalle Utopies réalisables di Yona Friedman alla previsione tecno-nomadica della New Babylon di Constant, che per certi versi ha anticipato le fantasie ci61


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bernetiche del Fun Palace di Cedric Price e insieme è stata interprete delle pratiche situazioniste e del loro contenuto rivoluzionario: un connubio questo che aggiungeva un fascino sovversivo alla speranza che la tecnologia (o la cultura?) accessibile, diffusa e praticabile liberamente ci possa affrancare dalla schiavitù del consumo capitalistico. Nella nostra contemporaneità diciamo così neomedievale, in cui sembra che la costruzione del “sapere” avvenga attraverso l’accumulazione digitale di contributi dislocati (si veda ad esempio il fenomeno wikipedia, l’enciclopedia autogestita in rete), c’è da osservare come alcune architetture emergenti dal forte carattere esplorativo tornano di nuovo a sfidare le frontiere non proprio agevoli dell’autoproduzione, della personalizzazione di massa o dell’indeterminazione di sistemi aperti, per nominarne alcune, facendo uso di strumenti concettuali che permeano l’attuale mondo dell’elaborazione culturale della “postproduzione” [10] e dell' “open source”, cioè quella della condivisione delle risorse, del mutuo scambio, della flessibilità, e in particolare del riuso e riciclo di idee e concetti. Usman Haque ricorre molto spesso all'analogia dell'Open Source per descrivere i suoi atteggiamenti progettuali: Un'architettura dell'open source richiede una cornice concettuale in cui la distinzione tra “coloro che progettano” e “coloro che usano” sia rimpiazzata da un sistema partecipativo che incoraggi il costante e continuo cambiamento del progetto costruito. Una tale architettura è molto vicina alla visione che l'artista e architetto Olandese Constant ha elaborato nel suo progetto New Babylon. In questa esplorazione così massiccia, Constant ha assunto che ognuno è artista e costruttore dei suoi propri spazi, eventi e vite. Il suo progetto proponeva una magastruttura a scala planetaria costantemente ricostruita dai suoi abitanti, una struttura che variava lungo il suo sviluppo a secondo del contributo della gente che la alterava in maniera sempre diversa [11]. L'architettura viene tradizionalmente pensata come un hardware ma se si osa pensarla come software, allora al posto degli aspetti costruttivi e materici, assumo particolare rilievo le dinamiche funzionali che si svolgono al suo interno, le suggestioni percettive che producono i suoi spazi e persino le distribuzioni delle onde radio che è in grado di schermare o lasciar fluire. Spingendo l'analogia oltre, si potrebbe persino pensare l'architettura come un sistema operativo, un softspace, per il quale i suoi abitanti possano creare i loro personali “programmi” di interazione spaziale e sociale. L'analogia con i sistemi operativi open source spinge a pensare ad una architettura che è costantemente model62


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lata dalle persone che la vivono come spazio performativo collaborativo, conversante, partecipativo. Il ruolo della tecnologia dell'interazione è naturalmente fondamentale perché fornisce gli strumenti per creare la piattaforma operativa necessaria alla condivisione e agli scambi relazionali. Usman Haque realizza una serie di installazioni urbane basate sul principio dell'open source inteso come partecipazione attiva all'esperienza interattiva. Per esempio con Open Burble, una nuvola di palloni ad elio lanciata in aria, i visitatori partecipanti all'evento possono creare i loro personali pattern luminosi interagendo fisicamente con la struttura. Invece la piattaforma XML Environment da la possibilità alle installazioni sensibili realizzate dagli utenti di essere connesse tra di loro e di influenzare vicendevolmente il loro comportamento pur essendo dislocate in luoghi remoti l'una dall'altra. 4.6 Connected communities Il senso profondo che si può desumere dall'approccio open source è quello di un edificante rapporto con la tecnologia adoperata per connettere individui in comunità dialoganti che vivono nella duplicità del virtuale e del reale. Per esempio le consimili installazioni di Rafael Lozano Hemmer Amodal Suspension e Vectorial Elevation attraverso una interfaccia web collaborativa permettono ad una comunità di utenti dislocati in varie parti del mondo di riconfigurare un parco di potenti fasci laser puntati sul cielo cielo di aree urbane significative. Alla stessa maniera BIX, la facciata multimediale pubblica realizzata dallo studio realities:united sull'edificio della Kusthaus di Peter Cook a Graz, permette di condividere pubblicamente i contenuti video liberamente realizzati da utenti remoti. Oppure si può citare la piattaforma Urban Tapestries che permette di tenere traccia, come in una sorta di diario di viaggio o esplorazione urbana, delle esperienze vissute in un certo luogo, delle storie legate ad un particolare angolo di città, delle informazioni utili relative ad un certo negozio attraverso un sistema condivisione e di mappatura georeferenziata dei contributi spediti via telefonino. La città, come verrà ripetuto più volte, diventa così un repositorio dinamico, un catalogo consultabile di dati invisibili che fluiscono nell'immaterialità digitale. D-Toren di Lars Spuybroek invece, risulta essere un particolare esempio di dispositivo connettivo che rende palese attraverso una rappresentazione evoca63


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tiva e sinestetica l'umore di una città. E' un oggetto urbano che transcolora e solletica la nostra consapevolezza periferica facendoci intuire lo stato emotivo dei nostri concittadini senza darci informazioni dirette. 4.7 Sorveglianza In uno spazio vuoto un sistema di sorveglianza computerizzato ad infrarossi traccia i movimenti dei visitatori e proietta sui loro corpi dei testi: 'alzati', 'comprà, 'guardà, 'muoviti', 'leggi', 'annoiati', 'divertiti'... Sono 'sottotitoli' , verbi coniugati alla terza persona a migliaia, come degli ordini, che inseguono implacabilmente ogni individuo dovunque vada. L'unica maniera di liberarsi della propria etichetta sarebbe quella di toccare qualcun'altro: ma quello che accade è al massimo solo uno scambio. Il disagio che procura quest'installazione intitolata Subtitle appunto, sottolinea alcune delle controverse questioni che riguardano il nostro rapporto quotidiano con la tecnologia. Per certi versi è evidenziato l'incontrollabile potere di chi è in grado di gestire la tecnologia della sorveglianza da postazioni remote. L'istantaneità della comunicazione, come vedremo nel capitolo sulla Città in Tempo Reale, procura una versione rinnovata del Panoptico per cui è possibile essere/guardare ovunque e in qualsiasi istante. Poi l'installazione risulta un commento ironico al tema della personalizzazione che la tecnologia del consumo impone, rendendo tutti letteralmente 'individui tematici', e al limite anche noi stessi, veri e propri prodotti 'etichettati'. Ma soprattutto lascia intendere la capacità tecnologica di discriminare l'identità di ciascuno cioè il gruppo etnico di appartenenza, i gusti personali, e anche le preferenze commerciali. Come è emerso in un recente convegno che aveva proprio come tema quello del Remote Control [12], la pratica di sorveglianza così diffusa nella nostra “modernità panottica” [13] e così specializzata da poter operare dei distinguo individuali, delinea inevitabilmente ghetti, enclave invisibili e in generale separazioni e discriminazione. Infatti lo spazio non viene recintato fisicamente, non viene perimetrato né limitato. Con la tecnologia del controllo remoto i confini si dileguano ed ognuno è libero, anzi favorito nell'attraversare il territorio ma limitato selettivamente ad accedere a informazioni e servizi immateriali [14]. La riflessione sul tema del controllo nello spazio urbano è oggetto di molte installazioni interattive che rendendo palese la condizione di subdola sorveglianza cui siamo sottoposti 64


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molto spesso con risvolti ironici come nel caso che abbiamo già visto. Con Homographies Rafael Lozano Hemmer mette in crisi il concetto modernista di griglia prospettica trasformando il punto di fuga da elemento geometrico astratto a un effetto percettivo di connessione e partecipazione interattiva. Il soffitto a cassettoni di cemento della Art Gallery del New South Wales a Sidney è ordinatamente scandito da una ulteriore griglia di neon orizzontali che possono ruotare intorno al loro asse, normale al soffitto. All'inizio la griglia è regolare e segue le linee prospettiche della sala. Non appena il pubblico comincia a popolare l'ambiente, un sistema computerizzato ne rileva la posizione e il movimento e in base a questi dati determina la rotazione dei tubi fluorescenti che si riconfigurano in labirintici pattern luminosi che rassomigliano a 'percorsi' o 'corridoi . Il 'vanishing point' geometrico in questa maniera svanisce non più verso un orizzonte immaginario ma verso una dimensione molteplice, relativa con molti punti di fuga quanti sono i punti di vista, i flussi e i movimenti determinati dai singoli individui. Lo spazio risulta una opprimente gabbia da cui sfuggire sembra impossibile. Ogni movimento viene seguito ed efficacemente trasformato in ordini impartiti ai neon-robot che inseguono implacabili ogni tuo passo. Nessuna via di fuga, nessuna interazione costruttiva, nessun dialogo è possibile. L'asfissia è totale... l'interazione, in questo caso, non edifica ma mortifica. In Under Scan, Rafel Lozano Hemmer trasforma la condizione svantaggiata del controllo e della sorveglianza in una occasione di riqualificazione urbana. Una grande piazza vuota è illuminata con un potente proiettore che genera ombre molto nette. I passanti abbacinati dal chiarore, l'attraversano inconsapevoli. Ma sulla loro ombra, inaspettatamente, cominciano ad essere proiettati dei video ritratti preregistrati di personaggi mutevoli e dialoganti. Il passante si ferma, cerca di capire, comincia ad instaurare un dialogo con l'immagine che alla stessa maniera sembra essere stata sottratta dai suoi pensieri, dalle sue occupazioni. Si instaura una sorta di contatto tra due mondi apparentemente indifferenti, una riflessione reciproca di due dimensioni che cominciano a parlarsi, a interagire in qualche modo... L'ombra risulta essere al tempo stesso interfaccia e superficie di proiezione. In una sorta ambiguo gioco di negativi, la luce che rivela cosa c'è nell'ombra e che disvela la vita nascosta dello spazio pubblico. L'installazione però è nulla 65


