[UNICO] people&style 29/14

sapienza

perfezione crippa, cucina e ragione

canottaggio lungo po a torino

patata, pop star a tavola

Le illustrazioni di Marco Cazzato | Ricordo di Duilio Del Prete | Vie del sale | Virginio | Market-Zone | Design per il calore

TRADUCTION FRANÇAISE

Poste Italiane spa - Spedizione in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, DCB/CN - anno VI - numero 29 - Settembre - Ottobre 2014

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EDITORIALE

Roberto Audisio direttore artistico

direttoreartistico@unicops.net

L

a pigrizia fa bene alla salute. Lo assicura addirittura il prestigioso MIT di Boston: se sai quando fermarti, arrivi molto più lontano. Allora, siamo pronti a prenderci la più utile delle pause? Attenzione però, non si sta parlando di perdere tutto il tempo sprofondati sul divano davanti alla tv.

Il senso è capire che dare il giusto spazio (e tempo) alle proprie passioni rende migliori a trecentosessanta gradi. Ci è arrivata anche la scienza.

Infatti, secondo lo studio del Massachusetts Institute of Technology (Usa) pubblicato dalla rivista Nature, l’ozio può far bene all’apprendimento. È nei momenti di riposo e di break che le informazioni raccolte durante le nostre attività impegnative vengono riordinate per essere efficacemente archiviate. Così, adesso abbiamo più di una scusa valida per sfogliare pigramente le pagine di UNICO, dove trovare argomenti rilassanti e di sicuro interesse per prenderci una pausa nella giornata e conoscere meglio uno dei più interessanti e geniali chef del panorama nazionale, Enrico Crippa, che nella sua cucina del ristorante Piazza Duomo di Alba si è conquistato le tre stelle michelin, trasformando il locale in una meta di culto per i gourmand di tutto il mondo. Ci possiamo far distrarre dalla chiacchierata con uno degli illustratori più attivi in Italia, Marco Cazzato, che dopo aver frequentato il liceo artistico di Cuneo ha realizzato il suo sogno, disegnando per importanti giornali e collaborando con i più affermati artisti. Ci lasciamo andare ai ricordi di Cristiana Del Prete che ci racconta del “suo” particolare rapporto con il grande Duilio, il fratello diventato chansonnier e attore famoso con Mario Monicelli, scomparso a fine anni ’90. E magari lo facciamo sgranocchiando una manciata di patate fritte, le famose chips, quasi certamente inconsapevoli che fu un certo “Virginio” a diffonderle in Italia. Un avvocato cuneese di fine settecento, viaggiatore e tutt’altro che pigro, appassionato di agricoltura. Non è certamente pigro chi pratica il canottaggio, sport fisicamente impegnativo che in Piemonte affonda le proprie radici storiche a Torino, sul Po, dove alla fine dell’ottocento nacquero alcuni dei circoli più antichi, ancora oggi attivi, che diedero origine all’attuale Federazione Italiana di Canottaggio. Un vero pigro ha sempre almeno un interesse. Noi ve ne diamo un sacco. Per passare insieme il meglio del nostro e del vostro tempo.

A presto!

Rivista bimestrale dalle Alpi al Mare Anno VI • Numero 29 • Settembre - Ottobre 2014

Alessio Botto

Roberto Audisio

Direttore responsabile: Alessio Botto • info@unicops.net

info@unicops.net

direttoreartistico@unicops.net

DIRETTORE RESPONSABILE

DIRETTORE ARTISTICO

Direttore artistico: Roberto Audisio • direttoreartistico@unicops.net Redazione centrale: Giovanna Foco • redazione@unicops.net Editing: Vanina Carta • editing@unicops.net Concessionaria unica di pubblicità: BB Europa Edizioni • via degli artigiani, 17 - Cuneo info@unicops.net tel. +39 0171.603633 [UNICO] è una pubblicazione di BB Europa Edizioni Via degli Artigiani, 17 • 12100 Cuneo tel. +39.0171.60.36.33 Reg. Trib. di Cuneo n. 617 del 1 Agosto 2009 Stampa: TIPOLITOEUROPA • Cuneo info@tipolitoeuropa.com • www.tipolitoeuropa.com

Tutti i diritti riservati, è vietata la pubblicazione, anche parziale, senza l’autorizzazione dell’Editore © BB Europa Edizioni. Nell’eventualità che testi e illustrazioni di terze persone siano riprodotti in questa pubblicazione, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non citati. L’editore porrà inoltre rimedio, a seguito di segnalazione, ad eventuali non volute omissioni e/o errori nei relativi riferimenti.

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L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: “BB Europa Edizioni” - Responsabile dati UNICO - Via degli Artigiani, 17 - 12100 Cuneo. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico della “BB Europa Edizioni” saranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 675/96).

Puoi trovare [UNICO] nelle migliori edicole della provincia di Cuneo e Liguria di Ponente, a Torino nella Libreria Internazionale Luxembourg, nei migliori locali della Liguria, del Principato di Monaco e della Côte d’Azur.

Questo numero è stato chiuso in redazione il 10/09/2014.

In copertina: “lentezza, sapienza, perfezione” di Nailia Schwarz - fotolia

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@robyaudi

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CONTRIBUTORS Hanno scritto: Roberto Audisio Ilaria Blangetti Phil Boschero Vilma Brignone Vanina Carta Riccardo Celi Monica Coviello Claudia Ferraresi Nicola Ferrero Giovanna Foco Paola Gallo Fabrizio Gardibali Marco Jorio Bruno Lubatti Fabio Moretti Luca Morosi Camilla Nata Alessandro Parola Monia Re Traduzione in francese: Lidia Dutto

Credit fotografici: Archivio Slow Food – Salone del Gusto / Terra Madre Associazione Art.Ur Alex Astegiano Dignità Autonome di Prostituzione – Elisa Biagini Fiera di Genova Fondazione Cosso Forte di Bard Marcello Marengo Daniele Molineris Luca Morosi Museo Ettore Fico Nuova Società Orticola del Piemonte Giovanni e Teresio Panzera Cristian Parravicini – ItaliaSquisita (per Piazza Duomo) Ristorante Piazza Duomo Samia – Roddi d’Alba (CN) Società Canottieri Armida Società Canottieri Caprera Torino Spiritualità Università di Scienze Gastronomiche – Pollenzo (Bra)

Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero con il patrocinio di:

in collaborazione con:

aderente a:

people

SOMMARIO RITRATTO 12 | enrico crippa: cuore e ragione

UNDER 40

18

18 | raccontare in un’immagine

STORIA E STORIE

style

22 | del prete, teatro cuneese 26 | virginio, innovatore ante litteram

GUSTO 29 | da cenerentola a pop star

SPORT

36

32 | potenza e leggerezza a filo d’acqua

ITINERARI 36 | il sale, primo collante d’europa

ATTUALITÀ 40 | cuneo-nizza, nuovi spazi al mercato

DESIGN & LIVING 44 | quando l’artigianato incontra il design 48 | le nuove frontiere del calore 52 | “tole”, la creatività vince la crisi

48

FASHION 54 | urban style vs preppy style 4-0 58 | un caldo abbraccio senza tempo

EVENTI 60 | la notte dei ricercatori

zoom

54

22

AZIENDE 62 | energia al servizio di ogni esigenza

40

RUBRICHE

1 4 6 10 17 66 69 70 71 72 73 74 78 80 82 83 86

| EDITORIALE | SOMMARIO | PRIMO PIANO | PASSEPARTOUT | INTERVISTA IMPOSSIBILE | LIFE STYLE | BON TON | PERSONAL SHOPPER | DA ROMA | BONTÀ A TAVOLA | MONEY MONEY MONEY | ARTE | LEGGE | MOTORI | UNA MELA AL GIORNO | ESSERCI | TRADUCTION FRANCAISE

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | primo piano

rimo iano

POLLENZO AL CENTRO DELL’EUROPA

Un grande evento per Bra, che per un giorno si fa “capitale” d’Europa. L’imponente complesso albertino di Pollenzo (Bra), sede oggi dell’Università di Scienze Gastronomiche, della Banca del Vino e dell’Albergo dell’Agenzia, ospita il 29 settembre i ministri dell’agricoltura dei 28 Paesi dell’Unione Europea. Un convegno aperto al pubblico, che fa parte di una tre giorni in cui i ministri UE si riuniscono per un consiglio informale, spostandosi tra la Franciacorta (dove è prevista la visita alla prestigiosa azienda vitivinicola Ca’ del Bosco), Bra e Milano. Durante il loro breve soggiorno, gli illustri ospiti, insieme alle loro rispettive delegazioni, vengono accolti dal “padrone di casa” Carlo Petrini. Presenti anche i produttori dei Presidi Slow Food provenienti dai Paesi membri. Un momento importante per la cittadina e per le realtà di Pollenzo, che indirettamente porta il Piemonte stesso al centro dell’interesse europeo e mondiale.

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CALCIO FEMMINILE DA SERIE A

STANZIATI 900.000 EURO PER I SENTIERI PIEMONTESI

Il momento del debutto è arrivato. Il 4 ottobre è il giorno dell’esordio del Cuneo Calcio Femminile in Serie A. Le biancorosse, agli ordini del nuovo mister Gian Luca Petruzzelli, giocano i primi 90 minuti nel massimo campionato, ospitando, dalle 15,00 allo stadio “F.lli Paschiero” di Cuneo, le campionesse d’Italia del Brescia.

Sarà un campionato emozionante, a 14 squadre, con le sole cuneesi a rappresentare il Piemonte.

“Non abbiamo rivoluzionato la squadra che lo scorso anno ha conquistato la promozione – commenta il presidente della società biancorossa Eva Callipo – ma abbiamo deciso di arricchire la ‘rosa’ con alcune atlete con esperienza già nella massima serie. Il nostro obiettivo, in quanto neo-promosse, è la salvezza”.

“L’altro lato del calcio” appassiona sempre di più le giovani, che ora chiedono a mamma e papà di avvicinarsi a questo sport già da piccole.

“Teniamo particolarmente al nostro settore giovanile ed è un orgoglio, per noi – continua Callipo – vedere come alcune ragazze cresciute a Cuneo ora possono debuttare in serie A”.

“Il Piemonte – afferma l’assessore regionale alla Montagna, Alberto Valmaggia – ha una straordinaria rete sentieristica costituita da più di 3.800 percorsi, per uno sviluppo complessivo di oltre 16.000 km, che va mantenuta e valorizzata per creare sempre nuove opportunità turistiche. Si spazia dalle camminate più impegnative per gli appassionati e gli alpinisti, alle semplici passeggiate turistiche per le famiglie, alla scoperta della natura e delle nostre tradizioni. I progetti finanziati dovranno essere accompagnati da azioni di animazione e valorizzazione, e particolare attenzione dovrà essere prestata alla fruizione da parte dei principianti e dei giovani”.

I beneficiari ora devono procedere a una progettazione definitiva, integrare le risorse a carico del Comune e quindi confermare la volontà alla realizzazione dell’investimento.

Ecco l’elenco dei Comuni beneficiari: Montemale (CN) 80.000 euro, Varallo ( VC) 78.000 euro, Acceglio (CN) 50.000 euro, Macugnaga ( VB) 44.500 euro, Riva Valdobbia ( VC) 80.000 euro, Garessio (CN) 50.000 euro, Boccioleto ( VC) 45.600 euro, Exilles (TO) 50.000 euro, Roure (TO) 79.000 euro, Borgosesia ( VC) 50.000 euro, Quincinetto (TO) 49.600 euro, Coggiola (BI) 50.000 euro, Usseaux (TO) 80.000 euro, Campertogno ( VC) 50.000 euro, Carcoforo ( VC) 79.000 euro.

UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | primo piano

rimo iano

GOOGLE, PASSIONE DI TUTTI: 10 ANNI DI POPOLARITÀ A chi non è mai capitato di usare Google, il noto motore di ricerca? Forse a nessuno. E questo giustifica il successo in borsa che fa segnare un +1.290% in 10 anni. La decima candelina del suo sbarco a Wall Street è stata spenta ad agosto: ha marcato un’era e con risultati ineguagliati. Nel suo decennio da società quotata, l’azienda ha visto la sua capitalizzazione di mercato raggiungere i 400 miliardi di dollari. Il rendimento annuale ponderato di Google, in questo lasso di tempo, è stato del 30,15%. Google può inoltre vantare un posto in prima fila tra le maggiori compagnie per entrate: con 65 miliardi di dollari di fatturato annuale, è tra i primi 40 colossi statunitensi.

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | primo piano

rimo iano

A TORINO IL SALONE DEL GUSTO–TERRA MADRE CON LA SUA “ARCA” Grande attesa per l’appuntamento internazionale al Lingotto Fiere, che quest’anno, dal 23 al 27 ottobre, celebra anche l’Anno Internazionale dell’Agricoltura Familiare, dichiarato dalle Nazioni Unite. “L’agricoltura familiare produce cibo. Il suo obiettivo – scrive Cinzia Scaffidi sul sito del Salone del Gusto – sono le persone che lo mangeranno e anche la terra che, stagione dopo stagione, collabora con gli agricoltori. Produce cose da mangiare, non cose da vendere. L’importante è avere un raccolto, per questo diversifica il più possibile, cerca di inserirsi nei ritmi della natura, non di contrastarli. Semina patate, ma anche mais e fagioli, perché il clima che danneggerà uno di questi alimenti favorirà gli altri; semina ortaggi, ma anche fiori ed erbe aromatiche, perché gli insetti e i parassiti non li danneggino. Dietro all’agricoltura familiare non ci sono società di capitali, ma agricoltori, che saranno i primi a consumare le loro produzioni, insieme alle loro famiglie. E ci saranno i mercati, al plurale, quelli di vicinanza, ma anche quelli alternativi, come i GAS, o le consegne via internet, o i negozi cooperativi. L’agricoltura familiare va celebrata perché produce l’80% del cibo che viene consumato dalla popolazione della terra. Quello che viene mangiato, attenzione, non quello che viene commercializzato. [...] E va sostenuta politicamente perché consente a iniziative come l’Arca del Gusto di Slow Food, che cataloga cibi a rischio di estinzione, di non diventare una lista di mesti ricordi, ma di restare un elenco di possibili progetti (e i Presidi di Slow Food si originano da quella lista). Ci vediamo al Salone del Gusto e Terra Madre 2014, per capire facendo, assaggiando, ascoltando e raccontando”. www.salonedelgusto.it

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | passepartout

a cura di Monica Coviello - giornalista lifestyle

GUSTO, EVENTI, SPETTACOLI, PER RICOMINCIARE CON GRINTA

l’autunno che scalda il cuore FIERA NAZIONALE DEL MARRONE Cuneo, dal 16 al 19 ottobre Sì, la festa è dedicata a loro, alle castagne e ai mundai. Ma gli stand e i laboratori propongono anche molte altre specialità del territorio e di tutta Italia, facendo così della Fiera Nazionale del Marrone una delle più importanti rassegne enogastronomiche del Paese. Questa edizione, diversamente dagli anni scorsi, si tiene nelle piazze principali della città antica: Piazza Galimberti e Piazza Virginio ospitano più stand e alcuni laboratori, mentre in Piazzetta Audifreddi trovano posto i birrifici. In Piazza Torino, invece, è previsto il padiglione della Confartigianato, sul tema “i metalli”. Profumi, colori e degustazioni, ma anche laboratori didattici, proposte turistiche, spettacoli e mostre, per attrarre non solo gli appassionati del gusto, ma tutti coloro che vogliono conoscere le tipicità cuneesi. www.marrone.net

POP IN THE CITY Nizza, 11 ottobre Un raid urbano tutto femminile che, dopo Utrecht e Porto, approda a Nizza. Centinaia di donne si sfidano in cinque categorie (cultura, arte, sport, sport estremi e solidarietà), scoprendo di volta in volta i segreti di una città diversa. E la vittoria va a chi vince il maggior numero di sfide nel minor tempo possibile. Un format inventato da Marie Pichot, Clémentine Charles e Sophie Gastine, tre ragazze francesi accomunate dalla passione per il viaggio e per la scoperta.

Le potrete incontrare vestite di arancione: sicuramente vi chiederanno di dare loro una mano. www.popinthecity.com

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Torino, dal 16 ottobre Quella che si apre è la stagione delle storie. Storie che arrivano dalla cronaca ed entrano nella fantasia, che caratterizzano un periodo storico, che raccontano delle persone e dei personaggi. Il 16 ottobre tornano ad accendersi le luci del Teatro Colosseo, con lo spettacolo Dignità Autonome di Prostituzione: 25 attori in grado di trasformare gli spazi del teatro in una “casa chiusa dell’arte”. Si recita anche nel foyer, nei bagni, negli uffici, per le scale e nel locale caldaia: ogni spettatore costruisce un proprio spettacolo nello spettacolo, diverso, personale.

Ma durante la prossima stagione, calcano il parco del teatro torinese anche Alessandro Bergonzoni, Gioele Dix, Lella Costa, Claudio Bisio, Teresa Mannino, Antonio Cornacchione, Paolo Rossi, Simone Cristicchi e Ambra Angiolini. E non mancherà la musica. www.teatrocolosseo.it

UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | passepartout

TEATRO COLOSSEO: LA NUOVA STAGIONE

SALONE NAUTICO INTERNAZIONALE Genova, dal 1° al 6 ottobre Lo spettacolo del mare torna a Genova. Il Salone Nautico Internazionale è rimasto, negli anni, un punto di riferimento per diportisti e industria nautica, un evento fatto di business, aggiornamento, cultura del mare, sport e spettacolo. Quest’anno, la kermesse dura un giorno in più rispetto alle edizioni precedenti e tante sono le novità in programma, come una nuova “casa” per la vela, il Sailing World, che occupa l’intera darsena interna e più di 6.000 mq di spazio a terra.

Tornano, poi, il Power Village, che ospita i motori; la darsena grande, che è destinata alle imbarcazioni a motore, e il Padiglione B, che è riservato agli accessori, alle imbarcazioni pneumatiche e ai fuoribordo.

In una nuova piazza, invece, trova posto il Food and Beverage Court, il meglio dell’enogastronomia made in Italy. Perché il salone vuole diventare uno dei simboli dell’italianità di eccellenza, insieme alla moda, al cibo, allo stile. www.fiera.ge.it

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enrico crippa: cuore e ragione PAGG. 86-87

O

re 11,00: al n. 4 di Piazza Risorgimento nel cuore di Alba, è un brulicare di attività, in attesa delle ore più frenetiche.

Attorno, design minimalista e rigoroso, senza distrazione, ma l’anticamera è breve.

Incedere rapido ma impercettibile, divisa “d’ordinanza” completa di parannanza e sguardo acuto, fiero, ma circospettivo. Eccolo, uno degli chef entrati nel gotha mondiale della “tripletta” e che ha regalato al nostro Paese uno degli otto tris italiani di stelle Michelin.

Enrico Crippa, brianzolo di origine, è personaggio abituato ai media, eppure da subito si intuisce quell’umiltà di chi conosce il valore del lavoro, a cui dedicare una vita intera. Poche domande e viene fuori un profilo non comune, un uomo che incarna una figura completa, sfaccettata ma senza ombre sul piano della disciplina e del rigore professionale.

Lo chef, allievo di Gualtiero Marchesi e dal curriculum da far rabbrividire – ha lavorato con nomi del calibro di Christian Willer (Palme d’Or, Cannes), Gislaine Arabian (Ledoyen, Parigi), Antoine Westermann (Buerehiesel, Strasburgo), Michel Bras (Laguiole), Ferran Adrià (El Bulli, Roses), oltre ad aver avviato il ristorante di Gualtiero Mar-

UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | ritratto

UNO DEI POCHI CHEF “TRISTELLATI” AL MONDO HA TROVATO AD ALBA LA PROPRIA PATRIA ELETTIVA, DOVE DAL 2005 È CUORE, MENTE E BRACCIO DEL RISTORANTE PIAZZA DUOMO DELLA FAMIGLIA CERETTO.

DI VANINA CARTA - PHOTO: PIAZZA DUOMO chesi a Kobe (Giappone) nel 1996 – si racconta ai lettori di UNICO. Come ci si sente a guidare uno dei pochi ristoranti tre stelle Michelin, in una cittadina di 31.000 abitanti, senza la platea di Milano?

In realtà non è una situazione svantaggiosa dal mio punto di vista, ma una condizione ideale, per vari motivi. Per prima cosa, a Milano, o in una grande città, la mia cucina non potrebbe essere quella che è ora. La cucina, infatti, è il momento espressivo culminante di un territorio, con cui inevitabilmente si trasforma. A Milano, sarebbe difficile creare questo tipo di legame, poi ho avuto la fortuna di arrivare in un posto come questo, le Langhe. Il paesaggio, quando guardi fuori, è lì, vicino a te, e ti entra dentro, pronto a offrirti una qualità e una varietà di prodotti a dir poco eccezionali, ma accessibili a tutti, con quotidianità: oltre ovviamente a quelli di punta come i vini, il tartufo e le nocciole, hai dalle carni ai formaggi e molto altro...

Pensiamo, poi, alla stagionalità. In città, diventa difficile seguirla totalmente, soprattutto in annate con climi particolari come sono state le ultime e in cui alcuni ortaggi anticipano, mentre altri ritar-

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | ritratto 16

Allievo di Gualtiero Marchesi, Enrico Crippa ha trovato nelle Langhe la propria patria d’elezione.

Qui si divide tra l’orto, sito a Barolo, e Piazza Duomo, nel cuore di Alba, uno dei soli otto ristoranti tre stelle Michelin in Italia.

Alcune delle sue creazioni: L’Insalata…21…31…41…51 e la Tinca in carpione. Photo (pagine precedenti): Marcello Marengo; (in alto): Cristian Parravicini - ItaliaSquisita.

dano rispetto ai cicli che normalmente conosciamo. Per non parlare del fatto che qui non hai a che fare con la “massa” e che puoi trovare la tua serenità mentale. I ritmi certamente rimangono frenetici, ma il paesaggio ti cambia, diventa parte di te.

A questo proposito, è vero che gestisce direttamente un orto da cui attinge la materia prima?

Proprio per rafforzare l’autenticità del legame con il territorio e la stagionalità del menu, con la famiglia Ceretto si è valutata la possibilità di creare e gestire direttamente un orto, che ha trovato spazio a Barolo, nell’area della Docg, e che con il tempo si è espanso. Oggi è di quasi 2 ettari e la sua importanza crescente nel nostro menu è legata al fatto che ci consente di utilizzare una produzione propria di verdure ed erbe selezionate completa, anche per gli ingredienti che sono considerati come semplice accompagnamento.

Si tratta, in ogni caso, di un impegno che richiede energie e dedizione, sia alla proprietà che a me.

Innanzitutto perché ci lavorano stabilmente due

persone, che ovviamente rappresentano un costo. Con loro, che conducono manualmente l’orto in modo biodinamico e biologico, mi raffronto ogni giorno, direttamente “sul campo”. Alle 7 di mattina, infatti, di norma sono già nell’orto, per supervisionare, verificare e per terminare la raccolta della materia prima, soprattutto delle erbe e dei prodotti più delicati. Con loro, poi, concordo la scelta delle sementi, il calendario, stagione per stagione, e la rotazione dei terreni – che è fondamentale per poter raccogliere le erbe spontanee nelle zone incolte. L’orto è la strada “maestra” per l’alta qualità della materia prima, ma comporta anche un rischio: non sempre le rese sono, quantitativamente, idonee al menu; variano molto di volta in volta e, spesso, all’occorrenza le eccedenze devono essere smaltite dalla nostra nutrita brigata (25-30 persone).

Recentemente Gualtiero Marchesi l’ha riconosciuta come suo unico vero erede. Come giudica questa affermazione?

Beh, ne sono lusingato, ma penso più semplicemente che Marchesi veda in me una figura professionale, quella dello chef, a 360 gradi: un concetto che da sempre sta alla base del suo insegnamento e che io assolutamente ho fatto mio.

Lo chef, infatti, non è più colui che sta dietro i fornelli, recluso in cucina, ma il “manager” di una vera e propria azienda. È un mestiere in evoluzione, in cui devi avere dimestichezza con la gestione delle risorse umane – perché devi avere autorevolezza, ma anche saper creare e guidare un team coeso a cui trasmettere ogni giorno il giusto entusiasmo; devi saper essere “mediatico”, perché oggi lo chef arriva sulle copertine delle riviste; devi, ovviamente, avere la creatività per esprimere la tua cucina e realizzare qualcosa che fa parte di un vero circuito artistico; in molti casi, poi, devi conoscere una seconda e magari una terza lingua (molti di noi spesso si spostano all’estero dove restano anche per anni). Insomma, lo chef non è più quello di una volta e credo che sia ciò che Marchesi voglia comunicare.

Enrico Crippa

Le Langhe, il Roero e il Monferrato sono diventati da poco siti UNESCO...

Sì, ed è un’occasione unica. Questo è un territorio, per natura, già molto fortunato, dove il cibo d’eccellenza è protagonista, a cui si aggiunge un paesaggio strepitoso, pur senza avere laghi, mare o vette alpine... Qui si aprono più strade, più sbocchi, che generano un flusso di visitatori e turisti importante, ma né massificato né invasivo, e nemmeno capace di minacciare quella dimensione del buon vivere che si ritrova in poche altre mete italiane. È una dimensione ideale che, proprio in ragione di questo nuovo riconoscimento, va preservata gelosamente. Perciò, credo che sia un’occasione. Perché le Langhe devono diventare sempre di più il luogo del vivere bene, senza lo stress delle grandi città che ci stanno sempre più strette, e a contatto con il paesaggio. Ed è, poi, un punto di partenza, perché da qui si deve partire con un lavoro di conservazione dell’identità terri-

toriale. Questo non significa negare l’importanza delle attività produttive industriali, che sono state un volano per tutta l’area, ma saperle sviluppare con un occhio di riguardo al contesto, in cui vanno integrate nel modo migliore.

