Albero della vita n°2 2017

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L'albero della vita

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L' Albero della vita L’ALBERO DELLA VITA

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IN COPERTINA La Mimosa (foto Dino Santarossa)

Anno 2 numero 2

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"Tetti di Venezia" di Rovena de Ferra

MARZO ­ APRILE ­ MAGGIO 2017

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COORDINATORE EDITORIALE Corrado Balistreri Trincanato

Editoriale: L'urlo soffocato e disperato della madre

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Una grande benefattrice: Madame Favier

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Poesia: E se a quel tavolo sentae...

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Musica: Un cielo di comete

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Mia Madre

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Medicina: Sai cosa mangi: leggi le etichette

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Il mio tardivo 8 marzo

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Il profumo del mare

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Una donna controcorrente

HANNO COLLABORATO:

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Una donna tenace e coraggiosa

Elvira Brusegan Teresa Busatto Elsa Caggiani Anna Citta Claudine Danis Silvie Beatrix de’ Rochfort Albachiara Gasparella Fausto de Ferra Paolo Padula Adriana Terzano Ennio Tortato

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Succede a Dacca ­ Il piacere della lettura

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Le antiche pesche di Mogliano

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Gemellaggio di Mogliano con Lisieux

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Buone vacanze e arrivederci

L'Albero della Vita | marzo ‐ aprile ‐ maggio 2017

REDATTORE CAPO Giuseppe Ragusa REDAZIONE Cecilia Barbato Gabriella Bontà Albachiara Gasparella Donatella Grespi Gabriella Madeyski Dino Santarossa GRAFICA e versione on line Dino Santarossa

Il numero estivo giugno ­ luglio ­ agosto verrà pubblicato on linee a giugno sul sito:

www.unitremoglianotv.it Il nostro periodico è aperto a tutti coloro che desiderino collaborare nel rispetto dell’ art. 21 della Costituzione che così recita: “Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione ”, non costituendo pertanto, tale collaborazione gratuita alcun rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione autonoma.

Distribuzione gratuita

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uni­tre@unitremoglianotv.it Con il contributo del Comune di Mogliano V.to "È tacito che, a protezione del diritto d’autore e della proprietà intellettuale, sulla base della legge 633/1941 e successivi aggiornamenti, ogni autrice ed autore è responsabile dell’autenticità degli scritti e delle immagini fotografiche inviati alla redazione dell'Albero della Vita". Ci scusiamo per eventuali, non volute, carenze od omissioni nelle indicazioni di autori di porzioni di testi non virgolettati, degli autori di immagini fotografiche, pittoriche e disegnate, delle eventuali proprietà editoriali o ©, a fronte di una carenza d'indicazioni delle stesse, o presenti su fogli volanti, o poste in siti internet anonimi.


Editoriale:

L'urlo soffocato e disperato della madre Corrado Balistreri Trincanato

N

ella fede cristiana è presente una festività, il "Resurgit", la "Pasqua", ma tale solennità festiva fa scomparire la più tragica realtà, che non è solo quella del Figlio di Dio fattosi uomo e martirizzato, divenendo il lavacro di tutte le colpe dell'umanità, ma anche quella della Vergine Maria. Nell'imperscrutabilità dei dogmi, ci troviamo di fronte ad una fanciulla, pura tra le pure, che per volontà divina viene fecondata da un raggio che l'avvolge in un'aura, porta avanti il con­ cepimento ed è l'unica donna che partorirà senza alcun dolore. Dal momento della Grazia Divina, il corpo diviene incorruttibile e quindi esentato dall'in­ vecchiamento, ma non le viene risparmiato il più esasperante e lacerante dolore per una madre: la morte del figlio. In ogni rappresentazione evangelizzata, scritta o figurata, non può contare sul sostegno del marito, Giuseppe, padre putativo di Gesù. Straziata quanto il figlio, è sorretta da Maria Maddalena, tredicesima discepola, circondata dalle Pie Donne piangenti e dal discepolo più vicino al "Crocifisso", Giovanni, l'Evangelista, l'unico rimasto sul Monte Calvario, poiché i restanti Apostoli sono fuggiti per non essere catturati dai Romani ed anch'essi avviati al supplizio della croce. Non avrà la possibilità di vederlo dopo il rovesciamento del sigillo del sarcofago. Solo le Pie Donne lo vedranno, le rac­ conteranno dell'angelicato incontro e così anche l'incredulo discepolo Tommaso che nella sua dubitazione è costretto a toccare le ferite del Cristo per riconoscerlo. Altri discepoli saranno coinvolti in modo diretto od indiretto, anche secondo i Vangeli Apocrifi. Nella liturgia vi sono due rappresentazioni sulla conclusione terrena della Santa Vergine. Descritta nella "Dormitio Virginis", "Dormitio", la "Dormizione", avvolta da bende,

è circondata dagli Apostoli e dalle Pie Donne piangenti, e, sospeso a mezz'aria, il Cristo che abbraccia l'effige di Maria come una bimba in fasce, simbolo della purezza dell'anima. Contemporaneamente è viva, ma già l'anima è distaccata dal corpo; imperscrutabile evento divino. Tale condizione supera il passaggio terreno della morte, si evolve nell'Assunzione e Maria viene raggiunta dall'elevazione fisica per assurgere in cielo, poiché la corruttibilità della morte non la può toccare. Questo status lo possiamo trovare in molteplici opere pittoriche dove la beatitudine la trasfigura. Si osservi L'Assunta, dipinto ad olio su tavola di Tiziano Vecellio, databile al 1516 ­ 1518, trionfante sopra l'altare maggiore della Basilica

http://www.frammentiarte.it/2016/06­lassunta/

di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia. Nella Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma, Annibale Carracci, nel dipinto prodotto tra il 1600 ed il 1601, costruisce tre livelli; il primo,

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quello più vicino all'osservatore, è quello terreno composto dalle figure degli apostoli, il secondo, centrale, è quello di Maria che sta salendo in cielo, il terzo, con l'invisibilità del Dio padre che l'accoglie. L'Assunzione pittorica che assorbe più di tutte, è la cupola affrescata da Antonio Allegri detto il Correggio, tra il 1524 ed il 1530, presente nel Duomo di Parma, poiché trasporta l'osservatore in un vortice di corpi e di teste che contornano la Vergine e creano una spirale ascendente verso la sommità dove, in un tripudio di luce e

https://archive.org/details/brooklynmuseum­o13510­the­sorrowful­ mother­mater­dolorosa

di oro, il Cristo avanza verso la madre. Gli artisti beatificano Maria nel ricon­ giungimento con il Figlio, ma non possono annullare "l'urlo soffocato e disperato della madre" che troviamo riverberarsi per esempio nella Mater dolorosa di Jacques­Joseph Tissot, dipinto tra il 1886 ed il 1894, conservato al Brooklyn Museum, in una scena dominata dai toni grigi e dall'indifferenza di un centurione romano (vedi foto).