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senza la partecipazione del passante: è il passante che attiva il processo di scoperta e disvelamento, ed è lui stesso che la conclude. Quando decide di spostarsi e continuare per la sua strada, anche il personaggio proiettato perde interesse e si rivolge ad altro scomparendo risucchiato dal chiarore dell'illuminazione. 4.8 Minority Report Mr Anderson è di fretta, ha avuto una giornata complicata. I precox gli hanno fatalmente assegnato la biglia dell'assassino e lui cerca in tutti i modi di sfuggire al suo destino. Ogni avvenimento da li in poi lo porterà inesorabilmente verso un futuro certo, pre-visto. Durante la sua fuga è esposto a rilevatori biometrici della retina che in maniera automatica controllano ogni individuo che si appresti a calcare il suolo pubblico (marciapiedi, banchine ferroviarie, ingressi e uscite). Corridoi interni di un esterno metropolitano approssimativamente accennato lo blandiscono con proiezioni pubblicitarie: “Benvenuto Mr. Anderson, vuole prenotare una vacanza sul nostro vascello da crociera al costo di tre bilioni di futurdollari?” oppure “Salve Mr. Anderson, la Horizon Corporation le ricorda che è in scadenza l'assicurazione della sua vettura, vuole rinnovarla adesso?” e via dicendo.... fosse stato con la moglie e avesse avuto una giornata meno intensa avrebbe indugiato e si sarebbe goduto la comodità di acquistare servizi o merci semplicemente dialogando con il suo avatar proiettato sul muro... Il futuro prossimo venturo di Minority Report sceneggiato da Steven Spielberg nel 2002 e basato su una novella di Philip Dick del 1956 ha il sapore del fanta thriller psico telepatico in cui il protagonista corre verso un delittuoso destino inesorabilmente preconizzato da esseri dalle speciali facoltà pre-cognitive appunto. Viene prefigurata una società sottoposta ad un supercontrollo, privata della privacy e della libertà di espressione sociale che se da un lato riammoderna retrofuturisticamente la sempiterna favola orwelliana dall'altro si arricchisce di una sfumatura tecnoconsumistica non molto lontana da venire: rilevatori biometrici scansionano la retina di ogni individuo che calchi il suolo pubblico per poterlo raggiungere con proiezioni pubblicitarie contestualizzate, personalizzate e interattive che appaiono sui muri della città. Pubblicità parassite all'ennesima potenza dunque che non rubano più solo spazio ma anche tempo essendo programmate per rendere l'esperienza voyeristica 66


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ed esibizionistica insieme più smart, interattiva, coinvolgente, ma in fondo solo protesa a mascherare la mercificazione del tempo libero sottratto: più tempo passi con la commessa virtuale, più sei tentato ad acquistare/spendere. L'offerta è personalizzata, mirata a soddisfare il bisogno di un consumatore preciso, un singolo individuo, e non più segmenti di popolazione e che inoltre appare “hic et nunc”. Costantemente spie d'uso quotidiano (carte di credito, telefonini, internet, smart card per la raccolta punti del supermercato, telepass, cookies internettiani, gps) [15] surrettiziamente lasciano briciole digitali del nostro stile di vita. Gli operatori finiscono per conoscere perfettamente quello che compriamo, cosa ci interessa sapere, dove andiamo, come ci spostiamo e di conseguenza ricollocano a livello territoriale i loro contenitori di merci, ma soprattutto riformulano nuove strategie di seduzione. Non più, o non solo, la messa in scena urbana del prodotto in un luogo e un tempo preciso (le vetrine dei negozi aperti dalle 10 alle 18) per consumatori/flâneurs che godono il cerimoniale della scelta e dell'acquisto, ma sopratutto la personalizzazione del prodotto o servizio che viene recapitato a domicilio attraverso gli sms, le pubblicità contestuali di Google, i monitor “location based” dei tram o dei taxi [16]. 4.9 Esclusività e seduzione: Prada. Rem Koohlaas, come un prometeo postmoderno, ci ha spalancato lo sguardo su alcuni temi disdegnati dai maestri dell'architettura dell'età della macchina - cioè quello del rapporto tra architettura e commercio - e lo ha fatto come al solito con irritante efficacia, completezza e sufficiente ambiguità: per prima cosa ha condotto per qualche anno la ricerca sullo shopping per analizzare la condizione urbana contemporanea globale; in secondo luogo si è confrontato con la progettazione degli epicentri Prada a New York, Los Angeles e San Francisco. In entrambi casi si è domandato se per caso il suolo metropolitano non si articoli con l'unico scopo di sedurre l'individuo/consumatore. Ed ecco che i Prada Store diventano occasione di una architettura che supporta un servizio, anzi quello che in AMO è stata chiamata l'aura dell'esperienza del consumo/acquisto più esclusivo del mondo [17]. Tutto è basato sulla tecnologia dei RFID Tags (Radio Frequency Identification Tags), cioè una sorta di etichette a codici a barra all'ennesima potenza. Ogni capo d'abbigliamento, ogni oggetto, ogni prodotto by Prada viene identificato in tutte le sue caratteristiche attraverso questo dispositivo praticamente invi67


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sibile. I dati merceologici, immagazzinati in un database remoto, possono essere recuperati da un lettore wireless in dotazione al personale. Con lo stesso lettore possono essere acquisiti e memorizzati i dati dei clienti Prada (taglie, gusti, prodotti già acquistati) cui viene fatta recapitare una sorta di fidelity card evoluta, anch'essa dotata di tag a radiofrequenza. L'esperienza dell'indossare e provare un capo nel Prada Store, avviene all'interno di un camerino tecnologicamente dotato che automaticamente riconosce il cliente e lo assiste nella scelta, personalizzata, del colore, del modello e della collezione, attraverso il cosiddetto Magic Mirrors. Questo specchio magico è una sorta di Specchio di Biancaneve che “dialoga” con il cliente attraverso un'interfaccia e gli permette inoltre di controllare l'abito proiettando anche il riflesso posteriore e quello laterale. Ecco che qui si sono verificate due utopie: la prima è quella di aver identificato univocamente un individuo tramite una tecnologia miniaturizzata e portatile e di averlo potuto associare, virtualmente tramite web o di persona negli shopping store, a prodotti personalizzati; la seconda è quella di aver convinto un grande produttore di moda a convertire la sua infrastruttura tecnologica per poter mappare come in un più banale supermercato i gusti dei propri consumatori. 4.10 Finzione: Magic Mirrors La possibilità di provare un abito su di uno specchio interattivo è probabilmente la quintessenza della personalizzazione della seduzione: ci si immerge all'interno di una realtà virtuale, ovvero un mondo iperoggettivo e iperrealista che vive in quanto noi ci siamo e all'interno del quale noi siamo i protagonisti assoluti. Questo piccolo frammento di installazione – che tra l'altro è realizzato usando un hardware molto semplice quale uno schermo retroproiettato più una minicamera – dischiude l'orizzonte sul rapporto tra Realtà e della Finzione, che detto in termini assolutamente contemporanei e triviali è quello del Reality Show in cui pezzi di vita reale vengono assemblati e pruriginosamente sovrapposti o meglio immersi in scenografie assolutamente false. E quali sono i temi? Quello del Voyerismo, dell'Esibizionismo, del Protagonismo, della Personalizzazione, dello Scambio di Identità, dell'Interattività, dell'Appartenenza ai quali fanno riferimento tra l'altro anche oltre il già citato Specchio Magico di Biancanve, le sagome di personaggi famosi cui sostituire il nostro viso nei lunapark, il film Being John Malkovich, lo specchio di Carroll, i dinosauri 68