Veniamo al suo rapporto con i fratelli Ceretto.

Quello con i Ceretto lo definirei un rapporto “all’antica”. Il primo contatto con loro risale a 12 anni fa, attraverso Carlo Cracco, a cui sono molto legato. All’epoca Carlo si era spostato da Piobesi d’Alba, dove gestiva il ristorante Le Clivie, sempre dei Ceretto, a Milano.

L’obiettivo di Bruno Ceretto era quello di dare alle Langhe e all’Albese un ristorante che fosse un punto di riferimento assoluto per il territorio.

Il suo modello era la Francia, capace di creare un vero sistema di ricettività e alta ristorazione, in singole aree, attorno anche a un solo prodotto alimentare di punta. Ciò che mancava qui non era un ristorante, perché erano già molti all’epoca,

Al mattino presto, Enrico Crippa è già dell’orto, un punto di riferimento fondamentale per la cucina di Piazza Duomo, perché consente di disporre di materie prime sempre di altissimo livello.

Photo: Marcello Marengo.

La folta brigata di Piazza Duomo che raccoglie giovani professionisti da tutta Italia, da Cuneo (come Manuel Miliccia, direttore di sala) a Napoli ( Vincenzo Donatiello, sommelier)

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“Le tre stelle sono un risultato straordinario, ma ciò che conta davvero è il lavoro che si costruisce giorno dopo giorno”.

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ma “il” ristorante di altissima gamma. Ci incontrammo tre volte: ogni volta si accertava che la mia visione del progetto coincidesse con la sua e l’incontro si concludeva con una stretta di mano, come si fa tra gli uomini di parola... E oggi, con i Ceretto, sono quasi “di famiglia”. Pur senza conoscermi mi hanno accolto dandomi fiducia totale; hanno creduto in me, senza porre limite ai mezzi e supportandomi in ogni mia scelta.

Va detto che, dietro tutto ciò, ci sono una visione e un obiettivo di fondo che condividiamo profondamente, cioè l’eccellenza assoluta basata sulla filosofia del duro lavoro quotidiano. Per questo, i Ceretto hanno declinato il meglio della cucina territoriale in due forme: quella prêt-àporter con La Piola e la haute couture – diciamo così – con Piazza Duomo... E tutti, qui, ci crediamo tantissimo: persino il lavapiatti è motivato.

A proposito di motivazione, quanto contano le tre stelle?

Sicuramente quando arriva un riconoscimento come questo, l’entusiasmo e la motivazione sono al massimo, ma bisogna saper vedere le cose nella giusta prospettiva e rimanere con i piedi per terra... voglio dire: in realtà, non è tanto il momento in cui l’ispettore Michelin – in incognito naturalmente – compie il suo “sopralluogo”, che conta, quanto tutto lo storico del tuo lavoro, la cura quotidiana e la massima attenzione verso tutti i clienti indistintamente. Questo crea uno zoccolo di clientela che si forma un’opinione su di te e che rappresenta una reputazione, che è ciò che rimane veramente. In poche parole: certo, le tre stelle sono un risultato straordinario, ma ciò che importa davvero è il lavoro che si costruisce giorno dopo giorno.

Infine, la vedremo mai in TV? Per il momento non è nei miei progetti, nelle mie intenzioni e nemmeno molto nelle mie corde, benché non abbia problemi a rapportarmi con i media. In realtà, la scelta di andare in TV non è sempre dettata da voglia di protagonismo e semplice vanità; le motivazioni possono essere molte. Questo è un lavoro davvero “violento”, massacrante, che ti sfinisce e dove non finisci mai, in cui sei in ballo e sotto pressione dalle 8,00 del mattino alle 11,00 e oltre di sera...

Sicuramente c’è anche chi ama essere al centro dell’attenzione, ma non di rado si fa perché, dopo una certa età – ed è umano – non si reggono più i ritmi di prima. Oppure perché la tua creatività ha bisogno di nuovi spunti e idee. Poi, non meno importante – va detto che un ristorante di alta gamma è una macchina costosa e la TV ti dà un sostegno economico che contribuisce alla sua gestione. Credo che, in generale, la TV, almeno inizialmente, abbia giocato un ruolo positivo, perché ha riscoperto la figura del cuoco mostrando, come dicevo, che il nostro mestiere è cambiato.

Ora, però, francamente, si è andati un po’ oltre...

Questa professione è fatica allo stato puro, in cui non devi mollare, non un gioco o un hobby.

Quasi non sai cosa siano vacanze e il tempo libero... uno sforzo costante e imponente con il solo scopo di far stare bene il cliente. Ma tutto questo la TV non lo mostra; ciò che si vede è solo il lato divertente, effimero.

Per Enrico Crippa, una cittadina come Alba è la dimensione ideale per esprimere la propria cucina, creando un legame solido con il territorio, e per mantenere la giusta serenità mentale nonostante i ritmi siano sempre frenetici.

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l’intervista impossibile DI FABRIZIO GARDINALI

M

e ne sto bella tranquilla, nel mio protettivo guscio spinoso, detto comunemente “riccio”, fino ad autunno, appesa ai rami frondosi e ampi dell’albero che mi porta e di cui, di conseguenza, prendo il nome.

Ce ne sono tanti, specie in provincia di Cuneo, nelle vallate e nelle zone di fondovalle. Sono comuni nel nostro paesaggio, ma sempre gradita è la loro ombra che rinfresca dalla canicola dell’estate, mentre io dolcemente maturo osservando ciò che succede nella stagione calda. E sono tante le persone che spesso vengono a riposare, pranzare, passare qualche ora di relax sotto i rami dove “abito”. Sempre più numerose, specie ora che “l’esodo” delle vacanze estive pare un piacevole e malinconico ricordo dei tempi passati e sereni, seppellito sotto la crisi economica provocata dai “rigori luterani” degli Stati del Nord Europa – in realtà pensano di guadagnarci a nostre spese, ma non è così: ci perdiamo tutti.

Già, però non sapete ancora chi sono, anche se di certo mi conoscete e vi sono ben nota: la castagna e l’albero di cui parlavo è, ovviamente, il castagno. Una curiosità: benché la presenza di questa pianta sia particolarmente diffusa nel Nord Italia, la più grande di tutte si trova in Sicilia, nel Parco dell’Etna. Pare abbia oltre 2.000 anni (qualcuno dice persino 4.000) ed è considerato l’albero più antico d’Europa, oltre al più grande d’Italia. La circonferenza del tronco, infatti, è di ben 22 m ed è altrettanto alto.

Come tutto ciò che ha a che fare con la vita quotidiana del popolo, non manco di essere protagonista di storie e leggende. Perlopiù riguardano il mio ispido involucro. Secondo una di queste, “una volta” le castagne ne erano prive. Erano semplicemente appese ai rami, come per tante altre specie. Un giorno tre frutti decisero che non volevano più patire né il caldo estivo né i rigori invernali, perciò si rivolsero al castagno più vecchio del bosco che consigliò loro di chiedere ai ricci della foresta se fossero stati disposti a donare la pelliccia dei compagni morti. Così fu fatto dai generosi animaletti: le castagne si avvolsero nello strato pungente e da allora ebbero il “riccio”.

Un’altra racconta degli abitanti di un poverissimo paese di montagna, che invocavano Dio per ottenere qualcosa da mangiare e non morire di fame. Il Signore accolse le preghiere di quella umile gente e diede loro il castagno, dal quale ricavare frutti nutrienti e da consumare in diversi modi. Ma il diavolo, venuto a conoscenza del fatto, avvolse le castagne in un guscio spinoso e impenetrabile

perché non potessero essere raccolte. I paesani tornarono a implorare Dio che, sceso tra loro, benedisse i frutti e i gusci fitti di aculei, per miracolo, si aprirono formando una croce... cosa che avviene ancora ora.

Passando dalla leggenda alla storia, è vero che la vita delle genti delle vallate cuneesi, specie quelle del Monregalese, è strettamente legata a me da secoli. Le prime testimonianze di castanicoltura risalgono al periodo a cavallo tra il XII e il XIII secolo, mentre la documentazione si fa più ampia e specifica nei secoli successivi, con tutele previste negli statuti comunali e registrazioni sulla produzione locale.

Venivo consumata fresca, ma soprattutto in alcune aree come la Valle Tanaro, anche essiccata secondo un procedimento che si tramandava di padre in figlio. Mi si chiamava (e il nome è rimasto) garessina, con riferimento al comune di Garessio, dove la produzione della castagna bianca, praticamente disidratata, era particolarmente diffusa.

Costituivo non solo l’alimento principale nel sostentamento delle famiglie contadine montanare, ma anche un’importante fonte di reddito.

Fin dal XVI secolo, il mercato di Cuneo fu uno dei principali per la compravendita che mi riguardava, diventando di livello europeo, e la Fiera di San Martino (11 novembre) era il momento degli affari migliori: venivo valutata allo stesso prezzo delle uve, il che è tutto dire. Vi erano pure altri mercati a me dedicati, anche se minori per importanza e volume d’affari, come quello di Venasca, in Valle Varaita, che risale al 1528.

Agli inizi del XX secolo, in Piemonte, ero prodotta in ben 550.000 q, dei quali 350.000 solo nella provincia Granda. Alla luce della mia importanza nell’economia del Cuneese, negli anni ’30 venne organizzata la Fiera del Marrone in Piazza Galimberti, come evento collaterale all’annuale mercato della castagna, che si svolgeva in Via XX Settembre. Con la guerra, la manifestazione fu abbandonata e riprese solo nel 1999, in concomitanza con la diffusione di un rinnovato interesse verso di me, dopo gli anni della “ricostruzione” e del mio abbandono, anche per lo spopolamento delle zone di coltura.

Ed è una buona cosa, poiché sono sempre stata un’ancora di salvezza per le popolazioni più disagiate alle quali ho fornito nutrimento, spesso l’unico... E, a bene vedere, da come stanno andando le cose, temo che i poveri, in futuro, saranno sempre più numerosi, ma io, la castagna, per loro ci sarò sempre; a meno che l’Europa non si inventi qualcosa anche su di me.

pane di bosco

raccontare in un’immagine

DI NICOLA FERRERO PHOTO: ALEX ASTEGIANO

TENACIA, CORAGGIO DI SEGUIRE LE PROPRIE INCLINAZIONI E UN SOGNO: FARE DEL DISEGNO UNA PROFESSIONE. MARCO CAZZATO CE L’HA FATTA. UN CURRICULUM DENSO DI SUCCESSI E NUOVI PROGETTI.

A

d alcuni di voi il nome di Marco Cazzato potrebbe non dire nulla, ma anche se non siete appassionati di illustrazione e di arte, di certo vi sarete già imbattuti in qualcuna delle sue opere: se siete lettori de “La Stampa”, avrete notato per anni i suoi disegni a corredo della rubrica di posta domenicale di Massimo Gramellini; se amate il cinema, avrete apprezzato il manifesto per il Torino Film Festival del 2011; se vi piace la musica, invece, le copertine disegnate per i Marlene Kuntz e Le luci della centrale elettrica... e copertine per Einaudi, poster per il Teatro Lirico di Spoleto, lavori per diverse riviste.

In poche parole, Cazzato è uno degli illustratori più importanti del panorama italiano. Abbiamo incontrato per voi l’artista di Racconigi, che da poco più di un anno si è trasferito a Torino.

Come sono stati i tuoi inizi?

Cosa è successo dopo aver frequentato il liceo artistico a Cuneo? È successo che ho lavorato per circa un anno in un supermercato, aspettando di partire per il servizio civile. Volevo continuare a studiare: fin dalla prima liceo, avevo realizzato che avrei voluto disegnare nella vita (all’epoca volevo fare fumetti), quindi cercai corsi e stage; nel frattempo facevo lavori saltuari per mantenermi.

Cos’è la Libera Università Novalia e cosa hai studiato lì?

Era un progetto nato da Novalia Arti Visive, la scuola d’arte di mio fratello Daniele. Purtroppo, all’inizio del secondo anno il progetto naufragò, ma chiesi ad alcuni docenti di continuare a se-

Originario di Racconigi, Marco Cazzato è diventato uno degli illustratori di spicco nel panorama italiano. Manifesti per il Torino Film Festival, copertine per Einaudi e per CD di gruppi come i Marlene Kuntz sono solo alcuni dei suoi lavori più prestigiosi.

Quando hai capito che l’illustrazione sarebbe diventata il tuo lavoro a tempo pieno?

Come dicevo, dalla prima liceo. A dire il vero, ricordo il momento esatto in cui realizzai, leggendo le storie di Paperino, che qualcuno disegnava paperi per professione e pensai che sarebbe stato un gran bel lavoro. Ho fatto alcuni tentativi con il fumetto, ma non scrivo bene e sono troppo individualista per appoggiarmi a uno sceneggiatore.

Ho scoperto l’illustrazione e l’ho trovata molto più congeniale: mi consentiva di raccontare attraverso una sola immagine e in più potevo portare avanti la mia ricerca pittorica.

Dal 2008 sei docente del corso di Illustrazione Editoriale presso l’Istituto Europeo di Design di Torino (IED). Come ti trovi nelle vesti di insegnante?

Mi è stata proposta la cattedra e in un primo momento ho esitato: avevo grossi dubbi circa l’essere in grado di insegnare. Poi, dopo le prime lezioni, mi sono reso conto che parlare di ciò che faccio da anni, e di come lo faccio, con i ragazzi funzionava. È stato anche utile per me: oltre allo scambio continuo con gli studenti, ho dovuto in qualche modo “teorizzare” ciò che per anni ho svolto in silenzio, il mio processo di crescita, le dinamiche che mi portano a creare un’illustrazione. Il corso si basa principalmente su prove pratiche, quindi cerco di far crescere in loro un’autorialità e una professionalità che li aiuti ad affacciarsi al mondo del lavoro.

In alto: l’illustrazione realizzata per l’edizione del Torino Film Festival del 2011 Dopo il liceo artistico di Cuneo, Cazzato ha lavorato in un supermercato e svolto attività saltuarie per mantenersi, ma non ha mai abbandonato il suo sogno: disegnare per professione. Dopo i primi tentativi con il fumetto, è approdato all’illustrazione.

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guirmi: ogni dieci giorni andavo nei loro studi e passavo la giornata con loro. È stata un’esperienza davvero molto formativa, mi ha insegnato, per così dire, il “mestiere”.

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Quali sono i tuoi autori preferiti e quelli che maggiormente ti hanno ispirato?

Chi più di tutti mi ha spinto verso questo mestiere è stato senza dubbio Andrea Pazienza. Poi Mattotti, Moebius, Pinter, Matticchio e Thole, per restare nell’ambito del fumetto e dell’illustrazione, ma anche registi come Lynch e Jarmusch, coreografe come Pina Bausch o autori come Buzzati, Calvino e Carver hanno influenzato il mio immaginario.

La maggiore fonte di ispirazione per Marco Cazzato è stata l’opera dell’illustratore Andrea Pazienza, scomparso nel 1988. Ma anche nomi come Mattotti, Moebius, Pinter, Matticchio, Karel Thole, i registi Lynch e Jarmusch, o autori quali Buzzati, Calvino e Carver.

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Mood, l’antologia di tuoi disegni uscita per Grrržetic nel 2011, è l’ultimo volume che hai pubblicato. Quali progetti hai in ballo? Libri, nuove collaborazioni, riviste?

Vuoi farmi venire i sensi di colpa? Ne ho già abbastanza, grazie... Detto questo, dovrei lavorare a un nuovo libro, lo dico da anni, ma sto vivendo una situazione di stallo, una mia piccola palude personale dalla quale non è facile uscire. Dovrei inchiodarmi al tavolo e disegnare fino a farmi

sanguinare le mani, ma non lo sto facendo. Uno dei motivi è l’aspetto economico: devo dare la precedenza alle collaborazioni che mi permettono di pagare l’affitto. Un libro illustrato, oltre a essere un impegno consistente di energie e tempo, non paga molto, almeno in Italia.

Che consigli ti sentiresti di dare a un giovane che volesse intraprendere la tua stessa strada e professione?

A parte evitare le paludi, direi che l’importante è riuscire a difendere e proporre il proprio punto di vista. L’illustratore lavora sempre, o quasi, su commissione: questo non vuol dire che deve piegarsi a realizzare idee di altri, ma portare il proprio immaginario al servizio della committenza. E farsi pagare, sempre. A chi vi propone di lavorare gratuitamente, rispondete dicendo di provare a chiedere all’idraulico di svolgere un lavoro che non avrà compenso, perché il budget non lo permette.

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del prete, teatro cuneese

UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | storia e storie

DUILIO DEL PRETE, ATTORE IN AMICI MIEI, RACCONTATO DALLA SORELLA CRISTIANA E RICORDATO DA CHIARA GIORDANENGO, DIRETTRICE E CO-FONDATRICE DELL’ACCADEMIA TEATRALE “GIOVANNI TOSELLI”DI CUNEO.

DI GIOVANNA FOCO - PHOTO: DANIELE MOLINERIS

H

a studiato alla Sorbonne di Parigi, poi a Londra. Di donne ne ha avute assai. Piaceva e lo sapeva. Cristiana è stata la sua croce e delizia: la sorella primogenita che sentiva la responsabilità di “proteggerlo” e accudirlo, con l’ironia di famiglia che contrassegnava entrambi. Questione di DNA. Lui era di Cuneo e a Cuneo avrebbe voluto ritornare. Uomo amante e amato. Chansonnier.

Cantore di Brel. Attore. Amici Miei, di Mario Monicelli, non è che uno dei film che lo ha visto protagonista. Gli calzava bene il personaggio: goliardia composta e stilosa.

C’è chi, a Cuneo, ricorda la sua camminata. Fierezza nel portamento, passo deciso senza tentennamenti. Coglieva l’intorno, come solo un attore sa fare, quasi attivando un procedimento inconscio capace di rimodulare percezioni e renderle gesti. Poi, quel suo sguardo diretto, come a voler scrutare le sonorità dell’anima. È Duilio Del Prete, raccontato dalla sorella Cristiana e ricordato da Chiara Giordanengo, direttrice e fondatrice, insieme a Michele Viale, dell’Accademia Teatrale “Giovanni Toselli” di Cuneo, che afferma: “ Duilio, negli anni ’90, ha tenuto lezioni all’Accademia di Cuneo

e avrebbe voluto tornare”. Prima che la vita abbia ceduto il passo al sonno eterno, a 59 anni.

“Ai ragazzi ha insegnato l’umiltà di non nascondere l’emozione. Aveva, con gli allievi, un rapporto individuale: non obbligava a fare ciò che lui intendeva, ma consentiva loro di uscire con la loro modalità”. E mentre Giordanengo rievoca, la sorella di Duilio, Cristiana, fa un salto nel passato. Eccolo.

Cristiana, lei e Duilio avete avuto padre italiano e madre francese.

Cesare, nostro papà, aveva un negozio di ombrelli e borse in Via Roma, a Cuneo. Nel 1932 si sposò con nostra mamma, Duilia, donna di Tolone.

Del Prete era tra i più rinomati negozi di giocattoli in provincia di Cuneo: balocchi in casa?

A metà degli anni ’30, nostro padre, spostò l’esercizio di ombrelli in Corso Nizza e aggiunse la vendita di giocattoli. Pochi. Contati. In negozio, quando eravamo bambini, mio padre diceva a Duilio e a me: “Guardateli ma non toccateli: andranno nelle case di bambini ricchi. Noi non possiamo permetterceli”.

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E come giocavate?

Di fantasia. Ricordo una volta: avevamo preparato un concerto. Io al pianoforte mentre mio fratello, Duilio, suonava chitarra e violoncello. Il nostro teatro era il bagno e immaginavamo che la tenda del bagno fosse il tendone del teatro La Scala.

Il giorno del concerto organizzato nella toilette, accadde l’imprevisto: morì nostra nonna. Sulla porta, un foglio: “Spettacolo rinviato per lutto”.

Questi eravamo noi.

A partire dai 16 anni le cose sono cambiate. Il suo fisico si è irrobustito e ha scoperto l’universo femminile. Io cercavo di dissuaderlo, ricattandolo e minacciandolo di avvisare mamma e papà, ma poi mi ritrovavo a sbattergli l’uovo per ridargli energie dopo gli incontri amorosi.

Si era fatto davvero bello. Le donne stravedevano per lui e lui era consapevole del suo fascino.

Quando gonfiava il petto e impostava la voce, capivo che di lì a poco la “preda” sarebbe stata ammaliata.

Chi era il più forte tra voi due?

Duilio era, da bambino, gracile e cagionevole di salute. Mi era stato affidato dai miei genitori. E io infierivo con quei “vieni qui!”. Riconosco di essere stata anche, forse, un po’ cinica. Mi sentivo totalmente il ruolo di sorella più grande e lo trattavo con l’autorità che avevo deciso fosse quella giusta. L’attenzione che gli riservavo poteva essere attribuita a un forte senso protettivo, ma, in realtà, non era altro che sete di comando, di dominio, se non anche di protagonismo.

Perché piaceva tanto alle donne?

Aveva, da adulto, un fisico straordinario. Poi, perché era avvolgente. Nel senso: nel momento in cui c’era, c’era. Girato l’angolo, non so a cosa pensasse, ma so che a ogni attimo dava valore e onestà. Certo è che, di base, era uno spirito libero.

Avvocato mancato Duilio ha studiato alla Sorbonne di Parigi, a metà degli anni ’50.

Duilio Del Prete così come la sorella Cristiana hanno imparato sin da bambini sia l’italiano sia il francese. Il papà, Cesare, italiano e primo commerciante di giocattoli in provincia di Cuneo, sposò Duilia, saggia e volitiva donna di Tolone.

Nella pagina seguente: Immagine di scena tratta da “Amici miei” di Mario Monicelli (1975): Duilio Del Prete con Adolfo Celi, Ugo Tognazzi e Philippe Noiret.

Cristiana Del Prete, insieme a Chiara Giordanengo, direttrice e fondatrice, insieme a Michele Viale, dell’Accademia Teatrale “Giovanni Toselli” di Cuneo.

Sotto, uno scatto di Cristiana del Prete al pianoforte: passione coltivata durante tutta la sua vita.

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Dopo Parigi, è andato a Londra a studiare diritto internazionale, ma lì ha preso la decisione di tornare in Italia e ha comunicato a nostro padre, il quale ci avrebbe tenuto tanto a vederlo avvocato, che lui non ne voleva sapere di quel destino. Partito per Roma, ha frequentato l’Accademia e ha avuto inizio la sua carriera. Non solo come attore, ma anche come chansonnier. Ai tempi della Sorbonne, aveva conosciuto Charles Aznavour, Gilbert Bécaud, Jacques Brel e pure Edith Piaf. Nelle sue “corde” c’era Brel. Il suo pubblico ricorda La bassa landa, del 1970, che contiene cover di Jacques Brel tradotte in italiano da Duilio, e l’album Duilio Delprete canta Brel, alle cui traduzioni di

Del Prete la stessa Fondazione “Jacques Brel” ha dato approvazione ufficiale.

A occhi chiusi, cosa ricorda?

Quell’attimo in cui, prima di morire, Duilio, mi ha sussurrato: “Cristiana, la vita ti ruberà la voglia di ridere, ma tu non lasciarti portare via la voglia di sorridere”.

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“La vita ti ruberà la voglia di ridere, ma tu non lasciarti portare via la voglia di sorridere”.

Questo era lui: Duilio Del Prete. Eccolo. Con le sue spalle larghe, incede. A tratti, può sembrare spavaldo. Ma chi lo ha conosciuto sa che è solo per affrontare la sua timidezza. Forse, e lo narra il silenzio, anche la malinconia.

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virginio, innovatore ante litteram

DI BRUNO LUBATTI

OGGI È SCONOSCIUTO AI PIÙ, MA VINCENZO VIRGINIO NON FU SOLO UN PERSONAGGIO ILLUSTRE A CUI INTITOLARE VIE E PIAZZE. “IL NOSTRO PARMENTIER” HA RIABILITATO LA PATATA, RIPORTANDOLA IN TAVOLA.

C

on queste poche righe, vorremmo raccontare la storia di un personaggio dal notevole valore umano e scientifico, rimasto tuttavia misconosciuto. Ancora oggi, infatti, nonostante siano molte le piazze e le vie a lui intitolate in varie città del Piemonte, ben pochi sanno chi fu e di cosa si occupò l’avvocato-agronomo Vincenzo Virginio, il cui nome viene spesso travisato, anche dai correttori automatici, con quello del sommo poeta latino Virgilio.

Nato a Cuneo il 12 aprile del 1752, figlio di Enrico, procuratore del re presso il tribunale, già nel 1772 si laureò seguendo le orme paterne, in “ambe leggi” all’Università di Torino. Brillante professionista e apprezzato difensore dei più deboli e oppressi, sposò nel 1778 Maria Maddalena Fabre, appartenente a una ricca famiglia di

mercanti torinesi con origini e grandi proprietà nel Pinerolese, da cui ebbe una dote cospicua.

Chi ancora oggi transita sulla strada che da Cuneo, oltre Passatore, si inoltra verso S. Pietro del Gallo e Bosco di Busca, può notare sulla destra un’ampia tenuta, Cascina Tre Tetti, che era proprietà dei Virginio. Fu certamente là, negli anni dell’infanzia e nelle vacanze estive, che Vincenzo prese contatto e dimestichezza con la campagna e la vita agreste, sviluppando quell’ansia di ricerca e di miglioramento che diventò il vero motore della sua vita. Gli studi legali ed economici, la logica, la fisica e le lettere in cui da sempre eccelleva, lasciarono presto il posto alla sua vera passione: l’agronomia.