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Mentre Maria Maddalena si aggrappa disperata ai piedi della croce, una Maria giovane, con le braccia protese come quelle del figlio in­ chiodato, è sorretta da Giovanni e da una Pia Donna. Disperazione, nella "Crocifissione" di Albrecht Altdorfer, del 1512, conservata nel Museo di Kassel, e nel travolgente "Compianto del Cristo morto" del Botticelli, dove l'artista concentra la scena in un avvilupparsi di corpi ed un ruotare di volti intorno a quello terreo della Madonna, posto al centro (tempera su tavola del 1495 ­ 1500, conservata al Museo Poldi Pezzoli di Milano). La più sconvolgente rappresentazione del dolore è data dalla tridimensionalità dei materici modellati eseguiti da Guido Mazzoni nel "Compianto sul Cristo morto", 1477 ­ 1479, conservato nella Chiesa di San Giovanni Battista a Modena e in quello presente nella Chiesa di Santa Maria dei Lombardi a Napoli. Di quello eseguito per la distrutta chiesa di Sant'Antonio di Castello, a Venezia, se ne conservano alcune figure nei Musei Civici di Padova; tutti soggetti policromi a dimensione umana. I volti ed i gesti esprimono una forte tensione spirituale e l'impossibilità di sentir uscire dalle loro bocche dei suoni, viepiù si è avvolti dalla disperazione della Vergine e di coloro che l'accompagnano. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, addolcisce questa disperazione, nella Dormitio Virginis, dipinto tra il 1605 ed il 1606 e conservato al Louvre di Parigi, presentandoci una Vergine assopita, non disturbata dal pianto degli Apostoli che la ritengono nel passaggio dalla vita alla morte. Si vede un corpo abbandonato sul letto, ma sereno, con il braccio sinistro proteso verso l'esterno con la mano semiaperta in attesa di essere afferrata; la mano destra, poggiando sul ventre, ci rammenta l'indissolubile unione tra una madre ed un figlio; Maria Maddalena, separata dagli Apostoli, divenuta figlia, nasconde il volto.


UNA GRANDE BENEFATTRICE Madame Elvira Tozzi Favier Ennio Tortato Elvira Tozzi nasce a Mestre nel 1847. Appena ventiduenne sposa Joseph Favier, facoltoso imprenditore francese, con il quale si stabilisce a Parigi. È un tempo segnato dalle nuove frontiere del nascente capitalismo e liberalismo, in diretta contrapposizione con la diffusione degli ideali socialisti e anarchici. Elvira Favier è una donna colta e attenta alle novità culturali, sociali e artistiche, che la capitale francese offre. Ma lei preferisce vivere a Bry sur Marne, perché le ricorda Mestre con i suoi corsi d’acqua, sui quali si specchiano ville e alberi lussureggianti. Nel 1886 muore Joseph designando erede universale Elvira che, per volontà del marito, costituisce la Fondation Favier e ospita nel suo castello di Bry trenta anziani indigenti. La vedova Favier è giovane, ricca, e per lei non sarebbe difficile rifarsi una vita. Tuttavia, nel 1890 decide di dare una sede definitiva alla Fondation Favier, donando un fondo dove costruire l’Hospice Favier, che dota di ingenti rendite, aperto a tutti i bisognosi, senza distinzione di nazionalità, razza, religione e opinione. Nello stesso periodo offre una cospicua rendita ai comuni di Nogent, Perreux e Bry, per l’ospedalizzazione domiciliare dei loro anziani indigenti. L’Hospice Favier viene inaugurato dal Presidente della Repubblica nel 1899. Quattro anni dopo Madame vende il castello di Bry perché diventi una scuola cattolica per i giovani della periferia. Dal 1899 sceglie Mogliano come sua dimora stabile. La settecentesca Villa Favier, acquistata anni prima, diventa meta di artisti e persone di cultura, attirati dal gusto estetico di Madame e dalla sua attitudine a rompere gli schemi obsoleti di una società borghese auto referente e ancora con forti inclinazioni aristocratiche. Le ricchezze non sono oggetto di vanto per Elvira. Le rare foto mostrano una donna serena, vestita con abiti semplici e con uno sguardo dolce. Conduce una vita agiata, vissuta in maniera discreta, non dimentica, però, della po­

vertà e della miseria delle masse contadine con cui viene in contatto. È a Mogliano che la generosità di Elvira trova una completa

realizzazione. Nella sua villa appronta una cucina economica per i poveri del paese e fa costruire un teatro, dove si esibiscono comici, attori e burattinai, per i bambini meno fortunati. Ma la sua carità, quando è possibile, è velata, il suo aiuto mascherato quale giusto compenso per piccoli servizi o lavori svolti nella sua proprietà. La generosità di Madame Favier, nonostante la sua riservatezza, trova spesso occasione di manifestarsi attraverso le istituzioni pubbliche, come la Congregazione di Carità, la Società Operaia di Mutuo Soccorso, la scuola e il Pio Istituto Patronato pei Pellagrosi. Ma anche con aiuti alla Congregazione di Carità e all'Istituto Dispensario Preventivo per la tubercolosi di Treviso. Nel 1902, in seguito al crollo del campanile di San Marco, offre un rilevante contributo alla ricostruzione. Nel 1908, in occa­

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sione del terremoto di Messina, nella sua villa allestisce un laboratorio di sartoria, dove confezionare vestiti per i bambini terremotati. Madame è socia attiva e perpetua della Croce Rossa. Non si può parlare di istituzioni a favore dei poveri, senza citare il Pellagrosario voluto da Costante Gris, al quale Madame destina gran parte delle sue donazioni in maniera continuativa. Nel 1897 Elvira offre, allo stesso, l’intera somma necessaria a realizzare un asilo per i bambini delle tante povere famiglie che abitano nella strada dei Casoni e nel centro delle Olme, inaugurato l’anno dopo. La benefattrice lo dota di una rendita, affinché l‘asilo possa “accogliere i bambini fornendo ricovero giornaliero, istruzione, educazione e ogni giorno una refezione di minestra e un pane“. Tuttavia l’Asilo Favier risponde alle necessità dell’area est di Mogliano, mentre altre parti povere del territorio ne sono sprovviste. Madame si rende disponibile a realizzarne un altro, ma molti sono gli ostacoli per la scelta dell’area e l’opera vedrà la luce solo nel 1913, quando Ada Pagello Antonini dona il fabbricato dell'ex "Politeama Mafalda", nel centro del paese. Con la somma promessa, Elvira contribuisce alla trasformazione, adattamento e arredamento dei locali e dota il nuovo asilo di una rendita. Nel 1899, venuta a conoscenza che i locali del Pellagrosario risultano insufficienti alle necessità, Madame offre il suo aiuto con un progetto di costruzione ex novo dei fabbricati rurali, liberando le adiacenze, da convertire in un raddoppio dell’istituto. Per questo ambizioso progetto mette a disposizione l’intera somma occorrente. La generosità della Favier per l’Istituto si manifesta ancora nel 1905, con la costruzione di un forno per il pane. Negli ultimi anni di vita, una malattia inclemente sottopone Madame a forti sofferenze. All’alba del 20 settembre 1914, la grande benefattrice conclude il suo passaggio terreno. Ma nel suo testamento i privilegiati sono ancora i poveri di Mogliano. Non dimentica il Patronato Mazzarolo di Treviso, le varie Congregazioni di Carità, l’Ospedale di Mestre e chi le è stato vicino, prime fra tutti le “persone di mio servizio”.

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Anche in questo atto pensa a chi, con la sua morte, lascia nel bisogno “come ho fatto in vita, così voglio che il mio Erede continui a dare 150 lire all’anno a P. B. vita sua durante perché possa pagare il fitto”. Nomina erede residuario il Patronato pei Pellagrosi. Il Gazzettino del 23 settembre 1914, scrive “… rievocò la pia vita della diletta estinta il comm. Costante Gris rilevando che ogni elogio è ben inferiore alle opere ed al cuore caritatevole di questa Donna che visse pur sofferenze, che tutta la sua cospicua sostanza in vita e in morte dedicò alla più illuminata beneficenza, esempio di pietà ai ricchi e di sommo conforto ai poveri“. Oltre alla grande folla, sono presenti alla cerimonia artisti, uomini di cultura e molte le autorità nazionali e locali. Per tramandare la memoria della benefattrice, il Pellagrosario incarica lo scultore Vasco Vian di costruire un monumento marmoreo nel cimitero di Mogliano. Dal 18 ottobre 2015, i resti mortali di Madame Elvira Tozzi Favier riposano nella chiesa di villa Torni a Mogliano. Per volontà di Madame gran parte delle spese di beneficenza sono rimaste ignote. “Una rosa non ha bisogno di predicare. Si limita a diffondere il proprio profumo“.