e i leucociti di Piero Angela che con la tecnica del Chroma Key è riuscito a proiettarsi nel fantastico mondo paleozoico e all'interno del corpo umano, e molte installazioni dell'arte interattiva, sicuramente nipoti tecnologiche delle speculazioni di Michelangelo Pistoletto. A questo punto ci dovremmo chiedere due cose: come è possibile proteggerci dall'aggressione parassitaria degli operatori del marketing che progettano servizi sempre più orientati a raggiungere il singolo consumatore attraverso telefonini, spamming e altri dispositivi di localizzazione intelligente? E poi, sarà veramente sostenibile una riformulazione delle tipologie degli spazi pubblici votati al commercio e al consumo “aumentato” dall'esperienza interattiva? Nel frattempo che noi tutti ci stiamo pensando, qualcuno si e’ già mobilitato per predire dove, come e quando faremo il nostro prossimo acquisto... 4.11 Hacked City Il progetto d'interazione non si sottrae alle pratiche di guerriglia urbana (nel senso di azione performativa artistica) che offrono resistenza a tutte le forme di controllo, imposizione e potere operate sulla società nei territori metropolitani, e quindi anche a quelle procurate dalle tecnologie di sorveglianza e seduzione. L'insieme di queste pratiche politicamente connotate vanno sotto il nome di Hacktivism che deriva da Hacking e Attivismo. Il controverso termine Hacking ha che vedere nel mondo dell'informatica con la manipolazione dei bits (i software in senso lato) al fine di rendere il sapere e la conoscenza libera e accessibile a tutti [18]. Per tanto l'Hacktivism è una sorta di attivismo sociale i cui orizzonti critici e modalità operative sono mutuati dal mondo delle comunità informatiche, e che ha lo scopo di mettere in crisi schemi consolidati di produzione e consumo capitalistico, prefigurando un'etica di riappropriazione degli spazi e liberalizzazione del loro uso attraverso azioni di sabotaggio e critica. La maggior parte di queste pratiche affondano le loro radici nella dérive situazionista, nella pratica del graffitismo, nelle esperienze delle Neoavanguardie degli anni sessanta (per esempio il movimento Fluxus) ma anche appunto nella Mail Art, nel Neoismo e nell'esperienza di Luther Blisset [19]. Nel territorio conteso e conflittuale della nostra contemporaneità queste azioni ricorrono paradossalmente alla stessa tecnologia che produce i contrasti e i disagi combattuti. Come abbiamo visto in precedenza, il social tagging sovrap69


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pone alla griglia della città fisica un layer evenemenziale, provvisorio, effimero, mutevole, fatto di azioni e performance, di dati e informazioni, di memorie e ricontestualizzazioni semantiche, di relazioni e connessioni tra individui dislocati in tempi e spazi differenti e tra individui e territorio. Yellow Arrow tra tutti i progetti di social tagging mediati è quello che maggiormente incarna il valori dell'Hacktivism e che fa uso di una interattività sociale e low tech. È un progetto globale di public art che attraversa il territorio con simboli collettivi di comunicazione individuale. La strumentazione low-tech consiste in adesivi a forma di freccia di colore giallo che possono essere posizionati ovunque con lo scopo di sottolineare alcuni luoghi speciali della metropoli. Ogni freccia è provvista di un codice che viene spedito dallo sticker via SMS ad un numero telefonico centrale assieme ad un breve testo di commento relativo al contesto o all'esperienza vissuta in quel luogo. La presenza di un "cervello" centralizzato permette lo sviluppo di una rete interattiva. Lo sticker è un fruitore attivo in quanto è colui che deposita il messaggio nella memoria del "cervello", viceversa un qualsiasi passante può diventare un fruitore passivo, spedendo il codice via SMS allo stesso numero telefonico centrale e ricevendo in risposta il messaggio depositato nel "cervello" dallo sticker. A tutto questo patrimonio di frammenti e memorie multimendiali si può accedere attraverso il portale del progetto Yellow Arrow che diventa così una sorta di centro nevralgico trasparente che disvela i suoi meccanismi di funzionamento. È di fondamentale importanza aggiungere che mentre il sito del progetto mette a disposizione tutti gli elementi che permettono la partecipazione all'evento, Counts Media, che gestisce di questi materiali, rimane nell'ombra. Al relativo link infatti corrisponde un portale completamente muto. È questa la vittoria rispetto alla pubblicità tradizionale: lì il desiderio trova soluzione attraverso lo scambio bene-moneta effettuato nell'ambito del circuito del consumo. Qui il gioco è più complesso e gli attori molteplici, forse infiniti. Yellow Arrow sovrappone alla griglia metropolitana uno spazio pubblico trasversale, una rete mobile (perché mobili sono i soggetti che di volta in volta la mettono in atto, tessendola attraverso la fruizione attiva, passiva ed esterna) dotata di zone di addensamento sensibili alla grana e alla patina della città vissuta come giustapposizione, come catalogo piuttosto che come rappresentazione. Le esperienze spaziali di attraversamento, appropriazione, aggregazione e trasformazioni hacktivista si connnotano dunque della cifra tecnologica, trasfor70


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mando la città in un grande playground interattivo e relazionale. L'esperienza SMS Milano promosso da DotDotDot e da E1 IDI nel 2005 ha regole semplici: bussola alla mano si parte da Piazza del Duomo per dirigersi in gruppo alla volta della tangenziale che circonda la città. Durante l'attraversamento le immagini, i pensieri, le parole colte, vengono spedite tramite il cellulare ad una centrale che visualizza ogni messaggio su una carta geografica. Milano è stata quindi mappata come collage di frammenti intimi e personali dei partecipanti che come avveneristici Leopold Bloom hanno compiuto la loro odissea post situazionista. La città invisibile delle reti dunque diventa il luogo dove la nostra umanità iperconnessa transita in rinnovati e sempre più indeterminati “Territori Attuali” [20] luoghi di potenzialità relazionale dove l'uomo diventa attore di uno spettacolo la cui trama emerge nel tempo, gesto dopo gesto.

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NOTE [1] - Ecco quindi perché possiamo parlare di sistemi reagenti, capaci di sovrapporsi come una seconda pelle a tutti gli altri e in grado di svolgere una azione principalmente relazionale: creano dialogo, coniugano differenze, attivano memorie. […] La ricerca artistica, in questo contesto storico, potrebbe svolgere […] un ruolo essenziale nell’andare a rivelare gli elementi di una estetica delle relazioni. Sondare cioè la conseguenza di quello spostamento dall’oggetto (elemento fondante dell’estetica tradizionale) al momento del dialogo e trovare in quella dimensione gli elementi di significato e giudizio (Rosa, 2003: p.40) [2] - Per esempio il progetto Amodal Suspension di Raphael Lozano-Hemmer che permette a utenti remoti sparsi in tutto il mondo di collaborare via internet a creare spettacoli di luce laser. [3] - Dalla voce wikipedia “Anti-monumentalism”: Anti-monumentalism (or Counter-monumentalism) is a philosophy in art that denies the presence of any imposing, authoritative social force in public spaces. It developed as an opposition to monumentalism whereby authorities (usually the state or dictator) establish monuments in public spaces to symbolize themselves or their ideology, and influence the historical narrative of the place.According to artist Rafael Lozano-Hemmer, anti-monument "refers to an action, a performance, which clearly rejects the notion of a monument developed from an elitist point of view as an emblem of power."Krzysztof Wodiczko's Bunker Hill Monument Projections and Do-Ho Shu's Public Figures can be considered examples of anti-monumentalism http://en.wikipedia.org/wiki/Anti-monumentalism [4] - Si consideri per esempio il progetto collettivo Yellow Arrow (http://yellowarrow.net/ ) progetto di arte pubblica globale che mette in ralazione social networks, smartphone e spazi urbani attraverso il tagging reale dei luoghi. [5] - Anelli elettronici di feedback e codici a barre permettono alle aziende di ricevere informazioni continuamente aggiornate sugli acquisti effettuati dai clienti, consentendo la definizione di dettagliati profili dello stile di vita della clientela: scelte di diete e di abbigliamento, stato di salute, abitudini di viaggio e di impiego del tempo libero. (Rifkin, 2000: p.135) [6] - Nicolas Bourriad, curatore e critico d'arte, è stato direttore del Palais de Tokyo dal 2002 al dicembre del 2005 insieme a Jerome Sans. Si può leggere inoltre la vicenda del Palais de Tokyo su NICOLIN P. (2006) Palais de Tokyo. Sito di creazione, postmediabook: Milano [7] - BOURRIAUD, N. (1998) Esthétique relationnelle, Parigi: Les presses du réel, pag. 44 [8] – Si riferisce ad un passo dell’intervista concessa all’autore di questo saggio da Rafael Lozano Hemmer che si è concentrata in particolare sul rapporto tra pubblico, contesto e opera interattiva. [9] - KASPORI, D. (2004) A Communism of Ideas. Towards an Open Source architectural Practice, in “Archis”, n.2 [ http://www.suite75.net/blog/maze ] That same ‘hacker’ culture is also the basis for the emergence of a new organizational model in software engineering, the ‘open source’ movement as it is called. Open source means that the source code of a software program is freely available to all and sundry.