Intorno al 1780, la dimora della famiglia Virginio, nella capitale del Regno, divenne il punto

Vincenzo Virginio, nato a Cuneo nel 1752, dopo gli studi giuridici, dedicò la sua vita all’agronomia e alla diffusione della patata in Piemonte, considerata fino al XIX secolo, come il frutto sotterraneo del demonio.

Photo: USDAgov / Foter.com

di riferimento e di coesione degli uomini che daranno vita, nel 1785, alla Società Agraria Torinese, ufficialmente riconosciuta dal sovrano, tre anni dopo, quale Reale Società Agraria.

Correva l’anno 1787, quando il nostro avvocato pubblicò il trattato sulla coltivazione delle patate che lo porterà a esser definito “il Parmentier italiano”. Lo scopo principale dello studioso fu sempre, infatti, quello di favorire lo sviluppo delle coltivazioni agricole perché tutta la popolazione potesse trarne beneficio, in termini di vantaggi sociali ed economici. Risulta fondamentale un fatto: nel Piemonte di quei tempi, la patata, pomo di terra o tartifle, come la definisce con un termine occitano il Virginio, non era considerata a fini alimentari, anzi, era ripudiata quale frutto sotterraneo del demonio. Questo, nonostante il prezioso tubero avesse contribuito, in gran parte, a salvare dalla carestia nazioni intere – uomini e animali – come l’Irlanda.

Altre numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative, ricche di consigli pratici per l’ottimizzazione dei raccolti, seguiranno negli anni, come l’opuscolo del 1796 sulla difesa dei frutteti dalla brina, quelli economici del ’99, sull’uso della torba e persino l’invenzione di una stufa dalla grande resa e dal minimo consumo. La patata arriverà, infine, in Piemonte nel 1803.

Tutti questi sforzi, gli studi e le dimostrazioni pratiche, le offerte sui mercati alimentari, gli originali regali per le signore che consistevano in patate riposte in preziosi cofanetti per impreziosirne l’immagine, condussero però ben presto alla rovina il nostro Vincenzo, che fu co-

stretto ad alienare i beni propri e della moglie, a Cuneo, a Pinerolo e a Torino. Nell’affannosa ricerca di sostanze, l’avvocato cercò anche di vendere i propri opuscoli alle autorità, tentando anche con i prefetti dell’intervenuta epoca napoleonica. Fu proprio questa “nuova era” a dare un’importante e definitiva svolta alla vita di Virginio.

Gli anni di cui parliamo furono quelli dell’illuminismo riformatore sabaudo, con grandi passi avanti, pur tra furiose resistenze conservatrici,

L’Irlanda del XIX secolo, dopo l’introduzione della patata, vive un vero boom economico e demografico che si arresta però drasticamente con le gravi carestie tra il 1845 e il 1848, conseguenza della diffusione di un fungo che devasta le colture del tubero, divenute ormai preponderanti nel Paese.

Photo (dall’alto): National Library of Ireland on The Commons / Foter.com; cabodevassoura / Foter.com

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Virginio incarnava il prototipo dell’antropologo moderno, dello studioso illuminato e del ricercatore botanico.

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nella modernizzazione di tutte le strutture pubbliche e private. A tutto ciò si sovrappose il periodo napoleonico con la sua “ricostruzione” forzata, la secolarizzazione, la frenetica ricerca dei cosiddetti “uomini nuovi”. Virginio incarnava il prototipo dell’antropologo innovatore, dello studioso illuminato e del ricercatore botanico. Nel 1806, i francesi occupano la Dalmazia e provveditore generale è proclamato il veneziano Vincenzo Dandolo, uomo di scuola, di comando e anch’egli agronomo. Nel 1807, l’avvocato cuneese viene chiamato a Zara, dove organizza l’orto botanico sperimentale e diventa professore, presso il liceo, di Storia naturale e Agronomia.

Sono anni di rinnovato e soddisfacente impegno culturale, in una terra promettente ma dall’economia arretrata. Tornato a Torino nel 1811, si avvierà verso un inesorabile declino psico-fisico. Ricoverato tra gli incurabili al San Giovanni, dal 1821 passerà all’Ospedale San Maurizio e Lazzaro fino alla morte, nel 1830.

La sua opera illuminata e il suo inesauribile co-

raggio furono tardivamente “premiati” con una pensione per meriti nell’ambito delle scienze agrarie, concessagli dall’imperatore e confermata, poi, da Re Vittorio Emanuele I. Circa 200 anni più tardi, accompagnando e assistendo nella ricerca il Prof. Paolo Gerbaldo, ebbi con lui la fortuna di ritrovare, nelle carte dell’Archivio di Stato di Zara, ben sei grandi faldoni scatolati, contenenti migliaia di fogli scritti e illustrati dall’avvocato Vincenzo Virginio, là rimasti sepolti: lettere, progetti, riflessioni, carte della professione legale, viaggi, testimonianze di interessi culturali, studi di agricoltura. Il Fondo Virginio, riordinato dalla valente archivista Dubravka Kolic, rimane a imperitura memoria nella splendida città croata, il cui mare, le cui strade e architetture trasudano italianità, dai resti romani alla dominazione veneziana, fino alla parentesi sfortunata del XX secolo. Chissà che nel grande richiamo turistico esercitato dall’attuale Croazia non possa affacciarsi qualche piemontese a omaggiare il nostro studioso, divenuto ora, per il lettore, un illustre conterraneo.

Nel 1806, con l’avvento della dominazione napoleonica anche in Dalmazia, Virginio viene chiamato a Zara per organizzare l’orto botanico sperimentale. Di recente, presso l’Archivio di Stato di Zara, è stato ritrovato il cosiddetto “Fondo Virginio”: migliaia di documenti e scritti dell’agronomo, che testimoniano la sua tensione continua alla ricerca e all’innovazione.

Photo (dall’alto): Ph. Chiot’s Run / Foter.com; Paolo Gerbaldo.

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da cenerentola a pop star

DI VANINA CARTA

DA “FRUTTO DEL DEMONIO” A CIBO UNIVERSALE TRASFORMATO IN UNA PLETORA DI SEMILAVORATI, LA PATATA, DOPO SECOLI DI OSCURANTISMO, HA SAPUTO SFAMARE POPOLI E DIVENTARE UNA STAR MONDIALE.

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La patata, dopo il suo approdo dalle Americhe nel Vecchio Continente (XVI secolo), giungerà nel Nuovo Mondo (America settentrionale), “di ritorno” dall’Europa, solo molti secoli dopo, in particolare con le migrazioni irlandesi della seconda metà dell’Ottocento. Photo: Wink/ Foter.com./

iamo talmente abituati a vederla, acquistarla e consumarla sotto forma di bastoncino fritto o di chip croccante e salata, che molti dei nostri bambini, oggi, non sono più in grado di riconoscerla “in natura”, nella sua comune forma ovoidale, bitorzoluta e forse un po’ anonima. Un consumo, quello dei prodotti semilavorati e dei trasformati, che ha cambiato la percezione del cibo nell’immaginario collettivo delle nuove generazioni, a livello planetario.

Eppure, tra i frutti della terra, la patata è forse la più umile, semplice, antica e, allo stesso tempo, versatile. Ricca di amidi, ferro, potassio, di facile ed economica coltivazione e adattabile a quasi ogni clima sulla faccia della Terra. Una manna che ha strappato alla fame interi popoli e che, oggi come un tempo, rappresenta uno dei sostegni ali-

mentari di base dei Paesi in via di sviluppo, dove il suo consumo è in aumento. E come sempre accade con le risorse del pianeta che diventano commodities, a partire dal secondo dopoguerra, anche la diffusione del tubero ha conosciuto una massificazione di proporzioni gigantesche. Un dato su tutti: oggi, dopo quella cerealicola (2,5 miliardi di tonnellate annue), la coltivazione della patata occupa il secondo posto nella produzione agricola mondiale con 368 milioni di tonnellate, seguita da quella delle banane con 107 milioni di tonnellate (fonte: FAO, ottobre 2013).

Niente male per il tubero rifiutato e demonizzato da un continente intero, la vecchia e “civilizzata” Europa, dove arriva dall’America latina a metà del XVI secolo. Ci vogliono, infatti, almeno due secoli, nonché l’opera divulgatrice di studiosi illustri

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A partire dal XIX secolo, dopo secoli di pregiudizi e disprezzo verso il tubero, la patata diventa un vero motore economico in molti Paesi.

Nel dopoguerra, la produzione si massifica e si elaborano nuovi sistemi di lavorazione del prodotto.

Photo (dall’alto): LlGC ~ NLW / Foter.com; craig|travelvice.com / Foter.com; Christian.Pratt/Foter.com.

come Antoine-Augustin Parmentier (1737-1813, che ne diffonde l’uso con il sostegno del Re di Francia Luigi XVI), ed editti reali, come il famoso Kartoffelbefehl (emanato da Federico II di Prussia nel 1756, per costringere i contadini a coltivare intensivamente le patate), per sradicare pregiudizi e tabù.

Difetti delle prime varietà importate, scarsa conoscenza e cattiva conservazione che portavano al pre-germogliamento con la conseguente formazione di solanina, un alcaloide tossico, impossibilità di consumarla cruda, uniti alla sua natura ipogea, che restava un mistero (non ci si spiegava come potesse nascere nella terra anziché dal fiore) e, come se non bastasse, al fatto di essere totalmente assente nella Bibbia, sono sicuramente alla base della lunga avversione al tubero.

Occorrerà attendere il XIX secolo per la sua “riabilitazione” da alimento per il bestiame a curiosa golosità, sulle tavole ricche, e sostanzioso nutrimento per le masse plebee. In alcuni Paesi del Nord Europa, si giunge persino all’estremo opposto: a favorirne cioè la coltivazione fino a farne il prodotto prevalente, con già allora “profetiche” e

tragiche conseguenze che ci ricordano come l’agricoltura di una nazione – e di conseguenza l’alimentazione di quel popolo – mai debba basarsi sulla monocoltura. È il caso dell’Irlanda. Nel XIX secolo, dopo l’introduzione del tubero, utilizzato anche in panificazione per diminuire il fabbisogno del più costoso frumento, l’Irlanda vive un vero boom demografico, che si arresta drasticamente con le gravi carestie tra il 1845 e il 1848, conseguenza della diffusione di un fungo che falcidia letteralmente le colture isolane, portando a un’emigrazione di massa verso gli Stati Uniti. Qui, la patata paradossalmente giunge proprio “di ritorno” dal Vecchio Continente e, come altrove, non tarda a diventare il motore del nuovo sviluppo. Nel bene e nel male. Dopo i conflitti mondiali, negli USA arrivano anche le French fries (le patatine fritte) da Francia e Belgio, dove sono di casa, e da lì inizia una nuova era.

Con la cultura del fast food, la patata si trasforma e si ripresenta in Europa sotto nuove spoglie: semilavorata, congelata e già pronta da friggere, oppure in sottilissime sfoglie cotte al forno o fritte, buone da morire, ma anche rivestita di grassi, olii,

ma inesorabile estinzione. In realtà, i due fattori sono, a ben vedere, in rapporto di causa-effetto: da anni, da un lato, si selezionano solo le varietà commercialmente più interessanti, o che abbiano specifiche predisposizioni a particolari cotture, lavorazioni, etc.; dall’altro, non mancano azioni invasive, da parte delle multinazionali delle sementi, per l’immissione sul mercato di varietà geneticamente modificate, che da alcuni sono giudicate in grado di sconvolgere gli equilibri di intere regioni agricole. Come nel caso delle patate “Terminator”, sviluppate perché non avvenga il processo di germogliazione se non viene utilizzato uno specifico prodotto chimico, dunque impossibili da riseminare senza dipendere dal trattamento fornito dall’industria. Nel 2008, partì da Cusco (Perù) una determinata e ferma campagna degli agricoltori peruviani contro ciò che rischiava di compromettere la biodiversità di aree, come quella delle Ande, dove la selezione della patata è quella naturale dei secoli e dove la papa, con le oltre 3.000 varietà locali, è un’istituzione nazionale (fonte: Fondazione Slow Food per la Biodiversità).

Le Ande sono la patria della patata. Delle 4.000 varietà esistenti al mondo, più di 3.000 sono concentrate qui, dove la biodiversità, frutto di millenni di selezione naturale del tubero, va certamente preservata. Per contro, la massa critica della produzione mondiale riguarda poche centinaia di varietà, perlopiù selezionate a scopi commerciali. Photo (dall’alto): Ph. Baruck / Foter. com; CGIAR Consortium / Foter.com.

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sale, diventando ipercalorica e addizionata di una straordinaria gamma di aromi e altri ingredienti.

E i packaging sono accattivanti e colorati, stravaganti per l’epoca, attirando così le generazioni incontenibili del boom economico.

Secondo i dati riportati dall’International Potato Center, oggi, meno del 50% delle patate coltivate a livello mondiale sono consumate fresche.

La maggior parte finisce, infatti, nel massificato meccanismo della trasformazione: per la cosiddetta terza gamma (i surgelati, che si aggirano sugli 11 milioni di tonnellate l’anno), la produzione di chips, oppure di amido, farine e addensanti o di alimenti per il bestiame, e infine, dopo un procedimento complesso che si compie con la distillazione, di vodka e acquavite.

E le varietà, la biodiversità, in tutto questo?

Stenta, sicuramente, se pensiamo che in tutto il mondo si contano più di 4.000 varietà di patate (fonte: International Potato Center), ma che non sono più di 200 quelle coltivate in Europa, per esempio. E mentre la ricerca genetica sulle sementi fa passi da gigante, sono le qualità antiche o di montagna che rischiano una lenta,

IN MONTAGNA IL GUSTO CI GUADAGNA Nulla di più vero, soprattutto parlando di patate. Se, infatti, sono diffuse a ogni latitudine e altitudine, va anche detto che la loro collocazione ideale rimane l’ambiente montano, dove i terreni sciolti e il clima fresco, in genere più piovoso, rendono più regolare il ciclo della pianta e l’accrescimento del tubero.

Inoltre, non si tratta di colture a carattere intensivo (in cui si usa letame per la concimazione e il diserbo è meccanico o manuale, anziché chimico) e, a certe altitudini, risultano meno sensibili a malattie e parassiti, con una possibile riduzione o un azzeramento dei trattamenti. Per non dire della bassa resa produttiva che, per contro, significa un’esaltazione delle caratteristiche organolettiche. E così è in Piemonte, su varie porzioni di terreno vallivo, dove i produttori tentano di resistere alla concorrenza riunendosi in gruppi e consorzi per tutelare i loro prodotti, come nel caso del Consorzio per la tutela e la valorizzazione delle patate dell’Alta Valle Belbo (nato nel 1998), o di quello della Patata della Bisalta (fondato nel 2001) o del Gruppo Produttori Patata di Entracque, dove tra le varietà moderne e di diversa provenienza, si sta cercando di recuperare l’antica piatlina, per la sua forma schiacciata. E non mancano piccoli ma tenaci agricoltori, come Giuliano Vitton che, a Sauze d’Oulx, tenta di riprendere antiche varietà, come la Ratte, che era prossima all’estinzione, la corne de gatte, la violetta (la vitoulotte francese), e di nuovo la piatlina, in collaborazione con la Scuola Malva Arnaldi di Bibiana (TO) e con il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università degli Studi di Torino.

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potenza e leggerezza a filo d’acqua

DI MARCO JORIO

FORZA, CERVELLO, EQUILIBRIO, MA ANCHE AFFIATAMENTO, SOCIALITÀ, TRADIZIONE. TUTTO QUESTO È IL CANOTTAGGIO. A TORINO, NASCE LUNGO IL PO UNA STORIA SECOLARE CHE OGGI È VIVA PIÙ CHE MAI. PAGG. 86-87

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olte delle grandi città europee hanno una caratteristica in comune: sono nate vicino a corsi d’acqua importanti. La prima capitale italiana non fa difetto: Torino non sarebbe quella che è oggi senza il Po, il fiume più lungo d’Italia, una delle maggiori vie fluviali utilizzabili anche a scopi sportivi.

Fu così che alla fine del XIX secolo, la capitale sabauda divenne il cuore pulsante del canottaggio italiano, con lo sviluppo repentino dei primi circoli. A contendersi il titolo di società più antiche, ancora oggi attive, sono la Reale Società Canottieri Cerea, che ha festeggiato nel 2013 i 150 anni di vita (1863), il Circolo Eridano (fondato anche nel 1863), la Canottieri Armida, società istituita nel 1869, la Canottieri Caprera, del 1883, e la Esperia Torino, del 1886.

E proprio a Torino, il 31 marzo 1888, grazie al contributo di alcuni di questi circoli, nacque il Rowing Club Italiano, l’attuale Federazione Italiana Canottaggio.

Il lungo Po visse grandi stagioni, complice anche la spinta della Casa Reale, e divenne da subito un luogo sportivo, teatro di numerose regate e manifestazioni, ma anche luogo del convivio, dove i torinesi potevano godere dell’atmosfera suggestiva del fiume, socializzare, intrattenersi e organizzare attività culturali. Dalla fine del XIX secolo ad oggi, le cose sono molto cambiate, ma molti circoli mantengono un forte attaccamento alle tradizioni e uno stretto legame con gli anni della fondazione, quando l’aristocrazia torinese primeggiava e utilizzava lo spazio tra il Parco del Valentino e il Po come ritrovo privilegiato.

Torino non sarebbe quella che è oggi senza il Po, sulle cui sponde la città lavora, vive, si intrattiene e fa sport. Qui, sono molte le società e i circoli che si fanno eredi della tradizione torinese del canottaggio, forte di 150 anni di storia.

Photo: The Fuji street shooter / Foter.com.

Negli anni successivi all’istituzione dei club a bordo fiume, sono nate altre società, come il CUS Torino, spiccatamente più votata all’ambito sportivo, o gli Amici del Fiume, fondata nel 1979 con intenti sportivi e di socializzazione rivolta a tutti, e profondamente legata al rispetto dell’ecosistema fluviale.

Oggi, per chi vuole avvicinarsi al canottaggio, l’offerta non manca: a seconda delle società, si va dai corsi per ragazzi dai 9 ai 14 anni, con lezioni teoriche e le prime uscite sul fiume con istruttori qualificati, a quelli pre-agonismo

o agonistici per ragazzi dai 15 anni ai 17, fino ai corsi amatoriali per i maggiorenni.

In alcuni casi, le squadre, difendendo i colori della propria società, partecipano a regate a livello italiano e internazionale, dove i circoli torinesi ancora oggi si distinguono per tenacia e risultati.

Anche le scuole cittadine di ogni grado vengono coinvolte in questo sport, prima con attività propedeutiche a terra, poi con uscite sulle diverse imbarcazioni, seguite da personale specializzato. Infine, nei “master” (categoria

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Scivolare sulle acque del Po è godere della città nel silenzio del fiume, da un punto di vista “privilegiato”.

Torino vanta alcuni dei più antichi circoli di canottaggio: la Reale Società Canottieri Cerea (1863), il Circolo Eridano (1863), la Canottieri Armida (1869), la Canottieri Caprera (1883), e la Esperia Torino, del 1886. E proprio a Torino, nel 1888, nacque il Rowing Club Italiano, l’attuale Federazione Italiana Canottaggio.

Photo (dall’alto): LucaM - Photography www.lucamoglia.it / Foter.com; Canottieri Armida.

Nella pagina seguente: il 2012 per il canottaggio torinese è stato un anno da ricordare. Alin Zaharia e Gianluca Sapino (Caprera), sul quattro senza, insieme a Guido Gravina (Cerea) e Matteo Pinca (Forestale), vincono i Mondiali Under 23 di luglio a Trakai (Lituania).

La sede della Canottieri Armida, a due passi dal Valentino.

Photo (dall’alto): Canottieri Caprera; Canottieri Armida.

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a partire dai 27 anni) i soci dei vari circoli continuano a eguagliare le gesta dei lontani fondatori vogando sul fiume Po. Per chi limita la conoscenza del canottaggio ai successi olimpici italiani, va spiegato che esistono diversi tipi di imbarcazione, per lunghezza, materiali e numero di vogatori, a cui si può aggiungere il timoniere, da cui la celebre dicitura “con” o “senza” (come non citare il famoso “due con” dei fratelli Abbagnale e del timoniere Di Capua...).

Le caratteristiche delle imbarcazioni sono definite dalla Federazione Internazionale di Canottaggio (FISA) e adottate dalle Federazioni Nazionali per la pratica dell’attività agonistica: a volte devono rientrare solo nei limiti di peso; in altri casi, forme e dimensioni hanno standard definiti da seguire.

A Torino si può vogare anche su imbarcazioni storiche in legno, che consentono di uscire sul fiume in formazione di doppio, di due con o senza, di quattro di coppia, o ancora di otto o di jole, a seconda che si azioni un solo remo o due.

Il canottaggio è uno sport completo, dove forza e resistenza si uniscono alla necessità di sincronismo tra i membri dell’equipaggio: si tende alla ricerca di leggerezza e velocità, ma se ci si svincola della pressione dall’agonismo, l’armonia che si crea è sicuramente fonte di grande relax per chi pratica questo sport per puro piacere. Godere della vista della città nel silenzio del fiume, lontani dal traffico e dalla frenesia, circondati, da un lato, dal Parco del Valentino e, dall’altro, dalla verde collina torinese, è motivo più che valido per intraprendere questa disciplina lungo le rive del Po. Un mondo da scoprire, per ritrovare una nuova dimensione di sé e recuperare un punto di vista “privilegiato” su una delle più belle città europee.

TORINO, CITTÀ DI CAMPIONI Oltre a essere stata una delle città storicamente più attive sul fronte del canottaggio, Torino ha regalato grandi campioni alla specialità, a partire dalla fine del XIX secolo per arrivare ai più recenti campionati mondiali. Tra i più celebri, Antonio Masera (Canottieri Caprera), che pur esordiendo all’età di 35 anni, si laureò Campione Italiano nella specialità dello skiff ai primi Campionati Nazionali di Stresa del 1889. Anche la Canottieri Armida portò a casa un titolo nel “quattro con”, così come la Canottieri Esperia e la Cerea, entrambe torinesi, vincitrici nel “due con”, su diverse distanze. La Caprera vanta altri due grandi campioni, Silvio Venesia e Primo Serramoglia, che prima della guerra diedero prova della loro classe: si ricordano per gli allenamenti interminabili, in cui mai paghi di se stessi, solcavano il fiume alla ricerca dell’affiatamento perfetto. Le società torinesi, oggi ancora molto attive, hanno trovato gli eredi di un’illustre tradizione in atleti come Gianluca Sapino e Alin Zaharia (Caprera) che, con Matteo Pinca (formato al Canottieri Moto Guzzi e ora al Corpo Forestale dello Stato) e Guido Gravina (Reale Società Canottieri Cerea), hanno vinto il Mondiale Under 23 in Lituania nel 2012.

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il sale, primo collante d’europa

DI VILMA BRIGNONE

DALLE SALINE DEL MEDITERRANEO AL NORD EUROPA, PASSANDO PER FRANCIA E ITALIA. LE VIE DEL SALE SONO STATE LE PRIME GRANDI VIE DI COMUNICAZIONE E COMMERCIO D’EUROPA, UNENDO MARE E MONTI. PAGG. 86-87

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oche decine di centesimi al chilo è il prezzo del sale comune oggi. Ma nel Medioevo era “l’oro bianco”, prodotto soggetto a dazio, ricchezza per gli Stati in cui transitava. Ha lasciato sulla carta geografica d’Italia la traccia dei suoi percorsi, per migliaia di chilometri, a dorso di mulo.

UNA RETE SUL MEDITERRANEO Le vie del sale erano, infatti, le grandi strade commerciali che si alzavano dal Mediteranno verso l’interno, inerpicandosi su pendii e valli, lungo disagevoli mulattiere. Erano numerose in tutta la penisola, nelle attuali Emilia, Lombardia, Piemonte, e da ogni territorio partiva una rete usata per trasportare prodotti artigianali o alimentari verso il mare e in senso contrario, per

far risalire la preziosa merce marina. Tanto preziosa da far scoppiare un conflitto, alla fine del XVII secolo, tra i nobili di Mondovì (nel Cuneese), e il Ducato di Savoia.

“Un lungo viaggio, quello del sale: dalle coste della Sardegna, della Corsica e della Camargue a quelle di Liguria e Provenza, quindi lungo le strade sterrate e le mulattiere verso il Piemonte, il Rhône-Alpes, la Valle d’Aosta e la catena delle Alpi del Nord, fino al Lago di Ginevra, dove prendeva le grandi vie d’acqua del Nord Europa,” raccontano Teresio e Giovanni Panzera, cinereporter e documentaristi cuneesi che, il febbraio scorso, hanno presentato il loro DVD, dalle suggestive immagini e denso di notizie Le vie del sale, una storia economica e culturale millenaria. “Uno dei nostri lavori migliori,”

Già nel Medioevo, il sale era una merce preziosa, oggetto di un fiorente commercio che dal Mediterraneo arrivava fino alle Alpi e oltre. Come riportato dai documentaristi Teresio e Giovanni Panzera, nel 1776 partirono da Nizza 18.317 muli carichi di sale destinato a Cuneo e a Torino. Photo: Roger Smith / Foter.com Nella pagina seguente: In Camargue, Aigues Mortes (“acque morte” in occitano) è nota per le sue saline, dove l’acqua si colora di rosa, a causa di un particolare fenomeno.