(La tomba nel cimitero di Mogliano Veneto, prima della riesumazione)


IL GIARDINO DELLE MUSE: LA POESIA

E se a quel tavolo sentae... Elvira Brusegan Sentai al bar, davanti a un tavoin, ghe ze tre omeni. In testa el capeo,in boca la pipa. I gà la barba e in man e carte. Sula tola un fiasco e tre biceri. No i par omeni de cultura, piutosto i gà d’aver vissuo a streto contato co la natura. La natura, cussi bea co i so colori, fruta e fiori. Coi animai, che da sempre megio de l’omo se gà comportà e saria sta ben che un poco de più, tuti, da lori gavessimo imparà. Un succo d’uva, na' partieta. Par lori la giornata ze finia e intanto col riposo la fadiga i manda via. E se a quel tavolo sentae, ghe fusse e so signore che tute e sere come lori, speta che passa e ore? Lori, coi torna a casa, i pretende de trovar i putei che dorme, na seneta gustosa, la consorte curada, soridente, disponibie, come co la gera tosa. La giornada par ea no ze finia, ansi, la cominsia n’altra volta. Par ea ze come no riussir mai a serar na porta. La tivù mostra quee che se spogia e che magari, ai marii, più dee sue ghe fa vogia. Mostra quee che tirandose e rughe se svoda el serveo, che gà el culto dei schei e de l’artefato e falso beo. Anca se poco considerae, a casa, ghe ne ze tante che speta! Co semplicità, co dedission, bon senso e sagessa, dando più peso a la sostansa piutosto che a la frivolessa. E anca se tanto stanche prima de ciapar sono, un pensiero: a la Madona e al Padreterno, par queo che e gà,un grassie sincero.

Per un uomo il riposo è sacro! Anche per la donna dovrebbe essere così.

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MUSICA: Un cielo di comete, un astro chiamato Johann Sebastian Bach

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Paolo Padula “Le regole sono rego­ le e vanno rispettate scrupolosa mente: la licenza di essersi as­ sentato dal posto di lavoro, http://tch15.medici.tv/en/musical_work/bach­ oltre il suites­cello permesso concessogli, è atto grave che va punito con la reclusione”. Era il 21 febbraio e correva l’anno 1706: un Bach ventunenne doveva così accettare la decisione del Concistoro di Arnstadt. Con quale stato d’animo il giovane musicista superò questa avversità non ci è dato di saperlo, ma si presume che la consapevolezza di essere un organista con una fama in ascesa, e di possedere una personalità e carattere forti, lo spinse a forzare ancora i suoi "desiderata" verso il datore di lavoro, tanto che le traversie giuridiche si riproposero poco più avanti. Questa volta, reo di non aver ottemperato all’obbligo delle prove con il coro degli studenti, ma cosa ancor più grave, di aver permesso che una giovane straniera facesse musica con lui nel coro! La giovane donna, tale Maria Barbara, era la cugina con la quale si sarebbe unito in matrimonio undici mesi più tardi. Di lì a poco avrebbe accettato un nuovo incarico a Mühlhausen, ultima stazione di transito in provincia, prima di spiccare il volo definitivo verso quei luoghi della musica che la sua ambizione aveva predisposto per lui. Ma sarebbe opportuno, a questo punto, sollevare un aspetto che riguarda l’unicità dei Bach. Da sempre studiosi e biografi, per ultimi i genetisti, hanno cercato di spiegare la singolare Gens bachiana, che rappresenta un unicum

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musicale, oltreché scientifico. Lo studio più aggiornato, che ha consentito di tracciare un asse genealogico musicale, risalente ai primi anni del ‘500, annovera come capostipite tale Veit, mugnaio, ma con spiccate attitudini musicali: buon suonatore di cythringen, uno strumento a corda che godeva allora di una certa popolarità. Da esso prese sviluppo quella singolare stirpe che fa succedere sei generazioni di più o meno conclamati musicisti, fra cui il nostro Johann Sebastian, che ebbe i natali ad Eisenach, il 21 marzo del 1685. Questo sentiero musicale si dipana giù, giù, fino ad una Annelise Lucretia Bach, nata nel 1913 e fino ad alcuni decenni fa vivente, figlia di Karl Bernard Bach, novantesimo discendente, pittore e, guarda caso, musicista. Il fatto di appartenere ad una storia musicale all’interno del grande delta che costituisce l’arte di Euterpe, ha permesso ai rampolli musicisti di diffondersi come navicelle spaziali, a partire dalla Turingia, in ogni parte del territorio teutonico ed oltre i suoi confini. Singolari gli appellativi affibbiati dalla storia ad alcuni figli di Johan Sebastian: il Bach di Halle, il Bach di Berlino, il Bach di Londra, il Bach di Parigi, fino a quel Johann Christian, attivo come il Bach di Milano. In realtà la lista della progenie del nostro Giovanni Sebastiano non si esaurisce così rapidamente: il matrimonio con la sopra citata Maria Barbara ha visto arricchirsi di sette d iscendenti, che poi sono stati seguiti da altri tredici, avuti in seconde nozze con Anna Magdalena. E’ il caso di sottolineare che uno dei figli, Gottfried Henrich, cerebroleso dalla nascita, manifestava anch’egli grandi inclinazioni musicali, infatti il fratello Carl lo definiva ein großes Genie, che però non ebbe, purtroppo, la possibilità di manifestarsi. La dolce morte entrò numerose volte nella casa di Johann Sebastian, a reclamare prematuramente il suo tributo di anime acerbe, così che a


sopravvivere oltre i primissimi anni, furono soltanto in dieci. Una morte che, tenera agli occhi della pietà luterana, non provocava traumi drammatici e non alterava le strutture della famiglia. Dieci generazioni, senza soluzione di continuità, che si sono nutrite di una linfa musicale costante e generosa, e che non disdegnavano di riunirsi periodicamente, per conoscersi e scambiarsi esperienze e favori, anche affrontando l’onere di lunghe distanze. Raduni che dovevano iniziare, come da tradizione, con un corale, per poi godere di un canto comunitario estemporaneo che loro definivano Quodlibet, grande motivo di divertimento e surriscaldata allegria. Johann Sebastian seppe fin da subito, come gli altri Bach musicae cultores, approfittare di questa fitta rete di contatti per essere consigliato e indirizzato in luoghi, regioni e corti, potenziali luoghi di impiego e di indispensabile sviluppo artistico personale. I primi maestri non potevano che essere, quindi, i propri genitori, oppure i fratelli maggiori, e via, fino a qualche importante zio o parente. Questa fu infatti la strada di Johann Sebastian, rimasto ben presto orfano di padre e madre. Tuttavia gli studi umanistici presso la scuola latina

procedevano regolari, e conclusi questi a 17 anni (con un anno di anticipo rispetto ai suoi coetanei), si impose la scelta se accedere alle facoltà di teologia o giurisprudenza, oppure lanciarsi in una professione musicale. La scelta non poteva che essere condizionata dalla prospettiva artistica, che già si manifestava esaltante, e non solo per l’esiguità delle risorse economiche disponibili che non gli avrebbe consentito un inserimento presso un ateneo (allora necessitavano cospicui capitali, oppure facoltosi protettori mecenati per un sereno prosieguo universitario). Siamo quindi arrivati forse a cogliere l’attimo in cui questo giovane astro ha preso a splendere di una luce fulgida ed abbagliante, stagliandosi sopra una densa scia di comete che avevano rappresentato, in un arco temporale incomparabile, l’amore, la passione e la dedizione verso un’arte alta, spirituale. "Soli Deo gloria" (Gloria al solo Dio) era la sigla che Bach incideva con cura all’inizio delle sue composizioni, perché fosse chiaro agli altri, ma soprattutto a se stesso, la virtù della modestia e l’autentico senso del vivere una vita musicale privilegiata, a stretto contatto con il divino.