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[10] - BOURRIAUD, N. (2001) Postproduction. Culture as Screenplay: how art reprograms the world, New York: Lukas & Stemberg (trad. 2004, Postproduction. Come l'arte riprogramma il mondo, Milano: Postmedia), dalla quarta di copertina: A partire dai primi anni Ottanta molti artisti creano opere d’arte sulla base di opere già esistenti. Non si tratta più quindi di elaborare una forma sulla base di un materiale grezzo, ma di lavorare con oggetti che sono già in circolazione sul mercato culturale. I concetti di originalità e di creazione svaniscono in un panorama culturale dominato da nuove figure come il DJ e il programmatore, entrambi capaci di selezionare oggetti culturali e includerli in nuovi contesti. La supremazia della cultura dell’appropriazione tende ad abolire il diritto di proprietà delle forme e a favorire un’arte della postproduzione, attraverso la quale gli artisti inventano nuovi usi per le opere del passato e operano una sorta di editing delle narrative storiche e ideologiche. Analizzando i lavori di artisti quali Mike Kelley, Jeff Koons, John Armleder, Rirkrit Tiravanija, Maurizio Cattelan, Douglas Gordon, Pierre Huyghe, Liam Gillick, Jorge Pardo, Sarah Morris... Bourriaud svolge un’importante analisi degli ultimi vent'anni di arte contemporanea (con illuminanti incursioni negli anni Sessanta e Settanta). L'arte della “postproduzione” sembra cosi' essere la pratica artistica più adatta per reagire al caos della cultura globale nell'era dell'informazione. [11] - Dall’intervista concessa all’autore di questo saggio da Usman Haque [12] - In occasione di Design+, l'evento di Design a Roma promosso dal dipartimento ITACA (http://www.romadesignpiu.it/page/edizione2006.html), Lorenzo Imbesi ha curato la conferenza Remote_Control a cui tra gli altri hanno partecipato David Lyon Derrick de Kerckhove, Stefano Rodotà, Massimo Canevacci, Peter Excells, Massimo Ilardi. [13] - BAUMAN, Z. (2000) Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge and Blackwell Publishers, Oxford, 2000 (trad. 2000 Modernità Liquida, Roma-Bari: Laterza), p. XVII-XVIII In qualunque altro modo si voglia definire lo stadio attuale della storia della modernità, esso è di certo, e forse soprattutto, post-panottico. Tratto distintivo del Panopticon era l'obbligatorietà per i detentori del potere di essere sempre presenti, di stazionare nei pressi, di presidiare la torre di controllo. L'elemento caratterizzante dei rapporti di potere post-panottici è, viceversa, che chi detiene le leve di comando da cui dipende il destino degli elementi meno mobili del rapporto può in qualsiasi momento fuggire e diventare imprendibile. [14] - RIFKIN, J. (2000) L'era dell'Accesso, Milano: Mondadori, pag. 135 Quando le imprese parlano di abbandonare l'idea di singoli prodotti venduti a una gran massa di clienti a favore della costruzione di relazioni a lungo termine con ogni singolo cliente, in realtà stanno enfatizzando il potenziale di mercificazione dell'intera esperienza di vita degli individui. Gli specialisti di marketing usano il termini Life Time Value LTV per sottolineare i vantaggi della migrazione da un'ambiente orientato al prodotto ad uno orientato all'accesso, in cui la negozazione di transazioni discrete sul mercato ha meno importanza della costruzione e trasformazione in merce della relazione a lungo termine con il cliente. La determinazione dell' LTV (Life Time Value) di un individuo è resa possibile dalle nuove tecnologie dell'informazione e della telecomunicazione disponibili nell'economia delle reti. Anelli elettronici di feedback e codici a barre permettono alle aziende di ricevere informazioni continuamente aggiornate sugli acquisti effettuati dai clienti, consentendo la definizione di dettagliati profili dello stile di vita della clientela: scelte di diete e di abbigliamento, stato di salute, abitudini di viaggio e di impiego del tempo libero.

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[15] - Alcune di queste tecnologie sono a portata di mano e le adoperiamo ogni giorno. Per esempio i telefonini o i navigatori GPS o più semplicemente i badge di ingresso controllato. Alcune merci vengono dotate ultimamente dei cosiddetti Tag a radiofrequenza che individuano univocamente un prodotto specifico di cui si può tenere traccia dalla produzione al consumo. Su questo argomento si può iniziare a leggere l'articolo di Carlo Ratti in [http://architettura.supereva.com/files/20051002/] a proposito del progetto di ricerca Graz in Real Time (MIT) [16] - Si può leggere di questo argomento in SHINOBU HASHIMOTO, S., DIJKSTRA, R. (2005) Chip City, la metamorfosi degli ambienti urbani e dell'architettura in un mondo dominato dalla tecnologia GPS, su CLUSTER on Innovation, n.02, 2004, numero monografico sul Wireless, pag. 65-73 [17] - Per le vicenda di marketing urbano e tecnologico di Prada, si può leggere l'articolo di SUDJIC, D. (2002) Shopping digitale: Prada a New York, in DOMUS n. 845 febbraio 2002 consultabile anche in rete all'indirizzo [http://www.domusweb.it/Domus/latest/news.cfm?Codice=8218&Tipo=1] Inoltre si può fare riferimento al sito di IDEO [http://www.ideo.com] che ha sviluppato con OMA/OMA gli smart shopping devices e i camerini virtuali. [18] - BAZZICHELLI, T. (2006) Networking. La rete come arte, Milano: Costa & Nolan, pag. 149 Nell'idea dell'hacking sociale che ha preso piede in Italia a livello attivista e politico, l'hacker non è colui che manifesta la sua abilità nell'introdursi nei sistemi informatici (detto più propriamente cracker), ma è colui che mette in condivisione le proprie conoscenze, che lotta per una comunicazione libera e accessibile a tutti, creando e diffondendo sapere, permettendo di manipolarlo. In sintesi, colui che agisce condividendo con altri una particolare etica. [19] - BAZZICHELLI, T. (2006) Networking. La rete come arte, Milano: Costa & Nolan, pag. 17 [20] – Il manifesto di Stalker laboratorio di arte urbana è consultabile alla pagina web [http://digilander.libero.it/stalkerlab/tarkowsky/manifesto/manifest.htm]

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IMMAGINI

1,2 - Progetto per un nuovo teatro lirico a Cagliari, progetto di concorso, secondo premio (1965) di Maurizio Sacripanti conA. Nonis, G. Pellegrineschi (automatismi), G. Perucchini (strutture), F. Purini, A. Perilli 3,4 - Progetto per il padiglione italiano all’Expo di Osaka 1970, Progetto di concorso (1968) di Maurizio Sacripanti con: A. Nonis, M. Decina (strutture mobili), G. Perucchini (strutture), A. Latini, A. Perilli, R. Pedio, G. Leoncilli 5,6 - The Fun Palace (1961-1964) di Cedric Price con Joan Littlewood e Gordon Pask 7,8 - New Babylon (1959-1974) di Constant 9,10 - Ville Spatiale (1959) di Yona Friedman 11 - Panopticon nel carcere dell’isola di Santo Stefano (1795) 12 - Immagine da Cinque Atti Fondamentali: Vita, Educazione, Cerimonia, Amore, Morte (1973)di Superstudio 13 - The Naked City (1957) di Guy Debord 14 - Foto degli artisti presenti alla Prima esplorazione Dada nei pressi di St. Julian Le Pauvre (1921) visita e manifesto a cura di Tristan Tzara 15 - Loundry (1969) di Gianni Pettena per Campo Urbano, Como, 21 Settembre 1969 16 - Amacario (2002) di Stalker, a fabbricaeuropa

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05. CittĂ in Tempo Reale

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At the moment of Sputnik, the planet became a global theater in which there are no spectators but only actors. [Marshall McLuhan: 1974]

En aquel Imperio, el Arte de la Cartografía logró tal Perfección que el Mapa de una sola Provincia ocupaba toda una Ciudad, y el Mapa del Imperio, toda una Provincia. Con el tiempo, estos Mapas Desmesurados no satisficieron y los Colegios de Cartógrafos levantaron un Mapa del Imperio, que tenía el Tamaño del Imperio y coincidía puntualmente con él. Menos Adictas al Estudio de la Cartografía, las Generaciones Siguientes entendieron que ese dilatado Mapa era Inútil y no sin Impiedad lo entregaron a las Inclemencias del Sol y los Inviernos. En los Desiertos del Oeste perduran despedazadas Ruinas del Mapa, habitadas por Animales y por Mendigos; en todo el País no hay otra reliquia de las Disciplinas Geográficas.Suárez Miranda: Viajes de varones prudentes, libro cuarto, cap. XLV, Lérida, 1658. [Jorge Luis Borges: 1954] In today’s Dublin, you wouldn’t need a novelist’s omniscience to follow Leopold Bloom, Stephen Dedalus, and Buck Mulligan around the city; you could just track their cell phone usage. And if Leopold could get access to the logs, he could figure out precisely what Molly was up to. [W. J. Mitchell: 2003] Io sono Ubik. Prima che l'universo fosse, io ero. Ho creato i soli. Ho creato i mondi. Ho creato le forme di vita e i luoghi che esse abitano; io le muovo nel luogo che più mi aggrada. Vanno dove dico io, fanno ciò che io comando. Io sono il verbo e il mio nome non è mai pronunciato, il nome che nessuno conosce. Mi chiamo Ubik, ma non è il mio nome. Io sono e sarò in eterno [Philip K. Dick: 1969]