In questo tipo di ambiente, è spesso presente la “Artemia salina”, un crostaceo rosa-arancione. La sua pigmentazione è dovuta ai carotenoidi presenti nelle alghe di cui si nutre e che “colorano” le acque. I pigmenti dell’alga passano all’Artemia e dal gamberetto alle penne dei fenicotteri che popolano questi stagni. Photo: Giovanni e Teresio Panzera

anni fa, dalle saline Molentargius, di Carloforte, e si incontra con quella di Stintino e della Tonnara Saline, nel tratto di mare del Golfo dell’Asinara, da sempre habitat dei tonni, anticamente preparati sotto sale in grossi barili.

Dai siti della Sardegna a Porto Vecchio in Corsica, una città del sale per eccellenza, alla Camargue con le saline più importanti del Mediterraneo e più antiche di Francia, Les Aigues Mortes, dove si raccoglie il bianchissimo e prezioso fleur de sel. Senza dimenticare Marsiglia, la decana delle città francesi, che a partire dall’anno 1016 e per quasi due secoli, fu la prima a ottenere la concessione per il commercio del sale. L’elenco continua con Hyeres, Grasse, che prima ancora di diventare famosa per i profumi lo era per la fiorente attività di concia del pellame e necessitava, quindi, di questa preziosa materia prima per la lavorazione. Commerciava con Genova e con Nizza, la quale, durante i secoli XVI e XVII, insieme ai Paesi che costeggiavano la via del sale, visse l’età dell’oro: era un continuo passaggio di carovane di muli (30.000 l’anno).

DALLE SALINE VERSO L’EUROPA Le vie del sale, les routes du sel, i camin saliè (in provenzale), che collegano Liguria, Piemonte, Francia, partono dal Mediterraneo, narra il documentario, in particolare da Cagliari. Qui, la storia dell’estrazione del sale marino risale a circa 3.000

TRA LIGURIA E PIEMONTE In Liguria, uno snodo nevralgico era Ventimiglia, la “porta occidentale d’Italia”, a cui fanno da corona i borghi dell’entroterra. Da lì, si inerpicavano le mulattiere: la più famosa, tra Francia, Liguria e Piemonte, passava per la Valle Roya. Il

Al centro: salina in Sardegna. In basso: panoramica sul Parco Regionale Naturale di Molentargius - Saline, situato tra Cagliari e Quartu S. Elena. Il parco deve il proprio nome al “mezzo” utilizzato in passato per trasportare il sale raccolto nei suoi bacini: “su molenti” (“asino” in sardo). La zona è stata per secoli il bacino sardo più ricco per l’estrazione del sale dal mare. Photo (dal centro): Giovanni e Teresio Panzera; cristianocani / Foter.com

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spiegano i due fratelli, affiancati nelle riprese dalla fotografa Carla Sciolla. Un anno di ricerche, quattro mesi per le riprese, poi il montaggio, per un film-documentario di 60 minuti in due lingue (italiano e francese), coprodotto con Unioncamere Piemonte, Camera di Commercio di Cuneo, Alpi del Mare e Alpmed. “Una storia molto complessa e articolata – prosegue Teresio – attorno a un prodotto un tempo fondamentale per la conservazione del cibo, il fabbisogno del bestiame, la fabbricazione della pelle, gli scambi commerciali e l’incredibile indotto. Nel 1776 – annotano gli autori – partirono da Nizza 18.317 muli carichi di sale destinato a Cuneo e a Torino”.

Un intreccio di vie, divenute percorsi storici suggestivi, “come quelli della Sardegna – continua Giovanni – eccezionali per l’ambiente e, ancor più entusiasmanti sono le vie del sale che dalla Liguria salgono in Piemonte. Chi le costruì ebbe un grande intuito, tracciandole nei posti giusti: molte, come il Colle di Tenda, sono diventate le attuali vie di comunicazione, altre itinerari per il trekking e mountain bike”.

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Tra Liguria e Piemonte, una delle principali vie del sale percorreva la Valle Roya, partendo da uno snodo nevralgico: Ventimiglia, “la porta occidentale d’Italia”. Da qui si inerpicava la mulattiera che toccava Saorge, Breil sur Roya (qui, particolare di Porta Genova) e Tenda. Photo: Giovanni e Teresio Panzera.

I FRATELLI PANZERA Giovanni e Teresio Panzera sono due affermati documentaristi e cinereporter, titolari dello studio di produzioni video-televisive Artic Video di Cuneo (www.articvideo.com). Per loro l’avventura è l’essenza della vita. Sono conosciuti come i “signori delle nevi” e hanno alle spalle oltre 20 anni di viaggi, di produzioni documentaristiche e di spedizioni nell’Artico. Oltre 200 servizi sulle principali riviste italiane, partecipazioni a trasmissioni di livello nazionale, conferenze e proiezioni nelle aule scolastiche, come nelle sale cinematografiche di tutta Italia, per non parlare dei numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali.

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mercato del prezioso prodotto marino interessava la Riviera di Ponente, Imperia con Oneglia, centro di esportazione dell’olio di oliva ligure, e Porto Maurizio. Anche l’olio veniva trasportato via terra in otri caricati su muli che risalivano le valli. “Proprio da Oneglia partiva la via del sale sabauda, attraverso un impervio percorso tra le montagne – raccontano i documentaristi – dove i mercanti erano costretti a mantenersi sempre in quota per evitare eccessivi dislivelli e zone pericolose per imboscate e pedaggi più o meno leciti. La strada raggiungeva la testata della Valle Tanaro, alle falde del Monte Maccarello, toccando la casa dei cacciatori, dove i mulattieri liguri consegnavano le merci a quelli piemontesi. Di qui, attraverso il Passo di Boaria, si raggiungeva Limone Piemonte e la pianura cuneese. La via del Passo delle Saline era, invece, l’itinerario migliore tra Albenga e il Monregalese. Si raggiungeva il Col di Nava e si risaliva la Valle Tanaro passando per Viozene, dove esisteva un punto di pedaggio, quindi attraverso Carnino e il Passo delle Saline si passava in Piemonte, scendendo per la Valle Ellero e quindi in pianura. Lo scambio delle merci si effettuava alla cosidetta ‘Casa del Sale’, poco a monte dell’abitato di Rastello”.

UN VIAGGIO CHE UNISCE LE ALPI AL MARE Sulle vie del sale, la cui storia millenaria ha lasciato un patrimonio culturale comune, creatosi nei legami tra pastori, commercianti, mulattieri, pellegrini, e un senso di appartenenza a questo territorio di passaggio ligure, provenzale e piemontese, si inseriscono gli acciugai della Valle Maira, a cui lo scrittore Nico Orengo, ha dedicato Il salto dell’acciuga. Un viaggio carico di sapori, colori, pescatori, contrabbandieri, navigli, valichi, rade, che porta le acciughe nelle Langhe, nel Monferrato, nel Saluzzese o nel Vercellese, in Brianza, a Pavia come a Milano, e spiega perché una specialità gastronomica piemontese, la bagna caoda, sia a base di acciuga. “Dalla Valle Maira gli uomini scendevano a dorso di mulo per

le così intenso”. Il Buco di Viso, lungo 80 m, che consentiva il passaggio nei due sensi di marcia, divenne, nel XVI secolo, un punto fondamentale della via del sale: dalla Valle del Guil alla Valle Po, 5.300 erano le olle di prodotto trasportate all’anno da 2.650 muli.

Le carovane di questi mercanti continuavano poi il viaggio verso l’Europa settentrionale, mantenendosi sempre in quota attraverso passi alpini, per motivi di sicurezza e per evitare il dazio, giungendo fino alla bastionata del Monte Bianco. Di qui, in un percorso molto impegnativo, aggiravano il massiccio della vetta più alta d’Italia e, in Francia, attraverso la pianura, raggiungevano il Lago di Ginevra. Qui si fermava il viaggio a dorso di mulo. Il sale continuava via acqua.

Mentre i muli, che come le navi non viaggiano mai scarichi, si rifornivano di nuovi prodotti per il percorso a ritroso.

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scambiare la tela di canapa con il pesce salato, ritornando con carichi di sale – racconta il film.

– I dazi elevati, applicati dai gabellieri di Genova e Savona, incentivarono il commercio illegale; le acciughe venivano così riposte a strati sopra il sale contenuto nei barili per pagare meno tasse”.

Cosa mette in rapporto il Monviso con Les Aigues Mortes, le più famose saline della Provenza marittima? Ancora il sale e un passaggio chiave: il Buco di Viso, o tunnel del sale, il primo traforo italiano delle Alpi, fatto realizzare da Ludovico II, Marchese di Saluzzo, e terminato nel tempo record di appena 18 mesi, nel 1480. “Il Colle delle Traversette, a Nord del Monviso, era l’unico passaggio diretto tra il Delfinato di Francia e il Marchesato di Saluzzo (nel 1400 indipendente dai Savoia) che poteva infrangere il monopolio sabaudo nel trasporto del sale. Ma il colle, a 2.950 m, non poteva sostenere un traffico commercia-

Via del sale in Valle d’Aosta. I mercanti, una volta giunti sulle Alpi, spesso proseguivano verso Nord, mantenendosi sempre ad alta quota per evitare il dazio. Dalla bastionata del Monte Bianco, aggiravano il massiccio e raggiungevano il Lago di Ginevra.

Fortemente voluto da Ludovico II, Marchese di Saluzzo, il Buco di Viso, o “tunnel del sale”, fu il primo traforo “italiano” delle Alpi (1480). Lungo 80 m, divenne, nel XVI secolo, un passaggio fondamentale: dalla Valle del Guil alla Valle Po, 5.300 erano le olle di prodotto trasportate all’anno da 2.650 muli. Photo (dall’alto): Giovanni e Teresio Panzera; U Dria / Foter.com

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Cuneo-Nizza, nuovi spazi al mercato

PHOTO: ASS. ART.UR

DUE CITTÀ PER 12 ARTISTI ITALIANI E FRANCESI, CHE TORNANO CON “MARKET ZONE” A GIOCARE CON GLI SPAZI DEL MARCATO, MOMENTO DI SCAMBIO COMMERCIALE E DI INCONTRO TRA CULTURE E SOCIETÀ.

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opo il successo ottenuto nell’ottobre del 2013, il progetto Market zone torna ad animare Cuneo con un’esposizione che viene inaugurata il 17 ottobre (ore 11,00) sotto il mercato coperto in Piazza Seminario. La mostra, frutto delle attività svolte nell’ultimo anno dai 12 artisti italiani e francesi che hanno partecipato al laboratorio transfrontaliero sul tema del mercato, promosso dalle associazioni Art. ur e Del’Art, è visitabile fino al 9 novembre: oltre ai giorni di mercato (martedì e venerdì, mattino e pomeriggio), ogni giorno dalle 13,00 alle 18.30, da martedì a domenica.

“La mostra che allestiamo a Cuneo è aperta al pubblico dal 18 settembre all’8 ottobre al Marché de la Libération di Nizza – spiega Michela Giuggia, presidente dell’associazione

Art.ur – e rappresenta l’atto conclusivo del progetto Market zone, che per due anni ha invitato artisti e ricercatori, italiani e francesi, col supporto della curatrice Michela Sacchetto, a riflettere sulla natura degli storici mercati del capoluogo della Granda e della cittadina della Costa Azzurra, intesi come spazi di vendita, ma anche come vetrine di un sincretismo culturale e sociale di due territori”.

I 12 artisti, designer e architetti, autori delle realizzazioni, hanno preso parte ai workshop che si sono tenuti nel 2013 a Cuneo (ottobre) e a Nizza (novembre), durante i quali hanno lavorato con tutor e intellettuali del calibro di Paolo Ulian, Undesign, Andrea Caretto e Raffaella Spagna, Marc Barani, Matali Crasset, Stéphane Magnine, Marco Revelli e Marco Aime.

Con il progetto “market zone”, promosso dalle associazioni Art.ur e Del’Art, il mercato diventa spazio artistico, un laboratorio creativo in cui si propongono suggestioni, invitando alla riscoperta di questo tipo di contesto dal punto di vista estetico, sociale e storico.

Photo: jafsegal / Foter.com

LA MOSTRA La mostra si articola in 11 interventi che enfatizzano i vuoti e i pieni creati dall’attività mercatale in quanto architettura sociale e urbana.

Le realizzazioni si possono suddividere in un percorso a quattro coordinate.

La prima è la trasformazione condivisa del cibo e dei codici transfrontalieri legati alla cultura culinaria. L’azione rituale di cucina condivisa, proposta dal collettivo di designer AUT, viene attivata attraverso un mobile versatile e funzionale, che “tesse” un file rouge con il mercato di Nizza, dove parti dello stesso oggetto vengono declinate come piattaforma di scambio di libri.

StudioErrante Architetture, invece, accoglie nella capsula temporale Duilio le suggestioni legate alla migrazione e alla conservazione della memoria attraverso il cibo. Dodici forme di formaggio di Nicolas Boulard, poi, traslano la tradizione del Castelmagno, prodotto dal caseificio La Meiro, presidio Slow Food, in un discorso più ampio sul legame tra ricerca formale e produzione casearia.

La seconda coordinata è legata alla percezione del territorio transfrontaliero.

Un gioco di rimandi dall’esterno verso l’interno del mercato è alla base delle cartoline di Giulia Gallo ed Enrico Partengo, ottenute collezionando i punti di vista dei produttori di Cuneo e di Nizza, concentrati in una costruzione che sovrappone al paesaggio urbano quello della campagna che lo alimenta. Stefano Capodieci e Giovanna Zanghellini, insieme a Caterina Giuliani, espongono all’interno di un’installazione multimediale il risultato di un itinerario a ritroso, dall’arrivo del cibo sulle bancarelle alla sua produzione.

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La loro ricerca si è poi concretizzata, negli scorsi mesi, in una serie di lavori transdisciplinari che si insinuano nel mercato, creando suggestioni che invitano alla riscoperta di questo tipo di contesto dal punto di vista estetico, sociale, relazionale e storico, e con progetti che ne evidenziano le potenzialità, valorizzandone l’importanza.

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Marché aux fleurs a Nizza.

La mostra, frutto delle attività svolte nell’ultimo anno dai 12 artisti italiani e francesi che hanno partecipato al progetto, è visitabile a Cuneo, sotto il mercato coperto di Piazza Seminario, dal 17 ottobre al 9 novembre; a Nizza, invece, è aperta al pubblico dal 18 settembre all’8 ottobre al Marché de la Libération. Photo: Nicetourisme - H. Lagarde.

La scultura di Alberto Scodro entra nello spazio del mercato come risultante di uno scambio di terra tra le due città.

La terza coordinata, invece, unisce le riflessioni sulla temporalità e il potenziale immaginifico legati al contesto. L’orologio di Johanna Fournier segna la valenza asincrona dell’attività mercatale e, nella propria forma, rappresenta l’incrocio tra presente e passato dell’ala coperta. Sono, inoltre, le audio guide di Cristian Chironi ad accompagnare i visitatori in una visita narrativa di Piazza Seminario. Yannick Langlois e Joselyne Ramirez giocano sui ritmi di vuoto e pieno attraverso una monumentale composizione di scritte a terra.

La quarta coordinata, infine, è rappresentata da due interventi di camouflage. Rafael Wolf distribuisce in modo virale, su vari supporti funzionali alla vendita dei prodotti, i due font studiati per Market zone (per il Piemontese e per il Nizzardo) ispirati dalla calligrafia stessa degli ambulanti dei due mercati. Infine, le sculture di Cyril Verde rendono omaggio ai rapporti di proporzione tra varie unità di contenimento presenti nel mercato, dall’architettura dell’ala coperta alle pile di cassette di verdura disposte sui banchi.

Durante tutto il periodo dell’esposizione non mancano, poi, svariati eventi collaterali con l’obiettivo di attivare alcuni degli interventi presenti in mostra. Per aggiornamenti sul programma: www.market-zone.eu..

SPONSOR E PARTNER Market Zone è cofinanziato dall’Unione Europea – Fondi Europei per lo sviluppo regionale, nel quadro del programma Alcotra Alpi Latine – Cooperazione transfrontaliera Italia-Francia 2007-2013 e, per parte francese, dalla Regione Provence-Alpes-Côte d’Azur e dalla Città di Nizza. I partner italiani coinvolti sono Regione Piemonte, Provincia di Cuneo, Città di Cuneo, FAI (Fondo Ambiente Italiano), GAI (Giovani Artisti Italiani), Fondazione CRC, Fondazione CRT, Camera di Commercio Cuneo, Confcommercio Cuneo, FIVA (Federazione Italiana Venditori Ambulanti e su Aree Pubbliche), DISAFA (Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari) – Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, IED di Torino, Politecnico di Torino, Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Ordine degli Architetti della Provincia di Cuneo, Coldiretti, Slow Food, PAV Parco d’Arte Vivente, Fondazione “Nuto Revelli”, Alliance française, Basile Arteco. Sponsor: Assotec, Baladin Cafè, Cirifer, Inox-Tec di Sandro Dessì, La Meiro – Terre di Castelmagno, TPL Lavorazione Lamiere. Media partner: La Stampa, Espoarte, UNICO People & Style.

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quando l’artigianato incontra il design DA PIÙ DI 40 ANNI, LA MAISON PROPONE ARREDAMENTI SU MISURA IN LEGNO MASSELLO. EVOLVONO I GUSTI E LE TENDENZE MA LA RICERCA DELL’ECCELLENZA RESTA UN PUNTO DI RIFERIMENTO.

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ggi, come una volta, entrare a La Maison di Manta vuol dire respirare il profumo originale del legno. Da oltre 40 anni, qui si creano mobili su misura in legno massello e si realizzano arredamenti personalizzati su richiesta del cliente, con una maestria e un’abilità artigianale che si tramandano di mano in mano, dando vita ai desideri di chi ricerca eleganza e qualità per la propria casa.

Il primo laboratorio nasce proprio qui, nel 1969, per la produzione di mobili rustici nello stile tradizionale della Valle Varaita, influenzato dal gusto della vicina Francia e Provenza, e inevitabilmente contaminato dalla raffinatezza artistica della “scuola saluzzese”, da cui trae linfa per creazioni impregnate di storia, bellezza e funzionalità.

L’azienda è così radicata sul territorio da trarne “nutrimento” e identificarsi in esso: il frutto di tutto ciò è la qualità del risultato.

Una maestria senza compromessi, un’attenzione scrupolosa ai minimi dettagli e un’ineguagliabile capacità di superare le mode, grazie al proprio stile, confermano negli anni il suo successo. Così, la secolare tradizione artigianale del mobile saluzzese si trasforma in capacità di soddisfare ogni tipo di preferenza, dal classico al country e al contemporaneo, consapevoli della continua evoluzione dei gusti e delle nuove tendenze internazionali. Qualsiasi elemento di arredo è il naturale prodotto di idee originali, risultato di una sintesi tra tradizione e innovazione, tra passato e presente.

“Ogni progetto per noi è una sfida; ogni casa,

LA MAISON Strada Regionale, 589 n. 181 12030 Manta (CN) info@la-maison.com www.la-maison.com

ogni persona sono diversi, unici come i nostri mobili,” ci spiega l’architetto Luca Milano, che segue personalmente ogni fase della produzione, dal primo incontro con il cliente alla consegna del prodotto finito nel luogo di destinazione, sia questo la casa in campagna o l’hotel internazionale.

“Per noi è fondamentale il dialogo con il clien-

te, ascoltare le sue aspettative e i suoi desideri.

Solo comprendendo davvero le sue esigenze siamo in grado di soddisfarle, perché noi non offriamo moduli predefiniti, ma soluzioni su misura, personalizzate. Nel corso degli incontri con il cliente, entriamo in sintonia con lui per catturarne i gusti, percepire perfettamente gli spazi in cui vivrà, tutti elementi che diventano

UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | design & living | special advertising

“Ogni progetto per noi è una sfida; ogni casa, ogni persona sono diversi, unici come i nostri mobili”.

Nella pagina precedente: I maestri falegnami de La Maison del Mobile lavorano con le mani, con la mente e con il cuore: i macchinari, modernissimi, sono un semplice strumento che facilita il lavoro, ma qui la produzione industriale non è di casa.

Una cabina armadio realizzata in stile classico,su progetto de La Maison, rifinita in ogni dettaglio in base alle esigenze e gusto del cliente.

Anche lo stile contemporaneo viene proposto con la stessa passione di un mobile d’arte. Il gusto si evolve ma la qualità e la maestria restano immutate. Nell’immagine una camera da letto in noce canaletto.

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La secolare tradizione artigianale del mobile d’arte saluzzese si trasforma in capacità di soddisfare ogni tipo di preferenza: dal classico, al country al contemporaneo, come in questa libreria che rappresenta un giusto equilibrio di linee e volumi.

Ogni realizzazione è curata su misura per il cliente per ottenere un risultato davvero unico, proprio come un abito sartoriale tagliato e cucito sulla persona che lo indosserà. Boiserie, rivestimenti, controsoffitti completano così l’ambiente conferendo unicità e stile personale.

guida nella scelta del modello da proporre, dei colori da utilizzare e degli accessori da abbinare. Proprio come un abito sartoriale tagliato e cucito per la persona che lo indosserà, in cui è fondamentale accoppiare il tessuto giusto al modello e agli accessori, per ottenere quel particolare stile che contraddistingue l’eleganza italiana”.

Nelle sue parole si sente tutta la passione che, nel prodotto finito, diventa qualità e cura del particolare.

Una visita al laboratorio, adiacente allo show room, permette di entrare nell’anima di questi mobili che, nelle mani degli artigiani, sembrano creature che prendono vita con l’amorevolezza di un padre di famiglia.

Tutto il legno utilizzato proviene da coltivazioni rinnovabili e controllate, poi stagionato in sede per anni. I maestri falegnami lavorano con le mani, con la mente e con il cuore: i macchinari, modernissimi, sono un semplice strumento

che facilita il lavoro, ma qui la produzione industriale di serie non è di casa. Tutto nel massimo rispetto per l’ambiente, a partire dal riuso dello scarto e della segatura che diventa energia per il riscaldamento degli ambienti, in abbinamento a un impianto fotovoltaico installato sulla copertura dello stabilimento che genera energia elettrica. Anche così si contribuisce alla salvaguardia del paesaggio. Passando al reparto di verniciatura, interno al laboratorio, non c’è traccia del tipico odore di vernice: qui, infatti, si utilizzano solo prodotti a base di acqua, senza solventi, per una casa sana e naturale.

Il rispetto per il processo di creazione e costruzione rende i mobili immuni al passare del tempo.

La Maison non ha catalogo. Come non ha marchi esposti. È lo show room il suo catalogo “vivente”. È essa stessa il proprio marchio, un nome che nel tempo è divenuto sinonimo di prestigio e di alta qualità, punto di riferimen-

spesa per un prodotto di qualità che duri negli anni, potremmo di certo dire di avere risparmiato.

Ma con il tempo, i gusti possono cambiare e anche l’arredo può diventare “vecchio”. Per questo, la Maison dà la possibilità, dopo anni, di rinnovare i suoi pezzi, cambiandone forma e colore, accessori ed elettrodomestici, integrando o sostituendo, perché gli spazi in cui si vive possano soddisfare sempre i propri desideri. Così come il riadattamento in caso di trasferimento o di lavori interni, affinché il proprio stile e quella “sensazione di casa” rimanga sempre la stessa.

L’eccellenza, termine molto usato in ogni ambito, non è solo un titolo per identificare la superiorità di materiali lussuosi ma inavvicinabili. Essa non dipende solo dagli elementi utilizzati, ma dalla loro combinazione, miscelazione e unione. È una questione di equilibrio fra idee progettuali, abilità realizzativa ed esperienza. A La Maison questo lo sanno bene.

La cucina in legno di rovere spazzolato con finitura “decapé” su base laccata è una miscela di linee moderne e richiami country.

Ispirazione inglese di fine Ottocento per questa cucina laccata, caratterizzata dal doppio blocco di cottura “old style”.

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to per chi cerca di distinguersi con eleganza e carattere.

“Noi non vendiamo mobili per riempire degli spazi – prosegue l’architetto Milano, – ma partiamo dall’anima del posto, ricercando quel genius loci che appartiene proprio a quel luogo e che, abbinato alla personalità del cliente, ci ispirerà qualcosa diverso ogni volta, perché ogni ambiente, così come ogni persona, è irripetibile. In questo nostro modo di operare, posso dire con orgoglio di rappresentare un’unicità.

Lo sentiamo nel nostro DNA e lo trasmettiamo con il nostro lavoro”.

Stile, personalizzazione e qualità superiore influiscono certamente sul costo finale del mobile, ma a conti fatti si scopre che in realtà non sempre spendere di meno significa risparmiare. Dipende dal valore di ciò che si acquista.

Un arredo scadente, pagato poco, sicuramente si romperà presto, rendendo necessario un nuovo acquisto. Al contrario, facendo la giusta

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le nuove frontiere del calore A CURA DI ROBERTO AUDISIO

CAMINI, RADIATORI E STUFE SI EVOLVONO: IL CALORE AUTENTICO DEL FUOCO SI UNISCE A UN DESIGN SEMPRE PIÙ MODERNO E AUDACE PER INSERIRSI IN OGNI AMBIENTE, ADATTANDOSI AI GUSTI CONTEMPORANEI. Materiali pregiati, resistenti all’usura, e nuove finiture d’appeal; combustibili tradizionali, come la legna, oppure di ultima generazione, come il pellet o il bioetanolo, che garantiscono un buon risparmio energetico e aiutano l’ambiente: sono i segni distintivi dei modelli più recenti di stufe, camini e termocamini, studiati per coniugare alla perfezione estetica evoluta e un’estrema funzionalità.

i radiatori che arredano

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Quando parliamo di radiatori d’arredo parliamo di design, di stile, di forma ancora prima della funzione: perché come si può immaginare la funzione, quella di scaldare, è sottintesa. Oggi le forme di queste “opere d’arte di calore” riempiono gli spazi rendendoli unici e particolari e caratterizzandoli di tutto lo stile che serve, con classe, design, eleganza ma anche particolarità eccentrica.