Mia Madre Fausto de Ferra Mogliano Veneto è stato il nido del primo volo per l'artista pittrice Rovena de Ferra. Nella Scuola d'Arte "Piranesi" si è plasmato un talento naturale capace di intuire il gioco dei colori e delle forme, che si adattano all'occhio del visitatore, invitandolo ad intuire il significato del bello; la critica e l'insegnamento del metodo ne hanno reso diretto l'approccio con la moltitudine. Rovena incontrava i suoi quadri nel giardino di casa o guardando dalla finestra, sul tavolo di cucina o al mercato del pesce, in un cartoccio, su una sedia al vecchio porto. Le linee armoniche di una conchiglia, di un gambo piegato dal peso del fiore o delle curve spezzate del tronco degli olivi a lei così cari rappresentano l'abilità, la sfida dell'artista a rappresentarne la forza e l'armonia, ma ancora di più portano ad intuire l'amore spassionato per la natura ed il colore. Solo un limite geometrico costringeva Rovena a terminare un'opera: la dimensione della tela, per poi ricominciare con una nuova tela ed una nuova emozione. Il racconto pittorico di Rovena è una raccolta di centinaia di poesie colorate che oggi scaldano l'anima di molte case umili o importanti e segnano i luoghi e le cose che hanno vissuto con lei. Questi stessi luoghi ed oggetti sono stati parte anche della mia vita. Rovena era ed é mia madre.

La Redazione ricorda l'artista Rovena de Ferra vissuta per alcuni anni a Mogliano Veneto, riportando in quarta di copertina il quadro "Tetti di Venezia".

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MEDICINA:

SAI COSA MANGI? LEGGI LE ETICHETTE!

Anna Citta

L'Albero della Vita | marzo ‐ aprile ‐ maggio 2017

"Siamo ciò che mangiamo". Quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase? Viene quindi spontaneo chiedersi se sappiamo realmente quello che mangiamo! Fortunatamente, per rispondere a questo quesito, abbiamo a disposizione un preziosissimo strumento che, se utilizzato nel modo corretto, ci può fornire le giuste risposte. Per tutti gli alimenti confezionati, infatti, esiste l'obbligo di essere venduti solo se muniti di etichetta.

L'etichetta alimentare. Come appena accennato, l'etichetta alimentare rappresenta uno strumento fondamentale per la conoscenza del prodotto. Oltre a riportare informazioni sulla denominazione dell'alimento, sulla data di scadenza e sulle modalità di conservazione, contiene un altro elemento fondamentale: la lista degli ingredienti. Secondo quanto stabilito dalla normativa italiana, l'ordine con cui vengono elencati gli ingredienti non è casuale. Il primo che troviamo scritto è infatti il costituente principale del prodotto in esame. Perché è quindi così importante soffermarsi a leggere le etichette? È stato dimostrato come molte patologie siano correlate ad una scorretta alimentazione, spesso associata anche ad uno stile di vita scorretto. Leggere le etichette ci consentirà quindi di scegliere gli alimenti in modo più consapevole. Ma quali sono quei costituenti alimentari che più ci preoccupano? Sicuramente sul primo gradino del podio ci sono i grassi, seguiti dagli zuccheri e dagli additivi alimentari, spesso temuti anche a causa dei loro nomi così difficili. Non facciamoci prendere dal panico e iniziamo a vedere nel dettaglio tutti i componenti. Grassi. I grassi, contrariamente a quanti molti credono, ricoprono un ruolo importante nella nostra alimentazione. Risultano infatti essenziali in una dieta sana in quanto, oltre a fornire energia, sono i principali costituenti delle membrane cellulari e sono indispensabili per il trasporto di vitamine, in particolar modo quelle liposolubili (A, D, E, K). Ma allora perché i grassi sono così temuti e additati di essere responsabili di una cattiva alimentazione? La risposta è molto semplice: ne mangiamo troppi e spesso di cattiva qualità! Ma come si riconosce la qualità?

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Il primo passo da fare per rispondere a questa domanda consiste nell’imparare a distinguerli, in quanto, come vedremo, non sono tutti uguali. Esistono infatti grassi che, a temperatura ambiente sono solidi ed altri che invece sono liquidi. I primi sono generalmente di origine animale, mentre i secondi sono di origine vegetale. Dal punto di vista energetico non ci sono differenze tra queste due tipologie in quanto forniscono entrami le stesse chilocalorie. Dal punto di vista chimico però, possiamo dire che, i grassi solidi a temperatura ambiente sono principalmente ricchi di grassi saturi, mentre quelli liquidi sono ricchi di grassi insaturi. Saturo e insaturo rappresentano le due parole chiave da ricordare bene, in quanto proprio queste caratteristiche sono quelle che possono avere un impatto sulla nostra salute. Un grasso saturo infatti è responsabile dell'aumento di colesterolo LDL, il cosiddetto colesterolo cattivo, quello che si accumula all'interno della arterie aumentando, nel tempo, il rischio di disturbi cardio vascolari. Il grasso insaturo invece è quello responsabile dell'abbassamento del colesterolo cattivo, e del contemporaneo innalzamento del colesterolo HDL, colesterolo cosiddetto buono, che svolge il ruolo di spazzino all'interno delle nostre arterie. Trasportando quindi queste informazioni alla realtà dobbiamo ricordare che tra i grassi insaturi troviamo l'olio di oliva e i vari oli di semi, tra cui mais, arachidi, soia e girasole, mentre tra i saturi il burro e lo strutto. Alla luce di questo verrebbe quindi spontaneo pensare che il grasso di origine vegetale equivale ad un grasso salutare, mentre quello animale no. In realtà questa affermazione può essere facilmente smentita se prendiamo in considerazione altri due grassi di origine vegetale: l'olio di palma e l'olio di cocco. In questo caso non dobbiamo farci ingannare dalla loro origine vegetale in quanto, a differenza degli oli visti in precedenza, questi sono ricchissimi di grassi saturi. La cosa ancora più “allarmante”, se così si può definire, è che l'industria alimentare li usa in qualsiasi prodotto, anche nei più impensati. Non c'è infatti da stupirsi se la dicitura olio di palma/olio di cocco si trova nelle etichette di biscotti, merendine confezionate, fette biscottate, surgelati, gelati e un sacco di altri prodotti. Fortunatamente però, soprattutto negli ultimi mesi, alla luce dell'ormai sempre più diffusa conoscenza della non innocuità di questi grassi, le cose stanno lentamente cambiando e tanti prodotti adesso hanno il privilegio di essere "senza olio di palma". Prima di passare agli zuccheri e agli additivi alimentari due parole vanno spese anche per la margarina, grasso non naturale, molto utilizzato in cucina e considerato, forse erroneamente, un prodotto dietetico e salutare. La margarina, così come tale non esiste in natura, ma è frutto di una lavorazione industriale che consente di ottenere, partendo da un olio, un prodotto dalla