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5.1 Istantaneità, estensione, amplificazione Il dispositivo interattivo pervasivo rimodula, attraverso la manipolazione del tempo (sincronia/asincronia della comunicazione) i concetti di contiguità (telecontiguità), presenza (telepresenza, ubiquità), partecipazione (hypervoyerismo), controllo (remote control) e rappresentazione spaziale (1:1 mapping) estendendo le capacità cognitive e operative dell'uomo. Gli spazi e gli ambienti sensibili permettono un rapporto comunicativo remoto tra le persone e le cose senza attesa, con evidenti conseguenze di contrazione temporale e spaziale: la telecontiguità cioè la duplicazione di uno stesso evento che accade simultaneamente in più luoghi [1]. Non solo. Data la capacità di memorizzare e anche di connettere in rete i dispositivi sensienti, è una città che si trasforma da sistema spaziale di proporzioni e relazioni metriche ad accumulatore di informazioni georeferenziate e cronosensibili non più descrivibile con una cartografia bidimensionale, piuttosto tramite un sistema ipertestuale rappresentabile con strutture reticolari dinamiche a nodi, cioè una sorta di sguardo sinottico interattivo sullo spazio e sul tempo intrecciati inestricabilmente [2]. In questa città ogni edificio, ogni oggetto, ogni singolo elemento che ne costituisce la realtà fisica, è latore di informazione che può essere evocata, reperita, usata, o altrimenti, memorizzata, “postata” e aggregata in maniera partecipativa dagli utenti che la abitano. Tutto questo, istantaneamente. Ogni emergenza quindi diventa l'indice di un archivio a molte dimensioni che duplica la realtà reale: la realtà virtuale. Così intesa non è più l'iperrealistica rappresentazione digitale di un universo parallelo [3], ma un sistema organizzato più simile a internet in cui ogni oggetto e individuo, come fosse un indirizzo di un sito Web, dispone di informazioni organizzate da più utenti. In sintesi tutto ciò è “Internet delle Cose” [4] cioè una dimensione informativa in rapporto con la realtà in scala 10:1 oppure 100:1 o ancora 1000:1 con fattore sempre crescente nel tempo, dove paradossalmente [5] il virtuale sovrasta il reale, dove il reale è solo l'indice spaziale, a volte ambulante, di una quantità di informazioni che sono superiori alle componenti della realtà vera. Ma le “Cose” che questo modello interpretativo prende in considerazione non sono solo porte di comunicazione passive verso il cyberspace: grazie all'innesto dei dispositivi tecnologici miniaturizzati, diventano sensibili cioè capaci di percepire le variazioni dell'intorno, di dialogare con altri oggetti e di elaborare in 80


un tempo infinitesimo i dati immagazzinati. In questa maniera ogni azione svolta sulla loro superficie ha un riscontro nella realtà duplicata e viceversa, non banalmente, ogni azione operata sul suo simulacro virtuale produce un effetto nella realtà fisica che ormai è diventata una realtà ibrida. Molti progetti di ricerca sviluppati in contesti assai diversi si occupano di sondare i bordi di questo scenario affrontandolo più efficacemente da punti di vista parziali: come i dispositivi portatili di comunicazione personale possono trasformarsi in dispositivi che permettono la fruizione di informazioni georeferenziate? Come questi stessi posso diventare una sorta di sketchbook o meglio diari interattivi contestuali da condividere con altri in una sorta di agorà telematica? Come è possibile costruire mappe visuali significative, interpretabili e manipolabili di una così grande quantità di dati dinamici? Come può essere governato il territorio la cui rendita dipende non più dalla posizione rispetto ad un centro spaziale quanto piuttosto dai livelli di accumulazione di informazioni significative e dalla loro accessibilità? Proviamo ad analizzare alcuni di questi progetti e a far emergere da un lato le tematiche di riferimento dall'altro gli aspetti che surrettiziamente vengono celati.

5.2 City in Real Time: mappatura istantanea del territorio Su un monitor appaiono grafici mutevoli sovrapposti alla foto aerea della città di Graz. In alcuni casi si tratta di reticoli spaziali che si addensano e poi si rarefanno in particolari punti del territorio; in altri sono delle mesh tridimensionali che gradualmente cambiano colore in prossimità di una piazza; oppure sono dei picchi volumetrici che salgono o scendono in diverse altre zone. È chiaro che si sta tentando di visualizzare spazialmente la mappatura di alcune variabili, cioè fenomeni urbani, che cambiano rapidamente nel tempo. E infatti il fenomeno che viene trasfigurato nello spazio di una sorta di cartografia a quattro dimensioni è quello dell'uso dei telefonini cellulari da parte dell'intera popolazione di Graz e il progetto in questione fa parte di una serie di esplorazioni del Senseable City Lab dell'MIT [6]. La logica è questa: il telefonino non è solamente uno strumento per la comunicazione remota wireless, ma un dispositivo portatile personale di cui è possibile individuare in tempo reale la posizione. Detto altrimenti ogni individuo è un'antenna ambulante e il telefonino, come ogni altro dispositivo basato su tecnologie di posizione, diventa un Location Aware Device [7] cioè consapevole della propria posizione. 81


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Nel momento in cui ho a disposizione i dati da parte delle compagnie telefoniche relativi alle attività dei singoli telefonini (chiamate in entrata, chiamate in uscita, acceso o spento) attraverso delle tecniche GIS posso generare al computer mappe che di fatto seguono (o meglio inseguono!) i flussi della popolazione metropolitana. Se si incrociano queste informazioni con quelle che derivano da altri dispositivi di localizzazione installati sui taxi o sui mezzi di trasporto pubblico, la mappatura diventa complessa ma più chiaro l'intento utilitaristico di un tale progetto: il controllo del traffico per esempio, la gestione dei tempi d'attesa dei trasporti pubblici, la gestione della pubblica sicurezza durante eventi di massa come la Notte Bianca o i concerti delle star della pop music. Dicendola in altra maniera, lo schermo del dispositivo di comunicazione portatile, diventa l'ultima frontiera delle campagne di marketing che raggiungono ogni individuo con messaggi pubblicitari personalizzati in funzione dei luoghi che frequentano più spesso. Oppure i monitor dei taxi e degli autobus, alla stregua degli ingombranti palinsesti urbani, vengono lottizzati dalle compagnie per fornire informazioni pubblicitarie legate alle soste e ai transiti. 5.3 Nel ventre della Smart Ciy Fin qui, l'attore di questi scenari è un Grande Controllore anonimo. Ma nel momento in cui considero il telefono cellulare come dispositivo attivo cioè una sorta di telecomando che mi permette di interagire con piattaforme di comunicazione e gestione di contenuti, si introducono dei livelli di complessità ulteriori che vale la pena di prendere in considerazione. Mi immagino in viaggio. Non importa se il contesto sia urbano o naturale, il Polo Nord o la foresta Amazzonica, purché il mio dispositivo sia raggiungibile dai campi elettromagnetici di qualche ripetitore o satellite che lo connettano alla Rete. Registro il mio diario emotivo con fotografie, pensieri e informazioni utili che si riferiscono ai luoghi che visito e alle persone che incontro. Registrazioni audio, scritti, schizzi, video e quant'altro, possono essere spediti istantaneamente, ad una piattaforma web che visualizza i miei contributi su un mappa geografica. Altri viaggiatori potranno fare lo stesso oppure consultare le stratificazioni di informazioni relative ad uno “spot” accumulate e condivise da molti nel corso del tempo. Altra scena. Sono un flaneur elettronico che si muove nel ventre della smart city come in una sorta di deriva infogeografica interattiva. Interpello 82