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[1] Flap di Antrax è un’alternativa soluzione riscaldante, dal design essenziale, intelligente, minimale. Una lastra verticale di alluminio riciclabile crea una linea retta che nella parte bassa finisce a zig zag a creare un supporto per gli asciugamani. Alta efficienza termica per uno spessore di soli 4 mm. che rendono l’ambiente gradevole e confortevole a livello sia termico sia estetico. (antrax.it) [2] Le onde del mare, con il loro movimento sinuoso, sono tra gli elementi ispiratori di Blow, il nuovo corpo scaldante disegnato da Jean-Marie Massaud per Cordivari. Il designer francese ha impresso il proprio “soffio” creativo alla materia, ottenendo una silhouette armoniosa, caratterizzata da zone dolcemente ondulate che generano sorprendenti rifrazioni e giochi di luce come di colori. (cordivari.it)

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[3] Scaletta è lo scaldasalviette disegnato da Elisa Giovannoni per Tubes, che non necessita di una installazione e quindi può essere spostato nei vari ambienti della casa e portato con sé ad ogni trasloco. (tubesradiatori.com) [4] Sensualità e plasticità: questi i due tratti distintivi alla base dell’idea progettuale per il radiatore Milano di Tubes, che coniuga la volontà di sperimentazione formale nel campo dell’elemento radiante d’arredo, alla ricerca di soluzioni free-standing o a parete. (tubesradiatori.com)

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Il fascino del fuoco Per contrastare il rigore del freddo non c’è nulla di più naturale del fuoco e del calore di un caminetto. Un caldo secco che scalda gli ambienti di casa senza inumidire e senza creare problemi, donando un piacevole comfort e un’armonia gradevole. Punto focale di un ambiente intorno al quale riunirsi per due chiacchiere davanti allo scoppiettio della legna, in tutta sicurezza e comodità grazie alla tecnologia abbinata alla tradizione.

Rustico o moderno, sarà di certo un elemento che caratterizzerà l’ambiente, divenendone il protagonista.

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[1] La silhouette di Epoque, raffinato caminetto firmato da Marco Fumagalli per Palazzetti, si sviluppa a partire da forme classiche, per poi evolversi in un oggetto moderno e attuale.

Realizzato in Hot-Stone, materiale cementizio estremamente duttile, con all’interno l’Ecomonoblocco 78 V09-S frontale in Magnofix®, può essere installato a parete o posizionato a centro stanza ed è disponibile in bianco o in nero. (palazzetti.it) [2] Ha struttura in alluminio il portalegna su ruote Bubo, design Roberto Lanaro. Impilabile, ciascun modulo misura cm 39x43x43h. (bubo.it) [3] Il camino Magmafocus di Focus può essere alimentato a gas (propano/gas naturale) oppure a legna. Ideato dallo scultoredesigner Dominique Imbert, fa parte di un'ampia collezione di camini da centro stanza. In acciaio grezzo cerato, ha una potenza di 11-12 kW. (focus-creation.com)

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[4] Caminetto-stufa girevole Twist and Turn realizzato in acciaio da Austroflamm. Il modello è munito di apertura a battente. Convogliamento in scambiatore ceramico refrattario, di lunghezza massima 4 m. (austroflamm.com) [5] Scenario di MCZ è un termocamino con tv integrato (televisore LCD Loewe da 37" completo di due diffusori da 60W ). La struttura è in acciaio verniciato, mentre la chiusura del focolare è in vetro temperato. Alimentazione a gas o a legna, dimensioni cm 205x75x10. Possibilità di canalizzare l'aria attraverso il sistema brevettato Comfort Air®, per riscaldare più stanze contemporaneamente. (mcz.it)

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[6] Filoskema, design Mario Ferrarini, è un camino in acciaio a filo muro installabile in due modi. Prodotto da Antonio Lupi con sistema convettivo per portare il calore anche in altre stanze, oppure radiante rivestito con materiale ceramico che accumula il calore e lo rilascia per molte ore anche dopo lo spegnimento del fuoco. (antoniolupi.it) [7] Forme essenziali per il portaceppi in acciaio nero Ufocus firmato da Dominique Imbert, scultore e designer francese per Focus. La collezione include anche altri attrezzi da camino. (focus-creation.com)

la quiete del calore 1

Gli ultimi sviluppi tecnologici del riscaldamento green guardano al comfort. E anche le stufe a pellet si fanno più discrete e silenziose, mantenendo comunque alti livelli di performance. Scaldano tutte le stanze della casa. Si controllano dai più moderni device (non solo telecomandi, ma anche smartphone e tablet). Si collegano ai termosifoni o agli impianti di riscaldamento a pavimento.

[1] Gusto old fashion e tecnologia d’avanguardia per la stufa a pellet ventilata Spillo di Ravelli, rivestita in ghisa verniciata color antracite, braciere in acciaio inox e anta con vetro ceramico serigrafato resistente a 750°. (ravelligroup.it)

e creare sempre il comfort su misura per le proprie esigenze. Quando è impostata sul funzionamento a legna, crea tutta l'atmosfera di una stufa tradizionale, consente il massimo risparmio economico e può essere utilizzata anche senza corrente elettrica. (edilkamin.it)

[2] la stufa Thelma di Piazzetta racchiude un focolare a pellet a convezione naturale di ultima generazione. La diffusione del calore avviene per moto convettivo naturale dell’aria e irraggiamento con ridotti consumi elettrici e manutenzione semplificata. Garantisce il massimo comfort con una eccezionale silenziosità. Le linee morbide ed i colori pastello del rivestimento in pregiata maiolica lavorata a mano esaltano lo stile ispirato al design degli anni '50, oggi di grande attualità. (piazzetta.it)

[4] Firmata Adriano Design, Thermo Stack, della collezione Stack Stoves di La Castellamonte, ha vinto nel 2013, per la seconda volta, il prestigioso premio tedesco ISH Design Plus Award; è un sistema scaldante stufa radiatori innovativo per architettura e cuore tecnologico, basato su componenti modulari, personalizzabile per forme, colori, architettura e potenza. (lacastellamonte.it)

[3] Demy di Edilkamin è la prima stufa bi-combustibile che utilizza sia la legna che il pellet. Quando è impostata sul funzionamento a pellet, può essere programmata per accendersi e spegnersi negli orari desiderati

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[5] Salvaspazio, la stufa a pellet Ecofire® Denise di Palazzetti è profonda solo cm 29,6, mentre la larghezza è di cm 90.

Completamente automatica, può canalizzare l'aria calda anche negli ambienti attigui.

Molteplici le finiture: dal marmo serpentino all'esclusivo Alulife®, metallo dalla texture resistente. (palazzetti.it)

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focolari d’atmosfera 1

Un nuovo concetto unisce la memoria del camino tradizionale alla tecnologia ed il design dei nuovi camini a bioetanolo. Moderno focolare domestico, sintesi di tecnologia ed estetica in grado di trasmettere calore creando ambienti accoglienti ed atmosfere rilassanti. In ogni spazio, in ogni luogo, il camino a bioetanolo diventa il protagonista dell’ambiente, artefice di quell’atmosfera magica che solo il fuoco è in grado di creare quando non si hanno particolari esigenze di riscaldamento. Non producono fumo né cenere e non necessitano di canna fumaria.

[1] Rollfire di Conmoto è un camino ruotante a bioetanolo che può essere trasportato in ogni stanza della casa. (conmoto.com) [2] Fire Line di Planika Fires è il modello automatico di caminetto che consente di regolare la quantità di fiamma attraverso un comodo pannello di controllo con display a LED. (planikafires.com) [3] BB disegnato da Andrea Crosetta per Antrax è un camino a bioetanolo che può essere collocato in tutti gli ambienti e funzionare come riscaldamento integrativo.

La struttura è in acciaio al carbonio verniciato in colori flou. Diametro cm 80. (antrax.it) [4] Dalla collaborazione di Antonio Lupi con il designer Domenico de Palo ed il maestro fumista Massimo Pistolesi nasce Il canto del Fuoco, un progetto di Camini Antonio Lupi, dalle forme essenziali ed evocative e di grande semplicità d'uso, alimentato a bioetanolo. Si può integrare con il colore della parete e, una volta installato, può essere verniciato, lasciando a vista solo la bocca della vela. Il bruciatore, che può essere posizionato internamente al camino e ricoperto di sassi oppure esterno a vista, ha il regolatore d'intensità per la fiamma. (antoniolupi.it)

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“tole”, la creatività vince la crisi

PHOTO: SAMIA

L’ISPIRAZIONE NASCE DAL MONDO CONTADINO E DALLA CULTURA DI LANGA. A RODDI, LA “TOLA”, DA PRODOTTO IN CRISI, DIVENTA STRUMENTO D’ARTE: COME RINASCERE E FARE DI NECESSITÀ VIRTÙ.

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uando la crisi morde – si sa – alcuni tristemente soccombono sotto il peso delle brutte notizie e del pessimismo, altri, invece, raccolgono la sfida, rimboccandosi le maniche e guardando a nuovi orizzonti.

A Roddi, a un tiro di schioppo da Alba, esiste una realtà produttiva che ha saputo fare di necessità virtù, con coraggio, innovazione, idee. È Samia, azienda attiva dal 1977 nel campo della lattoneria, un settore duramente colpito dalla crisi dell’edilizia.

E proprio dalla tola (la lamiera, la latta, in Piemontese), Samia, guidata da Roberto Fantaguzzi insieme alla moglie Giovanna Binello, è ripartita. Obiettivo: trovare nuovi spazi e sbocchi in un nuovo mondo, quello del design e dell’arte.

IL PROGETTO “TOLE” Nasce così il progetto tole, in cui tutti i dipendenti (una ventina) si vedono profondamente coinvolti portando il proprio contributo di creatività ed esperienza.

L’ispirazione deriva dal mondo contadino e da quell’arte di arrangiarsi che, in particolare nel dopoguerra, aguzzava l’ingegno e permetteva di recuperare i rottami e le lamiere, così abbondanti dopo le devastazioni belliche, per la costruzione di strumenti domestici e persino utensili per il lavoro agricolo.

A tutto ciò si abbina, naturalmente, la straordinaria vocazione alla valorizzazione della cultura, della terra e della vita di Langa.

Sono oggetti belli da vedere, originali, unici che mostrano come da un materiale semplice

Nella pagina seguente: alcuni dei pezzi realizzati dall’azienda Samia, per la collezione “Tole”, e lo staff aziendale al completo. Realtà produttiva attiva dal 1977 nel campo della lattoneria, la Samia ha saputo affrontare la crisi in modo vincente, concentrandosi su un nuovo settore, quello del design e dell’arte.

e umile, insieme a stoffe, iuta, corda, si possano ottenere pezzi di carattere e con un alto valore intrinseco.

Dal portabottiglie (originale quello realizzato in occasione della cronometro Barolo-Barbaresco al Giro d’Italia 2014) alla tecnoborsa, passando per quella da pic-nic, il portachiavi e molte altre creazioni fantasiose, si mettono in mostra diventando opere d’arte.

52 OPERE DA VEDERE E proprio con questo intento, Samia ha creato 52 opere – ognuna delle quali dedicata a un personaggio cuneese, tra cui Stefania Belmondo, Nick Dutto, Oscar Farinetti, Alessandro Bo-

glione, Massimo Camia – che, dopo aver attirato l’attenzione del grande pubblico al Vinitaly, hanno trovato spazio presso la galleria d’arte Ipazia di Alba, con la mostra itinerante Barolo Paintings.

Dopo la loro permanenza a Barolo (dal 28 agosto al 7 settembre), il 20 settembre le tole si spostano al Castello di Grinzane Cavour, per giungere, il 31 ottobre, a Villa Erba (Cernobbio), dove restano fino al 2 novembre.

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L’ispirazione deriva dal mondo contadino e dalla straordinaria vocazione alla valorizzazione della cultura di Langa.

SAMIA Lavorazione lamiere Roddi d’Alba (CN) Tel. +39 0173 284188 – 0173 280054 www.tole.biz – info@tole.biz

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URBAN STYLE

S V PREPPY STYLE 4-0 A cura di Phil Boschero | Photo: Daniele Molineris

JESSICA gilet in eco pelliccia Jijil maglia spalmata oro Jijil pantalone tuta con banda in ecopelle scarpa high heels Patrizia Pepe

GIACOMO giubbotto felpa e pelle, felpa, high sneakers, weekend bag Givenchy jeans Saint Laurent

GIACOMO giacca camouflage con collo sciallato raso, tshirt stampata e pantalone 5 tasche Dsquared2 scarpa laccata in vernice Givenchy

JESSICA giacca muccata con interno a contrasto Gold Case top profilato pizzo Guardaroba pantalone Malloni pochette cavallino Hoss Intropia scarpa high heels Patrizia Pepe

Hair and Make UP: Dessange – Cuneo | Dress for him: Bruna Rosso – Cuneo | Dress for her: Mood – Cuneo Art director: Roberto Audisio

un caldo abbraccio senza tempo LA PELLICCIA RACCHIUDE IN SÉ GLI OPPOSTI: È DEGRADABILE E NATURALE, MA È ANCHE UN CAPO SENZA TEMPO CHE TORNA IN VITA GRAZIE A CREATIVITÀ E CAPACITÀ ARTIGIANA. PAROLA DI PAOLA ELLENA.

“L

o riconoscerei tra mille, anche a distanza di decenni”. Paola Ellena fa riferimento a qualunque dei capi da lei confezionati, ieri come 30 anni fa. Un filo che non si spezza mai.

E non accade di rado, in effetti, che una pelliccia della nonna, della suocera, quella che è stata regalata per i 18 anni, per la laurea, realizzata decenni prima, torni nel laboratorio-atelier di Paola Ellena, dal 1991 a Saluzzo.

Dall’armadio, di nuovo sul suo tavolo di lavoro, per essere trasformata, attualizzata, “rimessa a modello”, in base a nuove proporzioni o alle ultime tendenze moda. È uno dei servizi che più ama: dare una seconda giovinezza alla pelliccia, “un capo senza tempo”, che concepisce solo creata artigianalmente, come modello unico, fatto a mano.

“Un investimento economico che alla fine costa meno di un cappotto firmato, riparabile nelle parti che si deteriorano, perché già confezionato in questa prospettiva. Della pelliccia si utilizza tutto e tutto si degrada”. Per chiudere il ciclo delle performance, può diventare “una calda coperta, oppure – conclude Paola, con una provocazione sull’aspetto ecologico – essere buttata nell’orto, visto che non inquina”.

La storia del marchio Ellena nasce negli anni ’60, a Cambiano (TO), dove la famiglia svolgeva l’attività di ritiro delle pelli dalle macellerie torinesi. Paola entrò “in casa” nel 1965 e, appena un anno dopo, diciottenne, sposò Giovanni, in procinto di iniziare il servizio militare. “Abbiamo accelerato le nozze proprio perché lui doveva partire e io lo avrei sostituito in bottega”.

PAOLA ATELIER Via Silvio Pellico 5 – Saluzzo (CN) Tel./Fax. (+39) 0175 44116 info@paolaellenaatelier.com www.paolaellenaatelier.com

Paola Ellena

La sua storia di mestiere inizia di qui, costruita pezzo per pezzo insieme alla suocera, racconta. “Al mattino andavamo a ritirare le pelli per poi selezionarle una a una, dividendo le migliori. In quegli anni, nasce l’idea di puntare sulla lavorazione delle pelli e io ho cominciato a fare corsi, dopo aver conosciuto tutti i passaggi della filiera: dall’acquisto delle pelli alla concia, alla foderatura e intelaiatura, fino alla presentazione in sfilata”. La continuità con la storia di famiglia è condensata ora simbolicamente in un piccolo colletto di pelo su cui sono annotate le “dritte” sartoriali di suo marito, che non c’è più. È il fil rouge con la tradizione del creativo atelier, nel salotto di Saluzzo, con affaccio sulla pedonale Via Silvio Pellico, dove Paola passa la maggior parte del tempo. Crea modelli, fa riparazioni, trattamenti di cura e mantenimento dei capi: dall’ingrassaggio della pelle alla pulitura professionale, fino alla preparazione per la custodia estiva.

La moda fur della stagione la descrive presentando il campionario dello show room: “sta ritornando il pelo lungo: volpi, marmotte, murmaski, pellicce tinte che sono più giovani e particolari. Ritorna il coprispalle, in un uso più versatile e moderno. Io ho realizzato un modello che si può indossare sul cappotto, mettere sul jeans di giorno o con l’abito per la soirée”.

Pelo raso, vaporoso o disegnato in geometrie, la pelliccia avvolge ora borse, zainetti o diventa il bordo di shopper: un vero must have.

“Dalle passerelle della moda, l’idea glamour sono l’intarsio, i composés di pelliccia con

pelle, tessuto, maglia: molto interessanti da un punto di vista creativo. Io, però, propongo solo realizzazioni ‘resistenti al tempo’, non usa e getta. Voglio essere un punto fermo per la conservazione del capo. Una sicurezza in più per il cliente che spende nell’acquisto, ma ha una certa garanzia”.

Nello show room della rinomata artigiana saluzzese, sono esposti, inoltre, capi in pelle, renna e montoni, scaldacollo, sciarpe, scialli e cappelli di pelliccia, un altro grande ritorno. Tra i servizi dell’atelier: trasformazioni, riparazioni, pulitura professionale, custodia estiva, servizio sartoria e modisteria.

Orario atelier: 9,00-12,00 / 15.00-19.00.

Dal martedì al sabato.

Alcuni capi nello show room di Paola Ellena, con affaccio sull’isola pedonale di Via Silvio Pellico, il “salottino” di Saluzzo.

Qui, Paola trascorre la maggior parte del suo tempo portando avanti la creativa tradizione artigiana dell’atelier.

Tra i suoi servizi: la creazione di modelli, le riparazioni, i trattamenti di cura e il mantenimento dei capi (dall’ingrassaggio della pelle alla pulitura professionale, fino alla preparazione per la custodia estiva).

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“Della pelliccia si utilizza tutto e tutto si degrada. Può diventare una calda coperta, oppure essere buttata nell’orto visto che non inquina”.

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IN EUROPA PER LA DIVULGAZIONE SCIENTIFICA DIRETTA

la notte dei ricercatori L

a Notte dei Ricercatori è un’iniziativa promossa dalla Commissione Europea fin dal 2005, che coinvolge ogni anno migliaia di ricercatori e istituzioni in tutti i Paesi europei.

L’obiettivo principale è creare occasioni d’incontro diretto tra ricercatori e cittadini, per diffondere in modo autorevole e immediato i molteplici aspetti della cultura scientifica, incrementando la conoscenza delle professioni della ricerca in un contesto informale e stimolante.

L’evento è anche un importante banco di prova per i ricercatori nel campo della comunicazione, della scienza e dell’organizzazione di exhibit e attività per il pubblico.

Tra gli appuntamenti in programma, esperimenti e dimostrazioni scientifiche dal vivo, mostre, visite guidate, conferenze e seminari divulgativi, spettacoli e concerti che, sempre più spesso, coinvolgono non solo i centri universitari e i punti di riferimento della ricerca di un territorio, ma anche enti locali, imprese,

associazioni culturali e molte realtà che trovano nella “Notte” un nuovo stimolo di aggregazione e collaborazione. L’Italia ha aderito da subito all’iniziativa europea con una molteplicità di progetti, diventando così uno dei Paesi europei con il maggior numero di eventi sparsi sul territorio. In Piemonte, la manifestazione è organizzata da un consorzio di enti coordinato dal Centro Interuniversitario “Agorà Scienza”, che gestisce direttamente la sessione torinese e coordina l’evento negli altri centri della regione.

Cuneo è la seconda città, dopo Torino, per numero di ricercatori coinvolti, di enti che si rendono disponibili alla collaborazione e di pubblico.

L’edizione cuneese si caratterizzata da sempre per un programma che parte già dal mattino rivolgendosi alle scuole e per una successione di appuntamenti, incontri e spettacoli che riescono a catturare l’attenzione di un pubblico vasto e variegato. La prossima data da memorizzare è venerdì 26 settembre 2014: in Piazza Torino, stand, laboratori per le scuole, incontri con i ricercatori e spettacoli teatrali-scientifici.

Perché non approfittare?

CittĂ di Cuneo

energia al servizio di ogni esigenza LA MISSION DI ENERGETICA? MIGLIORARE LE PERFORMANCE DELLA NOSTRA CASA IN TEMA DI CONSUMI. TANTE SOLUZIONI INTEGRATE PER VIVERE BENE METTENDO A FRUTTO I GIUSTI INVESTIMENTI.

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rogettazione termica, elettrica e dell’edificio, ventilazione, sistemi in pompa di calore, fotovoltaico, solare termico, accumulo di energia, integrazione domotica. Sono tante le soluzioni che Enrico Fanesi e Tiziana Giraudi di Bernezzo propongono ai loro clienti al fine di mettere in campo nuove strategie per la produzione e il risparmio di energia. Accompagnata da uno staff composto da progettisti, idraulici ed elettricisti, la loro azienda, Energetica, offre piani concreti ai singoli privati che intendono ottimizzare le loro abitazioni, ma anche a imprese ed enti, senza mai perdere di vista la tutela dell’ambiente.

Patrizia vive da una decina di anni in una villetta a schiera nella periferia di una città. La caldaia a impianto GPL della sua abitazione riscalda due piani di circa 90 mq. Per una famiglia di quattro

persone, la spesa di circa 3.000 euro annui per il riscaldamento è diventata quasi insostenibile.

Energetica, dopo aver analizzato attentamente la casa di Patrizia, propone la simulazione di tre interventi realizzabili per intero da parte della società.

“La casa di Patrizia è ben isolata e, in termini di consumo energetico, si pone a cavallo tra la categoria B e la C. Il problema più grande, per questo genere di impianti, è che il GPL è molto caro e poco efficiente. Con il nostro intervento, potremmo passare a una tecnologia ibrida dove si va a integrare la caldaia a condensazione con una pompa di calore ad alta efficienza, che preleva più del 50% dell’energia esterna prodotta dal sole. Con una spesa di 8.000 euro detraibili al 65% in 10 anni, il consumo annuo passerebbe a

ENERGETICA SRL Via Sant’Anna 31/A - 12010 Bernezzo (CN) Tel/Fax +39 0171 683546 Mob. +39 347 7895985 info@energeticacuneo.it www.energeticacuneo.com

Il moderno e funzionale ufficio della sede di Energetica a Bernezzo.

Nella pagina successiva: Enrico Fanesi e Tiziana Giraudi, titolari di Energetica.

circa 1.850 euro complessivo, tra GPL ed energia elettrica. In questo modo, grazie alla riduzione della spesa e alla detrazione fiscale, l’investimento rientrerebbe in circa 5 anni. Dopo 10 anni, con un attivo di circa 21.000 euro, il sistema potrebbe essere integrato con un impianto fotovoltaico. La classe energetica salirebbe così a 250-300 euro per mq e si alzerebbe anche il valore catastale di tutto l’immobile.

Un intervento alternativo riguarda un sistema in pompa di calore puro che porterebbe all’eliminazione totale di energia derivata dal petrolio.

La pompa di calore a doppio stadio consente un riscaldamento non solo a pavimento, dal momento che, con una temperatura di 85 °C, l’acqua arriva anche nei radiatori tradizionali. Si tratta di una scelta più onerosa, circa 14.000 euro, ma che porterebbe a un consumo annuo di poco superiore a 1.300 euro di sola energia elettrica. Anche in questo caso, la detrazione fiscale è del 65% e l’investimento rientrerebbe in 5 anni.

Infine, l’ultima proposta. Se la casa è dotata di canna fumaria e se a Patrizia piace il tepore del fuoco, si può pensare di utilizzare un termocamino ad alta efficienza integrato con una pompa di calore a bassa temperatura che, mentre riscalda l’ambiente con la fiamma, stocca acqua calda per gli altri locali. In altri termini, due terzi dell’energia del camino viene riutilizza dalla pompa che porta calore nei radiatori delle altre stanze. Questo intervento richiederebbe un investimento di circa 13.500 euro”.

Energetica ha, dunque, proposto tre soluzioni immediate per risolvere il problema di Patrizia

dell’eccessivo costo legato all’impianto GPL. Due interventi dei quali non risultano troppo invasivi, oltre a essere di tempestiva realizzazione e svincolati dalla presenza di locali adatti o predisposti.

Paolo, accompagnato da un architetto di fiducia, si è rivolto a Energetica perché ha intenzione di costruire una nuova abitazione per sé e la sua famiglia, senza spendere troppo e facendo il possibile per tutelare l’ambiente.

“La disponibilità di un terreno – questa è la proposta di Enrico Fanesi per Paolo – ci dà la possibilità di costruire un’abitazione con l’estetica desiderata, ma anche con un isolamento tale che ci

consenta di arrivare alla categoria energetica A. Il primo passo è lo studio stratigrafico di pavimenti, muri e tetto, che ci permette di realizzare la progettazione. Una volta definito il punto di arrivo, gli impianti saranno a basso consumo, perché l’involucro dell’edificio sarà isolato molto bene e si procederà con una metodologia di cambio aria di alta efficienza, che dovrà recuperare il calore accumulato in giornata. Una parte del tetto, in questo modo, sarà dedicata alla produzione di energia fotovoltaica e, inoltre, connessa a un sistema di accumulo di energia usufruibile anche di notte”.