consistenza semisolida, molto simile a quella del burro. Durante questo processo di trasformazione però si possono formare anche dei particolari tipi di grassi, denominati trans, sospettati di essere nocivi per l'organismo umano. Altro punto a sfavore di questo prodotto è che, il più delle volte la margarina è prodotta a partire da olio di palma e cocco, ricchissimi quindi di grassi saturi, come quelli del burro. Zuccheri. Il primo dubbio che ci potrebbe assalire a riguardo degli zuccheri è: bianco o di canna? A differenza di quello che si pensa, dal punto di vista nutrizionale i due zuccheri sono molto simili. Molto spesso però quello di canna viene presentato come più sano e naturale rispetto al bianco, ma, in realtà, le impurità che conferiscono il colore più scuro e il caratteristico sapore non hanno alcun valore dal punto di vista nutrizionale. Oltre a questi zuccheri in cucina abbiamo a disposizione numerosi altri dolcificanti tra cui possiamo ricordare il miele, zucchero completamente naturale, ricco di componenti che non devono essere trasformati dall'organismo per ottenere energia. Una novità in fatto di dolcificanti naturali è rappresentata dal fruttosio, lo zucchero caratteristico della frutta. Proprio per la sua natura si è molto spesso portati a pensare che il fruttosio sia uno zucchero innocuo per la nostra salute. In realtà quando assunto in grandi quantità il fruttosio sfugge ai vari controlli metabolici dell'organismo e non viene utilizzato come zucchero ma trasformato in grasso! Accanto a questi dolcificanti naturali possiamo trovare poi una serie di prodotti sintetici che svolgono la stessa funzione. La caratteristica più importante di questi ultimi è che, avendo un altissimo potere dolcificante, ne bastano davvero poco per sostituire il normale zucchero. Questo, in termini dietetici si traduce in un basso contenuto calorico. Tra i più utilizzati troviamo saccarina e ciclamati, sospettati di essere tossici per lungo tempo ma che oggi possono essere utilizzati senza temere alcun effetto negativo per la salute. Tra i edulcoranti più usati non si può poi non citare l'aspartame. Anche questo dolcificante fornisce pochissime calorie, ma ha una indicazione importante da rispettare per il suo utilizzo. Quando utilizzato con bevande particolarmente calde può liberare sostanze potenzialmente tossiche per il nostro organismo. È per questo motivo che il suo utilizzo deve essere escluso se associato a bevande bollenti. Additivi alimentari. Con questo termine si indicano numerosi composti, principalmente di origine chimica, privi di potere nutritivo ma che vengono aggiunti ai cibi per modificarne determinate caratteristiche quali colore, durata, gusto, consistenza. Naturalmente, non tutte le sostanze chimiche possono essere utilizzate come additivi e la legge fortunatamente è molto precisa in questo senso. Prima di essere ammesso al consumo, ogni nuovo additivo deve essere sottoposto a diverse prove per essere certi della sua innocuità. Tanto rigore induce senza dubbio un certo senso di tranquillità, ma parlando di additivi qualche cautela si rende comunque necessaria ... Andando nel

dettaglio possiamo citare: ­ Coloranti: sostanze che hanno il compito di ab­ bellire i cibi per invogliarci a comprarli. Nessuno tra i coloranti utilizzati normalmente nei prodotti alimentari si è dimostrato tossico anche se due coloranti (E102 giallo e E150 rosso) sono considerati responsabili di disturbi gastrointestinali e di iperattività nei bambini. Tali problemi però si verificano principalmente in soggetti affetti da allergie, soprattutto alimentari . ­ Conservanti: mentre dei coloranti si può fare tranquillamente a meno, i conservanti svolgono un ruolo più importante in quanto consentono di garantire una maggior conservabilità dei prodotti. Ma come si può spiegare la presenza sul mercato di prodotti dello stesso tipo realizzati con conservanti ed altri no? La risposta è semplice: con i conservanti si può utilizzare una materia prima di più bassa qualità! Partendo da questo è facile capire come scegliere gli alimenti “senza conservanti”, quando questo è possibile, non significhi soltanto evitare di assumere additivi in più, ma anche garantirsi prodotti di miglior qualità. Tra i conservanti possiamo trovare anche nitriti e nitrati, usati soprattutto nella produzione degli insaccati. Queste sostanze hanno si il compito di evitare lo sviluppo di alcuni microrganismi ma, soprattutto quando in grandi quantità possono dare origine a sostanze cance­ rogene per l'organismo. ­ Addensanti: tra i più conosciuti sicuramente

troviamo i polifosfati. Questi vengono usati per la loro capacità di trattenere l’acqua interna di alimenti come il prosciutto cotto e formaggi a pasta molle. Dal punto di vista pratico la loro aggiunta serve per aumentare la morbidezza dei prodotti e per renderli più gradevoli al palato. Purtroppo, però, i polifosfati tendono a legarsi al calcio degli alimenti, “sequestrandone” una parte e rendendolo indi­ sponibile all’assorbimento da parte del nostro organismo. Siamo partiti in questo “viaggio” alla scoperta dell’etichetta alimentare dicendo che l’uomo è ciò che mangia e, dopo aver appreso che, leggere con attenzione gli ingredienti riportati ci consente di fare una scelta più consapevole di ciò acquistiamo, mi sembra doveroso concludere con un’altra citazione: sono gli eccessi che generano le malattie.

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Il mio tardivo 8 marzo

L'Albero della Vita | marzo ‐ aprile ‐ maggio 2017

Silvie Beatrix de‛ Rochfort Nel mese di marzo del 2015, Sole entrò in soggiorno e "Maman, demain est le huitième de Mars. Mamma, domani è l'8 marzo"; fece una pausa, "Prenez-moi à l'événement? Mi accompagni alla manifestazione?". "Sûrement. Certamente", risposi, essendo la prima volta che mi chiedeva di aderire ad una attività non scolastica, non osando confessare che mai avevo partecipato ad una dimostrazione legata a quella data. Il giorno dopo, mi ritrovai a lato di un gioioso corteo di ragazze seguite da coetanei e da persone più adulte che appartenevano a consolidate organizzazioni femminili, femministe e a gruppi partitici.

http://www.tramaditerre.org/tdt/articles/art_5951.html

In prima fila tra le compagne di classe di Sole, che reggevano uno striscione adorno di fiori, riconobbi i volti di alcune poiché, giusto due giorni prima, avevano iniziato a frequentare la nostra Grand Maison. Lì, con Sole, c'erano Elamria Fatima, Yandry, Martine, e le due gemelle, Christabel e Christel. Unitamente ad altre, rimarcavano, oltre alle classiche rivendicazioni delle parità, una forte presenza multietnica, mentre discreti gendarmi anticipavano, seguivano e chiudevano il corteo. L'emozione mi colse nel condividere il corteo, mentre per Sole era un riconoscersi, nella fiorente giovinezza, nell'essere parte attiva a sostegno di rivendicazioni non del tutto attuate dallo Sato Svizzero. Da ragazza, dopo la morte di mia madre, la frequentazione di un Lycée classique à l’Institut des filles dirigé par des religieuses en Italie, non mi

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aveva dato la possibilità di aderire a manifestazioni di genere, ancor meno nel Campus États-Unis, avec des cours de littérature et de l'économie, dove mi sentii un'estranea e infastidita dal pesante maschilismo diffuso in quel mondo universitario. Dopo la laurea, il mondo del lavoro, presso una compagnia americana, mi assorbì portandomi a frequentare i caldi territori calabresi ed infine sposarmi con un travolgente calabro che, dopo avermi straziato il cuore essendo più assente che presente, m'indusse a costruire una vita da separata, confortata dalla grande sicurezza economica familiare essendo una paysan noble ou noble paysan. Per tutto il procedere del corteo, mi beai nell'osservare quelle ragazze, quelle donne, che con cipiglio deciso chiedevano delle attuazioni che investivano anche la mia persona, sino allora non attratta da un impegno attivo nel sociale e nel politico. Un rimescolarsi del sangue e dell'animo, mi fece comprendere che Sole stava avviandosi verso quella maturazione che l'avrebbe, a breve, condotta ad esplorare anche il mondo maschile, incontrando possibili gioie e possibili sofferenze amorose ed in quel marciare vidi la composta forza solidale di quel gruppo di ragazze con cui Sole trascorre maggior parte della giornata. Conclusa la manifestazione, dopo una passeggiata lungo Rue de Rhône, abbiamo pranzato alla Taverne de la Madeleine Restaurant sans alcool, che si attesta in Rue de Toutes Ames e lì mi sono beata del cicaleccio delle sei e delle loro risate, che non hanno perduto il suono e l'ingenuità della fanciullezza; donne non ancora donne, cristalli puri, fragili. Mi chiesi, se l'avanzare della vita non avrebbe frazionato il gruppo o se avrebbe conservato i legami costruiti durante gli anni scolastici. Ci attardammo a lungo intorno alla tavola mentre solerti camerieri avevano già portato via i vuoti piattini che contenevano i macarons. Avrei voluto stringerle a me tutte, ma temetti che quel gesto avrebbe disturbato il loro essere solidali. Come crisalidi stavano per dispiegare le ali