lo spazio urbano, i suoi edifici e al limite ogni oggetto come fossero siti web [8] che qualcun altro ha provveduto ha riempire di informazioni e servizi utili o seducenti: dov'è il miglior ristorante della zona? Chi ha realizzato questo edificio? Chi ci ha abitato? Dove trovo la più vicina fermata della metro? Dove posso fare sesso a pagamento? Dove si vende hascisc? D'altro canto, posso io stesso aggiungere contenuti a questa carta geografica di pietra, fatta di riferimenti reali, e costruire insieme ai miei consimili una città evenemenziale, una sorta di città post situazionista dove ogni percorso si trasforma in un evento partecipativo e collettivo sempre a “portata di mano” purché io sia connesso e abbia accesso alla Rete. Alla Biennale del 2006 il Senseable City Lab (MIT) di Carlo Ratti si è presentato con un padiglione che metteva in mostra una serie di progetti innovativi sulla cosiddetta smart city, cioè quella dei servizi intelligenti che possano rendere la vita metropolitana e il rapporto tra amministrazione e cittadini più facile e diretto. In particolare veniva presentato il risultato dell'esplorazione Real Time Rome sul tema della mappatura del territorio in tempo reale (telefonini, mezzi pubblici e taxi) in collaborazione con Telecom e Atac. Inoltre veniva prefigurato lo scenario della cosiddetta WikiCity, la piattaforma di social network basata sulla pratica del tagging georeferenziato (etichetta indice associata a un testo scritto, un immagine, un video o messaggio audio riferita ad un luogo preciso) da condividere a zonzo per la città simile a glocamap di Carlo Infante e Maurizio Cilli, sperimentata a Torino in occasione delle Olimpiadi invernali. Ma anche l'Adaptable Bus Stop, il prototipo di fermata per mezzi pubblici che l'MIT, in consorzio con la municipalità di Zaragoza, realizzeranno per l'expo del 2008: in pratica una sorta di fermata interattiva che fornirà agli utenti una serie di servizi, in tempo reale, relativi alla mobilità pubblica (ritardi, percorso più veloce), agli eventi culturali della città e alle informazioni turistiche. Non molto dissimile all'approccio del Senseable City Lab, è il progetto di ricerca Electronic Lens di Federico Casalegno e William J. Mitchell, sempre all' MIT. A differenza dei primi che prendono in considerazione le implicazioni sullo studio del territorio, sullo spazio e sulla progettazione architettonica delle tecnologie portatili, il lavoro del gruppo E-Lens si concentra sui servizi che la pervasività dei Location Aware Device possono favorire nel rapporto tra amministrazione pubblica e cittadino: l'accesso diretto ai dati amministrativi, attività di social network per favorire una partecipazione coinvolgente alla vita pubblica anche attraverso la rete, o eventi di arte pubblica collettivi.

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Criticamente più impegnate invece sono le provocazioni del collettivo 01001011110101101.org (Eva e Franco Mattes) che per un anno intero decidono di mettere “sotto autocontrollo” i loro spostamenti, le loro conversazioni telefoniche e l'uso quotidiano del PC, rendendoli disponibili a tutti in tempo reale sul loro sito internet: una mappa geografica riporta la loro corrente posizione captata dal satellite tramite un dispositivo GPS portatile e altre interfacce permettono di accedere alle conversazioni oppure al Desktop dei loro computer. Progetto che aveva lo scopo di stimolare la riflessione su quanto sia facile perdere controllo, da parte dei cittadini ordinari, delle informazioni personali che li riguardano (transazioni con la carta di credito, pagamenti con bancomat, uso del cellulare, spostamenti, acquisti, preferenze etc.) che possono essere molto facilmente rese disponibile al miglior offerente. Similmente nel 2002, con Amsterdam Real Time, il gruppo Waag Society tenta di visualizzare le “mappe mentali” di cittadini che vivono ognuno in maniera differente e personale la città di Amsterdam, dotandoli ognuno di un GPS portatile da tenere sempre con se. Ed infine Chip City, progetto urbanistico post futurista di una Master Class al Berlage Institute dove si progettano scenari di traffico e comunicazione pubblica per dimostrare come a seguito dell'introduzione dei Location Based Device e delle tecnologie di trasmissione wireless, l'urbanistica modernista perde la sua efficacia poiché i luoghi si trasformano da in incroci o punti focali in punti di accesso e accumulazione di informazioni o servizi esclusivi che nulla hanno a che vedere con griglie o zonizzazioni spaziali. A questo punto proviamo a far emergere i temi di riferimento che sono alla base di molte altre esperienze che funzionano con medesimi meccanismi. Innanzitutto la tracciatura in tempo reale [9] di un fenomeno urbano come quello dello spostamento di milioni di individui o mezzi di trasporto che permette di precisare statisticamente i punti di preferenza o accumulazione sul territorio. Poi la sua rappresentazione, che è una frontiera di ricerca comune a molte discipline che manipolano una grande quantità di informazioni che provengono da fonti dinamiche [10]. Si tratta di costruire un ambiente interattivo capace di visualizzare non solo mappe comunicative tematiche che rappresentino sinteticamente un argomento del territorio, ma anche la loro variazione del tempo. Inoltre il controllo sulla connessione alla rete e sull'accessibilità a informazioni rilevanti georeferenziate che trasforma lo spazio urbano in una giustapposizione non più di architetture visivamente e posizionalmente gerarchiche, ma di good spots [11] dotati di accesso veloce e servizi esclusivi per tecnoconsumatori paganti [12]. Ma ovviamente anche il tema della partecipazione ad 84


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un'opera connettiva basata su piattaforma web che hanno riscontro nel reale: si condivide e si costruisce una coscienza non gerarchica, dal carattere esperienziale, emotivo, non utilitaristico, ludica, sociale. Pur facendo uso di molte metafore del social web o meglio web 2.0, questo ultimo fenomeno attinge ad una cultura consolidata di appropriazione territoriale attraverso il tag graffiato sui muri metropolitani e a quelle azioni di attivismo urbano che si esprimono molto spesso con tecnologie semplici e a basso costo e di cui si sono viste le peculiarità nel capitolo precedente (Urban Tapestries, Yellow Arrows, Riders). E ancora il tema della città repositorio fatta di memorie e frammenti suscettibili di evocazioni, la città come bacheca virtuale o altrimenti la città ipertesto dentro la quale lasciare traccia del proprio passaggio con frammenti e “tags” attivi oppure attraversando la quale poter costruire un personale bagaglio di conoscenze: l'uomo dunque diventa sempre più nomade, perennemente in transito nei Territori Attuali di questa contemporaneità ibrida costituita di luoghi di potenzialità relazionale e comunicativa dove lo spettatore diventa attore di uno spettacolo la cui trama emerge nel tempo, gesto dopo gesto, passo dopo passo, sms dopo sms. 5.4 Intelligenza ubiqua Nel 2005 Time sentenzia che Ubik è tra i 100 migliori romanzi della moderna letteratura inglese per influenza sul presente e visionarietà post futurista. Philip Dick lo pubblica nel 1969 e subito si vocifera che sia il frutto di molteplici esperienze dell'autore con LSD. Effettivamente l'atmosfera allucinatoria e folle del romanzo non lasciano scampo: luoghi dove gli esseri viventi continuano a vivere una half-life dopo la morte; poteri paranormali e telecinetici al servizio di spie industriali; regressioni fisiche di oggetti che si trasformano in artefatti obsoleti appartenuti ad un passato tecnologico semplificato e inefficiente; lugubri messaggi che appaiono e scompaiono dalle pareti degli edifici. Al solito, retoricamente, Dick sembra aver previsto ogni male che la tecnologia potesse produrre sugli abiti sociali: la distopia è ambientata in un futuro 1992 dove l'ossessione consumistica ha creato macchine che selezionano news e pubblicità secondo criteri personalizzati ma sopratutto dove ogni oggetto è in grado di pensare, percepire, parlare, dialogare ed essere connesso l'un l'altro fino a formare una intelligenza ubiqua, cioè presente in ogni luogo e in ogni 85


spazio istantaneamente: Ubik appunto. La realtà prefigurata in verità descrive l’attuale metafora delle “Cose che Pensano”, Things That Think [13] che sono connesse tra di loro e alla rete fino a formare, come si diceva precedentemente una sorta di “Internet delle Cose”. Questa metafora disvela due implicazioni dell'uso della tecnologia miniaturizzata e digitale nei contesti d'uso quotidiano. 5.5 Ibridazione: Virtuale nel Reale La prima è l'idea di una ecologia ibrida per così dire, in cui convivono realtà fenomenica e realtà virtuale che si fondono in una sorta di abbraccio reciproco permettendo a chi è in rete di operare nel reale attraverso estensioni protesiche, viceversa di influenzare la struttura informativa della rete interagendo con superfici senzienti e intelligenti: dai touch screen dei bancomat alle tastiere dei telefonini, dalle porte d'ingresso automatiche ad ogni semaforo, dall'elettrodomestico ai sistemi interattivi complessi che sanno persino riconoscere chi siamo e cosa vogliamo e che ci fanno accedere ai servizi della Rete come avatar, cioè fantasmi virtuali. Pertanto non c'è più differenza tra i due universi e ciò che faccio nel reale si riflette nel virtuale e viceversa. 5.6 Telepresenza e estensione del corpo La seconda è l’idea della telepresenza cioè la possibilità di “essere presente stando lontano”: la potenza di calcolo diffusa delle Cose e la loro capacità di comunicare in tempo reale attraverso la rete, permettono di operare superando le distanze. Se l’ibridazione consente la presenza simultanea in due dimensioni parallele, la telepresenza è l’estensione infinita del corpo, cioè la contiguità degli spazi. È tra queste due microutopie, il virtuale nel reale e la possibilità di estendere le proprie capacità indefinitamente, che oscillano le indagini di molte installazioni e progetti interattivi. Considerati gli scenari, la cosa rilevante ora è capire come vengono declinate le esplorazioni e in quale forma si realizzino. L’attività del gruppo di artisti romani Plancton esplora da molti anni il rapporto tra la dimensione artificiale e quella naturale creando delle realtà ibride che si influenzano a vicenda. L'installazione Emerging Relations è paradigmatica del loro approccio: si tratta di un ambiente di vita artificiale che evolve – delle creature imparano a parlare - grazie all'interazione con il contesto con cui entrano in contatto. I visitatori dell'installazione interagendo con questo universo che impara, prendono coscienza che l'artificiale in fondo è una proiezione di se, una duplicazione della coscienza umana [14]. 86


