n. 05 TremilaSport 06-03-2019

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BASKET INCONTRO STORICO Joe Allen ricevuto con la squadra da Papa Paolo VI in Vaticano. Con lui Manlio Cescutti e, alle loro spalle, il Cavalier Rino Snaidero.

LA GALLERIA DEL CAMPIONE

UN GRIDO:

"GO, JOE ALLEN!"

Otello Savio, che giocò nella Snaidero con il campione Usa, ne ripropone il ricordo con momenti ed episodi del "divino mammuth" visto da vicino

P I SUOI RICORDI Otello Savio ha militato nella massima categoria a Udine, Venezia e Gorizia: molti i campioni con cui ha giocato

robabilmente pochi si ricordano che il primissimo giocatore straniero della pallacanestro udinese in realtà non fu Joe Allen. Le cronache raccontano che in quella tarda estate del 1968 Joe fu catapultato a Udine alla vigilia del campionato d’esordio in serie A per sostituire in gran fretta tale Denis Hrcka. Questi era un pivot bianco tecnicamente sprovveduto, oltre che dal nome impronunciabile, inizialmente scelto dallo staff della Apu Snaidero. Non dimentichiamo le difficoltà nel valutare un giocatore americano, per di più con uno status da dilettante, in un mondo in cui i rapporti a distanza venivano ancora gestiti da cablogrammi o da complicate telefonate intercontinentali. IL DIVINO MAMMUTH Il “divino mammuth” (come venne poi definito da Aldo Giordani) prima di vestire la canotta arancione numero 20 dovette anche superare un casting con un atletico centro di colore che si chiamava Jim Fuller. Fortunatamente (con il senno di poi) il professor Manlio Cescutti e Boris Kristancic, direttore tecnico e allenatore di allora, scelsero la qualità e l’intelligenza di Joe e non gli eccezionali zompi del suo concorrente. Iniziò così la storia di questo giocatore, ormai entrato nel mito sportivo, che segnò quegli anni formidabili della pallacanestro udinese. Joe Allen, classe 1945, proveniva dalla Bradley University di Peoria, Illinois, dove negli anni precedenti era stato uno dei migliori giocatori per punti segnati e medie di tiro, nel 1994 la sua maglietta numero 31 è stata ritirata come riconoscimento postumo.

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Era alto 2 metri scarsi al netto del cesto di capelli afro (che pettinava con una specie di rastrello metallico), aveva un corpaccione esagerato e portava un vistoso tutore al ginocchio sinistro infortunato anni prima. Ricordo che prima delle partite necessitava di parecchio tempo per allacciare con cura le lunghe stringhe della protezione, lo faceva in silenzio e grande concentrazione tanto che a noi compagni pareva di assistere al rito di vestizione di un guerriero. LA BOLGIA DEL "MARANGONI" Nei primi due campionati di serie A giocati nel palazzetto di via Marangoni stracolmo di appassionati Joe Allen guidò la squadra alla salvezza giocando gare memorabili. Si rivelò giocatore ambidestro, tecnicamente eccelso e di incredibile rapidità negli spazi brevi, capace di grossi bottini personali e straordinario nello smazzare assist ai compagni quando veniva raddoppiato dalla difesa. Dalla posizione di pivot basso usava le gambe come un compasso per crearsi spazi in area, con la sua stazza tagliava fuori il marcatore poi chiamava la palla con le grandi mani e la depositava a canestro con una scivolata. I punti deboli, nell’ordine delle cose, riguardavano la difesa (zonetta 2-3 obbligata, con lui a

Pretendeva dai compagni grande diligenza e tempistica nei passaggi per lui

fare il totem in mezzo all’area) e il ritmo di gioco che doveva essere necessariamente lento per evitare di fargli perdere qualche giro. Non pensate tuttavia che fosse facile giocare con Joe. Personaggio dall’ego proporzionale alla sua mole, pretendeva dai compagni grande diligenza nelle scelte di gioco e in particolare nella tempistica del passaggio a suo favore. Non erano rari i battibecchi con altri giocatori, uno che gli teneva testa senza problemi era Corrado Pellanera. Da parte mia, giovanissimo, preferivo di gran lunga giocarci contro in allenamento per evitare le sue terribili occhiatacce al primo errore. IL "CARNERA" Il passaggio nel 1970 al nuovo palasport Carnera segnò l’inizio della fine del suo percorso in Italia. Si narra che, sbarcato a Milano dagli USA noleggiò addirittura un pullman per il trasferimento a Udine di famiglia e bagagli, naturalmente a spese della società. Non il modo ideale per iniziare una stagione che si rivelò subito difficile per una squadra che aveva perduto con il vecchio “Marangoni” il proprio bunker inespugnabile. Alla fine la Snaidero si salvò ma fu chiaro a tutti che una svolta tecnica era necessaria. Il crepuscolo di Joe Allen, al di là di qualche suo atteggiamento sempre più difficile da gestire, fu accelerato soprattutto dal grande cambiamento della pallacanestro che diventava sempre più atletica e veloce. Ormai fuori tempo massimo, Joe lasciò Udine alla fine di quel campionato. Abbandonò anche il basket giocato diventando qualche tempo dopo istruttore nella sua Bradley University. Per la sua personalità e per come conosceva questo gioco sono convinto che sia stato un grande allenatore. Otello Savio


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