liberandosi del doppio bozzolo della famiglia e della scuola. Uscite dal ristorante, una di loro notò una locandina che pubblicizzava a Carouge una giornata cinematografica al femminile con la proiezione di tre film che avevano come attrice Julia Roberts. Data l'ora, fu deciso di salire là, percorrendo la Rue de Carouge. Immerse nella buia e calda sala cinematografica, vedemmo Erin Brockovich, Notting Hill e Pretty Woman, passando dalla tenacia di una donna che si batte per la salute della propria comunità contro una grande industria inquinatrice, al

complesso rapporto amoroso tra un'attrice ed un uomo semplice (Hugh Grant) ed infine una Cenerentola sui generis nelle vesti di una avvenente, sincera, giovane prostituta che per caso incontra un ricco uomo d'affari, spregiudicato e affascinante (Richard Gere) e l'evolversi della liaison si conclude con i due uniti al canto del Amami Alfredo de La Traviata di Giuseppe Verdi. Dalla passione politica della mattina, ci ritrovammo tutte prese da quella dolcezza di sentimenti così fortemente radicati in Noi, creature al femminile.

Il profumo del mare Adriana Terzano Quando il prof. Pozzobon legge con voce calda e in modo attoriale sia versi che pezzi di romanzo io, ascoltandolo, mi trasferisco in un mondo onirico. E' per me un "novello pifferaio di Hamelin": le parole del testo le percepisco come musica che risuona in tutto il mio essere ed il coinvolgimento emotivo è totale. Nel Corso di lettura ad alta voce che seguo da quasi due anni, ci siamo interessati alla lettura del "Giardino dei Finzi Contini" di Giorgio Bassani; ed è per farci conoscere meglio lo scrittore che il prof.. Pozzobon, d'accordo con la prof.ssa Madeyski, direttrice del corso, ci ha letto qualche pezzo di alcuni suoi romanzi. Da "Gli occhiali d'oro": “Subito dopo mangiato tornai da solo sulla spiaggia. Il mare era già diventato blu scuro. Quel giorno però, cominciando da pochi metri dalla riva fino a perdita d'occhio, le cime di ogni onda inalberavano ciascuna un pennacchio più candido della neve....... Sospinti dal cosidetto vento greco del pomeriggio, i lunghi cavalloni venivano avanti a ranghi serrati e successivi. Prima che cominciassero a ridurre l'altezza dei loro cimieri di schiuma sino a farli sparire quasi del tutto negli ultimi metri, pareva che si precipitassero all'assalto della terraferma. Sdraiato sulla chaise longue, sentivo il sordo urto delle ondate contro la riva”. Il profumo delle parole con cui ha descritto il mare mi ha inebriato e la voce sfumata del lettore ha riecheggiato in me trasportandomi al " mio " mare, quello di Caorle che respiro ormai da molti anni e a ciò ho scritto, tempo addietro, per una performance teatrale conclusiva di un corso Unitre. “Amo guardarti seduta sulla sabbia ancora accesa dal sole al tramonto o alle prime ore del mattino, quando la spiaggia è semideserta. E' il mio un contemplare muto: ho quasi la sensazione che la tua vastità, unendosi a quella del cielo, dapprima mi abbracci, poi dolcemente entri in me. Il rumore delle tue onde, lente, cadenzate mi arriva al cuore e mi fa socchiudere gli occhi: rabbrividisco... Ammirarti, farmi avvolgere dalla tua cangiante liquidità, mi ubriaca di luce e di spazio e mi riporta all'ASSOLUTO. Mi appari come un vasto prato azzurro, la cui bellezza irrimediabilmente mi seduce e mi trasporta in un mondo...magico.”

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Una donna controcorrente

L'Albero della Vita | marzo ‐ aprile ‐ maggio 2017

Gabriella Madeyski Per lungo tempo la divisione dei ruoli all’interno della famiglia e della società ha assegnato alle donne una posizione subalterna, e non sono bastate le tante leggi emanate in Italia, dal 1948 ad oggi, per superarla effettivamente. A mio giudizio, perché la rivoluzione femminista sia realmente attuata, la donna dovrebbe essere molto orgogliosa di ciò che la caratterizza, della sua visione del mondo e dei suoi valori, che non necessariamente sono uguali a quelli degli uomini. Già nell’antichità si trovavano esempi di voci di donne che hanno avuto il coraggio di opporsi all’universo maschile ma che, proprio per questo, hanno subito il discredito della società. Fra le altre emerge la figura della poetessa Saffo. Saffo visse a Mitilene, nell’isola di Lesbo, nel VII/VI secolo a. C. ed era a capo di un tìaso, una sorta di educandato femminile. La biografia antica sul suo conto ha trasmesso molte menzogne proprio perché usciva dagli schemi maschilisti della cultura antica. Si spiega così la leggenda del suo suicidio sorto nella tarda grecità e ricordato anche da Leopardi; secondo questa malevola deformazione la poetessa sarebbe stata innamorata, non corrisposta, del barcaiolo Faone e per questo si sarebbe uccisa gettandosi dalla rupe di Leucade. Basta leggere questi versi per capire che la lirica di Saffo comprendeva inquietanti aspetti di contestazione dell’universo maschile:

Alcuni una schiera di cavalieri, altri di fanti, altri di navi dicono sia la cosa più bella sopra la terra nera, io invece dico quello che si ama. E’ cosi facile farlo capire a tutti: colei che superò la bellezza di ogni donna, Elena, il suo ottimo marito abbandonando, andò a Troia per mare; né della figlia né dei genitori affatto si ricordò, ma la guidava

Saffo

Cipride: era innamorata. ( fr. 16 L ­ P) tratto da Exempla humanitatis, vol.1 di Angelo Roncoroni.

Siamo in presenza di una voce femminile che orgogliosamente avanzava il diritto di fissare i propri valori, subordinando la forza militare alla forza dell’amore. Giungendo al punto di rivalutare il comportamento di Elena, Saffo non poteva trovare facile citta­ dinanza nell’universo maschilista dei Greci. Foto: https://it.wikipedia.org/wiki/Saffo#/media/File:Herkulaneischer_Meister_002b.jpg