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Risposte moderne, al passo con i tempi, ma che non dimenticano la sensibilità verso l’ambiente.

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Si tratta di un’altra proposta fornita da Energetica che può essere realizzata e consegnata “chiavi in mano” al proprietario. Tutti i progetti, inoltre, possono essere messi in opera da altre professionalità scelte dal cliente: Energetica assicurerà comunque l’assistenza sul cantiere.

Terzo e ultimo caso: un’azienda produttrice di prodotti da forno, molto attenta alla finitura con cottura a vapore, lamenta un grande dispendio energetico di metano.

“In questo caso la proposta parte da una diagnosi energetica per valutare le soluzioni tecnologiche affinché la ditta diventi più competitiva. Considerando i cicli di lavorazione esclusivamente diurni, l’alternativa potrebbe consistere in un sistema di micro-coogenerazione, che si occuperebbe di produrre il vapore utilizzando il metano in modo molto più efficiente e, nel contempo, di coogenerare energia elettrica. In questo modo, si arriverebbe alla detassazione delle forniture di metano e a una riduzione del consumo elettrico, con un

rientro economico garantito in circa tre anni”.

Energetica presenta, dunque, una soluzione per ogni bisogno, tenendo sempre conto delle esigenze dei proprietari di immobili di piccole, come di grandi dimensioni, o di impianti con un alto dispendio energetico. Una risposta moderna, al passo con i tempi, ma che non dimentica la sensibilità verso l’ambiente e l’urgenza, comunque, di ridurre i costi della vita quotidiana, così come delle attività produttive, già vittime di una grave crisi economica. Quale esempio più concreto dell’affidabilità e dell’efficienza dei progetti di Energetica se non gli uffici dell’azienda stessa, con sede a Bernezzo, in Via Sant’Anna 31? Un edificio industrializzato in legno, immerso nel verde della Valle Grana, con sistema di isolamento che ha raggiunto la classe energetica Casa Clima Gold, con un sistema di climatizzazione a tutt’aria denominato Heating on demand, vincitore del premio Europeo 2011 Klimahaus.

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SCRITTORINCITTÀ ALLA SUA XVI EDIZIONE

TARTUFO, PIACERE SOMMO ALLA FIERA DI ALBA

Cuneo, da mercoledì 12 a domenica 16 novembre, diventa la patria della parola. Quella vergata su carta. Ritorna, infatti, Scrittorincittà: manifestazione dedicata al mondo dei libri che, dal 1999, rappresenta uno dei principali festival della letteratura sul panorama nazionale. A ogni edizione, gli oltre 150 incontri con autori di fama nazionale e internazionale ruotano attorno a uno specifico tema che fa da sfondo, cornice e punto di partenza per riflettere sul passato e sull’attualità, attraverso appuntamenti, dialoghi, lezioni magistrali, anteprime editoriali, laboratori, percorsi espositivi e spettacoli. “Colori” è il tema e filo conduttore degli eventi previsti quest’anno, un argomento di semplice e immediata comprensione: il colore come immagine, bellezza ma anche pura apparenza, carattere della natura e dell’arte. Un modo, per Scrittorincittà 2014, per divertirsi a riflettere, interrogando i colori per interrogarci su di noi, sulle donne e sugli uomini, sui ragazzi, sui bambini. In fondo, sull’umanità.

Chiamati a dialogare, tra loro e con il pubblico, importanti penne della narrativa, firme di punta del giornalismo, personaggi del mondo dell’arte, dello spettacolo e della società, che partecipano agli incontri, ai laboratori, ai workshop, alle mostre e agli appuntamenti in programma, curato, anche quest’anno, da Stefania Chiavero, Paolo Collo, Matteo Corradini, Andrea Valente e Giorgio Vasta. Molti, ovviamente, gli ospiti di rilievo che raggiungono Cuneo in occasione di Scrittorincittà. www.scrittorincitta.it

Dal 11 ottobre al 16 novembre torna protagonista ad Alba la fiera dedicata al Tuber magnatum Pico. Nella splendida cittadina, tanti gli appuntamenti dedicati all’enogastronomia, a cominciare dall’inedito format Alba truffle show, novità di questa edizione: una serie di eventi dedicati al cibo, per adulti e bambini, che vedranno protagonisti grandi chef stellati del territorio e ospiti illustri. Senza dimenticare la cultura, l’arte, il folklore e la tradizione che da sempre fanno da magica cornice alla prestigiosa manifestazione con numerosi appuntamenti: dal Palio degli Asini, all’Investitura del Podestà, fino al Borgo si Rievoca.

La Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba venne inaugurata nel 1929 come “Fiera mostra campionaria a premi dei rinomati Tartufi delle Langhe” e inserita nei festeggiamenti della Festa Vendemmiale. Nel 1932, la manifestazione era già in pieno sviluppo e l’anno successivo acquisì ufficialmente la denominazione “Fiera del Tartufo”, legandosi sempre più ai prodotti tipici dell’Albese e, in modo particolare, ai vini. Nel 1963, ottenne l’appellativo di “Nazionale” e nel 2007 quello di “Internazionale”. www.fieradeltartufo.org.

TORINO SPIRITUALITÀ COMPIE 10 ANNI “Una buona testa e un buon cuore sono una combinazione formidabile”. Parola di Nelson Mandela. Eppure, basta leggere i giornali per scoprire come cuore e testa non siano spesso in accordo: nella vita di ciascuno di noi, come nelle vicende delle nazioni. Torino Spiritualità compie 10 anni e si interroga in questa edizione sul perché cuore e testa procedano separate. Il “Cuore intelligente” è, infatti, il tema affrontato dal 24 al 28 settembre. Il “cuore” della manifestazione è Torino, ma non mancano eventi fuori città: come le Camminate spirituali sulle Alpi. In programma 150 appuntamenti con 160 voci provenienti da tutto il mondo. Da non perdere la Notte Bianca della Spiritualità (27 settembre, San Salvario). www. torinospiritualita.org

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TORNA FLOR NEL CUORE DI TORINO

UBAGO, IL LIBRO PER RIFLETTERE SU INVERNO, INFERNO E SPERANZA

Con i suoi parchi, le colline e oltre 320 km di alberate, Torino rientra tra le città più verdi d’Europa. Per questo un evento come Flor, una due giorni tra piante e fiori da tutto il mondo per le vie del centro, trova qui il suo luogo d’elezione. Quest’anno, l’appuntamento con il meglio del florovivaismo italiano ed europeo raddoppia: dopo la primavera, si fa il bis in autunno. L’11 e il 12 ottobre, come sempre in Via Carlo Alberto, fiori e piante sono protagonisti con i loro colori e profumi. Il menu è ricco: dagli agrumi siciliani alle piante alpine, dai profumi del Mediterraneo ad alberi e arbusti. E ancora: piante rampicanti ideali per abbellire spazi urbani, terrazzi e balconi, ma anche piante da appartamento, specie rare e insolite, come quelle tropicali e acquatiche. Ma non mancano nemmeno l’oggettistica per il giardinaggio, i libri, le sementi, i prodotti naturali, le decorazioni e le spezie, per offrire, a 360 gradi, una vera e propria “cultura del verde”, che cresce rigogliosa nella città della Mole. A cura della Nuova Società Orticola del Piemonte. www.orticolapiemonte.it

Ubago (Alzani – 2014) ha vinto la sesta edizione del Premio Letterario “Città di Ventimiglia”. Il romanzo lo ha scritto Franca Acquarone, nata a Ormea, piccolo comune di confine dell’alta Valle Tanaro, incardinato tra la Liguria, il Piemonte e la Francia. Acquarone, prossima alla pensione dopo più di 40 anni di lavoro come psicologa e psicoterapeuta, sogna di passare più tempo tra i castagni di Ormea e gli ulivi della Valle Impero, perpetuando la narrazione e la conservazione di quegli elementi della storia collettiva che rischiano di andare perduti. Ubago è indicativo di luogo selvatico, esposto a tramontana, all’ombra, all’umido.

Ubago è anche il buio dei cuori, resi sordi e impenetrabili dal rancore e dall’odio, alimentati da insanabili ferite. Ubago è lo spegnersi tragico di una vita, la perdita di un sogno prezioso, il dramma di uno stupro. “Ma là, sulle creste, qualcuno è tornato e porterà speranza”. Franca Acquarone, attenta osservatrice delle pieghe più profonde dell’animo, crede fermamente nella possibilità che ciascuno ha di volare al di là del dolore, intrecciando legami oltre ogni confine.

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THÉRAPIE DU DESÉRT, DA FOSSANO AL MAROCCO Si chiama Paola Manna. È istruttore di fitwalking e nordic walking. Nel suo passato, anche competizioni da runner e all’attivo diverse ultramaratone nei deserti africani: Sahara tunisino, Sahara marocchino, Sossusvlei in Namibia, Sahel in Senegal. Poi ha scelto il passo lento. Il deserto l’ha sedotta, condotta a sé. “Ogni competizione – afferma Paola Manna – ha tracciato nel mio cuore un ricordo indelebile e spesso mi sono domandata quale fosse la motivazione che mi permettesse di sopportare tutte le fatiche e le privazioni che tali gare comportavano: non certo l’ambizione di vincere e neppure il desiderio di mostrare a me stessa quali fossero i miei limiti sportivi. Le lunghe marce, spesso vissute in solitudine e accompagnate dal silenzio più assoluto, mi hanno fatto riscoprire sensazioni interiori che non sapevo più avvertire e un contatto profondo con il mio ’io’ che avevo dimenticato.

Da queste esperienze è nato il progetto Thérapie du desért: offrire a tutti l’opportunità di vivere simili momenti, di cogliere la propria dimensione divina, di ritrovare l’intimo legame con l’universo.

Tutto ciò senza sottoporsi a massacranti preparazioni fisiche e condividendo quanto il deserto sa offrire: camminare in compagnia dei dromedari, rilassarsi durante le soste nelle tende berbere, bere il dolce tè alla menta sopra una duna, ammirare l’affascinante manto di stelle dei cieli notturni. ‘Una miracolosa terapia’ che rigenera anima e corpo”. www.paolamanna.com

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L’AIDDA a Taipei per il FCEM

Evento di respiro internazionale per l’AIDDA (Associazione Imprenditrici Donne Dirigenti d’Azienda), che dal 21 al 25 settembre 2014 partecipa al Congresso Mondiale FCEM (Femmes Chef d’Enterprises Mondiales) a Taipei (Taiwan), a cui è affiliata. Una realtà di estrema importanza, quella dell’imprenditoria al femminile, che AIDDA vuole valorizzare fin dalla sua fondazione, a Torino, nel 1961.

Le iscritte AIDDA sono donne che operano nei settori più diversi, dal commercio (circa il 30%) all’industria (32%), con presenze di primo piano in campi come l’abbigliamento, l’alimentare, l’arredamento, la chimica, l’edilizia, l’editoria, la metalmeccanica, dai servizi (30%, dalle assicurazioni al settore pubblicitario) all’agricoltura (6%) e all’artigianato (2%). Oggi l’associazione conta 16 delegazioni in tutta Italia, 1300 iscritte – le più numerose proprio in Piemonte, 225, regione seguita dalla Lombardia, 185 – e vale circa 500 milioni di fatturato. www.aidda.org

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VIVERE IL PARCO ALLA CORTE DEI ROERO Nella magnifica cornice del Castello dei Conti Roero a Monticello d’Alba, domenica 28 settembre 2014, il parco romantico all’inglese diventa protagonista di una giornata all’insegna del verde e all’aria aperta.

Dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 14,00 fino alle 18,00, ogni ora sono in programma un percorso di visita guidata al castello e uno al parco. Al termine del tour, un assaggio di vermouth di Anselmo Vermouth (Torino), per chi lo desidera.

I più piccini, alle 16,00, su prenotazione, sono attesi da un’educatrice per un laboratorio didattico nel magico mondo delle erbe e per imparare a realizzare il proprio “Quaderno del bosco”.

In caso di maltempo, l’appuntamento per i più piccoli è previsto all’interno del castello. Le visite guidate si tengono invece regolarmente, con possibilità di camminare sull’asfalto. www.turismoinlanga.it

a cura di Monia Re - wedding & event designer

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UN TUFFO NEL PASSATO, AI TEMPI DELLA “CAVALLERIA”

il baciamano I

l baciamano viene considerato da qualcuno un gesto ormai superato, uno stile di altri tempi, in cui la galanteria era d’obbligo. Ma, per un attimo, immaginiamolo ancora attuale.

E perché no? Non sarebbe bello se tornasse di moda? Mai dimenticato in certi ambienti, il baciamano era simbolo di rispetto verso le signore e, allo stesso tempo, sottile arma di seduzione, con il suo rituale, sconosciuto ai più, che è bene invece riscoprire e non sbagliare. Proviamo a rispolverarlo e a sognare ancora un po’.

Questa forma di saluto, un’affascinante espressione di galanteria nell’immaginario collettivo femminile, non si può improvvisare e, se non riesce spontaneo o non appare disinvolto, è meglio evitarlo, per non incorrere in brutte figure.

Occorre conoscerne le piccole ma importanti sfumature. Innanzitutto niente ostentazione – gesti esagerati o inchini infossati – ma naturalezza allo stato puro. Nessun gesto affettato. Lui, con la giacca abbottonata (perché non si fa mai il baciamano in tenuta sportiva), si deve chinare leggermente verso la mano – che la “dama” dovrebbe porgere nel modo appropriato – senza alzarle troppo il braccio. Le labbra del “cavaliere” devono quindi limitarsi a sfiorare vagamente il dorso della mano (evitando l’effetto “ventosa”!), senza vibrare un bacio vero e proprio. Una meravigliosa poesia in un atto così semplice.

Acquisita la gestualità, occorre badare bene a tutto ciò che ne consegue. Ovviamente, molta attenzione va riservata all’atteggiamento della signora alla quale è destinata tale forma di galanteria. Lei potrebbe preferire una semplice stretta di mano. Meglio, quindi, valutare prima e non essere troppo tempestivi.

Avvertenza! Non si dovrebbe mai baciare la mano per strada e in luoghi aperti. Le donne,

un tempo, non uscivano di casa senza coprire mani e gambe: ecco il motivo per cui il gesto avveniva solo nei luoghi chiusi. Anche per non dare nell’occhio. “No”, quindi, per strada, sui mezzi pubblici, nei bar, in banca, in ufficio. Con una deroga: un baciamano appena accennato può essere “ammesso” davanti al portone di casa, oppure di fronte a un teatro. Ultima accortezza: mai usare tale forma di saluto con una ragazzina.

Fondamentale è anche ricordare di salutare tutte le signore presenti. Per non essere scortesi, non si bacerà la mano solo ad alcune escludendone altre. Tutte o nessuna. Per evitare di passare la serata tra inchini e galanterie, si potrà uscire dall’impasse baciando la mano solo alla padrona di casa e riservando un inchino alle altre “dame”. Non vi sembra già di essere al ballo delle debuttanti?

Manuali di stile e di etichetta si rincorrono e si contrappongono nel caso in cui la “dama” in-

dossi i guanti. Se la “gentil mano” è coperta, il baciamano sarebbe da evitare, ma eventi recenti, nobili e mondani, evidenziano il contrario.

Come talvolta succede, il vecchio e il nuovo galateo si contraddicono, creando qualche momento di confusione… Ma aldilà di ciò, è bello pensare che molte donne di oggi sognano di trovarsi almeno una volta sulla scena di un romantico film e di avere accanto un cavaliere che, con disinvoltura e galanteria, mostra loro devozione e rispetto con un baciamano!

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | personal shopper

a cura di Phil Boschero - personal shopper

DA NEW YORK, LONDRA, MILANO E PARIGI LE NUOVE TENDENZE PER AFFRONTARE IL FREDDO

trends uomo-donna fall - winter ‘14/’15

Dalle passerelle presentate nelle capitali mondiali della moda arrivano le nuove proposte per essere eleganti e affrontare la stagione fredda. Pattern variegati si alternano alle monocromie, tessuti pregiati caldi e impalpabili per uno stile che si rinnova partendo dalla tradizione. Gilet doppio petto e panciotto per lui, cappa e tricot e mantello per lei. Dettagli fantasiosi completano il look.

PER LUI

PATTERN: Monocromia, fantasie e grafismi sono i pattern pensati dagli stilisti per vestire la donna nell’inverno.

PROPOSTE STILISTICHE: Lo stile monocromatico con un tocco classico è il punto di forza della Maison Gucci, prediletto anche da Christian Dior e Karl LagerFeld per le creazioni Chanel.

Stampe e fantasie vengono invece utilizzate da: Valentino, rivisitate in stile new optical, astratte per Givenchy e floreali per Louis Vuitton.

COLORI PRINCIPALI: Palette cromatica varia per la donna che va dal: grigio peltro, al verde muschio o pino, al sabbia, fino al rosa confetto.

MUST HAVE: tre sono le parole da ricordare: montone, tricot e cappa. Il montone nella ver-

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PATTERN: Le creazioni pensate dagli stilisti per l’uomo utilizzano principalmente pattern quali: il damier, l’argyle, il gessato e il tartan.

PROPOSTE STILISTICHE: Ermanno Scervino ed Etro puntano sul damier: tessuto a quadri posti a contrasto neri, blu e grigi per la collezione Scervino, più vintage per Etro.

Philipp Plein utilizza il tartan rivisitato in variante classica.

Moncler e Bottega Veneta fanno del motivo a quadri il cavallo di battaglie per le loro creazioni: utilizzando una pailette dai colori vivaci il primo, preferendo le tonalità declinate in colori scuri e freddi per il secondo.

sione femminile sarà oversize: corto e bicolore per Alexander Wang, in stile biker per Chloé, stile vestaglia per Ermanno Scervino ed infine patchwork per Prada.

Il tricot, capo realizzato con lana lavorata a mano, indossato sotto il montone, non deve mancare nel vostro armadio. Tante le proposte: Fay, Michael Kors, Toga.

La cappa dalla forma a uovo e la mantella ritornano di gran voga: Salvatore Ferragamo e Dsquared2 sono solo due dei tanti stilisti che hanno rivisitato in chiave moderna questo capo diventato must per l’inverno.

Dettagli a completamento dell’outfit? Piume e Lurex.

COLORI PRINCIPALI: nero, blu, grigio e marrone. Non mancano colori multivitaminici delle collezioni brandizzate Dsquared2 e Costume National.

MUST HAVE: Il gilet doppiopetto, indossato sotto la giacca o blazer, comunemente chiamato panciotto, torna alla ribalta presentandosi nella collezioni di Armani, Varvatos ed Etro. Il capospalla, con cintura in vita, dallo stile classico, e lungo sino alle ginocchia, deve accompagnare i nostri inverni. Per quanto riguarda gli accessori: il cappellino in lana modello beanie e le maxi borse da weekend così come le handbag sono indispensabili per rendere il look completo.

PER LEI

COSTRUIRE LA VIA DEL PROGRESSO, DELLA COESIONE SOCIALE E DELLA PACE PER

essere d’esempio PREMIO INTERNAZIONALE “KOUROS” l 16 luglio, a Roma, nella suggestiva cornice di Villa Dino, sull’Appia Antica, si è tenuto il gran galà per il conferimento del prestigioso Premio Internazionale “Kouros” 2014, promosso dall’Istituto Europeo di Cultura Politica “Italide”, e dalla sua presidente Antonella Freno, insieme alla Fondazione CRE di Domenico Naccari. Quest’anno, tra i premiati , il senologo e chirurgo Francesco Schittulli, presidente nazionale della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori.

Il premio, istituito nel 2007 con il patrocinio del ministero dei Beni Culturali e ispirato alla scultura marmorea del Kouros magnogreco, eterno giovinetto che nella mitologia classica è metafora del buono e del giusto, è stato presentato da Michele Cucuzza e Camilla Nata, e allietato dalle musiche della band del maestro Alberto Laurenti.

Sono state premiate, con opere del maestro orafo Michele Affidato, professionalità che “coniugando impegno e talento, bellezza e semplicità, valori e passione, hanno promosso e promuovono, nel quotidiano, condizioni di eccellenza culturale, umana e professionale, evidenziando ed esaltando il ruolo strategico del Mediterraneo in Europa e contribuendo a costruire la via del progresso e della coesione sociale, dell’innovazione e della pace”.

Tra i premiati, oltre a Francesco Schittulli, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, l’imprenditore Santo Versace, l’ambasciatore del Marocco Hassan Abouyoub, il presidente della Fondazione “Magna Carta” Gaetano Quagliariello, e il vicedirettore del TG1, Susanna Petruni. Cena di gala che ha

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unito lo stivale in un percorso enogastromico da nord a sud, con mousse di gorgonzola DOP, lavorato a due paste e prodotto in provincia di Cuneo, e paccheri di Gragnano con pomodoro San Marazano, il tutto condito con gli interventi comici di Gianfranco Fino.

L’ARTE PER L’AFRICA Mercoledì 23 luglio, Sara Iannone e una folta rappresentanza della nobiltà romana hanno raggiunto il Museo Civico di Trevignano Romano per visitare un meraviglioso allestimento di opere di Claude Monet.

Si tratta di 11 rarissime litografie originali, ancora conservate nella stessa cartella che fu del padre degli impressionisti, ed esposte per la prima volta in Italia per sostenere l’attività della Onlus Africaproject in Kenia.

Per Sara Iannone e i suoi ospiti, il museo ha organizzato un’apertura straordinaria, arricchita dal prezioso contributo del critico d’arte Lamberto Nata di Cuneo. La mostra Monet, l’invisibile tratto (19 luglio-18 settembre), è un evento benefico inserito nel Progetto “Arte e solidarietà” di Africaproject.

Al termine della visita esclusiva, la Iannone e i suoi ospiti si sono riuniti nei suggestivi giardini sul lago del ristorante Acquarella per una serata dal titolo Claude Monet: da Giverny a Trevignano Romano.

L’ambientazione naturale di questo particolare tratto del

lago di Bracciano, infatti, richiama incredibilmente i quadri realizzati da Monet a Giverny.

La pittrice Martine Goyens ha esposto alcune delle sue opere, mentre la splendida voce del tenore Sergio Panajia ha interpretato brani della fine del XIX secolo. Una splendida sfilata ha presentato i modelli inediti della collezione 2015 dalla stilista Zina Bensalem e, per concludere in bellezza, tutti in pista con i ritmi travolgenti del DJ Sandro Tommasi.

Tra gli ospiti, il principe Guglielmo Giovannelli, il marchese Giuseppe Ferrajoli ed Olga, Orietta e Luigi Ludovisi Boncompagni, Fabio Verna, lo stilista Luigi Bruno, monsignor Luigi Casolini, il barone Fabrizio Mechi, l’ambasciatore della Grecia in Vaticano, George Papadopoulos, Elena Russo e moltissimi altri.

UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | da roma

a cura di Camilla Nata - giornalista Rai

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | bontà a tavola

a cura di - Claudia Ferraresi - scrittrice ed esperta di enograstronomia

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LA CUCINA DEL VINO: CALORE RITROVATO

al tempo dell’autunno L

a tavola al tempo dell’autunno è ricca, colorata, gustosa. Le prime brume ti riportano in casa per godere dell’intimità, dei silenzi, della convivialità con gli amici.

L’autunno è tempo di vendemmie, sulle preziose colline di Langa, Roero e Monferrato, oggi riconosciute Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Un merito da attribuire al mondo contadino di padri e nonni che hanno saputo ridisegnare il paesaggio vitivinicolo, oggi ordinato come un giardino, tracciato a incastro secondo la migliore esposizione solare.

Armonie di architetture spontanee che distribuiscono i loro frutti al mondo. Dall’uva al vino, molti interessi ruotano attorno a questi elementi. Dal vino al food, il successo dell’agroalimentare italiano è un marchio ormai indelebile.

Professionalità in cantina e in cucina hanno decretato risultati insperati.

Le produzioni migliori aiutano con l’export la bilancia economica e la ristorazione completa anche l’attrazione turistica.

In stagione diventa interessante la “cucina del vino”, che innaffia carni saporite macerandole con verdure ed erbe aromatiche.

Suggeriamo una ricetta di particolare interesse stagionale di Giovanna Ruo Berchera, studiosa e docente di cucina.

CONIGLIO AL BARBERA D’ALBA CON UVA BIANCA E ROSSA Ingredienti per 4 persone 1 coniglio intero tagliato a pezzi (oppure 8 spalle) 1 grappolino di uva bianca

1 grappolino di uva rossa 1 cucchiaino da caffè raso di farina 9 cipolline borettane ½ carota ½ costa di sedano 1 spicchio di aglio 2 chiodi di garofano 1 pizzico di cannella 1 mazzetto aromatico (alloro, timo, rosmarino, salvia) 1 bicchiere di brodo di carne 2 bicchieri di Barbera d’Alba olio extravergine di oliva sale, pepe in grani PREPARAZIONE Sbucciate le cipolline e tritatene una insieme alla carota e al sedano. Lavate l’uva e staccate gli acini dai grappoli (dovrete ottenerne una manciata per tipo). Scaldate un filo di olio in un largo tegame (oppure in una padella larga dal fondo spesso, con coperchio a tenuta), quindi aggiungete i pezzi di coniglio sistemandoli uno accanto all’altro. Quando saranno ben dorati e scuri da un lato, girateli e salate.

Aggiungete il trito di verdure, l’aglio e il mazzetto aromatico, rosolando ancora un po’. Spolverizzate con la farina, mescolate e versate metà del vino bollente, lasciando evaporare a fiamma vivace fino a farlo consumare quasi del tutto.

