Ucuntu n.109

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Eserciti

L'enorme pericolo di volare a Sigonella Una serie di drammatici incidenti nella base Rompere il muro di silenzio imposto dalle autorità militari statunitensi è impossibile, ma è probabilissimo che mercoledì 27 aprile nella base militare di Sigonella si sia sfiorata, ancora una volta, la tragedia. Alle ore 11,35 circa, durante la fase di atterraggio, un cacciabombardiere F-16 è uscito di pista e il pilota si è salvato lanciandosi con un paracadute un attimo prima dell’impatto del velivolo con il terreno. A seguito dell’incidente è stata ordinata la chiusura dello scalo e i velivoli impegnati nelle operazioni di guerra alla Libia sono stati dirottati sull’aeroporto di Trapani-Birgi. Il comando NATO si è rifiutato di divulgare la nazionalità del caccia, anche se ha riconosciuto trattarsi di un mezzo “di un paese non aderente all’Alleanza atlantica che tuttavia sta supportando la missione Unified Protector”. Il mistero è stato rivelato dall’agenzia France-Press: l’F-16 appartiene all’Al-Imarat al-‘Arabiyya al-Muttahida, l’aeronautica militare degli Emirati Arabi Uniti ed era decollato qualche ora prima da un aeroporto greco. L’aereo è uno dei dodici cacciabombardieri (sei F-16 e sei “Mirage”) che gli Emirati hanno trasferito il 27 marzo nell’aeroporto sardo di Decimomannu per partecipare con la “coalizione dei volenterosi” a guida NATO ai bombardamenti contro le forze armate filo-Gheddafi. In forza allo Stormo caccia della base aerea di Al Dhafra, l’F-16 “Desert Falcon” è configurato nella versione monoposto “E”, prodotta in esclusiva per gli Emirati Arabi: con un radar AN/APG-80 che fornisce la capacità di tracciare e distruggere simultaneamente bersagli aerei, il velivolo è armato di missili AIM-132 ASRAAM ed AGM84E SLAM. Per lo sviluppo di questi sofisticatissimi strumenti di morte, gli emiri hanno sborsato più di 3 miliardi di dollari. Il loro battesimo di fuoco risale all’agosto 2009: insieme ai bombardieri strategici dell’US Air Force e ai caccia AMX del 51° Stormo di Istrana e dal 32° Stormo di Amendola dell’AMI, furono eseguiti

combattimenti aerei e veri e propri bombardamenti nei vasti poligoni desertici prossimi alla base Usa di Nellis, Las Vegas. Quello del 27 aprile è solo l’ultimo di una lunga lista d’incidenti che hanno interessato i velivoli militari schierati sullo salo siciliano di Sigonella. Il 17 febbraio 2005, un elicottero da trasporto MH-53 “Sea Dragon” assegnato all’Helicopter Support Squadron 4 della US Navy, si schiantò su una delle piste durante un addestramento all’interno della base. I quattro membri dell’equipaggio riportarono gravi ferite e furono ricoverati d’urgenza in ospedale. Meno di un anno prima, il 27 agosto 2004, all’interno di un altro elicottero MH-53E si sviluppò un incendio mentre era parcheggiato nella stazione di rifornimento idrico di Sigonella. Il velivolo era rientrato da una missione di volo; gli uomini dell’equipaggio fuggirono miracolosamente dalle fiamme riportando però gravi ustioni e furono costretti al ricovero in rianimazione all’ospedale Garibaldi di Catania. Si era concluso tragicamente invece l’incidente capitato il 16 luglio 2003 ad un terzo elicottero da trasporto dello Squadrone HC-4: nell’impatto del velivolo con un terreno nei pressi di un distributore di benzina fuori il centro abitato di Ramacca (Catania), persero la vita quattro marines USA. Secondo un testimone oculare, prima di precipitare al suolo il mezzo militare avrebbe tentato senza successo di atterrare presso un invaso per irrigazione. Attorno ai resti del velivolo fu creato un vero e proprio cordone sanitario: le autorità statunitensi vietarono ai Vigili del fuoco e ai Carabinieri di avvicinarsi alla zona d’impatto e a domare le fiamme e transennare l’area intervenne solo una squadra specializzata della US Navy. Alcuni testimoni oculari denunciarono la presenza tra i soccorritori di una unità di controllo per l’inquinamento chimico e batteriologico. Il rapporto ufficiale della marina militare statunitense affermò che a causare l’incidente era stato un incendio

scoppiato nel vano motore n. 2 dell’elicottero “a causa del danneggiamento di un bullone An3”. “Altri fattori che potrebbero aver causato lo schianto – si legge ancora nel report – i forti venti e il mancato coordinamento tra la cabina di pilotaggio e il resto dell’equipaggio. Il pilota non riuscì inoltre ad accrescere la potenza per arrestare la discesa dell’elicottero prima dell’impatto”. L’inchiesta accertò però che gli incendi ai motori dell’MH-53 erano tutt’altro che un evento raro. Il 27 giugno 2002, durante un atterraggio a Sigonella, forse proprio per le fiamme sviluppatesi accidentalmente a bordo, un quarto MH53E dell’Helicopter Support Squadron 4 si era schiantato sulla pista: l’elicottero andò interamente distrutto ma l’equipaggio se la cavò con qualche lieve ferita. Il 5 luglio 1990 fu la volta di un cacciaintercettore F-104 del 4° Stormo dell’Aeronautica militare italiana a precipitare nelle vicinanze della città di Caltagirone (Catania), subito dopo il decollo dalla base di Sigonella. Il pilota, Sergio Scalmana di 30 anni, morì sul colpo. Il caccia si era levato in volo insieme ad un altro F-104 per un’esercitazione sul Canale di Sicilia, quando improvvisamente il capitano Scalmana comunicò alla torre di controllo di avere noie al motore e di essere in procinto di tentare un atterraggio di emergenza sulla Statale 417 Catania-Gela. Il pilota perdeva però il controllo del mezzo che si schiantava in aperta campagna, prendendo fuoco. Ancora più dietro negli anni, tra gli incidenti ai velivoli della stazione aeronavale siciliana, si ricorda quello avvenuto il 19 novembre 1998 ad un elicottero CH-46 “Sea Knight”, precipitato per cause ignote al largo di Riposto, cittadina ad una trentina di chilometri a nord di Catania. Quattro le vittime. Anche stavolta i militari USA invitarono con un messaggio scritto Carabinieri, Marina militare e Guardia costiera italiana “a non prestare assistenza” al velivolo scomparso in mare, “perché autonomi”.

|| 1 maggio 2011 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||


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