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Una donna tenace e coraggiosa: Pierantonia Rebeschini detta la " Togna Turca" Albachiara Gasparella La conoscono in pochi questa donna, mentre è ben più noto l’ardito ponte che scavalca la Val d’Assa sull’altopiano di Asiago e la cui posa della prima pietra, è dovuta proprio a lei, a Togna Turca. Pierantonia era nata a Roana nel 1869. Madre di cinque figli, era una donna forte, fiera e combattente. Sapeva leggere e scrivere ed aveva una parlantina sciolta e perentoria che spesso sfociava in imprecazioni e in facili insulti. Voleva e sapeva farsi rispettare, cosa non facile per una donna di quei tempi e in quelle condi­ zioni ambientali! Tutti la chiamavano Togna Turca, forse per via della sua carnagione scura o per il suo abituale copricapo che sembrava un turbante, o forse perché aveva il vizio di bestemmiare…appunto “come un turco”. L’esigenza di costruire un ponte che collegasse Roana con le frazioni di Canove, Cesuna e tutte le altre, poste sul versante opposto della profondissima Val d’Assa, e quindi anche con Asiago, si era fatta sentire già agli inizi dell’800. Le comunicazioni infatti, avvenivano esclu­ sivamente a piedi e il percorso era lungo e tortuoso, inoltre Roana che era il capoluogo, rischiava il totale isolamento. M ario Rigoni Stern stesso racconta che la costruzione del ponte fu a lungo dibattuta anche alla fine dell’800 e che l’inizio dei lavori tardava a causa delle forti tensioni tra i due paesi interessati: Roana e Canove. Nel 1895, non essendo ancora arrivati ad un accordo, si decise di abbandonare momen­ taneamente il progetto e di chiedere una proroga. Questo continuo temporeggiare esasperò i roanesi e soprattutto Togna Turca che da tempo caldeggiava la costruzione del ponte. Togna andò allora di porta in porta, convinse o costrinse ogni donna di quelle povere case a seguirla e tutte insieme marciarono sul Municipio, situato a Canove, ed occuparono i banchi dei consiglieri, con l’intento di far sentire le loro ragioni. La seduta andò deserta, ma il giorno seguente, le donne si ripresentarono più agguerrite che mai, non immaginando però che ad aspettarle ci sarebbero stati i Carabinieri. L a Togna non si fece intimidire e, davanti alle

baionette spianate, si slacciò il giubbino e liberò il suo florido seno. Sfidando le guardie e le autorità, cominciò a gridare: “Sparate qui, in questo petto!” ed ancora “ Fuori tutti, adesso qui comandiamo noi!” Si racconta che il gruppo lasciò il Municipio solo quando ebbe la concreta garanzia che il ponte sarebbe stato costruito. I lavori durarono una decina d’anni e finalmente nel 1906, il ponte vide la luce. Non lo poté vedere l’intrepida Togna che nel 1901 era morta di parto. In suo ricordo oggi sul ponte, si può leggere questa iscrizione: “CIMBRICA DONNA QUESTO PONTE VOLLE.” Nel maggio del 1916, in piena Strafexpedition, il ponte fu fatto saltare per difesa e poi ricostruito come lo vediamo oggi, nel 1924.

foto:https://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_di_Roana#/ Un'immagine del ponte di Roana prima che venisse fatto saltare in aria.

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SUCCEDE A DACCA

L'Albero della Vita | marzo ‐ aprile ‐ maggio 2017

Donatella Grespi C'è un quadro appeso alla parete. Raffigura una maschera dal ghigno malefico che la fissa. Amina distoglie gli occhi, mentre un brivido le percorre la schiena... Quella mattina aveva indossato il sari più bello, il sari rosso con i ricami d'oro. Era uscita, fiera della sua bellezza e dei suoi capelli corvini, morbidi come seta. Non li copriva con il velo. Lo avrebbe fatto un giorno, da sposata, se fosse rimasta a Dacca. Ora li esibiva, vanitosa, come il fiore offre alle api il suo nettare. Sognava per sé grandi cose: una laurea, un lavoro in America, un'altra vita. "Amina!" Riconobbe Karim dalla voce. Non si voltò. Una ragazza seria sa che non deve farlo, Karim le sfiorò il braccio. Si ritrasse. Lui la voleva, l'aveva pure chiesta in sposa, ma lei provava nei suoi riguardi indifferenza, mista a una sottile repulsione. L'aveva rifiutato. "Non ti sposerò mai!" Se ne era andato incupito, le mani strette a pugno. E ora, cosa voleva ora da lei? “Amina!” Prima ancora di vederselo davanti, sentì un liquido, che bruciava più del fuoco, bagnarle il volto, scivolarle lungo il collo, fin sulle spalle. Un dolore tremendo... Poi più nulla… C'è un quadro appeso alla parete. E' uno specchio. Amina guarda il suo volto devastato dall'acido, un volto simile a quello di molte altre ragazze a cui è toccata la stessa sorte. Un volto che fa di lei una diversa. Piange in silenzio. Niente potrà essere come prima…

Il Piacere della Lettura Albachiara Gasparella

Lucia Annibali, Giusi Fasano, Io ci sono. La mia storia di non amore. Edizioni Rizzoli Mondadori 2014 Lucia Annibali con Giusi Fasano ha raccontato, con sorprendente obiettività, la sua sofferta “storia di non amore” con l’uomo che ha deciso di punirla assoldando due sicari che l’hanno sfregiata in volto e ad una mano scaricandole addosso dell’acido. Mano a mano che si prosegue nella lettura, non si può fare a meno di vivere con Lucia i lunghi ricoveri in ospedale, gli innumerevoli interventi, le indicibili sofferenze del corpo e dell’anima, la disperazione, lo scoramento e la rabbia, ma anche di far nostra, la sua forza di combattere instancabilmente per vincere e ritornare a vivere, “ nuova”. “ Amo il mio viso più di quanto lo amassi quand’era perfetto. Lo amo perché mi sono sudata ogni p iccolo, piccolissimo passo in avanti per vederlo migliorare”. Un libro come questo, così vero e toccante, ha il potere di aiutarci a cercare sempre una luce soprattutto nei momenti più bui della nostra esistenza.

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LE ANTICHE PESCHE DI MOGLIANO VENETO Claudine Danis L'origine delle pesche è antichissima, si pensa siano arrivate dalla Cina, ed erano conosciute dai Galli, dai Greci e dai Romani. Le troviamo negli orti di Mogliano prima del 1870 e ben presto, data la loro bontà, vennero così apprezzate da essere coltivate in larga scala e poi commercializzate prima nei comuni limitrofi e poi anche all'estero: Austria, San Pietroburgo, Parigi, Berlino, Londra (qui, addirittura sin nella Corte reale!). Le antiche pesche di Mogliano erano carat­ terizzate da una pasta bianca, spiccagnola, profumata e saporita; la buccia era vellutata e presentava colori vivaci con tutte le sfumature dal bianco al rosso.

vecchio maestro, il celebre soprano racconta che, durante una sua trionfale tournée a Sidney, passeggiando per la città, vide scritto su un cesto di frutta "Pesche di Mogliano". Il ricordo del suo “paesino di campagna” (come lei lo definisce) e la consapevolezza che i suoi preziosi frutti ormai si trovavano in tutto il mondo, la commossero intensamente. Nel secondo dopoguerra i peschicoltori moglianesi sostituirono le varietà autoctone con nuove piante di provenienza americana (California), con frutti prevalentemente a pasta gialla, di minor qualità ma più adatti al trasporto. Progressivamente i vecchi pescheti scomparvero, anche per l’avvento dei mais ibridi che garantivano un reddito molto più alto. Nel 2011 nasce l'associazione Terre Venete che avvia un progetto di recupero, diffusione e valoriz­ zazione delle "antiche pesche di Mogliano Veneto" con la colla­ borazione di Veneto Agricoltura; questo progetto non è solo di tipo storico­culturale, ma anche di tipo economico per i giovani agricoltori del territorio. Interrogando i vecchi produttori che ricordano le varietà autoctone, vengono individuate e recuperate Operai della Cooperativa (Foto di Maurizio Da Tos) alcune varietà ancora presenti in alcuni orti: Carraro, Lavarone, Nel 1927 la Cassa di Risparmio della Marca Settembrini, Lorenzini e Brancia, tutte di pasta trevigiana fondò la Cooperativa dei bianca. Dalle loro piante si prelevano le "marse" Peschicultori di Mogliano costituita da un per procedere poi agli innesti; gli alberi neces­ gruppo di agricoltori dediti alla produzione e al sitano di un terreno ben drenato, tipico commercio di questo prodotto; l’anno fortunatamente del territorio moglianese. successivo, accanto alla ferrovia sorse un Le pesche di Mogliano, rispetto ad altre varietà, grande magazzino per il confezionamento e la pur presentando alcune debolezze, possiedono spedizione delle pesche moglianesi (un articolo molti punti di forza, come il fatto di essere più apparso nell'Almanacco Agricolo del 1928 parla resistenti alle malattie (e quindi necessitano di di questo avvenimento). una minore quantità di trattamenti chimici), ed Con la nascita di questa Cooperativa si ebbe la anche quella di sopravvivere a temperature prima industrializzazione nel campo della molto rigide (anche 18/20 gradi sotto zero). agricoltura e, grazie ad essa, Mogliano non risentì della grande crisi del 1929. A Un'ultima curiosità. Molti forse non sanno che testimonianza dell’importanza di questo frutto il famoso aperitivo Bellini, inventato nel 1948 per l’economia di Mogliano, nel gonfalone del da Giuseppe Cipriani (padre di Arrigo) Comune è inserita una cornucopia, simbolo dell’Harry’s Bar di Venezia, era all’origine a dell'abbondanza, da cui escono tre pesche! base di prosecco e... di pesche bianche di In una lettera inviata da Toti del Monte al suo Mogliano!!!