Irrorate con il vino restante e cuocete ancora per qualche minuto a tegame scoperto. Coprite e lasciate sul fuoco, a fiamma dolce, per circa 20 minuti. Unite le cipolline, i chiodi di garofano, la cannella e un po’ di brodo, poi, dopo 10 minuti, l’uva, regolando di sale e pepe. Proseguite la cottura finché la carne non sarà tenera, le cipolline morbide e il fondo ben legato.

SAPERE SENZA ALTITUDINI: LA CONOSCENZA COSTA,

ma rende l’uomo libero S

ono in arrivo circa 600.000 euro per il mantenimento e lo sviluppo dei servizi scolastici nei territori montani.

La Regione Piemonte, per l’anno scolastico 2014/2015, opera su due linee d’intervento per sostenere gli istituti in aree territoriali svantaggiate. Da un lato, si interviene sulle scuole in situazione di criticità per numeri insufficienti di iscritti e che, quindi, hanno una ridotta offerta formativa: con questi fondi si dà la possibilità di pagare il personale docente e non docente per un monte ore maggiore.

Dall’altro lato, si prevede un sostegno economico per attenuare la creazione di pluriclasse, migliorando al contempo l’offerta formativa, principalmente con l’insegnamento delle lingue straniere e con attività integrative. Beneficiari del fondo sono 92 comuni piemontesi, molti dei quali hanno presentato progetti in forma associata tra più enti.

484 euro per libri e due dizionari (+1,7% sul 2013) e 506,50 euro per il corredo – per un alunno di primo liceo si supereranno i 1.300 euro. A questo studente serviranno infatti libri e mediamente quattro dizionari (per i licei), per un totale di 799 euro (+1,5% sul 2013), a cui si dovranno aggiungere quaderni, diari, zaini e astucci (506,50 euro), per un totale di 1.305,50 euro.

Per il presidente del Codacons, invece “solo

per il corredo scolastico nel 2014 una famiglia dovrà sborsare annualmente una cifra compresa tra i 450 e i 490 euro, cui va sommata una spesa media per i testi scolastici tra i 300 e i 350 euro, a seconda della scuola e del livello di istruzione, per un totale che va dai 750 agli 840 euro a ragazzo”. Poi, ci sono le mode. Che costano. Ma quella è una questione di famiglia: far capire che fa tendenza chi sa distinguersi è stare fuori dal coro.

UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | money, money, money

a cura di Giovanna Foco - Giornalista ex redattore infografico “Class CNBC”

E dentro gli zaini? Montagna o città è lo stesso. È in arrivo un rincaro per le famiglie. A lanciare l’allarme “caro scuola” sono le associazioni dei consumatori. L’Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha calcolato aumenti dell’1,6% per i libri e dell’1,4% per il kit scuola.

Le prime stime del Codacons hanno previsto, invece, un rincaro fino al 4,5% per i libri e fino al 2% per il corredo. L’Osservatorio parla di una spesa media totale pari a 1.036 euro a studente, mentre il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, calcola un costo “che va dai 750 agli 840 euro a studente”.

Conto particolarmente salato, poi, per chi ha figli iscritti al primo anno di una scuola media o superiore. Se per uno studente di prima media la ricevuta finale segnerà 990,50 euro – cioè

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | arte

a cura di Luca Morosi - blogger esperto di arte

UNA SANREMO D’ALTRI TEMPI

villa nobel

B

asta nominare Sanremo per evocare le atmosfere febbricitanti del Festival della Canzone Italiana, con tutte le polemiche che lo show puntualmente trascina con sé. Ma la città ha, in realtà, mille anime diverse che coesistono a formare uno scenario unico nel suo genere. Com’è noto, è meta modana del turismo commerciale e del glamour – con le boutique rinomate di Via Matteotti – ma è anche luogo di inattesi e suggestivi scorci fra i carruggi, quando si attraversa il passaggio porticato che conduce alla Pigna, il borgo antico sorto distante dal mare. Due città in una, senza soluzione di continuità: la parte “nuova”, infatti, affonda le radici nel XIX secolo, allorché sui vialoni e sui corsi fiancheggiati dalle palme sorsero gli hotel di lusso destinati ad accogliere i flussi del nascente turismo internazionale, durante gli “anni d’oro”

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della Belle époque: russi, inglesi, francesi avrebbero eletto Sanremo a irrinunciabile meta di villeggiatura ed avrebbero contribuito a trasformarla in uno straordinario specchio dei tempi.

Negli anni fin de siècle, la scena sanremese era impreziosita anche dalla presenza di una folta rappresentanza dell’élite intellettuale cosmopolita, tra cui, Alfred Nobel, che nel 1891 aveva lasciato Parigi per trasferirsi in una sontuosa villa di Corso Cavallotti, oggi a lui intitolata, che allora egli soleva chiamare “il mio nido”. Nobel, proprio lui, lo scienziato svedese noto in tutto il mondo per essere l’inventore della dinamite (1867) e, soprattutto, l’ideatore del famoso Premio – istituito attraverso il suo stesso testamento del 1895 – che tutti gli anni viene conferito a esponenti di spicco del panorama culturale mondiale in vari ambiti: letteratura, medicina,

fisica, chimica, economia e, non ultimo, la pace.

Luogo d’incontro di stimolanti dibattiti scientifici e culturali, Villa Nobel era stata costruita nel 1870 in stile eclettico su progetto dell’architetto Filippo Grossi. Subito dopo averla acquistata, Nobel aveva incaricato l’architetto Pio Soli di curarne i lavori di ristrutturazione secondo i dettami del gusto neogotico e si era egli stesso adoperato per ridisegnarne gli interni. Lì trovarono spazio mobili e suppellettili improntati a quell’esotismo – tanto in voga alla fine del XIX secolo – che avrebbe poi contagiato anche uno stravagante e bizzarro edificio Liberty del ponente ligure, Villa Grock di Imperia (1921-30).

Nobel rimase nella villa sanremese fino alla fine dei suoi giorni, perennemente impegnato nei suoi studi e mai pago delle sue ricerche.

Dopo una serie di “passaggi di mano”, nel 1973

te la villa, ricco di palme e di piante esotiche, testimone anch’esso dell’interesse collezionistico e della passione botanica tipici di quel periodo, che si ritrovano con ancora maggiore enfasi nel celebre giardino creato nel 1867 dall’inglese Thomas Hanbury a Mortola Inferiore (IM) nei pressi dei Balzi Rossi.

VILLA NOBEL Corso Cavallotti 116 – Sanremo (IM) Orario: mar-gio 10,00-12,30; ven, sab, dom 10,00-12,30 / 15,00-18,00; lunedì chiuso Tel. +39 0184 507380 – villa.nobel@provincia. imperia.it – www.villanobel.provincia.imperia.it

UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | arte

la struttura approdò definitivamente all’Amministrazione Provinciale di Imperia e, in seguito a un decennale intervento di restauro, dal 2002 ha riaperto al pubblico i propri locali, che oggi ospitano un museo intitolato al celebre proprietario. Una serie di sale allestite con pannelli esplicativi e “riambientazioni” storiche (si veda in particolare la ricostruzione del laboratorio dello scienziato) descrivono con fedeltà l’instancabile attività di Nobel e tracciano un percorso alla scoperta della principali invenzioni del XIX secolo, dal telefono al telegrafo, dai materiali sintetici alla dinamite.

Merita una menzione anche il giardino circostan-

Pochi sanno che Sanremo, oltre a essere stata meta di villeggiatura di russi, inglesi e francesi, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, fu anche residenza di Alfred Nobel, a cui è intitolato il prestigioso premio internazionale, dal 1891 alla morte avvenuta nel 1896. Photo: Luca Morosi.

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | arte

DA NON PERDERE

agenda INDAGINI SU SAN SEBASTIANO Castello di Miradolo, dal 4 ottobre La Fondazione Cosso dedica una mostra di grande spessore alla figura di San Sebastiano, con straordinari capolavori provenienti da importanti musei italiani e prestigiose collezioni estere (San Sebastiano. Bellezza e integrità nell’arte tra Quattrocento e Seicento).

La scelta del curatore, Vittorio Sgarbi, di approfondire l’iconografia di questo martire non è ovviamente casuale. L’aura di bellezza e l’intimo splendore che avvolge il corpo nudo e virile di Sebastiano – Apollo redivivo – ha catturato l’attenzione di tutti i più grandi artisti, dal Rinascimento ai giorni nostri, che si sono cimentati nella raffigurazione del santo trafitto dalle frecce, desiderosi di sperimentare nuove, rivoluzionarie, accezioni del nudo maschile. www.fondazionecosso.com

L’ARTE CONTEMPORANEA “DEMOCRATICA” Nizza, dal 17 al 19 ottobre Nizza torna punto di riferimento dell’arte moderna con Art3f, Salone Internazionale d’Arte Contemporanea, presso il palazzo delle esposizioni Acropolis. Un percorso originale aperto ai nuovi canali dell’arte, vista come momento “democratico”, in cui avviene l’incontro e il confronto tra il fruitore, il pubblico, e l’artista. Un itinerario dove l’opera è percepita per la sua bellezza, il suo significato, le emozioni che scatena più che per il suo valore economico.

Aperta a galleristi e artisti emergenti, Art3f, presente con esposizioni anche a Mulhouse, Nantes e Lione, punta sulla promozione del rapporto diretto tra la nuova creatività europea e gli amanti dell’arte. www.art3f.fr

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | arte

UN MUSEO PER ETTORE FICO Torino, inaugurazione 21 settembre Il 21 settembre, a Torino, apre i battenti il MEF (Museo Ettore Fico). Un giorno non casuale, perché coincide con la data di nascita dell’artista (21 settembre 1917, Piatto Biellese).

Dopo i primi studi di pittura con il maestro Luigi Serralunga, Fico attraversa una lunga carriera artistica, partecipando a numerose esposizioni collettive nazionali e internazionali, tra cui la Quadriennale d’Arte di Roma (edizioni VII, VIII e IX), la Biennale Internazionale di Cracovia nel 1966, la Mostra di Artisti Italiani a Praga nel 1968 e la XXXIX Biennale Nazionale d’Arte Città di Milano.

Morirà a Torino il 28 dicembre 2004.

La mostra antologica, che inaugura l’apertura del museo, percorre 60 anni della sua produzione e costituisce un compendio alle precedente retrospettiva a lui dedicata nel 2007, al Filatoio di Caraglio. È un omaggio all’artista e al suo vivace cammino artistico ed esistenziale: Algeri, durante gli anni della prigionia in guerra, la Liguria, la Costa Azzurra e Castiglione Torinese, rifugio tanto amato e protagonista in molte delle sue opere.

Quella di Fico è un’arte che affonda le radici in una dimensione legata alle straordinarie esperienze della pittura internazionale e a un’interpretazione degli oggetti e dei paesaggi permeata da un senso di poesia, in cui spesso si avverte il fascino raccolto e misterioso del suo giardino a Castiglione Torinese, magico luogo di silenzi e colori. Dal percorso espositivo, emergono gli aspetti più inediti e di ricerca della crescita artistica di Ettore Fico, dalle espressioni astratte a quelle più geometriche, dai sottili tocchi di colore alle pennellate materiche e informali.

MEF – Museo Ettore Fico Via Francesco Cigna 114 – 10155 Torino +39 011 853065 – 011 2376369 www.museofico.it – info@museofico.it Orario Dal 24 settembre 2014 all’8 febbraio 2015 Mer-dom: 11.00-19.00 – gio: 11.00-22.00 Inaugurazione: 21 settembre – ore 11,00-15,00

PABLO PICASSO. IL COLORE INCISO Forte di Bard, fino al 26 ottobre Si tratta della più importante retrospettiva sulla produzione di linografie del grande artista mai realizzata prima in Europa. Il Forte di Bard, insieme al Museo “Pablo Picasso” di Münster, propone al pubblico oltre 140 opere del maestro spagnolo, in un’esposizione curata da Markus Müller e Gabriele Accornero. Pablo Picasso è l’artista che, nel XX secolo, ha portato l’arte della stampa su linoleum ai più alti livelli stilistici, insieme a Henri Matisse. Emerge anche, tra le opere, il processo creativo dell’artista attraverso la tecnica dell’incisione. Ma, in parallelo, le linografie dialogano anche con le sue ceramiche. Pezzi di pregio, provenienti dal Museo della Ceramica di Vallauris e da collezioni private. Contestualizza il tutto la raccolta di 30 immagini del fotografo David Douglas Duncan e un filmato sulla sua vita. www.fortedibard.it

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | legge

a cura di Alessandro Parola - avvocato

LA NORMATIVA IN TEMA DI IMMOBILI IN REGIME CONDOMINIALE

morosità nelle spese di condominio L

a Legge n. 220 dell’11 dicembre 2012 è intervenuta in maniera sostanziale per disciplinare e riformare la normativa in tema di immobili in regime di condominio.

Tale riforma ha introdotto importanti innovazioni per ciò che concerne i compiti dell’amministratore e in materia di morosità del condomino conduttore di un appartamento in affitto. Inoltre, ha riformulato le norme previste dal Codice Civile riguardanti il mancato pagamento delle quote condominiali, per agevolare il relativo recupero dei crediti. Non sono stati posti in essere, in effetti, nuovi strumenti di “attacco” nei confronti dei condomini morosi, ma si è optato per una migliore definizione di quelli già esistenti, permettendo un’azione più veloce e più efficiente.

In quest’ottica di una maggiore celerità, viene ridisciplinato l’art. 1129 del Codice Civile, stabilendo, tra le altre novità, che in caso di condomini morosi, l’amministratore debba attivarsi per il recupero delle quote condominiali entro il termine massimo di sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito è divenuto esigibile, salva diversa dispensa dell’assemblea.

Esaminiamo brevemente i capisaldi della riforma, ovvero i doveri dell’amministratore e la posizione dell’inquilino moroso.

I COMPITI DELL’AMMINISTRATORE Lo strumento tipico da sempre utilizzato per il recupero dei crediti di natura condominiale è rappresentato dal decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. In primo luogo, quindi, l’amministratore sarà obbligato ad agire contro i ritardatari entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio. In sostanza, dovrà richiedere al giudice un decreto ingiuntivo per poter intervenire. Non rispettare la previsione codicistica, comporterà

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grave irregolarità e potrà essere causa di revoca del mandato dell’amministratore. Il passaggio in assemblea non è più previsto, così come per la sospensione del condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni, vera e propria novità introdotta dalla riforma. Si tratta di strumenti che contribuiranno a contrastare un fenomeno in continua crescita. L’assemblea, comunque, conserva la possibilità di dispensare l’amministratore dall’azione legale. Qualora, pertanto, sia stata promossa azione giudiziaria per il recupero dei contributi, l’amministratore può incorre in “gravi irregolarità” ed è passibile di revoca – se da ciò deriva danno per il condominio – nel caso in cui non abbia curato diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva.

LA POSIZIONE DEL CONDOMINO MOROSO In caso di vendita dell’immobile, con la riforma del condominio, è prevista la responsabilità solidale dell’acquirente con il venditore, per il pagamento dei contributi condominiali relativi all’anno in corso e a quello precedente all’acquisto. Ciò significa che l’amministratore potrà intraprendere le opportune azioni sia contro il vecchio proprietario, sia contro il nuovo, a prescindere da chi sia il soggetto che abbia generato le spese rimaste insolute. Inoltre, è stata introdotta la responsabilità solidale con l’acquirente, di chi cede l’immobile, anche relativamente a contributi maturati successivamente al trasferimento, fino al momento in cui all’amministratore non sia trasmessa copia autentica dell’atto di trasferimento. Una novità molto importante riguarda la possibilità per l’amministratore, in caso di mora nel pagamento protratta per un semestre, di sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento

separato. E ciò anche laddove tale facoltà non sia prevista dal regolamento di condominio, diversamente dal regime precedente. Ciò significa che si potrà provvedere alla disattivazione delle utenze – riscaldamento e acqua – laddove persista la morosità rispetto a tali servizi. Inoltre, il condomino moroso è penalizzato in sede di esecuzione forzata promossa da terzi per crediti verso il condominio, in quanto i creditori di quest’ultimo sono tenuti ad agire preventivamente nei confronti degli inquilini morosi e, solo in caso di esito infruttuoso dell’azione esecutiva, a soddisfarsi sul patrimonio di quelli in regola con i pagamenti.

Perciò, tra le novità introdotte dalla riforma condominiale del 2012, si segnala anche la possibilità per il creditore del condominio di accedere ai dati di gestione per individuare l’inquilino moroso e agire direttamente contro quest’ultimo, evitando che il condominio, quale soggetto giuridico, venga “aggredito” per ragioni legate principalmente alla morosità di alcuni inquilini. La riforma ha reso, quindi, più efficaci e penetranti alcuni rimedi, soprattutto nel caso di proprietari che, anche quando abbiano la possibilità di assolvere alle spese, approfittano delle mancate azioni giudiziarie per continuare a danno di quei condomini che, al contrario, pagano con regolarità.

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | motori

a cura di Riccardo Celi - giornalista automobilistico

IMMATRICOLAZIONI DI AUTO NUOVE IN DISCESA

dove va il mercato dell’auto

O

rmai l’Italia è abituata: i consuntivi mensili delle immatricolazioni di auto nuove non lasciano spazio agli entusiasmi. Ci sono molti segni “meno” e, anche quando c’è un “più”, spesso il numero che segue è davvero esiguo.

Insomma, la fine della crisi è lontana, come ripetono Anfia, Unrae e Federauto, le associazioni di categoria della filiera che rimpiangono i quasi 2,5 milioni di nuove targhe registrati nel 2007. Un risultato che oggi pare un miraggio: il 2013 si è chiuso con poco più di 1,3 milioni e quest’anno arriveremo forse a 1,4 milioni.

Nei primi otto mesi dell’anno, le vetture italiane hanno visto scendere la loro quota di mercato al 28,02% (259.269 unità, -0,77% rispetto allo stesso periodo del 2013), mentre i modelli esteri (626.959 esemplari, in crescita del 5,29%) sfiorano ormai il 72% del totale.

Tra le top ten, cinque sono però modelli italiani: le Fiat Panda (con 68.957 unità), Punto, 500L e 500, insieme alla Lancia Ypsilon, mentre la prima straniera (al sesto posto con 28.152 esemplari) è la Renault Clio. Il numero che conta, però, è il calo complessivo delle immatricolazioni, che a fine anno saranno circa 1,1

milioni meno del 2007, un crollo progressivo (anche nella provincia Granda, come dimostra la tabella a lato) che si è tradotto, negli anni, in una falcidia di concessionari di auto chiusi e in migliaia di lavoratori lasciati a casa. Come uscire da questa situazione e tornare a un livello di immatricolazioni “fisiologico” per il mercato italiano, che Roberto Vavassori, il presidente di Anfia, ha recentemente quantificato in 1,8 milioni l’anno? Prima di parlare di soluzioni, va chiarito che cosa si intende per “livello fisiologico”. Nel decennio d’oro 2000-2009, quando le immatricolazioni si mantennero sempre ben oltre i 2 milioni l’anno, sembrava proprio essere questa la “giusta” dimensione. Nel momento in cui iniziò la discesa, si parlò dapprima di 1,8 milioni, poi di 1,6 e anche di un 1,5, ma nessuno o quasi spiegò su quali calcoli e considerazioni si basavano tali numeri. Insomma, le cifre si sprecavano senza motivarle ed è così anche oggi. In realtà, l’espressione “valore fisiologico” è priva di significati precisi. In un Paese dove l’economia tira, il lavoro c’è, i consumatori sono fiduciosi e ottengono facilmente un prestito e lo Stato sostiene le vendite con incentivi alla

2009-2014: La crisi dell’auto nella Granda Nuove immatricolazioni

Variazione % su anno precedente

2009

24.815

-8,86

2010

21.448

-13,57

2011

21.582

0,62

2012

18.506

-14,25

2013

12.790

-30,89

2014*

8.040

-2,30

ANNO

*PERIODO GENNAIO-LUGLIO. FONTE: ACI.

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | motori

rottamazione (tale è stata, più o meno, la fotografia dell’Italia nel decennio scorso), di vetture se ne possono piazzare milioni e milioni. Ma se l’economia annaspa, i disoccupati superano il 12% (e il 40% tra i giovani), l’ottimismo e gli incentivi spariscono o quasi, le banche sono restie al credito e le auto, insieme ai carburanti, sono ferocemente tassati (cioè, la fotografia dell’Italia attuale), quasi non c’è limite al crollo delle vendite. Morale: il famoso “livello fisiologico” è semplicemente quello che il Paese si può permettere in base alla propria situazione socio-economica e non ha alcun legame con le congetture di chi spera in risultati migliori.

Detto ciò, a parere di tutte le organizzazioni di categoria, la soluzione per risalire la china sta principalmente nel ridurre il prelievo fiscale sull’auto, che nel 2013 ha generato 70,5 miliardi di euro, vale a dire oltre il 16% delle entrate tributarie dello Stato. In particolare, è necessario aumentare detrazioni e deduzioni fiscali sui veicoli aziendali, avvicinandole a quelle, molto maggiori, in vigore in altri grandi Paesi europei.

Tale misura, però, stimolerebbe il solo acquisto da parte delle partite Iva, ma non dei privati. Per questi ultimi, Federauto auspica un’aliquota Iva agevolata (un bel risparmio immediato), nonché la detraibilità fiscale dei costi di riparazione e manutenzione, oggi impossibile. Tutte buone proposte che il governo, se davvero tiene al mercato dell’auto, dovrà considerare attentamente.

ITALIA GIÙ, REGNO UNITO SU La Fiat Panda è in testa alla classifica dei modelli più venduti, aggiornata a luglio 2014.

La Renault Clio è al sesto posto (prima tra i modelli esteri) nella classifica delle auto più vendute sul mercato italiano nei primi sette mesi di quest’anno.

Tra le prime 10 auto più vendute in Italia, cinque sono modelli italiani. La Lancia Ypsilon (qui nella versone speciale Momo Design) è in quinta posizione.

Tra i motivi del crollo delle vendite di auto in Italia, alcuni analisti citano anche l’arrivo dell’alta velocità ferroviaria e le politiche di disincentivazione dell’uso dei veicoli privati messe in atto da alcune grandi municipalità (Milano, per esempio). Indubbiamente, i treni ultraveloci offrono una valida alternativa al trasporto privato e le aree a transito limitato o vietato costituiscono un ulteriore motivo per lasciare a casa la vettura o, magari, per non possederla affatto. Tuttavia, è significativo che proprio in un Paese europeo dove il mercato dell’auto sta andando molto bene, cioè il Regno Unito, vengano attuate politiche di limitazione del traffico veicolare cittadino privato assolutamente restrittive.

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UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | una mela al giorno

a cura del dott. Fabio Moretti - vice presidente AMF-Associazione Medicina Fetale ONLUS

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DIAGNOSI PRENATALE: IL PRIMO TEST NON INVASIVO SU DNA FETALE COMPLETAMENTE ITALIANO

arriva il “prenataltest” D

iagnosi prenatale: il primo test non invasivo su DNA fetale circolante nel sangue materno completamente italiano parla anche cuneese. Da settembre è disponibile il Prenataltest, un nuovo test non invasivo per la diagnosi

prenatale delle principali aneuploidie cromosomiche da DNA fetale circolante nel sangue materno. Attraverso un semplice prelievo di sangue periferico della mamma, è possibile, con una particolare procedura di sequenziamento, valutare la presenza o meno delle più importanti alterazioni cromosomiche, quali la trisomia della coppia di cromosomi 21, conosciuta anche come Sindrome di Down, la trisomia della coppia 18, nota come Sindrome di Edwards, la trisomia della coppia 13, la Sindrome di Patau, e tutte le eventuali alterazioni a carico dei cromosomi sessuali X e Y. In Italia sono disponibili altri test simili, frutto di ricerche sviluppate da laboratori privati americani o cinesi, ma Prenataltest è l’unico su DNA fetale non invasivo, concepito, studiato, validato e refertato completamente in Italia. La sua storia inizia circa due anni fa all’Ospedale Universitario di Careggi (Firenze) dove, nei laboratori di Diagnostica Genetica, diretti da Francesca Torricelli, si crede nell’importanza di approntare e validare un test non invasivo su DNA fetale, sicuro e precoce (decima settimana). L’obiettivo è quello di limitare al massimo il ricorso alla diagnosi invasiva (amniocentesi, villocentesi), che ha una percentuale di abortività del 1-2 %, e offrire l’opportunità alle future mamme di affrontare una gravidanza consapevole nel suo periodo iniziale. Tutto questo, però, necessita di importanti risorse e personale specializzato: per questo il progetto prevede il coinvolgimento delle istituzioni e di una società privata che, unendo le forze con l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, permettano la realizzazione pratica dell’idea.

E qui si inserisce il contributo “cuneese” del test, la società Ebios Futura di Mondovì, che,

con il sostegno economico della Banca Alpi Marittime di Carrù, decide di supportare economicamente l’idea e di sostenere l’impegno di due ricercatrici all’interno dell’equipe di studio.

Successivamente anche la Regione Toscana eroga un finanziamento alla AOU Careggi.

Trovato “il carburante”, si procede alla definizione delle procedure di laboratorio e all’elaborazione degli algoritmi di calcolo, verificati attraverso uno studio che, grazie alla collaborazione dell’Ospedale di Grosseto e il “Piero Palagi” di Firenze, vede reclutate 2.500 mamme, in un campione eterogeneo composto da gravide a rischio e non (gli altri test sono stati verificati e validati solo su campioni di mamme a rischio).

Alle future mamme viene prelevato un campione di sangue, che viene inviato al laboratorio di Firenze dove si effettua il Prenataltest, e i cui risultati vengono poi confrontati alla nascita.