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Anche il collettivo francese Electronic Shadows attraverso scenari ibridizzati di vita quotidiana esplora le interazioni tra gli universi paralleli del reale e del virtuale. L'installazione Ex-Iles per esempio, che è costituita nella realtà di una vasca d'acqua illuminata di cinque metri e nel virtuale di una sua rappresentazione raggiungibile ad un indirizzo internet, sperimenta il contatto tra questi due mondi proiettando una sagoma che nuota da un bordo all'altro della piscina vuoi perché ha ricevuto un impulso dal contesto reale – una mano immersa, un soffio a pelo dell'acqua, un sasso scagliato, una foglia caduta – vuoi perché qualcuno ha interagito la sua ricostruzione virtuale in rete. In 3minutes2 presentato alla Notte Bianca di Parigi del 2003, delle presenze immateriali agiscono all'interno di uno spazio di minima esistenza, reale, che si adatta, proiettivamente, ai loro bisogni quotidiani. Questa stessa realtà ibrida, lo spazio intimo dell'abitazione, diventa interattiva con l'installazione H20 allestita al salone del Mobile di Milano del 2005: i visitatori entrano in contatto con con questo ambiente e con le presenze modificando i loro comportamenti e le qualità dello spazio circostante. L'installazione Grace Under Pressure di Cliostraat e IDI Ivrea alla Biennale di Venezia del 2002, mette in scena invece una matrice spaziale si sensori luminosi capace di visualizzare l'attività di ricerca che gli utenti in internet svolgono sull'archivio della DARC ricreando una sorta di telepresenza ambientale tra due universi paralleli. In pratica la contiguità fra due luoghi o dimensioni non viene palesata “ad alta risoluzione” ma attraverso dei segnali parziali che attivano quella che viene chiamata consapevolezza periferica [15]. Per esempio se mi trovo all'interno di un centro commerciale posso riprodurre con delle proiezioni le condizioni luminose del tempo atmosferico e suscitare la consapevolezza sinestetica dell'esterno. Particolarmente significativo da questo punto di vista è il progetto di deCoi-Mark Goulthorpe per il teatro dell'Ippodromo di Birmingham: una superficie servomeccanica (Aegis Hyposurface) posta in prossimità dell'ingresso rappresenta con dei pattern tridimensionali vibranti l'intensità del rumore in sala creando così la consapevolezza dell'attività che si svolge all'interno senza palesarla con una fotografia ad alta risoluzione ma attraverso una rappresentazione sinestetica. Ma anche il progetto Camera Brix di HeHe: l'architettura palinsesto si trasforma in uno schermo fatto di elementi luminosi componibili che restituisce le im87


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magini pixelate riprese da una telecamera remota. Viene comunicata la l'attività distante per instaurare un contatto emotivo di presenza e prossimità tra individui e tra comunità [16]. HeHe realizzano anche Miroir aux Silhouettes, una specie di specchio magico che mette in contatto due persone dislocate in luoghi distanti investigando la problematica del compromesso nei comportamenti sociali mediati dalle tecnologie: lo schermo lcd al quale ci si rivolge riprende la mia faccia e la ri-proietta chiaramente o in dissolvenza con il viso dell'altra persona a seconda di quanto si è vicini reciprocamente al monitor. La comunicazione a distanza mediata, la consapevolezza emotiva e il senso di connessione vengono incredibilmente sintetizzati dal progetto Hug Shirt di Cute Circuits che permette di “spedire” abbracci a distanza: si tratta di un capo di abbigliamento interattivo capace di percepire l'intensità del tatto sulla sua superficie e di ricreare attraverso delle resistenze viceversa la sensazione calda di un abbraccio spedito dalla persona cara attraverso un sms o indossando una maglia simile. 5.7 Lo sguardo simultaneo dello spazio: un punto di vista sempre più esterno Lo spettacolo della visione dall'alto non è stato sempre a portata di tutti. Dai campanili a Googlemap il processo di graduale emancipazione ha modificato fortemente la maniera di interpretare la città, di studiarne la forma e di pianificarne il territorio. Ma ha anche trasformato i suoi abitanti da spettatori di episodi locali in attori di spettacoli globali. Questa metamorfosi è capitata più volte nel corso della modernità. La Tour Eiffel per esempio sottrae il flâneur, passeggiatore esclusivo che godeva dello spettacolo delle merci esposte nelle vetrine dei boulevard, dalla sua condizione di compiacente comparsa alla dimensione di attore dei fenomeni urbani. L'inarrestabile verticalizzazione dello sguardo e l'estetizzazione “panoramica” attraversa successivamente anche l'era del volo aereo fino ad arrivare allo sguardo più esterno di tutti, quello dello Sputnik. L'osservatore satellitare è l'unico che è grado di percepire dall'esterno lo spettacolo planetario. Tutti gli altri diventano partecipi di un'unica collettiva performance alla quale si è chiamati a contribuire. 5.8 Sguardo simultaneo del tempo: la comunicazione istantanea che supera le distanze. Mentre l'umanità si occupa di esplorare le estetiche panoramiche e partecipative, i mezzi di comunicazione si vanno perfezionando risolvendo il nodo mo88


derno della istantaneità della trasmissione oltre lo sguardo diretto: i segnali di fumo permettono di comunicare a distanze che sono a portata di sguardo, anche se amplificato con cannocchiali, ma non raggiungono l'altro capo del mondo. Dunque il telegrafo è il primo passo per cambiare il rapporto dell'uomo elettrificato con l'idea di prossimità. Tutto il resto riguarda la qualità della trasmissione: codice morse prima, voci e suoni distinti in seguito e poi immagini a colori nell'era della televisione, salvo poi sperimentare, come abbaimo visto, la prossimità emotiva con segnali a bassa risoluzione, sinestetici. 5.9 Dove lo sguardo simultaneo del tempo e dello spazio si incontrano: rock around the clock A partire dalla fonetica sillabica all'alfabeto strutturato, si compie una discretizzazione del messaggio che ai giorni nostri si chiama digitalizzazione. I bit, atomi di informazione, fluiscono ordinatamente secondo una scansione temporale misurata in numero di operazioni al secondo: mentre il ciclo quotidiano di lavoro e preghiera delle comunità di benedettini del XIII secolo era scandita dal rintocco dei campanili, la modernità industriale dà ritmo al ciclo di produzione e riposo avvalendosi della scansione in ore e minuti dell'orologio meccanico. Più il ritmo della fabbrica è veloce più il susseguirsi delle azioni persistono sulla retina producendo l'illusione del movimento: il meccanismo cinematografico. Il punto di vista, parimenti, cambia rapidamente grazie alle crescenti velocità dei mezzi di locomozione. Si ha quindi l'impressione di poter registrare questo esperienza rappresentando contemporaneamente più sguardi su un unica tela oppure fermare il cambiamento in fluide Forme Uniche. Tutto questo appartiene ad una modernità in cerca di una sua liquidità. La contemporaneità invece misura il tempo in GigaHertz, battiti per secondo di un oscillatore al quarzo. Le potenze di calcolo degli attuali dispositivi digitali tende all'infinito, cioè posso istantaneamente manipolare tutti gli atomi di cui è composta la realtà: il mito di Matrix. 5.10 Disincarnazione A questa iper-realtà duplice si accede, nel film, tramite un innesto nervoso che permette di lasciare il proprio corpo reale per proiettare la nostra coscienza in una realtà parallela (o comunque remota) dentro la quale agire come se fossimo lì. La metafora chiarisce come i media messi a disposizione dall'avanzamento tecnologico, agendo come estensione delle capacità senzienti e operative del89


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l'uomo, producono una sorta di disincarnazione della nostra percezione corporea. Lo spaesamento e l'incertezza di trovarsi nella realtà fisica o in qualche altra ulteriore dimensione, come viene raccontato in eXistenz dal Cronenberg[17], è il rischio con cui fare i conti quando ci rivestiamo dell'abito mediale. 5.11 Convergenze Sembra a questo punto chiudersi un cerchio: la quasi sincronia delle comunicazioni a distanza, la capacità di elaborare e visualizzare istantaneamente una grande quantità di dati e la pervasività dei dispositivi tecnologici in grado di far dialogare il reale con il virtuale si trovano a convergere nel dispositivo interattivo che risolve così la tensione moderna verso la simultaneità dello sguardo (lo spazio) e la simultaneità della comunicazione (il tempo), ovvero l'estensione del corpo senziente e operante oltre i limiti epidermici [18]. In conclusione la Città sensibile estensione progressiva e molteplice del nostro corpo ubiquo, se per certi versi diventa occasione per esplorare la duplicità illusoria che il digitale implica, per altri prefigura la possibilità di un universo ibrido, sostenibile, in cui l'artificiale e il naturale si intrecciano in mutui ed progressivi scambi.