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Gemellaggio di Mogliano con Lisieux

L'Albero della Vita | marzo ‐ aprile ‐ maggio 2017

Teresa Busatto Che meravigliosa esperienza il Gemellaggio di Mogliano con Lisieux! Mi facevo tanti scrupoli l'anno scorso (2015) quando, appena entrata nel gruppo, seppi che c’era da ospitare una francese. Pensavo: avrò la casa abbastanza ospitale, cosa le preparerò da mangiare, ecc. ecc? Dubbi, incertezze. Ma quando ho conosciuto il gruppo di Lisieux (molti di loro parlano Italiano) e Marie Jo, tutto questo è svanito. Ci siamo subito capite un po' gesticolando, un po' con il dizionario… Il Gemellaggio è un'esperienza che auguro a tutti di fare, per viaggiare, per scambi culturali, per ospitare ed essere ospitati, per creare aggregazione anche tra noi Moglianesi e continuare a incontrarci durante l’anno. 1300 km. per andare a Lisieux a luglio, chi in auto o pulmino o aereo: la strada è lunga, ma è tanto l'entusiasmo. Passando il traforo del Monte Bianco arriviamo a Digione (famosa anche per la senape), bellissima città con sontuosi palazzi, ricca di ristorantini, dove ci deliziamo delle prime specialità francesi. Proseguiamo per Abbey de Fontenay, un'ab­ bazia Cistercense che ospitò in passato 200 frati che realizzarono una grande opera di bonifica nel territorio sempre allagato. Verso nord, passiamo la Côte d'or: sterminati campi di grano nel periodo della mietitura, un tappeto d'oro esteso fino all'orizzonte. Arriviamo a Lisieux ormai a sera, dove ci aspettano i nostri amici francesi per ospitarci. L'indomani tutti a pranzo da Martine e Jan Fernandez, tre lunghe tavolate di gente allegra. Abbiamo visitato anche un allevamento di riproduzione di cavalli da corsa. Il secondo giorno, siamo ricevuti in Municipio dal Sindaco, dalla Presidentessa Anne Marie Desjardins ed altre autorità, con lo scambio di doni offerti dalla nostra Presidentessa Pamela Prizzon. Non poteva mancare la visita al Carmelo di Santa Teresa del Bambino Gesù ed alla imponente Basilica sul colle più alto, suggestivo luogo di pellegrinaggio e di devozione alla Santa. A Manoir de Coupesarte un maniero normanno

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con un allevamento di mucche e cavalli. La campagna qui è ben curata e rigogliosa, piove spesso, quindi è verde e ricca di fiori. A Saint Pierre sur Dives troviamo un antico mercato coperto ed un gioiello di Abbazia. Al Castello di Vendreuve facciamo un suntuoso picnic nel parco, ci conforta una bella giornata di sole. All’interno del castello è custodita una preziosa collezione di mobili ed oggetti in miniatura, nel parco ci sono sorprendenti giochi d’acqua. Ci fa da guida Madame Jannine Leroux. Dopo 100 km. in pullman arriviamo a Rouen sulla Senna con la maestosa Cattedrale normanno gotica di Notre Dame, nel mezzo di tre bellissime torri: la Tour Lanterne di 151 metri (fino al 1880 la più alta del mondo), la Tour Saint­Roman e la Tour de Beurre (“del burro") perché finanziata con le elemosine versate dai fedeli per aver diritto di consumare grassi e burro durante la Quaresima. La Cattedrale fu anche di ispirazione alle opere di Claude Monet. Visitiamo Deauville e Treville con le loro spiagge, e la deliziosa cittadina Honfleur dal caratteristico porticciolo dove alcune imbarca­ zioni portano a visitare l'estuario della Senna. Si snodano stradine in salita piene di tipici negozi di ogni mercanzia ed antiquariato, quindi si arriva alla chiesa di Santa Caterina che, è un grande manufatto realizzato in legno da maestri


lasciare Lisieux ricca di fiori, di rondini e di leprotti che ai bordi della strada brucano l'erba piena di rugiada. Ecco, cari lettori, la mia esperienza del viaggio con il Gruppo di Gemellaggio di Mogliano Veneto con Lisieux, quindi partecipate, iscrivetevi, scoprirete delle belle persone e nuove amicizie.

d'ascia locali, circondata dal mercato rionale e da ristorantini dove servono pietanze di ottimo pesce fresco. Dal colle che sovrasta la città si vedono la spiaggia ed il ponte sulla Senna. L'ultima sera ci troviamo tutti per la cena di partenza, che bella compagnia! Ci cantano delle canzoni accompagnate da una chitarra e da una fisarmonica con Antonella, la loro insegnante di lingua italiana. L'indomani è triste partire e salutare tutti,

BUONE VACANZE E ARRIVEDERCI! Elsa Caggiani Tanti anni fa, quando ero una giovane scolara, aspettavo con ansia che fiorisse il biancospino nel giardino delle suore. Era maggio: si avvicinava la fine delle lezioni. Anche ora maggio è per me un mese di speranza e serenità: la fine di un lungo periodo di impegno, la consapevolezza di un lavoro compiuto con costante dedizione. Fra tutte le nostre attività, che hanno coinvolto un numero sempre maggiore di iscritti (siamo più di 760), accanto alla programmazione consueta, ricordo le nuove iniziative introdotte quest’anno: il Giornale (rinnovato e ingrandito), il corso di Linguaggio cinematografico, i corsi di Primo soccorso, il corso di Cucina vegetariana, il corso di Rilassamento, le conferenze su “Due donne moglianesi” e l’interessante prosecuzione del ciclo “L’Unitre e la Grande Guerra”. Il 21 Aprile in un convegno organizzato dall’Unitre Nazionale a Torino, il nostro libro sulla Grande Guerra è stato l’elemento predominante. Però, con molti più anni sulle spalle, maggio è divenuto per me anche il momento dei ricordi : quelli lieti e quelli tristi, di chi ci ha lasciato per sempre e di chi si è presentato ora nella nostra vita. All’inizio ho sentito l’Unitre soprattutto come un mondo di cultura: ora sta divenendo sempre più il mondo allargato dei miei affetti, delle mie amicizie. Vorrei che tutti trovassimo nell’Unitre “un luogo per stare bene”, un luogo che nel rapporto con gli altri di simpatia e cordialità, ci interessi, ci appassioni, ci renda sempre “vivi”, freschi e giovani. Con questo augurio vi do il mio saluto più affettuoso e un arrivederci per ritrovarci tutti insieme a settembre. Ciao!!

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