Alla fine della ricerca, che sta per essere pubblicata sulle riviste scientifiche, risulta che il referto del Prenataltest è stato confermato più del 99% delle volte e che, quindi, ha un’attendibilità e una specificità superiore al 99%. A questo punto della vicenda, per il Prenataltest è stato richiesto uno specifico brevetto, che da fine settembre è disponibile per tutti i ginecologi-osterici che vorranno utilizzarlo con le loro pazienti, per adesso a pagamento; tuttavia, la Regione Toscana sta già verificando la possibilità, attraverso uno specifico protocollo, di offrire il Prenataltest gratuitamente alle gravide positive al test combinato.

Si parlerà del Prenataltest anche al MION (Congresso Internazionale Ostetrico e Neonatologico delle Alpi del Mare), che si terrà a Cuneo presso il Centro Congressi della Provincia dal 6 all’8 novembre 2014.

correre “fa del bene” L

a prima Airport Run d’Italia, che si è corsa domenica 7 settembre sulla pista dell’Aeroporto di Cuneo Levaldigi, ha registrato un enorme successo e si pensa già alla prossima edizione del 2015.

Oltre 1.000 i partecipanti per un ricavato di quasi 25.000 euro, che verranno devoluti alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro Onlus, la quale, a sua volta, sostiene l’Istituto di Candiolo. “È stata una giornata di sport, di festa, di allegria, ma anche di solidarietà – ha commentato Fabio Spagnuolo, responsabile marketing e fundrasing della Fondazione – che ci ha consentito di raccogliere fondi per l’Istituto di Candiolo. La grandissima partecipazione di podisti e di pubblico dimostra e conferma ancora una volta che la gente crede nelle attività di ricerca e di cura

del nostro centro tumori.

La corsa benefica è stata organizzata interamente dai nostri volontari con il sostegno della Fondazione ‘La Stampa – Specchio dei Tempi’. Non ci sono stati sprechi e nessun centesimo è stato buttato, come in tutte le nostre iniziative.

Un ringraziamento – conclude Spagnuolo – alla società di gestione dello scalo di Cuneo, la GEAC, in particolare all’ad Pepino e al presidente Viriglio, alla Polizia di Frontiera, alla Prefettura e alla Questura di Cuneo, per aver collaborato alla riuscita dell’evento”.

La Fondazione “Specchio dei Tempi” ha donato qualche settimana fa all’Istituto di Candiolo una nuovissima risonanza magnetica di ultima generazione della General Electric, che consentirà diagnosi più precise favorendo cure più efficaci contro il cancro.

photo: p.o. Airportrun

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AIRPORT RUN PER LA RICERCA CONTRO IL CANCRO

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SI È CONCLUSA LA GFE, CHE GIÀ PENSA IN GRANDE PER LE 40 CANDELINE

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GFE, attuale sempre Un pubblico qualificato ha premiato gli espositori della XXXIX edizione della Grande Fiera d’Estate di Cuneo. “I numeri sono in linea con quelli dello scorso anno – spiega Massimo Barolo, amministratore unico di Al.Fiere Eventi – questo grazie anche alla decisione di lanciare l’esperimento del sabato mattina a ingresso libero, con accreditamento sul sito. Uno sforzo compensato dalla risposta: visitatori interessati arrivati da tutto il Piemonte, dalla Liguria e dalla Francia”.

Hanno dato i propri frutti anche gli importanti investimenti tecnologici che Al.Fiere Eventi ha fatto quest’anno: “Abbiamo cercato di rendere l’evento al passo con i tempi – spiega Gianmaria Barolo, direttore commerciale di Al.Fiere Eventi – a partire dal portale “In fiera tutto l’anno”, che darà visibilità continua, per 365

giorni, agli espositori. Inoltre, è stata creata una app per aggiornare i visitatori, in tempo reale, su iniziative e novità”.

Queste le premesse con le quali Al.Fiere Eventi inizierà a lavorare per organizzare la Grande Fiera d’Estate del prossimo anno. Sarà un’edizione storica: la numero 40.

Anche [UNICO] people & style – il magazine dalle Alpi al mare, era presente, quest’anno per la prima volta, alla grande manifestazione.

Un’occasione per incontrare direttamente i lettori e presentare, in anteprima, il mini-film Un magazine fatto di persone, che racconta come nasce il primo magazine tutto cuneese, tanto apprezzato dal pubblico piemontese, ligure e francese. Tanti gli amici passati presso lo stand per farsi fotografare con i creatori di [UNICO] e ritirare la propria copia omaggio.

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photo: press office GFE

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enrico crippa: coer et raison de Vanina Carta – pg 12

11 heures du matin, nous voilà à Alba, au numéro 4, Piazza Risorgimento. Et voilà le chef: un parmi les chefs rentrés dans le gotha mondial, qui a offert à notre Pays les trois étoiles Michelin. Enrico Crippa a trouvé dans la ville de Alba sa patrie d’adoption et, ici, depuis 2005 il est le coeur, la tête, l’esprit et le bras du restaurant Piazza Duomo, dont le propriétaire est la famille Ceretto. C’est un homme qui a l’habitude de parler aux journalistes, tout en restant humble, un homme qui sait représenter le travail comme valeur, en décidant de lui dédier toute une vie.

Très peu de questions et tout de suite apparait un profil rare, celui d’ un homme complet, dont la discipline et la rigueur sont des traits professionnels importants.

Le chef, élève de Gualtiero Marchesi a un curriculum tout à fait étonnant – il a travaillé avec des noms tels que Christian Willer (Palme d’Or, Cannes), Gislaine Arabian (Ledoyen, Paris), Antoine Westermann (Buerehiesel, Strasbourg), Michel Bras (Laguiole), Ferran Adrià (El Bulli, Roses), et il a lancé le restaurant de Gualtiero Marchesi à Kobe ( Japon) en 1996 et, aujourd’hui, il se raconte à Unico.

Comment on se sent à diriger un des restaurants 3 étoiles Michelin, très rares au niveau mondial, dans une petite ville d’environ 31.000 habitants, donc sans le public de Milan ou des grandes villes ?

D’après moi, en réalité, cela n’est pas un désavantage, au contraire, c’est la situation idéale pour plusieurs raisons. Premièrement, à Milan, ou dans une grande ville, ma cuisine ne pourrait pas être ce qu’elle est à présent. La cuisine, c’est en effet le moment culminant d’expression d’un territoire, par laquelle il se transforme inévitablement. J’ai eu la chance d’arriver dans un endroit comme celui-ci, les Langhe. Le paysage, quand tu regardes dehors, est là, très proche de toi, et il te rentre dedans, prêt à offrir une qualité et une variété de produits exceptionnels, mais accessibles à tout le monde, tous les jours: de plus, c’est un terroir qui offre des vins prestigieux, les truffes, les noisettes, pour ne pas citer les viandes et les fromages et bien d’autres produits encore …. Ici, de plus, tu peux trouver la sérénité de l’esprit. Enfin, il y a tout.

A ce propos, il est vrai que vous gérez personnellement un jardin pour les matières premières?

En vue de renforcer l’authenticité de ce lien avec le territoire et la saisonnalité du menu, avec la famille Ceretto on a étudié la possibilité de créer et gérer directement un jardin, qui a trouvé sa place à Barolo, dans la zone de la D.o.c.g et qui, dans le temps, a été agrandi. Aujourd’hui il fait presque 2 hectares et son importance croissante dans notre menu est liée au fait qui nous permet d’utiliser notre production de légumes et de différentes herbes sélectionnées, même comme ingrédients pour accompagner simplement les plats. Le jardin suit une approche biodynamique et biologique.

Vous avez été formé par Gualtiero Marchesi, qui vous a reconnu en tant que son seul véritable héritier. Comment jugez-vous cette affirmation ?

Ce sont des paroles tout à fait enjôleuses, mais je pense que, en moi, il voit une figure professionnelle, celle du chef, à 360 degrés: ce qui est d’abord à la base de son enseignement et que je sens m’appartenir entièrement. Le chef, en effet, n’est plus celui qui reste fermé dans sa cuisine mais celui qui devient aussi un “manager” d’une véritable entreprise. C’est un métier en évolution, dans lequel il faut avoir de la familiarité même au niveau de la gestion des ressources humaines – parce-qu’il faut avoir de l’autorité mais en même temps tu dois savoir créer et guider ton équipe à laquelle trasmettre tous les jours ton enthousiasme et ta créativité.

Les Langhe, le Roero et le Monferrato sont devenus depuis très peu de temps des sites UNESCO...

Oui, c’est une occasion unique. Ce territoire est merveilleux par nature, ici les protagonistes sont les produits alimentaires d’excellence, et à tout cela s’ajoute un paysage éclatant. Parce-que les Langhe doivent devenir de plus en plus l’endroit où l’on peut bien vivre, sans les stress des grandes villes et surtout en contact avec le paysage et la nature.

Votre rapport avec les frères Ceretto.

Je peux le définir un rapport “à l’ancienne”. Le premier contact avec eux, je l’ai eu il y a 12 ans, par l’intermédiaire de Carlo Cracco, auquel je suis très lié. A’ l’époque, Carlo était parti de Piobesi d’Alba, où il gérait le restaurant Le Clivie, toujours des Ceretto, pour aller à Milan. Le but de Monsieur Bruno Ceretto était celui de donner aux Langhe et à tout le terroir aux alentours de Alba, un restaurant pouvant être le trait d’union absolu de ce territoire. Son modèle était la France, capable de créer un véritable système de réceptivité et d’haute restauration, dans des endroits spécifiques, parfois autour même d’un seul produit alimentaire de pointe. Ce qui manquait ici, ce n’était pas un restaurant, puisqu’il y en avait déjà plusieurs à l’époque, mais “le” restaurant de très très haute gamme. Nous nous sommes rencontrés trois fois: chaque fois il s’assurait que ma vision du projet coïncidait avec la sienne et notre rencontre

finissait avec une poignée de main, comme l’on fait entre les hommes qui savent de n’avoir qu’une parole….. Et aujourd’hui le rapport avec les Ceretto est presque un rapport de famille. Même s’ils ne me connaissaient presque pas, ils m’ont accueilli et m’ont fait confiance, totalement; ils ont cru en moi, sans jamais mettre des limites aux moyens et ils m’ont aidé dans toutes les décisions. Au fond, il y a une vision et des objectifs que nous partageons profondément, c’est-à-dire l’excellence absolue fondée sur un dur travail quotidien.

Et à propos de la motivation, quel poids ont les “3 étoiles”?

Sans doute quand on est reconnu avec les 3 étoiles, l’enthousiasme et la motivation sont au maximum, mais il faut voir les choses d’une perspective correcte et rester pratique…. Je m’explique: le moment où l’inspecteur Michelin arrive, sans que personne le sait, bon, c’est important, mais aussi bien important est l’histoire de ton travail, le soin apporté dans les choses tous les jours et l’attention envers tous les clients, sans aucune distinction. Cela va créer un entourage, une clientèle qui se forme une opinion sur toi et ça c’est ce qui reste véritablement. Les trois étoiles sont un résultat extraordinaire, mais ce qui est réellement important, c’est le travail que l’on fait tous les jours.

Enfin, nous ne la verrons jamais à la télé?

Pour le moment cela ne rentre pas dans mes projets. Notre travail, celui du chef, est un travail “violent”, épuisant, qui massacre, où tu n’as jamais terminé, sous pression de 8 heures du matin à 11 heures le soir ... En général, je crois que la télé a joué un rôle positif parce-qu’elle a fait redécouvrir la figure du chef pour montrer que notre métier a changé. Cette profession est faite de fatigue, ce n’est pas simplement un jeu ou un hobby, un métier où tu découvres que ce qui est vraiment important est le client et son bien-être.

l’aviron à turin

di Marco Jorio – pg 32 Nombre de grandes villes européennes partagent une même caractéristique : elles sont établies près de cours d’eau importants. La première capitale italienne, Turin, ne serait ce qu’elle est aujourd’hui sans le Pô, le fleuve le plus long d’Italie, l’une des plus grandes voies fluviales utilisables même à des fins sportives.

Ce fut ainsi, qu’à la fin du XIXe siècle, la capitale de la maison de Savoie devint le cœur de l’aviron italien, avec le développement rapide des premiers cercles. Les plus anciennes sociétés, en activité à ce jour, sont la « Reale Società Canottieri Cerea » qui a fêté, en 2013, son 150e anniversaire (1863), le « Circolo Eridano » également fondé en 1863, la « Canottieri Armida » instituée en 1869, la « Canottieri Caprera » en 1883 et l’« Esperia Torino » en 1886.

C’est justement à Turin, le 31 mars 1888 que fut créé, grâce à la contribution de certains de ces cercles, le Rowing Club Italien, l’actuelle Fédération Italienne d’Aviron. Le Pô a vécu des saisons enthousiasmantes sous l’impulsion de la Maison Royale et devint rapidement un rendez-vous sportif, théâtre de nombreuses régates et manifestations, mais également un espace convivial où les Turinois pouvaient profiter de l’atmosphère séduisante du fleuve, socialiser, se divertir et organiser des activités culturelles.

Dans les années qui ont suivi l’institution des clubs sur les berges du fleuve, d’autres sociétés ont été créées, comme la CUS Turin, plus spécialement dédiée à l’activité sportive, ou la société des « Amis du Fleuve », fondée en 1979 avec une double vocation : le sport et la socialisation.

Aujourd’hui, l’offre ne manque pas pour ceux qui souhaitent se rapprocher de l’aviron : les sociétés proposent des cours pour les enfants de 9 à 14 ans, des cours d’entraînement et des compétitions pour les jeunes de 15 à 17 ans, ainsi que des cours d’amateur pour les adultes.

Dans certains cas, les équipes participent à des régates nationales et internationales, où les cercles turinois se distinguent, encore aujourd’hui, par leur ténacité et leurs performances.

Pour ceux qui se limitent à la connaissance de l’aviron à travers les succès olympiques italiens, il faut noter que les différents types d’embarcation se distinguent par la longueur, les matériaux et le nombre de rameurs, auquel peut s’adjoindre le barreur, d’où les expressions « avec » ou « sans ».

Les caractéristiques des embarcations sont définies par la Fédération Internationale des Sociétés d’Aviron (FISA) et adoptées par les fédérations nationales : parfois, elles ne doivent respecter que des limites de poids ; dans d’autres cas, les formes et les dimensions doivent obéir à des standards bien précis. À Turin, des embarcations historiques en bois sont également utilisées.

Jouir de la vue de la ville dans le silence du fleuve, loin du trafic et de la frénésie, entouré, d’un côté, par le Parc du Valentino et, de l’autre, par la verte colline turinoise, est une raison supplémentaire de pratiquer cette discipline le long des rives du Pô. Un monde à découvrir, pour trouver une nouvelle dimension et profiter d’un panorama « privilégié » sur l’une des plus belles cités européennes.

TURIN, CITÉ DE CHAMPIONS Outre le fait qu’elle soit l’une des cités historiquement des plus actives dans le domaine de l’aviron, Turin a produit de grands champions de la spécialité dès la fin du XIXe siècle jusqu’aux plus récents championnats du monde. Parmi les plus célèbres, Antonio Masera (« Canottieri Caprera ») qui, malgré le fait qu’il ait débuté à l’âge de 35 ans, fut champion italien de skiff aux premiers championnats nationaux de Stresa en 1889. La « Canottieri Armida » remporta également un titre, tout comme la « Canottieri Esperia » et la « Cerea », toutes turinoises. La « Caprera » a vu éclore deux autres grands champions, Silvio Venesia et Primo Serramoglia, qui, avant la guerre, démontrèrent toute leur classe : ils furent célèbres pour leurs entraînements interminables où, jamais satisfaits, ils sillonnaient le fleuve à la recherche de la cohésion parfaite. Les sociétés turinoises, très actives aujourd’hui encore, ont trouvé les héritiers de cette illustre tradition dans les athlètes Gianluca Sapino et Alin Zaharia (« Caprera ») qui, avec Matteo Pinca (formé au « Canottieri Moto Guzzi » et désormais au Corps forestier d’État) et Guido Gravina (« Reale Società Canottieri Cerea »), ont remporté le championnat du monde des moins de 23 ans en Lituanie en 2012.

di Vilma Brignone – pg 36 Quelques dizaines de centimes au kilo : tel est, aujourd’hui, le prix du sel. Mais, au Moyen-âge, c’était « l’or blanc », un produit soumis à la gabelle et un poste déterminant de l’économie des États traversés.

Les « routes du sel » étaient, en ce temps-là, les grands axes commerciaux qui s’élevaient de la Méditerranée vers l’intérieur des terres, gravissant les pentes et traversant les vallées le long de difficiles sentiers muletiers. Leur tracé dessinait le développement économique de ces territoires, leur système de communication et les échanges entre les peuples. Il a conditionné la culture, l’art, les dialectes, la foi. Les routes du sel étaient nombreuses en Italie : émiliennes, lombardes, piémontaises. Chacune présentait un réseau d’acheminement des produits artisanaux ou alimentaires vers le littoral et, à l’inverse, de la précieuse denrée marine vers la montagne. Si précieuse qu’une guerre éclata, à la fin du XVIIe siècle dans la région de Coni, entre les nobles de Mondovi et le duché de Savoie. « Des côtes de la Sardaigne, de la Corse et de la Camargue à celles de la Ligurie et de la Provence, puis le long de chemins de terre et des sentiers muletiers, vers le Piémont, la région Rhône-Alpes, la Vallée d’Aoste et la chaîne des Alpes du Nord, jusqu’au lac de Genève, où le sel prenait les grandes voies d’eau de l’Europe du Nord » racontent Teresio et Giovanni Panzera, ciné-reporters et documentaristes originaires de Coni qui, en février dernier, ont présenté l’intéressant DVD aux images évocatrices « Les routes du sel, une histoire économique et culturelle millénaire ». « L’une de nos meilleures œuvres » expliquent les deux frères, assistés dans les reprises par la photographe Carla Sciolla. Un an de recherches, 4 mois de tournage, puis le montage pour ce film-documentaire de 60 minutes en deux langues (italien et français) coproduit par « l’Unioncamere » du Piémont, la Chambre de commerce de Coni, les « Alpes de la mer » et « Alpmed ». Une histoire très complexe et articulée autour d’un produit un temps fondamental pour la conservation des denrées, pour le bétail et la fabrication du cuir, ainsi que pour les échanges commerciaux et l’incroyable induit. « En 1776, notent les auteurs, partirent, de Nice, 18.317 mulets chargés de sel destiné à Coni et à Turin ».

Des entrelacements de voies, devenus, ces dernières années, de magnifiques parcours historiques « comme ceux de la Sardaigne à la nature exceptionnelle, et ceux, encore plus attrayants, des routes du sel qui, de la Ligurie, montent vers le Piémont. Ceux qui les créèrent ces routes eurent une grande intuition, en les traçant sur des emplacements judicieux : certaines, comme celle du col de Tende, sont les voies de communication actuelles, d’autres, des parcours de randonnée à pied ou en vélo tout terrain ».Les « vie del sale », les « routes du sel », les « camins saliès » (en provençal) reliant la Ligurie, le Piémont et la France, partent de la Méditerranée, narre le documentaire, de Cagliari, où l’histoire de l’extraction du sel de mer remonte à 3000 ans.

Des sites de la Sardaigne à Porto Vecchio en Corse, une cité du sel par excellence, à la Camargue avec les salines les plus importantes de la Méditerranée et les plus anciennes de France à Aigues-Mortes, où le climat favorise le travail des sauniers et où le mistral et la tramontane participent à l’évaporation rapide de l’eau, sur laquelle se récolte la blanche et précieuse fleur de sel. Sans oublier Marseille, la première ville à avoir obtenu une concession pour le commerce du sel. La liste des villes françaises se poursuit avec Hyères, Grasse qui, avant d’être connue pour ses parfums, avait une activité florissante de tannage du cuir et exigeait donc du sel pour cette production. Elle commerçait avec Gênes et Nice, lesquelles, aux XVIe et XVIIe siècles, vécurent leur âge d’or avec le passage continu des caravanes de mulets : 30.000 par an.

En Ligurie, le marché du sel concernait Vintimille et les villages en pierre de l’arrière-pays qui l’entourent et d’où partaient les sentiers muletiers de la route du sel. Le plus renommé, entre la France, la Ligurie et le Piémont passait par la vallée de la Roya. Le marché de ce produit de la mer

si précieux concernait la Riviera des fleurs, Imperia avec Oneglia, le centre d’exportation le plus important d’huile d’olive ligure, ainsi que Porto Maurizio. Et, tout comme le sel, l’huile ligure était transportée par voie terrestre dans des outres chargées sur des mulets qui remontaient les vallées alpines en de longues caravanes. « C’est justement d’Oneglia que partait la « route du sel de la Maison de Savoie » à travers un parcours ardu dans les montagnes - racontent les documentaristes dans leur film - où les marchands étaient contraints de se maintenir en hauteur afin d’éviter les dénivelés excessifs et, surtout, les zones dangereuses à cause des embuscades et des péages plus ou moins licites. La route atteignait le haut de la vallée du Tanaro aux flancs du mont Saccarello à la « maison des chasseurs » où les muletiers ligures livraient les marchandises aux muletiers piémontais. De là, à travers le col de Boaria, ils atteignaient Limone Piemonte, puis la plaine de Coni. » Sur la route du sel, s’insère l’histoire des « acciugai » (« commerçants d’anchois ») de la vallée Maira, dont l’origine la plus accréditée (pour l’emplacement insolite de ce métier dans une zone alpine) paraît liée à la contrebande. À ce parcours de la mer à la montagne, qui unit la Ligurie, le Piémont et la France, l’écrivain Nico Orengo, disparu il y a quelques années, a dédié un petit livre, « il salto dell’acciuga » (« le saut de l’anchois »), un voyage chargé de senteurs, de saveurs, de couleurs, de pêcheurs, de femmes, de gendarmes, de contrebandiers de sel, de marchands d’anchois, de cols, d’accostages, qui portait les anchois dans les Langhe, dans le Montferrat, à Saluces et à Vercelli, dans la Brianza, à Pavie comme à Milan, et explique pourquoi une spécialité gastronomique piémontaise, la « bagna cauda », est à base d’anchois. « De la vallée Maira, les hommes descendaient vers la mer pour échanger la toile de chanvre contre le poisson salé. Il fallait plusieurs jours de voyage à pied ou à dos de mulet pour commercer avec les pêcheurs ligures. Au retour, les mulets étaient chargés de sel et parcouraient des centaines de kilomètres depuis la Ligurie jusqu’aux vallées piémontaises. Les octrois élevés appliqués par les gabeliers de Gênes et de Savone encouragèrent le commerce illégal ; les anchois étaient ainsi placés en couches sur le sel des barrots afin de payer moins de taxe. Arrivés à destination, on vendait le sel et également les anchois, un commerce qui s’avéra rentable ».

Le tunnel de la Traversette - ou du sel -, fut le tout premier percé dans les alpes italiennes.

Souhaité par Ludovic II, marquis de Saluces, il fut achevé en un temps record d’à peine 18 mois en 1480. Le col de la Traversette, au nord du Mont Viso, était le seul passage direct entre le Dauphiné et le marquisat de Saluces qui pouvait briser le monopole du transport du sel de la Maison de Savoie. Mais le col, à 2950 mètres d’altitude, ne permettait pas un trafic commercial aussi intense. C’est alors qu’un ouvrage d’ingénierie unique en son genre à l’époque fut entrepris : le tunnel de la Traversette. Long de 80 mètres, il fit partie intégrante, en 1500, de la route du sel consommé dans le Marquisat et plus encore, avec un passage annuel de 5300 pots en terre cuite transportés par 2650 mulets de la vallée du Guil à la vallée du Pô. « Sa largeur était telle qu’elle permettait le passage des mulets dans les deux sens, car, si les chargements de sel provenaient de France, la plaine fournissait toutes sortes de marchandises. Le sel de la Provence passait par Gap et Embrun, en suivant la vallée de la Durance et la vallée du Guil, et traversait Guillestre, Abris et Ristolas. Après le tunnel de la Traversette, il atteignait la vallée du Pô où, à Revello, se trouvait l’octroi ».

L’exploitation du tunnel de la Traversette, actuellement fermé pour restauration aussi bien du côté français que du côté italien, ne dura qu’un siècle jusqu’en 1588, lorsque Charles Emmanuel Ier, qui avait occupé le marquisat de Saluces, le fit fermer afin d’éviter une invasion française.

L’histoire millénaire des routes du sel, aujourd’hui redécouvertes comme parcours touristiques à pied, à cheval ou en vélo tout terrain, a laissé un patrimoine commun, créé par les liens entre bergers, commerçants, muletiers et pèlerins et un sens d’appartenance à ce territoire de passage ligure, provençal et piémontais. Des initiatives touristiques et des associations comme les « Anciennes voies du sel - Routes de la mer » ont été lancées par des organismes locaux afin de promouvoir un parcours commun de la culture, de l’œnologie et la gastronomie, du tourisme (www.anticheviedelsale.eu). L’art célèbre également cette redécouverte : une autre route du sel qui, des douces collines des Langhe, portait à la mer, en passant par Saliceto, Camerana, Levice, Bergolo, Prunetto, Finalborgo, et qui a fait l’objet de l’édition 2014 de l’exposition d’art contemporain « Les routes du sel » de l’Entrepôt de Bra, réalisée par un groupe de dix femmes artistes à la découverte des paysages et des témoignages historiques et architecturaux de ces terres.

UNICO 29 | SETTEMBRE – OTTOBRE 2014 | traduction francaise

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