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NOTE [1] MITCHELL, 1996: p.7 Stiamo scoprendo, dunque, che la comunicazione sincrona non è, in realtà, che un caso limite di comunicazione asincrona” dove per limite intende il livello di “simultaneità” (tempo reale) con cui i dispositivi di comunicazione riescono a mettersi in contatto. [2] - La storia della civiltà è scandita da tappe precise di progressivo ricerca di simultaneità. Da una parte c’è la ricerca dello sguardo simultaneo sullo spazio: la progressiva verticalizzazione dello sguardo alla ricerca di un punto di vista sempre esterno si conclude con il lancio dei satelliti nello spazio ( Sputnik 1, 1957) passando per la celebre estetizzazione panoramica dello spazio urbano permessa dalla Tour Eiffel (Barthes, 1993-1995: p.412). Dall’altra la ricerca di una simultaneità nelle comunicazioni che si affinano fino a trasportare immagini colori via etere. [3] - Quando si parla di Realtà Virtuale si immagine per esempio l'universo digitale iperrealista de il Tagliaerbe con il quale la mente umana entra in contatto attraverso degli artifici tecnologici abbastanza ingombranti: occhiali tridimensionali, dataglove, e altro che danno l'illusione di essere partecipe di una realtà numerica appunto, simulata da un calcolatore. Sul rapporto tra il reale e il virtuale nella contemporaneità MALDONADO, T. (2005) Reale e Virtuale, Milano: Feltrinelli [4] - Internet of things, pervasive computing, ubiquitous computing, calm technology, things that think everyware, pervasive Internet, internet of things sono tutte espressioni che fanno riferimento alla pervasività di dispositivi intelligenti che stanno conquistando ogni angolo della nostra vita quotidiana. Mark Weiser per primo ha cominciato a confrontarsi con i temi dell' Ubiquitous Computing a partire dal 1988 presso lo Xerox PARC [http://en.wikipedia.org/wiki/Ubiquitous_computing] . Il più visionario riferimento letterario riguardante il tema dell’ubiquità è invece la distopia descritta da Philip K. Dick nel racconto intitolato Ubik del 1969. [5] – BORGES, L. J. (2005), Finzioni, Torino: Einaudi, p. L'universo (che altri chiamano la Biblioteca) si compone di un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori ,interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in numero di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno;la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella di una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un'altra galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due gabinetti minuscoli. Uno permette di dormire in piedi; l'altro di soddisfare le necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che si inabissa e s'innalza nel remoto. Nel corridoio c'è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze.... La luce procede da frutti sferici che hanno il nome di lampade. Ve ne sono due per esagono, su una traversa.... Morto non mancheranno mani pietose che mi gettino fuori della ringhiera; mia sepoltura sarà l'aria insondabile; il mio corpo affonderà lungamente e si corromperà e si dissolverà nel vento generato dalla caduta, che è infinita... A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascun scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga di quaranta lettere nere. [6] - Il Senseable City Lab MIT diretto da Carlo Ratti sviluppa progetti, scenari e prototipi che indagano le implicazioni delle tecnologie informatiche nello studio e fruizione dello spazio ur91


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bano. Il sito ufficiale http://senseable.mit.edu/ documenta gran parte delle attivita' del laboratorio. [7] - Per quanto riguarda i Location Aware Device, si può leggere SHINOBU HASHIMOTO, S., DIJKSTRA, R. (2005), Chip City, la metamorfosi degli ambienti urbani e dell'architettura in un mondo dominato dalla tecnologia GPS, in CLUSTER on Innovation, n.02, 2004, numero monografico sul Wireless, pag. 65-73. Futuribilmente si immagina un congegno portatile o innestato, miniaturizzato e personalizzato che possa indicare con esatta precisione e in tempo reale la posizione delle persone e delle cose. [8] - Per questo argomento si può fare riferimento a PASQUINELLI, M. (2005) La videocittà. I media urbani e il senso del luogo, su CLUSTER on Innovation, n.05, 2005, numero monografico sulla Città, pag 83-87 [9] - Per quanto riguarda questa tecnologia e come è stata usata per esempio per mappare le attività dei telefonini di Graz si può leggere RATTI C., SEVTSUK A., HUANG S., PAILER R. (2005), Mobile Landscapes: Graz in Real Time, Proceedings of the 3rd Symposium on LBS & TeleCartography, 28-30 November, Vienna, Austria [10] A proposito del tema della visualizzazione di dati provenienti da fonti dinamiche di informazioni, si possono leggere on-line: FRY, B. (2003) Organic information design, Master's Thesis | MIT Media Lab Aesthetics & Computation Group e FRY, B. (2006) Computational information design, PhD dissertation, MIT Media Lab [11] - Sui modelli di modificazione dello spazio urbano in funzione delle nuove tecnologie di localizzazione che producono Good spots si può leggere Regina SONNABEND & Wilfred HACKENBROICH, L’urbanesimo interattivo del futuro, su Cluster n. 05 del 2005 a pag 113-115. [12] - In RATTI C., PULSELLI R. M., WILLIAMS S., FRENCHMAN D. (2005) Mobile Landscapes, Environment and Planning, in corso di pubblicazione (http://senseable.mit.edu/papers/) , si può leggere la tassonomia completa in base agli utenti e ai tipi di scopi dei servizi georeferenziati Location Based Services. [13] - Hiroshi Ishii dirige all' MIT il Things That Things Consortium (http://ttt.media.mit.edu/) che si prefigge lo scopo di progettare oggetti di di uso quotidiano innestate da tecnologie digitale miniaturizzate che li possano rendere intelligenti e conversanti con il contesto circostante. [14] - Da un intervista concessa da Mauro Annunziato (Plancton). [15] - La coscienza periferica (Peripheral Awarness) ha a che vedere in questo contesto con l'idea di una telepresenza ambientale a bassa definizione, sfuocata: si ha l'impressione di una presenza solo attraverso alcuni stimoli parziali che connotano un ambiente e che provengono da una postazione remota. Per esempio una luce colorata di rosso proiettata sulla scrivania del mio studio può suggerirmi che qualcuno è entrato in casa. [16] - Natalie Jeremijenko produsse in Xerox Parc Live Wire, un dispositivo tridimensionale che indicava in tempo reale il traffico della lan aziendale con lo scopo di manifestare concretamente la materialità del cyberspace. In realtà si è imposto come un dispositivo di tecnoarte non intrusivo che tacitamente forniva una informazione da tutti compresa e condivida all'interno della comunità, in questa maniera connessa, di XEROX Parc. [tratto da http://tech90s.walkerart.org/nj/transcript/nj_04.html] 92


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[17] – ALLEN, Giles Herbert (1926), Chuang Tzu: Mystic, Moralist, and Social Reformer, Shangai Chuang Tzu sognò di essere una farfalla,e al risveglio non sapeva se fosse un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che in quel mentre sognasse di essere un uomo. [18] - La modernità industriale ha trovato la sua liquidità nelle Forme Uniche della Continuità nello Spazio di Boccioni: più il ritmo della fabbrica è veloce più il susseguirsi delle azioni persistono sulla retina producendo l'illusione del movimento: il meccanismo cinematografico. Il punto di vista, parimenti, cambia rapidamente grazie alle crescenti velocità dei mezzi di locomozione. Si ha quindi l'impressione di poter registrare questo esperienza rappresentando contemporaneamente più sguardi su un unica tela oppure fermare il cambiamento in fluide Forme Uniche appunto. La contemporaneità si confronta invece con la misura del tempo in GigaHertz, miliardi di battiti per secondo di un “cuore” al quarzo. Le potenze di calcolo degli attuali dispositivi digitali tende all'infinito, cioè posso istantaneamente manipolare tutti gli atomi di cui è composta la realtà: il mito di Matrix.

IMMAGINI 1 - Sequenza della costruzione della Tour Eiffel (1887 - 1889) 2 - Fotogrammi dal film Tempi Moderni (1936) di Charlie Chaplin 3,4 - Fotogrammi dal film Metropolis (1927) di Fritz Lang 5 - Cronofotografia del volo di un pellicano(1882)di Étienne-Jules Marey 6 - Forme uniche della continuità dello Spazio (1913) di Umberto Boccioni 7 - Sputnik, primo satellite artificiale in orbita nella spazio (1954) 8 - Intel 4004 , Layout del primo microporcessore commerciale (1980) 9 - Immagine generata dal software Tissue (2002) di Casey Reas

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